Hai concesso in subaffitto un immobile e l’Agenzia delle Entrate ti contesta di non aver dichiarato i canoni percepiti? I redditi derivanti dai subaffitti sono soggetti a tassazione e devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi. Il Fisco effettua controlli incrociati con i dati catastali, i contratti registrati e le segnalazioni bancarie: se non dichiari i subaffitti, rischi imposte, sanzioni e interessi pesanti.
Che cos’è il subaffitto e come viene tassato
Il subaffitto si verifica quando l’inquilino (conduttore) concede a terzi l’utilizzo dell’immobile locato, a fronte di un corrispettivo. Fiscalmente:
– I canoni di sublocazione percepiti sono considerati redditi diversi, da dichiarare in dichiarazione dei redditi
– Devono essere tassati con IRPEF secondo gli scaglioni ordinari
– Non è possibile optare per la cedolare secca, che spetta solo al proprietario dell’immobile
Quando scattano le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate
– Se i canoni di subaffitto non sono stati dichiarati come redditi diversi
– Se il contratto di sublocazione non è stato registrato quando previsto
– Se le movimentazioni bancarie mostrano accrediti riconducibili a subaffitti non dichiarati
– Se l’inquilino percepisce somme superiori a quanto indicato nel contratto principale con il proprietario
– Se vengono riscontrati subaffitti effettuati tramite piattaforme online (Airbnb, Booking, ecc.) senza dichiarazione dei redditi
Cosa rischi in caso di omissione dei redditi da subaffitto
– Recupero delle imposte non versate sui canoni percepiti
– Sanzioni fiscali dal 90% al 180% dell’imposta evasa
– Interessi di mora sul debito fiscale
– Contestazione del reato di dichiarazione infedele se l’omissione supera determinate soglie penali
– Avvio di procedure esecutive come pignoramenti e ipoteche in caso di mancato pagamento
Come difendersi da una contestazione per subaffitti non dichiarati
– Dimostrare la regolare registrazione dei contratti di sublocazione
– Presentare ricevute di pagamento e documentazione bancaria che giustifichi i redditi dichiarati
– Contestare eventuali errori di calcolo o duplicazioni da parte del Fisco
– Dimostrare che alcune somme non costituiscono reddito imponibile (depositi cauzionali, rimborsi spese)
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se le pretese non sono fondate
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento notificato e verificare i presupposti della contestazione
– Raccogliere e organizzare la documentazione utile per giustificare i redditi percepiti
– Contestare l’utilizzo di presunzioni prive di riscontro da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Predisporre memorie difensive e ricorsi per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa fiscale
– Tutelare il contribuente da sanzioni sproporzionate e azioni esecutive aggressive
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione significativa delle sanzioni e degli interessi
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La protezione del patrimonio personale e familiare
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto
⚠️ Attenzione: i subaffitti non dichiarati sono tra le anomalie più facilmente individuabili dal Fisco, grazie all’incrocio di banche dati e alle segnalazioni delle piattaforme online. Tuttavia, non tutte le contestazioni sono fondate: con prove concrete e una difesa mirata è possibile ribaltare le accuse.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare una contestazione dell’Agenzia delle Entrate sui subaffitti non dichiarati e come difenderti in modo efficace.
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Introduzione
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato la lotta agli affitti “in nero” e ai subaffitti non dichiarati, sfruttando nuove tecnologie e incroci di banche dati. Proprietari e inquilini che sublocano immobili senza dichiarare i relativi canoni al Fisco rischiano oggi sanzioni pesanti e accertamenti di massa. Un caso emblematico è quello di Airbnb: dopo una lunga disputa legale (culminata nella sentenza Corte di Giustizia UE C-83/21 del 22/12/2022), nel 2022 la piattaforma ha dovuto versare 576 milioni di euro al Fisco italiano per sanare il periodo 2017-2021 e dal 2024 si è impegnata a operare come sostituto d’imposta, trattenendo alla fonte la cedolare secca sugli affitti brevi . Questo accordo ha aperto la strada a controlli incrociati capillari sui redditi da locazione percepiti tramite portali online e non dichiarati .
In tale contesto di crescente controllo fiscale, è fondamentale che privati, imprenditori e professionisti (avvocati, commercialisti) conoscano la disciplina fiscale relativa ai subaffitti e gli strumenti di tutela a disposizione del contribuente (il debitore in senso lato) per difendersi da contestazioni dell’Agenzia delle Entrate. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – affronta in modo tecnico ma divulgativo tutti gli aspetti rilevanti: dalla normativa italiana vigente (comprese le ultime novità) alle strategie di difesa in sede amministrativa e giudiziale. Analizzeremo le violazioni fiscali tipiche nei subaffitti non dichiarati (omessa dichiarazione dei canoni, contratti non registrati, ecc.), le sanzioni amministrative e penali applicabili, nonché le più recenti sentenze e interpretazioni autorevoli sul tema. Troverete inoltre tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti e alcune simulazioni pratiche di casi reali, il tutto dal punto di vista del contribuente chiamato a rispondere di presunte imposte evase .
Importante: le informazioni fornite riguardano esclusivamente il diritto tributario italiano (violazioni a fini fiscali) e tengono conto delle norme aggiornate al 2025. Aspetti civilistici (come la validità del contratto di sublocazione non registrato o i rapporti tra locatore e conduttore) saranno citati solo per contestualizzare il fenomeno, ma il focus rimane sulle conseguenze fiscali e sui rimedi difensivi verso l’Amministrazione finanziaria.
Quadro normativo e obblighi fiscali in caso di subaffitto
Cos’è il subaffitto? – La sublocazione (o subaffitto) avviene quando un inquilino (conduttore principale), già titolare di un contratto di locazione con il proprietario, concede in locazione a sua volta l’immobile – o una parte di esso – a un altro soggetto (subconduttore). In pratica, il conduttore “subaffitta” la casa o una stanza a terzi. La sublocazione può essere totale (l’inquilino riaffitta l’intero immobile) o parziale (ad es. affitta solo una stanza, continuando ad abitare negli altri vani). È lecita solo se non espressamente vietata dal contratto principale o dalla legge: la legge n.392/1978 consente la sublocazione parziale salvo patto contrario, mentre per la sublocazione totale richiede il consenso del proprietario . Tuttavia, indipendentemente dalla validità civilistica dell’accordo di subaffitto, qualsiasi importo percepito dall’inquilino sublocatore costituisce in ogni caso un reddito imponibile ai fini fiscali, che va dichiarato.
Obbligo di registrazione – Se il contratto di sublocazione ha durata superiore a 30 giorni complessivi annui, scatta l’obbligo di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, analogo a quello previsto per i contratti di locazione ordinari . La registrazione va effettuata entro 30 giorni dalla stipula, pagando l’imposta di registro (generalmente pari al 2% del canone annuo pattuito, con minimo €67). La mancata registrazione nei termini comporta la nullità civilistica del contratto (ex art. 1, comma 346 L.311/2004, come interpretato dalla Corte Costituzionale) e specifiche sanzioni fiscali (dettagliate più avanti). Nota: per i subaffitti “brevi” fino a 30 giorni complessivi nell’anno non vi è obbligo di registrazione, ma i relativi redditi vanno comunque dichiarati.
Redditi da subaffitto: qualificazione fiscale – La qualifica fiscale del reddito da sublocazione differisce da quella dei canoni di locazione percepiti dal proprietario. In base all’art. 26 del TUIR, i canoni di locazione sono considerati redditi fondiari solo se percepiti da chi possiede un diritto reale sull’immobile (proprietario, usufruttuario, ecc.) . Il sublocatore invece non è proprietario né titolare di diritto reale: di conseguenza, i canoni di subaffitto non rientrano nei redditi fondiari del proprietario né in quelli del sublocatore, bensì costituiscono redditi diversi per il sublocatore . Lo conferma anche l’Agenzia delle Entrate: “gli incassi da sublocazione rientrano nella categoria dei redditi diversi (art. 67, comma 1, lett. h del TUIR) e non tra i redditi di natura fondiaria” . Pertanto:
- Il proprietario continuerà a dichiarare l’eventuale canone che percepisce dall’inquilino principale come reddito fondiario proprio (salvo il caso di comodato gratuito).
- L’inquilino sublocatore dovrà dichiarare a parte il reddito derivante dal subaffitto come reddito diverso ai sensi dell’art. 67, c.1, lett. h) del TUIR.
Determinazione del reddito imponibile – A differenza dei redditi fondiari, che per gli affitti abitativi sono determinati forfettariamente (rendita catastale o canone ridotto del 5%), il reddito da sublocazione si calcola in modo analitico. Esso corrisponde all’utile netto ricavato dal subaffitto, cioè la differenza tra quanto il sublocatore incassa dal subconduttore e le spese direttamente inerenti quel reddito . In altre parole, dal canone di subaffitto percepito si può sottrarre il canone di locazione pagato al proprietario (nonché eventuali altre spese specifiche necessarie a produrre l’introito) . Ad esempio, se Tizio prende in affitto un appartamento pagando €800 al mese e ne subaffitta una stanza a €300 al mese, il suo reddito imponibile da sublocazione sarà dato dall’importo incassato (€300 mensili) meno la quota di affitto principale relativa a quella stanza (supponiamo €200), ossia €100 al mese di reddito tassabile. Questo principio è sancito dall’art. 71, comma 2 del TUIR e applicato dall’Agenzia Entrate nelle istruzioni dichiarative: “Il canone percepito per la sublocazione… rientra nei redditi diversi… tale reddito è pari alla differenza tra quanto incassato dal sublocatore e le spese specificamente inerenti (es. il canone di locazione corrisposto al proprietario)” . Attenzione: se il sublocatore ottiene un incasso inferiore al canone che corrisponde al proprietario (subaffitto in perdita), non potrà riportare una perdita in dichiarazione per compensarla con altri redditi (i redditi diversi non possono mai essere negativi): semplicemente il reddito da sublocazione sarà azzerato in quel periodo d’imposta.
Regime fiscale applicabile (IRPEF vs cedolare secca) – I redditi da subaffitto dichiarati come “redditi diversi” confluiscono nel Quadro D del modello Redditi PF (o nel Quadro D/Sez.II del 730) e sono soggetti all’IRPEF ordinaria secondo gli scaglioni di reddito del sublocatore, salvo quanto previsto per le locazioni brevi. Infatti, una particolare normativa introdotta nel 2017 (art. 4 D.L. 50/2017) estende ai contratti di sublocazione breve un regime fiscale sostitutivo analogo a quello dei proprietari locatori: la cosiddetta cedolare secca al 21% (poi 26%) prevista per gli affitti turistici si applica anche ai redditi da sublocazioni brevi (e da locazioni in comodato) di durata ≤30 giorni . In sintesi:
- Per subaffitti oltre 30 giorni: il reddito (differenziale) va tassato con IRPEF ordinaria, cumulandosi agli altri redditi del sublocatore. Non è consentito optare per la cedolare secca in questi casi , poiché tali proventi non sono redditi fondiari.
- Per subaffitti brevi (≤30 giorni): il sublocatore può optare per l’imposta sostitutiva sugli affitti brevi, ossia la cedolare secca, alle condizioni di legge. In origine (2017-2023) l’aliquota era 21%. Dal 1° gennaio 2024 la Legge di Bilancio 2024 ha elevato l’aliquota al 26%, mantenendo però un’aliquota ridotta al 21% sui redditi relativi a una sola unità immobiliare indicata dal contribuente . Ciò significa che un sublocatore che nell’anno 2024 abbia concesso in subaffitto breve più di un appartamento (caso raro per un privato) potrà applicare la cedolare 21% solo su uno di essi, mentre sugli altri l’imposta sostitutiva sarà al 26%. In ogni caso, per fruire della cedolare sui redditi da sublocazione breve occorre rispettare gli stessi limiti previsti per i proprietari: massimo 4 appartamenti per anno destinati ad affitti brevi, altrimenti l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale . Se tale limite viene superato (≥5 unità locate brevemente), l’Agenzia Entrate considera il subaffitto come attività d’impresa: il sublocatore dovrebbe aprire partita IVA, applicare imposta sul reddito d’impresa (IRES/IRPEF) e IVA sui servizi, perdendo ogni agevolazione.
