Hai ricevuto una comunicazione o un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta la compensazione di crediti fiscali non spettanti? Si tratta di una delle contestazioni più frequenti in materia tributaria, soprattutto dopo i controlli automatizzati sulle dichiarazioni e sulle compensazioni effettuate tramite modello F24. In questi casi, il Fisco può chiedere il recupero delle somme, applicare sanzioni molto pesanti e, nei casi più gravi, contestare anche reati tributari.
Quando scattano le contestazioni sulla compensazione
– Se hai utilizzato in compensazione un credito che non risultava dalle dichiarazioni fiscali
– Se il credito era stato già utilizzato in annualità precedenti
– Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che il credito fosse inesistente o non spettante
– Se hai utilizzato crediti d’imposta legati a bonus o agevolazioni fiscali (es. Superbonus, bonus ristrutturazioni, crediti ricerca e sviluppo) senza averne diritto
– Se hai compensato importi superiori a quelli effettivamente maturati
Cosa rischi in caso di contestazione
– Recupero immediato delle somme compensate ritenute non spettanti
– Sanzioni dal 30% al 200% dell’importo indebitamente compensato
– Addebito di interessi di mora che fanno crescere il debito fiscale
– Contestazione del reato di indebita compensazione se le somme superano determinate soglie (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000)
– Avvio di procedure esecutive come pignoramenti e ipoteche in caso di mancato pagamento
Come difendersi da una contestazione sulla compensazione
– Verificare la legittimità della contestazione e controllare la documentazione a supporto del credito utilizzato
– Dimostrare che il credito era effettivamente esistente e spettante al momento della compensazione
– Presentare documenti, dichiarazioni integrative e certificazioni che attestino la correttezza delle somme compensate
– Contestare errori materiali o formali nei calcoli dell’Agenzia delle Entrate
– Far valere la buona fede del contribuente, soprattutto quando l’errore deriva da interpretazioni normative incerte o contrastanti
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale delle pretese fiscali
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento della contestazione e il riconoscimento del credito utilizzato
– La riduzione significativa delle sanzioni applicate
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La possibilità di rateizzare il debito eventualmente dovuto
– La tutela del patrimonio personale e aziendale contro pignoramenti e sequestri
⚠️ Attenzione: le contestazioni sulla compensazione di crediti non spettanti sono spesso basate su controlli automatici. Molti errori possono essere corretti presentando la documentazione idonea o dimostrando la corretta spettanza del credito. Per questo motivo è fondamentale muoversi con tempestività e con l’assistenza di un avvocato esperto in contenzioso tributario.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati specializzati in difesa tributaria e fiscalità d’impresa – ti spiega come affrontare una contestazione legata alla compensazione di crediti non spettanti e quali strategie adottare per ridurre o annullare le pretese del Fisco.
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Introduzione
La compensazione di crediti d’imposta consiste nell’utilizzare somme a credito (ad esempio, eccedenze IVA, crediti da agevolazioni fiscali, ritenute subite in eccesso, ecc.) per pagare debiti tributari, riducendo o azzerando l’importo da versare. In Italia questa operazione avviene tipicamente tramite il modello F24, in base all’art. 17 del D.Lgs. 241/1997. Molti crediti d’imposta sono “a fruizione automatica”, cioè il contribuente li calcola e utilizza autonomamente senza una preventiva autorizzazione del Fisco. Questo sistema agile, pensato per favorire l’immediato utilizzo di incentivi fiscali, comporta però che eventuali errori o abusi emergano solo a posteriori, in sede di controllo. In altre parole, grava sul contribuente la responsabilità di rispettare i requisiti previsti dalla legge per la spettanza del credito.
Un credito d’imposta indebitamente utilizzato si verifica quando il contribuente compensa un credito a cui non ha diritto, in tutto o in parte. In tale ambito il nostro ordinamento opera una distinzione cruciale tra crediti “non spettanti” e crediti “inesistenti”, poiché la differenza influisce su termini di accertamento, sanzioni amministrative e persino profili penali. In generale, possiamo anticipare che:
- I crediti non spettanti sono quelli che formalmente esistono, ma la cui utilizzazione è indebita per violazione di modalità o limiti previsti dalla legge, oppure perché il contribuente non possedeva tutti i requisiti richiesti per beneficiarne in quella misura o momento. Spesso derivano da errori interpretativi, violazioni formali o utilizzi eccessivi/tardivi, senza intenti fraudolenti.
- I crediti inesistenti, invece, sono quelli che non avrebbero dovuto esistere affatto: manca in tutto o in parte il presupposto sostanziale previsto dalla norma, oppure il credito è stato creato artificiosamente o in frode (es. mediante false fatturazioni). In sostanza, si tratta di crediti fittizi o fraudolenti, o comunque privi di base reale.
Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esaminerà nel dettaglio la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti (dal punto di vista del contribuente “debitore” verso il Fisco) e fornirà strumenti di difesa. Analizzeremo la normativa italiana aggiornata, le più recenti sentenze della giurisprudenza (Corte di Cassazione, TAR, ecc.), includendo i risvolti in materia di IVA, IRAP e imposte dirette. Saranno illustrati anche esempi pratici, tabelle riepilogative, una sezione domande e risposte e le possibili strategie difensive sia preventive (ad es. ravvedimento operoso, istanza di autotutela) sia contenziose. Il taglio sarà tecnico-giuridico ma con un linguaggio il più possibile divulgativo, utile tanto ai professionisti (avvocati, commercialisti) quanto ai privati e imprenditori che si trovino a dover difendersi da una contestazione del Fisco per crediti d’imposta non spettanti.
Crediti d’imposta indebitamente utilizzati: contesto e definizioni
Prima di addentrarci nelle differenze tra “non spettante” e “inesistente”, inquadriamo brevemente il contesto. I crediti d’imposta sono somme riconosciute dall’ordinamento per vari scopi incentivanti o correttivi, che il contribuente può utilizzare per compensare debiti tributari. Esempi comuni includono: crediti IVA (derivanti da eccesso di IVA a credito rispetto all’IVA a debito), crediti da imposte dirette (es. eccedenze di versamento IRPEF/IRES, crediti per ritenute d’acconto versate in eccedenza), crediti da tributi locali o contributi previdenziali compensabili, e numerosi crediti agevolativi introdotti da leggi speciali. Tra questi ultimi rientrano, ad esempio:
- Credito d’imposta “Investimenti nel Mezzogiorno” (c.d. Bonus Sud), che spetta per l’acquisto di macchinari nuovi destinati a strutture produttive nel Sud Italia.
- Crediti d’imposta per Ricerca & Sviluppo (R&S), innovazione tecnologica e design, concessi alle imprese per stimolare progetti innovativi. Questi crediti R&S (specie quelli 2015-2019) hanno purtroppo registrato abusi significativi, con contestazioni del Fisco su costi non ammissibili e conseguenti atti di recupero.
- Crediti d’imposta “Formazione 4.0” o altri crediti per nuove assunzioni, investimenti in beni strumentali “Industria 4.0”, crediti per spese di sanificazione ai tempi del Covid, bonus energia per imprese colpite dal caro-energia, ecc.. Ognuno di questi crediti ha una disciplina specifica (requisiti da rispettare, documentazione da predisporre, limiti temporali e quantitativi).
Perché è importante questa panoramica? Perché gli “usi indebiti” di crediti d’imposta possono derivare dal mancato rispetto di qualcuno di questi requisiti specifici: ad esempio, l’aver utilizzato un credito oltre il termine previsto (es. oltre l’anno consentito), oltre il limite di importo stabilito, oppure senza aver eseguito un adempimento formale richiesto (come l’invio di una comunicazione, il possesso di una certificazione, un visto di conformità, ecc.). In altri casi più gravi, l’indebito utilizzo nasce da condotte fraudolente: si pensi ai bonus edilizi (ristrutturazioni, ecobonus, sismabonus e soprattutto Superbonus 110%) trasformati in crediti d’imposta cedibili. La gestione di massa di questi bonus ha purtroppo generato ampie frodi, con crediti fittizi creati da operazioni inesistenti (false fatturazioni per lavori mai eseguiti). Il legislatore è dovuto intervenire più volte per arginare tali abusi, introducendo vincoli come il visto di conformità obbligatorio e limiti alla cessione dei crediti. Chiunque abbia acquisito o compensato crediti edilizi poi risultati inesistenti, pur in buona fede, si trova destinatario di atti di recupero molto onerosi; la Cassazione penale ha chiarito che la buona fede del cessionario non convalida un credito inesistente e che tali crediti vanno espunti dal circuito fiscale anche a costo di colpire acquirenti ignari.
