Avviso Di Accertamento Legato A Conti O Redditi In Grecia: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché il Fisco ti contesta conti o redditi detenuti in Grecia? Attraverso lo scambio automatico di informazioni tra Stati europei (CRS – Common Reporting Standard), l’Agenzia delle Entrate acquisisce i dati bancari, patrimoniali e fiscali dei cittadini italiani che hanno rapporti finanziari o immobiliari in Grecia. Se queste attività non sono state dichiarate in Italia, il contribuente rischia accertamenti pesanti con imposte, interessi e sanzioni.

Quando scattano le contestazioni
– Se non hai dichiarato conti correnti, depositi o investimenti detenuti in Grecia
– Se non hai compilato il quadro RW per il monitoraggio fiscale
– Se non hai dichiarato redditi da locazioni, dividendi, interessi o plusvalenze prodotti in Grecia
– Se i movimenti bancari da e verso la Grecia non risultano coerenti con i redditi dichiarati in Italia

Cosa rischi con un avviso di accertamento
– Recupero delle imposte sui redditi non dichiarati in Italia
– Sanzioni dal 3% al 15% sugli importi non monitorati (percentuali più elevate solo per Paesi non collaborativi, ma la Grecia non rientra in questa categoria)
– Addebito di interessi di mora che accrescono il debito fiscale
– Contestazione di reati tributari come dichiarazione infedele o omessa dichiarazione se vengono superate le soglie penali
– Avvio di procedure esecutive come pignoramenti, ipoteche e sequestri in caso di mancato pagamento

Come difendersi da un accertamento legato alla Grecia
– Verificare la correttezza dei dati trasmessi dalle autorità fiscali greche all’Agenzia delle Entrate italiana
– Dimostrare che i redditi contestati sono già stati tassati in Grecia o che non sono imponibili in Italia
– Presentare estratti conto, contratti di locazione, certificazioni fiscali greche e documenti bancari che provino la provenienza lecita delle somme
– Contestare errori di calcolo, presunzioni arbitrarie o duplicazioni di reddito
– Richiamare la Convenzione Italia–Grecia contro le doppie imposizioni, per evitare di pagare due volte sullo stesso reddito
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini di legge

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’avviso di accertamento
– La riduzione delle sanzioni grazie alla dimostrazione della buona fede o all’applicazione di accordi internazionali
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La protezione del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di pagare solo quanto realmente dovuto, senza aggravi indebiti

⚠️ Attenzione: anche se la Grecia è un Paese UE, i redditi e i conti esteri non dichiarati restano imponibili in Italia. Le contestazioni si basano spesso su presunzioni che possono essere ribaltate solo con prove concrete e una strategia difensiva mirata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa tributaria – ti spiega come difenderti da un avviso di accertamento legato a conti o redditi in Grecia.

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Introduzione

Ricevere un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate italiana relativo a conti bancari o redditi prodotti in Grecia può generare allarme e confusione. Si tratta di un atto formale con cui il Fisco contesta al contribuente italiano di aver omesso o falsamente dichiarato attività finanziarie o redditi esteri, ricalcolando le imposte dovute e applicando sanzioni. Negli ultimi anni – complice la collaborazione internazionale e lo scambio automatico di informazioni finanziarie – è aumentato il numero di accertamenti basati su dati provenienti dall’estero. Di conseguenza, molti residenti italiani con conti correnti, immobili, pensioni o investimenti in Grecia si sono visti recapitare lettere di compliance o veri e propri avvisi di accertamento per presunte omissioni fiscali.

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un quadro normativo avanzato ma con linguaggio chiaro e taglio pratico, pensato sia per professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia per privati cittadini e imprenditori. L’obiettivo è spiegare come difendersi efficacemente da un accertamento legato a redditi o patrimoni detenuti in Grecia, dal punto di vista pro-contribuente (debitore), ossia di chi subisce la contestazione. Analizzeremo:

  • La normativa italiana e internazionale rilevante (obblighi dichiarativi, accordi Italia-Grecia, Convenzioni OCSE, direttive UE);
  • Le forme di cooperazione fiscale tra Italia e Grecia (scambio di informazioni automatico, richieste mirate, accordi bilaterali);
  • Le tipologie di redditi e beni esteri interessate (conti correnti, immobili, pensioni, dividendi, ecc.) e il relativo regime fiscale;
  • Il procedimento di accertamento: dalle lettere di compliance iniziali all’avviso di accertamento definitivo, con tempistiche e contenuti;
  • I diritti del contribuente e gli strumenti di difesa sia in fase amministrativa (istanze, adesione) che nel contenzioso (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria);
  • Domande frequenti (FAQ) con risposte puntuali, tabelle riepilogative di sanzioni e scadenze, ed esempi pratici basati sul contesto italiano, per capire come applicare le regole al caso concreto.

