Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza per fatture false pagate con bonifico? Anche se il pagamento è tracciabile, il Fisco può ritenere che si tratti di un’operazione inesistente o artificiosa, finalizzata a creare costi fittizi o a detrarre indebitamente l’IVA. In questi casi, oltre alle sanzioni fiscali, si rischiano anche conseguenze penali.
Cosa sono le fatture false
Una fattura è considerata falsa quando documenta operazioni inesistenti:
– Oggettivamente inesistenti: quando i beni o i servizi indicati non sono mai stati realmente forniti
– Soggettivamente inesistenti: quando il fornitore indicato non è quello effettivo (società cartiere o soggetti prestanome)
– Sovrafatturazioni: quando i beni o servizi sono reali ma l’importo fatturato è superiore al valore effettivo
Perché il pagamento con bonifico non basta a dimostrare la regolarità
Il fatto che una fattura sia stata pagata con bonifico non la rende automaticamente valida. Il Fisco può sostenere che:
– L’operazione non è mai avvenuta e il bonifico serve solo a “dare parvenza di realtà”
– I fondi siano poi rientrati in qualche modo al contribuente tramite operazioni di retrocessione
– L’impresa abbia partecipato consapevolmente a un sistema di frode IVA
Cosa rischi con l’utilizzo di fatture false
– Recupero delle imposte non versate e indetraibilità dell’IVA
– Sanzioni amministrative molto elevate
– Contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni)
– Sequestro preventivo dei beni e confisca in caso di condanna
– Grave danno reputazionale per l’impresa
Come difendersi con l’avvocato
– Dimostrare la reale esistenza delle operazioni contestate (contratti, documenti di trasporto, corrispondenza commerciale, prove dell’esecuzione del servizio)
– Contestare la tesi del Fisco se si tratta di errori di valutazione o di verifiche incomplete
– Provare la buona fede dell’impresa, dimostrando di non aver avuto consapevolezza della falsità della fattura
– Contestare l’automatismo tra pagamento con bonifico e presunta frode, evidenziando la regolarità contabile e bancaria delle operazioni
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e difendersi in sede penale con strategie mirate
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le fatture contestate e i movimenti finanziari collegati
– Preparare un dossier difensivo con documentazione idonea a dimostrare la realtà delle operazioni
– Contestare le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate con prove concrete
– Difendere il contribuente nei procedimenti penali, chiedendo l’archiviazione o la derubricazione dei fatti
– Tutelare l’impresa e i suoi amministratori dal rischio di sequestri e confische
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento fiscale
– La riduzione delle sanzioni amministrative e penali
– La revoca dei sequestri preventivi e la restituzione dei beni bloccati
– La tutela del patrimonio aziendale e personale
– La possibilità di dimostrare la buona fede e salvaguardare la reputazione dell’impresa
⚠️ Attenzione: l’utilizzo di fatture false è uno dei reati tributari più contestati e può essere provato anche con semplici presunzioni. Ma la presenza di un pagamento tracciabile non è sufficiente per dimostrare la frode: con una difesa documentale e tecnica mirata è possibile ribaltare le accuse.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e penale-tributaria – ti spiega cosa fare in caso di contestazioni per fatture false pagate con bonifico e come difenderti con l’assistenza di un avvocato.
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Introduzione
Le fatture false – ossia le fatture emesse per operazioni inesistenti – costituiscono una delle violazioni fiscali più gravi e insidiose nel sistema tributario italiano. Si tratta di documenti contabili creati per simulare operazioni commerciali mai avvenute (in tutto o in parte) oppure avvenute tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura. Lo scopo tipico è generare vantaggi fiscali indebiti, ad esempio detrarre IVA non dovuta o dedurre costi fittizi che riducono il reddito tassabile. Le conseguenze per chi utilizza o emette tali fatture sono estremamente severe: l’Amministrazione finanziaria può recuperare le imposte evase con accertamenti tributari e sanzioni amministrative molto pesanti, mentre sul piano penale sia l’emissione che l’utilizzo di fatture false configurano specifici reati tributari, puniti con pene detentive e altre misure afflittive.
Aggiornamento Luglio 2025: Questa guida – aggiornata alle ultime novità normative e giurisprudenziali al luglio 2025 – offre un’analisi approfondita su come difendersi efficacemente da un’accusa o un accertamento basato su fatture false, dal punto di vista del debitore/contribuente che subisce la contestazione. Adottando un linguaggio giuridico ma chiaro e con un taglio operativo avanzato, affronteremo tutti i profili rilevanti:
- Le definizioni e le tipologie di operazioni inesistenti (fatture oggettivamente o soggettivamente false) con relativi esempi pratici;
- La normativa di riferimento italiana, sia tributaria (accertamenti, sanzioni amministrative) sia penale (reati previsti dal D.Lgs. 74/2000 e sanzioni correlate);
- Il procedimento di accertamento fiscale, con particolare attenzione all’onere della prova, al ruolo (limitato) della buona fede del contribuente e ai termini di decadenza;
- Le strategie difensive sia in sede amministrativa (dinanzi all’Agenzia delle Entrate e alle Corti di Giustizia Tributaria) sia in sede penale (difesa nel procedimento penale, anche coordinata con eventuali definizioni fiscali), evidenziando come documentare l’effettività delle operazioni e come prevenire contestazioni (es. tramite adeguata due diligence sui fornitori sospetti);
- Le sanzioni tributarie applicabili e i profili di responsabilità penale dell’imprenditore e dell’eventuale società (inclusa la responsabilità “231” dell’ente);
- Le più recenti sentenze e orientamenti giurisprudenziali autorevoli che incidono su questi casi (Cassazione civile e penale fino al 2024, pronunce UE, ecc.), con indicazione di principi chiave stabiliti;
- Una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni (es. definizione di fattura falsa, importanza del bonifico tracciabile, termini di accertamento, rilevanza della buona fede, ecc.);
- Alcune simulazioni pratiche di casi tipici italiani, che mostrano come impostare la difesa in diversi scenari concreti (dal contribuente inconsapevole coinvolto suo malgrado, fino alla frode orchestrata, e al caso di ravvedimento spontaneo).
Importante: Tutte le fonti normative (leggi, decreti) e le pronunce giurisprudenziali citate nel testo sono riportate con riferimenti e sono elencate in una sezione finale (“Fonti e riferimenti”), per consentire ulteriori approfondimenti. L’obiettivo è fornire al contribuente onesto gli strumenti per tutelarsi efficacemente e, al contempo, rendere chiara la scarsa tolleranza zero dell’ordinamento verso chi utilizza consapevolmente fatture false. In ogni caso, difendersi è possibile – soprattutto quando si è nel giusto – ma richiede tempestività, preparazione tecnica e una strategia ben pianificata.
Cosa si intende per “fatture false” o operazioni inesistenti
In ambito fiscale si definiscono “operazioni inesistenti” quelle operazioni economiche (cessioni di beni o prestazioni di servizi) che in realtà non sono state effettuate, oppure che sono state effettuate tra soggetti diversi da quelli indicati nei documenti fiscali. In altre parole, parliamo di fatture false: documenti emessi al solo scopo di simulare operazioni fittizie, creando crediti d’imposta o costi che il contribuente non avrebbe altrimenti maturato. La normativa e la giurisprudenza italiane distinguono due categorie principali di fatture false, con caratteristiche e implicazioni diverse:
- Operazioni oggettivamente inesistenti: l’operazione descritta in fattura non è mai avvenuta nella realtà. La fattura è completamente falsa, perché documenta una cessione di beni o un servizio mai realizzati. Esempio tipico: Tizio emette fattura a Caio per una consulenza che in realtà non ha mai svolto, oppure Alfa Srl fattura a Beta Srl la vendita di macchinari che non sono mai stati né venduti né consegnati. In questi casi il documento fiscale è falso in toto, attestando eventi economici inesistenti sotto ogni profilo. Effetti fiscali: chi utilizza queste fatture crea costi fittizi (abbattendo artificiosamente l’utile imponibile) e crediti IVA inesistenti; chi le emette, di solito dietro compenso, consente al destinatario di evadere imposte senza alcuna reale movimentazione di beni o servizi.
- Operazioni soggettivamente inesistenti: l’operazione economica sottostante c’è stata davvero, ma tra soggetti diversi da quelli riportati in fattura. In pratica, il bene o servizio è stato effettivamente ceduto all’acquirente finale, ma la fattura viene emessa da un soggetto fittizio o interposto (spesso una società cartiera o un prestanome) che formalmente figura come fornitore pur non avendo svolto l’operazione. La fattura è dunque “falsa soggettivamente” perché il cedente/prestatore indicato non è il vero operatore economico che ha eseguito la prestazione. Un esempio classico è la “frode carosello”: Alfa Srl acquista beni all’estero e li rivende a Beta Srl; per evadere l’IVA inserisce fittiziamente un soggetto intermedio Gamma Srl (una cartiera) che emette fattura a Beta. Beta riceve effettivamente la merce, ma la fattura proviene da Gamma che in realtà non ha mai movimentato beni (ha solo “venduto carta”). Un altro esempio: un’impresa fa eseguire lavori in subappalto da ditte non autorizzate o pagate in nero, ma per poter dedurre i costi e detrarre l’IVA si procura fatture da una ditta compiacente che non ha svolto quei lavori. In tutti questi casi l’operazione reale c’è stata (beni consegnati, servizi eseguiti), ma non con il soggetto indicato in fattura.
Esistono poi situazioni intermedie o parzialmente inesistenti: ad esempio la sovrafatturazione, quando la fattura indica importi superiori al reale o descrive beni/servizi diversi da quelli effettivamente forniti (per gonfiare i costi deducibili o creare maggior credito IVA). In tal caso la fattura è considerata falsa limitatamente alla parte non veritiera (importo eccedente o diversa natura del bene/servizio). Fiscalmente, anche la sovrafatturazione è equiparata alle operazioni inesistenti per la parte fittizia: l’IVA relativa alla maggiorazione indebita non corrisponde a una reale operazione imponibile ed è quindi indetraibile, mentre la quota di costo eccedente il reale non è deducibile in quanto priva di effettiva inerenza.
Di seguito una tabella riepilogativa delle differenze tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti:
Caratteristica | Oggettivamente inesistente (falso oggettivo) | Soggettivamente inesistente (falso soggettivo) |
---|---|---|
Esistenza dell’operazione | Nessuna operazione reale (bene/servizio mai scambiato). | Operazione reale avvenuta, ma con un soggetto diverso da quello indicato in fattura. |
Falsità della fattura | Totale – Documento interamente fittizio (nulla è avvenuto). | Parziale – Falso il soggetto emittente: il cedente/prestatore indicato non è quello reale. L’operazione c’è, ma eseguita da altri. |
Esempio tipico | Fattura per merce mai consegnata o servizio mai reso. | Fattura emessa da una società cartiera per coprire un’operazione svolta da altro fornitore effettivo. (Frode carosello). |
Scopo fiscale | Creare costi fittizi ex novo (riduzione totale artificiosa dell’utile) e crediti IVA fittizi (evasione IVA totale). | Occultare il vero fornitore (spesso un evasore IVA) pur beneficiando di costi reali deducibili e relativa IVA (evasione parziale: il fornitore vero non versa l’IVA). |
Deducibilità dei costi ai fini redditi | NO, indeducibili perché costi mai sostenuti davvero. | SÌ in linea di principio, se il costo è reale e inerente (anche se la fattura è intestata a un soggetto fittizio). Tuttavia, tali costi possono essere temporaneamente o definitivamente indeducibili se correlati a reati (vedi art. 14, co.4-bis L.537/1993 e caso di condanna penale). |
Detraibilità dell’IVA | NO, IVA indetraibile perché l’operazione non è mai avvenuta (nessun bene/servizio reale). | NO in generale, IVA indetraibile perché versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa (fornitore fittizio). Solo in caso di comprovata totale buona fede del cessionario alcune sentenze UE ipotizzano il mantenimento del diritto a detrazione, ma la prassi interna lo nega. |
Onere della prova (per il Fisco) | Dimostrare (anche con presunzioni gravi, precise e concordanti) che l’operazione non è avvenuta in concreto. | Dimostrare che il fornitore indicato è fittizio e che l’acquirente era consapevole della frode (o comunque avrebbe dovuto accorgersene con ordinaria diligenza). È la cosiddetta prova a doppio livello: falsità + scientia fraudis. |
Possibili difese del contribuente | (Difficile) Provare invece che l’operazione è realmente avvenuta, producendo evidenze materiali (es. consegna di beni, utilizzo di materiali in produzione, testimonianze di terzi, ecc.). Se l’operazione in realtà non c’è mai stata, non vi è difesa di merito sostanziale, salvo errori procedurali nell’accertamento. | Provare di aver agito in buona fede e con massima diligenza, ignaro della frode (esibendo controlli svolti, documenti raccolti, regolarità apparente del fornitore), oltre a dimostrare la sostanza effettiva dell’operazione (che beni/servizi ci sono stati). La buona fede non garantisce però il mantenimento dei benefici fiscali, ma può evitare sanzioni amministrative e conseguenze penali. |
Nota: La questione della deducibilità dei costi nelle operazioni soggettivamente inesistenti è complessa. In generale, la Corte di Cassazione ha affermato che se un costo è effettivamente sostenuto e inerente all’attività, esso può essere dedotto ai fini delle imposte sui redditi anche se la fattura proviene da un soggetto fittizio – in altre parole, la frode IVA non fa venir meno la deducibilità del costo ai fini IRES/IRPEF. Viceversa, nessun costo è deducibile se l’operazione è oggettivamente falsa (mancando qualsiasi esborso reale). Attenzione però: interviene l’art. 14, comma 4-bis, L. 537/1993 (come modificato), secondo cui se il contribuente è imputato per reati tributari dolosi legati a quei costi, tali componenti negativi vengono “congelati” e resi temporaneamente indeducibili in quanto costi da reato. Solo in caso di successiva assoluzione piena, detti costi potranno essere dedotti ex post (con diritto al rimborso delle maggiori imposte pagate su di essi); in caso di condanna definitiva, invece, quei costi divengono permanentemente indeducibili. In sostanza: un costo reale documentato da una fattura soggettivamente falsa si può in teoria dedurre, ma se su quella fattura grava un procedimento penale per frode, il Fisco ne sospende la deducibilità fino all’esito del processo (e la nega definitivamente se interviene condanna).
