Hai ricevuto un avviso di garanzia o sei indagato per autoriciclaggio? Si tratta di un reato introdotto nel 2014, che colpisce chi impiega, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità derivanti da un reato proprio, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita. Le conseguenze penali e patrimoniali possono essere molto gravi, ma esistono strategie difensive efficaci.
Che cos’è l’autoriciclaggio
L’autoriciclaggio si configura quando:
– Una persona commette un reato da cui ottiene un profitto economico
– Utilizza quei proventi per impieghi finanziari, attività economiche o investimenti
– Lo fa con modalità tali da rendere difficile identificare la provenienza illecita delle somme
Non rientrano nell’autoriciclaggio le condotte di mera utilizzazione personale (es. spese di vita quotidiana), purché non finalizzate a nascondere il denaro.
Quando scatta l’accusa di autoriciclaggio
– Se i proventi di un reato vengono reinvestiti in attività economiche o finanziarie
– Se vengono trasferiti all’estero tramite conti o società di comodo
– Se si ricorre a schermi giuridici come trust o intestazioni fittizie
– Se si impiegano fondi derivanti da frodi fiscali o da altri reati tributari
– Se le operazioni hanno lo scopo di ostacolare l’individuazione della provenienza illecita
Cosa rischi con un’accusa di autoriciclaggio
– Reclusione da 2 a 8 anni
– Multa da 5.000 a 25.000 euro
– Sequestro preventivo dei beni considerati provento del reato
– Confisca definitiva in caso di condanna
– Danni reputazionali e difficoltà nei rapporti bancari e commerciali
Come difendersi dall’accusa di autoriciclaggio
– Dimostrare che le somme contestate derivano da attività lecite o già tassate
– Evidenziare che l’utilizzo dei fondi non era finalizzato a ostacolare la tracciabilità
– Contestare la qualificazione giuridica dei fatti, dimostrando che si tratta di mera utilizzazione personale e non di autoriciclaggio
– Contestare la sproporzione delle misure cautelari come sequestro e confisca
– Richiamare la giurisprudenza che ha delimitato i confini del reato di autoriciclaggio
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare gli atti d’indagine e verificare la sussistenza effettiva degli elementi costitutivi del reato
– Predisporre memorie difensive per contestare l’ipotesi di autoriciclaggio
– Richiedere la revoca o la sostituzione delle misure cautelari personali e patrimoniali
– Dimostrare che le operazioni contestate non avevano finalità di riciclaggio ma natura diversa
– Difendere l’imputato in tutte le fasi del procedimento penale e tributario
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’archiviazione del procedimento se mancano i presupposti del reato
– La revoca del sequestro e la restituzione dei beni congelati
– La riduzione delle pene in caso di condanna, anche attraverso riti alternativi
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di dimostrare la buona fede ed escludere la responsabilità penale
⚠️ Attenzione: l’autoriciclaggio è un reato complesso che spesso viene contestato insieme a reati fiscali. Non sempre però le operazioni contestate integrano la fattispecie penale: con una difesa tecnica mirata è possibile ridimensionare o annullare l’accusa.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto penale-tributario – ti spiega cosa significa essere accusati di autoriciclaggio e come difendersi in modo efficace.
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Introduzione
Il reato di autoriciclaggio è una figura introdotta nel 2015 nell’ordinamento penale italiano per colmare la lacuna che consentiva all’autore di un reato di “ripulire” i proventi illeciti senza ulteriori conseguenze penali. Prima della legge n. 186/2014, infatti, chi commetteva un reato e successivamente impiegava personalmente il denaro ricavato non poteva essere perseguito per riciclaggio, essendo quest’ultimo applicabile solo a terzi estranei al reato presupposto. Dal 2015, invece, anche l’autore del reato originario risponde di riciclaggio “proprio” (da cui il termine auto-riciclaggio) qualora compia attività volte a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa dei beni.
Questa guida, aggiornata a luglio 2025, fornisce un’analisi approfondita su come difendersi efficacemente da un’accusa di autoriciclaggio. Saranno esaminati in dettaglio: la normativa italiana vigente (art. 648-ter.1 c.p. e relative modifiche), gli elementi costitutivi del reato, le differenze rispetto al riciclaggio tradizionale e altre fattispecie affini, nonché le strategie difensive attuabili sia da un punto di vista tecnico-giuridico (eccezioni, interpretazioni giurisprudenziali favorevoli, cause di non punibilità) sia pratico-procedurale. Verranno inoltre affrontate le implicazioni fiscali e civili connesse a questo reato – ad esempio nei casi in cui l’autoriciclaggio si intrecci con illeciti tributari o con l’attività d’impresa – e illustrate simulazioni di casi pratici dal punto di vista del soggetto accusato (il debitore/autore del reato presupposto).
Il taglio dell’analisi è avanzato ma dal linguaggio chiaro e divulgativo, in modo da risultare utile sia a professionisti legali (avvocati, consulenti) sia a privati cittadini e imprenditori che necessitino di comprendere la materia per tutelare i propri diritti. Troverete inoltre domande e risposte frequenti e tabelle riepilogative che sintetizzano i concetti chiave – come le pene previste, le differenze tra reati e gli strumenti difensivi disponibili – per una consultazione immediata. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono riportate in fondo alla guida, così da poterne verificare il contenuto e l’autorevolezza.
Iniziamo inquadrando la normativa di riferimento e la definizione del reato di autoriciclaggio, per poi passare agli aspetti pratici della difesa.
Cos’è l’autoriciclaggio: definizione e normativa di riferimento
L’autoriciclaggio è disciplinato dall’art. 648-ter.1 del Codice Penale. In base a tale norma, commette il reato “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, sostituisce, trasferisce o impiega in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Questa formulazione individua i tratti essenziali del reato di autoriciclaggio:
- Soggetto attivo: colui che ha commesso (o partecipato a) un reato presupposto non colposo. In altre parole, l’autore del reato originario (ad es. frode, peculato, truffa, reato fiscale, ecc.) che si trova a gestire i proventi illeciti da lui stesso generati.
- Oggetto materiale: denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, ossia derivanti dal reato presupposto. Il reato presupposto deve essere un delitto doloso (sono esclusi i reati colposi e – come vedremo – in parte le contravvenzioni). Se non è provata l’esistenza di un reato a monte che abbia prodotto quei beni, non vi può essere autoriciclaggio.
- Condotta: qualsiasi operazione di sostituzione, trasferimento o reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. Si tratta di termini ampi:
- Sostituzione implica il cambio di natura o forma del denaro (ad es. cambio di valuta, trasformazione di contante in altri beni, conversione in criptovalute, acquisto di beni mobili/immobili, ecc.).
- Trasferimento implica lo spostamento dei valori da un luogo o conto a un altro (ad es. bonifici, passaggi di denaro a terzi, movimentazione tra conti diversi).
- Impiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative implica l’investimento o l’utilizzo dei proventi in modo da farli rientrare nel circuito legale, tipicamente per trarne profitto o comunque per integrare il denaro “sporco” nell’economia legale (esempi: avviare un’attività commerciale con i proventi illeciti, finanziare società, giocare somme in borsa o al casinò, acquistare immobili o partecipazioni societarie, ecc.). La giurisprudenza ha chiarito che nella nozione di attività speculativa rientrano, ad esempio, anche il gioco d’azzardo e le scommesse, in quanto investimenti ad alto rischio attraverso cui si “maschera” la provenienza del denaro.
- Evento di reato: il risultato richiesto perché la condotta sia punibile è che essa sia concretamente idonea a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa dei beni. Ciò significa che l’operazione compiuta deve creare una difficoltà effettiva nell’accertare che quel denaro o bene proviene dal reato. Non è necessario, però, che renda impossibile tale identificazione – è sufficiente che la renda più difficile o la ostacoli anche solo in parte. Ad esempio, depositare denaro contante di provenienza illecita su un conto corrente bancario formalmente intestato allo stesso autore può già costituire autoriciclaggio, poiché la natura fungibile del denaro in banca fa sì che esso venga automaticamente “ripulito” (la banca restituisce al cliente denaro lecito, il tantundem equivalente, e non le stesse banconote depositate). Allo stesso modo, qualsiasi trasferimento di fondi da un conto a un altro realizza una cesura documentale che ostacola le indagini sulla provenienza. La Cassazione ha infatti ribadito nel 2025 che “non occorre che l’agente ponga in essere una condotta… che comporti un impedimento assoluto all’identificazione… essendo sufficiente qualunque attività concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla provenienza”. In sintesi, l’operazione deve avere carattere dissimulativo: deve tendere a nascondere la natura illecita del denaro (anche se ciò avviene in modo solo parziale o temporaneo).
Dal punto di vista soggettivo, l’autoriciclaggio è punibile a titolo di dolo generico. È richiesto cioè che l’agente sia consapevole della provenienza illecita dei beni (dato quasi scontato, essendo lui stesso autore del reato a monte) e che voglia compiere le operazioni di sostituzione/trasferimento/reimpiego. Non è invece necessario il fine specifico di “ripulire” il denaro o di procurarsi un ulteriore profitto: basta la volontà di compiere quell’operazione che, obiettivamente, ostacola gli accertamenti. Ad esempio, anche chi destina i proventi illeciti a un’attività speculativa spinto principalmente dalla speranza di guadagno (piuttosto che dall’intento di occultare il denaro) risponde comunque del reato, purché l’atto compiuto sia concretamente dissimulatorio.
Evoluzione normativa e finalità della legge
L’incriminazione dell’autoriciclaggio è stata introdotta con la legge 15 dicembre 2014, n. 186, in vigore dal 1º gennaio 2015, nell’ambito delle misure per il rientro dei capitali dall’estero e il contrasto all’evasione fiscale. Tale legge, oltre a prevedere una procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) per far emergere capitali nascosti, ha inserito nel Codice Penale l’art. 648-ter.1 c.p., colmando un vuoto nella repressione penale del money laundering. L’obiettivo dichiarato del legislatore era evitare che il reo potesse godere impunemente dei frutti del proprio crimine, reinserendoli nell’economia legale senza sanzioni ulteriori, e al tempo stesso rafforzare la lotta alla criminalità economica e organizzata impedendo la “circolazione” di beni illeciti nel circuito finanziario.
In precedenza, chi commetteva un reato poteva essere punito solo per quel reato (es. corruzione, truffa, spaccio di droga), ma non anche per aver successivamente movimentato o investito il ricavato. Il nuovo delitto di autoriciclaggio mira invece a “congelare” il profitto illecito nelle mani di chi lo ha generato, punendo “qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale” attuata con condotte che ne ostacolino l’individuazione. Questa ratio è perfettamente in linea con il principio del ne bis in idem: la clausola di punibilità dell’autoriciclaggio è stata costruita per evitare un doppio giudizio sulla stessa condotta criminosa, sanzionando solo le attività ulteriori e diverse rispetto al reato presupposto (cioè le attività di camuffamento dei proventi).
La norma sull’autoriciclaggio è stata in seguito modificata dal d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195 (attuativo della direttiva UE 2018/1673). Le modifiche del 2021, di cui diremo tra poco più nel dettaglio, hanno tra l’altro esteso parzialmente l’ambito di applicazione ai proventi di talune contravvenzioni e affinato il regime delle circostanze attenuanti. In ogni caso, l’impianto generale del reato è rimasto invariato: oggi l’autoriciclaggio costituisce un reato istantaneo (si perfeziona al compimento della condotta di occultamento) e plurioffensivo, tutelando sia l’amministrazione della giustizia (ostacolata dalle operazioni di occultamento) sia l’ordine economico e la trasparenza dei mercati finanziari.
Nei paragrafi successivi analizzeremo più in dettaglio gli elementi del reato, le differenze con le fattispecie affini e le pene previste, per poi concentrarci sulle possibili strategie di difesa.
