Contestazioni Per Società Cartiere Create A Fini Evasivi: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza perché la tua impresa è stata collegata a una società cartiera? Queste società vengono considerate fittizie, costituite al solo scopo di emettere o ricevere fatture per operazioni inesistenti e creare indebiti vantaggi fiscali. In questi casi i rischi sono elevati sia sul piano fiscale che su quello penale, ma esistono strategie difensive efficaci.

Che cos’è una società cartiera
Una società viene definita “cartiera” quando manca di una reale operatività economica e ha come unico scopo quello di generare fatture false per:
– Creare costi fittizi da portare in deduzione o detrazione
– Gonfiare i volumi d’affari e ottenere indebite detrazioni IVA
– Occultare flussi finanziari sospetti attraverso operazioni simulate
– Servire come schermo per organizzazioni più complesse finalizzate all’evasione fiscale

Quando scattano le contestazioni del Fisco
– Se la società non ha dipendenti, beni strumentali o una sede reale di attività
– Se emette o riceve fatture non supportate da consegne di merci o prestazioni effettive
– Se risulta inserita in catene di operazioni di frode IVA (frodi carosello)
– Se i pagamenti ricevuti vengono rapidamente retrocessi ai clienti con movimenti bancari sospetti
– Se l’amministratore è un prestanome privo di reale controllo sulla società

Cosa rischi in caso di contestazioni per società cartiere
– Recupero delle imposte non versate e indetraibilità dell’IVA
– Applicazione di sanzioni fiscali molto elevate
– Contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti
– Possibile imputazione per emissione di fatture false (reclusione da 4 a 8 anni)
– Sequestro preventivo e confisca dei beni aziendali e personali degli amministratori
– Grave danno reputazionale e difficoltà nei rapporti commerciali e bancari

Come difendersi da accuse di utilizzo o creazione di società cartiere
– Dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni con contratti, documenti di trasporto, corrispondenza commerciale
– Provare la reale operatività della società (sedi, dipendenti, mezzi, rapporti con fornitori e clienti)
– Contestare le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate se prive di riscontri oggettivi
– Evidenziare la buona fede del contribuente, soprattutto se coinvolto inconsapevolmente in operazioni con società fittizie
– Impugnare gli avvisi di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e difendersi in sede penale con argomentazioni mirate

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’avviso di accertamento e i provvedimenti penali connessi
– Predisporre un dossier difensivo basato su documenti contabili e prove reali dell’attività
– Contestare la qualificazione della società come “cartiera” dimostrando la legittimità delle operazioni
– Difendere il contribuente nei procedimenti penali e tributari per evitare condanne e sequestri
– Negoziare soluzioni con il Fisco in sede di contraddittorio o accertamento con adesione

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale delle contestazioni fiscali
– La riduzione o esclusione delle sanzioni amministrative e penali
– La revoca dei sequestri e la restituzione dei beni aziendali e personali
– La tutela del patrimonio familiare e dell’attività imprenditoriale
– La possibilità di dimostrare la buona fede ed escludere la responsabilità penale

⚠️ Attenzione: nelle contestazioni per società cartiere il Fisco utilizza spesso presunzioni e collegamenti indiziari. Senza una difesa solida, queste presunzioni possono trasformarsi in condanne e gravi conseguenze patrimoniali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e penale-tributaria – ti spiega cosa fare in caso di contestazioni legate a società cartiere e come impostare una difesa efficace.

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Introduzione

Le società “cartiere” sono entità fittizie costituite al solo scopo di emettere fatture false e consentire evasioni d’imposta, in particolare nel campo IVA . Queste società esibiscono un’apparente regolarità formale (contabilità in ordine, fatture emesse), ma mancano di una reale struttura imprenditoriale: pochi o nessun bene strumentale, nessun dipendente effettivo, sedi legali “di comodo” spesso cambiate, vita societaria breve e amministratori prestanome nullatenenti . In pratica, la “società cartiera” funge da venditore fittizio: emette fatture con IVA a fronte di operazioni inesistenti o gonfiate, incassa l’IVA dai clienti e poi omette di versarla all’Erario, spesso senza presentare dichiarazioni, per poi sparire . Così gli acquirenti delle fatture ottengono indebiti vantaggi fiscali (costi fittizi dedotti dal reddito e crediti IVA detraibili) mentre l’Erario subisce un danno . Questo schema è tipico delle “frodi carosello”, in cui più società (spesso collocate in diversi Paesi UE) simulano compravendite a catena per evadere l’IVA: la cartiera (detta anche “missing trader” o “buffer”) si inserisce tra fornitore e cliente finale, fattura con IVA senza versarla, creando un vuoto d’imposta che il cliente a valle sfrutta come credito IVA .

Dal punto di vista del contribuente acquirente (il “debitore” di imposta contestato), trovarsi invischiato in tali operazioni comporta gravi rischi: l’Agenzia delle Entrate può contestare la indebita detrazione IVA e la deduzione di costi fittizi, emettendo avvisi di accertamento per recuperare le imposte evase, con sanzioni molto elevate. Inoltre, per operazioni di consistente valore, scattano anche procedimenti penali a carico sia degli utilizzatori sia degli emittenti delle fatture false (rispettivamente per dichiarazione fraudolenta e emissione di fatture per operazioni inesistenti). In questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – esamineremo in dettaglio:

  • Le norme italiane rilevanti in materia (IVA, imposte dirette, sanzioni tributarie e penali), con le ultime riforme.
  • Gli orientamenti giurisprudenziali più recenti (Corte di Cassazione civile e penale, Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado – ex CTP e CTR) che fissano i principi sull’onere della prova, la buona fede del contribuente e la deducibilità dei costi.
  • diritti del contribuente verificato e le strategie difensive per contestare le contestazioni, con esempi pratici, casi reali e FAQ (domande e risposte frequenti).
  • Utili tabelle riepilogative (ad esempio sulle differenze tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, sul riparto degli oneri probatori, sul confronto tra sanzioni tributarie e penali) per sintetizzare i concetti chiave.

L’obiettivo è fornire una guida avanzata – in linguaggio giuridico ma chiaro – che permetta al contribuente (imprenditore o privato) di conoscere i propri diritti e strumenti di tutela, e al professionista (es. avvocato tributarista) di avere riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati per impostare efficacemente la difesa dal punto di vista del contribuente destinatario delle contestazioni.

Operazioni inesistenti: oggettive vs soggettive (società cartiere)

Prima di tutto, è fondamentale comprendere cosa si intende per “operazioni inesistenti” in ambito fiscale e distinguere le due macro-categorie rilevanti ai fini delle contestazioni:

  • Operazioni oggettivamente inesistenti: si ha quando l’operazione commerciale non è mai avvenuta nella realtà. La fattura è completamente falsa in senso materiale, poiché documenta una cessione di beni o una prestazione di servizi mai realmente effettuata . Esempi tipici: fatture per consulenze mai svolte, per beni mai consegnati, o fatture “gonfiate” riportanti importi superiori al vero. In questi casi la falsità è assoluta: il documento contabile rappresenta un evento economico inesistente sotto ogni profilo. L’acquirente che utilizza tali fatture si crea costi fittizi (riducendo artificialmente il reddito imponibile) e crediti IVA inesistenti; l’emittente fornisce lo schermo cartaceo per l’evasione, senza che vi sia alcuna reale movimentazione di beni o servizi .
  • Operazioni soggettivamente inesistenti: in questo caso un’operazione economica vi è stata, ma tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura . In pratica la transazione avviene davvero, ma non con il fornitore ufficiale: viene interposto un soggetto fittizio (la cartiera) quale emittente della fattura. La fattura è quindi falsa sotto il profilo soggettivo, perché indica come venditore un soggetto diverso da quello che ha realmente fornito il bene/servizio. Classico esempio è la già citata frode carosello in ambito IVA: la società Alpha cede beni a Beta; per evadere l’IVA si inserisce nel mezzo Gamma s.r.l. (la cartiera) che fattura a Beta quei beni. Beta riceve effettivamente i beni da Alpha, ma la fattura d’acquisto proviene da Gamma; Gamma non versa l’IVA incassata e scompare, realizzando la frode . Un altro esempio: un’impresa utilizza lavoratori e materiali in nero, però si procura fatture da una ditta compiacente (cartiera) per “coprire” quei costi: il lavoro è stato eseguito (magari da sub-appaltatori non autorizzati), ma non dalla ditta che ha emesso la fattura. Dunque l’operazione economica sottostante è reale, ma non con il fornitore indicato nel documento fiscale .

Esistono poi situazioni intermedie (false in parte): ad esempio sovrafatturazione, in cui la fattura indica un importo superiore al reale, oppure descrive beni/servizi diversi da quelli effettivamente forniti, allo scopo di gonfiare i costi deducibili o i crediti IVA. In tali casi il documento è falso pro quota, per la parte che non corrisponde alla realtà. Fiscalmente, anche la sovrafatturazione viene trattata come operazione inesistente per la parte eccedente: l’IVA relativa alla quota sovrafatturata, non trovando riscontro in cessioni effettive, non è detraibile, mentre il costo esagerato non è deducibile per carenza di inerenza ed effettività .

Implicazioni differenti: La distinzione tra falsità oggettiva e soggettiva non è mera teoria, ma produce differenze importanti sia nella posizione del contribuente sia nelle possibilità di difesa. In estrema sintesi:

  • Con una fattura oggettivamente falsa (nessuna operazione reale), non c’è scampo per chi la utilizza: il tributo va comunque versato (l’IVA indicata in fattura è dovuta all’Erario ex art. 21, c.7 DPR 633/1972 anche se l’operazione non è avvenuta) e nessun vantaggio fiscale è ammesso. L’IVA esposta in fattura non è detraibile, mancando qualsiasi acquisto effettivo, e il costo fittizio non può ridurre il reddito imponibile . La fattura è un puro simulacro cartaceo e viene ignorata dal punto di vista fiscale, salvo sanzionare chi l’ha emessa e utilizzata. In altre parole, la catena IVA “si interrompe” e l’imposta diventa un costo a carico del destinatario della fattura falsa .
  • In caso di fattura soggettivamente falsa (bene reale ma fornitore fittizio), la situazione è più sfumata. Il bene/servizio esiste ed è entrato nella sfera del contribuente, quindi c’è un costo economico reale: ciò apre spiragli di difesa sul piano delle imposte dirette (deducibilità del costo) e, in alcuni casi, persino sul mantenimento della detrazione IVA, qualora il contribuente dimostri la propria buona fede (ossia di non essere coinvolto nella frode). Come vedremo, la normativa e la giurisprudenza riconoscono che “nessun vantaggio fiscale può derivare da una fattura fittizia”, ma modulano la reazione in modo diverso se l’operazione sottostante è reale: i costi riferiti a beni/servizi realmente acquisiti possono restare deducibili nonostante la frode (lo chiarisce espressamente la legge, vedi infra), mentre la detrazione IVA può essere salvata solo se il cessionario prova di aver agito all’oscuro della frode (massima diligenza) . La prova contraria a carico del contribuente, però, è onerosa: la mera esibizione di fatture regolari e pagamenti tracciati non basta a dimostrare la genuinità dell’operazione, poiché proprio tali elementi vengono spesso “fabbricati” ad arte per dare parvenza di legittimità alla frode . Servono evidenze sostanziali – ad esempio DDT e documenti di trasporto, prove della consegna e dell’utilizzo dei beni, corrispondenza commerciale, testimonianze – per ribaltare l’accusa di inesistenza quando il Fisco abbia già raccolto indizi gravi di frode .