Normativa di riferimento (Italia)
Per impostare una difesa adeguata, è fondamentale conoscere le principali norme italiane che disciplinano la materia delle fatture false, sia sul piano tributario (recupero delle imposte evase e sanzioni amministrative) sia sul piano penale (reati tributari e relative sanzioni detentive o pecuniarie). Di seguito riepiloghiamo le fonti normative chiave.
Normativa tributaria (accertamento fiscale e sanzioni amministrative)
- D.P.R. 633/1972 (Testo IVA), art. 21 comma 7: stabilisce un principio cardine in materia di fatture false IVA: “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, l’IVA è dovuta per l’intero ammontare indicato in fattura”. Ciò significa che, anche se l’operazione è fittizia, l’IVA esposta diventa comunque esigibile dall’Erario a carico dell’emittente. Questo per impedire che tramite fatture false si generino crediti IVA o detrazioni indebite senza che nessuno versi l’imposta. In pratica, l’art. 21 co.7 rende l’IVA sempre dovuta sulle fatture emesse, anche se le operazioni non sono reali, e costituisce la base legale per negare la detrazione dell’IVA al destinatario in caso di fattura inesistente.
- D.P.R. 633/1972, art. 54 comma 2: consente all’Ufficio finanziario di rettificare la dichiarazione IVA del contribuente sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, quando ritiene che siano state dichiarate operazioni inesistenti. Questa norma è spesso utilizzata in combinazione con l’art. 21 co.7 sopra citato: se l’Agenzia delle Entrate scopre che un contribuente ha detratto IVA su fatture false, può annullare il credito IVA e richiedere l’imposta, usando presunzioni fondate (ad es. segnalazioni della Guardia di Finanza, incongruenze contabili, fornitore inesistente, ecc.).
- D.P.R. 600/1973 (Accertamento imposte sui redditi), art. 39 comma 1 lett. d): prevede l’accertamento induttivo (o extracontabile) delle imposte sui redditi quando i verificatori riscontrano irregolarità gravi nella contabilità, tra cui l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. In presenza di fatti indicatori di frode o inesattezze contabili rilevanti, l’Ufficio può ignorare in tutto o in parte le risultanze dei libri contabili del contribuente e determinare il reddito d’impresa sulla base di presunzioni e dati esterni. Ciò comporta spesso un aggravio molto significativo dell’imponibile accertato, poiché vengono disconosciuti costi dedotti e ricostruiti ricavi non dichiarati. L’utilizzo di poche fatture false può quindi far scattare un accertamento induttivo sull’intero periodo d’imposta, con esiti potenzialmente disastrosi per il contribuente (imposte e sanzioni su base forfettaria elevata).
- Legge 537/1993, art. 14 comma 4-bis (come modificato dal D.L. 16/2012 conv. L. 44/2012): introduce la regola sulla indeducibilità dei costi da reato tributario. In sintesi, i costi e le spese relativi ad attività costituenti reato non sono deducibili dal reddito imponibile. Nel contesto delle fatture false, questa norma opera – come visto – in modo sospensivo: se un’azienda è coinvolta in un procedimento penale per utilizzo di fatture false (reato doloso), i relativi costi fittizi vengono temporaneamente esclusi dalla deduzione fino all’esito del processo. Se l’imputato viene condannato in via definitiva per frode fiscale, quei costi diventano definitivamente indeducibili; se viene assolto con formula piena, potrà recuperarli in deduzione. Tale norma è stata pensata per evitare che un contribuente tragga comunque vantaggio fiscale da un costo legato a un reato (es. una tangente o, appunto, un costo fittizio) a meno che venga dimostrata la sua estraneità al reato stesso.
- Sanzioni amministrative tributarie: l’utilizzo di fatture false comporta, oltre al recupero delle imposte non versate (IVA, IRES, IRAP), pesanti sanzioni pecuniarie amministrative. In particolare, la detrazione di IVA indebitamente (crediti non spettanti) è punita con una sanzione pari al 90% dell’imposta non spettante. Analogamente, l’indebita deduzione di un costo comporta il recupero dell’imposta sul reddito evasa e una sanzione solitamente dal 90% al 180% della maggior imposta accertata (la misura varia in base alla gravità e ad eventuali attenuanti o aggravanti previste dal D.Lgs. 471/1997). Nel caso di fatture false, spesso l’Agenzia applica la sanzione del 90% (violazione da indebita detrazione/deduzione) per ciascuna imposta. Ad esempio, se una fattura falsa da 10.000€ + IVA 22% è dedotta e detratta, il recupero consisterà in ~2.200€ di IVA + 2.400€ di IRES, ciascuno con sanzione 90% (~1.980€ e ~2.160€ rispettivamente), oltre interessi. Se però viene dimostrata la buona fede del contribuente (ossia che non sapeva né poteva sapere della falsità), in sede contenziosa le commissioni tributarie possono valutare la disapplicazione o riduzione delle sanzioni per obiettiva incertezza o assenza di dolo nella violazione. Si noti infine che, se l’Ufficio invia la notizia di reato alla Procura (perché ricorrono gli estremi del reato di frode fiscale), scatta il cosiddetto raddoppio dei termini di accertamento: l’Agenzia ha più tempo (fino a 8 anni) per notificare gli avvisi di accertamento relativi a quelle annualità, anche oltre i termini ordinari di decadenza.
Normativa penale (reati tributari e sanzioni)
L’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti integrano specifiche fattispecie di reato tributario, previste dal D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 (la “legge penale tributaria”). In particolare, il legislatore ha inteso sanzionare severamente sia chi si avvale di documenti falsi per evadere le imposte, sia chi quei documenti li crea e li mette in circolazione. Ecco le norme principali:
- Art. 2 D.Lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, indica in una dichiarazione fiscale elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture false. In altre parole, è il reato di chi utilizza fatture false: tipicamente l’amministratore o titolare dell’azienda che registra nelle scritture contabili e riporta nella dichiarazione annuale costi e IVA fittizi basati su fatture relative a operazioni inesistenti. Questo delitto è punito con la reclusione da 4 a 8 anni. La pena è stata notevolmente inasprita nel 2019 (prima il minimo era 1 anno e 6 mesi; ora la cornice edittale va da 4 a 8 anni). Data l’alta gravità attribuita a questa condotta, non esiste soglia di punibilità: costituisce reato anche l’utilizzo di fatture false per importi modesti. L’eventuale ammontare sotto 100.000 € rileva solo come circostanza attenuante speciale, comportando una riduzione della pena (reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni se gli elementi passivi fittizi sono inferiori a 100.000 €). La Corte Costituzionale ha giudicato non irragionevole l’assenza di una soglia minima, data la particolare insidiosità di questo reato commesso mediante documenti fraudolenti. Ai fini della consumazione, il reato si perfeziona al momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta (ad esempio, la dichiarazione annuale dei redditi o IVA contenente i dati falsi). Non è necessario che l’evasione d’imposta venga effettivamente realizzata: la Cassazione ha chiarito che l’effettivo mancato versamento dell’imposta non è un elemento costitutivo del reato, ma solo il fine ultimo (dolo specifico) perseguito. Dunque il delitto sussiste anche se “il trucco non ha funzionato” (ad es. il contribuente non ha ottenuto rimborsi o l’Agenzia ha scoperto subito la frode).
- Art. 8 D.Lgs. 74/2000 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: è la fattispecie speculare, che punisce chi emette o rilascia fatture false, al fine di consentire ad altri l’evasione. Tipicamente si riferisce al titolare o amministratore della “cartiera” o della ditta compiacente che “vende” documenti falsi. Anche questo reato è punito con la reclusione da 4 a 8 anni (ridotta a 1 anno e 6 mesi – 6 anni se l’importo complessivo delle fatture false è inferiore a 100.000 € per periodo d’imposta). La condotta si consuma nel momento stesso in cui le fatture vengono emesse o consegnate all’altra parte: è un reato istantaneo, non occorre attendere l’utilizzo nella dichiarazione da parte di qualcuno. Importante: l’art. 8 copre anche le fatture soggettivamente false – non solo le completamente inesistenti. Infatti, la Cassazione ha più volte ribadito che sebbene l’operazione sottostante sia avvenuta (nel falso soggettivo), il fatto di fatturarla a nome di un soggetto fittizio mira comunque a far evadere il fisco (occultando l’identità del vero fornitore e permettendo al cessionario di detrarre indebitamente). Anche la mancata individuazione del vero fornitore non esclude il reato: l’emissione di fatture false sussiste anche se non si individua chi abbia svolto effettivamente la prestazione, perché l’illecito sta nell’aver creato documenti mendaci per consentire evasioni. In sintesi, l’art. 8 colpisce chi alimenta il sistema fraudolento fornendo ad altri contribuenti “pezze giustificative” fasulle. La pena prevista (4–8 anni, o 1.5–6 anni sotto 100k) è identica a quella dell’art. 2, riflettendo la pari gravità attribuita al ruolo dell’emittente. Da notare che, a differenza dell’utilizzatore, per l’emittente non è prevista alcuna causa di non punibilità legata al pagamento del debito tributario: chi emette fatture false non ha un proprio debito fiscale da estinguere su quelle operazioni (di solito non dichiara nulla), quindi non beneficia dell’eventuale esimente per ravvedimento (vedremo oltre). Questo significa, ad esempio, che nel caso di una frode concordata, l’utilizzatore può salvarsi dal penale pagando tutte le imposte evase, mentre l’emittente (che magari ha già incassato un compenso in nero) risponderà comunque del reato.
- Concorso di persone e separazione dei ruoli: spesso nelle frodi complesse c’è un coordinamento tra chi emette e chi utilizza le fatture false. Viene naturale chiedersi: l’utilizzatore e l’emittente rispondono entrambi di tutti i reati? La giurisprudenza ha chiarito che no: l’imprenditore che utilizza fatture false risponde soltanto del reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2) e non concorre nel reato di emissione (art. 8) commesso dal fatturatore. Analogamente, chi emette non risponde del reato dell’utilizzatore. Le due fattispecie sono considerate autonome e parallele, con beni giuridici tutelati differenti, e non confluiscono in un unico disegno criminoso unitario. L’utilizzatore mira a evadere le proprie imposte; l’emittente mira a far evadere altri dietro compenso. Ciascuno quindi risponde del proprio reato. Esempio pratico: se Tizio, amministratore della Alfa Srl, utilizza fatture false emesse dalla cartiera Beta Srl di Caio, Tizio sarà imputato ex art. 2, Caio ex art. 8. Tizio non sarà correo nel reato di Caio (emissione), né Caio in quello di Tizio (utilizzo). Su questo punto si è espressa espressamente Cassazione penale, Sez. III, n. 16800/2022, escludendo la “doppia incriminazione” dell’utilizzatore per il fatto stesso di aver magari aiutato a predisporre la fattura fittizia. Naturalmente, se uno stesso soggetto in concreto realizza entrambe le condotte (ad es. un imprenditore che tramite una sua società cartiera si auto-emette fatture), potrà rispondere di entrambi i reati, ma come concorso formale di reati distinti, non come concorso di persone nel medesimo reato. Per la difesa, questo significa che non è lecito contestare ad un utilizzatore anche il reato di emissione solo perché ha procurato o concordato le fatture: le Procure un tempo a volte “duplicavano” le imputazioni, ma oggi la Cassazione (v. sentenze n. 16800/2022 e n. 45525/2023) offre solido appiglio per opporsi a tali duplicazioni.
- Pene accessorie e confisca: per reati tributari gravi come quelli in esame, oltre alla pena detentiva principale sono previste pene accessorie quali l’interdizione dai pubblici uffici e dalle cariche direttive delle imprese (per la durata della pena inflitta). Inoltre scatta la confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato. Di regola, nei reati di frode fiscale il profitto coincide con il vantaggio economico effettivamente ottenuto mediante la frode – tipicamente, le imposte evase. Se tale profitto non è rinvenibile in forma diretta (es. il denaro risparmiato o il guadagno illecito non è più disponibile), il giudice dispone la confisca per equivalente su altri beni di valore corrispondente, appartenenti al condannato. In fase di indagine viene spesso anticipata tramite sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., per congelare subito beni o conti fino a concorrenza dell’importo presunto dell’evasione. Un aspetto importante sottolineato dalla giurisprudenza (Cass. pen. Sez. III n. 25317/2023) è che, se ci sono più concorrenti nel reato, la confisca per equivalente può colpire ciascuno di essi fino all’intero importo del profitto accertato, indipendentemente dalla parte di profitto da ciascuno effettivamente trattenuta. Ciò in base al principio di solidarietà nel reato: tutti i correi rispondono in solido verso l’Erario. Dunque, tornando all’esempio, sia Tizio (utilizzatore) sia Caio (emittente) potrebbero vedersi sequestrare/confiscare fino all’intero ammontare delle imposte evase, anche se Caio magari ha “guadagnato” solo una provvigione. Per il contribuente accusato (debitore) è fondamentale sapere che in caso di condanna è inevitabile perdere il beneficio economico illecito: lo Stato recupererà comunque l’evaso tramite confisca. Infine, la condanna penale per frode fiscale viene segnalata alla Camera di Commercio e può incidere sul rating di affidabilità fiscale dell’azienda e sull’accesso a appalti o finanziamenti pubblici.
