Agevolazioni Per Start-up Innovative Contestate: Come Difendersi

Hai usufruito delle agevolazioni fiscali per start-up innovative e ti sei visto contestare dall’Agenzia delle Entrate la spettanza dei benefici? Le misure di favore dedicate alle start-up – come incentivi fiscali, crediti d’imposta e riduzioni di imposta – sono soggette a controlli rigorosi, e il Fisco può revocarle se ritiene che i requisiti non siano rispettati. Sapere come difendersi è essenziale per non perdere tutto.

Quali sono le agevolazioni per le start-up innovative
Le start-up innovative possono accedere a diversi vantaggi:
– Esenzioni o riduzioni di imposte e contributi
– Incentivi fiscali per chi investe nel capitale della società
– Crediti d’imposta per ricerca, sviluppo e innovazione
– Accesso semplificato al regime forfettario o ad altre agevolazioni fiscali
– Procedure agevolate per la gestione societaria e i rapporti di lavoro

Quando scattano le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate
– Se la società non possiede più i requisiti richiesti dalla normativa per essere qualificata come start-up innovativa
– Se i fondi ottenuti non sono stati utilizzati per attività di ricerca e sviluppo, ma per altre finalità
– Se vengono riscontrate irregolarità formali nelle comunicazioni al Registro delle Imprese
– Se le agevolazioni sono state cumulate con altri benefici in modo non consentito
– Se gli investitori non hanno rispettato i requisiti per la detrazione o deduzione fiscale

Cosa rischi in caso di contestazione
– Revoca delle agevolazioni con obbligo di restituzione dei benefici già fruiti
– Applicazione di sanzioni fiscali e interessi di mora
– Accertamenti ulteriori su dichiarazioni, bilanci e crediti d’imposta
– Possibili indagini penali se il Fisco ritiene che vi siano state condotte fraudolente
– Blocco degli incentivi per gli investitori che hanno partecipato al progetto

Come difendersi dalle contestazioni sulle agevolazioni
– Dimostrare la reale attività di ricerca, sviluppo o innovazione attraverso documenti tecnici e relazioni
– Produrre bilanci, business plan e contratti che provino l’utilizzo corretto delle risorse
– Contestare eventuali errori di valutazione da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Dimostrare la buona fede e la corretta interpretazione della norma, soprattutto se ambigua
– Impugnare l’atto di revoca davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere la riduzione o l’annullamento della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la contestazione e verificare la legittimità della revoca
– Raccogliere e organizzare la documentazione necessaria per dimostrare la spettanza dei benefici
– Contestare in sede di contraddittorio le presunzioni arbitrarie del Fisco
– Predisporre un ricorso davanti al giudice tributario con argomentazioni giuridiche e tecniche
– Tutelare la start-up e i suoi investitori da conseguenze fiscali e patrimoniali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della revoca delle agevolazioni
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La possibilità di mantenere i benefici fiscali se spettanti
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio societario e personale degli imprenditori

⚠️ Attenzione: le contestazioni sulle agevolazioni per start-up innovative derivano spesso da irregolarità formali o da interpretazioni restrittive della norma. Molti casi possono essere risolti dimostrando con prove concrete l’attività realmente svolta e la buona fede dell’impresa.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e diritto societario – ti spiega come affrontare le contestazioni sulle agevolazioni per start-up innovative e quali strategie utilizzare per difendere la tua impresa.

👉 La tua start-up ha ricevuto una contestazione sulle agevolazioni fiscali? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione, raccoglieremo la documentazione utile e predisporremo la strategia più efficace per tutelare il progetto e i tuoi investitori.

Introduzione

Le start-up innovative rappresentano una categoria di imprese a cui l’ordinamento italiano riconosce particolari agevolazioni in ambito fiscale, contributivo, finanziario e burocratico, al fine di favorirne la nascita e la crescita. Tali benefici – introdotti a partire dal Decreto Legge 179/2012 (il c.d. “Startup Act”) e successivamente ampliati – comprendono ad esempio detrazioni per chi investe nel capitale, esenzioni da imposte e oneri, accesso facilitato al credito (come garanzie pubbliche e finanziamenti agevolati) e una serie di semplificazioni normative (ad es. deroghe al diritto societario).

Tuttavia, può accadere che le agevolazioni vengano contestate o revocate dalle autorità competenti (Agenzia delle Entrate, Invitalia, Ministeri, enti gestori) quando si ritiene che la start-up non soddisfi (o abbia perso) i requisiti previsti, oppure abbia violato le condizioni stabilite per il beneficio. Ad esempio, l’impresa potrebbe essere accusata di aver ottenuto indebitamente un contributo pubblico, di non aver rispettato un vincolo del bando, di aver perso la qualifica di start-up innovativa, o ancora l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare l’utilizzo di un’agevolazione fiscale ritenuta non spettante.

Dal punto di vista del beneficiario (debitore) di tali incentivi, queste contestazioni possono tradursi in atti amministrativi di revoca, accertamenti tributari con richieste di imposte e sanzioni, ingiunzioni di pagamento o cartelle esattoriali per la restituzione di contributi ricevuti. La situazione, spesso complessa sul piano giuridico, richiede un’attenta strategia di difesa per far valere le proprie ragioni ed evitare (o limitare) le conseguenze economiche.

In questa guida – aggiornata ad agosto 2025 e orientata ad un pubblico avanzato (avvocati, imprenditori e consulenti) – esamineremo in modo approfondito:

  • Le principali agevolazioni per le start-up innovative e i motivi di contestazione più frequenti (es. revoca di contributi, decadenza dai benefici fiscali, accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, perdita dei requisiti, ecc.);
  • riferimenti normativi e le più recenti pronunce giurisprudenziali in materia (sentenze tributarie, TAR, Consiglio di Stato, Cassazione) che delineano i diritti delle start-up e i poteri delle Amministrazioni;
  • Gli strumenti di difesa, sia in sede amministrativa (controdeduzioni, istanze in autotutela, ricorsi gerarchici) che in sede giudiziale (ricorsi al giudice tributario, al TAR o al giudice ordinario, a seconda dei casi);
  • Esempi pratici, casi di giurisprudenza, tabelle riepilogative dei casi tipici di contestazione e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni.

L’obiettivo è fornire una guida completa, con linguaggio giuridico ma accessibile, che permetta a chi si trova a fronteggiare contestazioni sulle agevolazioni per start-up innovative di orientarsi con consapevolezza tra norme, procedure e possibili soluzioni di difesa.

Panorama delle agevolazioni per start-up innovative

Prima di affrontare le contestazioni, è utile riepilogare brevemente quali sono le principali agevolazioni di cui gode una start-up innovativa in Italia (in base alla normativa vigente aggiornata al 2025). Queste agevolazioni, molte delle quali introdotte dallo Startup Act e successivi interventi, si possono suddividere in quattro macro-categorie:

  • Agevolazioni fiscali: incentivi sul piano tributario, come le detrazioni/deduzioni per chi investe nel capitale delle start-up, l’esonero fiscale su strumenti di remunerazione innovativi (es. stock-option e work-for-equity) e l’esenzione da alcuni tributi minori. Ad esempio, l’art. 29 del D.L. 179/2012 (come modificato) prevede per le persone fisiche una detrazione IRPEF – che dal 2025 può arrivare al 65% in regime “de minimis” – sull’investimento effettuato in start-up innovative. Inoltre, l’art. 27 del medesimo decreto riconosce un regime fiscale di favore per le azioni o quote assegnate a dipendenti e collaboratori sotto forma di stock-option o work-for-equity: tali assegnazioni non concorrono a formare reddito imponibile (e quindi non sono tassate né assoggettate a contributi) purché effettuate da una start-up innovativa (o incubatore certificato). Ulteriori misure fiscali comprendono l’esenzione dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria per atti relativi alla vita della start-up (es. iscrizione al Registro Imprese) e la sospensione temporanea di alcune cause di scioglimento societario (come la riduzione del capitale per perdite).
  • Agevolazioni contributive e finanziarie: benefici consistenti in contributi pubblici a fondo perduto, finanziamenti agevolati o altre forme di sostegno finanziario dedicati alle start-up innovative. In questa categoria rientrano i programmi gestiti da enti come Invitalia (l’Agenzia nazionale per lo sviluppo) su mandato ministeriale – ad esempio Smart&Start Italia, che offre finanziamenti a tasso zero (in parte convertibili in fondo perduto) per progetti di start-up innovative, oppure misure come “Nuove Imprese a Tasso Zero” e bandi regionali co-finanziati. Spesso questi incentivi finanziari sono concessi tramite un contratto di agevolazione che vincola l’azienda a determinati obblighi (realizzare un certo piano di investimento, mantenere l’attività per un periodo minimo, creare occupazione, ecc.). Anche bonus contributivi per l’assunzione di personale altamente qualificato o altre misure simili possono rientrare, sebbene di portata più generale.
  • Agevolazioni relative all’accesso al credito: strumenti che facilitano la start-up nel finanziarsi presso banche o investitori. Il più importante è l’accesso prioritario al Fondo di Garanzia per le PMI, che per le start-up innovative prevede una procedura semplificata di ottenimento di garanzie statali su prestiti bancari (fino all’80% del finanziamento, spesso con esenzione dalla valutazione standard di merito creditizio). In pratica, una banca che eroga un mutuo a una start-up innovativa può ottenere dallo Stato la copertura di gran parte del rischio. Questo consente alle start-up – solitamente prive di garanzie proprie – di accedere a credito altrimenti difficile da ottenere. Inoltre, rientrano in questo ambito altri strumenti come il programma Italia Venture (fondi di investimento pubblico-privati) o il recente Fondo di sostegno al venture capital.
  • Semplificazioni burocratico-normative: deroghe alle discipline ordinarie pensate per ridurre i costi e gli oneri amministrativi. Tra queste: l’esonero dal pagamento di imposta di bollo, diritti di segreteria e diritto annuale camerale per l’iscrizione e gli adempimenti presso il Registro Imprese; la possibilità (introdotta nel 2016, ma poi oggetto di vicende giudiziarie) di costituire la start-up innovativa come s.r.l. con atto standard senza intervento del notaio, mediante firma digitale ; la facoltà di utilizzare schemi societari flessibili (ad esempio creare categorie di quote con diritti particolari, offrire quote in crowdfunding senza prospetto, ecc.); la deroga alle norme sul capitale (le start-up possono portare perdite oltre il limite di un terzo del capitale senza dover immediatamente ricostituire il capitale minimo). Inoltre, le start-up innovative sono esonerate dal requisito di dimostrare il carattere innovativo per accedere al Fondo di Garanzia e godono di iter amministrativi più snelli per alcune autorizzazioni.