Alla luce di quanto sopra, risulta chiaro che il primo passo difensivo per il contribuente accusato di indebito utilizzo di un credito è capire di quale “tipologia” di violazione si tratti: errore formale/interpretativo (credito non spettante) o frode/mancanza sostanziale (credito inesistente). Questa qualificazione giuridica ha infatti conseguenze importantissime sul piano dei termini concessi al Fisco per recuperare il credito, delle sanzioni amministrative applicabili e persino dell’eventuale rilevanza penale della condotta. Nei capitoli seguenti definiremo con precisione le due categorie e vedremo come sono state ulteriormente chiarite da riforme normative recentissime (fine 2023 e 2024) e dalla giurisprudenza.
Differenza tra crediti non spettanti e crediti inesistenti
La distinzione tra credito non spettante e credito inesistente è stata a lungo dibattuta, ma oggi – grazie a interventi normativi del 2024 e alle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2023 – possiamo tracciarne i confini con buona certezza. In termini generali:
- Un credito d’imposta “non spettante” è un credito che esiste nella sua configurazione generale, ma che il contribuente ha utilizzato indebitamente violando le modalità di fruizione previste dalle norme vigenti. Rientrano in questa categoria i crediti fruiti oltre i limiti quantitativi o temporali stabiliti, oppure senza aver rispettato condizioni accessorie o adempimenti formali richiesti per legge. In altri termini, il credito c’è, ma il modo o il momento in cui è stato utilizzato non è consentito dalla legge.
- Un credito d’imposta “inesistente”, invece, è un credito che manca di un fondamento sostanziale reale: o perché difetta dei requisiti oggettivi/soggettivi previsti dalla legge per far sorgere il diritto al credito, oppure perché è stato creato artificiosamente tramite falsità o frode. In particolare, secondo le definizioni normative introdotte nel 2024, si considerano crediti inesistenti quelli privi, in tutto o in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi espressamente previsti dalle fonti normative applicabili, oppure ottenuti mediante mezzi fraudolenti (falsificazioni documentali, simulazioni od altri artifici). In breve, il credito non avrebbe mai dovuto esistere – ad esempio perché l’operazione economica sottostante non dà diritto ad alcuna agevolazione, oppure è del tutto fittizia.
Per fissare meglio la distinzione, di seguito riportiamo una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche tipiche delle due fattispecie:
Tabella – Confronto tra credito non spettante e credito inesistente
Aspetto | Credito non spettante | Credito inesistente |
---|---|---|
Definizione | Credito utilizzato in violazione delle modalità di utilizzo stabilite dalla legge, o oltre i limiti quantitativi consentiti; in alternativa, credito formalmente esistente ma fruito senza soddisfare tutte le condizioni o adempimenti richiesti (purché non essenziali ai fini costitutivi). In sostanza: il credito c’è, ma l’uso che se ne è fatto è indebito (perché oltre misura, fuori tempo, o carente di qualche requisito formale). | Credito privo, in tutto o in parte, del presupposto sostanziale previsto dalla norma di riferimento, oppure creato mediante artifici o frodi (documenti falsi, operazioni simulate, ecc.). In sostanza: il credito non avrebbe dovuto esistere, perché manca un elemento fondamentale richiesto dalla legge (ad es. l’operazione non rientra tra quelle agevolabili) o perché è stato fraudolentemente inventato. |
Esempi tipici | – Utilizzo di un credito oltre un tetto annuale previsto (la parte eccedente è non spettante).– Utilizzo di un credito oltre la finestra temporale consentita (tardivo).– Omesso adempimento formale obbligatorio (comunicazione, certificazione) non essenziale, poi sanato in ritardo – in tal caso, il credito in sé era spettante ma la violazione formale rende indebita la compensazione finché non sanata.– Credito spettante in teoria, ma utilizzato senza rispettare vincoli procedurali (es. compensato prima del periodo autorizzato). | – Credito su operazione non agevolabile: es. si utilizza un credito per spese che la legge non include tra quelle ammesse al beneficio (mancando così un requisito oggettivo fondamentale).– Credito calcolato su spese inesistenti o gonfiate con documenti falsi (es. fatture per operazioni mai avvenute).– Credito teoricamente previsto dalla norma ma annullato dalla mancanza di un requisito essenziale: es. credito investimenti concesso ma il bene agevolato non è mai stato realmente acquistato.– Bonus fittizio creato da zero: es. creazione di crediti da bonus edilizi su lavori mai eseguiti (una frode). |
Termine per il recupero (azione accertativa del Fisco) | Ordinario: 5 anni dal utilizzo (termine di decadenza “normale” per l’accertamento tributario). | Esteso: 8 anni dal utilizzo (termine lungo previsto per fattispecie elusive). Il termine lungo, originariamente introdotto dal DL 185/2008 conv. L.2/2009, è ora formalizzato nell’art. 38-bis del DPR 600/1973 introdotto dal D.Lgs. 13/2024. |
Sanzione amministrativa (omesso versamento) | Sanzione base 25% dell’importo indebitamente utilizzato. Nota: fino al 2023 era il 30%, ridotto al 25% dalla riforma del 2024. In caso di violazione meramente formale (credito sostanzialmente spettante ma usato in difetto di adempimenti strumentali poi sanati entro termini brevi), si applica una sanzione fissa di €250 invece del 25%. | Sanzione base 70% dell’importo utilizzato. Nota: era dal 100% al 200% ante-riforma, ora abbassata al 70% (aumentabile però nei casi di frode grave). In particolare, se il credito inesistente è frutto di frode documentale deliberata, la sanzione è aumentabile in un range dal 105% al 140% (questa forbice sostituisce il vecchio range 100%-200%). |
Facoltà di definizione agevolata (istituti deflattivi) | Sì: trattandosi di violazione tributaria “ordinaria”, il contribuente può accedere alle procedure di definizione agevolata delle sanzioni o della pretesa, ove previste: ad es. può pagare con acquiescenza (sanzioni ridotte ad 1/3) entro 60 giorni dall’atto, può attivare un accertamento con adesione per transigere con sanzioni ridotte, può ricorrere alla conciliazione giudiziale o ad eventuali sanatorie fiscali pro tempore. Inoltre è sempre ammesso il ravvedimento operoso finché non sia stato notificato un atto di accertamento o di recupero. | Novità 2024: anche per i crediti inesistenti è ora consentito accedere a definizioni agevolate e conciliazioni (in passato spesso escluse perché considerate violazioni “non definibili”). Ad esempio, in alcune recenti “pacificazioni” fiscali non si è più esclusa la definizione di liti su crediti inesistenti. Il ravvedimento operoso in teoria è ammesso anche qui (fintanto che non vi sia contestazione formale); in pratica, però, è raro che il contribuente riesca a ravvedersi su un credito inesistente, perché questi casi vengono scoperti di norma tramite controlli complessi o verifiche mirate, quando il ravvedimento non è più attivabile. |
Rischio penale (reato di indebita compensazione) | Solo se importo > €50.000 annui: l’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 punisce la mancata versazione di tributi mediante compensazione di crediti non spettanti oltre 50.000 € annui con la reclusione da 6 mesi a 2 anni. È prevista una causa di non punibilità se l’utilizzo indebito è dovuto a obiettiva incertezza sulla spettanza del credito, data la natura tecnica delle valutazioni da compiere. In pratica, se la materia era così complessa e dubbia da ingenerare in buona fede errore sul diritto al credito, il fatto non è punibile penalmente. | Se importo > €50.000 annui: il medesimo art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 punisce la compensazione di crediti inesistenti oltre soglia con la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni. Nota: per i crediti inesistenti non opera la causa di esenzione per incertezza normativa: la legge considera la condotta intrinsecamente fraudolenta, salvo prova contraria. Tuttavia, rileva sempre l’elemento soggettivo del reato: se il contribuente agiva senza dolo (in buona fede, convinto dell’esistenza del credito) potrebbe difendersi in sede penale sostenendo l’assenza di intenzionalità fraudolenta – anche se, nei casi di crediti del tutto fittizi, la sussistenza del dolo è normalmente evidente. In ogni caso, per i crediti inesistenti la legge non prevede esimenti specifiche: la buona fede del contribuente non “convalida” il credito inesistente ai fini penali (né amministrativi). |
Come si evince dalla tabella (e dalle fonti normative sottostanti), il regime sanzionatorio e procedurale è molto più severo per i crediti inesistenti, ritenuti condotte di maggior allarme fiscale. Il legislatore prevede invece conseguenze più indulgenti per i crediti non spettanti, spesso originati da errori formali o interpretativi senza volontà di evasione. La Corte di Cassazione – già prima della riforma – aveva sottolineato la diversa offensività delle due condotte: nel caso del credito inesistente manca del tutto un fondamento reale, mentre nel credito non spettante il credito ha base reale ma è stato opposto indebitamente. Coerentemente, le nuove norme del 2024 hanno recepito l’orientamento giurisprudenziale, codificando per legge la distinzione e modulando sanzioni e termini di conseguenza.