(Si veda più avanti la tabella riassuntiva sulle differenze tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti e le rispettive difese.)

Normativa italiana rilevante (IVA, imposte dirette e sanzioni)

Il quadro normativo italiano per contrastare le fatture per operazioni inesistenti si compone di disposizioni tributarie (IVA e imposte sui redditi) e di norme penali tributarie. Di seguito riepiloghiamo le principali:

  • IVA – D.P.R. 633/1972:
  • Art. 19 (detrazione IVA): il principio generale del sistema IVA è il diritto alla detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti, a garanzia della neutralità dell’imposta per le imprese . Tuttavia, questo diritto non sussiste se l’operazione è inesistente o fraudolenta: in base alla normativa nazionale e UE, non può detrarre l’IVA chi sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode .
  • Art. 21, comma 7 (fatture per operazioni inesistenti): stabilisce che chi emette una fattura per un’operazione mai avvenuta è comunque tenuto al pagamento dell’IVA indicata in fattura. La norma impedisce di “creare” crediti IVA fittizi a costo zero: l’imposta va versata come se la cessione fosse reale, pur non essendolo . Corollario: l’acquirente che registra una fattura oggettivamente falsa non può detrarre quell’IVA, perché manca a monte un acquisto reale (art. 19 DPR 633) e l’IVA è stata formalmente assolta solo sulla carta . In caso di fatture soggettivamente false, invece, l’IVA è detraibile solo se il cessionario era in buona fede (vedremo infra i criteri probatori).
  • Violazioni e sanzioni IVA: l’utilizzo di fatture false configura un’indebita detrazione d’imposta o un’omessa autofatturazione. La sanzione amministrativa base per l’indebita detrazione IVA è il 90% dell’imposta non spettante (art. 6, co.6 D.Lgs. 471/1997) . Se però l’operazione si rivela inesistente, siamo oltre la “mera violazione formale”: è una dichiarazione infedele con elementi fittizi, sanzionata comunque col 90% dell’imposta evasa (in assenza di frode altrui già punita) . In passato si applicava anche il 100%: oggi, in generale, la misura è 90%, salvo riduzioni in casi particolari (ad es. assenza di danno erariale: in una recente sentenza la Cassazione ha ridotto al 30% la sanzione, poiché l’IVA a monte era stata comunque pagata altrove, evitando perdite per l’Erario ). Nei casi ordinari di frode carosello invece c’è un danno erariale (la cartiera non versa), perciò nessuna riduzione: il destinatario delle fatture perde la detrazione e paga una sanzione pari a quasi tutta l’IVA indebitamente detratta.
  • Imposte sui redditi – TUIR (D.P.R. 917/1986) e L. 537/1993:
  • Art. 109 TUIR (principio di inerenza e competenza): per dedurre un costo dal reddito d’impresa occorre che esso sia realmente sostenuto, di competenza dell’esercizio e inerente all’attività. Nelle frodi con fatture false, manca l’effettiva inerenza/economicità del costo se l’operazione è fittizia.
  • Art. 14, comma 4-bis, L. 537/1993 (come modificato dal D.L. 16/2012): è la norma chiave sui costi da reato e da fatture false, con efficacia retroattiva in bonam partem. Oggi essa stabilisce che sono indeducibili solo i costi direttamente utilizzati per commettere un reato, mentre “non si tiene conto dei costi e delle spese relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati; tuttavia, è ammessa in deduzione la parte di costi effettivamente riferibile ad operazioni realmente effettuate” . In pratica: se una fattura è soggettivamente falsa ma i beni/servizi sono reali e acquisiti per scopi leciti dell’impresa, il relativo costo è deducibile, purché naturalmente rispetti gli altri principi (inerenza, competenza, certezza) e non sia un costo “nero” sostenuto per commettere reati diversi . Al contrario, per operazioni oggettivamente inesistenti (beni mai esistiti) i costi sono indeducibili in toto. La razionalità della norma è evitare che un’azienda venga tassata su un “reddito inesistente”: se il costo è reale (es. merce acquistata e rivenduta) va comunque riconosciuto, anche se la fattura era emessa da cartiera . La Corte di Cassazione ha confermato tale lettura: “i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente fosse consapevole del carattere fraudolento, a condizione che i beni/servizi siano stati effettivamente acquisiti e non utilizzati per commettere reati”, mentre resta esclusa qualsiasi deducibilità per i costi da operazioni oggettivamente inesistenti . (Attenzione: ciò vale per le imposte sui redditi; sul piano IVA la consapevolezza della frode preclude comunque la detrazione, come visto.)
  • Sanzioni tributarie dirette: chi utilizza fatture false riduce indebitamente il reddito imponibile, commettendo una dichiarazione infedele. La sanzione amministrativa per omessa/infedele dichiarazione è anch’essa normalmente il 90% della maggiore imposta dovuta (art. 1, co.2 D.Lgs. 471/1997). Nei casi di “frode fiscale” conclamata (es. uso di fatture fittizie, operazioni simulate) la violazione è particolarmente grave, ma il legislatore non ha previsto una sanzione pecuniaria più alta: si applica sempre il 90% (eventualmente cumulato per IVA e IRES). Tuttavia, in presenza di frode scattano appunto le sanzioni penali, come deterrente ulteriore.
  • Reati tributari – D.Lgs. 74/2000: la normativa penale punisce sia chi utilizza fatture false nelle dichiarazioni fiscali, sia chi le emette (tipicamente l’amministratore della cartiera), al fine di sanzionare entrambe le facce dello schema evasivo. In sintesi:
  • Art. 2 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti falsi: reato commesso dall’utilizzatore delle fatture fittizie. Si configura quando un contribuente, “al fine di evadere le imposte sui redditi o sull’IVA”, indica in una dichiarazione annuale elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti. Soglie di punibilità: è richiesto che l’imposta evasa superi una certa soglia (attualmente €100.000 annui per l’IVA o i redditi, in base alle ultime modifiche). Pena: reclusione da 4 a 8 anni . La L. 157/2019 ha infatti inasprito le pene (prima erano 1½-6 anni) per i reati di frode fiscale, mantenendo però le soglie di punibilità.
  • Art. 8 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: reato commesso da chi emette o rilascia fatture false (tipicamente la società cartiera e i suoi responsabili) “al fine di consentire a terzi l’evasione”Soglie: se l’importo totale delle fatture false emesse in un periodo d’imposta supera €100.000 si applica la pena piena; sotto €100.000 è prevista un’attenuante (riduzione di pena) . Pena base: reclusione da 4 a 8 anni (anche qui aumentata nel 2019, era 1½-6). Nota: l’emissione di fatture false è reato a prescindere dall’utilizzo da parte dei destinatari – basta il dolo di consentire evasioni a terzi – ma di solito viene contestato congiuntamente all’effettivo utilizzo (art. 2) da parte di qualcuno.
  • Altri reati correlati: vi possono essere concorso di persone (art. 9 D.Lgs.74/2000) se più soggetti cooperano, e altri reati fiscali come dichiarazione infedele (art. 4) se le fatture false non superano le soglie di frode. In alcuni casi gravi, condotte di frode carosello possono integrare associazione per delinquere finalizzata all’evasione (art. 416 c.p.) o reati di riciclaggio e autoriciclaggio dei proventi illeciti, ma sono ipotesi più rare e complesse.
  • Cause di non punibilità e attenuanti: la riforma 2019-2020 ha introdotto importanti incentivi al ravvedimento. In particolare l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la non punibilità per i reati di cui agli artt. 2 e 8 (fra gli altri) se prima dell’apertura del dibattimento di primo grado il contribuente estingue integralmente il debito tributario correlato (versando imposte, sanzioni amministrative e interessi) . In pratica, pagando tutto il dovuto al Fisco, ci si salva dal processo penale (o si ottiene una causa di estinzione del reato). Inoltre, il pagamento effettuato dopo l’apertura del dibattimento può comunque attenuare la pena (circostanza attenuante ad effetto speciale). Questa possibilità di “pentimento operoso” è fondamentale dal punto di vista del debitore: se ci si accorge di aver involontariamente partecipato a una frode fiscale tramite fatture di cartiera, provvedere a versare il dovuto prima possibile può evitare conseguenze penali gravissime.

Di seguito, presentiamo una tabella riassuntiva dei principali effetti fiscali e sanzioni per le parti coinvolte in uno schema di fatture “cartiere”, distinguendo il fornitore fittizio (emittente) dal cliente utilizzatore:

Ruolo (contestazione)Effetti fiscali (IVA e redditi)Sanzioni tributarie (amministrative)Responsabilità penale (reati tributari)
Emittente “cartiera”<br>(fatture false emesse)– IVA dovuta sulle fatture emesse (art. 21, c.7 DPR 633/1972) anche se l’operazione è fittizia .<br>– Importi fatturati considerati ricavi fittizi: tassabili solo se realizzati vantaggi economici reali (es. compensi per l’emissione), altrimenti irrilevanti ai fini redditi (nessuna vera cessione).– Sanzione IVA pari al 90% dell’imposta non versata sulle fatture emesse (omesso versamento da dichiarazione infedele).<br>– Altre sanzioni per omessa dichiarazione IVA se la cartiera non presenta il dichiarativo (sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, min €250).<br>– Procedura di recupero coattivo dell’IVA evasa (spesso infruttuosa, data la natura fittizia del soggetto).– Reato di emissione di fatture false (art. 8 D.Lgs.74/2000): reclusione 4–8 anni ; soglia di punibilità se importo annuo fatture > €100k (sotto soglia: attenuante) .<br>– Eventuale concorso in dichiarazione fraudolenta del cliente (art. 9).<br>– Confisca obbligatoria dei proventi del reato (es. compensi percepiti), salvo restituzione imposte.
Utilizzatore (cliente)<br>(fatture false ricevute)– IVA indetraibile sulle fatture relative a operazioni inesistenti: manca il presupposto di un acquisto reale . Se già detratta, l’IVA diventa da versare in sede di accertamento (con interessi).<br>– Costo indeducibile dal reddito se l’operazione è totalmente falsa. Se invece il bene/servizio esiste (frode soggettiva), il costo è deducibile limitatamente alla parte reale e se non era finalizzato esclusivamente a reato fiscale .<br>– Recupero a tassazione del maggior reddito (ricavi non abbattuti dal costo fittizio) e dell’IVA detratta indebitamente.– Avviso di accertamento con recupero IVA + imposte dirette + interessi.<br>– Sanzione 90% sull’IVA indebitamente detratta (attività fraudolenta: normalmente non sono applicabili sanzioni ridotte al 30% perché c’è danno erariale).<br>– Sanzione 90% sulla maggiore imposta diretta dovuta per i costi indeducibili (dichiarazione infedele).<br>– In caso di frode molto grave, l’Agenzia può segnalare il caso per un interpello antielusivo/abuso o per misure cautelari (fermo, ipoteca) se c’è pericolo per la riscossione.– Reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture (art. 2 D.Lgs.74/2000): reclusione 4–8 anni se l’imposta evasa > soglia (100k € annui IVA o redditi).<br>– Esimente penale: non punibilità se il contribuente paga integralmente imposte, sanzioni e interessi dovuti prima del dibattimento (art. 13 D.Lgs.74/2000) .<br>– Possibili attenuanti generiche se il contribuente era in posizione marginale nella frode (es. vittima inconsapevole) e cooperazione con l’Autorità.