Queste misure agevolative hanno un impatto rilevante sulla vita dell’impresa: basti pensare che un investimento in equity con detrazione al 65% rende estremamente appetibile finanziare una start-up, o che un contributo pubblico può coprire spese importanti. Tuttavia, ogni agevolazione è subordinata a condizioni precise e a requisiti formali, la cui mancanza può comportare la perdita del beneficio. Ad esempio, l’investitore deve mantenere la partecipazione almeno 3 anni per non decadere dalla detrazione; la start-up deve conservare i requisiti qualificanti (oggetto sociale innovativo, limiti di età dell’impresa, composizione societaria, ecc. – v. art. 25 D.L. 179/2012) per restare iscritta nella sezione speciale e continuare a godere delle esenzioni; una start-up beneficiaria di Smart&Start deve completare il progetto e restituire le rate secondo piano, pena la risoluzione del finanziamento.

Nei paragrafi successivi analizzeremo le principali cause di contestazione che possono emergere in relazione a queste agevolazioni, suddividendole per ambito, e indicheremo come il beneficiario può difendersi sulla base delle norme vigenti e della più recente giurisprudenza.

Cause frequenti di contestazione delle agevolazioni

Numerose sono le situazioni che possono portare le autorità a contestare o revocare un’agevolazione concessa a una start-up innovativa. In generale, le cause di contestazione si riconducono a due macro-categorie: (1) assenza o perdita dei requisiti previsti dalla legge per fruire del beneficio, e (2) inadempimento o violazione delle condizioni specifiche legate all’agevolazione ottenuta. Analizziamo le casistiche più frequenti:

  • Perdita dei requisiti di start-up innovativa: la normativa impone diversi requisiti per acquisire e mantenere lo status speciale. Alcuni sono “strutturali” (es. forma giuridica di s.r.l./s.p.a./s.r.l.s., sede in Italia, non più di 5 anni di attività, fatturato inferiore a 5 milioni, nessuna distribuzione di utili, oggetto sociale innovativo, una certa spesa in R&S o personale qualificato, ecc.), altri sono temporali (la qualifica è concessa per un periodo limitato). Fino al 2024 la durata massima era 5 anni; con la riforma del 2024-2025, la durata base è stata ridotta a 3 anni, con possibili proroghe fino a 7 o 9 anni al ricorrere di condizioni aggiuntive. Ne consegue che molte start-up, allo scadere dei 3 anni, devono riuscire a soddisfare i nuovi criteri di proroga (ad esempio incremento di spesa in R&S al 25%, ottenimento di un brevetto, significativo aumento di capitale, crescita dei ricavi o contratti con la PA) per non decadere dallo status speciale. La perdita della qualifica di start-up innovativa – sia per naturale scadenza dei termini sia per mancato rispetto di uno dei requisiti – comporta effetti importanti: l’impresa viene cancellata dalla sezione speciale del Registro delle Imprese e cessa di beneficiare di tutte le agevolazioni collegate (fiscali, burocratiche, ecc.). Inoltre, è previsto che debba versare imposte e diritti precedentemente esentati in virtù dello status speciale. Ad esempio, la Camera di Commercio può richiedere il pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria che erano stati risparmiati durante il periodo di iscrizione speciale. Sul piano fiscale, va sottolineato che la perdita dei requisiti non dovuta a violazioni ma al normale decorso del termine (es. scadenza del periodo massimo) non fa decadere le agevolazioni già acquisite: l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la cessazione “naturale” dello status non è di per sé causa di revoca delle detrazioni per gli investitori. Diverso è il caso in cui la qualifica venga meno prima del tempo per violazioni: ad esempio se si scopre che una società non possedeva sin dall’inizio i requisiti oppure li ha persi per una grave omissione (come il mancato invio della dichiarazione annuale di conferma dei requisiti, equiparato per legge a perdita degli stessi). In tali ipotesi “patologiche”, le agevolazioni fruite possono essere considerate indebitamente fruite “sine titulo”, con obbligo di restituzione e relative sanzioni.
  • Revoca di contributi pubblici e finanziamenti agevolati: quando una start-up ottiene un finanziamento agevolato o un contributo a fondo perduto (ad es. tramite Invitalia), le viene formalmente concesso un beneficio condizionato al rispetto di determinati obblighi contrattuali e normativi. Le cause tipiche di revoca includono: inadempimenti finanziari (mancato pagamento delle rate di restituzione di un mutuo agevolato), mancata realizzazione (totale o parziale) del progetto nei termini previsti (es. non aver completato il piano di investimenti nei tempi stabiliti), interruzione anticipata dell’attività o chiusura/fallimento della società prima del periodo minimo richiesto dal bando, utilizzo indebito dei fondi (spese non ammesse, distrazione di beni acquistati con l’agevolazione, irregolarità documentali gravi come fatture false), oppure il venir meno di requisiti specifici posti dal bando (ad es. trasferimento della sede fuori area agevolatatrasformazione in società ordinaria troppo presto, perdita dello status di start-up prima di un certo periodo). In generale, i contratti di agevolazione prevedono espressamente che, qualora l’impresa viol(i) uno degli obblighi, si procede alla decadenza dal beneficio e al recupero delle somme erogate. Di norma, la revoca è totale se viene meno un requisito fondamentale o se l’inadempimento è radicale (es. l’impresa cessa l’attività entro i primi anni); può essere parziale (revoca pro-quota) se la violazione è limitata (es. realizzato solo il 80% del programma di spesa: viene revocato il restante 20%). La prassi amministrativa prevede che Invitalia (o l’ente competente) avvii un procedimento di revoca ai sensi della Legge 241/1990, con comunicazione di avvio e assegnazione di un termine per presentare memorie difensive (controdeduzioni). Se le giustificazioni non risultano convincenti, viene emanato il provvedimento finale di revoca (o decadenza), che risolve il contratto di finanziamento agevolato e converte le somme erogate in somme da restituire immediatamente. Ad esempio, in caso di mutuo agevolato, la revoca comporta la decadenza dal beneficio del tasso zero: il mutuo viene risolto e l’intero capitale residuo diventa esigibile, maggiorato di interessi (eventualmente al tasso di mora). In caso di contributo a fondo perduto, l’impresa deve restituire tutte le tranche ricevute. Segue poi la fase di recupero crediti, che spesso avviene tramite iscrizione a ruolo presso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e notifica di una cartella esattoriale al beneficiario. Non di rado, quindi, la start-up si vede arrivare una cartella di pagamento pari all’importo del contributo revocato più interessi e spese di esazione.
  • Accertamenti fiscali su incentivi tributari: l’Agenzia delle Entrate può contestare i benefici fiscali richiesti dalla start-up o dai suoi investitori, qualora ritenga che non ne spettasse il diritto. Un caso tipico riguarda la detrazione IRPEF del 30% (o 50-65%) per investimenti in start-up innovative: l’Ufficio, in sede di controllo formale della dichiarazione o di verifica, potrebbe negare (totalmente o parzialmente) la detrazione se ritiene che l’investimento non rispettasse i criteri di legge. Ciò può avvenire, ad esempio, se la documentazione attestante l’investimento è ritenuta insufficiente, oppure se viene eccepito che la start-up non avesse effettivamente i requisiti (magari perché l’iscrizione nella sezione speciale era viziata o perché l’aumento di capitale non è stato eseguito correttamente). In un caso deciso dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna nel 2024, l’Agenzia delle Entrate contestava a un investitore la detrazione sostenendo l’assenza di “proporzionalità” tra l’investimento e la quota societaria ricevuta, nonché l’inadeguatezza del piano aziendale privo di chiari meccanismi di exit. I giudici hanno censurato questa posizione, ribadendo che requisiti extra-legali non possono essere imposti: in particolare, nessuna norma richiede una proporzionalità stretta investimento/quote per godere del bonus, trattandosi di condizione introdotta solo da una circolare interna (quindi non vincolante). Altre cause di decadenza fiscale possono essere: la cessione anticipata delle partecipazioni da parte dell’investitore (la legge impone di mantenerle ≥3 anni, salvo cause di forza maggiore); operazioni straordinarie sulla start-up nei primi anni (fusioni, incorporazioni) che potrebbero far perdere il beneficio se interpretate come “cessione” indiretta; oppure l’utilizzo di crediti d’imposta (ad es. credito R&S, innovazione) poi contestati in fase di controllo per asserita mancanza dei presupposti. In caso di accertamento fiscale, al contribuente (start-up o investitore che sia) viene tipicamente notificato un avviso di accertamento o di recupero in cui si richiede la restituzione dell’imposta risparmiata più interessi e sanzioni. È allora necessario valutare il ricorso in Commissione Tributaria entro i termini (60 giorni). Da segnalare che recenti modifiche normative sono intervenute proprio per chiarire taluni aspetti: la Legge di concorrenza 2023 (L. 193/2024) ha stabilito che non si perde la detrazione se la cessione della quota avviene per cause indipendenti dalla volontà dell’investitore (esempio classico: un socio di minoranza costretto a vendere dalle clausole di drag-along). Questa novità supera l’interpretazione restrittiva data in passato dall’Agenzia (che considerava decaduto il beneficio anche in tali casi). Pertanto, in eventuali contenziosi, si dovrà tener conto di questa evoluzione normativa favorevole al contribuente.
  • Contenziosi sull’accesso al credito garantito: anche le garanzie pubbliche sui finanziamenti bancari possono essere oggetto di contestazione, sebbene qui la posizione del debitore sia particolare. Nel caso del Fondo di Garanzia PMI, la start-up ottiene la garanzia statale ma rimane ovviamente obbligata verso la banca: se non paga il prestito, la banca escute la garanzia statale (Mediocredito Centrale – MCC) che salda l’80% dovuto. A questo punto MCC subentra come creditore verso la start-up (diritto di surrogazione), e potrà avviare azioni di recupero nei confronti dell’azienda insolvente. Ciò può tradursi in un’iscrizione a ruolo e in una cartella esattoriale a nome della start-up (o del garante personale, se c’è) per recuperare quanto pagato dallo Stato. Dal punto di vista difensivo, qui si applicano le normali tutele del debitore verso il creditore: possibilità di chiedere una rateazione della cartella, opporsi per vizi formali o contestare gli importi se già pagati in parte, ecc. Un’altra evenienza è la revoca stessa della garanzia: MCC effettua controlli documentali successivi sull’utilizzo del Fondo di Garanzia e, se rileva che la start-up non ha inviato la documentazione richiesta o l’ha inviata in ritardo/irregolarmente, può dichiarare la decadenza dall’agevolazione (ossia la garanzia diventa inefficace). Negli anni post-pandemia si è verificato un numero elevato di procedimenti di revoca della garanzia per omissioni documentali (oltre 60.000 imprese controllate nel 2023). In risposta, nel 2023 il Fondo ha introdotto una sorta di “sanatoria” temporanea: con la Circolare MCC n. 6/2023 si è stabilito che, se l’impresa beneficiaria rimediava tardivamente alle mancanze documentali (inviando comunque i documenti, seppur fuori termine o per canali diversi), il procedimento di revoca poteva essere annullato o riesaminato consentendo di ripristinare la garanzia. Questo ha offerto a molte start-up una seconda chance per mantenere la copertura pubblica, evitando l’automatica decadenza a causa di ritardi burocratici. Rimane fermo che in caso di dolo o false dichiarazioni (ad es. start-up che avessero occultato informazioni negative per ottenere la garanzia), MCC può revocare definitivamente l’agevolazione, con segnalazione eventualmente alle autorità competenti.
  • Semplificazioni normative “contestate”: infine, meritano menzione alcune vicende in cui le stesse misure di favore normative per start-up sono state oggetto di contenzioso. Il caso emblematico è quello della costituzione digitale delle s.r.l. innovative senza notaio: introdotta dal D.M. 17/2/2016 per ridurre costi e tempi, questa possibilità è stata impugnata dal Consiglio Nazionale del Notariato davanti al TAR Lazio, sostenendo l’illegittimità dell’assenza del notaio. Ne è seguita una battaglia legale: il TAR Lazio inizialmente diede ragione ai notai nel 2017, e infine il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2643 del 29 marzo 2021 ha annullato in via definitiva la norma del 2016, dichiarandola nulla . Ciò ha comportato – letteralmente da un giorno all’altro – l’impossibilità per le start-up di costituirsi online autonomamente: la piattaforma digitale predisposta dalle Camere di Commercio è stata oscurata e circa 3.500 società già costituite online tra 2016 e 2021 hanno rischiato di vedere invalidata la propria iscrizione . Solo un intervento normativo successivo (D.L. 77/2021) ha convalidato gli atti costitutivi già perfezionati, sanando la posizione di quelle start-up . Nel frattempo, il Governo ha emanato un nuovo decreto (novembre 2021) che recepisce la Direttiva UE 2019/1151: la costituzione online è stata reintrodotta, ma sotto controllo notarile esclusivo (atto informatico ricevuto dal notaio via videoconferenza, con onorari ridotti del 50%). Questo episodio evidenzia come una semplificazione pensata per le start-up possa essere “contestata” in sede giudiziaria da interessi contrari, e come l’esito possa incidere sulle aziende coinvolte: fortunatamente la soluzione normativa ha evitato il peggio, ma da allora la costituzione resta vincolata ai notai. Altre possibili contestazioni in ambito burocratico potrebbero riguardare, ad esempio, la validità di atti societari posti in essere approfittando di deroghe (un caso ipotetico: un aumento di capitale realizzato con facilitazioni poi contestate se la società non era/è più start-up innovativa), oppure ricorsi contro provvedimenti camerali di rifiuto di iscrizione nella sezione speciale o cancellazione d’ufficio per mancanza di requisiti – situazioni in cui la start-up può impugnare tali decisioni davanti al giudice amministrativo.