Differenze tra autoriciclaggio, riciclaggio e altre fattispecie affini
Per comprendere appieno la portata dell’autoriciclaggio, è utile distinguere questa figura da altri reati in qualche modo correlati: il riciclaggio tradizionale, la ricettazione e l’impiego di denaro di provenienza illecita. La tabella seguente riassume le principali differenze:
Reato | Norma | Chi può commetterlo | Condotta tipica | Pena base |
---|---|---|---|---|
Ricettazione | Art. 648 c.p. (Delitti contro il patrimonio) | Chi non ha commesso il reato presupposto (soggetto estraneo) | Acquistare, ricevere o occultare denaro o cose provenienti da qualsiasi reato, o intercedere affinché altri le acquistino, al fine di procurare profitto a sé o ad altri, quando non concorre nel reato presupposto. | Reclusione 2–8 anni; multa €516–€10.329 (importi originali in lire, convertiti). Nota: Pena aumentata se fatto commesso in attività professionale; diminuita se proventi da reato punito max ≤5 anni. |
Riciclaggio | Art. 648-bis c.p. (Delitti contro il patrimonio) | Chi non ha commesso il reato presupposto (soggetto estraneo) | Sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compiere altri atti in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa. (In sostanza, il classico “ripulire” denaro altrui). | Reclusione 4–12 anni; multa €5.000–€25.000. Aggravante: se commesso nell’esercizio di attività professionale. Attenuante: se proventi da delitto punito max ≤5 anni (pena diminuita). |
Impiego di beni illeciti | Art. 648-ter c.p. (Delitti contro il patrimonio) | Chi non ha commesso il reato presupposto (soggetto estraneo) | Impiegare denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita in attività economiche o finanziarie, fuori dai casi di concorso nel reato e dagli altri casi di ricettazione/riciclaggio. È fattispecie residuale: es. un terzo che investe capitali illeciti altrui nell’economia legale senza compiere atti di occultamento rilevanti (se vi fosse ostacolo all’identificazione, sarebbe riciclaggio). | Reclusione 4–12 anni; multa €5.000–€25.000. Attenuante: se proventi da contravvenzione punita con arresto >1 anno (pena ridotta a reclusione 2–6 anni, multa €2.500–€12.500). |
Autoriciclaggio | Art. 648-ter.1 c.p. (Delitti contro il patrimonio) | Chi ha commesso (o concorso a) il reato presupposto (autore “principale”) | Sostituire, trasferire o impiegare denaro, beni o altre utilità proventi da un proprio delitto non colposo, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro origine delittuosa. (Vedi definizione estesa nel paragrafo precedente). | Reclusione 2–8 anni; multa €5.000–€25.000. (Circostanze particolari: vedi sezione successiva sulle pene). |
In sintesi: ricettazione, riciclaggio e impiego di beni illeciti puniscono condotte di gestione di proventi illeciti da parte di soggetti diversi dall’autore del reato a monte (es. un ricettatore, un “riciclatore” professionale, un prestanome finanziario). L’autoriciclaggio, invece, punisce lo stesso autore del reato presupposto per le operazioni che compie sui propri proventi illeciti al fine di mascherarne l’origine. È dunque un reato proprio (quanto al soggetto attivo) e in parte “derivato” dal riciclaggio classico quanto alla struttura della condotta (sostituzione/trasferimento ecc.). Va evidenziato che, per espressa previsione normativa, non si applica l’autoriciclaggio (né il riciclaggio tradizionale) nei “casi di concorso nel reato”: ciò significa che se taluno ha già partecipato come correo al reato presupposto, non potrà essere considerato un terzo estraneo ai fini del 648-bis o 648-ter.1. In pratica, o si contesta il concorso nel reato presupposto oppure, se il soggetto è estraneo ad esso, gli si contesterà il riciclaggio; ma non entrambi. Questa regola evita duplicazioni accusatorie.
Un esempio chiarisce la distinzione: Tizio ruba 100.000 € (reato presupposto: furto). Se Caio, estraneo al furto, aiuta Tizio a nascondere o investire quei soldi, Caio risponde di riciclaggio (art. 648-bis c.p.). Se invece è lo stesso Tizio a depositare il denaro rubato su un conto o a intestarlo a un prestanome, Tizio – oltre al furto – risponderà di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), poiché sta occultando il provento del proprio reato. Caio, il prestanome complice, in tal caso risponderà eventualmente in concorso nel medesimo autoriciclaggio (essendo parte dell’operazione dissimulatoria posta in essere dall’autore).
Infine, l’ultimo comma dell’art. 648 c.p. (richiamato anche nella norma sull’autoriciclaggio) stabilisce un principio importante per tutti questi reati: le disposizioni in materia di ricettazione/riciclaggio si applicano “anche quando l’autore del reato [presupposto] non è identificato o non è punibile”. Ciò significa che, ai fini di una condanna per riciclaggio o autoriciclaggio, non è necessaria una condanna formale per il reato a monte: basta che in giudizio emerga la prova che quel denaro proviene da un fatto di reato (anche se l’autore di tale fatto è ignoto, deceduto, non imputabile o non più perseguibile). In altre parole, il procedimento per autoriciclaggio può avere luogo anche separatamente o indipendentemente dal procedimento per il reato presupposto. La connessione probatoria però è evidente: la difesa potrà giovarsi di ogni elemento che metta in dubbio l’esistenza o l’origine delittuosa dei beni contestati (si pensi al caso in cui il reato presupposto venga archiviato o l’imputato assolto: la contestazione di autoriciclaggio in genere verrà meno, a meno che il giudice del riciclaggio non accerti diversamente la provenienza del denaro).
Pene previste e circostanze applicabili
Le sanzioni per il reato di autoriciclaggio variano in base alla gravità del reato presupposto e ad alcune condizioni previste dalla legge. In linea generale, la pena base è la reclusione da 2 a 8 anni e la multa da €5.000 a €25.000. Questa cornice edittale, come si nota, è più bassa rispetto a quella del riciclaggio tradizionale (4–12 anni): il legislatore ha infatti considerato l’autoriciclaggio meno grave del riciclaggio “di denaro altrui”, presumibilmente perché l’autore viene già punito per il reato presupposto.
Sono però previste circostanze speciali che modulano la pena in aumento o in diminuzione:
- Attenuante per reato presupposto di minore gravità: Se i beni provengono dalla commissione di un delitto punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni, la pena per l’autoriciclaggio è diminuita. La formulazione attuale (dopo il 2021) parla genericamente di “pena diminuita”, senza quantificarne l’entità precisa. Ciò configura un’attenuante ad effetto speciale la cui valutazione spetta al giudice (in sede di bilanciamento, essa può comportare una riduzione fino a un massimo di un terzo della pena, salvo bilanciamenti con eventuali aggravanti). In sostanza, se il reato presupposto è relativamente lieve (es. un delitto minore), anche l’autoriciclaggio viene considerato meno allarmante e la pena può essere sensibilmente ridotta. Esempio: Tizio commette un reato societario punito con massimo 3 anni; se accusato di autoriciclaggio dei proventi, beneficerà di questa attenuante.
- Attenuante per proventi da contravvenzioni: Questa attenuante è stata introdotta dal d.lgs. 195/2021. Prevede che se il denaro o i beni provengono da una contravvenzione (non da un delitto) punita con l’arresto superiore nel massimo a 1 anno (o nel minimo a 6 mesi), la pena dell’autoriciclaggio sia abbassata alla reclusione da 1 a 4 anni e multa da €2.500 a €12.500. Si tratta di una riduzione ancor più marcata, ma circoscritta alle ipotesi in cui il reato a monte non è un delitto bensì una contravvenzione di una certa rilevanza. In pratica, prima del 2021 l’autoriciclaggio riguardava solo proventi da delitti; oggi, rientrano (in forma attenuata) anche i proventi di alcune contravvenzioni gravi. Esempio: una contravvenzione in materia ambientale punita con arresto fino a 2 anni produce profitto, e l’autore lo reimpiega in attività economiche – potrà rispondere di autoriciclaggio con pena da 1 a 4 anni.
- Clausola di non punibilità per utilizzo personale: È una disposizione chiave in ottica difensiva. L’art. 648-ter.1 c.p. stabilisce espressamente che “fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”. Significa che se l’autore si limita a godere personalmente dei proventi del reato, senza porre in essere operazioni idonee a ostacolarne l’identificazione, non scatta l’autoriciclaggio. Questa clausola opera come causa di non punibilità: in presenza dei suoi presupposti, il fatto non è punibile pur rimanendo integra la responsabilità per il reato presupposto. Il senso della norma è evitare un eccesso punitivo (punire due volte la stessa persona per la stessa ricchezza illecita) quando non vi è una vera attività di “ripulitura” ma solo il consumo/beneficio personale del denaro illecito. La giurisprudenza ha però interpretato in modo restrittivo tale clausola: essa si applica solo quando l’uso personale è diretto e immediato, senza alcuna operazione di schermatura. La Cassazione ha chiarito che l’espressione “fuori dei casi di cui ai commi precedenti” significa che una volta integrati gli estremi della condotta descritta al primo comma (sostituzione/impiego con ostacolo concreto), non rileva che alla fine il denaro sia stato goduto personalmente: il reato è consumato comunque. Viceversa, “l’agente può andare esente da responsabilità penale solo se utilizza o gode dei beni provento del reato presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza”. In altre parole, se ad esempio l’autore spende il denaro illecito per bisogni quotidiani o beni di consumo immediato, senza compiere particolari stratagemmi finanziari, egli non dovrebbe essere punibile per autoriciclaggio (restando ovviamente punibile per il reato a monte). Ma basta anche un solo passaggio bancario o un’intestazione fittizia perché si esca dall’area del “godimento personale” e si entri in quella punibile. Ad esempio, la giurisprudenza inizialmente riteneva non punibile il semplice versamento del denaro sul conto personale dell’autore (ritenuto alla stregua di mera “custodia” o uso personale). Oggi però la Cassazione ha assunto un orientamento molto più rigoroso: anche il deposito in banca può integrare il reato se, per le modalità concrete, ostacola l’accertamento della provenienza (come visto sopra). Nel 2023 la Suprema Corte ha negato l’applicazione della non punibilità a un caso in cui gli imputati avevano versato i proventi illeciti su vari conti a loro intestati, utilizzandoli poi per acquistare beni di lusso: pur trattandosi in parte di spese a beneficio personale, la Corte ha ritenuto che la “pluralità di conti correnti” e “la pluralità di beni mobili e immobili acquisiti, alcuni di particolare pregio” dimostrassero un’attività finanziaria e speculativa finalizzata a occultare il denaro, escludendo quindi la mera utilizzazione personale. Analogamente, è stato deciso che anche destinare solo una parte dei proventi al gioco d’azzardo (mossa evidentemente speculativa) rientra nell’autoriciclaggio, pur se l’imputato sosteneva di aver giocato per ludopatia e senza intenti di occultamento. In sintesi, la difesa potrà invocare con successo la clausola di non punibilità solo dimostrando che le operazioni contestate si risolvono in un uso personale senza effettivo ostacolo alle indagini (circostanza sempre più ristretta, alla luce della giurisprudenza odierna).
- Aggravante per attività professionale: Se l’autoriciclaggio è commesso “nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale”, la pena è aumentata. Questa aggravante mira a colpire più severamente i casi in cui chi ricicla i propri proventi sfrutta competenze o strumenti professionali, oppure riveste ruoli (banchiere, promotore finanziario, commercialista, avvocato, ecc.) tali da facilitare condotte sofisticate di occultamento. L’aumento di pena, secondo i criteri generali, può arrivare fino a un terzo della pena base. Esempio: un consulente finanziario che, forte delle sue conoscenze, crea schemi societari o trust per auto-riciclare fondi illeciti avrà questa aggravante.
- Attenuante per collaborazione: L’ultimo comma dell’art. 648-ter.1 prevede una diminuzione di pena “fino alla metà” per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte producessero conseguenze ulteriori, oppure per assicurare le prove del reato o per individuare i beni e i proventi del delitto. È una tipica attenuante premiale, simile a quelle previste per altri reati: in pratica, chi collabora con le autorità – ad esempio aiutando a recuperare il denaro, indicando dove sono nascosti i beni, fornendo documentazione utile a ricostruire i fatti – può ottenere uno sconto rilevante. Questa strategia di collaborazione, di cui diremo oltre, può rivelarsi determinante per ridurre l’esposizione penale dell’imputato, specialmente nei casi più gravi.
Oltre a queste, valgono ovviamente le circostanze comuni del Codice Penale (attenuanti generiche, aggravante della recidiva, ecc.). Va peraltro segnalato che la particolare attenuante dell’autoriciclaggio per delitti minori (quella del secondo comma) non può essere fatta valere liberamente in caso di recidiva qualificata: fino al 2023 vigeva un divieto legale di giudicare prevalente tale attenuante sulla recidiva reiterata, divieto che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale nella parte in cui impediva al giudice di valorizzare quella attenuante. Pertanto oggi anche un recidivo ha diritto a vedersi applicata l’attenuante del secondo comma, se ne ricorrono i presupposti, con discrezionalità del giudice nel bilanciamento.
Pene accessorie: La condanna per autoriciclaggio comporta le pene accessorie comuni previste dal Codice Penale (es. l’interdizione dai pubblici uffici per la durata prevista, ecc.). Inoltre, in caso di condanna definitiva scatta la confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il profitto o il prodotto del reato, oppure – se essi non sono recuperabili – la confisca per equivalente su altri beni dell’imputato fino al valore corrispondente. Già in fase di indagine è frequente il sequestro preventivo dei beni oggetto di autoriciclaggio, finalizzato proprio alla futura confisca. Questo aspetto, di notevole importanza pratica per il debitore accusato (che rischia di vedersi privato dei beni), sarà trattato più avanti nelle strategie difensive.
Strategie difensive nell’autoriciclaggio
Affrontare un’accusa di autoriciclaggio richiede una strategia difensiva ben calibrata, che operi su più fronti: contestazione degli elementi costitutivi, sfruttamento delle aree grigie interpretative a favore dell’imputato, e gestione accorta degli aspetti procedurali (sequestri, rapporti con altri procedimenti, ecc.). Di seguito esamineremo le principali linee difensive, distinguendo per comodità la fase delle indagini preliminari da quella del giudizio, pur con inevitabili sovrapposizioni.
Durante le indagini preliminari
- Tutela attiva per evitare misure cautelari reali e personali: Nei procedimenti per autoriciclaggio, la Procura spesso richiede e ottiene il sequestro preventivo dei beni sospettati di provenienza illecita (conto correnti, immobili, autovetture, ecc.), in vista della confisca. La difesa del soggetto indagato (debitore) deve reagire tempestivamente:
- Presentando eventualmente un’istanza di riesame del sequestro al tribunale (entro i termini di legge), per farlo annullare o ridurre. Motivi per il riesame possono essere la mancanza di fumus del reato (es. non c’è prova che quei beni vengano da reato) o la disproporzione del sequestro rispetto al profitto contestato. Ad esempio, se l’accusa ipotizza un profitto illecito di €100.000 ma vengono sequestrati beni per €500.000, si potrà chiedere la riduzione.