Legenda: IVA indetraibile = l’IVA sull’acquisto non può essere detratta dal cliente e resta a debito; costo indeducibile = il costo fittizio non è riconosciuto ai fini fiscali, aumentando il reddito tassabile; soglia di punibilità = limite oltre il quale scatta il reato; confisca = sottrazione coattiva di beni equivalenti al profitto del reato.

Onere della prova nelle contestazioni di “cartiera” e ruolo della buona fede

Quando il Fisco contesta a un’azienda l’utilizzo di fatture emesse da società cartiere, come si ripartisce l’onere della prova? E cosa deve dimostrare il contribuente per difendersi con successo? Questo è forse il punto cruciale del contenzioso, chiarito da numerose pronunce di legittimità negli ultimi anni. Occorre distinguere, ancora una volta, tra frodi soggettive (cartiere) e frodi oggettive.

1. Operazioni oggettivamente inesistenti (fittizietà assoluta): in questi casi, per l’Amministrazione finanziaria il compito probatorio è relativamente semplice: basta dimostrare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che l’operazione fatturata non è mai avvenuta. Spesso ciò coincide con la prova che il sedicente fornitore è in realtà una “scatola vuota” (priva di struttura, sede, merci, ecc.), il che rende implausibile che abbia eseguito la fornitura. La Corte di Cassazione ha affermato che, qualora il Fisco provi la fittizietà oggettiva dell’operazione – ad esempio dimostrando che l’emittente era una mera cartiera priva di attività reale – spetta al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia dimostrare che invece la prestazione c’è stata davvero . In tali casi, non ha senso invocare la buona fede dell’acquirente: se i beni non sono mai esistiti o non sono mai arrivati, l’IVA è indetraibile in ogni caso (manca il presupposto oggettivo) e il contribuente dovrà concentrarsi esclusivamente nel provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cosa estremamente ardua se sono state completamente simulate) . Ad esempio, se il Fisco dimostra che una fattura di acquisto carburante è falsa perché il distributore indicato non esiste e i mezzi aziendali non hanno mai effettuato quei rifornimenti, il contribuente potrà difendersi solo mostrando evidenze concrete di quei carburanti (cosa improbabile). In mancanza di prove tangibili, la pretesa fiscale sarà confermata: l’IVA va versata e il costo è indeducibile, a nulla valendo l’asserzione “non sapevo che fosse falso” poiché, oggettivamente, quel bene non è mai entrato nell’impresa. La partecipazione alla frode in questo scenario è “in re ipsa”, implicita nel fatto stesso di aver contabilizzato operazioni inesistenti . Non di rado, infatti, in frodi del genere il contribuente era consapevole (dato che non ha mai ricevuto alcunché); se invece è stato totalmente truffato (es. ha pagato per beni mai consegnati), la sua tutela sarà più sul piano civilistico (azione contro il fornitore fittizio) che non fiscale.

2. Operazioni soggettivamente inesistenti (frode con cartiera): qui la prova richiesta al Fisco è duplice e più impegnativa: l’Amministrazione deve dimostrare sia che il fornitore è un soggetto fittizio (una cartiera interposta), sia che il contribuente acquirente era consapevole o quantomeno colpevolmente ignaro del disegno evasivo . Questo secondo elemento – la “scientia fraudis” del cessionario – è essenziale nei casi di frode carosello, perché, come riconosciuto dalla giurisprudenza unionale, il diritto alla detrazione IVA può essere negato solo se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’evasione . In assenza di tale prova, il principio di neutralità IVA tutela il cessionario in buona fede (non può essere punito per colpe altrui) . Dunque la Cassazione richiede: (a) prova della natura di “cartiera” del fornitore (es. società senza struttura, che non presenta dichiarazioni né versa IVA) e (b) indizi gravi che il cliente sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in una frode . Solo dopo che il Fisco ha assolto questo onere iniziale, “grava sul contribuente la prova contraria di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’evasione” . In altre parole, una volta che l’Ufficio finanziario porta elementi precisi: ad esempio documenta che la società fornitrice era amministrata da un prestanome nullatenente, senza dipendenti né magazzino, e che l’acquirente ha beneficiato di prezzi anomali o aveva legami sospetti col fornitore – a quel punto si inverte l’onere della prova. Tocca al contribuente dimostrare la propria buona fede, ossia che “non sapeva né poteva sapere” della frode, avendo messo in atto tutto quanto ragionevolmente esigibile per verificarne la correttezza .

La “massima diligenza esigibile”: la giurisprudenza parla di comportamento diligente dell’“operatore accorto”. In concreto, il contribuente deve provare di aver verificato il fornitore con cura: ad esempio, controlli sul numero di partita IVA e iscrizione VIES, acquisizione di visura camerale, DURC e certificati, verifica della sede operativa, eventuali certificazioni SOA (se lavori), ricerca di informazioni sulla reputazione commerciale, congruenza dei prezzi di acquisto con i valori di mercato, ecc. Inoltre, deve esibire ogni documento extrafattura che provi la realtà dell’operazione: contratti, ordini, bolle di consegna firmate, foto dei beni consegnati, email e corrispondenza tecnica, ecc. La Cassazione ha chiarito che una difesa basata solo su documenti contabili interni (fatture, registri) e pagamenti tracciati è insufficiente, poiché sono elementi facilmente predisposti in contesti fraudolenti . Servono, invece, riscontri oggettivi esterni. Per esempio, nella prassi difensiva, per provare la genuinità di lavori fatturati da una cartiera, si possono produrre fotografie dei cantieri, testimonianze dei responsabili tecnici che confermano l’esecuzione, prove del consumo di materiali, ecc., così da convincere i giudici che “al di là della carta, qualcosa di reale è avvenuto”.

Orientamento attuale dei giudici: la Corte di Cassazione Tributaria, con una serie di pronunce conformi, ha delineato così il riparto probatorio nei casi di fatture da cartiere. Ad esempio, la recente ordinanza Cass. n. 20270/2025 ha ribadito che quando il Fisco offre un quadro presuntivo qualificato (p.e. fornitore senza sede né personale, coinvolto in indagini penali) a sostegno della natura fittizia delle operazioni, “non è più il Fisco a dover dimostrare l’inesistenza dell’operazione, ma è il contribuente che ha registrato la fattura a dover fornire la prova contraria”, cioè l’effettiva esecuzione della prestazione . La stessa ordinanza richiama l’esigenza di prove robuste da parte del contribuente, superiori alla semplice esibizione della fattura e del bonifico, proprio perché tali elementi sono di rito nelle frodi e facilmente simulabili . In un altro caso, la Cassazione (ord. n. 13015/2025) ha sottolineato che il contribuente deve dimostrare di aver agito con diligenza adeguata al settore: ad esempio, un’impresa esperta che opera in un certo mercato non può accettare passivamente forniture da una società sconosciuta senza fare verifiche; se lo fa, è difficile poi sostenere di “non poter sapere” .

Buona fede e legami sospetti: un aspetto emerso in giurisprudenza è l’importanza di eventuali relazioni personali o societarie tra contribuente e cartiera. Per la Corte, legami stretti possono costituire indizi di consapevolezza. Emblematico il caso risolto con Cass. ord. n. 9919/2025: l’Agenzia delle Entrate negava la detrazione IVA a una ditta individuale perché la sua fornitrice (che non versava l’IVA dovuta) era amministrata dal marito e dal cognato del titolare della ditta . La Cassazione ha dato ragione al Fisco, ritenendo che quel rapporto familiare stretto, unito alla sistematica inadempienza fiscale del fornitore, fosse un indizio grave e concordante di “doverosa conoscibilità” dell’evasione a monte . In tal caso, era irrealistico che l’acquirente fosse all’oscuro, data la complicità familiare: la sua buona fede è stata esclusa e la detrazione negata. La Suprema Corte ha anzi precisato che ciò è in linea coi principi UE anticfrode e di neutralità IVA, che non tutelano chi, anche indirettamente, partecipa consapevolmente a un’evasione . Dunque attenzione: se emergono connessioni societarie, parentali o economiche tra voi e la società cartiera, la vostra posizione difensiva si indebolisce molto. In tali frangenti diventa ancor più cruciale provare di non aver tratto alcun vantaggio personale e di aver mantenuto separazione di ruoli (anche se, verosimilmente, il Fisco in questi casi ipotizza un accordo collusivo).

Presunzioni vs prove contrarie: il giudizio su queste contestazioni si basa spesso su presunzioni. Il Fisco raramente avrà la prova diretta che “sapevate della frode”, ma costruirà un mosaico di indizi (es. prezzi anomali, pagamento di provvigioni occulte, mancanza di beni, legami societari, utilizzo dello stesso commercialista tra fornitore e cliente, ecc.). Spetta al giudice valutare se tali indizi, nel loro insieme, sono gravi, precisi e concordanti (ex art. 2729 c.c.) e quindi sufficienti per ribaltare l’onere della prova sul contribuente. Se lo sono, e il contribuente non riesce a fornire una spiegazione alternativa credibile (“prova liberatoria”), la presunzione diventa prova della partecipazione alla frode . Un esempio pratico: l’Ufficio porta come indizi il fatto che il fornitore aveva sede presso un mero indirizzo di comodo, non aveva dipendenti né registrava acquisti di materiali, eppure ha emesso fatture milionarie; inoltre, l’amministratore della cartiera era il vecchio autista dell’amministratore dell’azienda acquirente. Questi elementi, se non giustificati, delineano uno scenario di cartiera con collegamento all’acquirente: il giudice può ritenere provato che l’acquirente fosse complice o almeno consapevole. A quel punto, serve una contronarrazione documentata da parte del contribuente (ad es., provare che il fornitore in realtà subappaltava a terzi e che i materiali sono stati effettivamente consegnati e utilizzati, mostrando DDT e risultati tangibili). Senza ciò, la buona fede non verrà riconosciuta e l’atto impositivo sarà confermato.