- Responsabilità delle persone giuridiche (D.Lgs. 231/2001): dal 2019 anche i reati tributari più gravi – inclusi l’art. 2 e l’art. 8 D.Lgs. 74/2000 – sono stati inseriti nel novero dei reati-presupposto che possono far sorgere la responsabilità amministrativa della società (ente) nel cui interesse o vantaggio siano stati commessi. In particolare, il D.L. 124/2019 (conv. L.157/2019) ha introdotto l’art. 25-quinquiesdecies nel D.Lgs. 231/2001, prevedendo sanzioni pecuniarie e interdittive a carico dell’ente per i reati di frode fiscale commessi dai vertici a suo beneficio. Ciò significa che un’azienda coinvolta in false fatturazioni rischia, oltre alle conseguenze per le persone fisiche (amministratori, soci, ecc.), anche sanzioni dirette per l’ente: ad esempio, una multa fino a 500 quote (che, col meccanismo delle quote, può arrivare a importi di alcune centinaia di migliaia di euro), nonché sanzioni interdittive come l’esclusione da contratti con la P.A., il divieto di esercitare l’attività, la revoca di licenze o finanziamenti, etc. L’unico modo per l’azienda di evitarle è provare di aver adottato modelli organizzativi e procedure di controllo idonee a prevenire quei reati (modelli 231). Dunque, in ottica difensiva, la società dovrà attivarsi per dimostrare la propria estraneità organizzativa: se può provare di avere efficaci sistemi di compliance fiscale e che l’illecito è avvenuto eludendo fraudolentemente tali sistemi, potrà andare esente o vedere attenuata la sanzione.
- Cause di non punibilità e attenuanti speciali: la riforma del 2019 ha portato un rilevante ampliamento degli strumenti premiali per chi intende regolarizzare la propria posizione fiscale prima o durante il procedimento penale. In particolare, è stata estesa anche ai reati di frode fiscale (artt. 2 e 3 D.Lgs. 74/2000) la causa di non punibilità per integrale pagamento del debito tributario, già prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000 per reati minori. In base a tale norma, se l’imputato estingue completamente i debiti tributari relativi ai fatti incriminati – comprensivi di imposte dovute, sanzioni amministrative e interessi – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale di primo grado, non è punibile per il reato. In altre parole, pagando spontaneamente tutto il dovuto al Fisco (ad esempio tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata dell’accertamento) entro l’inizio del processo, il reato viene estinto e non si viene condannati. Questa possibilità, un tempo non applicabile alle frodi (era esclusa proprio per i reati più gravi), dal 2019 copre anche l’utilizzo/emissione di false fatture – segno della volontà legislativa di incentivare il ravvedimento e il recupero del gettito. Va sottolineato che il pagamento deve essere integrale e tempestivo: devono coprire imposte, interessi e sanzioni amministrative e avvenire prima dell’apertura del dibattimento. Se il pagamento avviene invece dopo l’apertura del dibattimento ma prima della sentenza di primo grado, la non punibilità piena non opera più; tuttavia l’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000 prevede in tal caso un’attenuante speciale: la riduzione di pena fino alla metà se il debito tributario è estinto entro la sentenza di primo grado. Quindi: chi “corregge il tiro” in extremis evita il carcere (non punibilità) se paga proprio all’inizio del processo; chi lo fa un po’ più tardi subirà comunque una condanna ma con uno sconto di pena notevole. In sintesi, dal punto di vista difensivo, un imputato per fatture false dovrebbe valutare immediatamente con il proprio legale l’opportunità di pagare il debito tributario: se la prova della frode è schiacciante, pagare tutto e beneficiare della non punibilità può essere la scelta più saggia per evitare sanzioni penali gravi. Per completezza, segnaliamo che nel 2022 l’Agenzia delle Entrate ha emanato una circolare (Circ. 11/E del 12 maggio 2022) che ha confermato l’ammissibilità del ravvedimento operoso anche per violazioni inizialmente “fraudolente” (come l’uso di fatture false): ciò ha sciolto alcuni dubbi applicativi, sancendo che il contribuente può validamente presentare dichiarazioni integrative e versare il dovuto persino dopo aver commesso frodi, purché lo faccia prima di essere scoperto e comunque in tempo utile, ottenendo così sia la non punibilità penale (ex art.13) sia la riduzione delle sanzioni tributarie (sanzioni ridotte da ravvedimento).
Di seguito una tabella riepilogativa dei reati fiscali rilevanti e delle relative sanzioni penali previste (aggiornate alle modifiche introdotte dalla L. 157/2019):
Reato (D.Lgs. 74/2000) | Condotta illecita | Pena base | Note principali |
---|---|---|---|
Art. 2 – Dichiarazione fraudolenta mediante fatture false | Utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (inserimento di elementi passivi fittizi). | Reclusione 4 – 8 anni (ridotta: 1 anno e 6 mesi – 6 anni se < €100.000) | Reato senza soglia di punibilità (punibile anche importo minimo); richiesto dolo specifico di evasione. Non punibile se il contribuente paga tutto il dovuto prima del dibattimento (art. 13 D.Lgs. 74/2000). |
Art. 8 – Emissione di fatture false | Emissione o rilascio di fatture o altri documenti falsi per consentire l’evasione fiscale di terzi. | Reclusione 4 – 8 anni (ridotta: 1 anno e 6 mesi – 6 anni se < €100.000) | Reato istantaneo (si consuma all’emissione del documento). Configurabile anche per falsità soggettiva (non serve operazione totalmente inesistente). Non è necessario provare la realizzazione effettiva dell’evasione: basta l’emissione a fine fraudolento. Nessuna causa di non punibilità legata al pagamento (non applicabile l’art.13). |
(Art. 3 – Dichiarazione fraudolenta con altri artifici) | Frode fiscale senza uso di fatture false (es. operazioni simulate con altri mezzi, documenti alterati, artifizi vari). | Reclusione 3 – 8 anni (soglie di punibilità previste). | Non riguarda direttamente le fatture inesistenti; qui citato per completezza: art.3 è residuale rispetto all’art.2, riguarda altre frodi. |
Altre conseguenze penali | – – – | – – – | Confisca obbligatoria del profitto del reato (es. imposte evase) o equivalente su altri beni. Pene accessorie: interdizione dai pubblici uffici, interdizione da cariche societarie, ecc. Responsabilità enti ex D.Lgs. 231/2001: sanzione pecuniaria fino a 500 quote (circa max €800.000) + eventuali sanzioni interdittive (art. 25-quinquiesdecies). |
Nota: L’accesso al ravvedimento operoso – discusso più avanti – con integrale pagamento produce effetti positivi sia sul piano amministrativo (riduzione delle sanzioni tributarie) sia su quello penale (non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000, se avviene nei termini). Dal 2020 in poi è stato eliminato il divieto che un tempo impediva di ravvedersi in caso di frode già consumata, proprio per favorire la collaborazione dei contribuenti e il versamento del dovuto. Di conseguenza oggi anche condotte inizialmente fraudolente possono essere oggetto di ravvedimento, se spontaneamente regolarizzate in tempo utile (prima dell’inizio di controlli/verifiche): un forte incentivo a “ripulire” situazioni irregolari prima di subire procedimenti penali.
L’accertamento fiscale e l’onere della prova
Quando l’Agenzia delle Entrate (spesso a seguito di verifiche svolte dalla Guardia di Finanza) contesta l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, si avvia un procedimento di accertamento tributario con caratteristiche peculiari. In questa sezione esaminiamo come si svolge tale accertamento, focalizzandoci sul riparto dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente – nodo cruciale su cui si gioca la difesa – e sugli strumenti con cui l’Ufficio cerca di dimostrare la falsità delle operazioni. Comprendere questi meccanismi è essenziale per predisporre una strategia difensiva efficace.
Avvio e sviluppo dell’accertamento
Di norma, la contestazione di fatture false emerge nell’ambito di una verifica fiscale. Può trattarsi di una verifica generale (controllo ampio di contabilità e dichiarazioni) oppure di controlli mirati (ad esempio su crediti IVA anomali, su settori a rischio o su operazioni con determinati fornitori). Spesso l’innesco è dato da indagini della Guardia di Finanza o da controlli incrociati: ad esempio, quando viene scoperta una società cartiera che ha emesso fatture fittizie, l’Agenzia segnala tutti i clienti di quella cartiera che hanno dedotto i relativi costi, attivando accertamenti a cascata.
Durante l’accesso o l’ispezione fiscale (spesso effettuati presso la sede del contribuente), i verificatori esaminano la contabilità e la documentazione aziendale. Se ipotizzano che alcune fatture registrate siano false, raccolgono elementi a supporto: per esempio riscontri esterni presso i fornitori, analisi dei conti correnti (indagini bancarie su movimenti finanziari sospetti), incongruenze inventariali (merci in magazzino non coerenti con gli acquisti fatturati), verifica di documenti di trasporto e contratti, controlli in loco presso i fornitori segnalati (spesso le cartiere risultano sedi fittizie, senza dipendenti né attività reale). Un indizio comune è la “irreperibilità” o inattendibilità del fornitore: se la società che ha emesso la fattura risulta evasore totale, domiciliata presso un mero recapito, priva di struttura, con amministratori prestanome, ecc., i verificatori sospettano la falsa fatturazione. Anche i pagamenti sono analizzati: pagare con bonifico bancario di per sé non evita la contestazione (anzi, oggi praticamente tutti i pagamenti tra imprese avvengono tracciati); però i verificatori controllano cosa succede a valle del bonifico. Frequentemente, negli schemi di frode, la società cartiera dopo aver ricevuto il bonifico preleva i contanti (o li trasferisce altrove) restituendoli in nero all’utilizzatore, trattenendo una provvigione. Tracciando i flussi finanziari (ad es. prelevamenti in coincidenza, girofondi sospetti), l’Agenzia può raccogliere indizi che la transazione era fittizia e il denaro è rientrato al mittente. Tali elementi spesso emergono dalle indagini bancarie autorizzate ai sensi dell’art. 32 DPR 600/1973, tramite cui il Fisco può ottenere dagli istituti di credito i movimenti sui conti del contribuente e dei soggetti collegati.
Al termine della verifica, la Guardia di Finanza redige un processo verbale di constatazione (PVC) in cui dettaglia le irregolarità riscontrate e le violazioni contestate (in questo caso, fatture per operazioni inesistenti utilizzate). Il contribuente viene convocato per sottoscrivere il verbale e può rilasciare dichiarazioni. Attenzione: è fondamentale non firmare acriticamente verbali ammettendo i fatti, né rilasciare dichiarazioni avventate senza assistenza: ogni affermazione può pregiudicare la successiva difesa, specie in sede penale (dove potrebbe costituire quasi una confessione). È invece opportuno firmare “con riserva” o comunque senza alcuna ammissione, riservandosi di presentare memorie difensive.
Successivamente, l’Agenzia delle Entrate, valutati gli elementi (spesso recependo il PVC della GdF), emette un avviso di accertamento nei confronti del contribuente, in cui recupera le imposte evase (IVA indetraibile, IRES su costi indeducibili) e applica le relative sanzioni amministrative. L’avviso deve essere motivato, ossia spiegare su quali elementi si basa la contestazione di inesistenza delle operazioni.
Ripartizione dell’onere della prova
Chi deve provare cosa nei casi di fatture false? Questo è il fulcro di molte cause tributarie. La giurisprudenza, specialmente di legittimità (Cassazione), ha elaborato principi abbastanza chiari sul riparto dell’onere della prova in materia:
- Per operazioni oggettivamente inesistenti: l’onere iniziale è a carico dell’Amministrazione finanziaria, che deve offrire prove (anche presuntive) gravi, precise e concordanti che l’operazione fatturata non è mai avvenuta davvero. Bastano indizi robusti: ad es., il fornitore non esiste o nega di aver mai fornito quei beni, mancata esibizione di DDT o prove di consegna, incongruenze palesi (fatture di beni mai entrati in magazzino, ecc.). Raggiunta questa prova logica di inesistenza, si determina una inversione: spetta al contribuente provare eventualmente che invece l’operazione c’è stata (onere della prova contraria). In pratica, il Fisco deve dimostrare la fittizietà dell’operazione; il contribuente, per difendersi, dovrà a quel punto provare l’effettiva esistenza della stessa (cosa spesso impossibile se davvero inesistente). La sola regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non basta a vincere la presunzione di inesistenza.
- Per operazioni soggettivamente inesistenti: qui la Cassazione (sent. Sez. V n. 24471/2022) ha stabilito che il Fisco ha un duplice onere: provare sia che il fornitore è un soggetto fittizio (o comunque interposto rispetto all’effettivo) sia che il contribuente acquirente era consapevole della frode o comunque colpevolmente ignaro (cioè che avrebbe dovuto accorgersene usando l’ordinaria diligenza). In altre parole, nelle frodi “soggettive” IVA l’Amministrazione deve fornire elementi sia sulla falsità in sé (es. natura di cartiera del fornitore) sia sulla scientia fraudis del cessionario. Questo secondo aspetto può essere provato anche tramite indizi: ad es., prezzi anormalmente bassi o alti, fornitori senza struttura, pagamenti anomali, relazioni personali sospette tra le parti, ecc., tali da far presumere che l’acquirente “doveva sapere”. Una volta che il Fisco dimostri questi due elementi (fornitore fittizio + indizi di consapevolezza), spetta al contribuente l’onere di provare la propria buona fede, ossia di aver agito con tutte le cautele del caso senza rendersi conto della frode. Questo orientamento detto della “doppia prova” è ormai consolidato ed è stato confermato da Cass. n. 35091/2023. Quest’ultima sentenza ha anche ammonito i giudici a non dare per scontato che fornitore irregolare = operazione inesistente: occorre valutare con rigore caso per caso, perché spesso nella frode carosello la merce c’è (operazione reale) e ciò che è fittizio è solo il fatturante. Dunque la presenza di una cartiera non basta di per sé a negare ogni realtà dell’operazione; è necessario comunque valutare eventuali prove contrarie prodotte dal contribuente.