Evoluzione normativa recente (riforma 2023–2024)
La netta distinzione concettuale sopra descritta è frutto di una evoluzione normativa relativamente recente. In passato, la disciplina sui crediti indebitamente compensati era frammentaria:
- Nel 2008, per contrastare abusi sui crediti fittizi, il D.L. 185/2008 (conv. in L. 2/2009) introdusse un regime speciale: termine di accertamento esteso a 8 anni per i crediti “inesistenti” e una sanzione raddoppiata (100%–200%) rispetto al 30% ordinario. Queste norme sono state per anni applicate per distinguere i casi più gravi.
- Nel 2015, con la riforma delle sanzioni amministrative (D.Lgs. 158/2015), fu modificato l’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 introducendo espressamente due commi distinti: il comma 4 sanzionava il credito non spettante (30% di sanzione), mentre il comma 5 il credito inesistente (sanzione dal 100% al 200%). Si delineava così normativamente la differenza, sebbene la definizione dei confini non fosse dettagliata.
- Nel 2019, inasprendo la risposta penale all’utilizzo di crediti fittizi, si è introdotto nel D.Lgs. 74/2000 l’art. 10-quater sul reato di indebita compensazione di crediti non spettanti/inesistenti. La soglia di punibilità fu fissata in 50.000 € annui e – accanto alle pene detentive – fu inserita una causa di non punibilità per i soli crediti non spettanti in caso di obiettiva incertezza tecnico-giuridica. Di fatto, si riconosceva che alcuni crediti potrebbero essere contestati per divergenze interpretative sincere, escludendo la sanzione penale in tali circostanze.
La svolta decisiva è avvenuta nel 2023-2024. In attuazione della delega per la riforma fiscale, il legislatore ha emanato nuovi decreti che hanno razionalizzato e aggiornato l’intera materia:
- Il D.Lgs. 13/2024 ha inserito nell’ordinamento un articolo ad hoc – art. 38-bis del DPR 600/1973 – che disciplina organicamente il recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati. Questa norma ha uniformato i termini di decadenza (5 anni per crediti non spettanti, 8 anni per crediti inesistenti), richiamando le definizioni contenute nel D.Lgs. 74/2000. Inoltre, ha equiparato l’atto di recupero di un credito indebito ad un avviso di accertamento quanto a contenuto e effetti, chiarendo che anche per tali atti si applicano le garanzie procedurali del contribuente (es. il diritto al contraddittorio preventivo) e le facoltà deflattive come l’accertamento con adesione. In passato, vi era incertezza sull’applicabilità dello Statuto del Contribuente e dell’adesione agli atti di recupero; ora la legge lo prevede espressamente, obbligando l’Ufficio a invitare il contribuente al contraddittorio prima di emettere l’atto definitivo.
- Il D.Lgs. 87/2024 (anch’esso parte della riforma) ha modificato il D.Lgs. 74/2000 e il D.Lgs. 471/1997, codificando le definizioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” e rimodulando il sistema sanzionatorio dal 1° settembre 2024 in avanti. Come visto, la sanzione amministrativa base per i non spettanti è scesa dal 30% al 25%, mentre quella per gli inesistenti è scesa al 70% (con range 105–140% per le frodi documentali gravi). Contestualmente, è stata introdotta la sanzione fissa di €250 per i casi “formali” sanati tempestivamente, e sono state ribadite (nel diritto positivo) le definizioni concettuali già anticipate dalla giurisprudenza: ad esempio, è ora chiaro per legge che l’utilizzo del credito oltre un termine previsto configura un credito non spettante, non inesistente, in quanto il requisito temporale è considerato un elemento modalitario e non costitutivo del diritto.
Un aspetto importante è che il legislatore del 2024 ha fissato l’applicazione non retroattiva di queste nuove norme: formalmente, esse valgono per le violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024. Tuttavia, la giurisprudenza ha già intervenuto per chiarire la portata di tale limitazione temporale, come vedremo a breve.
Gli interventi interpretativi della Cassazione (2023–2024)
La distinzione non spettante/inesistente è stata oggetto di pronunce fondamentali della Corte di Cassazione tra la fine del 2023 e il 2024, che hanno consolidato i principi poi recepiti dal legislatore. In particolare:
- Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza 11 dicembre 2023 n. 34419 (ed una coeva n. 34452), hanno risolto precedenti contrasti giurisprudenziali. Hanno affermato che, in tema di compensazione di crediti d’imposta, si applica il termine lungo di 8 anni (art. 27 co.16 DL 185/2008) solo quando il credito è “inesistente”, definendo inesistente quel credito per cui ricorrano congiuntamente due condizioni: a) mancanza (totale o parziale) dei presupposti costitutivi previsti dalla legge, oppure credito artificiosamente rappresentato o già estinto al momento dell’utilizzo; b) l’inesistenza non sia riscontrabile tramite i controlli automatizzati o formali (artt. 36-bis, 36-ter DPR 600/1973 e 54-bis DPR 633/1972). Qualora, invece, la prima condizione sussista ma la seconda no – cioè se il credito indebito, pur mancando di un requisito sostanziale, era rilevabile dai controlli automatizzati delle dichiarazioni – allora la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari (5 anni) e non quelli estesi. In altre parole, le Sezioni Unite hanno dato rilevanza al criterio della “riconoscibilità” del credito indebito: se era intercettabile tramite i normali controlli delle dichiarazioni (perché, ad esempio, dichiarato nel quadro di un modello fiscale e semplicemente eccedente limiti o norme), non si è in presenza di un credito occulto o completamente fittizio, bensì di un credito non spettante (meno grave).
- (Implicazioni sanzionatorie): coerentemente, la Cassazione SU 34419/2023 ha stabilito che ai crediti “inesistenti” così definiti si applica la sanzione aggravata (art. 27 co.18 DL 185/2008, poi art. 13 co.5 D.Lgs. 471/1997), mentre ai crediti “non spettanti” si applicano le sanzioni ordinarie (art. 13 co.1 D.Lgs. 471/1997, ovvero – dopo il 2015 – l’art. 13 co.4 modificato). Anche qui, dunque, il discrimine è stato ricondotto alla doppia condizione sopra detta.
- Successivamente, la Sezione Tributaria della Cassazione ha emanato l’ordinanza 17 settembre 2024 n. 25018, molto rilevante perché ha preso atto delle intervenute definizioni normative del 2024 valutandone la portata nel tempo. In tale pronuncia, la Cassazione ha confermato la propria precedente interpretazione sostanziale (richiamando le condizioni cumulative per l’inesistenza: mancanza del presupposto e non riscontrabilità con controlli automatizzati). Ma soprattutto, ha affermato che le nuove definizioni legislative di credito non spettante e inesistente hanno natura di interpretazione autentica della disciplina preesistente, quindi applicabile anche alle violazioni commesse prima della loro entrata in vigore. Ciò significa che, secondo la Suprema Corte, il legislatore del 2024 non ha fatto altro che esplicitare criteri già impliciti e delineati dalla giurisprudenza (in primis dalle SU 2023), con la conseguenza che tali criteri vanno utilizzati anche per fatti anteriori. Questa posizione elimina gran parte delle incertezze temporali sulle definizioni, consentendo ai contribuenti con vecchie contestazioni in corso di giovarsi delle nuove categorie più favorevoli in sede di giudizio.