Riassumendo, le contestazioni delle agevolazioni per start-up innovative possono spaziare dal fisco (revoca di benefici tributari)agli incentivi finanziari (decadenza da contributi)alle garanzie pubbliche, fino a aspetti formali sullo status. La difesa del beneficiario deve quindi modularsi sul tipo di contestazione e sul giudice competente per risolverla. Nel seguito, approfondiremo le strategie difensive e gli strumenti di tutela, prima in via amministrativa e poi nelle diverse sedi giudiziarie (tributaria, amministrativa, ordinaria), facendo riferimento anche ai più recenti orientamenti giurisprudenziali.

Difendersi dalle contestazioni: strumenti e strategie

Quando una start-up innovativa o un suo investitore riceve una contestazione – che sia un avviso di revoca da Invitalia, un accertamento fiscale dall’Agenzia Entrate o un provvedimento di cancellazione dal Registro Imprese – è fondamentale attivarsi prontamente per esercitare il proprio diritto di difesa. Le strategie difensive si sviluppano tipicamente in due fasi: una fase amministrativa, rivolta all’autorità che ha emesso (o sta per emettere) l’atto sfavorevole, e una eventuale fase giudiziale, dinanzi all’organo giurisdizionale competente. Vediamole nel dettaglio.

Fase amministrativa: controdeduzioni e rimedi interni

In base ai principi generali della Legge n. 241/1990, prima di adottare un provvedimento negativo (come la revoca di un’agevolazione) la Pubblica Amministrazione deve in molti casi comunicare l’avvio del procedimento all’interessato, dando modo di partecipare e presentare memorie. Nella prassi, ad esempio, Invitalia invia una comunicazione di avvio ex art. 7 L.241/90 elencando le violazioni contestate e assegnando 10-15 giorni per presentare controdeduzioni. Allo stesso modo, l’Agenzia Entrate talvolta notifica un invito a fornire chiarimenti (es. per crediti d’imposta) prima di emettere un atto formale. È cruciale sfruttare questa fase per persuadere l’Amministrazione a non procedere. Alcuni strumenti tipici sono:

  • Memoria di controdeduzioni: un documento, spesso in forma di lettera difensiva, in cui l’impresa risponde punto per punto alle contestazioni. È opportuno richiamare le circostanze di fatto (spiegando, ad esempio, le ragioni di un ritardo o allegando le ricevute di pagamento che provino l’adempimento) e i riferimenti normativi o giurisprudenziali a proprio favore. Ad esempio, se si contesta la chiusura anticipata dell’attività, si potrebbe evidenziare che essa è dovuta a forza maggiore (una pandemia, un evento imprevedibile) e chiedere una proroga; oppure, se l’Agenzia delle Entrate nega una detrazione per mancanza di documenti, allegare ora i documenti mancanti. La memoria deve concludersi con una istanza chiara (es. chiedere l’archiviazione del procedimento di revoca, o la rettifica dell’accertamento).
  • Regolarizzazione tempestiva: talvolta è possibile sanare l’inadempimento prima che cada la scure. Ad esempio, se il problema è il mancato pagamento di alcune rate di un mutuo agevolato, pagare immediatamente (o accordarsi per pagare) può convincere l’ente a non revocare il beneficio. Oppure, se una start-up ha dimenticato di inviare una relazione richiesta, trasmetterla anche se in ritardo mostrando che il progetto in realtà prosegue regolarmente. Chiaramente, questo va fatto prima che il provvedimento definitivo venga emanato.
  • Richiesta di proroga o modifica: se si prevedono ritardi nel progetto, la start-up può formalmente chiedere una proroga dei termini o una variazione del piano approvato (molti bandi prevedono procedure di variazione in corso d’opera). Ad esempio, invocando cause eccezionali (una crisi di filiera, ritardi nei nulla osta, ecc.), si può ottenere un allungamento dei tempi per completare l’investimento invece di incorrere in revoca.
  • Negoziazione e soluzioni transattive: soprattutto quando l’impresa è in difficoltà economica, può valutare di negoziare con l’ente concedente. Invitalia, in alcuni casi, ha mostrato apertura a piani di ristrutturazione del debito o transazioni (ad esempio, nei casi di revoca di finanziamenti di vecchi bandi, si sono concluse transazioni con restituzione parziale). Se c’è uno spiraglio, coinvolgere un legale esperto che proponga un accordo può evitare un contenzioso lungo: ad esempio, la start-up potrebbe offrire di restituire subito una parte del contributo e il resto rateizzato, in cambio della rinuncia alle sanzioni.
  • Istanze di autotutela: ogni PA ha il potere di annullare d’ufficio i propri atti illegittimi o errati. Se emergono evidenti errori (fatti nuovi, calcoli sbagliati, scambio di persona, ecc.) conviene presentare una istanza di autotutela, chiedendo all’Amministrazione di riesaminare il provvedimento anche dopo la sua adozione. Ad esempio, se una revoca si basa su un presupposto fattuale errato (es. “non avete presentato il collaudo finale” mentre invece è stato presentato nei termini, magari smarrito dall’ufficio), l’autotutela documentata può portare all’annullamento in autotutela della revoca stessa. Va detto che l’autotutela è discrezionale e non sospende i termini per fare ricorso, quindi va usata con cautela e senza fare eccessivo affidamento sul ravvedimento dell’ente.
  • Ricorso gerarchico o in opposizione: in alcuni casi particolari, le norme di settore prevedono ricorsi amministrativi interni. Ad esempio, per taluni incentivi si può fare ricorso al Ministero vigilante (ricorso gerarchico) entro 30 giorni dalla notifica dell’atto di revoca. Questo è di fatto un “appello” in via amministrativa: un organo superiore (es. il Ministero dello Sviluppo Economico/MIMIT per i bandi Invitalia) rivede la decisione. Non tutti i bandi lo prevedono; dove esiste, è indicato nei provvedimenti e nel bando di concessione. Storicamente, il successo dei ricorsi gerarchici non è frequente, ma tentarli può ritardare l’efficacia della revoca e costituire un ulteriore tentativo prima del giudice. Analogamente, in materia di garanzie MCC, è stata prevista una fase di opposizione interna ai risultati dei controlli, grazie alla circolare “sanatoria” citata, permettendo la riapertura dei casi chiusi se l’azienda fornisce le sue ragioni.

Se, esauriti i rimedi interni, l’esito rimane sfavorevole (ad es. l’ente conferma la revoca, oppure l’Agenzia Entrate notifica un avviso di accertamento), si passa alla fase successiva, quella giudiziale, per evitare che l’atto diventi definitivo e inizino le azioni di recupero.