In sintesi, nei falsi oggettivi il contribuente ha la posizione più difficile (deve provare un fatto positivo, cioè che qualcosa è avvenuto, contro la tesi di totale inesistenza) mentre nei falsi soggettivi ha spazio per difendersi dimostrando la propria diligenza e buona fede. La Cassazione ha riconosciuto che “l’Amministrazione finanziaria non può esigere dal contribuente, al fine di assicurarsi di non partecipare a frodi altrui, verifiche più complesse di quelle esigibili da un accorto operatore in base alle circostanze concrete”. Ciò significa che se l’azienda ha fatto controlli ragionevoli (es. controllato la partita IVA del fornitore, verificato documenti come DURC, visto che i prezzi erano di mercato, ecc.), non le si può imputare colpa grave se il fornitore era fittizio. Su questo punto la giurisprudenza UE (sentenza Volkswagen C-153/17 e precedenti) tutela il contribuente incolpevole, affermando che il diritto a detrazione IVA non può essere negato a chi era del tutto ignaro e non poteva sapere della frode. Tuttavia la prassi italiana, come detto, tende comunque a negare la detrazione IVA anche all’incolpevole, limitandosi semmai a non applicare sanzioni. In sede di giudizio, il contribuente diligente potrà far valere queste tesi (anche invocando il diritto UE) per evitare almeno le sanzioni.
Il ruolo (limitato) della buona fede del contribuente
Spesso chi riceve una contestazione di fatture false tende a difendersi dichiarando: “Non ne sapevo nulla, pensavo fosse tutto regolare”. Ovvero invoca la propria buona fede e onestà, ritenendo ciò sufficiente a scagionarlo. È importante chiarire che, in ambito tributario, la buona fede soggettiva non impedisce il recupero delle imposte. Il sistema fiscale italiano è basato su obblighi oggettivi: se l’IVA è stata indebitamente detratta, deve essere comunque versata, a prescindere dall’intenzione. Analogamente, un costo fittizio non può rimanere dedotto solo perché “non lo sapevo”: verrà ripreso a tassazione. Dove la buona fede incide è sul piano sanzionatorio e, talvolta, penale: un contribuente realmente inconsapevole potrà evitare le sanzioni amministrative (per mancanza di dolo o per obiettiva incertezza, valutata caso per caso dal giudice tributario) e soprattutto evitare la condanna penale (manca l’elemento soggettivo del reato, il dolo intenzionale di evasione). Tuttavia, dovrà comunque rassegnarsi a pagare le imposte contestate. In altre parole, la buona fede ti salva dalla multa e dal carcere, ma non dalle tasse: l’IVA indebitamente detratta andrà restituita, perché sul piano oggettivo la detrazione non spettava. Questo principio è stato ribadito anche di recente (Cass. civ. Sez. V n. 28999/2024), sottolineando che l’IVA pagata a un falso fornitore è “fuori conto” e non detraibile, in quanto versata a un soggetto che non era debitore d’imposta. Semmai, il contribuente potrà rivalersi civilmente su chi lo ha ingannato, ma nei confronti dell’Erario l’IVA va versata. Sul fronte penale, la buona fede potrà portare il PM a chiedere l’archiviazione o il giudice all’assoluzione per difetto di dolo, se effettivamente emergono elementi convincenti di estraneità alla frode (ad esempio, nel caso di amministratore raggirato dal fornitore).
In definitiva, invocare la buona fede è un elemento difensivo importante ma non risolutivo. Una difesa efficace deve combinare l’argomento soggettivo (“non volevo evadere e non potevo accorgermene”) con prove oggettive a supporto (documenti che attestino la realtà dell’operazione, la diligenza usata nei controlli, ecc.), al fine di ottenere l’annullamento delle sanzioni e scongiurare il penale, pur sapendo che difficilmente si otterrà il mantenimento dei benefici fiscali (IVA/costo dedotto).
Profili temporali: termini di accertamento e prescrizione
Un ultimo cenno riguarda i tempi. Il contribuente che si difende deve sempre verificare se l’accertamento sia stato notificato entro i termini di legge e monitorare i termini di prescrizione in ambito penale.
- Termini di accertamento tributario: per le imposte dirette e l’IVA, i termini ordinari di decadenza per notificare gli avvisi di accertamento sono generalmente il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (ad es., dichiarazione 2020 su redditi 2019 -> accertamento fino al 31/12/2025). In caso di omessa dichiarazione, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo. Tuttavia, in presenza di violazioni rilevanti ai fini penali tributari (come l’utilizzo di fatture false), la legge prevede il cosiddetto raddoppio dei termini: l’art. 43 DPR 600/1973 (per imposte sui redditi) e l’art. 57 DPR 633/1972 (per IVA) stabiliscono che, se la notitia criminis è trasmessa alla Procura entro i termini ordinari, i termini di accertamento raddoppiano (diventando quindi 10 anni in caso di dichiarazione presentata, 14 anni in caso di omessa). Questo significa che il Fisco ha molto più tempo per contestare le frodi gravi. Occorre però che la denuncia penale sia stata inoltrata entro il termine ordinario; in mancanza, il raddoppio non opera. Nella pratica, comunque, quando si parla di fatture false l’Agenzia quasi sempre invia la segnalazione penale, quindi beneficia dei termini lunghi. È fondamentale per la difesa controllare le date: se, ad esempio, l’avviso di accertamento arriva oltre il quinto anno e non risulta alcuna denuncia nei termini, si potrà eccepire la decadenza dell’azione accertatrice.
- Prescrizione del reato penale: i reati di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000, dopo la riforma del 2019, hanno pene edittali elevate (minimo 4 anni). La prescrizione di tali reati, secondo le regole generali, matura in un tempo pari alla pena massima aumentata di un quarto (art. 157 c.p. e segg., tenuto conto delle sospensioni). Dato che la pena massima è 8 anni, la base sarebbe 8 anni; con l’aumento di un quarto si arriva a 10 anni. Inoltre, eventuali atti interruttivi (es. rinvio a giudizio) e sospensioni processuali (la riforma “Cartabia” del 2022 prevede la sospensione dopo la sentenza di primo grado fino a max 1 anno e 6 mesi) possono estendere ulteriormente tale termine. Orientativamente, oggi una frode fiscale si prescrive in circa 11-12 anni dal momento del fatto (la presentazione della dichiarazione fraudolenta, o l’emissione della fattura falsa) – salvo cause di sospensione che potrebbero estenderla. Va però ricordato che la presentazione di atti interruttivi (richiesta di rinvio a giudizio, sentenza, ecc.) fa decorrere almeno 3 anni ulteriori rispetto al termine base (è il c.d. “prolungamento Carnevale” di 3 anni ex art. 17 D.Lgs. 74/2000 per alcuni reati tributari). Inoltre, la legge 3/2019 (c.d. “spazzacorrotti”) ha abolito la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma tale riforma è stata in parte rivista dalla Cartabia. In sostanza, i calcoli prescrizionali sono complessi; qui basti dire che i reati di false fatturazioni hanno tempi di prescrizione molto lunghi, per cui non si può fare affidamento su uno “scadere” rapido del reato. Puntare sulla prescrizione può non essere una strategia efficace, a meno che i fatti non siano molto datati.
Difendersi dall’accusa di fatture false: strategie e prove
Affrontare un accertamento per operazioni inesistenti richiede una difesa ben preparata che combini argomentazioni giuridiche mirate e solide prove di fatto. Di seguito analizziamo le possibili strategie difensive dal punto di vista del contribuente (debitore) accusato di aver utilizzato fatture false, distinguendo i diversi ambiti.
Strategia generale di difesa
La prima regola è: contestare analiticamente le presunzioni del Fisco. Occorre esaminare ogni elemento addotto dall’Ufficio e cercare di smontarlo o almeno ridurne la portata. In concreto, una difesa efficace si articolerà su più fronti:
- Raccolta della documentazione: bisogna reperire e mettere in fila tutti i documenti che possano dimostrare la realtà dell’operazione contestata. Ad esempio: contratti, ordini, conferme d’ordine, corrispondenza e-mail col fornitore, eventuali DDT (documenti di trasporto) che attestino consegne di beni, rapporti tecnici o stati di avanzamento lavori (per servizi), evidenze di pagamento tracciabile (bonifici bancari, assegni) con indicazione di causale, documenti di entrata merci a magazzino, report di produzione o di utilizzo dei beni/servizi fatturati, ecc. Più si riesce a dimostrare che l’operazione commerciale è avvenuta (almeno dal lato dell’acquirente), più si indebolisce la tesi di “inesistenza” totale.
- Prove della diligenza e buona fede: soprattutto nei casi di presunta falsità soggettiva, è cruciale mostrare che l’azienda ha agito con tutte le cautele ragionevoli. Ciò può includere: visura camerale del fornitore effettuata all’epoca (per mostrare che era regolarmente iscritta, nulla di anomalo risultava); verifica della registrazione al VIES (se comunitario); richiesta e verifica di documenti come DURC o certificati SOA (nei lavori edilizi); conservazione di preventivi e offerte ricevute; confronti di prezzo di mercato (per dimostrare che non vi era un vantaggio “troppo bello per essere vero”); eventuali referenze avute da terzi sul fornitore; tracciabilità totale dei pagamenti (sempre fatti su conti intestati al fornitore, mai in contanti); assenza di relazioni personali o conflitti di interesse con il fornitore. Tutto ciò serve a dipingere il quadro di un contribuente accorto, che non aveva elementi per dubitare e che è stato eventualmente ingannato da altrui condotte fraudolente.
- Controllo formale dell’operato del Fisco: la difesa tecnica deve verificare se l’Agenzia ha rispettato tutte le garanzie procedurali. Ad esempio: è stato avviato il contraddittorio endoprocedimentale (se dovuto) prima dell’emissione dell’accertamento? Sono stati osservati i termini (ad es., se la verifica si è conclusa, l’avviso è stato notificato nei 60 giorni successivi o c’erano urgenze motivate)? L’atto impositivo è sufficientemente motivato e specifico nell’indicare gli elementi di prova della falsità? Vi sono vizi formali nelle notifiche? Spesso eccezioni di carattere procedurale (ad es. nullità della notifica, mancato rispetto del termine dilatorio, carenza di motivazione) possono portare all’annullamento dell’atto indipendentemente dal merito. Nel caso di più annualità coinvolte, va anche controllato il rispetto dei termini di decadenza (come detto sopra).
- Utilizzo di consulenti tecnici: in casi complessi, può essere utile affiancare un consulente tecnico (es. un revisore contabile, un ingegnere, un perito di settore) che possa redigere una relazione di parte a supporto. Ad esempio, un tecnico potrebbe attestare che i materiali fatturati risultano effettivamente incorporati nei prodotti dell’azienda (tramite analisi produttive), oppure che i lavori fatturati corrispondono a un risultato riscontrabile presso un cantiere. Oppure un consulente fiscale potrebbe ricalcolare l’IVA e dimostrare che, ad es., l’operazione era in reverse charge (nota: il meccanismo di reverse charge – inversione contabile IVA – in alcuni settori trasferisce l’obbligo di versamento IVA al committente; se un’operazione era soggetta a reverse charge e la fattura è stata emessa con IVA, questo potrebbe aver tratto in inganno il cessionario). Un perito grafologico potrebbe esaminare firme su DDT contestati. Insomma, investire in perizie può dare maggiore peso probatorio alle proprie tesi.
- Richiesta di testimonianze: tradizionalmente nel processo tributario non erano ammesse testimonianze orali. La riforma del 2022 ha però aperto alla possibilità di testimonianze scritte giurate in primo grado (art. 7, co. 5-bis D.Lgs. 546/92). Inoltre, la Cassazione (Sez. Unite n. 28433/2022) ha chiarito che il contribuente può produrre in Commissione Tributaria dichiarazioni rese da terzi in altre sedi, come verbali di testimonianza raccolti in sede penale. Ciò significa che, ad esempio, se un nostro fornitore “vero” ha confessato in un processo penale di essere lui l’effettivo esecutore dietro la cartiera, quella dichiarazione può essere utilizzata come prova a nostro favore nel giudizio tributario. Pertanto, la difesa può cercare dichiarazioni di terzi (trasportatori, subfornitori, ex dipendenti del fornitore) che confermino l’effettività delle prestazioni. Anche semplici dichiarazioni sostitutive di atto notorio sottoscritte da tali soggetti, pur non avendo valore di prova legale, possono essere prodotte a supporto.
In generale, l’atteggiamento migliore è essere proattivi: non limitarsi a negare le accuse, ma portare una contro-narrazione documentata. Ad esempio: “È vero che il nostro fornitore Beta poi è risultato essere una cartiera, ma noi abbiamo realmente ricevuto e utilizzato i beni, come provano questi DDT e queste schede di produzione; noi abbiamo controllato Beta all’epoca e sembrava regolare (vedi visura, DURC, ecc.); noi abbiamo pagato tutto via bonifico su conto intestato a Beta; dunque se c’è frode, ne siamo vittime inconsapevoli.”. Una ricostruzione fattuale dettagliata e credibile, supportata da prove, può convincere il giudice tributario a sposare la tesi difensiva almeno in parte (ad es. confermando il recupero IVA, ma concedendo la deducibilità dei costi e annullando le sanzioni per buona fede, come visto in l’Esempio 1 più avanti).
Difesa in sede penale e rapporto con il contenzioso tributario
Sebbene qui ci si concentri soprattutto sulla difesa dall’accertamento fiscale, bisogna tener presente che in parallelo – o in prospettiva – può esservi un procedimento penale a carico del contribuente per il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2). La difesa penale deve essere coordinata con quella tributaria, ma presenta logiche proprie.
Quando scatta il penale? Nel caso di false fatture, il procedimento penale scatta quasi automaticamente nei casi rilevanti, poiché – come detto – per l’art. 2 non esistono soglie di evasione al di sotto delle quali il fatto non è reato. Dunque anche utilizzi di fatture fittizie di importi modesti configurano il reato. La notizia di reato viene trasmessa dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate alla Procura competente, di solito contestualmente alla conclusione della verifica o all’emissione dell’accertamento (spesso il contribuente riceve sia l’avviso di accertamento sia, poco dopo, un invito a comparire o un’informazione di garanzia dalla Procura). Fanno eccezione solo casi veramente bagatellari o dubbi in cui l’Ufficio, a sua discrezione, potrebbe decidere di non attivare la denuncia, ma sono rari. In pratica, se emergono fatture false, ci si deve attendere un’indagine penale.