- Attenzione: la Cassazione ha però distinto il piano delle definizioni da quello delle sanzioni. La natura interpretativa vale per qualificare i crediti come non spettanti/inesistenti anche retroattivamente, ma non significa automaticamente che le nuove misure sanzionatorie ridotte (25% e 70%) si applichino a fatti passati. Formalmente, per violazioni pregresse restano le sanzioni vigenti al tempo (30% e 100-200%), salvo che trovi applicazione il generale principio del favor rei in materia sanzionatoria amministrativa. Il favor rei comporta l’applicazione della sanzione più favorevole se, prima che il procedimento sanzionatorio si concluda, interviene una legge più mite. Su quest’ultimo aspetto si attendono pronunce chiarificatrici, ma è plausibile che, in sede contenziosa, molti contribuenti invocheranno l’applicazione retroattiva delle nuove soglie del 25% e 70%, trattandosi di sanzioni di natura amministrativa (per le quali la giurisprudenza tende ad ammettere il favor rei analogamente a quanto avviene in ambito penale). Ad esempio, un credito indebitamente utilizzato nel 2022 potrebbe oggi essere definito “non spettante” alla luce delle nuove categorie (se soddisfa i nuovi criteri), mantenendo però la sanzione del 30% vigente all’epoca; tuttavia, poiché ora la sanzione per quel caso sarebbe 25%, il contribuente potrebbe chiedere che gli venga applicata quest’ultima in virtù del favor rei.
In sintesi, la tendenza attuale è verso un allineamento tra legge e giurisprudenza: le Sezioni Unite 2023 hanno chiarito i criteri, il legislatore 2024 li ha recepiti, e la Cassazione nel 2024 ha confermato che tali criteri valgono a regime anche per il passato (sul piano qualificatorio). Ne deriva che in ogni contenzioso su crediti d’imposta indebiti, oggi è imprescindibile inquadrare correttamente la violazione come non spettante o inesistente, poiché da ciò discendono argomentazioni difensive diverse. Di questo ci occuperemo nei prossimi capitoli, passando dal piano normativo a quello pratico-procedurale e delle strategie di difesa del contribuente.
Procedura di contestazione da parte del Fisco
Vediamo ora come il Fisco contesta l’utilizzo indebito di un credito d’imposta e quali sono gli atti tipicamente emessi, distinguendo tra controlli automatizzati e accertamenti sul campo, nonché tra credito non spettante e credito inesistente.
- Controlli automatizzati e formali: molti casi di crediti non spettanti emergono già in sede di controlli ex art. 36-bis DPR 600/1973 (per imposte sui redditi e IRAP) o 54-bis DPR 633/1972 (per IVA). Questi controlli incrociano i dati dichiarativi del contribuente con quelli in possesso dell’amministrazione. Ad esempio, possono rilevare immediatamente un credito utilizzato oltre il tetto normativo (es. utilizzo in F24 di un importo eccedente il limite annuale di compensazione, attualmente 2 milioni di euro per anno per i crediti da dichiarazione), oppure un credito compensato senza inviare una dichiarazione dov’è obbligatorio esporlo, o altri errori obiettivi. In tali casi, l’Agenzia delle Entrate può inviare al contribuente una comunicazione di irregolarità (il c.d. avviso bonario) segnalando l’indebita compensazione rilevata automaticamente. Il contribuente ha 30 giorni per fornire chiarimenti o pagare le somme dovute con sanzioni ridotte (10%). Se non risponde o le giustificazioni non sono accolte, segue la iscrizione a ruolo e la notifica di una cartella di pagamento con la sanzione piena (30% nel caso di credito non spettante). Tuttavia, con l’entrata in vigore dell’art. 38-bis DPR 600/73 nel 2024, pare delinearsi la tendenza a emettere comunque un formale atto di recupero specifico anche in questi casi, per uniformità procedurale. L’atto di recupero, come detto, è sostanzialmente un avviso di accertamento “monotematico” sul credito indebito, che include l’importo del credito da restituire, gli interessi e la sanzione.
- Verifiche e accertamenti “sul campo”: i casi più complessi – tipicamente quelli di crediti inesistenti o di crediti non spettanti non rilevabili automaticamente – emergono da attività istruttorie approfondite: controlli formali documentali (ex art. 36-ter DPR 600/73), verifiche fiscali presso il contribuente, scambi di informazioni e banche dati. Ad esempio, i crediti R&S richiedono analisi della documentazione di progetto e dei costi: l’Ufficio potrebbe avviare una verifica mirata o richiedere informazioni dettagliate. Al termine di queste attività, se riscontra un indebito utilizzo di credito, l’Agenzia emetterà un Processo Verbale di Constatazione (PVC) e poi un avviso di accertamento o atto di recupero. In passato vi era dibattito se usare l’“avviso di accertamento” ordinario (ex DPR 600/73 per maggiori imposte) o un separato “atto di recupero” per crediti indebitamente compensati. La nuova normativa art. 38-bis chiarisce che l’atto di recupero è lo strumento appropriato per queste fattispecie, equiparato all’accertamento. Esso deve contenere motivazioni dettagliate sulla qualificazione del credito come non spettante/inesistente e sugli elementi di fatto (es. perché i costi non erano ammessi al credito, oppure quali prove attestano la falsità di operazioni). Importante: dal 2024 l’Ufficio è tenuto ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale prima di emanare l’atto di recupero. Ciò significa che deve comunicare al contribuente le risultanze del controllo (di solito consegnando il PVC o una lettera di contestazione) e invitare a comparire per discutere i rilievi. Il contribuente potrà presentare memorie e documenti difensivi. Solo dopo questo passaggio (in mancanza di un esito favorevole per il contribuente) verrà notificato l’atto di recupero definitivo.
- Contenuto dell’atto e somme richieste: sia l’avviso di accertamento che l’atto di recupero conterranno l’ingiunzione a restituire il credito indebitamente utilizzato, generalmente sotto forma di imposta non versata. In pratica, se ad esempio nel 2020 si è compensato indebitamente un credito di €50.000, l’atto richiederà quel medesimo importo come imposta evasa. Su tale somma si applicano gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo (calcolati, di regola, dal giorno in cui il tributo sarebbe stato dovuto – tipicamente la data di utilizzo in compensazione – fino alla data di emissione del ruolo). Inoltre viene irrogata la sanzione amministrativa: come visto, 25% del credito se non spettante, 70% (o più) se inesistente, salve eventuali riduzioni o aumenti in circostanze particolari. Se il contribuente è una società di persone o una società di capitali a ristretta base, l’atto può colpire anche i soci o i coobbligati, a seconda del tipo di tributo. Nel caso di crediti da bonus edilizi ceduti, l’atto di recupero viene emesso nei confronti dell’utilizzatore finale del credito (cessionario) per il recupero dell’indebito, anche se la frode fu compiuta a monte dal cedente: il cessionario però potrà eventualmente rivalersi civilmente contro chi gli ha venduto il credito fittizio.
- Notifica e termini: l’atto deve essere notificato (di solito tramite PEC o raccomandata) al contribuente entro i termini di decadenza discussi. Per i crediti non spettanti, il termine è il 31 dicembre del quinto anno successivo all’anno di utilizzo in compensazione. Ad esempio, per un indebito utilizzo avvenuto nel corso del 2020, il termine ordinario scade al 31/12/2025. Per i crediti inesistenti, il termine è esteso al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo, dunque nel medesimo esempio al 31/12/2028. Attenzione: se il credito veniva fruito in più anni (es. a rate), ogni anno di utilizzo ha il suo termine proprio. Eventuali atti interruttivi (come un PVC qualificabile come atto portante sospensione) possono incidere, ma in generale i termini sono perentori. Se l’Agenzia notifica l’atto dopo la scadenza, il contribuente potrà far valere in giudizio la decadenza dell’azione accertativa, che estingue la pretesa.
- Concomitanti profili penali: qualora l’indebito utilizzo superi le soglie di legge (50.000 € annui per tipo di credito), l’Agenzia delle Entrate trasmette una segnalazione alla Procura della Repubblica per la valutazione del reato di indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000). La Procura potrebbe avviare indagini penali parallele. In genere, se il caso riguarda crediti non spettanti, la situazione penale è meno grave (fattispecie contravvenzionale punita max 2 anni) e spesso, quando il contribuente regolarizza spontaneamente la posizione pagando il dovuto prima di essere scoperto, si evita l’azione penale perché viene meno l’omissione di versamento. Se invece riguarda crediti inesistenti di importo elevato, vi è il rischio di indagine per reati più seri (puniti fino a 6 anni). In qualunque caso, la definizione positiva del procedimento tributario (ad esempio con pagamento integrale e magari riconoscimento di buona fede) può essere d’aiuto anche in sede penale, pur non garantendo automaticamente l’archiviazione.
In conclusione, l’arrivo di un atto di contestazione di crediti non spettanti/inesistenti è un momento delicato: occorre analizzare subito il contenuto per verificare cosa contesta esattamente l’Ufficio (quale requisito mancante, quale norma violata, ecc.), inquadrare la violazione nella giusta categoria, e preparare le contromosse entro i ristretti termini di legge.