Di seguito una tabella riepilogativa del regime fiscale per il proprietario e per il sublocatore in diversi casi:
Scenario | Reddito da dichiarare | Regime fiscale e aliquote |
---|---|---|
Locatore proprietario (affitto ordinario) | Reddito fondiario (95% canone annuo) | IRPEF progressiva (aliquote 23%–43% + addizionali) ; oppure Cedolare secca 21% (26% dal 2024 su >1 immobile) se optata |
Sublocatore – contratto > 30 gg | Reddito diverso (utile = incassi – costi) | IRPEF progressiva su 100% dell’utile (nessuna deduzione forfettaria) |
Sublocatore – locazione breve ≤ 30 gg | Reddito diverso (incassi – costi) | Cedolare secca affitti brevi: imposta sostitutiva 21% (26% se oltre una unità) se optato in dichiarazione . Se non opta: IRPEF ordinaria su 100% utile. |
Nota: il proprietario, se percepisce un canone dall’inquilino, deve dichiararlo come reddito fondiario anche se l’inquilino subaffitta a terzi (il reddito fondiario spetta comunque al titolare dell’immobile ex art.26 TUIR). D’altra parte, il reddito da sublocazione non “trasferisce” mai al proprietario: rimane in capo al sublocatore come reddito diverso . In sostanza, l’immobile può generare due redditi separati: uno fondiario per il proprietario (se questi percepisce affitto) e uno diverso per l’inquilino subaffittante (se percepisce a sua volta un subaffitto).
Obblighi dichiarativi e documentali – Chi percepisce redditi da subaffitto deve dichiararli nel quadro RL/RD o D della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di percezione . È irrilevante che il contratto di sublocazione sia stato o meno registrato: anche un accordo verbale produce reddito tassabile se genera incassi. Occorre conservare tutta la documentazione utile a comprovare l’entità del reddito effettivo, in particolare: copia dei contratti (di locazione principale e di sublocazione), ricevute dei canoni pagati e incassati (bonifici, quietanze), eventuali comunicazioni al proprietario e al subconduttore, ecc. Tali prove saranno preziose in caso di contestazione fiscale, come vedremo, sia per dimostrare l’ammontare reale dei canoni percepiti sia per attestare i costi deducibili (canone pagato al proprietario).
Come l’Agenzia delle Entrate scopre i subaffitti in nero
Dichiarare i redditi da sublocazione è un obbligo spesso disatteso, contando (erroneamente) sul fatto che trattandosi di accordi privati o “in famiglia” questi possano sfuggire al radar del Fisco. In realtà, l’Agenzia delle Entrate oggi dispone di sofisticati strumenti di controllo incrociato e di banche dati integrate, grazie ai quali riesce a individuare con sempre maggiore facilità gli affitti non dichiarati, inclusi quelli relativi a subaffitti. Vediamo le principali modalità con cui il Fisco può scoprire un subaffitto in nero.
Incrocio di banche dati catastali, fiscali e anagrafiche
L’Amministrazione finanziaria incrocia costantemente i dati delle dichiarazioni fiscali con una pluralità di archivi pubblici e privati a sua disposizione. In materia di locazioni immobiliari, alcuni incroci tipici sono:
- Database catastale vs. dichiarazioni dei redditi: l’Agenzia sa, tramite il Catasto e l’Anagrafe Immobiliare Integrata, quanti immobili possiede ogni contribuente e con quale destinazione (abitazione principale, seconda casa, ecc.). Incrociando tali informazioni con i redditi dichiarati, può emergere che un soggetto possiede (o detiene) immobili che non risultano né occupati da lui né concessi in locazione dichiarata. Ad esempio, se un contribuente possiede un appartamento in una città diversa da quella di residenza e non dichiara redditi da locazione, il Fisco potrebbe insospettirsi: quell’immobile è realmente inutilizzato? Oppure è affittato “in nero” a terzi? Analogamente, se un soggetto non proprietario risulta avere la residenza in un’abitazione (es. studente fuori sede) ma a catasto il proprietario non dichiara affitti, può trattarsi di un affitto in nero segnalabile.
- Archivio contratti di locazione registrati: l’Agenzia delle Entrate dispone dell’elenco di tutti i contratti di locazione registrati (banca dati del Registro). Viene verificato se per ogni contratto registrato il locatore ha dichiarato i relativi redditi. In caso di sublocazione, il contratto di subaffitto stesso dovrebbe essere registrato (se >30 gg): anche per esso si può controllare se il sublocatore ha dichiarato i redditi percepiti. Una tipica anomalia riscontrata è la seguente: Tizio registra un contratto di locazione a Caio e Caio registra a sua volta un contratto di sublocazione a Sempronio; Tizio dichiara il reddito da locazione ma Caio non dichiara quello da sublocazione. Questo scostamento viene segnalato come reddito da fabbricati non dichiarato . Più in generale, l’Agenzia incrocia i dati dei contratti registrati con quelli dichiarati nel quadro dei fabbricati (proprietari) e nel quadro redditi diversi (sublocatori/comodatari) .
- Dati delle utenze e consumi anomali: un altro indicatore è l’intestazione delle utenze (luce, acqua, gas) e il livello dei consumi. Se un immobile risulta ufficialmente non affittato ma registra consumi elevati (magari intestati al proprietario stesso o a un terzo), ciò può suggerire la presenza di occupanti “in nero”. L’Agenzia e la Guardia di Finanza analizzano anche consumi energetici e idrici anomali in zone turistiche, come parte delle strategie di controllo . Ad esempio, un picco di consumi in un appartamento dichiarato sfitto può far scattare un’indagine per affitto in nero .
- Anagrafe tributaria dei rapporti finanziari: tutti i movimenti bancari significativi sono potenzialmente noti al Fisco. Un subaffitto pagato con bonifico o ripetuti versamenti di denaro sul conto del locatore senza giustificazione potrebbero emergere. L’Agenzia dispone di algoritmi (“evasometro”) per individuare soggetti con flussi finanziari non coerenti con i redditi dichiarati . Ad esempio, se un contribuente con basso reddito dichiarato riceve mensilmente bonifici con causale “affitto” o con lo stesso importo costante, questi dati (raccolti nell’archivio dei rapporti finanziari) possono essere incrociati e portare a controlli mirati.
- Dichiarazioni di terzi e detrazioni fiscali: può sembrare curioso, ma talvolta sono gli stessi inquilini a “tradire” il locatore. Ad esempio, uno studente universitario o un lavoratore fuori sede potrebbe cercare di portare in detrazione/deduzione nella propria dichiarazione i canoni di locazione pagati. Se però il contratto non era registrato (quindi affitto in nero) o se è una sublocazione non dichiarata, quella richiesta di detrazione fiscale accenderà un faro: l’Agenzia confronterà la detrazione d’affitto richiesta dall’inquilino con la posizione del proprietario/sublocatore e si accorgerà che manca la corrispondente dichiarazione di quel reddito. Lo stesso avviene per il bonus affitto giovani e agevolazioni simili: la fruizione del bonus da parte dell’inquilino è comunicata all’Agenzia, che può controllare se il locatore o sublocatore ha dichiarato il relativo canone. In caso contrario, parte la segnalazione.
Controlli sul territorio e segnalazioni esterne
Oltre agli incroci automatizzati, persistono le vecchie ma efficaci tecniche di controllo sul campo. La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate possono effettuare accessi, ispezioni e verifiche mirate in determinati contesti, spesso su input di segnalazioni specifiche:
- Reclami/denunce degli inquilini: non di rado, sono gli stessi subconduttori o vicini di casa a denunciare situazioni di affitto in nero. Un inquilino scontento può segnalare al Fisco di aver pagato canoni non registrati. Questa denuncia, se dettagliata, costituisce un elemento probatorio importante. Ad esempio, la Commissione Tributaria di Milano ha ritenuto che la denuncia presentata da un’inquilina, in quanto proveniente da una parte del rapporto contrattuale, fa piena prova dell’esistenza di un contratto di locazione verbale non dichiarato, non essendo una mera dichiarazione di terzi . Nel caso esaminato (sent. CTP Milano 2718/19/2019), l’Agenzia notificò un avviso di accertamento IRPEF recuperando canoni 2013 non dichiarati sulla base della denuncia dell’inquilina; la Commissione confermò la legittimità dell’operato, sottolineando che lo status di parte contrattuale dell’inquilina escludeva potesse trattarsi di semplice indizio . Difendersi da questo tipo di prove è difficile: spetta al locatore/sublocatore “smontare” la denuncia, onere spesso impossibile se l’accordo era effettivamente in nero .
- Sopralluoghi e controlli mirati della GdF: in località turistiche e grandi città universitarie, la Guardia di Finanza svolge periodicamente operazioni anti-evasione sugli affitti. Possono avvenire controlli “porta a porta” in interi condomini o quartieri noti per affitti brevi, con identificazione degli occupanti. Se risulta che l’occupante non coincide col proprietario e non esiste contratto registrato, scatta un accertamento. Ci sono stati blitz in città d’arte e zone costiere dove decine di appartamenti affittati ai turisti senza contratto sono stati scoperti, grazie anche alla collaborazione dei Comuni (che incrociano i dati della tassa di soggiorno) e delle forze dell’ordine (Polizia Municipale, uffici Anagrafe). Ad esempio, in alcune operazioni la GdF ha controllato gli annunci online di case vacanza, individuato gli indirizzi e poi verificato sul posto la presenza di ospiti e l’assenza di registrazione fiscale.
- Segnalazioni dei Comuni e dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione: i Comuni hanno interesse a far emergere gli affitti in nero perché su quelli regolari incassano l’IMU (dal proprietario) e la tassa di soggiorno (dal turista). Alcuni Comuni scambiano dati con l’Agenzia: ad esempio, segnalano immobili locati non dichiarati ai fini dell’IMU o riferiscono gli esiti di accertamenti sulle finte residenze (immobili dove risultano residenti persone che in realtà pagano un canone). L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) talvolta comunica all’Area Accertamento informazioni emerse in fase di riscossione coattiva: pignorando conti o facendo indagini patrimoniali, può scoprire entrate periodiche anomale riconducibili ad affitti.
Piattaforme online e controlli 4.0: il nuovo tracciato degli affitti brevi
L’esplosione di Airbnb, Booking e simili ha portato il legislatore a intervenire con regole specifiche per le locazioni brevi turistiche. Queste regole, pur riferite principalmente ai proprietari, coinvolgono anche i sublocatori che affittano a breve termine. Le novità principali riguardano la tracciabilità delle locazioni brevi e lo scambio di informazioni tra portali e Fisco:
- Codice Identificativo Nazionale (CIN): a partire da settembre 2024 è stato introdotto il CIN per gli immobili destinati ad affitti brevi turistici . Si tratta di un codice univoco rilasciato tramite un portale del Ministero del Turismo, che identifica ogni alloggio messo in locazione breve. È obbligatorio indicare il CIN in ogni annuncio online: la sua mancata esposizione comporta una sanzione fino a €8.000 . Questo strumento mira a dare al Fisco (e ai Comuni) una mappa chiara degli immobili affittati brevemente. Anche un inquilino sublocatore dovrà dotarsi di CIN se offre in affitto breve l’immobile detratto a sua volta: di fatto, non c’è distinzione, il codice serve per identificare l’alloggio a prescindere da chi lo affitta. L’introduzione del CIN permetterà controlli incrociati ancora più efficaci, perché ogni portale dovrà verificare che l’annuncio riporti un CIN valido e comunicare alle autorità le prenotazioni relative a quel codice .
- Accordi con i portali e ritenuta alla fonte: la summenzionata vicenda Airbnb ha portato ad accordi operativi: dal 2024 i portali come Airbnb e Booking trattengono alla fonte il 21% (poi 26%) sui pagamenti fatti agli host, fungendo da sostituti d’imposta . Inoltre, si sono impegnati a fornire regolarmente al Fisco i dati sulle prenotazioni e i pagamenti relativi a immobili italiani . Già dal 2017 la legge prevedeva l’obbligo per gli intermediari di trasmettere all’Agenzia delle Entrate una comunicazione annuale con i dati dei contratti conclusi per il loro tramite (importi, nominativi dei locatori, giorni di locazione, ecc.). Ora, con la ritenuta, il flusso informativo è ancora più immediato: se Tizio (proprietario o subaffittuario) nel 2025 incassa €5.000 tramite Airbnb, quest’ultima gli tratterrà €1.050 (il 21% se è la sua prima unità) versandoli al Fisco, e comunicherà i €5.000 percepiti a Tizio. L’Agenzia confronterà tali comunicazioni con la dichiarazione 2026 di Tizio: se non troverà traccia di quei €5.000 (detratti o dichiarati), partirà l’accertamento automatico . È bene evidenziare che la ritenuta piatta del 21-26% non esaurisce gli obblighi: il contribuente deve comunque dichiarare il reddito, indicando l’imposta già trattenuta (credito d’imposta). La mancata dichiarazione viene vista come “omissione” nonostante il pagamento alla fonte.
- Monitoraggio degli annunci online: l’Agenzia e la Guardia di Finanza hanno affinato strumenti tecnologici per setacciare il web in cerca di affitti sommersi . Grazie a software di scraping e all’intelligenza artificiale, possono collegare gli annunci (anche sui social network) a specifici immobili e persone. Un esempio concreto: attraverso le foto e la descrizione di un annuncio Airbnb è spesso possibile risalire all’indirizzo esatto dell’immobile. Incrociando poi con il catasto, si individua il proprietario; se l’host dichiarato sul portale è un soggetto diverso, c’è un’alta probabilità che sia un subaffitto non autorizzato. In alcune città, la Polizia Municipale si è specializzata in questo tipo di analisi, segnalando al Fisco i casi sospetti. Gli algoritmi possono anche confrontare le recensioni lasciate dagli ospiti per stimare il tasso di occupazione di un alloggio: ad esempio, decine di recensioni nell’anno indicano molte locazioni effettuate, e se il reddito dichiarato è zero o troppo basso, scatta l’allarme di incongruenza.