Indagini e istruttoria: una volta aperto il fascicolo penale (tipicamente per il reato ex art. 2), il PM e la Guardia di Finanza svolgono ulteriori accertamenti probatori. Molte prove saranno le stesse raccolte in sede tributaria (documenti, movimentazioni finanziarie, verbali, ecc.), ma in più in sede penale sono possibili strumenti investigativi più invasivi: ad esempio intercettazioni (in caso di sospetto di associazione a delinquere se la frode è sistemica, o se vi sono reati collegati come riciclaggio), perquisizioni e sequestri di documenti e dispositivi informatici, escussione di persone informate sui fatti, confronti tra le parti, rogatorie internazionali se la frode coinvolge l’estero, ecc. Dal punto di vista dell’imputato, è fondamentale sin da subito avvalersi di un avvocato penalista esperto in reati tributari, che guidi nella scelta se rendere dichiarazioni al PM (talvolta utile per chiarire la propria posizione, ma solo dopo attenta valutazione) e che inizi a costruire il dossier difensivo per contrastare l’accusa.
Elemento soggettivo (dolo): Nel reato ex art. 2 il PM deve provare che l’amministratore aveva l’intenzione di evadere le imposte tramite quelle fatture (dolo specifico di evasione). Questo si desume in genere dalle circostanze: l’inesistenza delle operazioni di per sé suggerisce lo scopo evasivo. La difesa cercherà di dimostrare il contrario, cioè che il contribuente non aveva consapevolezza della falsità delle fatture e quindi mancava in lui la volontà fraudolenta. Attenzione però: sostenere ciò in sede penale significa in sostanza dichiarare “sono stato vittima di una frode architettata da altri” – posizione difensiva possibile, ma che va supportata da elementi concreti (gli stessi che abbiamo discusso per la buona fede in sede tributaria). Se questi elementi convincono il PM, si potrà ottenere l’archiviazione; altrimenti si andrà a processo.
Scelte processuali: Data la gravità delle pene, se gli importi sono significativi l’imputato dovrà valutare con il legale se convenga cercare un rito alternativo (ad es. patteggiamento) oppure affrontare il dibattimento. La pena minima di 4 anni purtroppo esclude la sospensione condizionale (che è possibile solo per pene fino a 2 anni) e, in caso di condanna, rende ostica la possibilità di misure alternative senza almeno scontare una parte di pena. Tuttavia, grazie alla causa di non punibilità per pagamento integrale, l’imputato ha un asso nella manica per evitare la condanna: se paga tutto il dovuto prima del dibattimento (come visto), può puntare all’archiviazione o al proscioglimento. In alternativa, spesso si pattuisce una pena patteggiata sotto i 2 anni (ad esempio 1 anno e 6 mesi) con sospensione condizionale, se la situazione non permette l’esito assolutorio ma l’imputato non ha precedenti. Va però ricordato che per poter patteggiare su reati con pene edittali alte (oltre 5 anni) occorre aver pagato il debito tributario almeno prima della sentenza (la riforma “Cartabia” del 2022 lo ha previsto espressamente): quindi anche per patteggiare l’art. 2 occorre mettere a posto il Fisco. Insomma, sia per evitare il processo sia per poterlo chiudere con rito alternativo mite, la strategia penale spesso coincide con quella tributaria di definire l’accertamento e saldare il dovuto.
Emittenti di fatture false: particolarità difensive – Dal punto di vista del nostro “debitore” tipo (utilizzatore), l’emissione di fatture false riguarda l’altro lato della medaglia. Ma vale la pena spendere qualche parola su chi si trova accusato ex art. 8 (magari un amministratore che ha emesso fatture a una ditta collegata). Per l’emittente, non c’è la via della non punibilità pagando (come detto). L’obiettivo principale della difesa sarà dimostrare che magari quelle fatture non erano poi così fittizie (scenario non comune), oppure che il suo ruolo è stato marginale, da concorrente minore (es. un prestanome inconsapevole utilizzato da altri). Spesso, tuttavia, la miglior strada anche per l’emittente è il patteggiamento con pena sospesa, se incensurato, oppure la richiesta di misure come la messa alla prova (oggi ammessa anche per alcuni reati tributari in certi casi, nonostante incertezze giurisprudenziali). In pratica, l’emittente che vuole evitare il carcere punterà a ridurre la pena il più possibile con attenuanti (collaborazione, modesto profitto, ecc.) e poi a beneficiare di sospensione condizionale o misure alternative.
Conseguenze penali accessorie – Oltre alla reclusione, la condanna per art. 2 o 8 comporta pene accessorie: ad esempio l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni (se la pena inflitta è superiore a 3 anni) e l’interdizione dalle cariche di amministratore, sindaco, ecc. di imprese per una durata pari alla pena. Inoltre, come già detto, la confisca dei beni è obbligatoria. In sede di patteggiamento, le parti non possono escludere la confisca obbligatoria dall’accordo, al massimo concordare su quali beni far ricadere la confisca o l’importo, ma il giudice deve comunque disporla. Ciò va tenuto a mente: patteggiare non evita la perdita dei beni per il valore dell’evaso. Un’altra considerazione: se vi sono terzi estranei proprietari di beni su cui si iscrive sequestro/confisca (es. la moglie proprietaria della casa poi sequestrata perché il marito evasore ci ha investito denaro illecito), questi possono far valere la loro buona fede e chiedere la restituzione (recenti interventi, es. Corte Cost. n. 18/2023, hanno rafforzato la tutela dei terzi creditori o proprietari in buona fede in caso di confisca penale). Il difensore dovrà dunque considerare anche eventuali posizioni di terzi garantiti (banche con ipoteche su beni sequestrati, ecc.) nella gestione del sequestro.
Collegamento tra definizione fiscale e procedimento penale – Una domanda frequente è: “Se definisco l’accertamento tributario pagando imposte e sanzioni, il penale decade automaticamente?”. Risposta: non automaticamente, ma in molti casi sì, grazie all’istituto appena visto della non punibilità per pagamento integrale. Occorre però che il pagamento copra tutto il debito tributario (imposte + sanzioni + interessi) e avvenga nei termini utili (entro l’apertura del dibattimento). Se queste condizioni sono soddisfatte, la difesa dell’imputato chiederà al giudice di dichiarare il proscioglimento per avvenuto pagamento ex art. 13. L’eventuale definizione del procedimento tributario (es. acquiescenza, accordo in mediazione, conciliazione giudiziale) può essere un mezzo per quantificare e versare quanto dovuto. È importante sottolineare che l’Agenzia delle Entrate non rinuncia comunque al proprio accertamento: anche se il contribuente paga in sede penale, dovrà comunque formalizzare il pagamento delle imposte (presentando dichiarazione integrativa o accordandosi con l’Ufficio). A volte capita che il procedimento penale si chiuda prima che quello tributario sia definitivo: in tal caso, se l’imputato ha pagato il dovuto, il penale viene estinto, ma l’accertamento fiscale segue il suo corso per definire le somme. Se invece, al contrario, il contribuente vince in Commissione Tributaria dimostrando che non vi fu evasione, ciò potrebbe riflettersi positivamente sul penale (venendo meno il fatto materiale), ma non è automatico: il giudice penale non è vincolato dall’esito del giudizio tributario, anche se ne può tenere conto. In pratica, i due procedimenti viaggiano su binari paralleli ma comunicanti: coordinare le mosse è essenziale per evitare che una dichiarazione resa in un ambito pregiudichi l’altro (ad es. un’ammissione davanti al Fisco può essere usata in sede penale come prova di colpevolezza). Per questo motivo, quando si è in presenza di possibili risvolti penali, è consigliabile farsi assistere fin da subito sia da un tributarista sia da un penalista, o da un avvocato che abbia competenze integrate, in modo da pianificare una difesa unitaria su entrambi i fronti.
Giurisprudenza recente e casi rilevanti
Per avere un quadro avanzato e aggiornato, è utile conoscere alcune tra le più importanti pronunce degli ultimi anni su questa materia, che hanno consolidato principi fondamentali:
- Cassazione Civile, Sez. V, 9 agosto 2022 n. 24471: (operazioni soggettivamente inesistenti). Ha stabilito che, per recuperare l’IVA su acquisti da soggetti fittizi, l’Amministrazione deve provare sia la fittizietà del fornitore sia la consapevolezza (anche sotto forma di colpevole ignoranza) del cessionario. In altre parole, il Fisco deve fornire indizi che il contribuente avrebbe dovuto notare (fornitore anomalo, prezzi fuori mercato, ecc.), mentre il contribuente, per difendersi, deve dimostrare di aver agito senza alcuna consapevolezza della frode e con la massima diligenza. Questa pronuncia – recependo principi UE (causa Kittel e altre) – è alla base del nuovo orientamento della “doppia prova” nelle frodi soggettive, ed è stata richiamata da sentenze successive (es. Cass. n. 35091/2023, v. infra).
- Cassazione Civile, Sez. V, 14 dicembre 2023 n. 35091: ha confermato i principi di cui sopra (richiamando espressamente Cass. 24471/2022) e ha aggiunto un’osservazione importante: ha ammonito che spesso l’accertamento si fonda sulla presunzione logica “fornitore irregolare = fatture false”, ma ciò non è un automatismo corretto. Alla luce anche della riforma del processo tributario 2022 (che ha introdotto la possibilità di testimonianze scritte), il giudice deve valutare con rigore il peso di tale presunzione e considerare eventuali dichiarazioni di terzi. La Corte ha ricordato che lo schema tipico di frode IVA è l’interposizione soggettiva (frode carosello) dove la vendita è reale e la cartiera serve a evadere – scenario che implica operazione soggettivamente inesistente ma oggettivamente avvenuta. Quindi la semplice esistenza di una cartiera non basta a dire che l’acquirente non abbia ricevuto la merce: spesso la merce c’è, solo proveniva da un altro soggetto. Pertanto, la presunzione generalizzata “cartiera = tutto falso” non regge senza ulteriori evidenze sostanziali. Questo passaggio è utile alla difesa: se il Fisco ha ragionato in modo troppo semplicistico equiparando fornitore scorretto a operazione inesistente, la sentenza 35091/2023 fornisce appiglio per contestare la validità di tale assunto.
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 30 settembre 2022 n. 28433: (non specifica su fatture false, ma rilevante sul tema delle prove nel processo tributario). Le Sezioni Unite hanno sancito che rimane preclusa la testimonianza orale tradizionale in udienza, ma nulla vieta al contribuente di produrre dichiarazioni rese da terzi in altre sedi (es. verbali di testimonianze raccolte in un processo penale, o dichiarazioni scritte extra-giudiziali) e che il giudice tributario possa valutarle come elementi indiziari. Inoltre, come detto, la riforma del 2022 consente per le nuove cause alcune testimonianze scritte con giuramento. Questo significa che oggi è più facile utilizzare efficacemente le deposizioni dei fornitori o di altri soggetti a favore del contribuente (ad esempio, se un fornitore in sede penale ha ritrattato dicendo “in realtà la merce l’ho consegnata io veramente”, quella dichiarazione può essere portata in Commissione Tributaria come prova favorevole).
- Cassazione Civile, Sez. V, 20 dicembre 2021 n. 28628: (richiamata anche da Cass. 35091/2023) – caso di operazioni oggettivamente inesistenti. Ha ribadito che, in caso di contestazione di fatture per operazioni inesistenti, il contribuente deve provare l’effettiva esistenza dell’operazione, e che la sola regolarità formale di contabilità e pagamenti non è sufficiente a dimostrare la realtà. Servono riscontri materiali. Questa sentenza sottolinea quindi l’importanza della prova concreta (merce, servizi) nei falsi oggettivi: se non c’è, la posizione è indifendibile sul merito.
- Cassazione Civile, Sez. V, 14 ottobre 2022 n. 30018 (ord.): ha affrontato il tema della deducibilità dei costi in presenza di frodi. Ha confermato che i costi “soggettivamente” falsi (operazione reale, fornitore fittizio) sono deducibili ai fini del reddito, anche se il contribuente era consapevole della frode – a patto ovviamente che vi sia effettività e inerenza del costo – mentre restano indeducibili i costi “oggettivamente” falsi. Ciò in applicazione del principio della tassazione del reddito effettivo: se un costo, ancorché frutto di reato, ha effettivamente eroso il patrimonio dell’impresa ed è inerente, va dedotto, salvo sia escluso da altra norma (come appunto l’art. 14, c.4-bis L.537/93 in pendenza del processo). La sentenza precisa anche che se poi c’è condanna definitiva per reato tributario, quei costi diventeranno definitivamente indeducibili (applicazione dell’art. 14 citato). Implicazione pratica: un’azienda contestata per costi soggettivamente falsi può far leva su questa sentenza per chiedere di mantenere la deduzione di quei costi (pur pagando l’IVA e relative sanzioni), dimostrando che qualcuno quei beni/servizi li ha effettivamente forniti e un pagamento c’è stato. In sostanza, meglio pagare più IRES su utili gonfiati da costi fittizi o riconoscere il costo? La Cassazione propende per riconoscere comunque i costi reali, per non tassare ricavi mai conseguiti (non far pagare tasse su somme mai rimaste in tasca al contribuente).
- Cassazione Civile, Sez. V, 11 novembre 2024 n. 28999: (in linea con Cass. 20411/2024, citata da Sistema Ratio) – ha ribadito le motivazioni dell’indetraibilità IVA nelle operazioni soggettivamente inesistenti. Ha affermato chiaramente che quando fattura e realtà divergono nei soggetti, viene meno il presupposto della detrazione (l’operazione, ai fini IVA, non può considerarsi effettuata ai sensi dell’art. 19 DPR 633/72), poiché l’IVA è stata versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa né debitore d’imposta. In sostanza, l’IVA pagata al “falso” fornitore è considerata “fuori conto” e non detraibile. Questa sentenza conferma la linea dura sull’indetraibilità oggettiva dell’IVA anche nei casi di frode soggettiva, in coerenza col principio dell’art. 21 co.7 DPR 633/72 (già citato). Per il difensore significa che, anche dimostrando la buona fede, difficilmente si otterrà la detrazione in giudizio; al più si potranno evitare sanzioni, ma l’IVA resta un’imposta “oggettiva” che non ammette l’errore incolpevole come esimente (salvo ipotetici interventi della Corte di Giustizia UE in casi estremi futuri).