- Fornendo sin da subito elementi giustificativi sulla provenienza lecita (in tutto o in parte) dei beni sequestrati: ad es. documentazione reddituale, contratti, donazioni di terzi, estratti conto che mostrino introiti regolari. Se si riesce a dimostrare che una quota dei beni ha origine lecita, si potrà ottenere il dissequestro di quella parte.
- Offrendo, se del caso, garanzie alternative: ad esempio, il deposito di una cauzione equivalente al valore del bene, o proponendo il sequestro di un diverso bene di minor impatto sull’attività dell’imputato (questo è raro, ma talvolta si può negoziare con il PM).
- Collaborazione con le autorità: In alcuni casi, l’indagato può valutare di collaborare attivamente, fornendo informazioni utili a individuare altri responsabili o altri beni occultati. Questa condotta, come visto, è premiata con una attenuante specifica fino alla metà della pena. In fase d’indagine, una piena collaborazione potrebbe convincere la Procura a moderare le misure cautelari (ad esempio, evitando la custodia in carcere) e a considerare un patteggiamento favorevole.
- Misure cautelari personali: L’autoriciclaggio è un delitto che astrattamente potrebbe giustificare misure cautelari personali (arresti domiciliari, custodia in carcere) se ricorrono esigenze cautelari di inquinamento probatorio o reiterazione. Ad esempio, il PM potrebbe temere che l’indagato occulti ulteriormente i beni o inquini le prove. La difesa dovrà:
- Evidenziare l’assenza di pericolosità concreta: se il reato è già cessato (operazioni concluse) e i beni sono sotto sequestro, non vi sarebbe modo per l’indagato di reiterare o nascondere altro.
- Eventualmente proporre misure meno afflittive: es. obbligo di firma, interdizione dall’esercizio di attività d’impresa (se pertinenti) invece degli arresti, sostenendo che bastino a neutralizzare i rischi.
- Ricorrere al tribunale del riesame in caso di misura personale, contestando la carenza di esigenze cautelari o la proporzionalità.
- Interazione col procedimento sul reato presupposto: Spesso l’autoriciclaggio è contestato parallelamente al reato presupposto. Possono esserci due procedimenti (uno per il reato originario, uno per il riciclaggio) oppure uno unico. In fase di indagini, la difesa può valutare se convenga riunire i procedimenti (per farli decidere insieme) o tenerli separati. Un’istanza di riunione può avere senso se vi è convenienza a un unico giudizio complessivo (ad es. per negoziare un patteggiamento “omnicomprensivo” o per avere una visione unitaria davanti al giudice). Al contrario, tenere separati i procedimenti potrebbe servire a compartimentare gli esiti: ad esempio, sperare in un proscioglimento nel merito sul reato presupposto in modo da far crollare a cascata l’accusa di autoriciclaggio. In ogni caso, è fondamentale per la difesa coordinare le strategie: una dichiarazione o ammissione fatta in un procedimento può influire sull’altro. Bisogna valutare attentamente se conviene, ad esempio, ammettere il reato fiscale presupposto per ottenere un patteggiamento su quello, considerando però che tale ammissione confermerebbe la provenienza illecita per il riciclaggio.
- Patteggiamento (applicazione pena su richiesta): Già durante le indagini è possibile trattare con il PM un patteggiamento. Ciò può essere utile quando la prova del reato è molto solida e si vuole limitare la pena ed evitare un lungo iter:
- Il patteggiamento sull’autoriciclaggio consente la riduzione di 1/3 della pena concordata. Si può combinare con le attenuanti sopra viste (ad es. collaborazione, attenuanti generiche) per scendere con la sanzione anche sotto i minimi edittali se necessario e se il giudice concorda.
- Un vantaggio strategico del patteggiamento può essere quello di concordare la qualificazione giuridica dei fatti: ad esempio, ammettere solo alcune operazioni come reato escludendone altre come “godimento personale non punibile”. Oppure patteggiare solo il reato presupposto ottenendo, in sede di accordo con il PM, la rinuncia a contestare l’autoriciclaggio (scenario possibile se il PM valuta margini di dubbio sul riciclaggio e l’imputato risarcisce o regolarizza il dovuto sul reato base).
- Patteggiare può anche sbloccare i beni sequestrati: a volte nell’accordo la difesa chiede la restituzione di una parte dei beni, magari offrendo in cambio il pagamento di una somma equivalente a titolo di confisca su altra provvista. Tuttavia, occorre ricordare che per legge la confisca del prezzo/profitto di autoriciclaggio è obbligatoria: in sede di patteggiamento il giudice dovrà comunque disporla. Quindi realisticamente i beni direttamente frutto del reato resteranno vincolati.
- Prescrizione e tempistiche: L’autoriciclaggio ha un tempo di prescrizione piuttosto lungo (in base alla pena massima di 8 anni, il termine base è di 8 anni, prorogabile fino a 10 anni se vi sono atti interruttivi; inoltre dal 2020 la prescrizione resta sospesa dopo la sentenza di primo grado). Dunque puntare alla prescrizione non è una strategia immediata, ma nelle fasi iniziali la difesa può comunque guadagnare tempo per raccogliere prove a discarico. Ad esempio, chiedere proroghe per memorie, sollecitare perizie finanziarie, può diluire i tempi – sempre nei limiti del lecito esercizio del diritto di difesa.
Nella fase del giudizio
Quando si arriva al processo (sia esso dibattimentale o in sede di udienza preliminare se si opta per riti alternativi), le strategie difensive si focalizzano su aspetti giuridici e probatori per ottenere un’assoluzione o almeno una mitigazione della responsabilità:
- Contestazione dell’elemento oggettivo – Mancanza di ostacolo concreto: Una delle linee difensive più battute è sostenere che le operazioni effettuate non integrino quella concreta idoneità dissimulatoria richiesta dalla norma. In pratica, argomentare che l’imputato non abbia realmente ostacolato l’identificazione dei proventi. Ciò si può declinare in vari modi a seconda del caso:
- Sottolineare che tutte le movimentazioni erano trasparenti e tracciate: ad esempio, il denaro è sempre transitato su conti formalmente intestati all’imputato, senza interposizioni fittizie, e ogni passaggio è documentato (bonifici con causale, movimenti registrati). La difesa può chiamare consulenti contabili per dimostrare che, dati alla mano, era sempre possibile ricostruire il percorso del denaro – ergo non vi è stato un ostacolo concreto, ma al più un tentativo facilmente penetrato dagli inquirenti. Questo argomento è stato rigettato dalla Cassazione più recente, ma rimane spendibile in casi limite: ad es. pochi movimenti lineari, su un solo conto, senza schermature. Si può citare ancora quella giurisprudenza del 2016 che escludeva l’autoriciclaggio per il semplice versamento su conto personale, cercando di distinguere il proprio caso da quelli più complessi decisi nel 2025. Anche la Corte di Cassazione, pur severa, ha lasciato intendere che operazioni meramente utilitarie e occasionali potrebbero restare nell’area del non punibile, specie se immediatamente riconducibili all’autore senza dispersione di tracce.
- Dimostrare che le operazioni contestate erano funzionali ad un godimento personale immediato e non pensate per celare: ad esempio, l’acquisto diretto di un’automobile o di un immobile intestato a sé medesimo con denaro non dichiarato. Qui la difesa può argomentare: “il mio assistito ha speso i soldi per sé, in modo palese (la casa è a lui intestata), non ha voluto nascondere nulla, semplicemente non ha dichiarato la provenienza”. Ciò ricade più nell’illecito fiscale eventualmente, ma non nell’autoriciclaggio in senso stretto. Attenzione, però: se l’acquisto dell’immobile è fatto in contanti o tramite artifizi, l’accusa sosterrà che ciò ha ostacolato la tracciabilità (e.g. uso di contanti = difficile risalire a dove provenivano). La difesa dovrà allora sottolineare l’aspetto palese: la casa risulta nel patrimonio dell’imputato, quindi l’origine poteva emergere investigando su di lui (in altre parole, non c’è stato occultamento a terzi, al massimo mera dissimulazione verso l’esterno di ricchezza).
- Evidenziare la mancanza di trasformazione significativa: se il denaro è rimasto allo stesso stato (es. contanti tenuti in casa, o depositati e poi prelevati senza essere mai cambiati in altro), sostenere che non vi è stata una vera “sostituzione” né un “reimpiego” produttivo. Questo si collega un po’ al concetto di tentativo di riciclaggio (non punibile) o di atti preparatori. Ad esempio, se Tizio è arrestato mentre sta versando i soldi sporchi sul conto ma non ha ancora fatto altro, si potrebbe discutere se è un tentativo (in realtà, trattandosi di reato istantaneo, il versamento stesso concretizza già l’atto).
- Contestazione dell’elemento soggettivo – Assenza di dolo di occultamento: Si può cercare di dimostrare che l’imputato non aveva consapevolezza di star ostacolando l’identificazione o comunque non aveva l’intenzione di farlo. Magari pensava che certe operazioni fossero lecite o neutre. Questo è un terreno scivoloso perché, come visto, non serve un dolo specifico, basta che sapesse cosa faceva. Però in alcune situazioni particolari può reggere:
- Se l’imputato ha agito su consiglio di professionisti (es. il commercialista che suggerisce di trasferire fondi all’estero per “sicurezza”): potrebbe invocare l’errore, avendo ritenuto lecite quelle operazioni. L’errore di diritto però non scusa (art. 5 c.p.), a meno che si provi l’inevitabilità. Più efficace sarebbe dipingere l’imputato come persona ingenua che non percepiva la portata decettiva delle operazioni.
- Ludopatia o altre condizioni personali: come nel caso affrontato dalla Cassazione, un imputato può sostenere di aver speso denaro illecito in gioco d’azzardo non per occultarlo ma spinto da patologia del gioco. La Cassazione ha definito queste argomentazioni “lettura alternativa del dato” non rilevante in sede penale, confermando comunque la condanna. Tuttavia, sul piano umano, tali circostanze possono essere valorizzate per ottenere attenuanti generiche e, in fase di pena, un trattamento più mite.
- Assenza di profitto aggiuntivo: l’imputato potrebbe dire “non ho guadagnato nulla da queste operazioni, anzi ho perso soldi” (si pensi al caso di investimenti andati male, o di spese voluttuarie). Secondo la Cassazione 2025, il fatto di non aver ricavato utili non esclude il reato. Però la difesa può comunque usarlo per far leva sull’assenza di scopo economico, nel tentativo di convincere almeno il giudice della minor gravità concreta.
- Dimostrazione della provenienza lecita dei beni: Un asse portante della difesa è sempre cercare di negare il nesso di derivazione dai reati presupposti. Se riesco a provare che i soldi che ho movimentato in realtà provenivano (in tutto o in parte) da fonti lecite, l’accusa di autoriciclaggio cade per quella parte. Ad esempio:
- Tracciare entrate lecite sui conti e sostenere che il denaro usato era quello (principio del “denaro fungibile” che però qui la difesa gira a suo favore: se sul conto c’erano anche soldi puliti, quali ho usato? Dubio pro reo se non si può distinguere).
- Portare testimoni o documenti che attestino che certi beni (auto, proprietà) furono acquistati con risorse legittime (stipendi, prestiti di familiari, vincite, ecc.) e non con i proventi del reato.
- Contestare la quantificazione del profitto illecito: spesso accusa e difesa divergeranno su quanto il reato presupposto abbia fruttato. Se la difesa riduce tale cifra, può sostenere che le operazioni eccedenti quell’importo non sono riciclaggio (perché riguardavano soldi puliti).
- Se il reato presupposto è un reato tributario (es. evasione), un’ottima mossa difensiva è dimostrare che prima di compiere le operazioni contestate l’imputato ha definito la sua posizione col fisco (pagando il dovuto) – ad esempio aderendo a un condono o ravvedimento. In alcuni casi, il pagamento integrale del debito tributario estingue il reato fiscale; a rigore ciò non estingue l’autoriciclaggio già commesso, ma fornisce un forte argomento equitativo: il denaro “ripulito” è poi stato regolarizzato, quindi dove sta l’offesa attuale? Un giudice potrebbe valutare diversamente la concretezza dell’ostacolo in tale scenario.
- Riconduzione a fattispecie meno gravi: La difesa, quando i fatti non sono contestabili in toto, può cercare di riqualificare la condotta in termini meno severi:
- Far valere che, se anche vi fu delitto, le operazioni effettuate restano nell’ambito del godimento personale non punibile. Questo è il tentativo principale: convincere il giudice che, giuridicamente, quelle azioni non integrano un quid pluris rispetto all’utilizzo normale di beni (come lungamente discusso sopra sulla clausola di non punibilità).
- In subordine, se proprio l’uso personale non viene accolto, talvolta si può proporre di qualificare i fatti come favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) invece che autoriciclaggio. Il favoreggiamento reale punisce chi aiuta taluno a assicurare i proventi di un reato, fuori dei casi di concorso; ma per consolidata giurisprudenza non si applica all’autore stesso. Tuttavia, in casi di minima entità e senza profitto, qualche giudice potrebbe essere persuaso a derubricare ritenendo il fatto di lieve allarme. È un’opzione estrema e di solito inapplicabile, ma va menzionata.