Le lettere di compliance: il Fisco avvisa prima di colpire
Oggi gran parte delle anomalie fiscali vengono inizialmente gestite tramite comunicazioni bonarie di compliance, anziché con immediati avvisi di accertamento. Se dalle banche dati emerge un possibile subaffitto non dichiarato, l’Agenzia può inviare al contribuente una lettera di invito alla compliance, segnalando l’anomalia e invitando a regolarizzare. Si tratta di avvisi informali, non impegnativi, che indicano i redditi o contratti “incriminati” e lasciano al contribuente la chance di ravvedersi beneficiando di sanzioni ridotte . Ad esempio, nelle lettere 2025 l’Agenzia sta esplicitamente indicando: “Risultano percepiti redditi da fabbricati (affitti) non dichiarati riferiti all’immobile sito in…, periodo d’imposta… (fonte: Dati portali locazioni brevi / Contratto n. … registrato il …)”.
- Cosa fare se si riceve una lettera? È importante non ignorarla. Bisogna prima di tutto verificare i dati segnalati: erano davvero redditi non dichiarati? Ci sono errori (ad esempio l’Agenzia potrebbe aver scambiato per affitto un importo che affitto non era)? In assenza di errori materiali, la via più conveniente è spesso aderire alla compliance, cioè presentare una dichiarazione integrativa per quell’anno e versare le imposte dovute con sanzioni ridotte (tramite ravvedimento operoso). Ad esempio, per omessa dichiarazione di un affitto la sanzione ordinaria è almeno il 120% dell’imposta evasa (raddoppiata al 240% se affitto abitativo, vedi oltre); ravvedendosi dopo più di un anno, si pagherà invece solo il 1/6 del minimo (quindi il 15% dell’imposta) . La lettera stessa spesso indica la possibilità di regolarizzare con sanzione ridotta al 10% se si paga entro 30 giorni , ma quel 10% si riferisce ai casi in cui la lettera quantifica già l’imposta (comunicazioni da liquidazioni automatiche). In un subaffitto non dichiarato, di solito la lettera non quantifica (è una “anomalia”), quindi occorre fare i calcoli e procedere al ravvedimento spontaneo. Più avanti tratteremo in dettaglio il ravvedimento operoso. Basti qui ribadire che rispondere positivamente alla lettera consente di evitare il successivo, ben più grave, avviso di accertamento .
- E se si ignora la lettera? Trascorso un certo periodo (in genere 90 giorni o più, variabile) senza risposta né regolarizzazione, l’Agenzia passerà al formale avviso di accertamento con sanzioni piene . Le lettere di compliance ormai precedono sistematicamente gli accertamenti: nel 2023 ne sono state inviate oltre 3 milioni, con un recupero di 4,2 miliardi , e per il 2025 l’Agenzia ha pianificato almeno altre 3 milioni di lettere . Dunque ignorare l’avviso informale è altamente rischioso: è praticamente certo che poi arriverà la contestazione ufficiale, aggravata da sanzioni molto più onerose e interessi.
In conclusione, l’Agenzia può scoprire subaffitti non dichiarati sia tramite analisi incrociata di dati (catasto, registri locazione, piattaforme online, utenze, conti correnti) sia grazie a controlli mirati e segnalazioni sul territorio. Il contribuente ha comunque la possibilità di essere avvisato attraverso le lettere bonarie e di mettersi in regola spontaneamente. Nel prossimo capitolo vedremo proprio quali sono le conseguenze fiscali di queste violazioni – in termini di imposte, sanzioni e potenziali reati – e successivamente affronteremo come difendersi, tra ravvedimenti, ricorsi e altri strumenti.
Conseguenze fiscali del subaffitto non dichiarato: imposte, sanzioni e profili penali
Quali rischi corre, concretamente, chi subaffitta un immobile “in nero” senza dichiararne i redditi? Le conseguenze si sviluppano su tre piani: (1) il recupero delle imposte evase con relativi interessi; (2) l’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie (pecuniarie) molto elevate; (3) nei casi più gravi, l’integrazione di estremi di reato tributario con possibili sanzioni penali. Vediamoli in dettaglio, tenendo conto delle particolarità per i sublocatori.
Recupero delle imposte evase e interessi
In caso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate provvederà innanzitutto a recuperare l’IRPEF (o imposta sostitutiva) dovuta sui canoni di subaffitto non dichiarati. Come spiegato, per un subaffitto abitativo ordinario >30gg il reddito imponibile è l’utile percepito (incassi meno spese), tassato ad aliquota marginale IRPEF; per un subaffitto breve ≤30gg, se si era teoricamente in cedolare secca, il Fisco potrebbe applicare comunque l’IRPEF ordinaria in accertamento se l’opzione non venne esercitata a suo tempo (spesso l’accertamento “disconosce” benefici non richiesti regolarmente). Tuttavia, vi sono difese possibili per rivendicare la cedolare se spettante – ne parleremo nella parte difensiva.
Oltre all’imposta evasa, vengono applicati gli interessi legali per il ritardato versamento, calcolati giorno per giorno dall’epoca in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata (16 giugno dell’anno successivo, di regola) fino alla data di notifica dell’accertamento (o della cartella). Il saggio di interesse legale è variato di anno in anno: per dare un’idea, era dello 0.05% annuo nel 2020, 1.25% nel 2022, salito al 5% nel 2023 e ridotto al 2.5% nel 2024 e al 2% nel 2025 . Gli interessi di mora su avvisi esecutivi/cartelle possono essere leggermente diversi (determinati da Agenzia Riscossione), ma parliamo comunque di pochi punti percentuali annui. Dunque l’onere degli interessi, pur non trascurabile (soprattutto dopo vari anni), è di gran lunga inferiore a quello delle sanzioni, che ora esaminiamo.
Sanzioni tributarie per omessa dichiarazione di subaffitti
Le sanzioni amministrative per violazioni fiscali in materia di redditi da locazione sono stabilite dal D.Lgs. 471/1997 (riformato dal D.Lgs. 158/2015). Esse distinguono tra due fattispecie principali: omessa dichiarazione e dichiarazione infedele. Inoltre, esistono sanzioni per l’omessa registrazione del contratto (imposta di registro evasa). Nel caso di subaffitti in nero, spesso ricorrono entrambe (contratto non registrato e reddito non dichiarato). Di seguito una tabella riassuntiva delle sanzioni base (edittali) previste, con le particolarità per immobili abitativi:
Violazione fiscale | Sanzione amministrativa (edittale) | Normativa |
---|---|---|
Omessa indicazione del canone di locazione/subaffitto nella dichiarazione dei redditi (affitto in nero non dichiarato del tutto) | Dal 60% al 120% dell’imposta evasa, minimo €200 . Se trattasi di immobile ad uso abitativo, la sanzione è raddoppiata: quindi dal 120% al 240% . | Art. 1, c.1 e 2, D.Lgs. 471/97; raddoppio per immobili abitativi ex L. 311/2004 art.1 c.344 |
Dichiarazione infedele: canone dichiarato in misura inferiore a quello effettivo percepito (es. contratto registrato a canone più basso, differenza in nero) | Dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (range ridotto a 90-120% per lievi infrazioni). Anche qui, se immobile abitativo, sanzione raddoppiata: 180% – 360% della differenza. | Art. 1, c.2, D.Lgs. 471/97; L. 311/2004 art.1 c.344 |
Omessa registrazione di contratto di sublocazione (imposta di registro evasa) | 120% – 240% dell’imposta di registro dovuta, con minimo €200 . Se il contratto è registrato con ritardo (ravvedimento), sanzione ridotta proporzionalmente al ritardo (ad es. 15% se entro 90 gg). Proprietario e inquilino sublocatore sono responsabili in solido per questa sanzione . | Art. 69 DPR 131/1986 (Testo Unico Registro); Circolare AdE 26/E/2011 (solidarietà conduttore) |
Come si nota, le sanzioni “piene” sono draconiane: omettere di dichiarare un affitto può comportare, per legge, un multa pari a oltre due volte l’imposta evasa (240%). Ad esempio, se Caio non dichiara €5.000 di reddito da subaffitto che avrebbero comportato €1.150 di IRPEF, la sanzione edittale può arrivare a €2.760 (240%). In pratica però, queste sanzioni possono essere attenuate sfruttando gli strumenti deflattivi (ravvedimento, adesione) o facendo valere eventuali esimenti. Vediamo i punti chiave:
- Cumulo e riduzioni: Se un contribuente incorre contemporaneamente in più violazioni (es. omessa dichiarazione + omessa registrazione), le sanzioni si sommano. Tuttavia, l’ordinamento prevede la possibilità di definizione agevolata delle sanzioni tramite ravvedimento operoso (con riduzioni dal 1/10 al 1/6 del minimo, a seconda del tempo trascorso) di cui diremo in seguito. In sede di adesione o conciliazione giudiziale, le sanzioni vengono ridotte rispettivamente a 1/3 e 1/2 di quelle minime.
- Solidarietà del conduttore: come indicato in tabella, per la mancata registrazione sia il locatore che il conduttore sono considerati responsabili e sanzionabili in solido . Ciò significa che se Tizio proprietario e Caio inquilino concordano un affitto in nero, entrambe le parti possono ricevere sanzioni dall’Ufficio per l’imposta di registro evasa. Questa previsione mira a incentivare l’inquilino a esigere la registrazione; nella pratica, comunque, l’Agenzia tende a perseguire principalmente il locatore, essendo colui che detiene il bene.
- Sanzioni accessorie: in ambito tributario possono scattare anche sanzioni accessorie, come la pubblicazione del provvedimento o l’interdizione da benefici fiscali. Tali misure si applicano però solo in casi di violazioni gravi e reiterate. Per un singolo subaffitto in nero, di solito non entrano in gioco.
- Nullità del contratto e conseguenze civilistiche: anche se esula dal campo fiscale, va ricordato che un contratto di locazione non registrato è considerato nullo dalla legge. Ciò comporta che il locatore non può avvalersi della procedura di sfratto in caso di morosità dell’inquilino, né può ottenere decreti ingiuntivi per canoni non pagati . Inoltre, se la mancata registrazione è dipesa dal solo locatore, l’inquilino può addirittura chiedere la restituzione di tutti i canoni versati (principio affermato dalla Cassazione prima della parziale modifica normativa) . Insomma, l’affitto in nero è un boomerang: il proprietario/sublocatore rischia di perdere legalmente tutti i diritti sul contratto. E, paradossalmente, pur perdendo tali diritti civilistici, deve comunque pagare le tasse sui canoni eventualmente percepiti, essendo irrilevante ai fini IRPEF la nullità civile del contratto (quel che conta è l’aver conseguito un reddito di fatto). La Cassazione ha più volte ribadito che “la tassazione del reddito locativo è collegata alla mera maturazione del diritto di percezione di un reddito”, anche se poi civilmente quel diritto non fosse azionabile . Dunque, chi affitta in nero pagherà il fio due volte: al Fisco e, potenzialmente, anche all’inquilino.
Profili penali: quando il subaffitto in nero diventa reato
L’evasione fiscale sui redditi da locazione può assumere rilevanza penale ai sensi del D.Lgs. 74/2000, qualora superi determinate soglie quantitative. Non esiste uno specifico reato per “affitto in nero”; si applicano le fattispecie generali di dichiarazione infedele (art.4) o omessa dichiarazione (art.5), a seconda dei casi:
- Dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000): scatta se il contribuente, pur presentando la dichiarazione, occulta redditi per un importo rilevante. I requisiti attuali (dopo riforme 2015-2019) sono: imposta evasa > €100.000 e ammontare degli elementi attivi sottratti a tassazione > 10% del totale dichiarato oppure > €2.000.000. Se ad esempio un proprietario dichiara €20.000 di redditi ma ne ha occultati €30.000 da affitti in nero, l’imposta evasa potrebbe superare 100k? Probabilmente no (se fossero tutti cedolare 21% sarebbero €6.300 evasi, sotto soglia; se IRPEF, dipende dagli scaglioni). In genere, un singolo subaffitto difficilmente muove cifre da reato, ma non è impossibile: pensiamo a chi affitta in nero 10 case per €150.000 l’anno, evadendo 30-40mila € di imposte l’anno per più anni. La pena per dichiarazione infedele è la reclusione da 2 a 4 anni (nel 2020 è stata alzata).
- Omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs.74/2000): scatta se non si presenta affatto la dichiarazione pur dovendolo fare, con imposta evasa > €50.000. Ad esempio, un sublocatore che nel 2024 incassa €60.000 da subaffitti brevi e non presenta la dichiarazione dei redditi configurerebbe questo reato (50k di imposta evasa si raggiungono solo se reddito evaso molto alto o aliquote alte, ma con 60k evasi e aliquota media ~30% si arriva intorno a 18k di imposta, quindi non supererebbe 50k; tuttavia se quell’importo fosse reddito fondiario di un proprietario con altre entrate, la somma potrebbe eccedere 50k imposta). La pena per omessa dichiarazione è più grave: reclusione da 2 a 5 anni.
Da quanto sopra, si evince che nei casi “normali” di subaffitti non dichiarati le soglie penali difficilmente vengono raggiunte (si parla di decine di migliaia di euro di imposta evasa). Ciò non toglie che, qualora si configuri un’attività organizzata di locazioni in nero di ampio importo, il rischio penale diventi concreto. Inoltre, indipendentemente dal penale, l’Ufficio potrà segnalare le violazioni all’Autorità giudiziaria se emergono altri illeciti (es. riciclaggio di proventi derivanti dagli affitti in nero, o reati edilizi connessi agli immobili affittati abusivamente, ecc.).
Esempio: la Procura di una città d’arte ha perseguito alcuni proprietari per illecito profitto aggravato ai danni dello Stato, contestando loro di aver affittato stabilmente a turisti senza dichiarare nulla: pur non rientrando strettamente nel reato tributario (imposta evasa sotto soglia), sono state contestate altre ipotesi come false attestazioni e reati urbanistici (se gli immobili erano destinati a uso abitativo ma di fatto gestiti come struttura ricettiva senza autorizzazioni). Si tratta comunque di situazioni estreme. Per il singolo contribuente medio, l’affitto in nero resta un illecito amministrativo tributario, con conseguenze economiche serie ma non la galera.
Termini di accertamento e decorrenze
Un aspetto di primaria importanza è capire fino a quanti anni indietro il Fisco può contestare i redditi da subaffitto non dichiarati. I termini di accertamento sono stati modificati dalla Legge di Stabilità 2016 e, da ultimo, dal D.Lgs. 128/2021 sulla riforma della giustizia tributaria. In generale, oggi abbiamo:
- Dichiarazione presentata (anche infedele): l’accertamento va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione. Esempio: reddito 2020 dichiarato (parzialmente) nel 2021 → termine accertamento 31/12/2026.
- Dichiarazione omessa: se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione dei redditi per quell’anno, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione sarebbe dovuta. Esempio: reddito 2020 non dichiarato e niente dichiarazione 2021 → termine accertamento 31/12/2028.
- Raddoppio dei termini: attenzione, se la violazione comporta obbligo di denuncia penale (superate soglie di reato), i termini raddoppiano (diventando 10 anni per dichiarazione infedele e 8 per omessa). Nel caso dei subaffitti, come visto, il penale è raro, ma se succede l’orizzonte temporale si allunga di molto.
Questi termini valgono per IRPEF. Per l’imposta di registro evasa, il termine è diverso (normalmente 5 anni dall’anno in cui andava richiesta la registrazione, raddoppiati a 10 in caso di omessa richiesta di registrazione). Dato che l’imposta di registro su locazioni e sublocazioni è autoliquidata dalle parti (non c’è dichiarazione dei redditi coinvolta), i termini di accertamento decorrono dalla violazione stessa. Ad esempio, un contratto di subaffitto non registrato nel 2020 può essere contestato fino al 31/12/2025 per la sola imposta di registro (o 31/12/2030 se si applica il raddoppio dei termini introdotto nel 2011 per omessa registrazione). Di solito però, nei controlli sugli affitti in nero, l’Agenzia notifica un unico atto che cumula il maggior IRPEF + sanzioni e la sanzione imposta di registro, e lo fa rispettando il termine più lungo disponibile (spesso quello IRPEF, che come visto è 5 o 7 anni).
Riassumendo: il Fisco può accertare subaffitti non dichiarati per diversi anni addietro, in genere fino a 5 anni (dich. infedele) o 7 anni (dich. omessa). Chi ha affittato in nero un immobile nel 2018 e non l’ha mai dichiarato potrebbe ancora ricevere un avviso fino a fine 2025 (dichiarazione infedele, 5 anni dal 2020) o fine 2026 (omessa dichiarazione, 7 anni). Conviene dunque, se si è in difetto, non confidare troppo nel tempo passato, ma piuttosto valutare di sanare con ravvedimento prima che arrivi un controllo.
Strategie di difesa del contribuente: come reagire e tutelarsi
Passiamo ora al punto cruciale: cosa può fare concretamente chi si trova oggetto di un accertamento per subaffitti non dichiarati, o ha ricevuto una contestazione, per difendersi e tutelare i propri diritti. La difesa può articolarsi in diverse fasi e strumenti, a seconda dello stadio del procedimento e della fondatezza o meno della pretesa fiscale. In questa sezione esamineremo:
- I rimedi preventivi e deflattivi (prima e subito dopo l’avviso di accertamento): ravvedimento operoso, procedura di autotutela, accertamento con adesione, ecc., che possono evitare o ridurre il contenzioso.
- La difesa nel merito: come contestare un accertamento infondato o eccessivo, quali argomentazioni utilizzare e quali prove produrre a proprio favore.
- Gli strumenti del contenzioso tributario: il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie) e le fasi successive (appello, Cassazione), con focus sulle peculiarità dei casi di affitti non dichiarati.
- Alcuni schemi esemplificativi: modelli di istanza di autotutela, di memorie difensive e di ricorso, utili come traccia.
Prima di addentrarci, un principio generale: non esiste una difesa valida in assoluto per tutti i casi. Bisogna valutare caso per caso la strategia migliore, magari con l’ausilio di un professionista. A volte conviene riconoscere l’errore e transare, altre volte è opportuno fare opposizione ferma su questioni di diritto. Vediamo le opzioni in ordine logico.
Ravvedimento operoso: regolarizzare spontaneamente conviene
Il ravvedimento operoso è lo strumento che consente al contribuente di sanare spontaneamente una violazione fiscale commessa, beneficiando di sanzioni ridotte (art. 13 D.Lgs. 472/97). Può essere applicato anche dopo aver ricevuto una lettera di compliance (finché non viene formalizzato un atto impositivo) e, in certi limiti, perfino dopo un avviso di accertamento (ravvedimento parziale su parti non contestate, se l’avviso riguarda altro). Nel contesto dei subaffitti non dichiarati, il ravvedimento è particolarmente vantaggioso se si riesce ad attuarlo prima che l’Agenzia contesti ufficialmente la violazione.
Le riduzioni di sanzione dipendono dal tempo trascorso dalla violazione. Per semplicità, ci focalizziamo su due scenari tipici:
- Ravvedimento entro i termini di presentazione della dichiarazione successiva (violazione “non ancora scoperta” nell’anno seguente): se ad esempio nel 2024 ci si accorge di non aver dichiarato un affitto percepito nel 2023, si può presentare una dichiarazione integrativa 2023 e pagare imposta + interessi + sanzione infedele ridotta a 1/8. Per infedele (90% base) ciò equivale a 11,25% dell’imposta evasa . Se invece non si era proprio presentata dichiarazione (omessa), integrandola entro 1 anno si applica la sanzione dimezzata del 60-120% (come infedele) e su quella poi si ravvede. In pratica, chi regolarizza entro un anno dall’omissione paga circa il 5% dell’imposta evasa come sanzione (1/8 di 60%) .
- Ravvedimento tardivo, dopo lettera compliance o comunque oltre 1-2 anni: la legge prevede 1/7 o 1/6 del minimo a seconda dei casi. Attualmente (dopo 1/9/2024), sanare una dichiarazione omessa o infedele dopo oltre un anno comporta sanzione ridotta a 1/6 del minimo . Nel caso di infedele (min 90%), 1/6 equivale al 15% dell’imposta evasa. Per omessa, il calcolo è un po’ più complesso perché il minimo è 120% (abitativo raddoppiato 240%): l’Agenzia comunque consente di ravvedere le omesse oltre l’anno con 1/6 del 120%, ossia 20% imposta (a rigore l’omessa oltre l’anno non sarebbe ravvedibile, ma vige prassi di accettare la dichiarazione tardiva con 1/6) .
In sostanza, tramite ravvedimento, si paga una sanzione tra il 5% e il 20% circa, invece che 90%–240%. Un enorme risparmio . Va da sé che bisogna versare integralmente anche l’imposta evasa e gli interessi maturati, altrimenti il ravvedimento non si perfeziona .
Esempio pratico: Marco nel 2021 ha incassato €10.000 affittando via Airbnb una casa al mare, senza dichiararli nel 2022. Nel 2024 riceve lettera di compliance. Se ravvede ora il 2021, paga circa €2.300 di imposte più €150 interessi e una sanzione ridotta a 15% = €345, totale sui €2.795. Se avesse ignorato la lettera e subìto accertamento, avrebbe rischiato €2.300 imposta + €2.070 sanzione 90% + interessi + eventuale sanzione registro, quindi ben oltre €4.500. Il ravvedimento gli ha fatto risparmiare migliaia di euro e ogni grattacapo .
Limiti del ravvedimento: non è più ammesso se l’Agenzia ha già notificato un atto di liquidazione o accertamento relativamente a quella violazione. Quindi, se vi arriva un avviso di accertamento per redditi non dichiarati, è tardi per ravvedersi su quelli (ci si potrà semmai avvalere dell’adesione per ridurre le sanzioni, ma non delle percentuali microscopiche del ravvedimento). Invece la ricezione della semplice lettera bonaria non preclude il ravvedimento – anzi è proprio l’invito a farlo.
Conclusione: Se effettivamente avete subaffittato senza dichiarare e non avete motivi validi per contestare la pretesa, ravvedersi subito è la strategia migliore. Pagando spontaneamente il dovuto con sanzione ridotta, eviterete l’accertamento con sanzioni piene e interessi ulteriori. Nel capitolo successivo affronteremo i casi in cui invece il contribuente ritenga infondata (in tutto o in parte) la contestazione del Fisco: lì entrano in gioco autotutela e contenzioso.
Contestare l’accertamento: chiarimenti informali e istanza di autotutela
Poniamo ora il caso in cui il contribuente non sia d’accordo con la contestazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate. Ad esempio, si riceve una lettera in cui il Fisco presume redditi da affitto non dichiarati, ma si ritiene di aver ragione (magari perché quei redditi non erano imponibili, o perché c’è un errore di persona, o perché si è già pagato tutto il dovuto). In tali situazioni, il primo passo è spesso fornire chiarimenti all’Ufficio ed eventualmente presentare una istanza di autotutela.
Autotutela – È il potere/dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando risultino palesemente illegittimi o errati. Nel contesto fiscale, si concretizza con una richiesta scritta (istanza) che il contribuente rivolge all’ufficio che ha emesso (o sta per emettere) l’atto, esponendo i motivi per cui questo sarebbe sbagliato e chiedendone l’annullamento totale o parziale. L’autotutela non è un ricorso: è un procedimento amministrativo facoltativo e discrezionale dell’Agenzia. Ciò significa che presentare un’istanza non sospende né allunga i termini per l’eventuale ricorso in Commissione Tributaria, e l’Ufficio non è obbligato ad accogliere la richiesta (può anche non rispondere affatto). Tuttavia, in molti casi l’autotutela risolve problemi evidenti senza dover andare in giudizio.
Quando usarla: l’istanza di autotutela è indicata soprattutto se l’atto fiscale contiene errori manifesti o documentabili. Esempi: un avviso di accertamento per subaffitti riferito a un soggetto che non c’entra (scambio di persona o omonimia); oppure un conteggio doppiamente errato (come nel caso CTP Milano 2019, in cui l’Ufficio aveva sbagliato il calcolo del reddito imponibile, errore poi riconosciuto ); oppure ancora se avete elementi incontrovertibili che l’Agenzia non ha considerato (es. la sublocazione riguardava un familiare convivente e quindi non c’era corrispettivo: a volte coabitazioni tra parenti vengono scambiate per affitti). Anche situazioni borderline – come canoni non riscossi – possono essere chiarite: per i proprietari c’è una norma che esenta da IRPEF i canoni non percepiti a seguito di sfratto per morosità, ma per i sublocatori il reddito è per cassa quindi se non incassato non andava dichiarato. Bisogna però provarlo. Un’istanza di autotutela ben motivata, con documenti allegati (es: decreti ingiuntivi per morosità, dichiarazioni del proprietario che confermano l’uso gratuito a parenti, ecc.), può convincere l’ufficio a fare marcia indietro o almeno a sgravare in parte l’atto.