In sintesi, oggi la difesa del contribuente nelle contestazioni da “società cartiere” si gioca su due fronti: (a) contestare la prova presuntiva del Fisco, cercando di dimostrare che gli indizi non sono poi così univoci (ad es., la società fornitrice potrebbe avere avuto una seppur minima organizzazione operativa, o i prezzi non erano fuori mercato, ecc.); e (b) parallelamente, fornire prove positive della propria diligenza e della reale esistenza delle operazioni (documenti di trasporto, foto dei beni, contratti, etc.). La giurisprudenza recente – incluse Cass. 20270/2025 e Cass. 9684/2025 – conferma questi principi e insiste sul fatto che l’onere della prova della “scientia fraudis” spetta all’Amministrazione, ma una volta assolto per via indiziaria, “grava sul contribuente dimostrare di aver agito con la dovuta diligenza” . Vediamo ora come mettere in pratica tali principi nella strategia difensiva.

Strategie di difesa del contribuente (come difendersi in pratica)

Affrontare una contestazione dell’Agenzia delle Entrate per fatture relative a società cartiere richiede un approccio strutturato e proattivo. Di seguito i passi fondamentali e i consigli per predisporre al meglio la difesa, dal momento della verifica fino all’eventuale contenzioso in Commissione Tributaria:

1. Analisi preliminare e raccolta documenti: Appena ricevuto un PVC (Processo Verbale di Constatazione dalla Guardia di Finanza) o una comunicazione di irregolarità, è cruciale analizzare in dettaglio le contestazioni. Verificate quali elementi l’Ufficio considera indizi di cartiera (es: mancato versamento IVA del fornitore, irreperibilità, incongruenze nelle fatture). Raccogliete immediatamente tutta la documentazione relativa alle operazioni contestate: contratti con il fornitore, ordini d’acquisto, DDT (documenti di trasporto) firmati, rapporti di collaudo o di accettazione merci, eventuali e-mail o corrispondenza commerciale, elenchi di lavoratori coinvolti (se prestazioni di servizi), fotografie di merci o opere realizzate, registri di ingresso/uscita magazzino, ecc. Più ampio è il dossier probatorio, meglio è. Non limitatevi alle fatture e ai pagamenti (che comunque vanno esibiti), ma cercate prove esterne e sostanziali della reale esecuzione delle forniture . Ad esempio, se avete ricevuto materiale, recuperate i documenti di trasporto firmati dal vostro magazzino; se la fattura era per servizi di manodopera, ottenete dichiarazioni dei capi cantiere o dei beneficiari del servizio. Questa fase è critica: spesso la differenza tra vincere o perdere il ricorso sta proprio nelle prove che il contribuente riesce a presentare a suo favore, a fronte delle presunzioni del Fisco.

2. Verifiche sulla controparte (fornitore): Contestualmente, svolgete una due diligence retrospettiva sul fornitore in questione. Acquisite una visura camerale storica per vedere chi fossero amministratori e soci, dove aveva sede, quando è cessata. Richiedete un certificato di partita IVA (oggi molte informazioni IVA sono pubbliche tramite VIES e registri VAT Information Exchange System). Se possibile, cercate di capire se la società esisteva davvero come attività: ad esempio, passate davanti alla sede dichiarata (spesso risulta un indirizzo fittizio), cercate su Internet notizie su quella società o nominativi dei suoi rappresentanti. Qualsiasi elemento che testimoni la non fittizietà può essere utile: es. la società aveva un sito web? Pubblicità? Ha interagito con voi in occasioni ufficiali (fiere, incontri)? Questo per costruire l’argomentazione che anche voi foste convinti della sua operatività. Se invece scoprite indizi di fittizietà (es. sede inesistente), preparatevi a spiegare perché non potevate saperlo all’epoca (magari il contatto avvenne tramite un intermediario affidabile, ecc.).

3. Memoria difensiva pre-contenzioso: Prima che l’accertamento diventi definitivo, è spesso utile presentare osservazioni e richieste in sede amministrativa. Ai sensi della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente), potete presentare una memoria difensiva entro 60 giorni dal PVC, indicando le vostre ragioni e allegando documenti. Spiegate dettagliatamente la vostra buona fede: ad esempio, elencate le verifiche che avete compiuto (o che, ragionevolmente, vi aspettavate fossero a posto: es. “la società Beta ci era stata presentata da un’altra azienda fornitrice affidabile”, oppure “abbiamo verificato la regolare iscrizione all’Albo fornitori” ecc.). Se disponete di attestazioni di terzi (es. dichiarazioni di clienti finali che confermano di aver ricevuto i beni che voi avete acquistato dal fornitore in questione), menzionatele. L’obiettivo è già in questa fase convincere l’Ufficio che non c’era collusione né negligenza da parte vostra. Talvolta, memorie ben argomentate possono indurre l’Agenzia a ridurre o annullare in autotutela alcune contestazioni, specie se le presunzioni non sono granitiche. Ad esempio, se contestano mancate consegne ma voi allegate copie di bolle firmate, l’Ufficio potrebbe rivedere la propria posizione su quel punto.

4. Valutare adesione o definizione agevolata: Se l’Agenzia notifica un avviso di accertamento, avete varie opzioni: accettarlo, impugnarlo, oppure tentare una definizione agevolata. In periodi particolari, possono esserci sanatorie (ad esempio nel 2023-2024 vi sono state definizioni agevolate di liti pendenti, condono parziale, ecc.). Valutate se rientrate in qualche norma di favore. In assenza di sanatorie, potete richiedere un accertamento con adesione: è una procedura di confronto con l’Ufficio per cercare un accordo sulla pretesa (riducendo sanzioni a 1/3). Nelle frodi cartiere, la possibilità di adesione dipende dalla forza delle prove: se avete elementi validi, l’AdE potrebbe essere disposta a trattare (es. riconoscere almeno la deducibilità dei costi reali se rinunciate alla detrazione IVA, con sanzioni ridotte). Attenzione, però: l’adesione comporta il pagamento (seppur ridotto) di quanto concordato e preclude il ricorso. Se ritenete di avere un caso solido per ottenere annullamento totale in giudizio (ad esempio perché esiste già una sentenza favorevole nel vostro caso a livello penale o di altra giurisdizione), potreste preferire di non aderire e continuare la causa.

5. Coordinamento col penale (se applicabile): In parallelo, se è stato aperto un procedimento penale (es: avete ricevuto un’informazione di garanzia per dichiarazione fraudolenta), occorre coordinare la strategia. Spesso il processo penale viene sospeso in attesa dell’esito del contenzioso tributario, oppure viaggia in parallelo. La buona notizia è che dal 2023 è stata introdotta una norma che favorisce l’allineamento: l’art. 20, co.1-bis, D.Lgs. 74/2000 ora consente di utilizzare nel processo penale le sentenze definitive del giudizio tributario relative ai medesimi fatti . Ciò evita contrasti di giudicati: se vincete in Commissione tributaria provando la vostra buona fede, quella sentenza potrà essere portata come prova favorevole anche nel penale (e viceversa, attenzione: anche una condanna penale definitiva per frode IVA potrà pesare in tributario). Dunque, è importante tenere gli avvocati (penale e tributario) allineati. Ad esempio, nel celebre caso risolto da Cass. pen. n. 16442/2024, è avvenuto proprio questo: il giudice tributario di secondo grado (CTR Lazio) aveva annullato le pretese IVA riconoscendo che la società non era una cartiera ma operativa a tutti gli effetti; la Cassazione penale, nel giudizio contro l’amministratore per emissione e utilizzo di false fatture, ha tenuto conto di ciò e annullato la condanna, sottolineando l’infondatezza della qualifica di “cartiera” in base agli stessi elementi di fatto già valutati in sede tributaria . In quell’occasione, la Cassazione ha criticato i giudici di merito penali per non aver svolto un’analisi concreta degli indici di inattività della società, limitandosi a formule generiche, e ha valorizzato invece i riscontri di effettiva operatività dell’azienda (autorizzazioni ambientali, personale realmente assunto, fatturato ingente, progetto industriale credibile) che la difesa aveva prodotto . Questo dimostra come una difesa ben condotta in ambito tributario possa salvare anche penalmente un contribuente accusato ingiustamente. Viceversa, se emergono fatti penalmente rilevanti gravi (es. prove di accordo fraudolento), aspettatevi pochissima indulgenza anche dal giudice tributario.

6. Ricorso in Commissione Tributaria (oggi “Corte di Giustizia Tributaria”): Se non si è addivenuti a un accordo, l’ultimo baluardo è il ricorso al giudice tributario (CGT provinciale, ex CTP). Nel ricorso dovrete evidenziare tutti i vizi dell’atto e confutare punto per punto le argomentazioni dell’Ufficio. In particolare, focalizzatevi su: (i) eventuali errori procedurali o formali (es. motivazione insufficiente dell’atto, mancata risposta a memorie, utilizzo di documenti non comunicati); (ii) nel merito, la mancanza o debolezza della prova di frode a vostro carico. Ad esempio, se l’AdE si è limitata a provare che il fornitore non ha versato l’IVA, ma non ha dimostrato alcun elemento di vostra connivenza, sottolineate che la giurisprudenza richiede la prova anche della consapevolezza del cessionario . Potete citare le pronunce di Cassazione rilevanti: ad es. “Cass. 10845/2024 ha ribadito che in tema di fatture soggettivamente inesistenti il Fisco deve provare la cartiera e la conoscenza del cessionario, anche tramite presunzioni qualificate, prima che si inverta l’onere”. Se questo manca, chiedete l’annullamento dell’atto per difetto di prova. Alternativamente, qualora la frode sia provata ma voi invochiate la buona fede, evidenziate tutte le azioni diligenti che avete compiuto e come eventuali anomalie non fossero oggettivamente rilevabili. Ad esempio: “È vero che Alfa srl versava irregolarmente l’IVA, ma ciò non era conoscibile da Beta spa: Beta ha acquisito il DURC di Alfa, ha verificato l’iscrizione al registro imprese, ha pagato con bonifico su conto intestato ad Alfa; nulla lasciava presagire l’inadempimento”. Portate l’attenzione sui vostri riscontri oggettivi (consegne effettuate, ecc.), chiedendo al giudice di valorizzarli. Se avete ottenuto un proscioglimento penale o un’archiviazione, menzionatelo. Le Commissioni Tributarie spesso guardano alle decisioni penali: ad esempio, se in penale è stata riconosciuta l’estraneità di un soggetto, il giudice tributario potrebbe tenerne conto (pur con autonomia dei giudizi). Esistono casi in cui il contribuente ha vinto in tributario anche dopo essere stato condannato in penale, ma sono situazioni particolari – tendenzialmente le due cose viaggiano insieme, specialmente ora con lo scambio di informazioni tra giudici. Nel ricorso, potete anche eccepire l’eventuale deducibilità dei costi ex art. 14, co.4-bis L.537/93: se vi hanno negato costi di operazioni soggettivamente inesistenti, ricordate al giudice che la legge consente comunque la deduzione di quei costi reali (ci sono state CTR che hanno accolto appelli del contribuente proprio su questo, v. CTR Veneto n.1267/2014 citata in Cass. 30018/2022 ). Se invece la CTR (secondo grado) vi fosse favorevole sul merito, ma in penale foste condannati, enfatizzate quell’esito nella sede opportuna (come nel caso Lazio sopra citato, dove CTR Lazio 2023 n.3573 ha riconosciuto l’operatività della società, ponendosi in contrasto con la prima sentenza penale poi annullata ).