Fase giudiziale: contenzioso tributario, amministrativo o civile

La scelta del giudice competente per impugnare il provvedimento dipende dalla natura dell’agevolazione e dell’atto contestato, secondo i criteri di riparto di giurisdizione fissati dalla legge e dalla giurisprudenza. Determinare il foro corretto è fondamentale: un ricorso presentato al giudice sbagliato verrà dichiarato inammissibile, facendo perdere tempo prezioso. In linea generale:

  • Le controversie su atti impositivi fiscali (avvisi di accertamento, cartelle esattoriali per recupero di crediti d’imposta, diniego di agevolazioni tributarie) rientrano nella giurisdizione delle Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie). Ad esempio, se l’Agenzia Entrate revoca una detrazione o recupera un credito d’imposta R&S fruito dalla start-up, l’impugnazione va proposta entro 60 giorni dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente per territorio (in genere, dove ha sede la società). La sentenza sarà appellabile alla CGT di secondo grado e poi in Cassazione. È importante, nel ricorso tributario, contestare specificamente tutti i motivi per cui si ritiene illegittimo l’atto: vizi formali (ad esempio difetto di motivazione: la Cassazione ha più volte annullato atti fiscali motivati in modo inadeguato) e vizi sostanziali (ad esempio la non applicabilità di una causa di decadenza non prevista dalla legge, come nel caso della “mancata proporzionalità” rigettata dai giudici di Bologna). Si ricordi che nel processo tributario non è ammessa la integrazione postuma della motivazione dell’atto: l’ente impositore non può “aggiustare il tiro” in giudizio rispetto a quanto contestato nell’atto originario. Questo principio tutela il contribuente e può essere sfruttato in giudizio per far annullare atti originariamente generici o contraddittori.
  • Le controversie su provvedimenti di revoca di incentivi pubblici possono rientrare in due diverse giurisdizioni, a seconda della natura dell’atto e del tipo di contributo: la linea di confine è definita da importanti sentenze sia del giudice amministrativo che della Cassazione a Sezioni Unite. In estrema sintesi, secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6/2014 e la Cass. SS.UU. n. 6/2014, è competente il giudice ordinario (sezione civile) quando si discute di contributi pubblici concessi sulla base di norme di legge e la contestazione verte sull’adempimento o inadempimento degli obblighi da parte del beneficiario, senza margini di discrezionalità amministrativa. In tal caso, infatti, dopo la concessione del finanziamento si forma un vero e proprio rapporto contrattuale di diritto privato tra PA e beneficiario, e la revoca per inadempimento assume la natura sostanziale di una risoluzione contrattuale e richiesta di restituzione di somme, questioni da trattare davanti al tribunale civile. Diversamente, quando l’agevolazione impugnata è frutto di un procedimento discrezionale, concorsuale o in generale pubblicistico (tipicamente, bandi in cui l’Amministrazione valuta progetti e attribuisce punteggi, o misure rientranti nel quadro di interventi di sviluppo economico con potestà autoritativa), le dispute attengono all’esercizio del potere amministrativo e appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo (TAR). In pratica, molti incentivi gestiti da Invitalia su leggi come il D.Lgs. 185/2000 (Autoimprenditorialità, Autoimpiego) o anche alcune misure PNRR rientrano nella sfera pubblicistica: in caso di revoca, il ricorso va al TAR del Lazio (spesso individuato per competenza centrale) entro 60 giorni. Al contrario, se si trattasse di crediti d’imposta automatizzati o contributi “a sportello” concessi per legge al ricorrere di requisiti oggettivi, la fase di recupero è configurabile come azione per indebito oggettivo e spetterebbe al giudice ordinario. La linea non è sempre nitida e proprio il TAR Lazio in una sentenza del 2020 ha esaminato un caso di revoca di contributo ex D.Lgs. 185/2000, concludendo però che la posizione del privato era di mero interesse legittimo (quindi giurisdizione del TAR) e dichiarando inammissibile il ricorso perché in realtà competente era il giudice ordinario, evidenziando la confusione della materia. In caso di dubbio sulla giurisdizione, è prudente talvolta proporre doppio ricorso (sia al TAR che al Tribunale civile) entro i rispettivi termini, per evitare di restare senza tutela; successivamente uno dei due giudici declinerà la competenza. In ogni caso, nel ricorso al TAR contro una revoca occorrerà dedurre motivi di legittimità dell’atto amministrativo: tipicamente, eccesso di potere (es. sproporzione della sanzione, difetto di istruttoria se la PA non ha valutato le giustificazioni presentate) e violazione di legge (es. violazione dell’art. 7 L.241/90 se mancata comunicazione di avvio, violazione delle norme del bando). Si potrà chiedere al TAR anche la sospensiva urgente, per bloccare gli effetti della revoca (soprattutto se sta per partire una riscossione). Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 688/2024, ha confermato che in materia di incentivi vincolati al possesso di requisiti, la revoca è un potere dovuto e vincolato quando mancano i presupposti originari: l’amministrazione non deve nemmeno motivare un interesse pubblico ulteriore, poiché prevale l’esigenza di ripristinare la legalità contributiva. Questo orientamento (spesso influenzato dalla normativa UE sugli aiuti di Stato) implica che difese basate sul legittimo affidamento del privato hanno scarso successo se l’agevolazione fu concessa senza titolo: il Consiglio di Stato ribadisce che l’affidamento non può consolidare un vantaggio privo di base legale. Ciò non toglie che in giudizio possano emergere spazi per attenuare le conseguenze (ad es. ottenere una revoca parziale anziché totale, in presenza di adempimenti parziali, magari valorizzando il comportamento collaborativo e la buona fede del beneficiario).
  • Le liti relative a provvedimenti camerali o ministeriali sullo status (diniego o cancellazione dall’elenco start-up innovative) spettano al TAR in quanto atti amministrativi di natura autoritativa. Ad esempio, se una Camera di Commercio cancella d’ufficio una società dalla sezione speciale per mancato deposito della dichiarazione di conferma requisiti, la società potrà impugnare tale cancellazione davanti al TAR competente (di solito TAR regionale, es. TAR Lombardia per Camera di Commercio di Milano) entro 60 giorni. I motivi di ricorso potrebbero essere, ad esempio, che in realtà i requisiti sussistevano e il provvedimento è eccessivo, oppure che non è stata data comunicazione di avvio del procedimento (violazione art.7 L.241/90). Va notato però che, considerato il carattere perlopiù vincolato di questi atti (se non depositi la dichiarazione sei automaticamente decaduto), le chance di successo sono ridotte se il fatto addebitato è incontestabile. Diverso sarebbe se la cancellazione fosse avvenuta per un’errata valutazione di merito (es. la Camera sostiene che l’oggetto sociale non è innovativo, ma la start-up ritiene di sì): allora si potrebbe evidenziare l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti.

Al di là del foro competente, vi sono considerazioni generali:

  • Tempestività: è essenziale rispettare i termini di impugnazione (60 giorni per TAR o atti tributari, 30 giorni per ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, 40 giorni per opposizione a cartella esattoriale se si contesta la legittimità della pretesa in sede civile, ecc.). Se si lascia decorrere il termine, l’atto diventa definitivo e incontestabile, precludendo la difesa.
  • Misure cautelari: in attesa della decisione di merito (che può richiedere mesi o anni), si possono chiedere misure cautelari per sospendere gli effetti dell’atto impugnato. Nel processo TAR, come detto, si chiede la sospensiva (che il TAR concede se ricorrono fumus boni iuris e periculum in mora, cioè se il ricorso appare fondato e se l’esecuzione immediata dell’atto provoca un danno grave difficilmente riparabile). Nel processo tributario c’è l’istanza di sospensione dell’atto impugnato (art. 47 D.Lgs. 546/92) da presentare alla CGT, ottenibile se l’esecuzione dell’atto provoca un danno grave; ciò è utile per congelare la riscossione delle somme in pendenza di giudizio. Anche il giudice ordinario può sospendere l’efficacia esecutiva di un decreto ingiuntivo su richiesta di chi lo oppone. Ottenere la sospensione dà respiro alla start-up (evitando ad esempio che debba pagare subito decine di migliaia di euro o subisca iscrizioni pregiudizievoli), ma richiede di dimostrare bene sia la fondatezza delle proprie ragioni, sia il danno (es. allegando bilanci che provino che pagare la cartella la porterebbe al fallimento).
  • Completezza dei motivi: nel ricorso vanno già indicati tutti i motivi conosciuti. Nel giudizio amministrativo, eventuali motivi sopravvenuti possono essere aggiunti con “motivi aggiunti”, ma nel processo tributario non è ammesso integrare successivamente (salvo il caso di estensione ad atti collegati notificati dopo). Quindi il lavoro preparatorio con il legale dev’essere accurato nel valutare tutte le possibili linee difensive (ad esempio, un vizio procedurale nell’atto + una diversa interpretazione della norma + l’illegittimità costituzionale se del caso).
  • Onere della prova: in alcuni ambiti il contribuente/beneficiario dovrà fornire prove. Nel tributario, ad esempio, se l’Agenzia nega un credito R&S ritenendolo inesistente, sarà utile produrre perizie, relazioni tecniche e documenti contabili per dimostrare la sussistenza delle attività di R&S conformi alla legge. Nel revocare contributi, l’amministrazione spesso basa la decisione su risultanze documentali (ad es. un sopralluogo che attesta che l’azienda era chiusa): spetterà alla start-up cercare di confutare tali risultanze con controprove (es. dimostrando che era operativa altrove, etc.). In giudizio, la PA dovrà depositare gli atti istruttori compiuti; il legale del ricorrente dovrà esaminarli per trovare eventuali falle (omissioni di valutazione, errori materiali, ecc.).

Riassumendo: difendersi efficacemente significa attivarsi subito, scegliere la sede giusta e impostare la strategia su solidi fondamenti giuridici. Fortunatamente, esistono diversi precedenti giurisprudenziali favorevoli ai beneficiari che possono essere invocati, come vedremo di seguito.