Come strutturare l’istanza: va indirizzata all’ufficio locale dell’Agenzia che ha emesso l’atto (o che ha inviato la lettera). Deve indicare i riferimenti dell’atto (numero protocollo, data) e il contribuente interessato, quindi elencare in modo chiaro i motivi dell’errore. È utile citare norme o circolari a sostegno (ad esempio: “il reddito X non andava tassato perché esente ai sensi di …, come da documentazione allegata…”). Occorre allegare copia dei documenti rilevanti. L’istanza va firmata e presentata preferibilmente via PEC (alla Direzione Provinciale) o tramite protocollo all’ufficio. Non c’è un termine per presentarla, ma se siamo in pendenza di un termine di ricorso, meglio inviarla entro quel termine e, se l’Agenzia non annulla tutto, fare comunque ricorso per sicurezza.
Di seguito proponiamo un fac-simile di istanza di autotutela ad uso del contribuente che voglia contestare un accertamento per subaffitti non dichiarati:
Fac-simile Istanza di Autotutela – Esempio
(da adattare al caso concreto, eliminando le parti non pertinenti)
Destinatario: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di [___]
Ufficio/Area [___] – Settore Controlli
Via [___], [CAP] [Città]
Oggetto: Istanza di autotutela – Avviso di accertamento n. [___] notificato il [data], Anno d’imposta [____] – Contribuente [Nome Cognome, CF [___]].
Il sottoscritto [Nome Cognome], cod.fisc. [___], residente in [___], in riferimento all’avviso di accertamento indicato in oggetto, espone quanto segue ai fini di un’annullamento/riforma in autotutela dell’atto:
– **Sintesi dell’atto impugnato:** L’avviso contesta al sottoscritto presunti redditi da sublocazione non dichiarati per l’anno [____], quantificando un maggiore imponibile di €[___] e maggiori imposte IRPEF di €[___], oltre sanzioni e interessi. In particolare, viene ricostruito un canone di locazione non dichiarato relativo all’immobile sito in [___], per un importo mensile di €[___] (totale annuo €[___]).
– **Motivi dell’istanza (errori di fatto o di diritto):** Si ritiene che l’accertamento sia viziato per le seguenti ragioni:
1. **Erronea identificazione del contribuente:** l’immobile di [indirizzo] non è mai stato subaffittato dal sottoscritto. Difatti, come da documenti allegati (contratto di comodato gratuito registrato il [data], v. All.1), l’unità in questione era concessa in uso gratuito a [parente], situazione confusa dall’Ufficio come se fosse locazione reddituale. Non vi è stato alcun reddito imponibile.
2. **Reddito già dichiarato altrove:** in realtà il canone in oggetto è stato regolarmente dichiarato dal proprietario [Nome proprietario] nel suo 730 (All.2 copia Quadro B del proprietario), in quanto derivante dal suo contratto di locazione. Il sottoscritto non era sublocatore bensì semplice occupante senza corrispettivo. Si è quindi tassato in capo al soggetto corretto.
3. **Errore di calcolo:** l’Ufficio ha applicato indebitamente la tassazione sul 100% del canone (€[___]) senza considerare l’art. 71 TUIR comma 2. Anche volendo configurare un reddito diverso da sublocazione, andrebbe tassata solo la differenza tra canone attivo e canone passivo. Nel caso di specie, il sottoscritto versava al proprietario €[___]/mese, per cui l’eventuale reddito imponibile sarebbe al più €[___] e non €[___] (All.3 ricevute di pagamento al proprietario).
4. **Canoni non percepiti:** si evidenzia che, come da causa civile pendente (All.4 citazione), il subconduttore non ha in realtà versato 3 mensilità (ott-dic), pertanto il reddito effettivamente percepito è inferiore a quanto calcolato.
*(Altri motivi, ad es. sanzioni improprie, ecc.)*
– **Richiesta:** Alla luce di quanto sopra esposto e documentato, **si chiede l’annullamento in autotutela** dell’avviso di accertamento n. [___] oppure, in subordine, la sua rettifica con riduzione di imponibile e sanzioni, per i motivi di merito e di calcolo illustrati. Si rimane a disposizione per eventuali chiarimenti o incontri.
Luogo, data: [___]
Firma: [Firma del contribuente]
Allegati: Documenti n. 1-4 come citati nel testo.
(Fine fac-simile)
L’esempio sopra copre vari possibili motivi. Nella realtà, l’istanza dovrebbe essere più concisa e mirata ai soli errori effettivamente occorsi. È importante allegare sempre le prove a supporto: l’autotutela si vince mostrando subito all’Ufficio le evidenze che magari non aveva al momento dell’accertamento.
Esito dell’autotutela: se l’errore è palese, l’Agenzia annullerà o correggerà l’atto (emettendo un provvedimento motivato di sgravio). Se non risponde entro un tempo ragionevole, oppure rigetta l’istanza, l’unica via per evitare che l’atto diventi definitivo è presentare ricorso tributario entro i termini (60 giorni dalla notifica dell’avviso). Spesso l’autotutela viene esaminata durante l’eventuale successiva fase di mediazione/adesione: può capitare che in sede di adesione l’Ufficio riconosca alcuni errori e li rettifichi (di fatto accogliendo parzialmente le ragioni in autotutela).
Fase pre-contenziosa: accertamento con adesione e mediazione
Se l’avviso di accertamento è fondato (in tutto o in parte) e non si è riusciti a farlo annullare in autotutela, il contribuente ha ancora strumenti per evitare il giudizio trovando un accordo con l’Amministrazione. I principali sono:
- Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è una procedura che consente al contribuente di negoziare con l’ufficio il contenuto dell’accertamento, arrivando eventualmente a un concordato. Si avvia su iniziativa del contribuente, presentando istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (termine ricorso). L’istanza blocca la decorrenza del termine di impugnazione per 90 giorni. Segue un invito al contraddittorio: si tiene un incontro (anche telematico) in cui si discutono i punti contestati e si può proporre un accordo. Se si trova l’accordo, viene formalizzato con atto di adesione: il contribuente rinuncia al ricorso e paga quanto concordato, con sanzioni ridotte a 1/3 di quelle minime previste . Ad esempio, se l’ufficio concorda un’imposta evasa di €1.000, la sanzione minima omessa sarebbe 120% = €1.200, ridotta a 1/3 = €400. In più si pagano gli interessi. L’adesione conviene se si riconosce la sostanza della pretesa ma si vuole ottenere uno sconto sulle sanzioni e magari limare un po’ l’imponibile. Nel caso di affitti in nero, spesso l’adesione viene usata per rideterminare al ribasso il reddito presunto: ad esempio, il Fisco calcolava €10.000 non dichiarati basandosi su evidenze incerte, il contribuente mostra che realisticamente erano €7.000; ci si accorda nel mezzo, €8.000, con sanzione ridotta. Oppure, se c’è di mezzo cedolare non applicata, si può tentare di far accordare l’ufficio sull’applicazione di cedolare (21%) in luogo dell’IRPEF, in cambio magari di qualche rinuncia. Ogni trattativa è a sé. Se non si raggiunge accordo, verrà emesso un atto di adesione negativo e i 60 giorni per ricorrere ripartono (dall’esito o dai 90 gg).
- Mediazione/reclamo (D.Lgs. 546/92 art.17-bis): per gli atti di valore non superiore a €50.000, prima di andare in giudizio è obbligatoria una fase di mediazione. In sostanza, il contribuente predispone il ricorso tributario ma lo notifica non in Commissione bensì alla Direzione provinciale, formulando una proposta di acquiescenza parziale (di solito chiede l’annullamento totale, ma è considerato comunque reclamo). L’ufficio ha 90 giorni per rispondere. Se accoglie in parte, formalizza un accordo di mediazione con riduzione delle sanzioni del 35% rispetto al minimo (equivalente a 2/3, diverso dall’adesione che è 1/3) e chiusura della lite. Spesso la mediazione si traduce in uno sconto sulle sanzioni o sulla base, se l’ufficio riconosce qualche margine di incertezza. Se trascorrono 90 giorni senza accordo, il reclamo si considera respinto e l’atto introduttivo vale come ricorso depositato in Commissione. Nei casi di subaffitti in nero, essendo importi spesso modesti, la gran parte dei ricorsi rientra in questa soglia <50k, quindi la mediazione è un passaggio obbligato e utile per tentare un accordo. Ad esempio, il contribuente potrebbe in mediazione offrire di pagare le imposte ma chiedere la cancellazione totale delle sanzioni (l’ufficio difficilmente toglierà tutto, ma magari riduce a metà del minimo).
Confronto adesione vs mediazione: L’adesione può essere attivata su qualsiasi importo e prima del ricorso; ha sanzione 1/3 e coinvolge direttamente i verificatori. La mediazione è per importi piccoli, attivata contestualmente al ricorso; ha sanzione 2/3 (quindi meno vantaggiosa sul piano sanzionatorio). Nulla vieta di tentare prima l’adesione e, se fallisce, procedere con il reclamo/mediazione in fase di ricorso. In pratica, per un subaffitto non dichiarato con avviso di €10.000 imposte e €15.000 sanzioni, conviene: presentare istanza di adesione (60gg), se va male entro 30gg dal diniego fare ricorso con mediazione. Durante la mediazione magari l’ufficio, già avendo trattato, propone un compromesso.
Ecco una tabella di sintesi degli strumenti deflattivi e delle loro caratteristiche:
Strumento | Quando usarlo | Vantaggi | Sanzioni | Note |
---|---|---|---|---|
Ravvedimento operoso | Prima di accertamento (o dopo lettera anomalia). | Niente contenzioso, si paga spontaneamente il dovuto con sanzioni minimali. | 1/10 – 1/6 del minimo (circa 1%–15% imposta) | Ammesso finché non c’è atto formale. Richiede liquidità immediata per pagare tutto. |
Autotutela (istanza) | Dopo lettera o avviso, se errore evidente. | Possibile annullamento totale/rapido dell’atto senza causa. | N/D (si punta ad annullare) | Non sospende termini per ricorrere. Discrezionale: se motivi non chiarissimi, l’Ufficio può ignorarla. |
Accertamento con adesione | Dopo avviso (entro 60gg). Valido su ogni importo. | Contraddittorio col Fisco, si può ridurre imponibile e ottenere sanzioni ridotte a 1/3 . Evita costi giudizio. | 1/3 del minimo (es. 30% imposta se infedele) | Sospende termini ricorso 90gg. Se fallisce, si torna al percorso normale. |
Reclamo-mediazione | Contestualmente al ricorso, se valore ≤ €50k. | Ufficio può accogliere parzialmente ed evitare giudizio; sanzioni ridotte 1/2 (se concilia in giudizio) o 35% di riduzione dal minimo (norma mediazione) | ~2/3 del minimo (mediamente) | Obbligatoria <50k. Anche qui si discute ma spesso l’ufficio diverso (legale) rispetto a chi ha accertato. |
Acquiescenza (pagamento con riduzione) | Entro 60gg dalla notifica dell’avviso. | Riduzione del 1/3 sulle sanzioni irrogate (pagando tutto e rinunciando al ricorso). | Sanzioni irrogate ridotte a 2/3. | Utile se l’atto è corretto e sanzioni già basse o ravvedibili. Attenzione: se sanzioni già al minimo, riduzione 1/3 porta a pagare 2/3 del minimo. |
Nella pratica, ravvedimento è opzione ideale se si è colpevoli e ancora in tempo; adesione/mediazione servono se c’è margine di trattativa e si vuole evitare il tribunale; acquiescenza (non l’abbiamo prima citata: consiste nel pagare subito l’accertamento con sanzioni ridotte a 2/3) conviene raramente, perché il ravvedimento di solito offre sconti maggiori, ma è una via d’uscita se ad esempio l’Ufficio ha già messo sanzioni minime per riconosciute attenuanti e non si vuole litigare.
Difendersi in giudizio: il ricorso al giudice tributario
Se non si trova un accordo in via amministrativa, resta la strada del ricorso giurisdizionale davanti alle Corti di Giustizia Tributaria (CGT, nuove denominazioni delle Commissioni Tributarie dal 2022). Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o entro 30 giorni dalla conclusione del tentativo di mediazione, se obbligatorio), secondo le formalità previste dal D.Lgs. 546/1992. Poiché questa guida si rivolge anche a un pubblico di avvocati e professionisti, tratteremo i punti salienti del contenzioso in materia di affitti in nero.
Giurisdizione e competenza: le controversie su avvisi di accertamento IRPEF e imposta di registro sono di competenza delle Corti di Giustizia Tributaria di primo grado (provinciali) – sezione territorialmente competente per il domicilio fiscale del contribuente. Dal 16/9/2022, i giudici tributari sono magistrati professionali e onorari; cambiano i nomi (CGT) ma le regole di procedura restano simili.