- Cassazione Penale, Sez. III, 17 aprile 2023 n. 16576: importante sul fronte penale. Ha chiarito che il reato di emissione di fatture false (art. 8) sussiste anche se non si individua chi abbia svolto effettivamente la prestazione e anche se poi l’evasione non si è realizzata, perché l’elemento costitutivo è la condotta di creare documenti mendaci per consentire l’evasione. Inoltre, ha sottolineato che l’effettivo mancato versamento d’imposta non è richiesto come evento del reato; rileva solo come dolo specifico (fine di evadere). Questa sentenza fornisce base per contrastare difese dell’emittente del tipo “ma io ho emesso la fattura però poi i terzi hanno versato l’IVA, quindi…”. Non regge: il reato si perfeziona al momento dell’emissione fraudolenta, a prescindere dall’effettivo successo o meno dell’evasione. Analogamente, per l’utilizzatore, ricorda che non conta se il trucco ha funzionato o meno, conta averci provato con documenti falsi – il reato di dichiarazione fraudolenta scatta indipendentemente dal risultato (non serve che l’imposta sia effettivamente evasa, basta l’intento e l’inserimento in dichiarazione).
- Cassazione Penale, Sez. III, 2 maggio 2022 n. 16800: ha stabilito che “l’imprenditore che utilizza fatture false risponde soltanto del reato di frode fiscale e non concorre nel reato di emissione di documenti falsi”. Ciò per evitare doppie incriminazioni: come spiegato, se sei utilizzatore non ti possono contestare anche l’emissione solo perché magari hai materialmente auto-prodotto la fattura intestandola a una cartiera consenziente. La Cassazione in quell’occasione ha escluso il concorso nel reato di emissione per l’utilizzatore, chiarendo la separazione dei ruoli. Questo precedente è utile perché talvolta in passato le Procure caricavano entrambe le imputazioni sui destinatari delle fatture; ora la difesa può opporsi richiamando questa pronuncia (e la successiva 45525/2023).
- Cassazione Penale, Sez. III, 27 ottobre 2023 n. 45525: ha affrontato nuovamente la questione del concorso di persone tra emittente e utilizzatore nelle frodi IVA. In linea con la sentenza 16800/2022, ha confermato che si tratta di fattispecie autonome e parallele, per cui l’utilizzatore non è correo nel reato di emissione. Inoltre, ha richiamato il concetto del “doppio dolo”: l’emittente deve avere il dolo di far evadere altri, l’utilizzatore il dolo di evadere lui stesso; sono fini paralleli ma distinti. Questa pronuncia quindi ribadisce e rafforza la distinzione delle responsabilità.
- Corte di Giustizia UE, 18 ottobre 2018, causa C-153/17 (Volkswagen): merita menzione in ambito europeo. La CGUE ha affermato che, in caso di frode a monte (fornitore evasore), se il cessionario è ignaro e non poteva sapere dell’altrui frode, il diritto a detrazione non può essere negato (principio di neutralità IVA). Tuttavia, ha anche riconosciuto che gli Stati membri possono esigere dal soggetto che detrae l’IVA un certo onere di diligenza (non estremo, ma adeguato alle circostanze). L’Italia, come visto, ha recepito solo in parte questi principi: ha introdotto la “doppia prova” (fornitore fittizio + scientia fraudis) ma continua di fatto a negare la detrazione in presenza di fattura soggettivamente falsa, anche a contribuenti incolpevoli, limitandosi al più a rimuovere le sanzioni. In casi estremi, un contribuente in buona fede potrebbe portare la questione davanti alla Corte di Giustizia se dovesse subire la perdita della detrazione nonostante la massima diligenza: la giurisprudenza UE tutela infatti il contribuente diligente e non permetterebbe di fargli sopportare l’IVA che il fornitore ha evaso. Al momento, tuttavia, la prassi interna resta quella descritta e occorrerebbe un intervento della CGUE ad hoc per cambiare l’orientamento nazionale.
In definitiva, la giurisprudenza recente consolida alcuni trend: maggiore attenzione alla posizione del contribuente inconsapevole (anche se ciò non gli salva comunque l’IVA, per ora), riconoscimento della deducibilità dei costi reali anche in presenza di frode (aspetto importante per ridurre i danni economici), e severità penale mitigata dalla possibilità di ravvedersi e pagare.
Dal punto di vista difensivo, citare le sentenze giuste può dare autorevolezza alle tesi sostenute. Ad esempio: per l’onere della prova si richiameranno Cass. 24471/2022 e 35091/2023; per la deducibilità dei costi Cass. 30018/2022; per la non doppia imputazione penale (separazione emissione/utilizzo) Cass. 16800/2022 e 45525/2023; per la non punibilità in caso di pagamento la L. 157/2019 e la Circ. AE 11/E-2022; e così via – tutte fonti autorevoli che in un contenzioso avanzato è opportuno mettere sul tavolo.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa si intende esattamente per “fattura per operazione inesistente”?
R: È una fattura emessa senza che vi sia un’effettiva operazione economica corrispondente, oppure emessa da un soggetto diverso dal reale fornitore dell’operazione. In sostanza, un documento falso o fittizio. Può trattarsi di una falsità oggettiva (nulla è avvenuto: la fattura documenta una vendita/prestazione mai accaduta) o soggettiva (il bene/servizio è stato ceduto davvero, ma da A a B, mentre in fattura risulta come ceduto da C, un prestanome). In entrambi i casi la fattura serve tipicamente a creare un costo fittizio e un credito IVA indebito per chi la utilizza, e spesso a consentire al vero fornitore di occultare il ricavo non fatturandolo.
D: Se pago la fattura con bonifico bancario tracciabile, sono al riparo da contestazioni?
R: No, il pagamento tracciabile di per sé non garantisce che l’operazione sia reale. È certamente un elemento positivo (un’azienda che paga con bonifico mostra trasparenza), ma purtroppo anche le operazioni fittizie vengono usualmente pagate con bonifico – proprio per dare parvenza di genuinità. Nelle frodi comuni, la società che riceve il bonifico (cartiera) spesso preleva i contanti e li restituisce al mittente, quindi il fatto che vi sia un bonifico non prova la sostanza economica. Detto ciò, poter esibire copia dei bonifici con causali specifiche, su conti intestati al fornitore, è utile nella difesa perché esclude pagamenti in nero e rientra tra le cautele adottate. Ma da solo non basta: occorrono altre prove dell’effettività (es. documenti di consegna merce, email di ordine, ecc.). In sintesi: pagare tramite bonifico è doveroso e vi tutela da guai peggiori (es. accuse di riciclaggio), ma non basta a dimostrare la veridicità di una fattura se tutto il resto indica il contrario.
D: Quali differenze ci sono tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti ai fini della difesa?
R: Nel caso di un’operazione oggettivamente inesistente (cioè mai avvenuta davvero), la difesa può solo cercare di dimostrare che invece l’operazione c’è stata davvero – il che, se la realtà è che non c’è stata, risulta impossibile. In mancanza di qualsivoglia prestazione reale, la posizione è indifendibile nel merito, salvo magari far leva su vizi procedurali o carenze di prova formale del Fisco. Invece, per un’operazione soggettivamente inesistente, la difesa può argomentare che l’operazione in sé è avvenuta (beni consegnati, servizi resi) e che il contribuente era in buona fede riguardo all’identità fittizia del fornitore. In tal caso, pur dovendo restituire l’IVA (secondo la legge italiana vigente), si può quantomeno ottenere l’annullamento delle sanzioni e – sul fronte penale – evitare incriminazioni dimostrando l’assenza di dolo. Inoltre, i costi reali sostenuti possono essere difesi come deducibili (v. Cass. 30018/2022) purché se ne provi l’inerenza, anche se fatturati da soggetto fittizio. Dunque la differenza cruciale è: nei falsi oggettivi non c’è molto da salvare (né imposte né sanzioni), nei falsi soggettivi si può salvare la deduzione dei costi e l’esenzione da sanzioni/reati, ma non l’IVA (che va comunque versata).
D: Quali segnali usa l’Agenzia delle Entrate per scoprire le fatture false?
R: I “campanelli d’allarme” per il Fisco sono diversi. Alcuni esempi: fornitori che risultano evasori totali, cessati o irreperibili; fornitori con codici ATECO incoerenti rispetto ai beni/servizi fatturati; volume d’affari anomalo (es. piccola società che fattura milioni a fronte di zero dipendenti e zero costi); indici di incoerenza IVA (richieste di rimborso IVA frequenti, crediti IVA sproporzionati); segnalazioni nell’Anagrafe tributaria o dallo spesometro su rapporti commerciali con soggetti a rischio; operazioni dichiarate ma non supportate da documentazione di trasporto o contratti; pagamenti sospetti (in contanti, frazionati, verso conti esteri non giustificati). La Guardia di Finanza spesso conduce indagini finanziarie: se scopre un flusso di denaro che dall’emittente torna all’utilizzatore (magari tramite prelievi in contanti), è un forte indizio di frode. Anche i controlli incrociati tra dichiarazioni IVA dei fornitori e dei clienti rivelano discrepanze (es. la cartiera che non versa l’IVA dichiarata). Infine, operazioni che in certi settori dovrebbero essere in reverse charge ma vengono fatturate con IVA possono far scattare verifiche (potrebbe significare che si è simulato un appalto con fatture “regolari” per coprire manodopera in nero, ad esempio). In sintesi, l’Agenzia incrocia molte banche dati e segue le tracce digitali delle fatture elettroniche: oggi è molto difficile farla franca con false fatture senza lasciare qualche anomalia rintracciabile.
D: Cosa rischio esattamente se l’Agenzia mi contesta fatture false?
R: In sede amministrativa rischi: il recupero dell’IVA detratta indebitamente, il recupero delle imposte sui redditi relative ai costi fittizi dedotti, e le relative sanzioni pecuniarie (in genere 90% delle imposte, aumentabili se recidivo o se evasioni molto rilevanti). Inoltre, dovrai pagare gli interessi maturati. Possono aggiungersi altri effetti: l’accertamento da fatture false consente all’Agenzia di iscriverti a ruolo le somme anche prima della sentenza (previa emissione di cartella dopo eventuale diniego in autotutela), e di chiedere misure cautelari amministrative (fermo amministrativo, ipoteche) se il debito è consistente. In sede penale, se la contestazione configura il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2 D.Lgs. 74/2000), rischi l’imputazione penale con una pena da 4 a 8 anni di reclusione (salvo attenuanti). Già durante le indagini potresti subire un sequestro preventivo sui tuoi beni fino a concorrenza dell’imposta evasa (strumento per garantire la futura confisca). Inoltre, verrai iscritto nel registro degli indagati e, in caso di condanna, avrai precedenti penali, interdizioni dai pubblici uffici e la confisca dei beni di valore corrispondente alle imposte evase. La notizia potrebbe avere anche riflessi reputazionali e commerciali (la frode fiscale è tra gli illeciti che fanno perdere l’affidabilità fiscale e possono portare a esclusione da gare pubbliche, ecc.). In sintesi: sanzioni fiscali + processo penale. Va detto però che entrambi possono essere neutralizzati con una corretta strategia: il processo tributario si può vincere o patteggiare sanzioni ridotte, e il penale si può estinguere pagando il dovuto (vedi domanda seguente).
D: Posso evitare il processo penale pagando le imposte dovute?
R: Sì, la legge oggi lo consente. Se il procedimento penale è per dichiarazione fraudolenta (art. 2) – e dal 2019 anche per altri reati di frode – l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la non punibilità a condizione che il contribuente paghi tutto il debito tributario (imposta evasa + sanzioni amministrative + interessi) prima del dibattimento penale di primo grado. In pratica, se prima che inizi il processo versi all’Erario ogni somma dovuta legata a quelle fatture, il giudice dichiarerà estinto il reato e non subirai condanna. Se il pagamento avviene un po’ più tardi – comunque entro la sentenza di primo grado – non eviti il reato, ma hai diritto a una forte riduzione di pena (fino alla metà, art. 13-bis). Questa è una chance importantissima per il contribuente-debitore: ti permette, se hai le risorse finanziarie o se riesci a reperirle magari accendendo un mutuo, di chiudere la vicenda penale senza macchia. Ovviamente pagare decine o centinaia di migliaia di euro non è semplice, ma spesso l’alternativa sarebbe rischiare il carcere. Nota: il pagamento deve essere integrale. Se ad esempio sono contestati 100k di IVA evasa e 90k di sanzioni, bisogna pagare l’intero ammontare (magari tramite definizione agevolata in sede tributaria con sanzioni ridotte, che però va perfezionata entro i termini). In conclusione: sì, puoi evitare la condanna penale pagando, a patto di farlo tempestivamente e completamente.
D: Posso rivalermi sul fornitore che mi ha emesso fatture false?
R: Sì, quantomeno in linea teorica hai alcuni strumenti di tutela civile verso chi ti ha indotto in errore. Se riesci a dimostrare che il fornitore (emittente) ti ha truffato presentandosi come onesto mentre era una cartiera, puoi valutare di citarlo in giudizio per risarcimento danni. I danni subiti includerebbero le imposte e sanzioni che hai dovuto pagare al Fisco a causa sua, nonché eventuali danni reputazionali o spese legali. In alternativa, se hai pagato delle fatture per prestazioni mai rese, potresti agire per restituzione di indebito arricchimento. Nella pratica, tuttavia, questi fornitori fittizi spesso sono soggetti nullatenenti o spariscono, quindi anche ottenere una sentenza di condanna civile potrebbe non tradursi in un recupero effettivo del denaro. Vale però la pena, qualora tu sia veramente incolpevole, di costituirti parte civile nel procedimento penale contro l’emittente (se c’è) per chiedere lì il risarcimento: se l’emittente viene condannato, il giudice penale potrebbe liquidare in tuo favore le somme (rendendo poi più facile eseguirle). In ogni caso, la strada civile è lunga e con esiti incerti se il debitore è insolvibile. È più efficace, piuttosto, attuare un controllo preventivo sui fornitori per non trovarsi in queste situazioni.