Orientamenti giurisprudenziali recenti

Nel corso degli anni, molti aspetti delle agevolazioni alle start-up innovative sono stati chiariti da pronunce di giudici tributari, amministrativi e civili. Elenchiamo alcune delle sentenze più rilevanti (aggiornate al 2024-2025) che fungono da riferimento:

  • Comm. Trib. Prov. Bologna, sez. III, sent. n. 569/2024: (vedi caso illustrato sopra) ha annullato un recupero dell’Agenzia Entrate riguardante la detrazione per investimenti in start-up, affermando due principi chiave: (1) le circolari amministrative non possono introdurre requisiti aggiuntivi non previsti dalla legge – nel caso di specie, la “proporzionalità” tra investimento e aumento di capitale sociale non era richiesta dalla norma agevolativa e quindi non può giustificare il diniego del bonus; (2) l’atto impositivo deve essere motivato ab origine in modo completo – l’ufficio non può colmare in giudizio eventuali carenze motivazionali. La sentenza richiama la Cassazione n. 25905/2017 e n. 27293/2024, ribadendo che le indicazioni contenute nelle circolari non possono supportare la revoca di un beneficio se manca un fondamento legislativo. Si tratta di una vittoria importante per i contribuenti, che consolida l’orientamento per cui le agevolazioni fiscali alle start-up non possono essere limitate da interpretazioni restrittive non scritte.
  • Consiglio di Stato, sez. V, sent. 22 gennaio 2024 n. 688: ha sancito che la Pubblica Amministrazione deve revocare gli incentivi concessi in assenza dei presupposti, trattandosi di potere vincolato. La vicenda riguardava contributi settoriali (PNRR in ambito energia) ma il principio è generale: qualora si accerti che fin dall’origine mancava un requisito per l’agevolazione, il provvedimento di concessione è illegittimo e va rimosso con efficacia ex tunc. Non occorre, in questi casi, motivare su un ulteriore interesse pubblico né ponderare l’affidamento del privato, poiché quest’ultimo non può vantare un diritto a conservare un beneficio privo di base legale. Questa sentenza rafforza l’indirizzo già espresso in passato (Cons. Stato, sez. VI, n. 6659/2018) per cui anche il beneficiario in buona fede deve restituire tutto se i soldi erano stati erogati “sine titulo”.
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, sent. 22 gennaio 2014 n. 6 e Cons. Stato Ad. Plenaria 29 gennaio 2014 n. 6: costituiscono i leading cases sul riparto di giurisdizione nelle controversie su contributi pubblici. Hanno stabilito il criterio sopra descritto: contenzioso davanti al giudice ordinario quando la controversia riguarda la fase di esecuzione di un rapporto obbligatorio instaurato per effetto di una norma di legge (contribuzione “ex lege”), mentre competenza del giudice amministrativo quando l’atto di concessione e revoca è espressione di potere discrezionale amministrativo. Queste pronunce vengono spesso richiamate per capire se adire il TAR o meno in casi di revoca. Ad esempio, il TAR Lazio 2020 n. 10529 le cita e, nel dubbio, finì per declinare la giurisdizione ordinaria considerando la posizione del privato come interesse legittimo e non diritto soggettivo.
  • TAR Lazio, sez. III, sent. 23 ottobre 2020 n. 10529: caso di revoca di un contributo a una start-up (misura “Autoimprenditorialità” ex D.Lgs. 185/2000) per cessazione anticipata dell’attività. Il TAR ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, ritenendo che – benché si trattasse di un provvedimento discrezionale – nella fase esecutiva la posizione del beneficiario fosse degradata a mero interesse di fatto, spettando la tutela al giudice ordinario. La pronuncia è interessante perché sottolinea come, in tale caso, l’impresa non avesse un diritto soggettivo alla conservazione del contributo (poiché aveva cessato l’attività, non soddisfacendo una condizione), e dunque la sua pretesa fosse al più di natura indennitaria. Questo approccio però non è pacifico ed è oggetto di dibattito.
  • Corte dei Conti, sez. giurisd. Lazio, sent. 3 agosto 2020 n. 329: interviene su un altro fronte: la responsabilità erariale. In questo caso, la revoca di agevolazioni Invitalia per inadempimenti ha portato la Procura contabile a chiedere il risarcimento del danno allo Stato. La Corte dei Conti ha affermato che, in presenza di revoca per inadempimenti contrattuali, gli amministratori della società beneficiaria possono rispondere del danno erariale se le somme pubbliche erogate non vengono recuperate. In pratica, se la start-up non restituisce quanto dovuto, i soci/amministratori potrebbero essere citati per danno all’erario. Inoltre, la sentenza conferma la legittimità della decadenza e illustra i criteri di quantificazione delle somme da recuperare. Ciò funge da monito: la revoca di contributi può avere strascichi anche sul piano contabile e personale (soprattutto in casi di frode).
  • Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 23 novembre 2018 n. 6659: già citata, ribadisce che il potere della PA di annullare o dichiarare la decadenza di un’agevolazione è squisitamente vincolato al riscontro dei presupposti di legge, e che l’interesse privato non prevale sull’obbligo di verifica. Anche qui si afferma che la buona fede del beneficiario non impedisce la revoca se mancano i requisiti (al più potrà rilevare per evitare sanzioni ulteriori, ma non per conservare il contributo indebito).
  • Giurisprudenza tributaria di legittimità recente: va segnalata la Cassazione n. 27293/2024, la quale – in linea con altri precedenti – ha ribadito che le circolari dell’Agenzia Entrate non vincolano i giudici né possono creare obblighi per i contribuenti in assenza di una norma primaria. Ciò significa, ad esempio, che se una circolare interpretasse restrittivamente la definizione di “prodotto innovativo” o imponesse obblighi non scritti (come richiedere un business plan “con exit” nel caso di investimenti agevolati, come nel contenzioso di Bologna), tale circolare non può essere fonte di decadenza dal beneficio. La Cassazione ha più volte annullato atti basati unicamente su istruzioni di prassi non previste da legge.
  • Giurisprudenza in tema di lavoro e previdenza: un cenno infine alla materia delle stock-option e work-for-equity. L’Agenzia Entrate con la risposta ad interpello n. 167/2023 ha confermato che se le opzioni/azioni sono assegnate ai dipendenti quando la società ha lo status di start-up innovativa (o PMI innovativa), il regime di esenzione fiscale previsto dall’art. 27 D.L. 179/2012 resta valido anche se la società successivamente perde lo status prima che le opzioni vengano esercitate. Ciò tutela i beneficiari: in sostanza, l’importante è che al momento dell’attribuzione del diritto la società fosse qualificata come innovativa; se poi al momento della effettiva assegnazione delle azioni (vesting/exercise) la società è diventata “ordinaria”, l’agevolazione fiscale non decade. Questo chiarimento è utile per difendersi in caso di contestazioni di INPS o Agenzia delle Entrate che pretendessero di tassare come reddito da lavoro le stock-option esercitate dopo la perdita dei requisiti.

Queste pronunce mostrano un quadro articolato: talora i giudici adottano un approccio rigoroso a tutela delle finanze pubbliche (revoca automatica se requisiti mancano), talora riconoscono importanti garanzie ai privati (diritto a una motivazione chiara, irrilevanza di meri orientamenti amministrativi, tutela del buon affidamento in casi particolari). Pertanto, ogni caso va valutato alla luce di tali principi, cercando i precedenti più calzanti.

Di seguito, per maggiore chiarezza, presentiamo una tabella che sintetizza alcune situazioni tipiche di revoca/contestazione e le relative possibilità di difesa, con indicazione di tempistiche, rischi e opportunità.

Tabelle riepilogative

Causa di contestazione/revocaDifesa tipica del beneficiarioTempistica (iter)Rischi in caso di esito sfavorevoleOpportunità di soluzione
Inadempimento finanziario (mancato pagamento di rate di un mutuo agevolato)– Effettuare il pagamento dovuto (anche tardivo) prima della decisione finale<br>– Nelle controdeduzioni, provare che il ritardo è dovuto a cause giustificabili (es. temporanea crisi di liquidità superata)– Avvio procedimento di revoca dopo ~3-6 mesi di morosità consecutiva <br>– Termine 10-15 gg per controdedurre dopo la comunicazione di avvio– Risoluzione immediata del mutuo agevolato<br>– Decadenza dal tasso zero: tutto il capitale residuo diviene esigibile subito, con interessi di mora<br>– Iscrizione a ruolo e cartella esattoriale se non si paga– Possibile transazione o accordo di ristrutturazione del debito con l’ente (rateazione del dovuto) <br>– In sede di contenzioso, chiedere eventualmente la conversione della revoca totale in una dilazione (se l’ente ha ecceduto nel non considerare l’adempimento sopravvenuto)
Cessazione attività / fallimento prima del periodo minimo richiesto– Dimostrare che la cessazione è dovuta a forza maggiore o eventi eccezionali, chiedendo una proroga o sospensione del progetto prima della revoca<br>– In caso di fallimento: interloquire col curatore fallimentare per trovare intese sul mantenimento del progetto se possibile– La revoca scatta spesso immediatamente alla notizia della chiusura (atto di decadenza d’ufficio)<br>– Segue il recupero somme via ruolo; nel fallimento, lo Stato diventa creditore insinuato– Restituzione integrale di tutti i contributi/fondi percepiti (il credito va in passivo fallimentare)<br>– Possibili responsabilità personali per gli amministratori in caso di dolo (azione per danno erariale, denuncia penale per truffa se appropriazione di fondi)– Nel fallimento: tentare accordi col curatore per proseguire il progetto in altra forma (es. cessione ramo d’azienda) così da mitigare la revoca<br>– Procedure di composizione della crisi/sovraindebitamento per ridurre il debito verso lo Stato (se persona fisica garante)
Uso improprio dei fondi (spese non ammissibili, rendicontazione falsa)– Contestare fermamente adducendo buona fede: dimostrare che eventuali irregolarità formali non erano volontarie né pregiudizievoli<br>– Fornire pezze giustificative alternative per provare che le somme sono state impiegate comunque nell’interesse del progetto<br>– Se vi sono accuse di frode (es. fatture false), collaborare restituendo volontariamente parte delle somme per mostrare ravvedimento– Invitalia effettua controlli documentali durante e dopo il progetto; se emergono anomalie, avvia l’iter di revoca con richiesta di chiarimenti<br>– Provvedimento finale di revoca entro pochi mesi dalla fine del controllo (3-6 mesi in media)– Revoca totale altamente probabile (violazione grave dei doveri) e segnalazione alla Procura competente<br>– Rischio penale: configurabile truffa aggravata ai danni dello Stato (art.640-bis c.p.) o malversazione (art.316-bis c.p.) se fondi pubblici distratti<br>– Danno erariale: la Corte dei Conti può agire contro amministratori per recuperare il maltolto– Transazione su importo: in sede di giudizio contabile o civile, talvolta si può concordare la restituzione parziale del danno erariale evitando il peggio (ad es. risparmiando sanzioni penali se si risarcisce)<br>– Patteggiamento in sede penale se le prove di frode sono schiaccianti, per contenere le pene
Variazioni societarie non autorizzate (cambi di compagine, perdita requisiti soggettivi durante vincolo)– Notificare appena possibile all’ente e chiedere autorizzazione ex post spiegando la necessità del cambiamento<br>– Argomentare che la variazione non incide sulla realizzazione del progetto (es. ingresso di un socio finanziatore utile, trasferimento sede comunque in area ammessa)– L’ente di solito rileva la variazione ai controlli periodici o su segnalazione; avvia comunicazione di contestazione entro 2-4 mesi dall’evento– Se la variazione viola esplicitamente i vincoli: revoca totale o parziale a seconda della gravità (es. trasferimento sede fuori regione ammessa = revoca totale contributo regionale)<br>– Perdita del beneficio fiscale per investitori se la società perde status start-up (a meno che si trasformi in PMI innovativa in continuità)– Regolarizzazione: se possibile invertire o correggere la variazione (es. riportare sede in Italia se era obbligo, oppure riqualificare l’operazione societaria in modo conforme) e presentare ciò in giudizio<br>– Evidenziare eventuali vizi procedurali: se l’ente non ha avvisato tempestivamente, violando il diritto di partecipazione, usarlo come motivo di ricorso (possibile annullamento per vizio di forma)
Ritardo significativo nell’esecuzione del piano di investimento– Chiedere proroga ufficiale non appena si prospetta il ritardo, allegando motivazioni (es. ritardi fornitori, emergenza sanitaria)<br>– Se la proroga non è stata chiesta in tempo, nelle controdeduzioni enfatizzare che il ritardo è stato dovuto a cause fuori dal controllo dell’azienda (es. lockdown) e che il piano è comunque in via di completamento– Spesso la revoca per ritardo avviene dopo la scadenza finale del progetto: l’ente verifica che non tutto è stato realizzato e avvia decadenza<br>– Termine per difendersi 10-15 gg come da prassi generale– Revoca parziale: di norma l’ente revoca la quota parte di investimento non realizzata (es. fatto 80% progetto: revoca 20% contributo non speso)<br>– Eventuale perdita di bonus correlati (es. niente saldo contributo)– Se il ritardo è contenuto e dovuto a motivi seri, in giudizio si può sostenere la sproporzione di una revoca troppo penalizzante, chiedendo semmai la concessione di un termine aggiuntivo (il giudice amministrativo a volte invita l’ente a riesaminare per concedere un’ulteriore proroga)<br>– Riclassificazione spese: provare a far considerare ammissibili spese fatte fuori tempo come se fossero entro termine, specie se il bando lo consente con autorizzazione postuma