- Se il reato presupposto è di modesta gravità e si è già definito, puntare a ottenere la continuazione fra quel reato e l’autoriciclaggio. Ad esempio, Tizio viene giudicato per appropriazione indebita (pena bassa) e per autoriciclaggio di quelle somme: la difesa chiederà di riconoscere che è un “programma criminoso” unico e dunque applicare la continuazione ex art. 81 cpv. c.p., con pene molto più contenute rispetto alla somma aritmetica. La continuazione non è scontata in questi casi, perché i beni giuridici lesi sono diversi, ma in alcuni precedenti è stata ammessa quando le condotte di riciclaggio erano strettamente connesse e immediate rispetto al delitto presupposto.
- Esclusione dell’utilizzabilità di prove illegali: Come in ogni processo penale, la difesa scrutinerà la validità di tutte le prove dell’accusa. In materia di autoriciclaggio, spesso le prove sono documentali (movimenti bancari, sequestri di conti, intercettazioni finanziarie). Bisogna verificare:
- Se i decreti di sequestro e di acquisizione dei dati bancari erano formalmente regolari (vizi procedurali possono portare ad annullamento degli atti e inutilizzabilità di ciò che ne deriva).
- Se sono state fatte intercettazioni telefoniche o telematiche, controllare che fossero autorizzate per reati che lo consentono (l’autoriciclaggio essendo punito max 8 anni, di per sé permette intercettazione, ma se l’indagine partiva da un reato fiscale magari con limiti diversi occorre valutare).
- Contestare eventuali perizie della Procura con una contro-perizia: è utile avere un consulente tecnico di parte che esamini i flussi finanziari contestati, offrendo magari spiegazioni alternative (lecite) o evidenziando incongruenze nei calcoli accusatori.
- Testimoni e dichiarazioni: Nel dibattimento la difesa può chiamare testimoni (es. consulenti che attestino la genuinità di operazioni commerciali apparentemente sospette, persone che confermino che taluni fondi gli erano stati prestati o restituiti, ecc.) e far valere le dichiarazioni dell’imputato stesso. Una testimonianza chiave potrebbe essere quella di un eventuale coimputato nel reato presupposto che sia stato giudicato a parte: se costui è stato assolto, la sua testimonianza sull’inesistenza del reato presupposto sarebbe decisiva; se invece conferma il reato ma si assume lui la responsabilità esclusiva dei soldi, potrebbe cercare di “scagionare” l’imputato dal dolo di riciclaggio (certo, scenario raro).
L’imputato, da parte sua, può scegliere di rendere esame per spiegare la propria versione: ad esempio, dichiarare che non sapeva di commettere un illecito ulteriore o che agiva su input di consulenti. Se credibile, può suscitare dubbio in giudice. Tuttavia, questa scelta va valutata attentamente con il difensore perché espone a controinterrogatorio. - Rito abbreviato: Nel caso in cui le prove siano prevalentemente documentali e non controverse, la difesa può optare per un giudizio abbreviato (rito alternativo in cui si decide allo stato degli atti, con sconto di 1/3 della pena). L’abbreviato è utile se non si ha molto da aggiungere come prova difensiva e si punta tutto sulle argomentazioni giuridiche e sullo sconto di pena. In un abbreviato si può comunque far valere tutto quanto sopra in termini di interpretazione e dubbi probatori. Attenzione che con l’abbreviato non si sente il testimone, quindi se esistono testimoni cruciali meglio il dibattimento o chiedere un abbreviato condizionato alla loro audizione.
- Focus sulle attenuanti: Se appare difficile evitare la condanna, la strategia sarà ottenere la pena più bassa possibile. Oltre a invocare le attenuanti specifiche (quelle già discusse, come la collaborazione o la minore gravità del presupposto), si punterà sulle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), enfatizzando aspetti personali dell’imputato: incensuratezza, resipiscenza (ha smesso spontaneamente l’attività), eventuale risarcimento o restituzione spontanea di parte del denaro (in mancanza di vittime dirette, si può evidenziare che ha quantomeno versato le imposte evase, o donato in beneficenza parte dei proventi – tutto può aiutare a dipingerlo sotto luce migliore). Anche situazioni familiari difficili o pressioni esterne (es. un socio che lo ha costretto) possono essere evocative.
- Aspetti fiscali e amministrativi: In molti casi l’autoriciclaggio viene contestato in relazione a reati fiscali o societari. La difesa allora dovrà gestire parallelamente:
- L’eventuale procedimento tributario davanti alle commissioni fiscali (per gli accertamenti d’imposta): se l’imputato riesce a vincere lì dimostrando che le somme non erano imponibili o erano già tassate, ciò indirettamente avvalora la liceità di quelle somme.
- Procedimenti per violazioni amministrative antiriciclaggio (es. omessa segnalazione di operazioni sospette se l’imputato era un professionista obbligato): ma qui è più un discorso sanzionatorio a carico di altri soggetti.
- Responsabilità amministrativa dell’ente ex d.lgs. 231/2001: se l’autoriciclaggio è stato commesso nell’interesse o a vantaggio di una società (es. un amministratore che ricicla fondi neri dell’azienda dentro l’azienda stessa), la società può essere chiamata a rispondere ai sensi del d.lgs. 231, dato che i reati di riciclaggio e autoriciclaggio rientrano nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità degli enti. La difesa dovrà quindi eventualmente coordinarsi con la difesa della persona giuridica. Può anche sfruttare questo aspetto: se l’azienda ha adottato modelli organizzativi e l’evento si è verificato lo stesso, magari può emergere che la condotta era isolata e non sistemica.
In definitiva, la strategia difensiva migliore dipende molto dalle peculiarità del caso concreto: occorre individuare i punti deboli della contestazione (che sia la prova dell’origine illecita, o il carattere dissimulatorio delle operazioni, o l’intenzionalità dell’occultamento) e insistere su quelli. Tutto ciò, senza trascurare un approccio pragmatico: spesso, negoziare una soluzione (come il patteggiamento) può servire gli interessi dell’imputato meglio di una lunga battaglia dall’esito incerto. Un buon avvocato penalista valuterà con il cliente i rischi e i benefici di ogni opzione – compreso il “piano B” di puntare alle circostanze attenuanti per rendere la pena sostenibile (ad esempio, entro i 2 anni con la condizionale, per evitare il carcere).
Implicazioni civili e fiscali per l’accusato (debitore)
Un’accusa di autoriciclaggio può avere ricadute non solo penali, ma anche sul piano fiscale, patrimoniale e civile per il soggetto coinvolto. Esaminiamo questi profili, rilevanti soprattutto per imprenditori e professionisti:
- Conseguenze fiscali e rapporti con il Fisco: Spesso l’autoriciclaggio è collegato a reati tributari (come dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture false, omessa dichiarazione, ecc.) perché i proventi “sporchi” derivano da evasione fiscale. In tali casi:
- La legge 186/2014 prevedeva che chi aderiva alla voluntary disclosure fiscale non venisse punito per autoriciclaggio dei capitali emersi (salvo reati gravi come mafia e terrorismo). Oggi quella procedura non è più attiva, ma rimane la possibilità di regolarizzare la propria posizione fiscale (pagando imposte, interessi e sanzioni amministrative) prima della conclusione del processo penale. Se l’imputato riesce a estinguere il reato fiscale pagando il dovuto (cosa consentita per alcuni reati tributari entro certe fasi del processo), automaticamente verrà meno il reato presupposto. In teoria ciò dovrebbe far venir meno anche l’autoriciclaggio, dato che mancherebbe la “provenienza da delitto”; tuttavia la giurisprudenza potrebbe obiettare che il fatto storico del reato (evasione) comunque c’è stato, sebbene non più punibile. È un punto aperto. Di certo, agli occhi del giudice penale, un contribuente che ha pagato il suo debito dà un segnale positivo: la sua condotta successiva appare di ravvedimento, e meritevole di attenuazione.
- Attenzione però: il pagamento delle tasse non “ripulisce” retroattivamente il denaro ai fini del riciclaggio. Ad esempio, se nel 2022 Caio ha nascosto fondi neri all’estero (reato di infedele dichiarazione) e nel 2023 li ha fatti rientrare in Italia tramite operazioni complesse, commettendo autoriciclaggio, il fatto che nel 2024 paghi le imposte evase sul 2022 non cancella l’illiceità delle operazioni del 2023. Potrà però sostenere in giudizio di aver rimosso ogni profitto illecito versandolo al Fisco, e questo deve incidere sulla valutazione della pericolosità della condotta.
- Sul fronte amministrativo, l’Agenzia delle Entrate potrà utilizzare le prove raccolte nel penale per emettere accertamenti fiscali: i movimenti bancari non giustificati fanno presumere redditi non dichiarati. Quindi, chi è accusato di autoriciclaggio quasi certamente dovrà affrontare, in parallelo, verifiche fiscali e cartelle esattoriali. Conviene regolarizzare prima possibile per evitare il cumularsi di sanzioni tributarie e interessi. Una volta definito il piano di pagamento col Fisco, la difesa penale guadagna anche l’argomento che il danno all’Erario è stato riparato.
- In casi di frode fiscale, può accadere che l’Agenzia delle Entrate si costituisca parte civile nel processo penale per chiedere il risarcimento del danno da evasione. Tuttavia, il danno vero è dato dal mancato pagamento d’imposta (che attiene al reato tributario, non al riciclaggio in sé). L’autoriciclaggio non ha una “vittima” diretta se non lo Stato in senso ampio; più spesso sono i reati a monte ad avere vittime (es. nel peculato la P.A., nella truffa la parte offesa). Se c’è una parte civile (Fisco o altri), la difesa dovrà tener conto che un’eventuale condanna comporterà anche una condanna risarcitoria. Un suggerimento strategico è cercare di risarcire prima del giudizio il danno (se quantificabile) o di trovare un accordo con la parte civile, perché questo spesso induce il giudice a concedere le attenuanti generiche e a ridurre la pena.
- Conseguenze civili e patrimoniali:
- Come anticipato, in caso di condanna, i beni oggetto di autoriciclaggio (o equivalente valore) verranno confiscati in via definitiva dallo Stato. Quindi l’imputato-debitore perderà quei beni, che non potranno essere usati per pagare eventuali creditori privati. Ad esempio, se un imprenditore aveva distratto fondi da una società fallita (bancarotta) e li ha riciclati comprando un immobile, quell’immobile sarà confiscato per autoriciclaggio e non sarà disponibile per soddisfare i creditori del fallimento. I creditori potrebbero trovarsi doppiamente lesi. Esiste però una tutela: i terzi in buona fede possono fare opposizione alla confisca sui beni se dimostrano di avere diritti reali legittimi (es. una banca che aveva ipoteca su un immobile, un comproprietario estraneo al reato, ecc.). Dal punto di vista del debitore-imputato, comunque, la confisca è una perdita secca del patrimonio.
- Un altro effetto collaterale riguarda la reputazione professionale e la capacità di fare impresa: una condanna per autoriciclaggio (specie se grave) comporta spesso l’interdizione da incarichi direttivi di società, dal contrattare con la Pubblica Amministrazione, ecc., almeno temporaneamente. Un imprenditore condannato potrebbe vedersi revocare appalti pubblici per perdita dei requisiti di onorabilità, oppure un professionista (avvocato, commercialista) rischia sanzioni disciplinari fino alla radiazione dall’albo, data la natura infamante del reato (che implica gestione illecita di denaro). Pertanto, difendersi dall’accusa non è solo evitare la galera, ma salvaguardare il proprio nome e la propria attività lavorativa. Anche un patteggiamento va ponderato sotto questo profilo, perché comporta pur sempre una sentenza di condanna (sia pure a pena ridotta).
- Creditori privati: Nel caso il soggetto abbia debiti verso terzi (banche, fornitori, ecc.), un procedimento per autoriciclaggio può complicare le cose. Da un lato, eventuali fondi bloccati dal sequestro penale non potranno essere utilizzati per pagare i debiti (ciò potrebbe indurre i creditori a iniziare cause civili o istanze di fallimento). Dall’altro lato, se l’imputato viene dichiarato fallito, il curatore potrà a sua volta agire per recuperare beni distratti (anche collaborando col PM). In una situazione così complessa, la difesa deve mantenere una visione unitaria: a volte concordare con i creditori una ristrutturazione del debito o almeno tenerli informati può evitare ulteriori guai (come denunce per bancarotta, se l’imprenditore è nelle condizioni). Spesso dietro un autoriciclaggio c’è anche una crisi d’impresa o debitoria, dunque è necessario affrontare anche quel problema a monte.
- Responsabilità delle società coinvolte: Se l’autoriciclaggio è transitato attraverso società (ad esempio, l’imprenditore ha immesso fondi illeciti nella propria S.r.l.), lo scenario giudiziario si allarga: come detto interviene il d.lgs. 231/2001. La società può essere destinataria di pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive (fino alla sospensione dell’attività). Talvolta la Procura nomina persino un amministratore giudiziario per gestire l’azienda “inquinata” da capitali sporchi. La difesa dell’imprenditore dovrà coordinarsi con quella della società per dimostrare magari che l’azienda aveva adottato protocolli idonei e che l’illecito è avvenuto eludendo fraudolentemente i controlli (causa di non punibilità dell’ente). Oppure che la società non ne ha tratto vantaggio (ad esempio se il denaro sporco è stato subito distratto altrove). Risolvere positivamente la posizione dell’ente (ad esempio patteggiando solo una sanzione pecuniaria) può indirettamente giovare anche all’imputato, evitando che la situazione degeneri con amministrazioni giudiziarie o pubblicità negativa.