Atto introduttivo: Il ricorso deve contenere i dati del ricorrente e dell’atto impugnato, i motivi per cui si chiede l’annullamento/riforma dell’atto, l’indicazione delle prove di cui si chiede l’ammissione e la formulazione di precise conclusioni (domanda al giudice). Va anche indicato il valore della lite (di solito imposte + sanzioni) e allegata copia dell’atto impugnato. Il ricorso, sottoscritto dal contribuente e dal difensore abilitato (se necessario), va notificato all’Agenzia delle Entrate (a mezzo PEC o raccomandata) entro i 60 giorni. Entro 30 giorni dalla notifica va poi depositato (sempre via PEC sul SIAT, sistema telematico di giustizia tributaria, oppure via posta se non si usa telematico) presso la segreteria della CGT competente, insieme alla ricevuta di avvenuta notifica e al pagamento del contributo unificato (che per valori fino a €50k è di €30-€120).
Assistenza tecnica: è obbligatoria se il valore della lite supera €3.000 (somma di imposte e sanzioni) – limite che è facile da superare. Possono assistere e rappresentare il contribuente non solo avvocati, ma anche commercialisti, consulenti del lavoro e altre categorie abilitate. Per i subaffitti in nero, spesso l’aspetto fiscale si intreccia a questioni civilistiche, dunque la figura dell’avvocato tributarista è l’ideale. Se il valore è modesto (<3k), il contribuente può stare in giudizio da sé, ma visti i tecnicismi è comunque consigliato farsi assistere.
Svolgimento del giudizio: una volta depositato il ricorso, l’Agenzia costituita si difende con controdeduzioni scritte. Eventualmente il contribuente può depositare memorie di replica e documenti aggiuntivi entro i termini di rito (rispettivamente 30 e 20 gg prima dell’udienza). La causa viene decisa di norma in camera di consiglio (senza pubblica udienza) salvo richiesta di parte di pubblica udienza. In caso di subaffitti, spesso le questioni sono in fatto (esistenza o meno del rapporto locatizio, entità dei canoni) e in diritto (qualificazione reddito, applicabilità cedolare, ecc.): il giudice valuterà gli elementi probatori e la normativa.
Prove ammissibili: nel processo tributario vige il principio di libertà dei mezzi di prova, tranne il giuramento e la testimonianza orale che sono vietati (art. 7 D.Lgs.546/92). Ciò significa che non potete portare testimoni a deporre sulla locazione in nero. Tuttavia, potete produrre dichiarazioni sostitutive scritte di terzi (es. una dichiarazione firmata dell’inquilino che conferma “pagavo X al mese a titolo di rimborso spese, non era affitto”): queste hanno valore indiziario , ossia il giudice può valutarle ma non sono prova piena. Potete anche chiedere CTU (consulenza tecnica) se servisse per calcoli, ma di rado in casi così. In pratica le prove chiave saranno documentali: e-mail, contratti, ricevute, denunce, visure, fotografie, qualsiasi cosa attestante la situazione reale.
Linee difensive tipiche: a seconda del caso, alcune possibili argomentazioni difensive nel merito degli affitti non dichiarati includono: – Negare l’esistenza di un rapporto di sublocazione tassabile: ad es. sostenere che l’importo incassato non era un canone di affitto ma un contributo spese (se ci sono elementi per dirlo), oppure che l’occupante era un ospite a titolo gratuito. Naturalmente, serve coerenza con i fatti: se c’erano annunci online e pagamenti periodici, difficile sostenere la gratuità. – Contestare la quantificazione del reddito: il Fisco spesso usa presunzioni (consumi, tariffe medie, dichiarazioni terzi). Il contribuente può portare evidenze contrarie: es. bollettini di conto che mostrano incassi minori, o calendario che dimostra che l’immobile era occupato da familiari metà dell’anno. Se l’Agenzia ha ipotizzato un affitto mensile, ma in realtà era affittato solo 3 mesi estivi, va dimostrato. – Rivendicare la deducibilità dei costi: se l’accertamento ha tassato l’intero importo percepito senza dedurre il canone pagato al proprietario, far leva sull’art.71 TUIR e su circolari (come la Guida AdE sugli affitti brevi) che confermano che nel caso di sublocazione va tassato il netto . Questo può ridurre sensibilmente la pretesa. – Eccepire la decadenza dei termini: se l’accertamento arriva fuori tempo massimo (es. oltre il 5° anno se dich. infedele e non rientra in raddoppio), è motivo di annullamento totale. Attenzione però a eventuali sospensioni (la pandemia Covid ad esempio ha prorogato di alcuni mesi i termini 2020-21). – Questioni procedurali: verificare se l’avviso è motivatamente carente (es. non indica sufficientemente i presupposti, magari cita “dati Airbnb” senza allegarli: Cassazione richiede che elementi essenziali siano comunicati o già noti al contribuente). Oppure se manca la firma del capo ufficio o delega valida. Sono aspetti tecnici che il difensore scruta sempre. – Cedolare secca postuma: è un tema dibattuto. La cedolare secca va esercitata nella dichiarazione dei redditi. Se uno non ha proprio dichiarato, formalmente non l’ha esercitata, e l’Agenzia tende a negarla in accertamento (applica IRPEF + addiz.). Tuttavia, la giurisprudenza recente ha aperto all’idea che se il contribuente possedeva i requisiti, possa in sede contenziosa chiedere l’applicazione della cedolare per equità (ci sono state pronunce in materia di cedolare al 10% per canone concordato non indicata, poi ammessa). Non è garantito, ma vale la pena tentare: ad esempio, il sublocatore in nero di affitti brevi potrebbe chiedere al giudice di limitare l’imposta al 21% invece che al 43%. Alcuni CTP hanno accolto, altri no. In Cassazione non c’è ancora uniformità, ma è un argomento di difesa. – Buona fede e riduzione sanzioni: se proprio il fatto c’è, si può puntare a ridurre le sanzioni invocando l’art. 7 D.Lgs. 472/97 (circostanze attenuanti, ad esempio il contribuente era convinto che trattandosi di rimborso spese tra coinquilini non fosse reddito; oppure ha tenuto un comportamento collaborativo appena avvisato). Il giudice tributario può ridurre le sanzioni se le reputa manifestamente sproporzionate (principio di proporzionalità, art. 6 CEDU recepito). Ad esempio, ci sono decisioni che hanno ridotto la sanzione dal 200% al 50% in casi limite. Questo però è a discrezione del giudice.
Memorie difensive – Durante sia la fase amministrativa (es. dopo un PVC, entro 60 gg) sia quella giudiziale (entro termini pre-udienza) il contribuente può presentare memorie difensive per argomentare la propria posizione. Si chiamano “osservazioni e richieste” se in sede amministrativa (Statuto Contribuente art.12, c.7 garantisce 60 giorni per memorie dopo PVC) e servono a convincere l’ufficio a non emettere avviso o a modificarlo. In un caso di verifica su affitti in nero, ad esempio, se la Guardia di Finanza redige un verbale segnalando affitti non dichiarati, il contribuente ha 60 giorni per inviare le proprie memorie all’Ufficio imponibile. È essenziale sfruttare questa opportunità per portare elementi a discarico prima che l’atto nasca. Spesso, buone memorie difensive possono evitare l’accertamento o ridurlo. Anche nel processo, le memorie integrative servono a ribadire o replicare a quanto dice l’AdE nelle controdeduzioni.
Ecco uno schema essenziale di memoria difensiva in fase pre-accertamento (dopo PVC):
Oggetto: Osservazioni ex art.12 c.7 L.212/2000 – PVC G.d.F. n. ___ del __ – Contribuente ____
In merito al Processo Verbale di Constatazione in oggetto, il sottoscritto intende formulare le seguenti osservazioni difensive:
– … [descrivere punto contestato nel PVC, e propria versione con eventuali documenti] …
– … [altro punto] …
Alla luce di quanto sopra esposto e documentato (All.1, All.2, …), si invita codesto Ufficio a voler archiviare il procedimento ovvero a ridurre significativamente la pretesa imponibile, eliminando le contestazioni infondate relative a ____.
Distinti saluti,
Firma
Questa memoria va inviata con raccomandata A/R o PEC all’ufficio competente entro 60 giorni dalla consegna del PVC. È più libera nella forma rispetto a un ricorso.
Esito del giudizio: La Corte Tributaria può accogliere totalmente il ricorso (annullando l’atto), accoglierlo parzialmente (riducendo importi, annullando in parte) oppure rigettarlo. In caso di soccombenza parziale o totale, ciascuna parte può appellare in secondo grado (Corte Giustizia Tributaria di secondo grado, ex CTR). I tempi possono essere lunghi (1-2 anni primo grado, altrettanto o più in appello).
Esecutività e riscossione: Dal 2016 gli avvisi di accertamento sono esecutivi: significa che, scaduti i 60 giorni senza pagamento né ricorso, diventano cartelle di pagamento esecutive automaticamente. Se si propone ricorso, si può chiedere al giudice la sospensione dell’atto se il pagamento immediato causerebbe danno grave. Per importi di affitti solitamente modesti, la sospensione può essere concessa se c’è evidente fumus di errore. In assenza di sospensione, si è tenuti a pagare 1/3 delle imposte accertate + interessi (o l’intero se trattasi solo di sanzioni) anche durante il processo. Questo va valutato: a volte, se non si ottiene sospensiva, conviene aderire prima (se uno non può pagare neanche il terzo, rischia poi iscrizioni a ruolo).
Costi del contenzioso: oltre al contributo unificato (€30 per liti fino 2.582€, €60 fino a 5.000€, €120 fino a 25k, €250 fino a 75k, ecc.), bisogna considerare le spese legali. Se si vince, il giudice di solito condanna l’Agenzia a rifondere una parte delle spese al contribuente. Se si perde, viceversa si può essere condannati alle spese (anche se spesso le compensano). Pertanto, la convenienza di fare causa va ponderata col valore in gioco: per poche migliaia di euro, a volte conviene chiudere in adesione. Se invece sono in ballo questioni di principio o importi rilevanti, vale la pena andare avanti.
Cosa dimostrare: onere della prova in caso di affitti in nero
Un elemento chiave nelle liti sugli affitti non dichiarati è l’onere della prova. In linea generale, spetta all’Agenzia provare che il contribuente ha percepito redditi non dichiarati; d’altro canto, di fronte a indizi o presunzioni, il contribuente deve fornire prova contraria.
- Se il Fisco dispone di una prova diretta (es: un contratto scritto, una denuncia dell’inquilino, bonifici identificati), allora l’onere si sposta sul contribuente che dovrà smentire tali prove (cosa ardua). Nel caso della denuncia dell’inquilino, come visto, i giudici possono considerarla prova sufficiente se dettagliata e proveniente da parte del rapporto . In quel caso, il locatore può solo negare i fatti ma senza testimoni rimane difficile prevalere a meno di trovare incoerenze nella denuncia stessa.
- In assenza di prove dirette, il Fisco spesso si basa su presunzioni semplici: es. “l’immobile era occupato, ergo un affitto c’era”; “sul portale X risulta il tuo annuncio con 50 recensioni, ergo hai incassato circa Y euro”. La legge consente l’accertamento induttivo con presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti. Il contribuente può contrastarle mostrando elementi alternativi: ad es. se l’Agenzia presume 120 giorni di locazione da giugno a settembre, l’host può produrre il proprio calendario Airbnb che mostra solo 80 notti occupate. Oppure, se presunto canone €500/mese perché “quello è il prezzo di mercato”, il contribuente può far valere che quell’affittuario era un parente che versava solo €200 di contributo (magari provandolo con testimonianze scritte di altri coinquilini, etc.). Insomma, spezzare la concordanza delle presunzioni introducendo dubbi specifici aiuta a far pendere la bilancia in giudizio.
- Un asso nella manica del contribuente può essere la documentazione alternativa: ad esempio, se l’Agenzia dice “secondo i dati del portale hai incassato €10k”, e il contribuente mostra con estratti conto bancari di aver ricevuto solo €7k, allora l’onere probatorio pende: perché quei €3k di differenza? Forse cancellazioni, commissioni del portale, ecc. Bisogna fornire spiegazioni e prove.
In definitiva, la difesa in giudizio richiede di essere proattivi: non basta negare, occorre presentare una narrazione credibile e supportata da evidenze, che metta in discussione la ricostruzione fiscale. Spesso la verità sta nel mezzo (qualche reddito c’era, ma minore di quanto dice il Fisco) e il compito del giudice sarà di avvicinarsi ad essa col materiale che le parti forniscono.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa si intende esattamente per “subaffitto non dichiarato”?
R: Indica una situazione in cui un inquilino (o comodatario) concede in locazione un immobile (o una parte di esso) a terzi senza dichiarare al Fisco il reddito derivante da tale sublocazione. In pratica è un caso particolare di “affitto in nero”, con la differenza che il locatore non è il proprietario bensì un altro conduttore. Ad esempio, Maria prende in affitto un appartamento e ne subaffitta una stanza a Luca percependo un canone: se Maria non dichiara quel canone nella sua dichiarazione dei redditi, sta realizzando un subaffitto non dichiarato. Ciò costituisce evasione d’imposta a tutti gli effetti . È irrilevante che il subaffitto fosse o meno consentito dal proprietario o che il contratto non sia scritto: fiscalmente conta solo l’incasso non dichiarato.