(Legenda: gg = giorni; PA = Pubblica Amministrazione)

La tabella sopra – basata su casistiche comuni e fonti dottrinali – evidenzia come, per ogni tipo di contestazione, esistano possibili contromisure. Naturalmente ogni situazione ha specificità proprie: le “opportunità” indicate (transazioni, sanatorie, ecc.) dipendono dalla disponibilità dell’ente e dal quadro normativo del momento.

Nelle sezioni seguenti, attraverso un formato domande e risposte, affrontiamo alcuni quesiti pratici frequenti che start-up e consulenti si pongono quando si trovano in queste situazioni.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Ho ricevuto una comunicazione di avvio del procedimento di revoca da Invitalia. Cosa devo fare?
R: In genere viene dato un termine breve (10-15 giorni) per presentare controdeduzioni scritte. È fondamentale non ignorare la comunicazione: il silenzio verrebbe interpretato dall’Amministrazione come mancanza di difese, spianando la strada alla revoca definitiva. Bisogna dunque reagire tempestivamente preparando una memoria in cui: (a) si descrivono chiaramente i fatti, punto per punto, fornendo eventuali prove (ricevute, documenti) che smentiscano o spieghino le violazioni contestate (es.: se imputano il mancato acquisto di un macchinario, allegare il contratto d’ordine e spiegare che il fornitore ha ritardato la consegna per causa di forza maggiore); (b) si citano norme o clausole che giustificano la posizione dell’impresa (es.: far presente che il bando prevedeva la possibilità di chiedere proroga, proroga che purtroppo non è stata formalmente richiesta ma di cui sussistevano i presupposti); (c) si chiede espressamente di archiviare il procedimento o di riesaminare la posizione alla luce delle giustificazioni. Contestualmente, se il tempo lo consente, valutare di avviare un dialogo informale con i funzionari Invitalia competenti o tramite il proprio legale, per sondare la possibilità di una soluzione bonaria (ad esempio impegnarsi a pagare le rate scadute entro tot giorni, se il problema è quello). In sintesi: rispondere entro la scadenza, in modo documentato e assertivo, è il primo passo per provare a bloccare la revoca sul nascere.

D: In che modo vengono effettuate le notifiche e quali sono i termini principali da tenere a mente?
R: Il procedimento amministrativo di regola prevede: una comunicazione di avvio notificata all’interessato (di solito via PEC se la società ha un domicilio digitale, oppure raccomandata A/R). Da quando si riceve questa comunicazione, decorre il termine indicato (ad es. “entro 10 giorni dal ricevimento”) per presentare memorie. Dopo l’invio delle controdeduzioni, l’Amministrazione effettuerà le sue valutazioni; se decide per la revoca, emetterà il provvedimento finale di revoca/decadenza, che sarà anch’esso notificato con le forme previste (PEC o raccomandata). In allegato o con atto separato, viene normalmente inviata anche la lettera di richiesta somme, in cui l’ente quantifica l’importo da restituire e le modalità (ad esempio indicando che, non ottemperando entro 30 giorni, si procederà a iscrizione a ruolo). A questo punto scattano i termini per il ricorso: 60 giorni dalla notifica per il ricorso al TAR competente, se si tratta di un atto amministrativo; oppure 30 giorni per un ricorso al Ministero in via gerarchica (se previsto); oppure 60 giorni per un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria se l’atto ha natura fiscale. È importante distinguere: la comunicazione di avvio non è ancora l’atto finale, quindi non va impugnata al giudice (bensì va utilizzata per difendersi in via amministrativa); è il provvedimento finale di revoca o l’eventuale cartella esattoriale successiva che vanno impugnati nei termini di legge se si vuole contestarli in sede giurisdizionale. In ogni caso, fate attenzione alla PEC: se la PEC aziendale non viene monitorata, si rischia di far decorrere termini importanti senza saperlo (la notifica via PEC si intende perfezionata quando il messaggio arriva nella casella PEC, indipendentemente da quando viene letto).

D: Qual è il giudice a cui rivolgersi per impugnare una revoca?
R: Dipende dal tipo di incentivo. In linea di massima: per contributi o finanziamenti agevolati concessi con provvedimenti amministrativi (es. decreti ministeriali, determine Invitalia) si propende per il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), in particolare spesso il TAR Lazio (poiché molte di queste misure hanno rilievo nazionale con atti del Ministero dello Sviluppo Economico/MIMIT). Il ricorso va notificato all’ente emanante entro 60 giorni dalla notifica della revoca. Se però la controversia riguarda essenzialmente la richiesta di restituire somme in base a obblighi di legge (senza discrezionalità dell’ente) – scenario tipico di contributi automatici o di fasi post-concessione considerate “paritetiche” – allora potrebbe essere competente il giudice ordinario (Tribunale civile). Ad esempio, controversie sul mero pagamento di somme derivanti da un contratto di finanziamento potrebbero essere portate in sede civile (con atto di citazione ordinario o opposizione a decreto ingiuntivo entro 40 giorni se l’ente ha emesso ingiunzione). Infine, per questioni fiscali (tipo: l’Agenzia Entrate revoca un’agevolazione fiscale o chiede imposte non versate), la competenza è delle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie), con ricorso entro 60 giorni. In caso di dubbio sulla giurisdizione – ciò accade di frequente nelle revoche di contributi, per la sovrapposizione di profili pubblicistici e privatistici – è prudente consultarsi con un legale specializzato. Nella nostra guida abbiamo approfondito i criteri di riparto; ad ogni modo, un errore nella scelta del giudice può risultare fatale (ricorso nullo), quindi talvolta si devono intraprendere azioni parallele (TAR e giudice ordinario) per poi lasciare che uno dei due si dichiari incompetente, assicurando però che la domanda di giustizia venga esaminata da qualcuno.

D: È possibile presentare un ricorso gerarchico al Ministero prima di andare in tribunale?
R: Solo se è espressamente previsto. In alcuni bandi o normative, dopo la revoca da parte dell’ente gestore (es. Invitalia) viene concessa la facoltà di un ricorso amministrativo interno all’autorità vigilante (tipicamente il Ministero che ha emanato la misura). Ad esempio, alcuni decreti prevedono ricorso al Ministro entro 30 giorni. In assenza di una specifica previsione, non esiste un generico ricorso gerarchico: bisogna allora rivolgersi direttamente al giudice. Quando c’è, il ricorso gerarchico è facoltativo (non preclude di andare poi in TAR) ma può valere la pena tentarlo se si hanno nuove argomentazioni da far valere e si spera in un riesame più “politico” della questione. Nella pratica, come ammesso anche da esperienze passate, l’esito positivo di tali ricorsi è raro. Spesso il Ministero tende a confermare l’operato dell’ente gestore. Va detto però che presentare il ricorso gerarchico non sospende i termini per il TAR: quindi o si fa contestualmente (entro 60 gg fare ricorso al TAR e magari chiedere una sospensione in attesa dell’esito gerarchico) oppure si rischia di far decadere il diritto al TAR confidando in un esito amministrativo che poi non arriva. Dunque, cautela: il ricorso gerarchico può essere un passo in più, ma da solo raramente risolve il problema in via definitiva.

D: Cosa rischio personalmente, come amministratore, in caso di revoca di fondi pubblici?
R: Oltre al contraccolpo sull’azienda (che deve restituire i soldi, con possibili crisi di liquidità), l’amministratore o legale rappresentante può subire conseguenze su più fronti. In sede amministrativa stretta, la revoca in sé non commina sanzioni personali, ma pone a carico dell’azienda un debito. Se l’azienda non paga e la situazione degenera, potrebbero aprirsi due scenari: (1) in caso di irregolarità gravi o fraudolente, la questione può venire segnalata alla Procura della Repubblica – si pensi a contributi ottenuti con fatture false: qui entra in gioco il penale. I reati configurabili, se vengono accertati, vanno dalla truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis cod. pen.) alla malversazione (art. 316-bis cod. pen., uso distratto di fondi pubblici). Le pene possono includere reclusione e multa, e spesso l’amministratore è indagato in proprio. (2) In parallelo, può muoversi la Corte dei Conti: questa, se ravvisa che con la revoca c’è stato un danno erariale (cioè una perdita per le casse pubbliche non recuperata), può citare in giudizio gli amministratori per farsi rifondere il danno. Ad esempio, se una società fallisce senza restituire un contributo revocato da 200.000 €, la Corte dei Conti potrebbe accusare gli amministratori di aver causato un danno allo Stato di quell’importo e chiederne la condanna al pagamento (specie se vi è dolo o colpa grave nell’aver mal gestito i fondi). Va detto che la responsabilità erariale richiede un comportamento gravemente colposo o doloso: se l’amministratore può dimostrare di aver operato con la dovuta diligenza e che l’insuccesso del progetto non è dipeso da negligenza, potrà difendersi anche in sede contabile. In sintesi: il rischio per l’amministratore è che la vicenda non finisca con la revoca, ma prosegua con procedimenti personali. Di qui l’importanza di gestire con trasparenza e correttezza i fondi pubblici e di reagire con prontezza alle contestazioni, magari restituendo spontaneamente le somme non dovute per evitare di incorrere nel penale (la giurisprudenza, ad es., considera scriminante la restituzione integrale tempestiva ai fini della malversazione).