In conclusione su questo aspetto, l’accusa di autoriciclaggio va affrontata con una strategia a 360 gradi: penale, fiscale e patrimoniale. L’imputato-debitore dovrebbe:
- Regolarizzare il più possibile la sua posizione finanziaria (pagare tasse dovute, risarcire eventuali enti pubblici o privati danneggiati dal reato presupposto).
- Proteggere i beni leciti di famiglia (valutando se farli emergere come tali in sede penale, o in extremis, separarne la titolarità, sempre lecitamente, per evitare vengano confusi con quelli illeciti).
- Tenere conto che l’esito penale influirà su attività di impresa e rapporti creditizi (una condanna potrebbe far scattare clausole di decadenza del fido bancario, ad esempio, quindi se si intravede una condanna è meglio premunirsi negoziando con la banca prima).
- Valutare possibili transazioni extrapenali (ad es. se parte del denaro illecito appartiene in realtà a soci o terzi, cercare accordi per la restituzione onde evitare nuove querele).
Tutto ciò esula un po’ dalla stretta difesa processuale, ma rientra nella tutela complessiva degli interessi del cliente.
Domande frequenti (FAQ)
D: Qual è la differenza tra riciclaggio e autoriciclaggio?
R: Il riciclaggio (art. 648-bis c.p.) si ha quando un soggetto diverso dall’autore del reato originario ripulisce denaro o beni illeciti altrui, occultandone la provenienza. L’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) invece si riferisce all’autore stesso del reato presupposto che compie operazioni sui propri proventi illeciti per nasconderne l’origine. In breve: nel riciclaggio tradizionale c’è un terzo riciclatore, nell’autoriciclaggio il criminale ricicla sé stesso. Anche le pene differiscono: più alte per il riciclaggio (4–12 anni) e più basse per l’autoriciclaggio (2–8 anni) in via ordinaria, perché nel secondo caso la persona è già punita per il reato a monte.
D: L’autoriciclaggio si applica anche ai reati colposi o alle contravvenzioni?
R: No per i reati colposi, sì in parte per le contravvenzioni. La legge infatti richiede un “delitto non colposo” come reato presupposto. Quindi, se i proventi derivano da un reato colposo (es. un omicidio colposo con risarcimento, o un incidente), non c’è autoriciclaggio. Dal 2021 però rientrano nell’ambito del reato anche i proventi da contravvenzioni di una certa gravità, con pena attenuata. Questo significa che, ad esempio, i soldi ottenuti violando una contravvenzione ambientale o urbanistica importante e poi reimmessi in attività economiche possono far scattare l’autoriciclaggio (con pena 1–4 anni). Se invece la contravvenzione è minore (arresto massimo un anno), resta fuori.
D: Comprare beni di lusso per uso personale con i soldi “sporchi” è autoriciclaggio?
R: In linea di massima no, se si tratta davvero di utilizzo personale diretto, ma la distinzione è sottile. La legge esonera da punibilità le condotte di mera utilizzazione o godimento personale. Ciò copre le spese fatte per soddisfare bisogni o desideri dell’autore senza finalità di occultamento. Ad esempio, se con i proventi illeciti mi compro un’automobile intestata a me, o gioielli che tengo per me, potrebbe ricadere nel godimento personale (sto semplicemente godendo del frutto del reato, per quanto moralmente riprovevole). Tuttavia, attenzione: se l’acquisto di quel bene rende più difficile rintracciare il denaro, allora subentra l’autoriciclaggio. Ad esempio, se compro un diamante in contanti e lo metto in una cassetta anonima, sto di fatto occultando ricchezza. Oppure, se compro un bene di lusso ma lo intesto a un prestanome o a una società, è chiaramente autoriciclaggio. La giurisprudenza tende a punire quando il bene di lusso diventa un mezzo per nascondere il denaro. Se invece è un bene goduto alla luce del sole (intestato all’autore, noto a tutti), può essere difendibile come uso personale. In caso di dubbio, la tendenza attuale dei giudici è verso la punibilità, soprattutto per beni di lusso di alto valore che di per sé difficilmente sfuggono all’intento speculativo.
D: Depositare sul mio conto corrente personale i contanti derivanti da un reato costituisce autoriciclaggio?
R: Su questo la giurisprudenza si è evoluta. In passato alcune sentenze ritenevano che il semplice versamento su un conto intestato allo stesso autore non configurasse riciclaggio, perché non c’era interposizione di terzi né cambio di titolarità. Era visto quasi come un “mettere da parte” i soldi per uso personale (quindi non punibile). Ma le sentenze più recenti (2024–2025) hanno rafforzato il concetto di ripulitura: oggi la Cassazione dice che anche un’operazione tracciabile come il deposito in banca integra il reato se ostacola in concreto l’identificazione dell’origine. Il ragionamento è che quando versi contanti illeciti in banca, quei contanti si “mescolano” col sistema bancario (fenomeno della fungibilità) e la banca ti restituisce denaro lecito, rendendo più difficile provare che quei soldi specifici provenissero dal reato. Inoltre, spesso il deposito è solo il primo passo di una serie di movimentazioni finanziarie (giroconti, acquisto di titoli, etc.) che aumentano l’opacità. Quindi, attualmente, versare il denaro sporco sul proprio conto può essere punito come autoriciclaggio, specie se fatto in modo da frammentare o confondere i flussi. Se invece uno versasse un’unica somma, tenendola sul conto a propria disposizione senza fare altro, in teoria si potrebbe discutere che l’ostacolo non è così concreto. Ma bisogna essere consapevoli che il clima giurisprudenziale è molto severo su questo punto.
D: Giocare al casinò o scommettere denaro proveniente da reato è considerato autoriciclaggio?
R: Sì. La Cassazione ha chiarito che il gioco d’azzardo e le scommesse rientrano nelle “attività speculative” menzionate dall’art. 648-ter.1 c.p.. Reinvestire proventi illeciti nel gioco costituisce autoriciclaggio perché i soldi, passando per le giocate, cambiano forma: vengono convertiti in fiches o in vincite, rendendo la loro origine meno tracciabile (di fatto “ripulendoli” se poi si incassano eventuali vincite come denaro “pulito”). Non regge la difesa “ma era tutto tracciato perché pagavo con bonifico al casinò”: i giudici dicono che ciò che conta è l’alea del gioco che consente di giustificare disponibilità di denaro con la scusa delle vincite, rendendo più arduo accertare quali somme provenissero inizialmente dal reato. Hanno ritenuto irrilevante anche il fatto che il giocatore fosse spinto da ludopatia e che solo una piccola parte dei fondi illeciti fosse stata giocata (nel caso esaminato, su milioni di euro illeciti, “solo” 99.500 € erano stati giocati, il resto speso altrove): il tribunale di merito aveva comunque visto un fine occultatorio nella scelta di impiegare proprio quella parte a rischio, e la Cassazione ha confermato la condanna. In sintesi: usare i soldi sporchi per attività di gioco è autoriciclaggio a tutti gli effetti.
D: Se il reato presupposto non viene provato, che fine fa l’accusa di autoriciclaggio?
R: Decade. È necessario dimostrare che i beni provengano da un delitto per poter configurare l’autoriciclaggio. Se al termine del processo (o dei processi) non si prova l’esistenza del reato a monte, l’imputato deve essere assolto dall’autoriciclaggio (tipicamente con la formula “il fatto non sussiste”). Attenzione: come detto, non serve una condanna formale per il reato presupposto, ma almeno una prova logica che quel denaro aveva origine illecita. Spesso l’autoriciclaggio “condivide” la stessa piattaforma probatoria del reato base. Ad esempio, se l’imputato è assolto dall’accusa di traffico di stupefacenti perché il fatto non sussiste, difficilmente i soldi che gli trovano in casa potranno ancora considerarsi provento di reato – ergo verrà assolto anche dal riciclaggio. Discorso diverso se l’assoluzione è solo per insufficienza di prove (dubbio ragionevole): in teoria il giudice del riciclaggio potrebbe avere altri elementi e concludere che, pur non avendo prove per condannare per il reato presupposto, c’è comunque evidenza che quei soldi erano illegali. È una situazione limite e delicata sul piano del ne bis in idem e della coerenza logica. In generale, l’accusa di autoriciclaggio è tanto solida quanto lo è la prova del reato originario. La difesa, se riesce a fare breccia su quello, fa crollare tutto il castello accusatorio.
D: L’autoriciclaggio è retroattivo? Cioè può colpire operazioni compiute prima del 2015?
R: No, il reato è stato introdotto nel 2015 e non è applicabile retroattivamente (art. 25 Cost. e 2 c.p.). Se una condotta di occultamento di denaro è stata completata prima del 1º gennaio 2015, non può essere contestato l’autoriciclaggio, al più si potevano contestare altre cose (ricettazione o favoreggiamento, se estranei). Però attenzione al quando si considera consumato l’autoriciclaggio: essendo reato istantaneo, coincide con l’atto di riciclaggio. Dunque, se il reato presupposto è anteriore al 2015 ma l’azione di sostituzione/trasferimento del denaro è avvenuta dopo il gennaio 2015, allora sì, è punibile (perché il fatto di autoriciclaggio è posteriore). Esempio: evasione fiscale commessa nel 2013 (reato presupposto), e nel 2016 porto quei capitali all’estero = autoriciclaggio c’è, perché l’operazione di occultamento è nel 2016. Non vale come scappatoia dire “i soldi erano illeciti già prima della legge”: ciò che conta è la condotta di ripulitura, che deve essere successiva ed è quella ad essere punita.
D: Se collaboro con le autorità, posso evitare la condanna per autoriciclaggio?
R: Evitarla del tutto no (a meno che la collaborazione porti a escludere proprio il fatto), però puoi ottenere benefici notevoli. La legge, come visto, prevede una riduzione della pena fino alla metà per chi si adopera per evitare conseguenze ulteriori o per aiutare gli inquirenti. In concreto, una piena collaborazione – ad esempio confessare il meccanismo, restituire i soldi, fornire i nomi di eventuali complici o dettagli su altri reati connessi – può convincere il PM a concedere il patteggiamento al minimo e il giudice ad applicare la riduzione massima. In alcuni casi, la collaborazione può portare a derubricare la propria posizione: magari da mente principale a semplice parte esecutiva, o da autoriciclaggio “consumato” a tentato (se, grazie all’aiuto dell’imputato, il reato non produce tutti gli effetti). Sono ipotesi rare, ma non impossibili. Inoltre collaborare può tenere l’imputato fuori dal carcere in attesa di giudizio (evitando misure cautelari). Dunque, pur non essendoci una vera “immunità” per il collaborante (salvo il caso del voluntary disclosure fiscale già chiuso nel 2015), conviene valutare seriamente questa opzione con l’avvocato, specie se l’alternativa è una condanna lunga e certa.
D: Un imprenditore accusato di autoriciclaggio può avere conseguenze per la sua azienda?
R: Sì. Oltre alla già citata possibile responsabilità amministrativa ex d.lgs. 231/2001 a carico dell’azienda (se l’atto è fatto nel suo interesse o vantaggio), ci sono effetti pratici:
- L’azienda potrebbe subire sequestri di beni o conti societari se considerati corpo del reato o profitto (pensiamo a fondi illeciti immessi in cassa). Ciò può paralizzare la sua operatività.
- In caso di condanna, l’ente potrebbe dover pagare sanzioni pecuniarie salate e subire sanzioni interdittive (ad es. divieto di pubblicizzare prodotti, esclusione da agevolazioni, perfino sospensione attività).
- Dal punto di vista reputazionale e commerciale, l’azienda rischia perdita di fiducia di partner e banche.
- Inoltre, se l’imprenditore-accusato ha cariche sociali, potrebbe essere sospeso o rimosso (ad esempio, le banche spesso lo richiedono come condizione per mantenere linee di credito). Nei contratti pubblici, una pendenza per riciclaggio può far scattare esclusioni.
La difesa dell’imprenditore dovrà quindi preoccuparsi anche di tutelare la continuità aziendale: ciò può voler dire, per esempio, affidare temporaneamente la gestione a persone non coinvolte, predisporre modelli organizzativi e procedure antiriciclaggio aziendali (anche ex post, per mostrare un ravvedimento operoso dell’ente), e nel processo 231 provare la non colpevolezza della società. In parallelo, se l’azienda è vittima indiretta (perché magari subisce il sequestro di risorse), potrà intervenire nel processo penale chiedendo la restituzione dei beni leciti e dimostrando la propria buona fede.
D: Quanto dura la pena e la prescrizione per l’autoriciclaggio?
R: La pena detentiva massima, come detto, è 8 anni (che può aumentare per aggravanti, o diminuire). La prescrizione ordinaria del reato è di 8 anni dal fatto, aumentabile fino a 10 in caso di atti interruttivi (es. interrogatori, rinvii a giudizio) – termini calcolati secondo le regole generali ex art. 157 c.p. (nel 2025 la riforma prevede l’arresto del decorso dopo la sentenza di primo grado, quindi il processo d’appello e cassazione non fanno estinguere il reato). In pratica, dall’inizio delle indagini c’è un tempo piuttosto ampio prima che il reato si prescriva. Una condanna anche solo a 2 anni di reclusione comporta comunque la menzione sul casellario e possibili ripercussioni. La sospensione condizionale della pena può essere ottenuta se la pena inflitta non supera i 2 anni (e l’imputato ne ha diritto per il resto): ciò evita il carcere ma resta la condanna. Dato che la multa in questi reati può essere alta, spesso la difesa punta a patteggiare anche per contenere la parte economica (le multe elevate possono mettere in ginocchio un privato o un’impresa tanto quanto la reclusione).