Simulazioni pratiche (casi di esempio)
Per capire in modo più concreto come applicare i principi esposti, proponiamo ora alcune simulazioni pratiche, cioè casi ipotetici (basati su situazioni ricorrenti nella pratica italiana) con l’indicazione di come dovrebbe muoversi il contribuente (debitore) in ciascuna situazione e quali potrebbero essere gli esiti.
Esempio 1: Operazione soggettivamente inesistente con contribuente inconsapevole
Scenario: La Alfa Srl acquista semilavorati di alluminio dalla Beta Srl per €50.000 + IVA €11.000. La merce viene effettivamente consegnata ad Alfa e utilizzata nel suo processo produttivo. Alfa paga Beta con regolare bonifico bancario. Dopo un anno, emerge (da indagini della GdF) che Beta Srl è in realtà una cartiera: non aveva struttura né dipendenti e fungeva solo da emittente di fatture; i semilavorati in realtà provenivano dalla Gamma Spa, una grossa fonderia che vendeva “in nero” usando Beta come schermo. Alfa Srl non sapeva nulla di Gamma Spa: per lei, formalmente, il fornitore era Beta, presentatole da un intermediario. L’Agenzia delle Entrate contesta ad Alfa l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (fornitore fittizio) e le notifica un avviso di accertamento chiedendo: il versamento dell’IVA detratta (€11.000) + interessi + sanzione 90% (€9.900) e il recupero di €50.000 di costo indeducibile, con maggior IRES (€12.000) + sanzione 90% (€10.800). Totale pretesa circa €43.700 tra imposte e sanzioni (oltre interessi). Contestualmente parte la notizia di reato: amministratore di Alfa indagato ex art. 2, amministratore di Beta indagato ex art. 8, responsabili di Gamma indagati (per frode carosello internazionale).
Difesa del contribuente: Alfa Srl, con il supporto di un legale tributarista, prepara ricorso contestando sia nel merito sia nel quantum. La linea è dimostrare di aver agito in totale buona fede e contestare il riparto dell’onere probatorio. In particolare, porta in giudizio una serie di documenti chiave: (a) le visure camerali e fiscali di Beta Srl all’epoca dei fatti, da cui risultava attiva, iscritta in CCIAA, con sede e un amministratore (sig. Rossi) incensurato – nessun segnale evidente di anomalia; (b) le email di ordine e conferma scambiate con Beta, in cui Beta comunicava coordinate bancarie e condizioni come un normale fornitore; (c) i DDT firmati dal trasportatore che consegnò i semilavorati ad Alfa, indicanti Beta Srl come mittente; (d) una dichiarazione testimoniale giurata del titolare dell’azienda di trasporto, che conferma di aver ritirato la merce presso la fonderia Gamma su incarico di Beta (ciò rivela che Beta era un intermediario, ma Alfa spiega di non aver potuto saperlo all’epoca); (e) un’analisi di mercato che mostra che il prezzo pagato (€50k per tot tonnellate di alluminio) era in linea col mercato, dunque Alfa non aveva ottenuto alcun vantaggio economico anomalo; (f) evidenze interne che Alfa ha correttamente contabilizzato e utilizzato quei semilavorati nella produzione (registro di produzione che mostra output coerenti con quell’input di alluminio, ecc.). Inoltre, Alfa sottolinea che Beta Srl risultava persino in regola col DURC all’epoca (Beta aveva fornito un DURC valido – magari ottenuto in modo fraudolento, ma Alfa non poteva accorgersene).
Giuridicamente, Alfa Srl argomenta che l’Agenzia non ha provato che Alfa fosse consapevole della frode – Beta aveva tutta l’apparenza di un fornitore legittimo. Invoca la giurisprudenza che richiede la prova della conoscibilità della frode con ordinaria diligenza (Cass. 24471/2022 etc.), e evidenzia di aver esercitato la diligenza media: ha controllato la partita IVA, l’iscrizione al Registro Imprese, ha un contratto firmato, ha pagato su conto intestato a Beta, aveva persino un DURC del fornitore, ecc. Dunque chiede l’annullamento dell’atto, quantomeno nella parte sanzionatoria e – se possibile – anche sul recupero di IVA e costi.
Possibile esito: La Corte di Giustizia Tributaria, vista la documentazione, potrebbe ritenere che effettivamente l’operazione c’è stata (merce consegnata e usata) e che Alfa Srl non era connivente. A questo punto sono possibili più soluzioni:
- (i) Soluzione favorevole parziale: il giudice conferma il recupero dell’IVA (perché l’art. 21 co.7 DPR 633/72 è implacabile: Beta non era il vero cedente, quindi la detrazione IVA non spetta), ma annulla le sanzioni IVA riconoscendo l’errore scusabile o la buona fede, e riconosce la deducibilità del costo ai fini IRES perché effettivamente sostenuto e inerente. Quindi Alfa dovrebbe versare i €11.000 di IVA (con interessi) ma non la sanzione su di essa, e non pagherebbe nulla per l’IRES (né imposta né sanzione, mantenendo il costo dedotto). In numeri, pagherebbe forse 13-14k invece di 43k.
- (ii) Soluzione favorevole totale: il giudice – magari ispirandosi al diritto UE – annulla anche il recupero dell’IVA, sostenendo che negare la detrazione in caso di comprovata buona fede contrasta coi principi comunitari. Non tutti i collegi osano tanto, ma qualcuno sì (soprattutto a seguito della sentenza Volkswagen). In tal caso Alfa vincerebbe su tutti i fronti e nulla sarebbe dovuto (scenario ideale, anche se non garantito).
- (iii) Soluzione sfavorevole: il giudice ritiene valida la tesi dell’Ufficio: Beta era falsa, poco importa la buona fede, e conferma integralmente l’atto. In tal caso Alfa potrebbe comunque fare appello e avrebbe buone chance di spuntarla in secondo grado almeno sulla parte sanzioni/costi, dato l’orientamento Cassazione favorevole su costi deducibili e diligenza. Nel frattempo, sul piano penale, l’amministratore di Alfa è stato indagato, ma la sua difesa presenta le stesse prove di buona fede al PM e riesce ad evitare il rinvio a giudizio: il PM chiede l’archiviazione per mancanza di elementi sul dolo specifico (ritenendo plausibile che Alfa fu vittima). Beta Srl e Gamma Spa invece verranno perseguite penalmente (Beta come emittente, Gamma per frode carosello). Alfa, dopo questa disavventura, d’ora in avanti farà controlli ancor più accurati sui nuovi fornitori.
Esempio 2: Operazione oggettivamente inesistente orchestrata dal contribuente (frode “classica”)
Scenario: La Delta Srl, per abbattere il proprio utile fiscale, si accorda con l’amico Epsilon (titolare di una ditta individuale di fatto inattiva) per farsi emettere fatture di consulenza informatica inesistenti. Nel corso di un anno, Epsilon emette a Delta fatture per €80.000 + IVA €17.600, descrivendo “sviluppo software” mai avvenuto. Delta registra le fatture, paga Epsilon con bonifico, poi Epsilon preleva i contanti e restituisce in nero l’80% dell’importo a Delta (trattenendo per sé un 20% di commissione). L’anno seguente, la frode viene scoperta durante una verifica fiscale (magari perché Epsilon era già sospetto in altre operazioni e la GdF risale a Delta). L’Agenzia notifica a Delta un accertamento recuperando €17.600 di IVA + interessi + sanzione 90% (€15.840), e negando la deducibilità di €80.000 di costi, con maggior IRES €19.200 + sanzione 90% (€17.280). Totale circa €69.000 più interessi. Contestualmente parte la denuncia penale: amministratore di Delta indagato ex art.2, Epsilon indagato ex art.8, eventuali altri complici indagati per associazione a delinquere (se emerge che Epsilon “vendeva” fatture a più imprese come sistema organizzato).
Difesa del contribuente: In questo caso Delta Srl non ha vere prove a discarico perché davvero il lavoro non c’è stato. Formalmente esistono solo le fatture e i bonifici, ma non c’è alcun software, nessun report di attività, nulla. L’unica strategia difensiva sul piano tributario potrebbe essere cercare qualche appiglio procedurale: ad esempio eccepire un vizio di notifica, oppure la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale se era dovuto – insomma, questioni formali, sperando in un vizio che annulli l’atto (cosa difficile, perché l’Ufficio solitamente sta attento in questi casi). Sul merito, non c’è molto da difendere: la contabilità è falsa e il Fisco ha ragione. Delta Srl, capito di essere nei guai, sceglie la via del “limitare i danni”: attiva il ravvedimento postumo, ossia cerca un accordo con l’ufficio in sede di adesione o conciliazione. Ad esempio, se l’ufficio offre la chiusura con sanzioni ridotte a 1/3, Delta potrebbe accettare, pagando imposta + 1/3 delle sanzioni (invece del 100%). In parallelo, prepara la strategia penale.
Possibile esito: Data la mala fede conclamata (probabilmente provata dalla GdF anche con intercettazioni o con la confessione di Epsilon), Delta Srl non ha scampo in sede tributaria: l’accertamento verrà confermato in pieno. Forse riesce a ridurre le sanzioni in fase pre-contenziosa (adesione), ma di poco. Dovrà quindi pagare tutto il dovuto (però magari in forma rateizzata). Sul piano penale, l’amministratore di Delta decide di giocare la carta del ravvedimento: paga integralmente i €69.000 + interessi prima dell’udienza. Così, quando il caso va a dibattimento, il suo avvocato chiede l’applicazione dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000: il tribunale dichiara il reato non punibile per intervenuto pagamento (il PM potrebbe opporsi solo se dubita che il pagamento sia completo, ma qui è completo). L’amministratore si salva dal carcere, sebbene la società abbia dovuto sborsare una grossa somma. Epsilon, l’emittente, invece non può usufruire di cause estintive (non aveva debiti tributari da pagare, a parte quell’IVA che comunque gli verrà richiesta dall’Agenzia essendo debitore d’imposta, con relative sanzioni – ma ciò non lo salva dal penale). Epsilon patteggia: ad esempio 1 anno e 8 mesi con sospensione condizionale, e paga una multa.
Questo esempio evidenzia come, in una frode conclamata orchestrata dal contribuente stesso, l’unica difesa sensata sia limitare i danni: collaborazione e pagamento per evitare il peggio (il carcere). Non essendoci difese nel merito, la strategia è tutta procedurale (accordi col Fisco per ridurre sanzioni, patteggiamenti con la Procura per ridurre la pena). Il punto di vista del debitore colpevole qui cambia: non può “vincere” la causa, ma può cercare di uscirne con il minor danno possibile.
Esempio 3: Caso particolare – fattura falsa scoperta dal contribuente stesso e regolarizzazione
Scenario: La Zeta Spa commissiona lavori di manutenzione industriale a un fornitore, Ypsilon Srl. Dopo aver pagato fatture per €100.000 + IVA €22.000 e averle già detratte/dedotte, Zeta scopre (per vie informali, o perché l’amministratore di Ypsilon viene arrestato per frodi) che Ypsilon era in realtà una cartiera e che i lavori li ha eseguiti un subappaltatore in nero. Zeta Spa, preoccupata, decide di correre ai ripari prima di ricevere qualunque accertamento: contatta il proprio commercialista e avvocato per procedere a una sanatoria spontanea.
Azione intrapresa: Zeta Spa, su consiglio dei professionisti, presenta una dichiarazione integrativa per l’anno in questione: elimina quei €100.000 di costi dal bilancio fiscale e riduce il credito IVA di €22.000 che aveva detratto. Paga quindi le maggiori imposte dovute: IRES 24% su 100k = €24.000, IRAP 3,9% = €3.900, IVA €22.000 da restituire – totale imposte circa €49.900 – più i relativi interessi. Contestualmente versa le sanzioni ridotte da ravvedimento: calcola la sanzione base 90% su 22k IVA = 19,8k; 90% su 24k IRES = 21,6k; 90% su 3,9k IRAP = ~3,5k; totale sanzioni base ~€44.900, ridotte a 1/8 (essendo ravvedimento oltre l’anno ma prima di PVC) = circa €5.600. Dunque paga circa €55.000 di imposte e circa €5.500 di sanzioni, oltre a qualche migliaio di euro di interessi. Invia all’Agenzia Entrate tutta la documentazione del ravvedimento operoso effettuato.
Esito: L’Agenzia delle Entrate verifica e accoglie il ravvedimento: non emette alcun avviso di accertamento sanzionatorio (forse notificherà solo un esito di liquidazione). Zeta Spa evita così l’atto impositivo e le relative sanzioni piene (che sarebbero state, se calcolate a posteriori, circa ~90k di imposte e ~80k di sanzioni, quasi quattro volte di più di quanto pagato in ravvedimento). Sul piano penale, la Procura comunque indaga l’amministratore di Zeta per utilizzo di fatture false (poiché Ypsilon è emersa come cartiera). Tuttavia, essendo Zeta intervenuta spontaneamente prima della notifica di atti e soprattutto prima del dibattimento penale, il suo legale fa valere la causa di non punibilità: Zeta ha estinto tutto il debito tributario (ha pagato imposte, sanzioni, interessi) come richiesto dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000. Quindi il PM con ogni probabilità chiederà l’archiviazione, o al massimo il giudice dichiarerà il proscioglimento per intervenuto pagamento. L’amministratore esce pulito (fedina immacolata). Certo, Zeta ha dovuto sborsare ~60k, ma ha evitato un possibile esborso molto maggiore (sanzioni al 90% su 49,9k sarebbero state ~44,9k, quasi otto volte tanto rispetto ai 5,5k pagati col ravvedimento) e soprattutto ha scongiurato rischi penali. Inoltre, avendo dimostrato collaborazione attiva, evita danni reputazionali o interdittivi. In Commissione Tributaria non si è neppure dovuti andare, perché l’Agenzia non ha emesso l’accertamento (o se l’aveva emesso, lo ritira in autotutela data la definizione intervenuta).