D: Qual è il ruolo di un legale in queste procedure? È davvero necessario coinvolgerne uno?
R: Coinvolgere un avvocato esperto in diritto amministrativo/tributario può fare la differenza, soprattutto nei casi complessi. Il legale può intervenire già nella fase delle controdeduzioni amministrative, aiutando a impostare le difese in modo giuridicamente fondato (citando le norme corrette, i precedenti, impostando la lettera nel modo più persuasivo). Inoltre, può individuare eventuali vizi di procedura compiuti dall’ente (ad es. mancato preavviso di revoca, motivazione inadeguata, errore nell’applicazione di una norma) che un non addetto ai lavori potrebbe non cogliere, e che in sede di ricorso possono portare all’annullamento dell’atto. Nella fase di trattativa, un avvocato può interfacciarsi con l’Amministrazione per cercare soluzioni transattive, forte anche di una posizione più “asettica” (talvolta l’ente è più propenso a concordare con un legale esterno che non con la parte direttamente coinvolta). Infine, se si va in giudizio (TAR, Corte Tributaria o Tribunale), l’assistenza tecnica di un avvocato è quasi sempre obbligatoria per legge (tranne che davanti al giudice di pace o per importi modesti in tributario, ma non è questo il caso). Un ricorso richiede formalità (notifiche, depositi) e competenze specialistiche. Visto che spesso ci si gioca decine o centinaia di migliaia di euro di benefici, affidarsi a un professionista è fortemente consigliato. Può sembrare un costo nell’immediato, ma un errore procedurale o una decadenza non impugnata costerà molto di più. L’avvocato può anche consigliare la strategia migliore (ad esempio, valutare se sia più efficace agire in sede civile per contestare un contratto, oppure fare un ricorso al TAR per vizi di legittimità). In sostanza, il legale funge sia da consulente preventivo (cerca di prevenire il contenzioso massimo) sia da difensore tecnico (una volta in causa), aumentando le possibilità di un esito favorevole.

D: Che differenze ci sono tra le controdeduzioni amministrative, il ricorso gerarchico e il ricorso al TAR (o altro giudice)?
R: Le controdeduzioni sono semplicemente delle memorie scritte presentate durante il procedimento amministrativo (quindi prima che l’atto finale sia adottato). Servono a convincere l’Amministrazione a non emettere l’atto sfavorevole. Non c’è formalmente bisogno di un avvocato, possono essere anche in forma di lettera purché ben argomentata. Il ricorso gerarchico, quando ammesso, è una forma di riesame interno dopo che l’atto finale è stato emanato: di solito si indirizza a un organo superiore (il Ministero) e chiede l’annullamento o la riforma dell’atto. È meno formale di un ricorso giurisdizionale, non richiede il ministero di un avvocato, e ha costi minori (di solito gratuità). Tuttavia, non sospende automaticamente l’efficacia dell’atto impugnato e, come detto, ha esiti incerti. Il ricorso al TAR (o al giudice competente) è invece un’azione giudiziaria vera e propria: va proposta con ministero di avvocato abilitato, rispettando formalità di notifica e deposito, e conduce a un processo davanti a giudici terzi e imparziali. È lo strumento più forte per far valere le proprie ragioni, perché il giudice può annullare l’atto amministrativo se lo ritiene illegittimo. Le differenze principali quindi: (i) tempi – le controdeduzioni vanno in giorni, il ricorso gerarchico in 30 gg di solito, il ricorso giurisdizionale 60 gg; (ii) soggetto decidente – controdeduzioni davanti alla stessa autorità procedente, ricorso gerarchico davanti all’autorità superiore politica, ricorso giudiziale davanti a un organo indipendente; (iii) effetti – le controdeduzioni possono evitare che nasca il problema; il ricorso gerarchico può ritardare la decisione definitiva; il ricorso al TAR può sospendere e annullare legalmente l’atto; (iv) costi – controdeduzioni e gerarchico a costo zero (se fatti senza legale), ricorso al TAR comporta contributo unificato e spese legali, ma offre maggiori garanzie. In pratica, l’ideale è esaurire le prime due fasi (amministrativa e gerarchica) se possibile, e poi non esitare ad andare dal giudice se non si è ottenuto soddisfazione.

D: Se un investitore ha beneficiato della detrazione al 30-50% investendo nella mia start-up e poi la start-up perde la qualifica o chiude entro 3 anni, l’investitore perde il bonus?
R: La norma originaria prevede che l’investimento debba essere mantenuto per almeno 3 anni affinché la detrazione/deduzione non decada. Ciò significa che se il socio vende la partecipazione prima di 3 anni, deve restituire il beneficio fiscale (in pratica, deve a posteriori versare le imposte risparmiate, con interessi). Ma che succede se la start-up fallisce o si scioglie prima dei 3 anni? In tal caso l’investitore non ha volontariamente ceduto, ma comunque perde la partecipazione. Fino a poco tempo fa, l’Agenzia delle Entrate tendeva a equiparare questa situazione a una cessione anticipata, quindi a chiedere il recupero del bonus. Ad esempio, in una risposta a interpello del 2023 (n. 390/2023) l’Agenzia aveva sostenuto la decadenza del beneficio anche in caso di vendita forzata (drag-along). Novità 2024-2025: il legislatore è intervenuto stabilendo che non si perde l’agevolazione se la cessione delle quote avviene per cause indipendenti dalla volontà dell’investitore. Ciò dovrebbe coprire anche l’ipotesi di liquidazione/fallimento della start-up: infatti è certamente un evento fuori dal controllo del singolo investitore di minoranza. Dunque, l’orientamento attuale è che se la start-up chiude entro i 3 anni non imputabilmente all’investitore, il bonus fiscale resta valido. Ovviamente l’onere di dimostrare che la cessazione non era frutto di un accordo elusivo grava sul contribuente (ma un fallimento dichiarato dal tribunale è di per sé evidenza). Quindi, in sede di eventuale contenzioso, l’investitore potrà opporre questa modifica normativa a proprio favore. Resta invece la decadenza se la partecipazione viene ceduta volontariamente prima dei 3 anni per ragioni diverse (es. l’investitore decide di monetizzare anticipatamente vendendo a terzi): in tal caso il recupero dell’agevolazione è legittimo e difficilmente evitabile, salvo reinvestire subito in un’altra start-up se ciò è consentito (in Italia non è prevista una “portabilità” del bonus tra investimenti differenti, a differenza di altri ordinamenti). Riassumendo: fallimento o chiusura involontaria non dovrebbero far perdere la detrazione (alla luce delle nuove disposizioni pro-contribuente), mentre la vendita volontaria prima del termine sì. In ogni caso, l’investitore farebbe bene a consultare il proprio commercialista in tali frangenti, per eventualmente fare comunicazione alla propria Agenzia competente e evitare sanzioni (nel dubbio, la prudenza consiglia di indicare nella dichiarazione dei redditi la perdita sopravvenuta del diritto, per poi eventualmente chiedere rimborso se la norma lo esclude).

D: La mia start-up è stata cancellata d’ufficio dal Registro delle start-up innovative perché non ho inviato per tempo la dichiarazione annuale di mantenimento requisiti. Posso rimediare in qualche modo?
R: Purtroppo la normativa (D.L. 179/2012, art. 25 co. 15) prevede espressamente che il mancato deposito della dichiarazione annuale entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio (che attesta la continuazione del possesso dei requisiti) è equiparato ad una perdita dei requisiti. Di conseguenza, la Camera di Commercio deve procedere alla cancellazione dalla sezione speciale. Questo avviene spesso con determina del Conservatore. In genere la Camera invia un sollecito prima, ma se è sfuggito e l’atto è già stato adottato, rimane la possibilità di fare ricorso al TAR entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di cancellazione. Nel ricorso si può provare a sostenere qualche profilo: ad esempio, se la dichiarazione non è stata presentata per un impedimento grave e la start-up in realtà aveva ancora tutti i requisiti, si potrebbe invocare il principio del legittimo affidamento e una interpretazione non formalistica (ci sono state in passato pressioni per consentire un lieve ritardo senza decadere, data la gravità della conseguenza). Oppure, verificare se la Camera ha rispettato il procedimento (avviso di avvio ecc.). Tuttavia, trattandosi di un automatismo di legge, le chance di successo non sono elevate, a meno che non vi sia stato un vizio procedurale (es.: la Camera ha cancellato senza neppure attendere i 30 giorni post-bilancio previsti). Una strada pratica, se la società possiede ancora i requisiti, è valutare la possibilità di iscriversi di nuovo come start-up innovativa: questo però è possibile solo se non sono trascorsi 60 mesi dalla costituzione (o dal termine prorogato secondo le nuove norme) e previa verifica col MISE/MIMIT. Talora le Camere di Commercio, di fronte a un ritardo modesto, suggeriscono semplicemente di reiscriversi ex novo con decorrenza dalla nuova domanda, anche se gli anni maturati precedentemente ovviamente contano ai fini del limite di durata. Quindi, se il danno principale è l’uscita anticipata dallo status, ci si può chiedere: conviene impugnare al TAR (tempi lunghi, esito incerto) oppure fare subito una nuova domanda di iscrizione se possibile? La risposta dipende dal caso concreto (ad esempio, se la start-up è al 4° anno e viene cancellata, non può reiscriversi perché ha superato 5 anni; in tal caso il TAR è l’unica via). In conclusione, è meglio prevenire: per chi legge, ricordatevi di presentare quella dichiarazione annuale, magari con l’aiuto di un commercialista, perché la decadenza per omissione è severa e difficile da ribaltare.