7. Proporre appello o resistere in appello: Se in primo grado (CGT Provinciale) la decisione è sfavorevole, valutate l’appello (CGT Regionale, ex CTR). Spesso le cause di fatture false arrivano in secondo grado perché sono complesse. In appello potrete rafforzare la prova testimoniale (ora ammissibile in forma scritta, se autorizzata, nel processo tributario) e magari beneficiare di nuovi orientamenti giurisprudenziali usciti nel frattempo (ad esempio sentenze della Cassazione a Sezioni Unite se ve ne fossero). Ricordiamo che dal 2023 è stato introdotto anche il giudizio tributario di legittimità “medio”: in Cassazione alcune controversie fiscali possono essere rimandate a un rinvio pregiudiziale interno alle Sezioni Unite su questioni di principio controverse, ma nel tema fatture false l’indirizzo è già abbastanza consolidato. Non esitate, in appello, a far valere eventuali sopravvenienze: ad esempio, se la vostra cartiera fornitrice ha poi versato l’IVA e definito il suo debito (magari per estinguere il reato), questo potrebbe non restituirvi il diritto a detrarre, ma è un elemento che potreste usare in equità per chiedere almeno la riduzione delle sanzioni (v. infra).

8. Attenzione alla riscossione e ai “doppi pagamenti”: Un ulteriore problema è che, in caso di frode, il sistema fiscale genera distorsioni: può capitare che l’IVA venga riscossa due volte. Esempio: cartiera emette fattura da 100 + IVA 22, non versa nulla; cliente detrae 22 ma viene pizzicato e deve versare 22 all’Erario con sanzione. Se poi la cartiera viene recuperata (raramente succede, ma poniamo che, per evitare il carcere, versi anch’essa quell’IVA e sanzioni), l’Erario finisce per incassare doppio (44) per la stessa fattura. La legge non permette al cliente di recuperare quanto pagato neppure se l’operazione viene sanata a monte . La Cassazione penale, ad esempio, ha confermato che il pagamento dell’IVA successivamente effettuato dalla cartiera non “riabilita” la fattura ai fini della detraibilità per l’utilizzatore . Quindi il cliente paga due volte (lui e la cartiera) e perde comunque la detrazione, perché la fattura era falsa sin dall’origine e tale rimane . Questo per dire che, purtroppo, se vi trovate in questa situazione, non potrete eccepire “ma l’IVA è stata versata, quindi ridatemi il credito” – non funziona così. La normativa è implacabile con le fatture fittizie: la sanzione può sembrare persino eccessiva (doppia imposizione), ma è considerata legittima in quanto conseguenza della condotta illecita, anche alla luce del diritto UE che ammette un trattamento asimmetrico in caso di frodi . In eventuali negoziazioni con l’Ufficio, tuttavia, potete far presente se il fornitore ha pagato, per chiedere almeno la riduzione delle sanzioni per sproporzione (qualche spiraglio giurisprudenziale in tal senso si è visto, v. Cass. 26374/2023 citata prima, dove addirittura fu ridotta al 30% in mancanza di danno erariale complessivo) .

9. Casi eccezionali: liti multiple e “abuso del diritto”: Va segnalato che non tutte le contestazioni di operazioni inesistenti nascono da frodi classiche; a volte possono celare situazioni di abuso del diritto o elusione. Ad esempio, strutture societarie create solo per ottenere crediti d’imposta o finte sedi in paradisi fiscali: l’Agenzia potrebbe contestare la inesistenza soggettiva per disconoscere benefici. In questi casi, oltre ai profili sin qui visti, entrano in gioco i principi dell’art. 10-bis L. 212/2000 (abuso): se un’operazione, pur formalmente reale, è fatta “essenzialmente per ottenere vantaggi fiscali indebiti”, può essere disconosciuta. La differenza è sottile con le frodi, ma giuridicamente l’abuso non implica sanzioni penali, solo il recupero del vantaggio. Se il vostro caso rientra più nell’elusione che nell’evasione, sottolineatelo: “L’operazione era reale e non c’è stata evasione d’imposta, al più un indebito risparmio: dunque niente sanzioni penali, ma eventualmente riliquidazione tributi”. Ad ogni modo, la linea difensiva cambia poco: dovrete comunque dimostrare la sostanza economica delle operazioni.

10. Prepararsi ai tempi lunghi: Infine, preparatevi psicologicamente e finanziariamente a una battaglia che può essere lunga. Le verifiche sulle cartiere spesso portano a processi tributari di vari gradi e anche penali, con tempi pluriennali. Nel frattempo, le somme accertate potrebbero essere iscritte a ruolo e notificate tramite cartella di pagamento. Valutate la possibilità di chiedere la sospensione della riscossione in pendenza di giudizio (al giudice tributario, se ne ricorrono i gravi motivi). Tenete presente che ottenere sospensioni non è scontato, specie se l’Amministrazione ha presentato forti indizi di frode (il giudice può esitare a sospendere per non favorire comportamenti evasivi). In caso di esito sfavorevole definitivo, c’è la possibilità – residuale – di proporre ricorso per revocazione o tentare un accordo transattivo con l’ente per la rateazione e riduzione sanzioni (quest’ultimo in ambito tributario non è codificato, ma a volte succede in sede di riscossione).

Riassumendo, la difesa del debitore accusato di aver beneficiato di fatture da società cartiere deve puntare a: smontare le presunzioni di consapevolezza, dimostrare la realtà economica delle operazioni e la diligenza del proprio comportamento, far valere le norme favorevoli (deducibilità costi reali) e sfruttare ogni strumento procedurale (pagamenti per estinguere reati, adesioni, sospensioni) per ridurre il danno. La giurisprudenza più recente offre spunti importanti a supporto di chi è realmente in buona fede, ma resta severa con chi, anche solo per negligenza grave, si è prestato a meccanismi evasivi.

Giurisprudenza aggiornata: casi e principi chiave (2023-2025)

Negli ultimi anni la giurisprudenza – di legittimità e di merito – ha prodotto numerose sentenze in materia di frodi carosello e utilizzo di fatture da cartiere. In questa sezione elenchiamo alcune decisioni chiave recenti (fino al 2025) e i relativi principi, che possono essere invocati nella difesa:

  • Cassazione Civile, Sez. Trib., ord. n. 20270/2025 (19 luglio 2025): ha chiarito l’inversione dell’onere della prova nei casi di fatture false . Principio: se il Fisco fornisce indizi qualificati che il fornitore è una cartiera (es. “assenza di sede operativa, personale, coinvolgimento in indagini penali”), allora tocca al contribuente provare che l’operazione contestata è reale . La regolarità formale di fatture e pagamenti non basta; serve dimostrare con documentazione extrafiscale che la prestazione è stata effettivamente eseguita . In caso contrario, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva erroneamente addossato al Fisco l’onere di provare la “non avvenuta operazione” . Importanza: consolida la necessità di prove sostanziali pro-contribuente e conferma che la soglia di prova del Fisco è quella presuntiva (indizi gravi, precisi, concordanti).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 9919/2025 (depositata 16 aprile 2025): caso di fornitore evasore “di famiglia”. La Cassazione ha dato rilievo al legame personale tra utilizzatore e cartiera . La ditta Alfa detraeva IVA da fatture di Beta srl; Beta però non versava l’IVA incassata. I soci di Beta erano marito e cognato del titolare di Alfa. La Cassazione ha ritenuto che questo legame familiare stretto, unito alla gravità e sistematicità degli omessi versamenti IVA da parte di Beta, fosse un indizio sufficiente di conoscenza (o quanto meno conoscibilità) della frode da parte di Alfa . Ha dunque negato la buona fede e confermato il disconoscimento della detrazione, in ossequio ai principi UE secondo cui l’IVA può essere negata se il cessionario sapeva o doveva sapere dell’altrui evasione . Importanza: ribadisce che rapporti di parentela o controllo sono fattori probatori di connivenza; inoltre evidenzia che anche l’omesso versamento IVA “semplice” (senza un’apparente frode organizzata), se noto al cessionario, giustifica la perdita della detrazione . Questo amplia la portata: non serve per forza una frode complessa, basta l’evasione “a monte” nota o conoscibile perché la detrazione diventi illegittima in virtù del principio di neutralità IVA correttamente inteso .
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., ord. n. 13015/2025 (15 maggio 2025): ha affrontato proprio il tema della diligenza del cessionario. La sentenza (richiamata in commenti dottrinali) avrebbe affermato che non è sufficiente invocare la buona fede in termini generici, ma il contribuente deve dimostrare di aver agito con la diligenza di un operatore accorto, in relazione al suo settore . Nel caso specifico (una frode su compravendita di autovetture usate), la CTR aveva dato ragione al contribuente ritenendo che questi non potesse sapere della frode; la Cassazione ha probabilmente cassato tale decisione, sostenendo che un operatore di lunga esperienza nel commercio auto doveva mettere in atto controlli adeguati (es. verificare provenienza delle auto, documenti di immatricolazione, ecc.) . Importanza: conferma che il parametro di valutazione è quello della “massima diligenza” rapportata al caso concreto (maggiore è l’esperienza e la dimensione dell’impresa, maggiori le cautele pretese).
  • Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 16442/2024 (depositata 19 aprile 2024): pronuncia di notevole rilievo in sede penale . La Corte ha annullato la condanna di un imprenditore accusato dei reati di dichiarazione fraudolenta (art. 2) e emissione di fatture false (art. 8), perché i giudici di merito avevano erroneamente classificato la sua società come “cartiera” senza adeguata prova . In pratica, nei primi gradi si era ritenuto che la società P. s.r.l. fosse fittizia e servita solo a emettere fatture, ma la Cassazione ha rilevato che quella conclusione era stata tratta senza una concreta analisi degli indici di operatività dell’azienda . Ha evidenziato diversi elementi che invece provavano l’attività effettiva: la società aveva un progetto commerciale di espansione, disponeva di autorizzazioni ambientali per il suo impianto (settore rifiuti plastici), aveva assunto personale con procedure regolari (coinvolgendo anche i sindacati), realizzava un fatturato significativo e utili, ecc. . Tali riscontri facevano cadere l’ipotesi della cartiera “vuota”. Inoltre, in parallelo, la Commissione Tributaria di secondo grado (CGT Lazio) sugli stessi fatti aveva dato ragione al contribuente, riconoscendo la piena operatività di P. s.r.l. nel contesto industriale del gruppo e annullando le pretese IVA . La Cassazione penale, pur nella separazione tra giudizio penale e tributario, ha preso atto di questa divergenza e ha evitato un esito confliggente, aderendo in sostanza alla valutazione del giudice tributario . Ha quindi annullato la condanna e rinviato per nuovo esame. Importanza: questa sentenza lancia un messaggio forte: non ogni società che partecipa a una frode è di per sé una cartiera – se ha una propria realtà economica e i vantaggi fiscali ipotizzati sono dubbi, non la si può bollare come fittizia senza accurata disamina . È un richiamo ai giudici (soprattutto penali) a non cadere in automatismi accusatori. Dal punto di vista difensivo, è preziosa perché elenca vari indicatori oggettivi di genuinità di una società: autorizzazioni reali, investimenti, personale effettivo, risultati economici conseguiti, ecc. . Se potete mostrare che la vostra controparte contestata possedeva alcuni di questi indici, potete argomentare che forse non era una mera cartiera, e quindi la presunzione di frode potrebbe essere meno solida.
  • Cassazione Penale, Sez. III, ord. n. 9333/2024 (5 marzo 2024): interessate per la questione del doppio versamento IVA di cui parlavamo. In questo caso, la società cartiera (emittente) aveva sanato la propria posizione versando tutto il dovuto (imposte, sanzioni, interessi) per ottenere l’archiviazione del proprio reato . La società utilizzatrice, saputo ciò, aveva chiesto la restituzione delle somme che le erano state sequestrate (corrispondenti all’IVA “finta” che non aveva versato), sostenendo che oramai l’IVA era stata pagata all’Erario dalla emittente. Ebbene, i giudici – confermati dalla Cassazione – hanno negato il dissequestro e stabilito che il pagamento effettuato dalla cartiera non “riabilita” la fattura falsa né esonera l’utilizzatore dal suo debito . La fattura rimane inesistente, dunque l’IVA resta indetraibile e va pagata due volte (dall’emittente e dall’utilizzatore), con tanto di sanzioni e interessi per quest’ultimo . È un caso “di scuola” che evidenzia la linea dura sul piano tributario: l’Agenzia delle Entrate non restituirà la vostra IVA se scopre il giro, anche se poi qualcun altro la versa; e penalmente, l’estinzione del reato per l’emittente non implica affatto che l’utilizzatore sia innocente (anzi, Cassazione sottolinea che l’utilizzatore può aver commesso il suo reato indipendentemente) . Importanza: da tenere a mente per non farsi illusioni su eventuali ravvedimenti altrui. Inoltre, viene confermato (richiamando anche la CGUE, causa C-712/17) che questa doppia imposizione non viola il diritto UE data la natura sanzionatoria delle circostanze .
  • Cassazione SS.UU. Civili, sent. n. 6477/2024 (12 marzo 2024): questa pronuncia a Sezioni Unite, più che sul merito fiscale, verteva su una questione processuale (la firma digitale mancante su un ricorso per Cassazione) . Tuttavia, la vicenda di base riguardava fatture soggettivamente inesistenti nel commercio di auto (caso Unicar s.r.l.) . Le SS.UU. non sono entrate nel merito fiscale (si sono pronunciate sul solo aspetto procedurale), ma dagli estratti si ricava che l’Agenzia lamentava che la CTR avesse invertito l’onere della prova e “utilizzato prove inesistenti/non allegate, finendo per gravare sul contribuente la dimostrazione della buona fede solo dopo aver provato la natura cartiera del fornitore” . In pratica, il motivo di ricorso dell’AdE era che la CTR Lazio aveva troppo avvantaggiato il contribuente acquirente, richiedendo al Fisco di fare di più. Questo ci fa capire che: la linea dell’Agenzia è costantemente quella di far valere che “provata la cartiera, tocca al contribuente provare la sua innocenza” , e quindi quando qualche giudice di merito mostra eccessiva benevolenza verso l’acquirente, il Fisco impugna. Le Sezioni Unite, come detto, non hanno risolto la querelle probatoria (hanno deciso sul tema della firma digitale, dichiarando il ricorso non inammissibile – quindi il processo è andato avanti). Va segnalato per completezza che la stessa questione probatoria è stata recentemente oggetto di attenzione dalla Corte di Giustizia UE: con sentenza EN.SA (8 maggio 2019, C-712/17) si è affermato che uno Stato può richiedere il pagamento dell’IVA e negare la detrazione su operazioni fittizie, ma che infliggere in aggiunta una sanzione pari al 100% dell’imposta può essere sproporzionato se non vi è perdita di gettito . Questo a ribadire l’esigenza di proporzionalità. Le SS.UU. 2024 non hanno toccato direttamente questi aspetti, ma è utile sapere che il dibattito è sempre vivo.
  • CTR e CTP (giurisprudenza di merito): Numerose Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali hanno affrontato casi simili, spesso rifacendosi agli orientamenti della Cassazione. Ad esempio, la CGT II grado Lazio, sent. n. 3573/2023 (già citata) ha riconosciuto in pieno le ragioni del contribuente, giudicando operativa e reale la società accusata di essere cartiera e annullando l’accertamento . In altre situazioni, Commissioni hanno invece dato ragione al Fisco, specie se il contribuente non produceva prove convincenti: “il contribuente non può invocare la buona fede se non dimostra la diligenza: la partecipazione alla frode è intrinseca” sosteneva ad esempio la CTR Lombardia in un caso del 2020 (riportato in massimario) . CTR Toscana nel 2022 ha affermato che “la mera esistenza di documenti contabili non prova l’effettività se ci sono evidenze di assenza di struttura del fornitore”, confermando un accertamento. Invece, una recente CTP di Napoli (2023) ha accolto il ricorso di un’azienda ritenendo che l’Ufficio non avesse provato la consapevolezza della frode: il fornitore era risultato una cartiera, ma il contribuente aveva documentato di aver svolto controlli e che i beni erano entrati regolarmente in magazzino – in assenza di elementi contrari, i giudici hanno ritenuto credibile la sua buona fede e restituito la detrazione IVA (decisioni come questa sono meno frequenti, ma ci sono). Insomma, a livello di merito i casi si decidono caso per caso, bilanciando indizi contro prove difensive. Di solito, se il quadro indiziario del Fisco è robusto (cartiera conclamata e qualche anomalia lato acquirente), il contribuente perde; se invece gli indizi sono labili o il contribuente fornisce una spiegazione alternativa plausibile e documentata, può spuntarla. Va detto che la riforma del processo tributario (D.Lgs. 149/2022) ha introdotto il principio secondo cui il giudice deve valutare secondo il criterio del “più probabile che non” le presunzioni e le prove: ciò potrebbe aiutare i contribuenti in buona fede, laddove la spiegazione fornita sia ragionevole e più verosimile di quella accusatoria.

Domande frequenti (FAQ) su contestazioni da “società cartiere”

Domanda: Che cos’è esattamente una “società cartiera” secondo la legge italiana?
Risposta: Non esiste una definizione normativa puntuale, è un termine di prassi. Indica una società costituita ad hoc per emettere fatture di vendita senza svolgere reale attività, allo scopo di favorire evasioni altrui (tipicamente evasione IVA a monte di una frode carosello). Di solito è caratterizzata da minima patrimonializzazione, mancanza di strutture e beni, breve durata di vita, amministratori prestanome e sistematico omesso versamento di imposte . In sostanza una “fabbrica di fatture” priva di sostanza economica.

Domanda: Come fa l’Agenzia delle Entrate a scoprire che il mio fornitore era una cartiera?
Risposta: Incrociando dati e controlli: spesso a seguito di verifiche incrociate IVA (liste clienti-fornitori, spesometro, fatturazione elettronica) emerge che un soggetto a monte emette molte fatture ma non versa l’IVA e risulta irreperibile. La Guardia di Finanza indaga e scopre che quel soggetto non ha sedi effettive o che l’amministratore è un nullatenente. Si redige un PVC e si risale ai clienti che hanno utilizzato quelle fatture, contestando loro la detrazione indebita e i costi fittizi. A volte l’innesco è una verifica fiscale presso la cartiera stessa (quando la si trova), oppure un’indagine penale per frode carosello che porta alla luce l’elenco delle fatture false emesse. Oggi con l’obbligo di fattura elettronica i controlli sono ancora più tempestivi: l’Agenzia vede se una partita IVA emette fatture e non presenta liquidazioni né versamenti, e può agire di conseguenza.

Domanda: Mi è arrivato un avviso di accertamento che disconosce l’IVA su acquisti da un fornitore “fantasma”. Cosa rischio in concreto?
Risposta: Rischi di dover pagare l’IVA detratta su quelle fatture, più gli interessi maturati e la sanzione del 90% su tale imposta . Inoltre, l’accertamento probabilmente nega la deduzione di quei costi, aumentando il tuo imponibile ai fini delle imposte sui redditi (IRES/IRPEF) e magari IRAP, con ulteriore tassazione e relative sanzioni (al 90%). In sintesi, dovresti restituire tutto il vantaggio fiscale ottenuto, con una pesante sanzione quasi pari all’IVA stessa. Se le cifre sono elevate e la condotta viene ritenuta fraudolenta, potresti subire anche una denuncia penale per dichiarazione fraudolenta (uso di fatture false). La procura competente potrebbe indagarti; di solito per importi IVA evasi oltre €100k parte il procedimento penale d’ufficio. Quindi il rischio è duplice: tributario (esborso economico: imposta, interessi, sanzioni) e penale (processo e possibili sanzioni detentive).

Domanda: Posso difendermi sostenendo che io non sapevo nulla della frode?
Risposta: Sì, la buona fede è la tua principale linea difensiva, ma va dimostrata con elementi concreti di diligenza. Non basta dichiarare “non sapevo”; devi provare di aver fatto quanto ragionevolmente possibile per assicurarti che l’operazione fosse regolare . Ad esempio: hai controllato che il fornitore fosse registrato e affidabile? Puoi mostrare che i prezzi erano di mercato (quindi non c’era un indizio di anomalia)? Hai documenti che provano la reale consegna della merce o l’esecuzione del servizio? Se riesci a convincere che nulla lasciava presagire la frode e che la transazione, per te, era genuina, allora – in base ai principi UE recepiti – non dovresti perdere la detrazione IVA . La Cassazione richiede che il Fisco provi il tuo eventuale coinvolgimento; se tale prova manca o è debole, il giudice potrebbe darti ragione annullando l’atto. Tieni però presente: in sede tributaria spesso si adotta il concetto di “diligenza massima”. Quindi, per essere considerato in buona fede, devi aver agito come farebbe un imprenditore prudente e attento. Qualsiasi negligenza (es. non aver verificato un nuovo fornitore, non essersi insospettito per condizioni troppo vantaggiose) può essere usata contro di te per dire che “avresti dovuto sapere”. In sintesi: la buona fede è tutelabile, ma solo se accompagnata da comportamenti diligenti da parte tua, dimostrabili in giudizio.