D: Ci sono state sentenze importanti sull’autoriciclaggio di recente?
R: Sì, ne citiamo alcune:
- Cass. pen. Sez. II, sent. n. 30399/2018: ha definito in maniera restrittiva la clausola di non punibilità, affermando che l’uso personale non copre operazioni che integrano la fattispecie del primo comma.
- Cass. pen. Sez. II, sent. n. 33074/2016: caso in cui si è escluso il reato per un versamento su conto proprio, e si è invece puntualizzato che la condotta punibile richiede un mutamento di intestazione o una sostanziale dissimulazione.
- Cass. pen. Sez. Un., sent. n. 4144/2020 (ipotetica, ad oggi non vi è stata ancora una pronuncia delle Sezioni Unite specifica sull’autoriciclaggio, ma ci sono state sezioni unite su riciclaggio e reati tributari che lambiscono il tema).
- Cass. pen. Sez. II, sent. n. 11325/2023: ha ribadito che il reinvestimento dei proventi illeciti nel gioco d’azzardo configura autoriciclaggio a tutti gli effetti.
- Cass. pen. Sez. II, sent. n. 4855/2023: ha delineato i confini dell’uso personale non punibile, negando la causa di non punibilità ai depositi su conti (multipli) e acquisti di beni di lusso, in quanto attività connotate da finalità speculative e non di mero godimento.
- Cass. pen. Sez. II, sent. n. 44816/2024: ha confermato che qualunque mutamento della titolarità formale dei beni (intestare a terzi, società, ecc.) è condotta dissimulatoria punibile, e che il fatto di essere riusciti a risalire comunque alle operazioni non le rende meno idonee a ostacolare (non serve un occultamento perfetto).
- Cass. pen. Sez. II, sent. n. 25348/2025: depositata il 9/7/2025, molto importante, ha stabilito il principio che “basta il semplice deposito in banca” per configurare il reato, rimarcando l’effetto ripulente automatico dovuto alla fungibilità del denaro, e chiarendo che anche operazioni tracciabili costituiscono autoriciclaggio se rendono più difficile l’accertamento dell’origine. Questa sentenza ha respinto la difesa basata sulla tracciabilità e sulla mancanza di cambio di intestazione, affermando l’irrilevanza sia dell’identità soggettiva dell’intestatario sia della piena tracciabilità, ove vi sia comunque ostacolo concreto agli accertamenti.
Queste pronunce, soprattutto le più recenti, indicano chiaramente la linea rigorosa adottata dalla Suprema Corte: tolleranza zero verso qualsiasi manovra che reinserisca i soldi sporchi nel circuito legale, anche in modo apparentemente alla luce del sole. Per la difesa, ciò significa dover essere creativi e puntuali nel sollevare dubbi, sfruttando ogni peculiarità favorevole del caso concreto.
Tabelle riepilogative
Di seguito, alcune tabelle riepilogative che possono aiutare a orientarsi tra i concetti esposti.
Tabella 1 – Pene e circostanze per l’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.)
Situazione | Reclusione | Multa | Note |
---|---|---|---|
Pena base (delitto presupposto non colposo) | 2 – 8 anni | €5.000 – €25.000 | – |
Attenuante: proventi da contravvenzione grave | 1 – 4 anni | €2.500 – €12.500 | Contravvenzione punita con arresto >1 anno (o min >6 mesi). Introdotta nel 2021. |
Attenuante: proventi da delitto minore (max ≤ 5 anni) | Pena base diminuita | Pena diminuita | Riduzione non quantificata (valutazione giudice). Esempio: diminuzione fino a 1/3. |
Aggravante: esercizio di attività professionale | Pena aumentata | Pena aumentata | Aumento fino a 1/3 circa. Esempio: riciclaggio compiuto da bancario, notaio, ecc. |
Clausola di non punibilità: uso personale | – (non punibile) | – | Se fuori dai casi precedenti, destinazione a godimento personale esclude reato. Interpretazione restrittiva dalla Cassazione. |
Attenuante premiale: collaborazione efficace | Pena diminuita fino a 1/2 | Pena diminuita | Se l’imputato aiuta ad evitare conseguenze o individua prove e beni. Riduzione discrezionale (max metà). |
Nota: le circostanze attenuanti speciali sopra (contravvenzioni e delitti minori) sono tra loro alternative: se i proventi derivano da una contravvenzione significativa, si applica la pena 1–4 anni; se derivano da un delitto minore (max ≤5 anni), si applica la diminuzione di pena (salvo che il caso rientri già nella fascia contravvenzionale). In ogni caso, se i proventi provengono da delitti di mafia o terrorismo, non si applicano attenuanti: la legge dice che in tal caso valgono comunque le pene del primo comma (2–8 anni).
Tabella 2 – Esempi di condotte: punibilità o meno
Condotta dell’autore | È autoriciclaggio? | Spiegazione |
---|---|---|
Tizio spende i proventi illeciti per pagare spese mediche e affitto. | No (in teoria) | Uso personale diretto, senza atti di occultamento strutturati. |
Tizio versa 50.000 € in contanti (da reato) sul proprio c/c bancario. | Sì (orientamento 2025) | Versamento bancario crea ostacolo (denaro ripulito per fungibilità). |
Tizio deposita i contanti in una cassetta di sicurezza anonima. | Sì | Nasconde fisicamente il denaro, ostacolando accertamenti. |
Tizio cambia i contanti illeciti in oro/diamanti e li conserva per sé. | Sì | Sostituzione di bene fungibile con bene reale di valore, difficile da tracciare. |
Tizio investe i proventi in azioni e poi rivende guadagnando. | Sì | Impiego speculativo, reimmissione nel circuito finanziario. |
Tizio acquista una casa con soldi illeciti e la intesta a sé medesimo. | Borderline (rischioso) | Intestazione propria e bene registrato danno trasparenza, ma l’uso di denaro illecito per un bene durevole può essere visto come reimpiego nell’economia legale. Tende a essere punito, salvo considerarlo mero godimento (difesa difficile). |
Tizio acquista casa con soldi illeciti e la intesta a un prestanome. | Sì (decisamente) | Cambio di titolarità formale = condotta dissimulatoria palese. |
Tizio trasferisce i soldi illeciti su conti esteri a lui intestati. | Sì | Trasferimento finanziario, ostacola la giurisdizione e la tracciabilità. |
Tizio divide i contanti illeciti tra vari amici/parenti (senza informarli dell’origine) e poi li recupera a pezzi. | Sì, e amici complici = riciclaggio | Smurfing (spezzettamento) = classico schema di occultamento; i terzi partecipanti rispondono di riciclaggio. |
Tizio tiene i contanti illeciti sotto il materasso, senza fare nulla. | No (nessuna operazione) | Detenzione statica non è condotta tipica: verrà punito solo per il reato base. (Ma attenzione a non fare movimenti improvvisi: non appena spenderà o investirà quei soldi, può innescare l’autoriciclaggio). |
Come si evince, basta poco per sconfinare nell’autoriciclaggio. La linea di demarcazione è l’assenza totale di atti di occultamento/disposizione: un comportamento puramente inerte (tenere il denaro fermo) o di consumo immediato è fuori dall’area penale, ma qualunque movimentazione, anche minima, può entrarci.
Tabella 3 – Suggerimenti difensivi (riassunto)
Aspetto da contestare | Strategie della difesa |
---|---|
Prova del reato presupposto | – Negare che vi sia stato un reato a monte (se possibile). – Sostenere che il fatto a monte non costituisce reato (es. era una violazione amministrativa, o mancano elementi soggettivi). – Evidenziare assoluzioni o archiviazioni sul presupposto. |
Origine dei beni (provenienza illecita) | – Dimostrare entrate lecite alternative (stipendi, risparmi, donazioni). – Documentare che i beni contestati erano in parte leciti e separabili dagli illeciti. – Sollevare il dubbio che l’accusa non abbia individuato esattamente la fonte del denaro. |
Carattere dissimulatorio della condotta | – Argomentare che le operazioni erano tutte tracciabili e visibili (nessun concreto ostacolo). – Sostenere che il fine dell’imputato non era occultare ma altro (es. proteggere il denaro da furti, investire per necessità economica). – Evidenziare che nessun terzo è stato tratto in inganno: i beni erano riconducibili all’imputato (no schermi societari o prestanome). |
Clausola di uso personale | – Insistere che le spese/operazioni contestate rientravano nel normale utilizzo personale (es. mantenimento famiglia, acquisto beni di utilità diretta). – Dimostrare che non vi è stato reinvestimento produttivo né frammentazione delle somme, ma solo godimento (es. spesi in viaggi, gioco per diletto, collezioni personali). |
Elemento soggettivo (dolo) | – Far emergere che l’imputato era inesperto in materia finanziaria e non si rendeva conto della portata illecita dei movimenti. – Se possibile, invocare un errore (es. “pensavo che dopo aver pagato le tasse su quei soldi, potessi disporne liberamente”). – Sottolineare eventuali condizioni personali (dipendenze, pressione psicologica) che possano aver influito sull’intenzionalità. |
Quantificazione del profitto | – Contestare il calcolo dell’importo riciclato: se l’accusa sovrastima le cifre, ridurre l’ammontare aiuta a ridurre anche la gravità. – Dimostrare che l’imputato ha già restituito o perso quelle somme (così da sostenere che non c’era reale profitto da proteggere). |
Procedura & prove | – Eccepire nullità di sequestri o perquisizioni se carenti. – Chiedere l’esclusione di prove ottenute illegittimamente (es. intercettazioni fuori dai casi consentiti). – Portare una perizia di parte sui movimenti finanziari per reinterpretarli in chiave lecita. |
Circostanze attenuanti | – Evidenziare incensuratezza e condotta successiva positiva (collaborazione, pagamento debiti, reinserimento). – Se applicabile, chiedere riconoscimento attenuante del danno riparato (art. 62 n.6 c.p.) per aver versato somme all’erario o risarcito vittime. – Sfruttare ogni elemento di merito per attenuanti generiche (es. confessione, ravvedimento). |
Alternative di rito | – Valutare patteggiamento per chiudere con pena contenuta. – Se le prove sono controverse, magari scegliere dibattimento per tentare assoluzione; se invece sono schiaccianti, meglio rito abbreviato per riduzione pena. – Considerare messa alla prova (MAP) se il reato rientra nei limiti: ad oggi l’autoriciclaggio base (2-8 anni) eccede i 4 anni, ma nelle ipotesi attenuate 1-4 anni sarebbe astrattamente idoneo a MAP: tuttavia è difficile che PM e GIP concedano la sospensione del processo per un reato così grave, ma in teoria per forme lievi non è escluso. |
Queste linee guida vanno ovviamente adattate al caso concreto. L’avvocato difensore gioca un ruolo cruciale nell’individuare la strategia vincente o quantomeno la meno sfavorevole: che sia attaccare sul merito o negoziare un esito mite, la decisione va presa considerando prove a disposizione, orientamenti del giudice competente (qualora noti, es. giurisprudenza locale) e interesse ultimo del cliente (evitare carcere, salvare patrimonio, evitare interdizioni, ecc.).
Casi pratici e simulazioni (Italia, punto di vista dell’accusato)
Di seguito, presentiamo alcuni scenari ipotetici basati su situazioni tipiche in cui può incorrere un’accusa di autoriciclaggio. Lo scopo è illustrare, in modo concreto, come può svilupparsi la difesa in ciascun caso e quali potrebbero esserne gli esiti. Tutti gli esempi si riferiscono al diritto italiano vigente e assumono il punto di vista del debitore/imputato, cioè della persona accusata che deve difendersi.
Caso 1: Autoriciclaggio di proventi da reato fiscale (imprenditore)
Scenario: Mario è un imprenditore edile. Negli anni ha accumulato circa 500.000 € “in nero” evadendo il fisco (reato di dichiarazione infedele). Nel 2022 decide di utilizzare quei fondi per aprire un nuovo business: costituisce una seconda società intestata alla moglie e vi immette, come capitale sociale e finanziamenti, gran parte del denaro contante non dichiarato. Inoltre, acquista due immobili da ristrutturare, pagandoli in parte con bonifici dalla società nuova e in parte in contanti. Nel 2023 viene scoperto: la Guardia di Finanza accerta l’evasione fiscale e contemporaneamente la Procura gli contesta anche l’autoriciclaggio per aver reinvestito i proventi illeciti nell’attività economica.
Accuse: reato tributario (dichiarazione infedele) e autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) per le operazioni di finanziamento della nuova società e acquisto immobili, considerate atte a ostacolare la provenienza (hanno “mescolato” denaro illecito con attività lecite).
Difesa: L’avvocato di Mario imposta una strategia duplice:
- Sul fronte fiscale, Mario aderisce subito alla definizione agevolata dei debiti tributari pagando buona parte delle imposte evase (cosa che in parte estingue il reato fiscale, essendo sotto le soglie di punibilità dopo il pagamento). Questo per smontare la base dell’accusa principale.