D: Quali tasse dovrei pagare sui redditi da subaffitto, se volessi regolarizzarli?
R: Devi pagare l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) su quanto guadagni dal subaffitto, al netto dell’affitto che eventualmente paghi al proprietario (solo la differenza è reddito imponibile) . L’aliquota IRPEF è quella del tuo scaglione di reddito (23%, 25%, 35% o 43% circa). Se però si tratta di locazioni brevi (≤30 gg), puoi optare per la cedolare secca, un’imposta fissa (21% fino al 2023, ora 26% salvo riduzione al 21% per un immobile) . La cedolare secca è conveniente se il tuo scaglione IRPEF supera il 21%. Va esercitata in dichiarazione dei redditi. Ricorda inoltre l’imposta di registro: se il subaffitto dura più di 30 giorni, andrebbe registrato pagando lo 0,5% del canone (per sublocazioni, la metà dello 2% ordinario, divisa tra sublocatore e subconduttore). La cedolare secca sostituisce anche l’imposta di registro, quindi se ne usi il regime non versi registro (ma se ometti di registrare comunque c’è sanzione).
D: Il subaffitto è sempre legale?
R: Dal punto di vista civilistico, la sublocazione è lecita solo se rispettate certe condizioni. Il Codice Civile (art. 1594) e la legge sull’equo canone (L. 392/1978) stabiliscono che l’inquilino può subaffittare parzialmente l’immobile salvo divieto nel contratto, mentre per subaffitto totale serve il consenso del proprietario . Se subaffitti violando il contratto, il proprietario può chiedere la risoluzione. Tuttavia, ai fini fiscali, anche un subaffitto “illegale” dal punto di vista contrattuale genera reddito tassabile. Dunque, le questioni civilistiche non incidono sulle tasse: dovresti dichiarare i proventi comunque. L’affitto in nero in sé (proprietario o inquilino che sia) non configura un reato penale (è un illecito amministrativo) , ma può avere conseguenze civili (nullità del contratto, impossibilità di sfratto, ecc.) e ovviamente fiscali. In breve: subaffittare senza permesso può farti litigare col proprietario, ma subaffittare senza dichiarare fa arrabbiare il Fisco – ed è quest’ultimo che sanziona col portafoglio.
D: Come fa l’Agenzia delle Entrate a scoprire se non dichiaro un subaffitto?
R: Incrociando dati e facendo controlli. Ad esempio, l’Agenzia vede dal catasto che non abiti in un tuo immobile ma qualcun altro ha la residenza lì – se non risulta un contratto registrato, sospetta un affitto in nero. Oppure incrocia i dati delle piattaforme online (Airbnb, Booking) che ora comunicano i pagamenti agli host : se risultano incassi a tuo nome e tu non li dichiari, il software segnala l’anomalia. Ancora: se il tuo coinquilino/chirente prova a detrarre l’affitto in dichiarazione, e tu non l’hai dichiarato come reddito, l’Agenzia se ne accorge subito . Ci sono poi le verifiche sul territorio: la Guardia di Finanza può raccogliere informazioni da vicini, portieri, ecc. Spesso inoltre partono lettere di compliance che ti avvisano dell’omissione: nel 2023 oltre 3 milioni di contribuenti hanno ricevuto segnalazioni di redditi non dichiarati (molti per affitti) . Insomma, tra banche dati unificate e segugi informatici, pensare di farla franca è sempre più azzardato.
D: Ho affittato via Airbnb ma non ho dichiarato nulla: è vero che Airbnb paga già le tasse al posto mio?
R: Attenzione: dal 2024 Airbnb e simili trattengono il 21-26% sui pagamenti agli host come ritenuta, ma questo non ti esonera dal dichiarare. Significa che se hai guadagnato €5.000, la piattaforma ne ha versati circa €1.050 al Fisco (21%) e te ne ha girati €3.950. Tu, in dichiarazione, devi comunque indicare i €5.000 come reddito di locazione breve, ma puoi detrarre la ritenuta di €1.050 dall’importo da pagare (quindi non pagherai due volte). Se non dichiari nulla, l’Agenzia vedrà comunque che Airbnb ha trattenuto quell’importo per tuo conto, e ti contesterà l’omessa dichiarazione dei €5.000 . Nei periodi precedenti, in cui Airbnb non fungeva da sostituto d’imposta, la piattaforma trasmette comunque i dati delle tue locazioni all’Agenzia (lo prevede la legge 2017). Dunque il Fisco sa quanti soggiorni hai venduto e per quanti soldi – e in sede di controllo può chiederti conto di ogni euro.
D: Se regolarizzo spontaneamente (ravvedimento) cosa devo pagare esattamente?
R: Devi presentare una dichiarazione integrativa per gli anni omessi/infedeli, indicando i redditi da subaffitto. Poi devi versare: – L’imposta dovuta su quei redditi (IRPEF o cedolare che sia, a seconda del regime applicabile e di cosa scegli per i brevi). – Gli interessi legali maturati su ciascun anno (piccola cifra). – Una sanzione ridotta per infedele/omessa dichiarazione: se sono passati oltre 90 giorni ma meno di due anni, è 1/8 del minimo (circa 11-12% dell’imposta evasa) ; se oltre due anni, 1/6 del minimo (15% dell’imposta evasa, se infedele) . Se presenti dichiarazione omessa oltre un anno, l’Agenzia in pratica accetta 1/6 del 120% = 20%. Comunque sono molto inferiori al 90-240% normale.
Facciamo un numero: reddito in nero €10.000, IRPEF dovuta €2.500. Sanzione minima 120% = €3.000 (abitativo raddoppiato 240% = €6.000). Col ravvedimento ad esempio a 1/6, paghi €500 di sanzione. Capisci il risparmio…
È importante compilare bene gli F24: vanno indicati i codici tributo del ravvedimento (ad es. 4001 per IRPEF anno X, 1989 per interessi, 8901 per sanzione). Il tuo commercialista saprà farlo. Dopo aver pagato, conserva tutto perché l’Agenzia potrebbe chiedere prova che hai sanato.
D: Posso ancora fare ricorso se ho ricevuto la cartella dall’Agenzia Riscossione per l’affitto non dichiarato?
R: Dipende. Se hai saltato i 60 giorni dall’accertamento e quello è divenuto definitivo, la cartella (ruolo) è solo atto esecutivo di somme dovute: non è impugnabile nel merito, salvo vizi formali. Purtroppo, se non hai contestato per tempo l’accertamento, hai ormai “perso il treno” per difenderti sul contenuto (reddito, sanzioni ecc.). Puoi solo eventualmente chiedere una dilazione di pagamento o vedere se quell’atto era nullo per vizi formali (ma di rado). Se invece la cartella ti arriva per mancato pagamento di una mediazione o conciliazione che avevi sottoscritto, idem: il debito è consolidato, puoi giusto discutere di errori di calcolo.
In sintesi: la fase giusta per ricorrere è entro 60 giorni dall’avviso di accertamento. Dopo, le possibilità di difesa si riducono drasticamente. In certe situazioni estreme si può tentare un’istanza di riapertura termini per forza maggiore o un ricorso per revocazione (se c’era dolo, errore di fatto, ecc.), ma sono casi rari e da valutare con legale.
D: L’inquilino che paga in nero rischia qualcosa dal punto di vista fiscale?
R: Sì, anche l’inquilino può essere sanzionato per la mancata registrazione del contratto. Locatore e conduttore sono obbligati in solido all’imposta di registro e relative sanzioni . Quindi, se scoprono l’affitto in nero, di norma l’Agenzia chiede al proprietario le imposte sui redditi evasi e al contempo può sanzionare entrambi per il 2% di registro non pagato (con sanzione 120-240% su quell’imposta). In pratica, l’inquilino rischia una cartella pari al 2% annuo del canone per gli anni non registrati, moltiplicato fino al 240%. E se il locatore non paga l’imposta di registro, potrebbe arrivargli la richiesta intera (solidarietà). Inoltre, va detto, l’inquilino in nero perde i diritti di legge (non può detrarre canoni, né avere contratto stabile, ecc.). Dal lato penale, l’affittuario non commette reati (non è lui che evade le imposte sui redditi, a meno che curiosamente il subaffittatore sia società e l’inquilino pagante sia registrato come cliente in nero, ma vabbè). Quindi per l’inquilino le rogne sono: niente benefici legali, possibile multa da registro e soprattutto dover magari testimoniare contro il locatore (o trovarsi sfrattato all’improvviso perché non c’è contratto). È sempre meglio pretendere la registrazione.
D: Ho ricevuto un avviso per affitti in nero ma secondo me è sbagliato nei calcoli: posso fare qualcosa senza andare in causa?
R: Assolutamente, sì. Come spiegato, puoi presentare un’istanza di autotutela all’ufficio, evidenziando l’errore di calcolo (magari allegando documenti corretti). Se l’ufficio riconosce l’errore, può correggere l’avviso (con atto di autotutela) o invitarvi a fare adesione per sistemare il conteggio. Un classico errore è conteggiare 12 mensilità di affitto quando erano meno, oppure confondere lordo e netto. Se hai prove (es: estratto conto che mostra 8 pagamenti annuali e non 12), presentale subito in autotutela. Nel caso la risposta tardasse o fosse negativa, hai comunque la carta dell’accertamento con adesione: chiedi l’adesione e durante l’incontro mostri l’errore, di solito lo correggono in sede di accordo . Solo in extrema ratio dovrai ricorrere al giudice per far valere l’errore, ma spesso l’Agenzia preferisce evitare cause perse e sistema gli sbagli se evidenti.
D: Ho subaffittato una stanza ma in realtà non ci ho guadagnato niente perché serviva solo a coprire le spese di casa. Devo comunque pagare le tasse?
R: Formalmente, se hai percepito un importo, devi dichiararlo; tuttavia, come detto, puoi dedurre le spese inerenti prima di tassare. Quindi se davvero il subaffitto serviva solo a coprire le spese (ad esempio affitti la stanza a 300€ e tu paghi 300€ di affitto al proprietario per quella stanza), il tuo reddito imponibile è zero. Ma devi dichiarare i 300 e dedurre i 300 – risultato niente imposta. Se non dichiari nulla, il Fisco potrebbe contestarti i 300 come reddito, e starà a te provare che c’erano spese equivalenti. Meglio allora dichiarare subito e dormire tranquillo. Inoltre, se era condivisione spese vera e propria (senza contratto, tipo coinquilino convivente alla pari), potresti sostenere che non c’era intento locativo. Però attenzione: l’Agenzia difficilmente accetta la tesi “lo ospitavo e mi dava un contributo”, specie se l’importo era regolare e c’erano obblighi. Quindi conviene considerarlo affitto e azzerare col costo. Se alla fine zero tasse, tanto vale dichiarare, eviti rischi futuri.
D: Quali sono le sentenze più importanti recenti su questo tema?
R: Ne citiamo alcune rilevanti: – Cass. n. 19166/2003 e succ. conformi (Cass. 26447/2017, Cass. 36488/2023) – Hanno stabilito che i redditi da locazione sono fondiari solo se il locatore ha un diritto reale sull’immobile, altrimenti sono redditi diversi . Ciò chiarisce che i subaffitti vanno tassati in capo al sublocatore come redditi diversi, e non imputati al proprietario (se non per la parte di sua spettanza). – CTP Milano n.2718/2019 – (Caso citato) Ha riconosciuto valore di piena prova alla denuncia dell’inquilina sul contratto in nero , legittimando l’accertamento basato su di essa. Ha anche affermato che sta al locatore fornire prova contraria, onere che risulta praticamente impossibile in caso di pagamenti in contanti senza traccia . – Cass. n. 10498/2017; Cass. 32934/2018 – Hanno segnato un cambiamento sulla nullità del contratto non registrato: la Cassazione (recependo Corte Cost. 50/2014) ha stabilito che la tardiva registrazione sanatoria fa riacquistare efficacia al contratto per il futuro. Questo sul piano civile. Sul piano fiscale, comunque, anche per gli anni di nullità i canoni restano tassabili se percepiti. – Cass. SS.UU. 7305/2014 – Importante per gli effetti civilistici: confermò che il proprietario con contratto nullo può solo agire per occupazione senza titolo, non sfratto, allungando i tempi di rilascio . Indirettamente, ciò motiva l’inquilino a denunciare: sa di poter guadagnare tempo e forse riavere i soldi. – Cass. nn. 12076 e 12079 del 07/05/2025 – (cit. da studio, v. ricerca) Sembrerebbero affermare che la cedolare secca può applicarsi anche a locatori con P.IVA (contraddicendo l’Agenzia) . Se confermato, apre spiragli ad applicare cedolare pure a soggetti normalmente esclusi. Nel subaffitto, di solito soggetti privati, non incide molto, ma da tenere d’occhio. – Consiglio di Stato n. 2928/2025 – (non fiscale ma regolamentare) Ha annullato regolamenti comunali e regionali troppo restrittivi sugli affitti brevi, ribadendo che solo lo Stato può legiferare in materia di durata delle locazioni turistiche . Questo mantiene uniforme la disciplina nazionale: ad esempio, un Comune non può proibire i subaffitti brevi generalizzati oltre una certa soglia (salvo casi specifici come Venezia che ha delega). – Corte Giustizia UE C-83/21 (2022) – Caso Airbnb Ireland, che ha sancito la legittimità dell’obbligo per i portali di trasmettere i dati e operare ritenute in Italia , respingendo le obiezioni di Airbnb. Conseguenza: via libera allo scambio di dati tra portali online e Fisco italiano, base di molti accertamenti dal 2017 in poi.