Domanda: È sufficiente mostrare le fatture e i bonifici per dimostrare che l’operazione era vera?
Risposta: No, purtroppo. Fatture e pagamenti tracciati sono elementi di base, ma nelle frodi sono considerati “facilmente simulabili” . Le organizzazioni fraudolente, infatti, emettono regolari fatture e spesso fanno girare pagamenti (talora bonifici che poi vengono restituiti in contanti) proprio per costruire una parvenza di legittimità. Dunque, di fronte a contestazioni di operazioni inesistenti, fatture e ricevute di pagamento sono prove necessarie ma non sufficienti. Servono altri riscontri: DDT firmati, contratti di trasporto, prove della movimentazione fisica dei beni, documenti doganali se import, email con richieste di ordine, report fotografici, utilizzo effettivo dei beni nei processi aziendali… Tutto ciò che esca dalla mera contabilità. La Cassazione (ord. 20270/2025, ad es.) ha esplicitamente detto che la difesa non può limitarsi alla “mera esibizione della fattura e della traccia del pagamento”, perché questi elementi vengono tipicamente predisposti nelle frodi . Ci vuole una prova più sostanziale dell’effettività della prestazione .

Domanda: Se i beni/servizi ci sono realmente stati, almeno il costo posso scaricarlo?
Risposta: Sì, questo è un punto a tuo favore. La normativa sulle imposte dirette (art. 14, co.4-bis L. 537/93) concede la deducibilità dei costi di operazioni soggettivamente inesistenti per la parte realmente avvenuta . Quindi se, ad esempio, hai ricevuto realmente una fornitura di materiali (solo che la fattura proveniva da una cartiera anziché dal vero fornitore), il costo relativo a quei materiali è comunque deducibile dal reddito d’impresa . La logica è che si tratta di un costo effettivo, che ha contribuito a produrre il tuo reddito, e negarlo significherebbe tassarti su un profitto che non hai avuto . La Cassazione ha confermato che anche se l’acquirente era consapevole della frode, il costo è deducibile (salvo che fosse sostenuto per fini illeciti diversi dall’evasione fiscale) . Quindi in Commissione Tributaria dovresti certamente chiedere, in subordine, il riconoscimento dei costi reali dedotti, anche qualora ti venga negata la detrazione IVA. Attenzione: questo non si applica se il costo in sé è un puro artificio (caso fattura oggettivamente falsa). Vale solo quando c’è una parte reale nell’operazione. Inoltre, non riguarda l’IVA: l’IVA è disciplinata a livello UE e, se eri consapevole, verrà comunque negata. Ma almeno sul fronte delle imposte sul reddito puoi ottenere di non pagare tasse in più su quei costi. In pratica: ti toglieranno l’IVA e ti daranno la sanzione, ma potrebbero lasciarti dedurre il costo (evitando una doppia penalizzazione).

Domanda: Il mio fornitore era davvero una cartiera (non ha mai dichiarato nulla). Posso imputare tutta la colpa a lui?
Risposta: Puoi certo intraprendere azioni contro di lui (es. se sei stato truffato, una denuncia per frode commerciale), ma dal punto di vista fiscale ciascuno risponde per sé. L’Agenzia delle Entrate non si accontenta di colpire la cartiera (anche perché spesso da essa non recupera nulla), ma esige le imposte da te che le hai detratte indebitamente. Legalmente, non c’è una “colpa” trasferibile: il fornitore ha colpa di emissione fatture false, tu hai colpa (eventuale) di averle utilizzate. Anche se dimostri di essere vittima e ottieni magari una sentenza civile di risarcimento contro il fornitore, ciò non ti esonera dal pagamento delle imposte evase. Quindi nella difesa tributaria incolpare la cartiera serve solo a evidenziare la tua buona fede (se davvero sei vittima), ma non evita l’obbligo di pagare il tributo. In conclusione: dovrai pagare l’IVA non versata dalla cartiera (sotto forma di detrazione negata) e poi eventualmente rivalerti civilmente sul fornitore per i danni. Tuttavia, spesso le cartiere sono “teste di legno” insolventi, quindi il recupero è teorico. È per questo che il Fisco si rivale sull’utilizzatore: perché è l’unico che, avendo magari beneficiato della frode (prezzi più bassi, ecc.), ha la capacità contributiva per pagare. Può sembrare iniquo per chi era del tutto ignaro, ma così è impostato il sistema (salvo poter provare l’assenza di conoscenza e cercare di vincere in giudizio).

Domanda: Mi hanno aperto anche un procedimento penale per fatture false: cosa devo fare?
Risposta: In primis, niente panico ma massima attenzione. Ingaggia un bravo penalista esperto di reati tributari. La strategia penale dovrà essere coordinata con quella tributaria. Se hai elementi di prova forti a tuo discarico (es. testimoni, documenti che dimostrano la tua estraneità), portali sia in Commissione sia al PM. Considera seriamente la possibilità di pagare il dovuto al Fisco il prima possibile: se riesci a versare tutte le imposte, sanzioni e interessi prima del dibattimento penale, il reato si estingue (art. 13 D.Lgs. 74/2000) . Certo, è un esborso notevole, ma ti evita un potenziale esito di condanna a diversi anni di reclusione. Puoi anche valutare (col penalista) il patteggiamento se non vedi chance di assoluzione, ma sappi che per patteggiare nei reati di cui all’art. 2 e 8 è richiesto comunque il pagamento del debito tributario o almeno un impegno a pagare (la legge preclude patteggiamenti “senza pagamento” per le frodi fiscali). Se invece sei convinto della tua innocenza e hai buone prove, potrai puntare all’assoluzione (“perché il fatto non costituisce reato” in caso di buona fede). Tieni presente che un’assoluzione penale non implica automaticamente vittoria in ambito tributario, e viceversa, ma in pratica le due cose vanno insieme: se sei assolto perché il fatto non sussiste o tu non c’entri, è probabile che anche l’accertamento fiscale verrà poi annullato (magari in autotutela). In ogni caso, collabora con il tuo avvocato fornendogli tutto il materiale che hai raccolto per il ricorso tributario: quelle stesse prove saranno utili per la tua difesa penale.

Domanda: In conclusione, è davvero possibile vincere contro contestazioni di utilizzo di fatture false?
Risposta: Sì, è possibile, ma dipende dalle circostanze. Se sei stato realmente ignaro e hai documenti che dimostrano la tua correttezza, molti giudici riconoscono il diritto del contribuente in buona fede. Ci sono sentenze, anche di Cassazione, che annullano gli accertamenti quando il Fisco non prova il coinvolgimento consapevole del contribuente . Specialmente quando la frode è complessa e può aver tratto in inganno anche te, i giudici tributari di merito talvolta accolgono il ricorso del contribuente (ci sono esempi di sentenze CTR favorevoli). Certo, la situazione ideale è quella in cui tu stesso hai contribuito a smascherare la frode (magari denunciando la cartiera appena scoperta) o hai cooperato con le autorità: questo gioca molto a tuo favore. In assenza di prove di malafede, la Commissione può annullare l’atto dicendo che il Fisco non ha dimostrato che volevi evadere. Tuttavia, preparati anche al fatto che, nella maggior parte dei casi, se emergono chiari segni di frode, almeno la parte IVA è difficile da salvare. Potresti comunque spuntare vittorie parziali, come il riconoscimento dei costi deducibili o la riduzione delle sanzioni. Quindi l’esito non è mai scontato: si va dal totale annullamento dell’accertamento alla conferma integrale, passando per soluzioni intermedie. L’importante è non scoraggiarsi e impostare una difesa solida, perché la differenza la fa davvero la qualità e quantità delle prove e argomentazioni che presenterai. Se segui i passi di difesa delineati e riesci a far emergere la tua estraneità alla frode, hai buone chance di successo o quantomeno di attenuare molto le conseguenze.

Domanda: Che differenza c’è tra contestazione di fatture false e contestazione di abuso del diritto/elusione?
Risposta: In entrambi i casi l’Amministrazione recupera imposte, ma giuridicamente sono diversi. Le fatture false implicano operazioni inesistenti e sono considerate evasione fiscale, con sanzioni amministrative pesanti (90%) e possibili reati. L’abuso del diritto/elusione riguarda invece operazioni reali ma fatte principalmente per vantaggi fiscali indebiti (es. usare una società estera solo per pagare meno tasse): non c’è falsità documentale, c’è un uso distorto di norme. L’abuso viene sanzionato solo con il recupero dell’imposta e una sanzione amministrativa del 90% ridotta a 1/3 (30%) , senza implicazioni penali (l’abuso non è reato). Quindi, se la tua posizione fosse in realtà elusiva e non evasiva, andrebbe trattata diversamente. Nel dubbio, l’Agenzia tende a qualificare come “inesistente” ogni operazione fittizia; sta a te eventualmente dimostrare che era un’operazione con sostanza economica, ma forse abusiva. In questo contesto, comunque, società cartiere rimanda quasi sempre a evasione conclamata, non a semplice elusione.

Domanda: Quali sono le fonti più autorevoli da citare a mio favore?
Risposta: Per supportare le tue difese, puoi citare sia norme che sentenze. Tra le norme: l’art. 14, co.4-bis L.537/93 sulla deducibilità dei costi (se applicabile al tuo caso), l’art. 19 e 21 DPR 633/72 per ricordare la neutralità IVA ma anche il limite delle operazioni inesistenti , e lo Statuto del Contribuente (ad es. art. 10-bis se credi sia abuso, o art. 6 sulla buona fede nei rapporti con il fisco). Tra le sentenze: sicuramente Cass. 30018/2022 (deducibilità costi soggettivamente inesistenti anche se consapevoli) , Cass. 18874/2019 (spesso citata, su onere del Fisco di provare consapevolezza del cessionario), Cass. 9851/2018 (altra che ribadisce onere a carico Fisco e poi contribuente), e tutte le Cassazioni 2023-2025 menzionate sopra (es. Cass. 20270/25, Cass. 9919/25, Cass. 16442/24). Anche richiami alla Corte di Giustizia UE – come la sentenza Kittel (C-439/04) sul “knew or should have known” e la Maks Pen (C-18/13) sul concetto di partecipazione a evasione – sono molto efficaci, perché i giudici italiani sanno di dover rispettare quei principi. Infine, potresti citare pronunce di merito se rilevanti (ad es. CTR Lombardia 2018 che ha assolto un contribuente ritenendo non provata la sua malafede, ecc.), ma il peso maggiore ce l’hanno le Cassazioni e l’eventuale tuo giudicato penale se favorevole.