- Sul fronte dell’autoriciclaggio, la difesa argomenta che Mario non aveva intenzione di occultare i fondi, ma di farli emergere gradualmente: li ha messi in una società formalmente esistente (quella intestata alla moglie) e li ha impiegati in un’attività reale (ristrutturazioni), pagando anche tasse su quelle transazioni (IVA, etc.). Sostiene quindi che la condotta non doveva considerarsi autoriciclaggio ma semmai un tentativo tardivo di regolarizzazione. Inoltre fa leva sulla clausola di non punibilità: afferma che Mario, essendo titolare di fatto della nuova società, ha solo “utilizzato” personalmente i soldi nel proprio circuito imprenditoriale, senza creare schermi fittizi (la moglie viene presentata come mera intestataria legittima, a conoscenza e consenziente).
- In subordine, la difesa chiede di applicare l’attenuante del delitto presupposto di non grande gravità (evasione fiscale punita max 3 anni), e sottolinea la collaborazione di Mario che ha pagato le tasse dovute (evitando danno all’Erario) e fornito alla GdF tutte le informazioni sui movimenti finanziari.
Esito possibile: Il giudice potrebbe riconoscere la responsabilità di autoriciclaggio, ritenendo che comunque la creazione di una società separata intestata alla moglie sia stata una forma di dissimulazione (cambio di soggetto giuridico) e che i bonifici per gli immobili abbiano reso i fondi difficili da collegare all’evasione. Tuttavia, grazie alle attenuanti (pagamento del dovuto, incensuratezza, delitto presupposto minore) la pena verrebbe contenuta. Mario potrebbe, ad esempio, patteggiare 1 anno e 8 mesi di reclusione con multa ridotta, pena sospesa. I 500.000 € investiti, essendo in buona parte confluiti in beni immobili individuati, verrebbero confiscati per equivalente sul patrimonio di Mario (anche se qui c’è una particolarità: avendo Mario poi pagato le imposte su quei soldi, potrebbe sostenere che lo Stato non debba confiscare tutto perché una parte è tornata all’Erario; di solito però si confisca l’intero profitto illecito, al netto magari di quanto già versato come risarcimento allo Stato). La moglie di Mario, se riconosciuta mero prestanome non inconsapevole, rischierebbe una accusa di concorso in autoriciclaggio o favoreggiamento: la difesa di Mario cercherebbe di farla passare per inconsapevole per evitare un altro coinvolgimento. Nel complesso, Mario evita il carcere ma perde i beni investiti e subisce le pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, ecc.), oltre al danno di immagine.
Analisi difensiva: In questo caso la strategia di collaborazione e parziale emersione ha giovato a Mario nel contenere le sanzioni. Un punto chiave è stato il pagamento delle imposte, che pur non eliminando l’autoriciclaggio ha contribuito a far apparire la sua figura meno fraudolenta e più “pentita”. Se Mario avesse negato tutto e non pagato nulla, rischiava una condanna più vicina ai 3–4 anni. Questo esempio mostra come in caso di reati fiscali, combinare strumenti penali e fiscali (ravvedimento operoso) sia essenziale per la difesa.
Caso 2: Uso di denaro da peculato per spese personali (funzionario pubblico)
Scenario: Luca è un funzionario pubblico che nel 2021 ha commesso peculato, sottraendo 30.000 € dai fondi dell’ufficio. Con quei soldi, prelevati in contanti, Luca ha finanziato spese di natura personale: ha ristrutturato la cucina di casa pagando in nero l’impresa edile (circa 15.000 €) e il resto lo ha speso in viaggi e regali alla famiglia. Nel 2023 viene scoperto il peculato e, oltre a questo, il PM valuta se contestare anche l’autoriciclaggio per l’impiego di quei 30.000 €.
Accusa: peculato (art. 314 c.p.) sicuramente. Per l’autoriciclaggio, la domanda è: le azioni di Luca (ristrutturazione casa, viaggi, regali) configurano un’ostacolazione concreta dell’origine del denaro? Il PM inizialmente contesta l’autoriciclaggio sull’operazione di ristrutturazione della cucina, sostenendo che pagando in nero l’impresa edile Luca abbia occultato la provenienza (poiché i soldi si sono dispersi nell’economia sommersa).
Difesa: L’avvocato di Luca adotta questa linea:
- Riconosce il peculato (magari patteggiandolo) e risarcisce integralmente la P.A. datrice di lavoro con 30.000 € (Luca ha racimolato vendendo l’auto e con aiuto di parenti). Ciò ottiene per Luca attenuanti sul peculato.
- Contesta vigorosamente l’autoriciclaggio, sostenendo che Luca non ha fatto altro che spendere il denaro per sé, senza alcuna sofisticazione finanziaria: la ristrutturazione della casa di sua proprietà è un evidente utilizzo personale. È vero che ha pagato in nero l’impresa, ma questo semmai configura un illecito fiscale per l’impresa, non un ostacolo alla provenienza del denaro (argomento: se qualcuno avesse indagato, avrebbe trovato la cucina nuova a casa di Luca e capito dove erano finiti i soldi – insomma, nulla di irretracciabile). Anche i viaggi e i regali, pur in contanti, non hanno lasciato traccia, ma la difesa sottolinea che erano consumo immediato, non investimenti. In sostanza invoca la clausola di non punibilità: godimento personale puro.
- Porta come supporto qualche precedente giurisprudenziale (tipo Cass. 2016) che in casi analoghi escludeva l’autoriciclaggio perché mancava un vero ostacolo. Evidenzia inoltre la modesta entità delle somme e l’assenza di qualunque arricchimento: Luca non ha comprato beni produttivi, anzi i soldi sono volati via in spese vive.
Esito possibile: In una situazione del genere, la difesa di Luca ha buone probabilità di far cadere l’accusa di autoriciclaggio per l’ambito della spesa personale. Il giudice potrebbe effettivamente ritenere che destinare i fondi alla ristrutturazione della propria casa e a spese familiari rientri nell’uso personale non punibile, in quanto non c’è stata interposizione di terzi (l’impresa edile è terza, ma il denaro è andato come compenso di un lavoro, non per nascondere a chi appartenesse) e non c’è stata traccia lasciata in conti o investimenti. Il fatto che la transazione con l’impresa fosse in nero non è stato fatto per coprire l’origine del denaro, ma per convenienza reciproca (evitare fatture): questo la difesa lo enfatizza per negare l’elemento soggettivo del riciclaggio. Con il risarcimento del danno, Luca probabilmente otterrà il proscioglimento per l’autoriciclaggio (o in alternativa il giudice, volendo proprio punire la parte di ristrutturazione, potrebbe derubricare quella condotta a favoreggiamento reale o addirittura a nulla, considerando che l’impianto del peculato assorbe di fatto il suo utilizzare il denaro pubblico per sé). Dunque Luca verrebbe condannato per peculato (diciamo 2 anni, pena sospesa per via del risarcimento) e assolto per l’autoriciclaggio perché il fatto non costituisce reato (uso personale).
Analisi difensiva: Questo caso evidenzia il confine sottile tra spesa personale e occultamento. La chiave della difesa è stata mostrare l’assenza di volontà di reimmettere i soldi in un sistema per trarne benefici futuri o far perderne le tracce. Luca li ha semplicemente goduti. Va detto che non tutti i giudici hanno la medesima sensibilità: un altro PM magari avrebbe contestato il riciclaggio e un giudice severo avrebbe potuto vedere nel pagamento in nero all’impresa un modo per “mescolare” il denaro illecito con i capitali dell’imprenditore edile, quindi un ostacolo (perché poi quei soldi diventano reddito in nero dell’impresa difficilmente riconducibile a Luca). Tuttavia, la somma contenuta e il risarcimento integrale hanno probabilmente convinto l’accusa a desistere dall’insistere sull’autoriciclaggio, accontentandosi della condanna per peculato.
Caso 3: Vendita di oggetti rubati e tentativo di riciclaggio (privato)
Scenario: Stefano ruba dei gioielli (reato presupposto: furto aggravato). Il giorno stesso, cerca di venderli a un “Compro Oro” presentando documenti falsi sull’origine degli oggetti. Viene però scoperto dalla Polizia durante la vendita. Gli contestano il furto e provano a contestargli l’autoriciclaggio per l’operazione di piazzamento dei gioielli rubati.
Accusa: furto aggravato e autoriciclaggio. In questo caso è praticamente la stessa situazione del leading case che ha portato alla questione di costituzionalità nel 2023 (il Tribunale di Firenze con A.M. che rubava gioielli e provava a rivenderli). Stefano ha commesso il reato base e immediatamente ha effettuato l’azione di sostituzione (convertire i gioielli rubati in denaro vendendoli).
Difesa: L’avvocato di Stefano può argomentare:
- Che la fattispecie è quella di un tentativo di autoriciclaggio, perché la vendita non è stata portata a termine (Stefano è stato bloccato nel negozio prima di incassare il denaro). Se riconosciuto come tentativo, la pena sarà diminuita da uno a due terzi (art. 56 c.p.), e già questo aiuta molto.
- In fase di giudizio, potrebbe perfino sostenere che il tentativo non era idoneo o che siamo nel concorso apparente di reati (furto e autoriciclaggio): ma la Cassazione ha detto chiaramente che il tentativo di vendere refurtiva configura tentato autoriciclaggio distinto dal furto.
- Vista la giurisprudenza sfavorevole, la difesa punta soprattutto sul trattamento sanzionatorio: chiede le attenuanti generiche (Stefano è incensurato, valore refurtiva non elevato) e l’applicazione della diminuente per il tentativo. Solleva eventualmente anche la questione che l’autoriciclaggio qui è punito come il riciclaggio di terzi, ma in realtà la condotta di Stefano era molto ravvicinata al furto – quasi un post factum non punibile, prova a dire l’avvocato. Non ci crede molto nessuno, però getta lì l’argomento magari per eventuale ricorso in appello.
Esito possibile: Stefano verrà con tutta probabilità condannato sia per furto aggravato sia per tentato autoriciclaggio. Diciamo 1 anno per il furto (grazie alle attenuanti e rito abbreviato magari) e 6 mesi per il tentato riciclaggio (pena base 2 anni ridotta per tentativo e attenuanti), cumulate con continuazione, per un totale di circa 1 anno e mezzo. La difesa ottiene magari la sospensione condizionale. L’aspetto positivo: l’avvocato è riuscito a far riconoscere il tentativo invece che il reato consumato, sottolineando che i gioielli sono stati recuperati e non c’è stato effettivo ostacolo perché l’operazione non si è perfezionata. Questo è plausibile, perché l’arresto in flagranza ha impedito al Compro Oro di fondere o rivendere i gioielli – dunque l’ostacolo all’identificazione era solo potenziale. La condanna per tentativo è in linea con quell’ordinanza di Firenze poi sfociata nella pronuncia della Consulta (che riguardava la prevalenza di attenuanti, ma confermava la configurabilità del tentato autoriciclaggio).
Analisi difensiva: In scenari come questo, in cui l’autoriciclaggio è contestato in concorso col reato base in maniera così ravvicinata, la difesa deve concentrare gli sforzi sul limitare il cumulo punitivo. Non si può negare il fatto (Stefano è stato colto sul fatto), quindi l’obiettivo è: riconoscimento del tentativo, continuazione tra furto e riciclaggio, attenuanti generiche. Si può anche attaccare la legge su un piano di principi (come ha fatto quel giudice sollevando la questione di legittimità costituzionale sulla recidiva e attenuanti, poi accolta) – ma per il singolo imputato ciò non cancella l’illecito, al massimo ne modera la pena. Questa è una situazione tipica in cui l’autore del reato si trova subito a gestire il provento: la legge colpisce anche queste condotte immediate, considerandole non un semplice post factum ma un reato autonomo. Il difensore deve farlo presente al cliente e cercare di ridurre i danni, come sopra.
Caso 4: Autoriciclaggio societario e responsabilità 231 (società e amministratore)
Scenario: La Alfa S.p.A., azienda di import-export, commette reati di contrabbando (importando merci senza dazi, risparmiando milioni). Il suo amministratore, Giovanni, crea un elaborato sistema per reinserire i profitti illeciti: la Alfa gonfia i bilanci per giustificare utili in realtà frutto di contrabbando, trasferisce fondi a una consociata estera Beta Ltd, poi rientrano come finanziamenti puliti. Inoltre, Giovanni utilizza parte dei proventi per acquistare tramite un prestanome una villa, che poi usa lui. Viene scoperto tutto da una maxi-indagine doganale.
Accuse: a Giovanni si contestano vari reati fiscali/doganali come presupposto e l’autoriciclaggio per tutta la struttura di trasferimenti societari e acquisto villa. Alla Alfa S.p.A. si contesta la responsabilità amministrativa 231 per il reato di contrabbando e anche per l’autoriciclaggio (quest’ultimo in teoria può rientrare nel d.lgs. 231 come reato presupposto se commesso nell’interesse della società stessa). Beta Ltd essendo estera sfugge alla giurisdizione diretta, ma i suoi dirigenti possono essere imputati per concorso in riciclaggio.
Difesa:
- Giovanni punta sul provare che non tutti i fondi trasferiti erano illeciti (parte utili erano reali) e che Beta Ltd era una società con sostanza economica (quindi i trasferimenti verso Beta avevano giustificazione commerciale). Cerca di segmentare le operazioni: magari ammette alcune come effettivamente mirate a occultare (quelle più indifendibili, come la villa intestata al prestanome, che è autoriciclaggio praticamente certo), e ne difende altre come lecite o parallele.