Strategie difensive: come reagire e come difendersi
Dal punto di vista del contribuente (debitore di imposte indebitamente compensate), le strategie difensive possono articolarsi su due piani temporali:
- Pre-contenzioso: iniziative che il contribuente può intraprendere prima che la contestazione diventi definitiva o sfoci in una causa tributaria. Qui rientrano sia azioni preventive (come il ravvedimento operoso spontaneo) sia difese in fase amministrativa (istanze di autotutela, procedure di adesione, ecc.).
- Contenzioso tributario: le difese da mettere in campo durante il ricorso dinanzi alle Commissioni/ Corti di Giustizia Tributaria, qualora si arrivi al giudizio.
Vediamole in dettaglio.
Fase pre-contenziosa: prevenzione e rimedi prima del ricorso
1) Ravvedimento operoso: è la prima via da considerare se il contribuente si accorge dell’errore prima di essere scoperto. Ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 472/1997, il ravvedimento consente di sanare spontaneamente la violazione versando il dovuto con una sanzione ridotta in proporzione alla tempestività. In pratica, bisogna restituire l’importo del credito indebito (cioè versare l’imposta non pagata) più gli interessi legali maturati, e pagare una sanzione ridotta. Le riduzioni sono:
- Ravvedimento entro 30 giorni dalla violazione: sanzione ridotta a 1/10 del minimo (nel caso di credito non spettante, 1/10 di 30%, quindi 3%; per credito inesistente, 1/10 del 100% minimo, dunque 10%).
- Entro 90 giorni: 1/9 del minimo (≈3,33% per non spettante).
- Entro 1 anno: 1/8 del minimo (3,75% non spettante) oppure, secondo altre interpretazioni, direttamente 1/8 di 30% = 3,75% – in realtà, la norma fissa frazioni specifiche, per brevità indichiamo gli ordini di grandezza.
- Oltre 1 anno ma entro termine di accertamento: 1/5 del minimo (ossia 6% per il non spettante, 20% per inesistente considerando il vecchio 100%).
Da notare che il nuovo minimo 25% per non spettante introdotto nel 2024 potrebbe, pro rata, ridurre ulteriormente queste percentuali per i ravvedimenti effettuati dopo l’entrata in vigore. In ogni caso, un ravvedimento entro l’anno dall’uso indebito comporta circa la metà della sanzione ordinaria. Se il ravvedimento avviene più tardi (oltre l’anno ma sempre prima di qualunque contestazione formale), la sanzione è 1/5 del minimo come detto.
Il ravvedimento è ammesso solo finché il contribuente non abbia “notizia” di verifiche o contestazioni già avviate sul punto. In particolare, è precluso se sono iniziati accessi, ispezioni o verifiche fiscali sul contribuente, o se sono state già notificate contestazioni formali relative a quel credito (che siano avvisi bonari, PVC o atti di accertamento). Dunque è essenziale agire rapidamente appena ci si rende conto dell’errore. Ad esempio, se un’azienda nel 2023 ha compensato 100.000 € di credito non spettante e se ne accorge da sola nel 2024, può ravvedersi versando i 100.000 € più interessi e, supponiamo entro un anno, il 15% di sanzione (metà del 30%). Così evita sia la pesante sanzione piena che possibili conseguenze penali, in quanto viene meno il presupposto del “non versato” oltre soglia (nessun omesso versamento sussiste più dopo il pagamento).
Nota: esistono stati anche casi particolari di ravvedimento incentivato dal legislatore:
- Per il credito R&S 2015-2019, ad esempio, il DL 157/2021 ha previsto una procedura di riversamento spontaneo (una sorta di ravvedimento speciale) che consentiva di restituire il credito senza sanzioni entro una certa data. Tale finestra è stata prorogata più volte, da ultimo al 31 ottobre 2023 (con possibilità di rateazione in 3 anni). Imprese che si erano rese conto di aver forse utilizzato crediti R&S non spettanti potevano così “sanare” con il solo capitale.
- La Legge di Bilancio 2023 ha introdotto un ravvedimento speciale per irregolarità dichiarative fino all’anno d’imposta 2021, con sanzioni ridotte a 1/18 del minimo. Alcuni contribuenti ne hanno approfittato per regolarizzare crediti d’imposta non spettanti indicati in dichiarazione, pagando una sanzione ridottissima (circa 1,67%) oltre all’imposta.
Queste norme eccezionali non sono più in vigore a luglio 2025, ma mostrano come il legislatore, in determinati frangenti, abbia incentivato il ravvedimento di massa su crediti d’imposta (soprattutto R&S) per chiudere dispute. Attualmente, salvo nuove proroghe o nuovi condoni, resta applicabile il ravvedimento operoso ordinario ex art.13 D.Lgs.472/97.
2) Istanza di autotutela: se il contribuente ritiene errata la contestazione del Fisco, ad esempio perché il credito era in realtà spettante, oppure perché è stato qualificato scorrettamente (magari come inesistente mentre è solo non spettante), può presentare all’Ufficio una istanza in autotutela. L’autotutela è lo strumento con cui l’Amministrazione finanziaria può annullare o rettificare i propri atti di iniziativa propria o su richiesta, quando si ravvisino errori oppure quando il contribuente fornisce elementi nuovi decisivi. Nell’istanza andranno esposte le ragioni per cui l’atto è illegittimo (ad es. errata interpretazione della norma agevolativa, errore di calcolo, documenti non considerati). Occorre allegare le prove a sostegno (documenti, pareri, sentenze rilevanti). L’autotutela non sospende né interrompe i termini di pagamento o di ricorso, quindi va utilizzata con cautela: il contribuente dovrebbe comunque predisporre il ricorso per la Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni (per non perdere il diritto), a meno che l’Ufficio non comunichi tempestivamente l’annullamento dell’atto. In pratica, l’autotutela è utile nei casi di errore evidente o facilmente dimostrabile. Ad esempio, se l’atto contesta un credito come non spettante perché manca un certo documento, e il contribuente invece prova di averlo presentato nei termini (magari c’è stato un disguido burocratico), l’Ufficio potrebbe – in autotutela – riconoscere il credito e annullare la sanzione. Oppure, se interviene una circolare o un Atto di indirizzo del MEF (vedi oltre) che chiarisce la spettanza del credito in casi dubbi, il contribuente può richiamarlo per chiedere il riesame. L’autotutela è spesso un tentativo che vale la pena fare, anche se l’amministrazione non è obbligata ad accogliere l’istanza. In caso di diniego (espresso o tacito), resterà comunque la strada del ricorso.
3) Accertamento con adesione: una volta notificato l’atto (avviso di accertamento o atto di recupero), il contribuente ha 60 giorni per impugnarlo. In tale termine, può però scegliere di presentare una istanza di adesione all’Ufficio (ai sensi del D.Lgs. 218/1997). L’istanza sospende i termini di impugnazione per 90 giorni e apre una fase di confronto con l’ente impositore. Questa strada è utile quando il contribuente riconosce in parte la contestazione, ma vorrebbe ottenere uno sconto su sanzioni o una riduzione del quantum. Ad esempio, se l’Agenzia qualifica tutto il credito come non spettante ma il contribuente ritiene di poter giustificare almeno una parte di esso, oppure se l’Ufficio ha applicato la sanzione massima per frode ma si può argomentare l’assenza di dolo pieno, ecc. Durante l’adesione, il contribuente può far valere le proprie ragioni, portare documenti integrativi e proporre un accordo transattivo: in genere l’accordo comporta il pagamento integrale dell’imposta e interessi, ma con sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo di legge (o 1/6 se c’è acquiescenza successiva). Nel caso di crediti d’imposta, spesso l’aspetto più controverso è proprio la qualificazione: il contribuente potrebbe puntare a ottenere dall’ufficio il riconoscimento che trattasi di credito non spettante (25% di sanzione) invece che inesistente (70%). Se l’Ufficio concorda su una diversa qualificazione, l’adesione può chiudersi su tali basi con grande beneficio. Da notare che, come detto, la nuova normativa art. 38-bis DPR 600/73 ha confermato che l’accertamento con adesione è esperibile anche sugli atti di recupero di crediti d’imposta (prima alcuni uffici negavano tale possibilità).