Il taglio sarà giuridico ma divulgativo. Saranno citate le fonti normative italiane di riferimento e le sentenze più recenti in materia (Corte di Cassazione, Corte di Giustizia UE, prassi dell’Agenzia delle Entrate), in modo da offrire un supporto autorevole e aggiornato. In particolare, vedremo come la giurisprudenza recente si sia espressa su questioni chiave come la natura delle violazioni relative ai quadri RW (esteri), la proporzionalità delle sanzioni, le presunzioni fiscali applicabili e la prova della residenza fiscale estera (ad es. trasferimenti in Paesi come la Grecia).

In sintesi, se siete contribuenti italiani con conti o redditi in Grecia e avete ricevuto (o temete di ricevere) un accertamento del Fisco, questa guida vi aiuterà a capire cosa fare per tutelare i vostri diritti: verificare la correttezza dell’atto, conoscere le imposte realmente dovute ed evitare la doppia tassazione, predisporre una difesa tecnica efficace o una rapida regolarizzazione, e magari annullare o ridurre sanzioni che appaiano indebite. Procederemo con ordine, partendo dal quadro normativo di riferimento, per poi entrare nel dettaglio delle strategie difensive e delle casistiche specifiche.


Quadro normativo: obblighi fiscali e cooperazione Italia–Grecia

Tassazione dei residenti italiani su redditi esteri

In base al principio della worldwide taxation, l’Italia sottopone a imposizione l’insieme dei redditi ovunque prodotti dai soggetti fiscalmente residenti in Italia (persone fisiche, società ed enti). Ciò significa che un cittadino residente in Italia che possiede conti bancari in Grecia, immobili, investimenti o che percepisce redditi da lavoro, pensioni o partecipazioni in Grecia, deve dichiararli al Fisco italiano e assoggettarli a tassazione secondo le regole interne (fatte salve le detrazioni o i crediti per le eventuali imposte pagate in Grecia, come si dirà oltre).

La definizione di residente fiscale in Italia è fornita dall’art. 2 del TUIR (D.P.R. 917/1986). È considerata residente la persona che, per la maggior parte dell’anno (almeno 183 giorni):

  • è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente in un Comune italiano;
  • oppure ha in Italia il domicilio (inteso come sede principale degli interessi personali e familiari);
  • oppure la residenza civile (dimora abituale).

Basta il verificarsi di uno solo di questi criteri affinché scatti la residenza fiscale in Italia. Dal 2024, a seguito del D.lgs. 209/2023, è stato introdotto anche un quarto criterio esplicito: la presenza fisica in Italia per più di 183 giorni annui. Inoltre, la riforma ha chiarito che l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) – pur restando obbligatoria per chi si trasferisce fuori – dal 2024 costituisce presunzione relativa di residenza in Italia se non avviene (non è più una prova assoluta come in passato). D’altra parte, permane una presunzione legale (iuris tantum) per i trasferimenti in Paesi a fiscalità privilegiata (black list): un cittadino italiano che sposta la residenza in un paradiso fiscale è considerato residente in Italia, salvo prova contraria molto rigorosa (onere della prova a carico del contribuente). La Cassazione ha confermato che in tali casi elementi solo formali (es. semplice iscrizione AIRE, possesso di un’abitazione all’estero) non bastano: occorrono prove sostanziali di effettivo radicamento all’estero (presenza personale, lavoro stabile fuori, assenza di interessi in Italia, ecc.). Ad esempio, Cass. ord. n. 1292/2025 ha rigettato il ricorso di un contribuente trasferito a Monaco perché, a fronte della presunzione di residenza italiana, questi non era riuscito a dimostrare un trasferimento reale della propria vita all’estero.

Nel caso della Grecia, va sottolineato che essa non rientra tra i Paesi a fiscalità privilegiata (non è un “paradiso fiscale”). Pertanto non opera la suddetta presunzione automatica di residenza fittizia. Un italiano trasferitosi in Grecia non verrà ipso iure considerato residente in Italia, purché rispetti le regole sul trasferimento (iscrizione AIRE, ecc.). Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può comunque verificare caso per caso se il trasferimento sia reale o solo di comodo: in caso di doppia residenza (secondo le norme interne italiana e greca), il conflitto va risolto tramite i criteri della Convenzione bilaterale (le tie-breaker rules, v. infra). In definitiva, un contribuente italiano residente in Grecia (non in Italia) non è tenuto a dichiarare in Italia i redditi prodotti in Grecia dopo il trasferimento, a patto che sia in grado di provare la propria nuova residenza estera in caso di contestazione (documentazione AIRE, contratto di affitto o acquisto casa in Grecia, bollette, conto corrente locale, centro della vita familiare spostato, ecc.). Torneremo oltre sulle strategie difensive in tema di residenza.

Obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) per attività estere

Oltre a dichiarare i redditi esteri, i residenti italiani sono soggetti agli obblighi di monitoraggio fiscale per il solo fatto di possedere investimenti o attività finanziarie fuori dai confini nazionali. Tali obblighi, introdotti originariamente dall’art. 4 del D.L. 167/1990, si concretizzano nella compilazione del Quadro RW della dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF, ENC o SP) ogni anno, indicando:

  • Gli investimenti patrimoniali all’estero (ad es. immobili in Grecia, partecipazioni in società estere, opere d’arte o altri beni detenuti all’estero);
  • Le attività finanziarie estere (conti correnti e depositi bancari in Grecia, depositi titoli, obbligazioni o azioni estere, polizze estere, criptovalute presso exchange esteri, ecc.).

Devono compilare il quadro RW tutte le persone fisiche residenti (nonché enti non commerciali e società semplici equiparati) che detengono direttamente o indirettamente attività estere. Non rileva la cittadinanza (anche uno straniero residente in Italia deve dichiarare eventuali beni all’estero), mentre non sono tenuti gli italiani non fiscalmente residenti (anche se iscritti AIRE). L’obbligo decorre dal primo anno di possesso dell’attività estera, senza alcuna “franchigia temporale”.

Nel quadro RW occorre indicare, per ciascun asset estero, il valore massimo detenuto nell’anno, la natura dell’attività (codice), il Paese estero, la quota di possesso e altri dati. L’obbligo è annuale e va assolto contestualmente alla dichiarazione dei redditi. Per le persone fisiche che presentano il modello 730 semplificato, dal 2023 esiste un quadro aggiuntivo (quadro W del 730) proprio per segnalare i conti esteri e calcolare l’eventuale IVAFE dovuta.

Soglie di esenzione: la regola generale è che tutti gli investimenti esteri vanno monitorati, ma vi è un’esenzione specifica per i soli conti correnti e depositi bancari di modesto importo. In particolare, se il valore massimo complessivo dei conti esteri non supera 15.000 € nell’anno, il contribuente è esonerato dall’indicarli in RW. Questa soglia, inizialmente di 10.000 €, è stata elevata a 15.000 € dal 2014. Esempio: se un soggetto ha un conto in Grecia con saldo massimo di €14.000 nel 2024, non deve dichiararlo ai fini del monitoraggio. Attenzione: il limite va considerato sommando tutti i conti esteri del contribuente (oppure per ciascun intermediario estero, secondo le istruzioni). Inoltre, tale esenzione riguarda solo l’obbligo di monitoraggio, non eventuali imposte dovute su quei conti.

Nota: Esiste un’ulteriore soglia relativa all’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie estere, vedi dopo). Se un conto estero genera IVAFE da pagare, va comunque dichiarato anche sotto soglia. In pratica:

  • conti con saldo medio annuo > 5.000 € scontano l’IVAFE (€34,20 annui, pari all’imposta di bollo che si pagherebbe su conto italiano);
  • dunque, se un conto in Grecia ha saldo medio 10.000 € (oltre 5.000) ma picco massimo 12.000 € (<15.000), va dichiarato in RW per calcolare e versare l’IVAFE;
  • viceversa, un conto con massimo 20.000 € ma giacenza media 4.000 € (no IVAFE) va dichiarato solo a fini monitoraggio.

Riassumendo le casistiche dei conti esteri:

  • Saldo max ≤ 15.000 € e giacenza media ≤ 5.000 €: esente da RW e da IVAFE.
  • Saldo max ≤ 15.000 € ma media > 5.000 €: quadro RW obbligatorio (per calcolo IVAFE), IVAFE dovuta (€34,20).
  • Saldo max > 15.000 € e media ≤ 5.000 €: RW obbligatorio (monitoraggio), IVAFE non dovuta.
  • Saldo max > 15.000 € e media > 5.000 €: RW obbligatorio e IVAFE dovuta.