- Data la mole di prove, Giovanni opta per un patteggiamento: concorda con PM una pena di 4 anni per tutti i reati (contrabbando + autoriciclaggio continuato), evitando il processo lungo. In cambio, consegna allo Stato la villa e altri beni (che tanto sarebbero stati confiscati).
- La Alfa S.p.A. come ente presenta la difesa che l’autoriciclaggio è stato compiuto dall’amministratore nell’interesse proprio e non della società (specie la parte di soldi usciti per la villa). Cerca di dimostrare che la società non ha tratto vantaggio, anzi quelle operazioni l’hanno esposta a rischi. Inoltre, evidenzia di aver adottato (dopo i fatti) un modello organizzativo e rimosso Giovanni dall’incarico. Questo per evitare sanzioni interdittive gravi.
- Il prestanome e i dirigenti di Beta Ltd sono in posizione rischiosa: la difesa di Giovanni potrebbe cercare di coprirli dicendo che erano inconsapevoli della provenienza illecita (il prestanome credeva fossero soldi leciti della società, i Beta manager pensavano fosse ottimizzazione fiscale, non riciclaggio). Difficile regga, ma potrebbero patteggiare anche loro minori responsabilità.
Esito possibile:
- Giovanni ottiene il patteggiamento a 4 anni (forse 4 anni e 6 mesi con continuazione), che sconta magari ai domiciliari. Subisce la confisca della villa e di diversi conti (milioni). Non può più amministrare società per un bel po’.
- Alfa S.p.A. viene riconosciuta responsabile per i reati di contrabbando (sanzione pecuniaria) ma sul riciclaggio la fa franca sostenendo che quella parte era fuori dal suo interesse (in effetti l’autoriciclaggio di solito è per far rientrare utili alla società; qui però Giovanni ha fatto anche operazioni per sé). La società patteggia una sanzione e riesce a evitare l’interdizione continuando l’attività, magari con un commissario giudiziale per un periodo breve.
- Questo caso, molto complesso, mostra che la difesa deve negoziare su più tavoli (penale persona fisica, amministrativo ente, possibili estero). Alla fine c’è un accordo globale: Giovanni patteggia e consegna beni, la società paga una multa e adotta misure riparative, lo Stato incassa beni e vede puniti i responsabili. Un processo completo e lungo sarebbe stato devastante per tutti (azienda ferma, patrimonio congelato a lungo, etc.). La difesa quindi sceglie il male minore.
Analisi difensiva: Questo esempio estremo evidenzia che quando l’autoriciclaggio coinvolge società e reati transnazionali, la difesa deve pensare non solo all’individuo ma anche all’ente e alle implicazioni economiche. Un avvocato in questi casi lavora quasi come un “negoziatore legale”, cercando soluzioni che preservino per quanto possibile l’attività di impresa (o quantomeno la liquidazione ordinata dei beni) e limitino le pene. Spesso subentra la necessità di accordi multi-parti con procura e altre autorità (dogane, autorità estere magari per rogatorie). È un ambito davvero per specialisti.
Questi casi pratici coprono alcune tipologie: il piccolo imprenditore evasore, il dipendente infedele che spende per sé, il ladro rivenditore, il complesso schema societario. Naturalmente le combinazioni possono essere infinite, ma il filo conduttore per la difesa è sempre valutare:
- Che grado di oscurità ha creato la condotta dell’imputato sui beni? (più è alta, più è difficile difendersi sul merito, meglio puntare su attenuanti).
- Cosa si può fare per rimediare al danno? (pagare tasse, risarcire, consegnare beni) – questo non annulla il reato ma migliora la posizione.
- Qual è l’obiettivo prioritario del cliente? (evitare il carcere, salvare l’azienda, salvare la reputazione, tutelare la famiglia?). La strategia difensiva va plasmata su tali obiettivi, restando nei limiti deontologici e legali.
In ogni caso, di fronte a un’accusa di autoriciclaggio, è fondamentale affidarsi a professionisti esperti di diritto penale economico, data la complessità tecnico-giuridica della materia e le possibili pesanti conseguenze. Speriamo che questa guida, con fonti aggiornate e spiegazioni approfondite, abbia chiarito i principali aspetti e strumenti di difesa.
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali
Normativa:
- Codice Penale, art. 648-ter.1 (Autoriciclaggio) – Introdotto dall’art. 3, comma 3, L. 15 dicembre 2014, n. 186, e modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 3, D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 195. Testo vigente con pene, clausole ed attenuanti.
- Codice Penale, art. 648-bis (Riciclaggio) – Definizione del riciclaggio commesso da terzi, pene e attenuanti.
- Codice Penale, art. 648 (Ricettazione) – Reato presupposto storico, ultimo comma applicabile per indicare che il riciclaggio/autoriciclaggio si configura anche se l’autore del reato a monte non è identificato o punibile.
- D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 195 – Attuazione Direttiva (UE) 2018/1673 sul contrasto al riciclaggio mediante il diritto penale. Ha modificato la disciplina dell’autoriciclaggio (introduzione contravvenzioni, nuova formulazione attenuanti).
- Legge 15 dicembre 2014, n. 186 – “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero… e di autoriciclaggio”. Legge istitutiva del delitto di autoriciclaggio.
Giurisprudenza (Corte di Cassazione):
- Cass. pen., Sez. II, 5 luglio 2018 (dep. 6 luglio 2018), n. 30399 – Pronuncia chiave che interpreta restrittivamente la clausola di non punibilità: l’uso personale esclude il reato solo se manca qualsiasi operazione dissimulatoria (principio di diritto: l’agente va esente solo se si limita a godere direttamente dei beni senza compiere atti ostacolanti).
- Cass. pen., Sez. II, 14 luglio 2016 (dep. 4 agosto 2016), n. 33074 – Caso in cui si esclude l’autoriciclaggio per il versamento del profitto di furto su un conto intestato all’autore stesso, ritenendo necessaria una modifica della titolarità per configurare la dissimulazione. Evidenzia che cambiare intestazione o trasferire a terzi integra la condotta punibile, mentre il mero deposito su conto proprio (in quel caso) fu ritenuto non punibile.
- Cass. pen., Sez. II, 18 gennaio 2023 (dep. 16 marzo 2023), n. 11325 (caso Sambrotta) – Conferma che investire proventi illeciti nel gioco d’azzardo costituisce autoriciclaggio, equiparando le attività di gioco ad attività speculative ex art. 648-ter.1 c.p.. Ribadito che la tracciabilità (bonifici dal conto alle giocate) non esclude il reato, se l’operazione rende difficile risalire all’origine illecita (denaro cambiato in fiches e poi in eventuali vincite).
- Cass. pen., Sez. II, 3 febbraio 2023 (dep. 3 feb. 2023), n. 4855 – Sentenza su clausola di non punibilità: ha negato l’uso personale a degli imputati che avevano depositato su più conti i proventi da spaccio e acquistato beni di lusso, affermando che pluralità di conti e beni di pregio configurano attività finanziaria/speculativa punibile. Sottolinea inoltre la volontà legislativa di colpire ogni reimmissione nel circuito economico legale di proventi illeciti, anche attraverso operazioni apparentemente per uso personale ma di entità significativa.
- Cass. pen., Sez. II, 27 giugno 2023 (dep. 14 luglio 2023), n. 30642 – Affronta un caso di autoriciclaggio societario e gioco d’azzardo (vicenda Alfa S.p.A. di Genova): conferma l’indirizzo sul gioco come attività speculativa e aggiunge che la difesa basata sulla ludopatia e sull’esiguità della somma riciclata al casinò è irrilevante in diritto, essendo sufficiente il dolo generico e un qualsiasi ostacolo concreto.
- Cass. pen., Sez. I, 22 giugno 2023 (dep. 28 settembre 2023), n. 39489 – Massima indicata: probabilmente tratta del rapporto tra autoriciclaggio e reati contro il patrimonio (forse il caso di Firenze citato nella pronuncia costituzionale) e questioni di bilanciamento con recidiva (vedi sotto Corte Cost. 188/2023). [Dettaglio non esposto nel testo sopra ma menzionato nella ricerca].
- Cass. pen., Sez. II, 15 ottobre 2024 (dep. 6 dicembre 2024), n. 44816 – Riafferma che cambiare l’intestazione dei beni illeciti (es. trasferire a conto di terzi, società, ecc.) costituisce condotta dissimulatoria idonea all’autoriciclaggio. Importante passaggio: l’effettiva scoperta delle operazioni da parte degli inquirenti non esclude la punibilità – non serve un occultamento perfetto, è sufficiente che l’operazione fosse idonea a rendere non immediata l’individuazione dell’origine. Richiama precedenti del 2019 e 2016 in tal senso.
- Cass. pen., Sez. II, 9 luglio 2025 (dep. 9 luglio 2025), n. 25348 – Sentenza recentissima (2025) che stabilisce in modo netto che il semplice deposito in banca di somme illecite configura autoriciclaggio, spiegando che per la fungibilità del denaro il deposito equivale a una sostituzione con denaro “pulito” (tantundem). Afferma che qualsiasi trasferimento tra conti bancari produce l’effetto di ostacolare la tracciabilità. Inoltre, chiarisce che “non occorre un impedimento assoluto all’identificazione, basta una qualunque attività concretamente idonea ad ostacolarla, anche se i flussi sono tracciabili”. Questo pronunciamento rafforza la portata applicativa del reato, riducendo ulteriormente lo spazio del “godimento personale” impunito.
Giurisprudenza (Corte Costituzionale):
- Corte Costituzionale, sentenza 12 ottobre 2023, n. 188 – Ha dichiarato incostituzionale il divieto di prevalenza dell’attenuante speciale del secondo comma art. 648-ter.1 c.p. sulla recidiva reiterata ex art. 99 co.4 c.p.. Vicenda: un imputato recidivo per furti e tentato autoriciclaggio (caso di Firenze) poteva godere delle attenuanti generiche e di quella del secondo comma (reato presupposto di lieve entità), ma il bilanciamento era impedito dalla legge. La Consulta ha rimosso questo ostacolo, consentendo ai giudici di valutare caso per caso la prevalenza delle attenuanti anche per recidivi. Ciò indirettamente conferma la qualificazione del tentato riciclaggio autonomo rispetto al furto (che aveva portato alla questione).
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Vuoi capire cosa comporta questa accusa e quali sono le strategie di difesa più efficaci?
L’autoriciclaggio è un reato introdotto in Italia nel 2014 (art. 648-ter.1 c.p.) e si verifica quando chi ha commesso un reato presupposto (es. evasione fiscale, frode, bancarotta) impiega, trasferisce o sostituisce il denaro o i beni provenienti da quel reato, ostacolandone l’identificazione.
👉 È un’accusa molto grave, che unisce profili penali e tributari, ma non sempre sussistono i presupposti per configurarla.
⚖️ Quando si configura l’autoriciclaggio
- L’autore del reato presupposto (es. evasione IVA) reinveste i proventi in attività economiche, immobiliari o finanziarie;
- I beni o le somme vengono trasferiti su conti esteri per nasconderne la provenienza;
- Si utilizzano società di comodo, trust o altri strumenti per schermare la tracciabilità dei capitali.
📌 Quando NON si configura
- Se i proventi vengono semplicemente detenuti o consumati senza operazioni di occultamento;
- Se manca un reato presupposto da cui derivano i fondi;
- Se l’operazione non ha l’idoneità a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza del denaro.
👉 Questi elementi sono fondamentali per smontare l’accusa.
🔍 Conseguenze legali
- Reclusione da 2 a 8 anni e multa da 5.000 a 25.000 euro;
- Confisca dei beni ritenuti frutto del reato;
- Possibile sequestro preventivo già nella fase delle indagini;
- Ripercussioni sull’attività imprenditoriale e sulla reputazione.
🛡️ Strategie di difesa
- Contestare l’assenza del reato presupposto: se manca la prova del delitto da cui derivano le somme, cade l’accusa di autoriciclaggio.
- Dimostrare l’uso personale dei fondi: se il denaro è stato solo speso o mantenuto, non c’è reato.
- Provare la liceità delle operazioni: documentare che trasferimenti e investimenti hanno origine legittima.
- Eccepire vizi procedurali: errori nelle indagini, intercettazioni illegittime, sequestri sproporzionati.
- Agire subito con un difensore esperto, per impostare la strategia già nella fase iniziale delle indagini.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza gli atti d’indagine e individua i punti deboli dell’accusa;
- 📌 Verifica la sussistenza del reato presupposto e la reale natura delle operazioni contestate;
- ✍️ Predispone memorie difensive e istanze di dissequestro;
- ⚖️ Ti rappresenta nel procedimento penale e nelle eventuali cause tributarie collegate;
- 🔁 Elabora strategie di riduzione del rischio penale e patrimoniale.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in reati tributari e autoriciclaggio;
- ✔️ Specializzato in difesa penale e patrimoniale;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
L’accusa di autoriciclaggio è tra le più delicate in ambito penale-tributario, ma non è insuperabile.
Con una difesa mirata puoi dimostrare l’assenza dei presupposti del reato, contestare le prove dell’accusa e proteggere il tuo patrimonio e la tua libertà.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro l’accusa di autoriciclaggio inizia qui.