4) Reclamo e mediazione tributaria: se l’importo in contestazione (somma di imposta, interessi, sanzioni) non supera €50.000, il ricorso introduttivo in Commissione tributaria costituisce automaticamente anche un reclamo con proposta di mediazione. Questo istituto, obbligatorio per le liti minori, prevede che un ufficio diverso da quello che ha emesso l’atto riesamini la controversia e possa formulare al contribuente un’offerta di mediazione entro 90 giorni. Tipicamente, l’offerta mira a chiudere la lite riconoscendo in parte le ragioni del contribuente e riducendo le sanzioni (fino al 35% del minimo, secondo la normativa sulla mediazione). Se l’accordo viene raggiunto, la controversia si chiude col pagamento concordato. Se dopo 90 giorni non c’è intesa, il procedimento prosegue davanti al giudice. Nel contesto di crediti non spettanti, la mediazione può essere utile per ottenere dall’ufficio una riduzione delle sanzioni in cambio del pagamento del credito, specie quando ci sono margini di dubbio sulla classificazione o sulla buona fede. È comunque una chance di risolvere rapidamente la questione senza attendere i tempi (e i costi) di un giudizio.
5) Acquiescenza e definizioni agevolate: se il contribuente ritiene corretta la contestazione (o comunque non conveniente impugnarla), può optare per il pagamento tramite acquiescenza all’atto. Pagando entro 60 giorni dalla notifica, ha diritto alla riduzione delle sanzioni ad 1/3 di quelle irrogate (D.Lgs. 218/1997). Nel nostro caso, se l’atto contesta un credito non spettante con sanzione 25%, pagare in acquiescenza riduce la sanzione a circa 8,33%. Se invece contestava 70% per inesistente, si ridurrebbe a ~23,3%. L’acquiescenza conviene se si valuta di non avere chance di vittoria o se l’ufficio ha già applicato la sanzione minima e non sono possibili margini di miglioramento in giudizio. Inoltre, periodicamente il legislatore offre definizioni agevolate delle liti pendenti (ad esempio pagando solo il 90%, 40%, 15% del tributo a seconda del grado di giudizio vinto/perduto). Nel 2023 c’è stata una definizione agevolata per le cause tributarie in Cassazione e una per quelle pendenti in primo/secondo grado. Queste opportunità, se aperte, vanno valutate. Alcune sanatorie pregresse escludevano però i crediti inesistenti (considerati materia non “condonabile”), ma la tendenza recente è di includerli per chiudere comunque i contenziosi.
Riassumendo le mosse pre-contenziose: ravvedersi subito se possibile, altrimenti valutare adesione o mediazione per ridurre il danno, oppure pagare con sconto se la battaglia è persa. Sempre, comunque, studiare l’atto per individuare errori da far valere in ogni sede.
Difesa nel contenzioso tributario
Se si arriva al ricorso innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria), il contribuente deve impostare una difesa tecnica e documentale solida. Le linee di difesa principali, dal punto di vista del debitore, sono:
A) Contestare la qualificazione del credito operata dall’Ufficio: come più volte sottolineato, è spesso interesse del contribuente sostenere che il credito, seppur indebitamente utilizzato, non fosse inesistente ma solo non spettante. Ciò comporta sia la decadenza quinquennale (se il recupero è arrivato tardi) sia sanzioni minori. Nel ricorso si argomenterà quindi che “il credito contestato aveva in realtà base giuridica e fattuale, ma l’uso ne è stato eventualmente improprio”. Ad esempio, nel caso di un credito investimenti utilizzato oltre il termine, si evidenzierà che i beni sono stati effettivamente acquistati e che l’istanza originaria per il bonus era stata approvata, per cui l’agevolazione esisteva; il mancato rispetto del termine di utilizzo è un aspetto modale, che al più rende tardiva la fruizione (non spettante) ma non inesistente il credito. Si citeranno le pronunce di Cassazione (es. ord. 25018/2024) che confermano questa impostazione. Allo stesso modo, per un credito R&S contestato perché talune spese non erano ammissibili, si potrà sostenere che il credito era stato indicato in dichiarazione e originava da attività aziendali reali, sebbene forse non qualificabili come ricerca avanzata: manca la frode, c’è semmai un errore tecnico, quindi credito non spettante. Talvolta la giurisprudenza di merito ha sposato questa linea, specie se il contribuente aveva correttamente esposto il credito in dichiarazione (segno di trasparenza). Anche se la nuova legge non richiama più espressamente il criterio della “riscontrabilità nei controlli automatici”, un avvocato abile potrà ancora invocare la logica della buona fede e della mancanza di dolo legata alla dichiarazione palese del credito, per chiedere al giudice l’applicazione del regime più mite. In sintesi, derubricare la violazione da inesistenza a non spettanza è spesso la chiave di volta difensiva.
B) Eccepire la decadenza dell’azione accertativa: se l’atto è stato notificato oltre il quinto anno successivo all’utilizzo e si riesce a qualificare il credito come non spettante, allora il recupero è tardivo e va annullato. Ad esempio, se un credito fu usato nel 2016 e l’atto è arrivato nel 2023 (7 anni dopo), il Fisco potrà sostenere che era inesistente (8 anni di termine), ma il contribuente cercherà di dimostrare che era al più non spettante (5 anni) e dunque decaduto. In causa, la decadenza è un’eccezione in senso lato che il giudice può rilevare anche d’ufficio, ma è bene sottolinearla nel ricorso. Se invece il credito è effettivamente inesistente, il termine lungo di 8 anni si applica e l’atto è tempestivo (a meno che non siano passati più di 8 anni). Attenzione: in alcuni casi, per utilizzi antecedenti a certe riforme, i termini potevano differire leggermente, ma ad oggi con art. 38-bis DPR 600/73 abbiamo certezza dei 5 e 8 anni uniformi.
C) Verificare vizi formali dell’atto: come in ogni accertamento tributario, si possono controllare possibili errori procedurali: ad esempio, la motivazione dell’atto è carente o contraddittoria (non spiega quali norme sono violate o come è calcolato l’indebito); oppure l’Ufficio non ha rispettato il contraddittorio endoprocedimentale (che oggi è obbligatorio per gli atti di recupero, salvo casi di particolari urgenze o comportamenti ostruzionistici del contribuente). La giurisprudenza richiede in genere un concreto pregiudizio difensivo per annullare un atto solo per difetto di contraddittorio, ma è un punto sollevabile. Altri possibili vizi: notifiche errate, errata intestazione dell’atto, mancanza di firme autorizzate, ecc. Questi aspetti tecnici esulano dallo specifico “credito non spettante” ma fanno parte dell’arsenale difensivo di qualsiasi avvocato tributarista.
D) Documentare la sussistenza del credito (quando possibile): se il contribuente è convinto che il credito fosse in realtà spettante, dovrà provare documentalmente la propria tesi. Ad esempio, se viene contestato che certi costi non erano agevolabili, bisognerà fornire perizie, pareri tecnici, documenti che mostrino come quei costi rientrino invece nell’agevolazione secondo la normativa. Se contestano un requisito soggettivo (es. impresa non qualificabile PMI innovativa, ecc.), si porteranno visure, certificati, che smentiscono l’ufficio. L’onere della prova in questi casi è condiviso: l’Amministrazione deve provare che il credito non spettava (e in genere lo fa allegando i propri rilievi e la normativa violata), mentre il contribuente deve controprovare i fatti costitutivi del diritto al credito. Per questo è utile, già prima del processo, raccogliere tutta la documentazione a supporto (contratti, fatture, relazioni di esperti, ecc.). In caso di questioni complesse (es. “questa attività è vera R&S?”), è possibile chiedere al giudice di disporre consulenza tecnica o esibizione di documenti presso terzi, se pertinenti.