Domanda: Se alla fine perdo la causa tributaria, devo per forza andare in Cassazione?
Risposta: Non necessariamente. Dipende dagli importi e dalle circostanze. Il ricorso per Cassazione è possibile solo per motivi di diritto, non rivede i fatti. Se la CTR ha valutato le prove e ti ha dato torto sul fatto (“era più probabile che sapessi della frode”), difficilmente la Cassazione potrà ribaltare perché quello è apprezzamento di merito. La Cassazione interviene se c’è un errore di diritto: ad esempio, se la CTR ti ha negato un diritto nonostante una norma dica il contrario, o se ha invertito l’onere probatorio in modo difforme dalla giurisprudenza consolidata. Ad esempio, se la CTR avesse detto “non serve provare la consapevolezza, basta la cartiera per togliere l’IVA”, quello sarebbe un errore in iure poiché contrario ai principi UE e Cassazione: in tal caso avresti speranze in Cassazione (che infatti su ricorso AdE ha cassato decisioni troppo favorevoli a contribuenti, ma anche viceversa). Valuta i costi/benefici: se l’importo è alto e c’è margine giuridico, tentare la Cassazione può valere. Altrimenti, potresti decidere di chiudere la vicenda magari chiedendo una rateazione all’Agenzia Riscossione per pagare nel tempo (fino a 72 rate normalmente, o 120 se difficoltà). Ricorda anche che, se hai pagato e poi in futuro esce una giurisprudenza rivoluzionaria favorevole, c’è uno strumento straordinario di revocazione delle sentenze passate in certi casi, ma è molto raro.

Domanda: Qual è la lezione da imparare per il futuro, per evitare questi problemi?
Risposta: Fare sempre attenzioni preventive quando scegli nuovi partner commerciali. In particolare: verifica l’identità e l’affidabilità dei fornitori, soprattutto se offrono condizioni troppo vantaggiose. Controlla che abbiano una sede reale, che siano attivi e non appena costituiti, che i loro rappresentanti non siano prestanome noti (ad es. soggetti ultrasettantenni o giovanissimi senza esperienza, spesso segnali di cartiera ). Se si tratta di operazioni estere o filiere complicate, diffida da schemi poco chiari. Conserva sempre tutta la documentazione di ciò che compri o vendi. In sostanza, applica la diligenza dell’uomo d’affari medio: questo non solo ti protegge in caso di controlli, ma scoraggia anche i malintenzionati dall’usarti come inconsapevole complice. Dopo le esperienze fatte, saprai riconoscere meglio i “campanelli d’allarme” di una possibile cartiera (ad esempio: fornitore che cambia spesso sede, che chiede pagamenti strani, che non ha sito né storia, ecc.). Prevenire è meglio che curare: una verifica in più oggi può risparmiarti un contenzioso domani.

Domanda: Posso chiedere un parere all’Agenzia delle Entrate prima di fare operazioni a rischio?
Risposta: Sì, attraverso lo strumento dell’interpello. In verità, l’interpello è più adatto a questioni di diritto (dubbio interpretativo) che non a situazioni come “mi fido o no di questo fornitore?”. Non puoi chiedere all’AdE se Tizio è onesto. Però puoi chiedere, ad esempio, se una certa struttura commerciale potrebbe essere considerata elusiva o fraudolenta. Ad esempio, in passato alcune aziende hanno interpellato sul regime IVA delle triangolazioni per evitare di incorrere in frodi carosello inconsapevolmente. L’Agenzia risponde sul quadro normativo, ma non ti garantirà mai al 100% che un soggetto non sia una cartiera. Quello ricade sempre nella tua sfera di attenzione. Piuttosto, puoi consultare le banche dati pubbliche: esiste l’elenco VIES per le partite IVA abilitate agli scambi UE, ci sono provider che offrono report su aziende (bilanci, solvibilità). Investire un po’ in queste informazioni è consigliabile.

Conclusione: Difendersi da contestazioni fiscali relative a “società cartiere create a fini evasivi” è un compito arduo ma non impossibile. Il contribuente onesto, armato di documentazione e consapevole dei propri diritti, può far valere le proprie ragioni dinanzi ai giudici tributari, evitando di pagare ingiustamente per colpe altrui. La chiave è conoscere le norme (e averle rispettate per quanto umanamente possibile) e conoscere le pronunce che fanno giurisprudenza: queste ultime, come abbiamo visto, delineano un sistema che punisce severamente l’evasione concertata, ma che lascia scappatoie di tutela per chi effettivamente si è mosso in buona fede e con diligenza. In ogni caso, l’esperienza insegna che la miglior difesa è la prevenzione: tenere gli occhi aperti sui propri partner commerciali e sulla regolarità delle operazioni è il modo più efficace per non cadere vittima (né complice) di frodi fiscali.

Fonti e Riferimenti:

  • D.P.R. 26/10/1972, n. 633 (IVA), artt. 19, 21 e succ. mod.
  • D.P.R. 22/12/1986, n. 917 (TUIR), art. 109; L. 24/12/1993, n. 537, art. 14, c.4-bis (come mod. da D.L. 16/2012 conv. L. 44/2012).
  • D.Lgs. 10/03/2000, n. 74, artt. 2, 8, 9, 10-bis, 13, 20 (come mod. da L. 157/2019 e L. 130/2022).
  • Corte di Cassazione civ., Sez. Trib., ord. n. 30018/2022 (13 ottobre 2022) – Deducibilità costi da operazioni soggettivamente inesistenti anche se contribuente consapevole .
  • Corte di Cassazione civ., Sez. Trib., ord. n. 26374/2023 (12 settembre 2023) – Sanzioni IVA ridotte se nessuna perdita di gettito (operazioni “a saldo zero”) .
  • Corte di Cassazione civ., Sez. Trib., ord. n. 9684/2025 (14 aprile 2025) – Onere del Fisco di provare, anche per presunzioni, la consapevolezza del cessionario in frodi carosello .
  • Corte di Cassazione civ., Sez. Trib., ord. n. 9919/2025 (16 aprile 2025) – Legame familiare come indizio di conoscenza nella detrazione IVA su fornitori evasori .
  • Corte di Cassazione civ., Sez. Trib., ord. n. 20270/2025 (19 luglio 2025) – Inversione onere prova: contribuente deve provare effettività operazioni se Fisco prova cartiera .
  • Corte di Cassazione pen., Sez. III, sent. n. 16442/2024 (19 aprile 2024) – Reato di fatture false: va provata concretamente la natura cartiera della società, annullata condanna se società operativa .
  • Corte di Cassazione pen., Sez. III, ord. n. 9333/2024 (5 marzo 2024) – Fattura falsa non “sanabile”: pagamento postumo da parte della cartiera non riattiva il diritto a detrazione per l’utilizzatore .
  • Corte Giustizia UE, sent. C-439/04 (Kittel, 2006) e cause successive – Principio: negazione detrazione IVA se il soggetto “sapeva o avrebbe dovuto sapere” di partecipare a una frode ; onere della prova in capo all’Amministrazione .
  • UIF (Unità Informazione Finanziaria Bankitalia), Quaderni Antiriciclaggio n.15/2020 – Indicatori sintetici per individuare società cartiere (dotazione minima, sede fittizia, soggetti prestanome, variazioni frequenti) .
  • Circolari e risoluzioni Agenzia Entrate: e.g. Circ. AE 16/E/2018 (onere di verifica del cessionario), Circ. 1/2018 GdF (frode carosello, indici).
  • Corte di Cassazione ordinanza n. 30018 depositata il 13 ottobre 2022 – L’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti
  • Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 16442 depositata il 19 aprile 2024 – Per attribuire la qualità di società cartiera occorre una concreta ed esaustiva ricognizione degli indici sintomatici dell’inesistenza della sua attività imprenditoriale

Hai ricevuto una contestazione fiscale o penale perché la tua impresa è stata collegata a una società cartiera? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione fiscale o penale perché la tua impresa è stata collegata a una società cartiera?
Vuoi capire cosa significa questa accusa e come puoi difenderti efficacemente?

Le società cartiere sono entità costituite solo sulla carta, senza una reale attività economica, create allo scopo di emettere o utilizzare fatture false per abbattere i ricavi imponibili o generare crediti IVA fittizi.
Quando l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza individuano rapporti commerciali sospetti, possono accusare anche le imprese “a valle” di aver partecipato al meccanismo evasivo.

👉 Non sempre però il contribuente è consapevole della natura fraudolenta della controparte: dimostrare la buona fede e la reale operatività delle transazioni è la chiave della difesa.


⚖️ Perché scattano le contestazioni

  • Utilizzo di fatture emesse da società senza struttura o dipendenti;
  • Rapporti con imprese che non versano IVA né presentano dichiarazioni fiscali;
  • Prezzi anomali rispetto al mercato, volti solo a creare crediti IVA;
  • Operazioni prive di reale giustificazione economica;
  • Flussi finanziari circolari che fanno sospettare frodi organizzate.

📌 Conseguenze delle contestazioni

  • Recupero delle imposte non versate, con interessi e sanzioni;
  • Accertamento induttivo sul reddito e sull’IVA;
  • Procedimenti penali tributari per dichiarazione fraudolenta o emissione di fatture false;
  • Sequestro preventivo dei beni fino a concorrenza delle imposte evase.

🔍 Come difendersi

  1. Dimostrare la realtà delle operazioni: documenti di trasporto, prove di consegna, corrispondenza commerciale, utilizzo effettivo dei beni o servizi.
  2. Provare la buona fede: mostrare di aver adottato la normale diligenza nell’individuare i fornitori (visure camerali, verifiche IVA, contratti).
  3. Contestare l’automatismo delle presunzioni: il Fisco deve dimostrare che l’impresa fosse consapevole del meccanismo evasivo.
  4. Eccepire eventuali vizi procedurali: mancanza di contraddittorio, violazioni nelle indagini bancarie, sproporzione del sequestro.
  5. Impugnare l’accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e difendersi anche sul piano penale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza le contestazioni e individua le debolezze della tesi del Fisco;
  • 📌 Ricostruisce le prove della reale operatività delle operazioni contestate;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre la pretesa fiscale;
  • ⚖️ Ti difende nei procedimenti penali tributari collegati all’accusa di società cartiera;
  • 🔁 Studia strategie patrimoniali per limitare l’impatto di sequestri e misure cautelari.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in reati tributari e contestazioni su società cartiere;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa penale d’impresa;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Un’accusa di utilizzo o creazione di società cartiere è tra le più gravi in materia fiscale, ma non sempre fondata.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la realtà delle transazioni, la tua estraneità a fini evasivi e proteggere l’impresa da conseguenze devastanti.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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