Queste pronunce, insieme a circolari dell’Agenzia (es. circ. 24/E/2017 sulle locazioni brevi), compongono il quadro interpretativo aggiornato ad oggi.
D: Ho già un ricorso pendente su questa materia. Ci sono state novità nel 2023-2025 che possono aiutarmi?
R: Sì, come abbiamo visto: – Dal 2024 cedolare al 26% oltre il primo immobile: se il tuo caso riguarda anni precedenti forse no, ma se è in corso per anni recenti e avevi più immobili in affitto breve, sappi che ora la legge è cambiata (potrebbe non retroagire, ma potresti usarla a tuo favore interpretativamente). – Riforma giustizia tributaria 2022: ora i giudici sono professionalizzati, ci si attende maggiore uniformità e possibilità di richiesta di giudice monocratico per liti fino a €3.000 (snellimento). – Sentenze Cassazione 2025 citate: se la tua causa verteva su cedolare negata perché avevi P.IVA o affittavi tramite società (ci sono casi borderline), puoi citare quelle pronunce per supporto. – La valanga di lettere compliance 2023: dimostra un atteggiamento del Fisco più collaborativo pre-contenzioso. Se tu non hai avuto lettera e ti è arrivato diretto accertamento, potresti far notare ciò magari come motivo procedurale (talvolta i giudici considerano la mancata compliance come non rispetto dello Statuto contribuente in termini di cooperative compliance, ma non è un diritto soggettivo, quindi va preso con le pinze). – Norme COVID (DL 34/2020) avevano sospeso sfratti ma anche allentato obbligo di tassare canoni non percepiti: dal 2020 per i proprietari si può non dichiarare il canone se l’inquilino moroso e c’è ingiunzione. Per i subaffitti non c’è norma simile, ma se nel tuo caso c’erano morosità durante la pandemia, puoi provare a invocare la stessa logica di non tassabilità. Non garantito ma tentare.
D: In conclusione, che consigli pratici dareste a chi subaffitta e vuole evitare problemi col Fisco?
R: Il consiglio principe è la trasparenza fiscale:
– Se subaffitti, registra il contratto (se >30gg) o comunque metti per iscritto gli accordi.
– Dichiara sempre i redditi percepiti, anche se modesti. Puoi sfruttare cedolare se ne hai diritto: pagherai il 21% e stop, che spesso è meno del tuo IRPEF.
– Conserva traccia di tutti i pagamenti (usa mezzi tracciabili se possibile, o fatti firmare ricevute). Questo protegge sia te sia l’inquilino.
– Se hai dubbi sulla tassazione (per es. subaffitti di stanze con servizi tipo B&B), consulta un esperto: potresti rientrare in regime d’impresa mascherato (la legge distingue affitto nudo da attività tipo B&B con colazione ecc.). Meglio saperlo prima che scoprirlo con una multa.
– Infine, se l’Agenzia ti scrive o ti chiama per anomalie, non ignorarla: fai controllare al commercialista e, se c’è effettivamente un buco, aderisci subito al ravvedimento per risparmiare.
Dal punto di vista del debitore-contribuente, tenere un profilo collaborativo e informato è la miglior difesa. E se malauguratamente arriva un accertamento infondato, attivati subito con autotutela o ricorso: le armi del diritto non mancano per far valere le proprie ragioni.
Conclusione
Il subaffitto non dichiarato rappresenta un’insidia significativa nel panorama fiscale italiano odierno. L’Agenzia delle Entrate, grazie all’evoluzione normativa e tecnologica, dispone di mezzi robusti per intercettare questi redditi sommersi – dalle comunicazioni delle piattaforme digitali agli incroci con i dati catastali e finanziari, fino alla reintroduzione di strumenti come il Codice Identificativo Nazionale per tracciare ogni immobile turistico affittato . D’altro canto, il contribuente che si trovi sotto la lente del Fisco non è privo di tutele: l’ordinamento offre opportunità di ravvedimento, dialogo e difesa giurisdizionale che, se ben sfruttate, possono mitigare o annullare le pretese indebite.
Abbiamo visto come, dal punto di vista del debitore, sia fondamentale adottare un approccio tempestivo e strategico: – Prevenire, dichiarando il dovuto per tempo o regolarizzando prima dell’accertamento (risparmiando così la gran parte delle sanzioni) . – Contestare con metodo, attraverso istanze ben argomentate e documentate in sede di autotutela o adesione, facendo valere errori e diritti spesso ignorati in prima battuta dall’Ufficio (come la deducibilità dei costi di sublocazione, spesso trascurata negli accertamenti) . – Affrontare il giudizio solo con basi solide e prove convincenti, consapevoli però che il giudice tributario, pur essendo terzo, decide secondo ciò che le parti portano: una difesa passiva e priva di evidenze difficilmente ribalterà un’accusa di affitto in nero ben circostanziata dal Fisco. Ma una difesa attiva, supportata magari da recenti pronunciamenti giurisprudenziali e da quei fatti che l’amministrazione non ha colto, può condurre a soluzioni equilibrate e spesso favorevoli al contribuente.
In definitiva, “come difendersi” dall’accertamento sui subaffitti non dichiarati significa soprattutto conoscere le regole (fiscali e procedurali) e farle valere a proprio vantaggio. Norme e sentenze, alcune citate in questa guida, sono frecce al nostro arco: dal principio per cui senza diritto reale il reddito non è fondiario (impedendo al Fisco facili estensioni di tassazione al proprietario estraneo) alla consapevolezza che una denuncia dell’inquilino va presa molto sul serio (perché rischia di essere prova regina).
Il punto di vista del contribuente deve tenere conto anche di una valutazione costi/benefici: talvolta la via migliore è chiudere la partita subito, patteggiando il dovuto con l’Agenzia (anche pagando qualcosa in più di quanto si riteneva giusto, purché con sanzioni ridotte) – soprattutto se l’errore c’è stato. Altre volte, invece, impugnare è doveroso: ad esempio, quando l’Ufficio pretende importi esorbitanti basati su presunzioni discutibili, confidando nell’inerzia del cittadino. In quei frangenti, opporsi con fermezza e competenza non solo può far risparmiare migliaia di euro, ma contribuisce a creare precedenti per un’applicazione più equa della legge.
Per concludere con una simulazione a mo’ di epilogo, immaginiamo due scenari opposti: – Caso A: Luca, sublocatore occasionale, riceve una lettera dal Fisco che gli contesta €3.000 di redditi non dichiarati. Capisce di aver sbagliato per ignoranza. In pochi giorni presenta integrativa, paga circa €500 di imposte e €50 di sanzioni col ravvedimento. L’Agenzia archivia lì la faccenda. Luca ha risolto con minima spesa e senza strascichi . – Caso B: Marco, proprietario di 3 case vacanze, incassa per anni decine di migliaia di euro in nero convinto di farla franca. Nel 2025 riceve avvisi per 5 annualità, con €40.000 di imposte e €60.000 di sanzioni. Marco ingaggia un tributarista: emerge che l’Agenzia ha tassato come reddito d’impresa al 43% tutto il transato lordo, mentre Marco poteva invocare la cedolare 21% e dedurre costi di agenzia. Si avvia un confronto: in adesione l’Ufficio riconosce parzialmente le ragioni (riduce imponibile del 20%, sanzioni 1/3). Marco però ritiene ancora troppo e va in causa. In giudizio porta documenti che mostrano che una delle tre case era gestita da un parente (dunque i redditi contestati erano in parte duplicati). La Commissione, sulla scorta di ciò, annulla una parte dell’accertamento e riliquida il resto con cedolare secca (accogliendo l’istanza in via equitativa). Alla fine Marco paga circa la metà del preteso iniziale, rateizzandolo, e salva la sua attività. Certo, avrebbe potuto evitare lo stress dichiarando per tempo, ma almeno ha saputo difendersi con successo.
Che siate più simili a Luca o a Marco, speriamo che questa guida vi abbia fornito gli strumenti necessari per muovervi con consapevolezza in questa materia insidiosa. Il subaffitto non dichiarato non è un gioco senza conseguenze: l’Agenzia delle Entrate è un avversario tenace, ma con la preparazione giuridica adeguata e un approccio strategico anche il contribuente può far valere le proprie ragioni e giungere a soluzioni sostenibili. Come recita un adagio giuridico, “chi conosce i propri diritti ha già mezza vittoria in tasca”. E nel campo fiscale, aggiungiamo, conoscere i doveri e le opportunità di difesa è la chiave per trasformare una potenziale sconfitta in un risultato gestibile, se non in una vittoria piena.
Fonti e riferimenti principali:
- D.P.R. 917/1986 (TUIR), artt. 26, 67, 71 – Definizione dei redditi fondiari e diversi, trattamento fiscale sublocazioni .
- D.Lgs. 471/1997, art. 1 e succ. mod. – Sanzioni per omessa/infedele dichiarazione (60-120%, 90-180%, raddoppio per immobili) .
- D.Lgs. 74/2000, artt.4-5 – Reati di dichiarazione infedele e omessa (soglie €100k e €50k).
- Circolare Ag. Entrate 24/E/2017 – Disciplina fiscale delle locazioni brevi (applicabile a sublocazioni).
- Provv. Ag. Entrate 132605/2017 – Comunicazione dei dati Airbnb & Co.
- Giurisprudenza: Cass. 19166/2003 , Cass. 20764/2006, Cass. 15171/2009, Cass. 26447/2017 (reddito fondiario solo a titolari diritto reale); Cass. 10498/2017 e Cass. 32934/2018 (registrazione tardiva contratti nulli); CTP Milano 2718/2019 (denuncia inquilino prova valida); Cass. 36488/2023 (conferma tassazione in capo a chi ha stipulato contratto in proprio nome, non proprietario); Cons. Stato 2928/2025 (locazioni brevi, competenza statale) .
Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti contestano di aver percepito canoni di subaffitto non dichiarati?
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Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti contestano di aver percepito canoni di subaffitto non dichiarati?
Vuoi capire quali sono i rischi e come puoi difenderti?
Il subaffitto è la locazione di un immobile da parte dell’inquilino a un altro soggetto. È consentito solo se previsto dal contratto principale o autorizzato dal proprietario. In ogni caso, i redditi da sublocazione sono soggetti a tassazione e vanno dichiarati.
👉 Quando il Fisco intercetta pagamenti non dichiarati (es. tramite controlli incrociati, piattaforme digitali o segnalazioni del locatore), può emettere un accertamento fiscale.
⚖️ Perché scatta la contestazione
- Subaffitto non autorizzato dal proprietario;
- Canoni incassati ma non dichiarati in dichiarazione dei redditi;
- Differenze tra importi percepiti e dichiarati;
- Subaffitti gestiti tramite portali online (Airbnb, Booking, ecc.) senza tracciamento fiscale;
- Mancata applicazione della ritenuta o della cedolare secca, quando prevista.
📌 Conseguenze possibili
- Recupero delle imposte non pagate sui canoni percepiti;
- Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta evasa;
- Interessi di mora;
- Possibile contestazione civilistica dal locatore per violazione del contratto principale;
- Nei casi più gravi, rischio di accertamenti retroattivi fino a 7 anni.
🔍 Come difendersi
- Verifica la documentazione: contratti di subaffitto, ricevute di pagamento, autorizzazioni del proprietario.
- Raccogli le prove dei canoni effettivamente percepiti: spesso il Fisco si basa su presunzioni o importi gonfiati.
- Dimostra la corretta dichiarazione se i redditi sono stati già riportati (es. in altre categorie).
- Contesta eventuali errori di calcolo: sanzioni e interessi possono essere sproporzionati.
- Predisponi memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, se l’accertamento è illegittimo.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’accertamento relativo ai subaffitti contestati;
- 📌 Verifica la legittimità delle pretese fiscali e le eventuali irregolarità;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare la pretesa;
- ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta soluzioni alternative, come adesione o definizione agevolata.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in locazioni, sublocazioni e fiscalità immobiliare;
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario su redditi da locazione;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui subaffitti non dichiarati possono avere conseguenze pesanti, ma non sempre sono fondate.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la correttezza della tua posizione, ridurre le sanzioni e proteggere i tuoi redditi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui subaffitti inizia qui.