Commento: Questo esempio mostra come un contribuente che si accorge per tempo di avere in contabilità fatture potenzialmente inesistenti possa (e dovrebbe) autodenunciarsi fiscalmente per limitare le conseguenze. È la strategia del ravvedimento operoso, ora resa possibile anche nei casi di frode dopo le riforme recenti. Non è propriamente una “difesa” in contenzioso, bensì un case study di prevenzione e difesa attiva: prima che sia il Fisco a colpirti, ti correggi da solo. Il rovescio della medaglia è dover pagare comunque le tasse inizialmente evitate, ma quantomeno con un forte sconto sulle sanzioni e con l’immunità penale.
Questi esempi coprono alcune situazioni tipiche: il contribuente davvero ignaro (esempio 1), il contribuente complice attivo (esempio 2) e il contribuente che corre ai ripari (esempio 3). Ovviamente, ogni caso reale presenta sfumature diverse, ma i principi applicati rimangono quelli discussi nella guida.
Conclusioni
Le fatture per operazioni inesistenti rappresentano una mina fiscale e legale sul cammino di ogni contribuente e imprenditore. Difendersi con successo da un’accusa di false fatture richiede un approccio metodico: conoscenza approfondita delle norme, prontezza nel raccogliere ed esibire prove concrete, e abilità nel far valere i propri diritti procedurali e la giurisprudenza favorevole. Dal punto di vista del debitore/contribuente, è fondamentale:
- Agire con diligenza preventiva, per evitare di incappare in fornitori o situazioni rischiose. Prevenire è la miglior difesa: se mantieni la contabilità libera da fatture sospette, non dovrai poi combattere battaglie incerte. Ad esempio, effettua controlli di base sui nuovi fornitori (visure, referenze, verifica attività effettiva) e diffida di offerte economicamente anomale.
- Se arriva un accertamento, non farsi prendere dal panico ma predisporre una linea difensiva solida, basata sui fatti e non su mere dichiarazioni di buona fede. Ogni documento utile va prodotto a sostegno della genuinità delle operazioni; ogni falla nell’impianto accusatorio va sfruttata. È consigliabile farsi assistere subito da professionisti (avvocato tributarista, eventualmente commercialista forense) per impostare correttamente le controdeduzioni e i ricorsi.
- Comprendere che la buona fede aiuta ma non risolve tutto: nel migliore dei casi ti salva da sanzioni e reati, ma potresti comunque dover pagare le imposte contestate. Ciò sprona ad essere doppiamente prudenti negli affari: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio quando si tratta di nuovi partner commerciali di cui non si ha certezza. Meglio qualche verifica in più prima, che trovarsi a giustificarsi dopo.
- Valutare pragmaticamente le opzioni di definizione agevolata e ravvedimento: a volte è più conveniente (e meno dispendioso, anche in termini di reputazione) pagare il dovuto con gli sconti previsti, piuttosto che imbarcarsi in lunghe cause dall’esito incerto. Altre volte, invece, si hanno valide ragioni per resistere, e allora conviene andare fino in fondo in Commissione (ed eventualmente in appello e Cassazione). L’importante è fare un costo-beneficio realistico sin dall’inizio, senza farsi guidare dall’orgoglio ma dall’interesse concreto dell’azienda.
- Coordinare sempre la difesa tributaria e quella penale, perché sono due fronti della stessa guerra. Un passo falso in un ambito può costare caro nell’altro. L’ideale è muoversi con consulenti esperti che integrino le strategie (es. evitare di fare ammissioni affrettate in sede fiscale che possano nuocere in sede penale, a meno di puntare tutto sulla causa di non punibilità per pagamento).
In ultima analisi, il messaggio di questa guida è che difendersi è possibile – soprattutto quando si è effettivamente nel giusto – ma richiede impegno, competenza e preparazione. Le Corti tributarie e la Cassazione negli ultimi anni hanno mostrato sensibilità nel distinguere il grande evasore che costruisce frodi dal contribuente onesto tratto in inganno: il primo va punito severamente, il secondo va messo in guardia ma non distrutto. Come affermato in giurisprudenza, “l’Amministrazione finanziaria non può esigere dal contribuente, al fine di assicurarsi che non partecipi a frodi altrui, verifiche più complesse di quelle esigibili da un accorto operatore in rapporto alle circostanze concrete”. Ciò significa che se hai fatto tutto il ragionevole, il sistema – in teoria – ti tutela. Resta però vero che chi utilizza fatture false (anche senza saperlo) subirà comunque conseguenze: quantomeno la perdita del beneficio fiscale indebito. Il punto di vista del debitore deve quindi combinare la difesa tecnica con una riflessione pratica: conviene davvero rischiare? La risposta è no. Questa consapevolezza, unita alle informazioni dettagliate fornite in questa guida su “come difendersi dall’accertamento”, speriamo metta i lettori e gli operatori in grado non solo di fronteggiare un’eventuale verifica, ma soprattutto di navigare nell’attività economica quotidiana con maggiore prudenza e coscienza, riducendo al minimo il pericolo di incorrere in fatture per operazioni inesistenti.
In sintesi: chi è debitore senza colpa può (e deve) far valere le proprie ragioni e ha strumenti per evitare le sanzioni peggiori; chi è debitore perché ha tentato la via facile dell’evasione tramite false fatture, sappia che la legge oggi offre poche scappatoie – una su tutte, il ravvedimento sincero con pagamento integrale – e che la tolleranza è zero verso questo comportamento. Conoscere le regole del gioco fiscale, come abbiamo illustrato, è il primo passo per non diventarne vittima.
Fonti e riferimenti
Approfondimenti dottrinali: F. Del Giudice, Fatture false: struttura, giurisprudenza e profili difensivi del reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000 (2021) – analisi dettagliata del reato di dichiarazione fraudolenta con fatture; R. Galluccio, Reati tributari: sequestro e confisca del denaro lecitamente affluito sui conti correnti (Fisco&Tasse, 6 giugno 2023) – sulle problematiche del sequestro di somme lecite in ambito di confisca tributaria; M. Miceli, Accertamento delle operazioni inesistenti (Il Fisco, 2022) – sul riparto dell’onere della prova e le ultime riforme del processo tributario.
D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (IVA) – Art. 21, comma 7 (fatture per operazioni inesistenti: IVA dovuta per l’intero importo indicato in fattura); Art. 54, comma 2 (rettifiche IVA mediante presunzioni semplici in caso di operazioni inesistenti).
D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 – Art. 39, comma 1, lett. d) (accertamento induttivo delle imposte sui redditi su presunzioni gravi, precise e concordanti, in presenza di contabilità inattendibile).
Legge 24 dicembre 1993 n. 537, art. 14 comma 4-bis – (Indeducibilità dei costi da reato tributario), introdotto dalla L. 388/2000 e modificato dal D.L. 2 marzo 2012 n. 16 (conv. L. 44/2012).
D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 (reati tributari) – Art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti); Art. 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti); Art. 9 (disciplinante il mancato concorso tra emittente e utilizzatore); Art. 13 e 13-bis (Causa di non punibilità per pagamento integrale del debito tributario e attenuante per pagamento tardivo).
Legge 19 dicembre 2019 n. 157 (conversione D.L. 124/2019 “Decreto Fiscale 2020”) – Ha inasprito le pene per i reati di frode (art. 2 e art. 3 D.Lgs.74/2000) portandole a 4–8 anni, ha esteso l’applicabilità della non punibilità ex art.13 anche ai reati di frode, e ha introdotto i reati tributari (compresi art.2 e 8) tra i reati-presupposto del D.Lgs. 231/2001 (art. 25-quinquiesdecies).
Circolare Agenzia Entrate n. 31/E del 30 dicembre 2020 e Circolare AE n. 11/E del 12 maggio 2022 – Chiarimenti in materia di ravvedimento operoso e definizione in casi di violazioni “fraudolente”. Confermano l’ammissibilità del ravvedimento anche per dichiarazioni fraudolente ex art. 2 D.Lgs.74/2000 (dopo le modifiche del 2019).
Cass. Civ., Sez. V, 16 giugno 2020 n. 11624: onere della prova nei casi di fatture oggettivamente inesistenti – il Fisco deve fornire indizi gravi di inesistenza e allora spetta al contribuente provare l’effettiva esistenza (non bastano le mere scritture formali).
Cass. Civ., Sez. V, 18 ottobre 2021 n. 28628: operazioni oggettivamente inesistenti – il contribuente deve provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; la regolarità formale (fatture, pagamenti) è elemento neutro e non prova la sostanza.
Cass. Civ., Sez. V, 9 agosto 2022 n. 24471: operazioni soggettivamente inesistenti – duplice onere probatorio a carico del Fisco (fornitore fittizio e consapevolezza del cessionario); onere di diligenza a carico del contribuente ignaro.
Cass. Civ., Sez. V, 14 ottobre 2022 n. 30018 (ord.): deducibilità dei costi “soggettivamente” falsi (operazione reale) anche se c’è frode, salva effettività/inerenza; indeducibilità dei costi “oggettivamente” falsi.
Cass. Civ., Sez. Unite, 30 settembre 2022 n. 28433: prova testimoniale nel processo tributario – preclusa l’audizione orale, ma utilizzabili dichiarazioni rese da terzi in altri procedimenti e, dal 2023, possibili testimonianze scritte (v. art.7 co.5-bis D.Lgs. 546/92).
Cass. Civ., Sez. V, 20 dicembre 2023 n. 35091: conferma orientamenti su onere della prova per frodi oggettive e soggettive (“doppia prova”), critica l’automatismo “fornitore irregolare = fatture false”, richiede rigorosa valutazione delle presunzioni semplici alla luce della riforma 2022.
Cass. Civ., Sez. V, 23 luglio 2024 n. 20411: principio di indetraibilità IVA ex art.21 co.7 DPR 633/72 sempre e comunque, anche per operazioni soggettivamente inesistenti (seppur reali), salvo rivalsa verso il fornitore (richiamata da dottrina e giurisprudenza di merito).
Cass. Civ., Sez. V, 11 novembre 2024 n. 28999: motivazioni dettagliate sull’indetraibilità dell’IVA in operazioni soggettivamente inesistenti – l’IVA pagata a un soggetto non legittimato è fuori dal meccanismo della detrazione.
Cass. Pen., Sez. III, 19 aprile 2017 n. 24307: l’emissione di fatture false è configurabile anche in caso di falsità soggettiva (confermato poi da Cass. pen. 16576/2023).
Cass. Pen., Sez. III, 2 maggio 2022 n. 16800: l’utilizzatore di fatture false non concorre nel reato di emissione – separazione delle responsabilità (niente “doppia imputazione” all’utilizzatore).
Cass. Pen., Sez. III, 17 aprile 2023 n. 16576: il reato di emissione di fatture false sussiste anche senza individuarne l’autore effettivo e anche se l’evasione non si realizza (basta aver emesso documenti falsi a fini di frode).
Cass. Pen., Sez. III, 27 ottobre 2023 n. 45525: concorso di persone tra emittente e utilizzatore – conferma che sono fattispecie autonome, l’utilizzatore non è correo nel reato di emissione; richiamo al “doppio dolo” distinto per emittente e utilizzatore.
Corte di Giustizia UE, 18 ottobre 2018, causa C-153/17 (Volkswagen): in caso di frode IVA a monte, se il cessionario è ignaro e non poteva saperlo, il diritto a detrazione non può essere negato (principio di neutralità dell’IVA); tuttavia gli Stati possono richiedere una diligenza adeguata dai contribuenti. Vedi anche: sentenze Kittel (C-439/04), Mecsek-Gabona (C-273/11), Mahagében (C-80/11) in tema di buona fede del cessionario.
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza perché accusato di aver utilizzato o emesso fatture false pagate con bonifico? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza perché accusato di aver utilizzato o emesso fatture false pagate con bonifico?
Si tratta di un’accusa molto grave, che può comportare sia conseguenze tributarie che penali, ma non significa che non ci siano margini per difendersi.
👉 Anche se il pagamento è avvenuto tramite bonifico, ciò non prova automaticamente la genuinità o la falsità della fattura: serve un’analisi attenta dei fatti e dei documenti.
⚖️ Quando si parla di fatture false
- Fatture per operazioni inesistenti: documenti che attestano operazioni mai avvenute;
- Fatture soggettivamente false: operazioni reali ma con soggetti diversi da quelli effettivi;
- Fatture gonfiate: importi superiori rispetto all’effettiva prestazione o cessione.
Il pagamento con bonifico, seppur tracciabile, non basta a dimostrare la veridicità dell’operazione: il Fisco può contestare che il trasferimento sia servito solo a dare una parvenza di regolarità.
📌 Le conseguenze possibili
- In ambito tributario: recupero dell’IVA detratta e delle imposte dedotte, applicazione di sanzioni e interessi;
- In ambito penale: rischio di reati come dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000) o emissione di fatture false (art. 8 D.Lgs. 74/2000), con pene detentive anche severe;
- Sequestro preventivo: dei beni pari al profitto ritenuto illecito.
🔍 Strategie di difesa
- Dimostrare la realtà dell’operazione: contratti, documenti di trasporto, corrispondenza commerciale, prestazioni effettive.
- Contestare la qualificazione della fattura come falsa: verificare se si tratta di un errore formale o di una divergenza documentale.
- Provare la buona fede del contribuente: se hai usato la fattura credendo fosse valida, non sei responsabile come l’emittente.
- Eccepire vizi procedurali: errori nelle indagini, mancanza di contraddittorio, sproporzione nel sequestro.
- Distinguere profilo penale e tributario: una contestazione fiscale non implica automaticamente colpevolezza penale.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza le fatture contestate e i bonifici collegati;
- 📌 Verifica la reale esistenza delle operazioni e raccoglie prove difensive;
- ✍️ Predispone memorie e ricorsi contro l’Agenzia delle Entrate;
- ⚖️ Ti difende nei procedimenti penali tributari, contestando l’accusa di frode;
- 🔁 Elabora strategie di protezione patrimoniale in caso di sequestri fiscali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in reati tributari e contenzioso su fatture false;
- ✔️ Specializzato in difesa penale e fiscale integrata;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un’accusa di fatture false pagate con bonifico non va mai sottovalutata, ma non è una condanna certa: ci sono margini per dimostrare la realtà delle operazioni, la buona fede o l’illegittimità dell’accertamento.
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