E) Far valere le novità normative e di prassi sopravvenute: durante la pendenza del contenzioso, può succedere – come è avvenuto nel 2025 – che vi siano interventi ministeriali o giurisprudenziali di rilievo. Ad esempio, il MEF – Atto di indirizzo 1° luglio 2025 ha chiarito alcuni aspetti a favore dei contribuenti: ha precisato che non possono fondare una contestazione di inesistenza quei requisiti tecnici che non siano espressamente previsti da fonti normative primarie o secondarie formalmente richiamate. In concreto, il MEF ha escluso “ogni valenza precettiva autonoma” di manuali o linee guida tecniche non recepiti in legge. Ciò è rilevante specialmente per i crediti Ricerca & Sviluppo 2015-19: l’Agenzia spesso basava le contestazioni sul famoso “Manuale di Frascati” OCSE (una guida tecnica per definire R&S). Il MEF ora dice: se per quegli anni il Manuale non era richiamato da nessuna norma (e non lo era, il richiamo esplicito è arrivato solo dal 2020), non si può dire che un’attività non è R&S solo perché non rispetta criteri del Manuale non previsti in legge. Questo indirizzo rafforza la difesa dei contribuenti: un progetto R&S privo di “novità assoluta” (concetto del Manuale) non è un credito fittizio, al massimo è un credito non spettante se la spesa non rientrava nei requisiti normativi. Altro intervento: la sentenza TAR Lazio 29 luglio 2025 ha riconosciuto efficacia alla certificazione tecnica rilasciata ex art. 23 DL 73/2022 per i crediti R&S. Tale certificazione (rilasciata da enti accreditati su richiesta dell’impresa prima di eventuali controlli) attesta la qualificabilità di un progetto come R&S: secondo il TAR, essa vincola l’Amministrazione se ottenuta prima del PVC, costituendo un valido scudo difensivo. Pertanto, il contribuente in giudizio potrà opporre la propria certificazione favorevole come prova che il credito era spettante, chiedendo l’annullamento dell’atto. Questi esempi mostrano come sia importante, nella difesa in contenzioso, aggiornarsi costantemente su circolari, note ministeriali, pronunce di garanti o giudici che possano essere invocate a sostegno. Nel nostro caso, normative e prassi del 2024-2025 sono armi in più per l’avvocato del contribuente.
F) Richiedere la disapplicazione delle sanzioni per esimente di buona fede: nel diritto tributario amministrativo non esiste un generale esonero da sanzione per buona fede, ma la giurisprudenza ammette talora la non applicazione di sanzioni (o l’applicazione del minimo) in caso di obiettiva incertezza normativa o di comportamento concludente dell’amministrazione che ha tratto in errore. Se il contribuente dimostra di aver agito nella convinzione dell’esistenza del credito per via di una norma poco chiara o di istruzioni fuorvianti, il giudice potrebbe accogliere la tesi della non punibilità. Ad esempio, se per un certo bonus vi erano circolari contraddittorie, l’errore potrebbe essere scusabile. Nel caso di cessionari in buona fede di crediti edilizi inesistenti, si è tentato di far leva sulla loro diligenza (es. controlli documentali effettuati) per chiedere quantomeno la non applicazione delle sanzioni amministrative. Purtroppo, come già accennato, la legge non prevede espressamente l’esimente di buona fede qui, quindi è un esito per nulla scontato. Tuttavia, nulla vieta di provare a sensibilizzare la Corte sul punto, magari invocando principi di proporzionalità della sanzione rispetto alla colpa del contribuente. In alcuni casi, la Cassazione ha escluso la sanzione del 100% ritenendo che la condotta non fosse fraudolenta (es. CTR Emilia-Romagna 2019 cit. prima).
G) Sospensione dell’atto e tutela in caso di importi elevati: va ricordato che la presentazione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Dato che gli avvisi di accertamento/recupero sono immediatamente esecutivi decorsi 60 giorni, il contribuente – se non ha pagato in acquiescenza – potrebbe ricevere intimazioni di pagamento dall’Agente della Riscossione anche durante il processo. Per evitare esecuzioni forzate (fermi, ipoteche, pignoramenti), è possibile presentare istanza di sospensione dell’atto sia all’ente impositore (in via amministrativa) sia, soprattutto, al giudice tributario in sede di ricorso. Il giudice, con provvedimento d’urgenza, può sospendere la riscossione se ritiene che il ricorrente subirebbe un danno grave e che il ricorso non sia palesemente infondato. In materie tecniche come i crediti d’imposta, spesso i giudici concedono la sospensione almeno parziale, specialmente quando la somma contestata è molto alta e il contribuente mostra che c’è questione controversa (es. se esibisce già la certificazione di cui sopra, o cita la Cassazione interpretativa, etc.). È quindi una mossa importante da fare entro la prima udienza.
In definitiva, la difesa in giudizio dovrà essere calibrata caso per caso combinando i punti di cui sopra. Prioritario sarà focalizzarsi sulla natura del credito e su come smontare l’eventuale accusa di frode o inesistenza, portando il giudice a inquadrare la vicenda come un’irregolarità minore (credito non spettante). Ciò, oltre a ridurre sanzioni e termini, potrà anche riflettersi positivamente sul giudizio penale (se pendente): una sentenza tributaria che riconosce trattarsi di violazione “non fraudolenta” perché il contribuente poteva ragionevolmente ritenere di avere diritto, sarà un elemento molto utile per la difesa penale, potendo escludere il dolo. Anche viceversa, l’esito penale (ad esempio un’archiviazione per mancanza di dolo o una sentenza di assoluzione) può essere speso nel contenzioso tributario per sostenere la buona fede.
Domande frequenti (FAQ)
- Domanda: Cosa si intende esattamente per “credito d’imposta non spettante”?
Risposta: Si intende un credito d’imposta di cui il contribuente ha fruito indebitamente, pur essendo un credito previsto dall’ordinamento. In pratica, il contribuente lo ha utilizzato in modo non conforme alle regole: ad esempio oltre i limiti quantitativi o temporali consentiti, oppure senza averne pienamente diritto in base alle condizioni di legge (mancava qualche requisito o formalità). Il credito dunque esisteva come previsione di legge, ma non spettava a quel contribuente in quella misura o momento a causa di un’irregolarità. - Domanda: In cosa differisce un credito “inesistente”?
Risposta: Un credito si definisce “inesistente” quando non ha alcun fondamento reale secondo la legge. Ciò accade se manca del tutto il presupposto sostanziale (es. l’operazione effettuata non rientra tra quelle agevolabili) oppure se il credito è stato creato fittiziamente tramite frode (documenti falsi, operazioni simulate). In sostanza, il credito non sarebbe mai dovuto esistere – diversamente dal non spettante, che invece esisteva ma è stato usato in modo indebito. - Domanda: Perché è così importante la distinzione tra non spettante e inesistente?
Risposta: Perché da essa dipendono conseguenze molto diverse. Un credito non spettante comporta sanzioni amministrative più basse (oggi 25% del credito), un termine di accertamento ordinario di 5 anni e, in ambito penale, la violazione diventa reato solo oltre 50.000 € con pena massima 2 anni. Un credito inesistente invece porta sanzioni molto più elevate (70% base, fino a 140% se c’è frode grave), l’azione di recupero è possibile fino a 8 anni, e il reato scatta sempre oltre 50.000 € ma con pene fino a 6 anni. Inoltre per i non spettanti c’è una causa di non punibilità penale se la situazione era incerta, per gli inesistenti no. Quindi, qualificare correttamente la fattispecie può significare la differenza tra una violazione amministrativa sanabile e un’accusa di frode fiscale. - Domanda: Ho ricevuto un atto che recupera un credito usato 6 anni fa – è valido?
Risposta: Dipende da come è qualificato il credito e dal termine di legge applicabile. Se il Fisco considera il credito inesistente, ha 8 anni di tempo e quindi un atto dopo 6 anni è tempestivo. Se però il credito in realtà era solo non spettante, il termine sarebbe di 5 anni e dopo 6 anni l’azione è decaduta. In sede di ricorso, si può eccepire la decadenza argomentando che il credito era non spettante e non inesistente, chiedendo quindi l’annullamento dell’atto per tardività. - Domanda: Posso regolarizzare spontaneamente un credito non spettante prima che lo scopra il Fisco?
Risposta: Sì, attraverso il ravvedimento operoso. Finché non hai ricevuto controlli o contestazioni formali, puoi presentare un F24 a integrazione versando l’importo del credito usato indebitamente, gli interessi e una sanzione ridotta (la percentuale va dal 3% circa al 6% circa del credito a seconda di quanto sei rapido). Così eviti l’irrogazione della sanzione piena (25%) e se sistemi tutto prima che scatti il reato (sopra 50.000 € e prima di un accertamento) eviti anche conseguenze penali. Ad esempio, se ti accorgi di un errore pochi mesi dopo, paghi una sanzione simbolica (3% o simili). Il ravvedimento non è ammesso se hai già ricevuto un PVC o un avviso bonario relativo a quel credito, quindi va fatto tempestivamente. - Domanda: Cosa succede se ho comprato un credito (es. bonus edilizio) che poi è risultato inesistente?