D: La banca ha escusso la garanzia del Fondo PMI sul mio finanziamento e ora mi è arrivata una richiesta di pagamento da MedioCredito Centrale. Posso oppormi?
R: Se la richiesta si presenta come una cartella esattoriale emessa da Agenzia Entrate-Riscossione su istanza di MCC (come spesso accade), hai 60 giorni per fare opposizione. Attenzione: le opposizioni a cartella possono essere di due tipi – “opposizione all’esecuzione” se contesti il diritto della controparte a esigere, oppure “opposizione agli atti esecutivi” se contesti vizi formali della cartella. Nel merito, la garanzia MCC funziona così: quando MCC paga la banca, si surroga nei suoi diritti, quindi il debito verso MCC è giuridicamente lo stesso debito che avevi verso la banca. Non c’è molta possibilità di contestare l’esistenza di quel debito (a meno che il finanziamento originario fosse viziato, ma allora andava contestato nei confronti della banca al momento opportuno). Le possibili linee di difesa potrebbero essere: verificare se la banca aveva rispettato tutte le condizioni per attivare la garanzia (ad esempio, se avesse fornito documenti falsi a MCC o se la garanzia fosse stata concessa per errore). In teoria, MCC può revocare la garanzia se scopre irregolarità nella fase di concessione (es. dati aziendali falsi): ma in tal caso, paradossalmente, MCC potrebbe rifiutarsi di pagare la banca, quindi la questione sarebbe tra banca e MCC, non con te (tu resteresti debitore verso la banca). Se invece MCC ha pagato e ti chiede i soldi, significa che la procedura è stata regolare e ora il debito è divenuto un debito verso lo Stato. Il consiglio pratico in questi casi è di cercare con l’assistenza di un legale di negoziare un piano di rientro con Agenzia Riscossione (rateazione fino a 6 anni o 10 anni in casi eccezionali) oppure, se l’importo è insostenibile, valutare procedure di sovraindebitamento/fallimento per gestire il debito in sede concorsuale. Opporsi in giudizio può far guadagnare tempo se ci sono contestazioni da sollevare (magari la cartella è stata notificata in modo errato, o contiene interessi non dovuti), ma difficilmente cancellerà l’obbligo di pagamento perché, ripeto, il debito originario c’è (hai ricevuto un prestito bancario non restituito). Comunque, l’opposizione va proposta al Tribunale civile ordinario (se si contesta la legittimità sostanziale del debito) entro 40 giorni. Soppesa costi/benefici: a volte è meglio impiegare le risorse per trattare una soluzione sostenibile che per una causa dall’esito incerto. Diverso sarebbe se la garanzia fosse stata revocata prima (come nei controlli documentali di cui sopra): se MCC revoca la garanzia per irregolarità documentali, in teoria la banca potrebbe chiederti di integrare le garanzie o rientrare. In tal caso, potresti impugnare la revoca della garanzia (che è un provvedimento amministrativo) al TAR, sostenendo che quell’irregolarità formale non giustifica la perdita del beneficio. Ma se sei già allo stadio della cartella, significa che la garanzia ha funzionato e ora devi concentrarti sul contenimento del danno finanziario.

D: La mia start-up ha superato i 3 anni di età e con la nuova legge non è più considerata “innovativa” a meno che ottenga l’estensione di status. Possiamo fare qualcosa per non perdere le agevolazioni?
R: Sì, questo è un punto caldo introdotto dalla riforma di fine 2024. Con la Legge Centemero (162/2024) e la Legge Concorrenza 2023 (193/2024) è stato rivoluzionato il regime temporale: ora la qualifica di start-up innovativa dura 3 anni, prorogabile al 5º anno se la società soddisfa almeno uno dei criteri aggiuntivi (25% di spese R&S, contratto con PA, +50% ricavi/occupati, aumento di capitale >50k con investitori qualificati, oppure ottenimento di un brevetto). Inoltre, ulteriori proroghe al 7º e 9º anno se altri obiettivi più sfidanti sono centrati (es. aumento di capitale >1mln da fondi, raddoppio dei ricavi). Se la tua start-up non riesce a rispettare almeno uno di questi requisiti di proroga entro la fine del 3º anno, decade automaticamente dallo status speciale. Questo comporta, come detto, perdita delle relative agevolazioni da quel punto in avanti. Un aspetto cruciale è salvaguardare la continuità degli incentivi per investitori: la legge consente un passaggio “indolore” a PMI innovativa (se ne avete i requisiti) proprio allo scopo di non farvi uscire dall’alveo delle agevolazioni e farvi mantenere l’accesso, ad esempio, alle detrazioni per nuovi investitori e ad altri bandi riservati. Quindi, una soluzione pratica se prevedete di non poter ottenere la proroga come start-up, è di preparare per tempo la documentazione e trasformarvi in PMI innovativa (status definito dal D.L. 3/2015, con criteri simili ma meno stringenti, e nessun limite di durata). Il passaggio può avvenire senza interruzione: basta depositare la domanda di iscrizione nella sezione PMI innovative immediatamente dopo la cancellazione da start-up, così che risultate sempre in una delle due categorie e i benefici (per es. la detrazione 30% per chi investe in PMI innovative) continuano applicabili. Anche i dipendenti con stock option restano coperti poiché PMI innovative hanno analogo regime agevolato. Insomma, il passaggio strategico a PMI innovativa è la via raccomandata per chi “matura” oltre i 3 anni ma vuole mantenere i vantaggi. Bisogna però avere requisiti di PMI innovativa (uno su tre: volume spese R&D 3% del maggior valore tra costo e valore prod., personale laureato 1/3 PhD o 2/3 master, oppure titolarità di brevetto o privativa) e non essere quotata. La procedura è semplice, tramite il portale startup.registroimprese. Dal punto di vista legale, se vi vedete recapitare una determina di cessazione status da parte della Camera di Commercio, potete certamente ricorrere come detto, ma conviene piuttosto concentrare gli sforzi per soddisfare i requisiti di proroga (se siete ancora nei 12 mesi transitori concessi dalla L. 193/2024 per adeguarvi) o per entrare nel regime PMI innovativa. In tal modo, i vostri investitori non avranno nulla da temere e continuerete ad essere appetibili. Diversamente, se perdete lo status senza transizione, dovrete comunicare agli investitori che dal tal anno non possono più detrarre eventuali nuovi apporti e che eventuali stock option future non saranno esenti: questo potrebbe essere un serio handicap per l’attrattività della vostra impresa.

Conclusione: La vita di una start-up innovativa è costellata di opportunità sotto forma di incentivi, ma anche di obblighi da rispettare scrupolosamente. Quando un’agevolazione viene contestata o revocata, è fondamentale mantenere la lucidità e attivare tutti gli strumenti di tutela offerti dall’ordinamento. Come abbiamo visto, le difese esistono – dalla sede amministrativa fino alle aule di giustizia – e possono spesso ribaltare esiti che altrimenti sembrerebbero scontati (si pensi ai casi di revoca annullata per vizi di forma, o ai bonus fiscali confermati in Commissione Tributaria nonostante il diniego iniziale). D’altro canto, la giurisprudenza insegna che quando il beneficio è realmente privo di fondamento, difficilmente si potrà evitare la restituzione: in quei frangenti, una condotta collaborativa e orientata al negoziato può limitare i danni (ad esempio ottenendo una rateazione, o evitando sanzioni penali). Agosto 2025 segna un’epoca di transizione normativa per le start-up: con regole di accesso più selettive e investitori più tutelati in certi aspetti, le imprese innovative dovranno prestare ancora maggior attenzione alla compliance. L’auspicio è che questa guida avanzata, con fonti autorevoli e casi pratici, costituisca un utile vademecum per affrontare al meglio eventuali contestazioni, ricordando sempre che un diritto ben compreso è un diritto meglio difeso.

Fonti e riferimenti selezionati: Normativa di settore (D.L. 179/2012 e succ. mod.; L. 162/2024; L. 193/2024; D.Lgs. 185/2000; L. 241/1990; norme tributarie correlate); Circolari Agenzia Entrate nn. 16/E 2014 e 19/E 2019 (startup innovative); Prassi Invitalia (Circolare Smart&Start, v. es. Circ. 30/2015 e ss.) e MCC (Circ. n. 6/2023); Giurisprudenza recente come Comm. Trib. Prov. Bologna n. 569/2024, Cons. Stato n. 688/2024, TAR Lazio n. 10529/2020, Cass. SS.UU. n. 6/2014, Cass. n. 27293/2024.

Hai beneficiato delle agevolazioni fiscali per start-up innovative e ti sei visto recapitare una contestazione dall’Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai beneficiato delle agevolazioni fiscali per start-up innovative e ti sei visto recapitare una contestazione dall’Agenzia delle Entrate?
Vuoi capire quali sono i rischi e come puoi difenderti in modo efficace per non perdere il beneficio?

Le agevolazioni per le start-up innovative – come le detrazioni e deduzioni per chi investe, le esenzioni da imposte, gli incentivi fiscali e contributivi – sono state introdotte per favorire la crescita delle nuove imprese tecnologiche. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può contestarne la spettanza se ritiene che manchino i requisiti richiesti dalla legge o che vi siano state irregolarità nella gestione societaria o fiscale.

👉 Una contestazione non significa automaticamente perdere il beneficio: esistono strumenti difensivi per dimostrare la correttezza della tua start-up.


⚖️ Motivi più frequenti di contestazione

  • Mancanza dei requisiti anagrafici o formali della start-up (età della società, iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese);
  • Assenza di attività realmente innovativa o di spese in ricerca e sviluppo;
  • Utilizzo irregolare dei fondi raccolti con agevolazioni;
  • Beneficiari non in regola (es. investitori non qualificati, mancata tracciabilità dei conferimenti);
  • Irregolarità fiscali o contributive che fanno venir meno i requisiti per accedere agli incentivi.

📌 Conseguenze di una contestazione

  • Recupero delle agevolazioni fruite, con pagamento delle imposte non versate;
  • Applicazione di sanzioni e interessi;
  • Rischio di indagini penali in caso di utilizzo fraudolento delle agevolazioni;
  • Perdita di credibilità verso investitori e partner commerciali.

🔍 Come difendersi

  1. Verifica la contestazione: individua con precisione quali requisiti o aspetti l’Agenzia delle Entrate ritiene mancanti.
  2. Raccogli la documentazione: statuto societario, iscrizione alla sezione speciale, bilanci, piani industriali, contratti di ricerca.
  3. Dimostra la natura innovativa del progetto con relazioni tecniche, brevetti, certificazioni o collaborazioni con enti di ricerca.
  4. Contesta le interpretazioni troppo restrittive: spesso l’Agenzia delle Entrate applica criteri non coerenti con la finalità della norma.
  5. Presenta memorie difensive e, se necessario, ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la contestazione fiscale e individua i punti deboli della pretesa;
  • 📌 Verifica i requisiti della tua start-up e predispone la documentazione necessaria;
  • ✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per tutelare le agevolazioni;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Valuta anche soluzioni alternative, come adesioni o definizioni agevolate, per ridurre sanzioni e interessi.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in agevolazioni fiscali per imprese e start-up innovative;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e incentivi all’innovazione;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le contestazioni sulle agevolazioni per start-up innovative non significano automaticamente la perdita degli incentivi: spesso si basano su formalismi o interpretazioni restrittive.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la natura innovativa del progetto, salvaguardare i benefici ottenuti e proteggere il futuro della tua impresa.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la difesa della tua start-up dalle contestazioni fiscali inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!