Risposta: L’Agenzia delle Entrate recupererà l’importo del credito da te che lo hai utilizzato in compensazione, con relativa sanzione (oggi 70% del credito) e interessi. Purtroppo, la legge prevede che anche il cessionario in buona fede risponda oggettivamente. Potrai cercare di difenderti mostrando di aver agito con la dovuta diligenza (controlli documentali, ecc.) per evitare sanzioni penali – in tal caso, se manca il dolo, non dovresti subire condanne penali. Tuttavia, la sanzione amministrativa normalmente rimane, perché l’ordinamento tributario non contempla un’esimente generale di buona fede per il cessionario inconsapevole. Potrai semmai rivalerti in sede civile contro chi ti ha venduto il credito falso. Questa situazione ha spinto alcuni giudici a chiedere un intervento normativo di maggior tutela per gli acquirenti incolpevoli, ma ad oggi bisogna far applicare le regole vigenti. - Domanda: Ho un accertamento per credito R&S contestato perché l’Ufficio dice che il progetto non era ricerca “ammissibile”. Posso difendermi?
Risposta: Sì, la difesa tipica è sostenere che, anche se magari alcune spese non erano strettamente innovazione secondo criteri tecnici, il credito era stato calcolato in buona fede seguendo la legge e indicato in dichiarazione. Quindi, al più, è un credito non spettante (perché l’interpretazione del concetto di R&S era diversa), ma non inesistente o fraudolento. Puoi far leva sul fatto che il Manuale di Frascati non era vincolante per quegli anni (come confermato dall’atto di indirizzo MEF 2025), quindi non si può dire “inesistente” solo perché il progetto non era “innovazione radicale”. Inoltre, se hai richiesto la certificazione art. 23 DL 73/2022 e questa attesta che le tue attività erano R&S, tale certificato è un forte elemento a tuo favore, persino vincolante per l’ufficio secondo il TAR. Dunque, in giudizio puoi chiedere di riclassificare la violazione come non spettante (sanzione minore, termine 5 anni) e magari ottenere l’annullamento della sanzione per incertezza normativa. Molto dipenderà dalle perizie tecniche: valuta anche di produrre una relazione di un esperto indipendente che confermi la natura innovativa (seppur magari non di frontiera) delle tue attività, per convincere il giudice che l’errore era scusabile. - Domanda: Quali fonti dovrei consultare per approfondire questi aspetti in autonomia?
Risposta: Ti consigliamo di esaminare:- La normativa primaria: art. 13 D.Lgs. 471/1997 (sanzioni tributarie, come modificato nel 2024) e art. 38-bis DPR 600/1973 (recupero crediti d’imposta, introdotto nel 2024). Anche l’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 (reato di indebita compensazione) per i profili penali.
- Le circolari dell’Agenzia delle Entrate, es. la n. 31/E del 2020 sui crediti R&S (spiega la prassi dell’ufficio, anche se oggi in parte superata), e documenti di prassi successivi.
- Le sentenze di Cassazione recenti: Cass. Sez. Unite nn. 34419 e 34452/2023, Cass. ord. 25018/2024, nonché eventuali pronunce di merito (CTR) favorevoli (citate nella guida).
- Approfondimenti autorevoli: ad esempio articoli su riviste fiscali (il portale FiscoOggi dell’Agenzia spesso pubblica commenti a sentenze), e l’atto di indirizzo MEF 1/7/2025 che chiarisce la distinzione (lo trovi riassunto in fonti come FiscoeTasse).
Fonti
- Corte di Cassazione a Sezioni Unite – sentenza 11/12/2023 n. 34419.
(Principi di diritto: criteri cumulativi per definire un credito “inesistente” – mancanza del presupposto e non riscontrabilità da controlli automatici – e conseguenze in termini di termini accertativi e sanzioni.) - Corte di Cassazione, Sez. Trib. – ordinanza 17/09/2024 n. 25018.
(Conferma natura interpretativa delle nuove definizioni di credito non spettante/inesistente introdotte nel 2024, applicabili anche a periodi pregressi; ribadita distinzione inesistenza vs non spettanza in linea con SU 2023.) - Atto di Indirizzo MEF 1° luglio 2025.
(Chiarimenti ministeriali: i criteri tecnici non espressamente richiamati da norme (es. Manuale di Frascati per R&S ante 2020) non possono fondare contestazioni di “inesistenza” del credito. Implicazioni favorevoli per contribuenti in buona fede.) - D.Lgs. 13/2024 (Attuazione delega fiscale) – art. 5, comma 1 e 2.
(Inserimento art. 38-bis nel DPR 600/1973: disciplina unitaria del recupero crediti d’imposta, termini 5/8 anni, adesione e contraddittorio obbligatorio.) - D.Lgs. 87/2024 – Modifiche al D.Lgs. 74/2000 art. 1 e D.Lgs. 471/1997 art. 13.
(Definizioni normative di “crediti inesistenti” (lettera g-quater) e “crediti non spettanti” (lettera g-quinquies) nell’art.1 D.Lgs.74/2000; nuove sanzioni 25%, 70%, 105-140%, sanzione fissa €250 per violazioni formali.) - Circolare Agenzia Entrate 31/E del 2020.
(Paragrafo sui crediti Ricerca & Sviluppo non spettanti vs inesistenti: posizione dell’Ade – poi superata – secondo cui spese non ammissibili rendono il credito “inesistente” anche se indicato in dichiarazione.) - Commissione Tributaria Reg. Emilia-Romagna – sent. 774/2019.
(Esempio di giurisprudenza di merito pre-riforma: credito R&S indicato in dichiarazione considerato non spettante (sanz. 30%) anziché inesistente, per assenza di intento fraudolento.)
Hai ricevuto un avviso di accertamento o un atto di recupero perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta la compensazione di crediti non spettanti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento o un atto di recupero perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta la compensazione di crediti non spettanti?
Ti stai chiedendo quali sono i rischi e come puoi difenderti in modo efficace?
La compensazione dei crediti è uno strumento previsto dall’ordinamento per ridurre le imposte dovute utilizzando crediti d’imposta (IVA, IRPEF, IRES, contributi, bonus fiscali). Tuttavia, se il Fisco ritiene che il credito utilizzato non fosse spettante o addirittura inesistente, scatta la contestazione.
👉 In questi casi le conseguenze possono essere molto gravi, ma il contribuente ha diritto a tutelarsi, soprattutto quando il credito era legittimo o frutto di interpretazioni controverse della normativa.
⚖️ Differenza tra crediti non spettanti e crediti inesistenti
- Crediti non spettanti: il credito esiste ma non poteva essere utilizzato in compensazione (perché non maturato, prescritto, utilizzato oltre i limiti normativi).
- Crediti inesistenti: il credito non esiste affatto o è stato creato artificiosamente (ad esempio con documentazione falsa).
👉 La distinzione è cruciale: per i crediti inesistenti le sanzioni sono molto più pesanti e può esserci anche rilevanza penale.
📌 Cosa comporta la contestazione
- Recupero dell’imposta: il credito utilizzato viene annullato e occorre versare l’imposta compensata.
- Sanzioni amministrative: dal 30% al 200% del credito contestato, a seconda dei casi.
- Interessi di mora calcolati dalla data di utilizzo della compensazione.
- Rischio penale: nei casi di crediti inesistenti di importo rilevante.
🔍 Cosa fare in caso di contestazione
- Analizzare l’atto ricevuto: capire se l’Agenzia contesta un credito non spettante o inesistente.
- Verificare la documentazione: dichiarazioni fiscali, comunicazioni telematiche, certificazioni, delibere e contratti da cui è nato il credito.
- Esaminare la normativa: molte contestazioni nascono da interpretazioni diverse tra contribuente e Fisco.
- Valutare la difesa: memorie difensive, autotutela, ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.
- Considerare alternative: accertamento con adesione, definizione agevolata, rateizzazione del debito.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analisi dettagliata della contestazione relativa ai crediti compensati.
- 📌 Valutazione della legittimità della pretesa fiscale alla luce di norme e giurisprudenza.
- ✍️ Redazione di memorie e ricorsi per ottenere riduzioni o annullamenti delle sanzioni.
- ⚖️ Rappresentanza nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari.
- 🔁 Assistenza nelle soluzioni alternative, come adesione o definizioni agevolate.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e difesa da contestazioni su crediti d’imposta.
- ✔️ Specializzato in sanzioni tributarie e compensazioni fiscali.
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Una contestazione per compensazione di crediti non spettanti non significa automaticamente dover restituire tutto con sanzioni al massimo livello.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la correttezza della tua posizione, ridurre le sanzioni e trovare soluzioni sostenibili.
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