Per tutti gli altri investimenti esteri (non conti correnti) non esiste soglia di esenzione: vanno sempre indicati, qualunque valore abbiano. Ad esempio, un immobile in Grecia va dichiarato indipendentemente dal valore; le partecipazioni in società greche, gli investimenti finanziari esteri, persino le criptovalute detenute su exchange non italiani, vanno segnalati comunque (non c’è soglia minima).

Sono previste alcune esclusioni dall’obbligo RW, ad es.:

  • attività estere affidate in gestione o amministrate da intermediari finanziari italiani già soggetti a comunicazione (es. un deposito titoli estero presso una banca italiana già monitorata dal fisco);
  • conti correnti esteri intestati a lavoratori frontalieri per accredito stipendi, entro certi limiti (es. frontalieri con conto estero per stipendio, esonerati se il saldo < 15.000 €).

Tuttavia, nella maggior parte dei casi rilevanti (conti personali, case all’estero, investimenti diretti) l’obbligo sussiste.

Oltre alla finalità informativa, il quadro RW serve anche per calcolare due imposte patrimoniali sugli asset esteri: l’IVIE e l’IVAFE. In particolare:

  • l’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero) si applica agli immobili detenuti all’estero, con aliquota ordinaria dello 0,76% annuo sul valore (aliquota allineata all’IMU italiana). È dovuta proporzionalmente alla quota e ai mesi di possesso. Nota: dall’IVIE si può dedurre l’eventuale imposta patrimoniale pagata all’estero sul medesimo immobile. Ad esempio, la Grecia applica una tassa immobiliare locale (ENFIA): l’IVIE italiana sarà ridotta dell’importo dell’ENFIA versata, evitando doppia imposizione patrimoniale. Se l’imposta estera è pari o superiore allo 0,76% del valore, di fatto l’IVIE risulterà azzerata.
  • l’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Estere) si applica ai prodotti finanziari, conti e depositi esteri, con aliquota dello 0,20% annuo (pari all’imposta di bollo sulle attività finanziarie in Italia). Per i conti correnti e depositi bancari, l’IVAFE è dovuta in misura fissa (€34,20 annui) se la giacenza media > 5.000 €, come visto. Anche dall’IVAFE sono deducibili eventuali imposte patrimoniali pagate all’estero sugli stessi strumenti (caso non frequente, poiché pochi Paesi prevedono patrimoniali sulle attività finanziarie; la regola è più che altro teorica).

In sintesi: un residente italiano deve comunicare al Fisco il possesso di un conto bancario in Grecia (salvo esoneri per piccoli importi) e pagare l’IVAFE relativa; deve dichiarare l’eventuale immobile in Grecia e pagare l’IVIE dello 0,76% (con credito per l’imposta locale greca eventualmente pagata); e deve dichiarare tutti i redditi derivanti da tali attività (interessi bancari, affitti, plusvalenze, dividendi, pensioni estere, ecc.), assoggettandoli a tassazione IRPEF o alle imposte sostitutive previste.

Accordi contro le doppie imposizioni Italia–Grecia

L’Italia e la Grecia sono legate da una Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio. Tale trattato – firmato nel 1964 e ratificato in Italia con L. 18 marzo 1968 n. 654 – segue in buona parte il Modello OCSE e mira sia a evitare la doppia tassazione degli stessi redditi in entrambi gli Stati, sia a prevenire l’evasione fiscale internazionale. La Convenzione individua per ciascuna categoria di reddito (redditi immobiliari, utili d’impresa, dividendi, interessi, royalties, redditi di lavoro, pensioni, ecc.) quale Stato ha la facoltà di tassare e come eliminare eventuali doppie imposizioni.

Senza addentrarsi in tutti i dettagli del trattato, è utile ricordare alcuni punti rilevanti per un contribuente con interessi in Grecia:

  • In generale, se un reddito è tassabile in Grecia in base alla Convenzione, l’Italia, pur potendo includerlo nel reddito del residente, deve concedere un credito d’imposta per le imposte pagate in Grecia. L’art. 24 della Convenzione prevede infatti che l’Italia detragga dalle proprie imposte l’imposta pagata in Grecia su quello stesso reddito, nei limiti dell’imposta italiana relativa. Ciò evita la doppia imposizione economica: il contribuente italiano non pagherà due volte sullo stesso presupposto, ma al più pagherà l’eventuale differenza se l’aliquota italiana è maggiore di quella greca.
  • Redditi immobiliari: un immobile situato in Grecia è tassabile in Grecia (Stato del sito) secondo l’art. 6 della Convenzione. L’Italia può tassare tale reddito (ad es. affitto) se il proprietario è residente italiano, ma dovrà riconoscere un credito per l’eventuale imposta greca pagata sugli affitti. Inoltre, come detto, per i tributi patrimoniali sull’immobile (IMU vs ENFIA) l’Italia di fatto evita il doppio carico deducendo l’imposta greca dall’IVIE.
  • Dividendi e interessi: la Convenzione consente allo Stato della fonte (Grecia) di prelevare un’imposta limitata su dividendi e interessi pagati a un residente dell’altro Stato (generalmente aliquote ridotte, es. 10% o 15%). L’Italia tassa comunque il dividendo in capo al residente, ma come sopra deve detrarre il credito per la ritenuta greca subita. Nei fatti, i dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia sono oggi soggetti a un’imposta sostitutiva del 26% (aliquota unificata dal 2018). Quindi, se la Grecia trattenesse ad esempio il 10%, il contribuente pagherebbe un ulteriore 16% in Italia (26%-10%), evitando doppio pagamento.
  • Pensioni: occorre distinguere. Le pensioni pubbliche (erogate da uno Stato o ente pubblico per servizi resi allo Stato) in genere, per Convenzione, sono imponibili solo nello Stato erogante. Quindi una pensione statale greca pagata a un residente in Italia tipicamente resterebbe tassata solo in Grecia (salvo eccezioni se il beneficiario ha cittadinanza italiana e non greca, in alcuni trattati). Le pensioni private (previdenza da lavoro privato) di regola sono tassabili solo nello Stato di residenza del percettore. Nel caso Italia-Grecia, il trattato prevede che le pensioni (tranne quelle pubbliche) siano imponibili esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario. Ciò significa che, ad esempio, una pensione INPS italiana percepita da un residente in Grecia sarà tassata solo in Grecia (che attualmente applica un regime agevolato del 7% per 15 anni ai pensionati stranieri trasferiti), mentre l’Italia dovrà esentare tale reddito. Viceversa, una pensione greca ricevuta da un residente in Italia sarà imponibile solo in Italia (la Grecia in tal caso non dovrebbe tassarla). In pratica, per le pensioni private, la Convenzione risolve la doppia imposizione attribuendo la tassazione esclusiva allo Stato di residenza.
  • Redditi di lavoro dipendente o autonomo: la tassazione dipende da dove viene svolta l’attività e dalla durata della presenza. Ad esempio, se un residente italiano lavora come dipendente in Grecia, la retribuzione sarà tassata in Grecia (stato in cui il lavoro è svolto) e l’Italia concederà il credito d’imposta. Per lavoro autonomo, contano criteri come l’esistenza di una base fissa nell’altro Stato.

Il risultato pratico è che, dichiarando correttamente i redditi esteri, un contribuente non subirà doppia tassazione: se ha già pagato imposte in Grecia, questo importo verrà scalato dalle tasse italiane dovute. Ad esempio, un affitto da immobile in Grecia dichiarato in Italia sconta l’IRPEF italiana, ma si detrae l’imposta greca sui redditi immobiliari eventualmente pagata; un interesse bancario da conto greco è soggetto a tassazione italiana (26%) ma con accredito della ritenuta greca; e così via. Attenzione però: il credito d’imposta va richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in questione. Se il contribuente omettesse di dichiarare quel reddito, l’Agenzia delle Entrate in sede di accertamento inizialmente richiederà tutta l’imposta italiana (come se non ci fosse stata imposizione estera). Sarà onere del contribuente, in sede difensiva o adesiva, documentare il pagamento delle imposte in Grecia per ottenere il relativo credito ed evitare di pagare più del dovuto. Fortunatamente, la giurisprudenza riconosce il diritto al credito anche in sede di contenzioso: ad esempio, è stato affermato che il credito per imposte estere spetta anche retroattivamente se il contribuente prova l’avvenuto pagamento all’estero, poiché serve ad attuare il dettato convenzionale di eliminare la doppia imposizione.

Cooperazione fiscale tra Italia e Grecia: scambio di informazioni e aiuto reciproco

Italia e Grecia, essendo entrambe membri dell’Unione Europea e dell’OCSE, partecipano attivamente a tutti i principali strumenti di cooperazione internazionale in materia fiscale. Questo significa che oggi è estremamente difficile “nascondere” al Fisco italiano redditi o patrimoni detenuti in Grecia, grazie ai flussi informativi tra autorità. I pilastri di questa cooperazione sono:

  • Scambio automatico di informazioni finanziarie (Common Reporting Standard – CRS): dal 2017 è operativo uno scambio annuale e sistematico di dati sui conti finanziari dei contribuenti. Oltre 100 Paesi aderiscono al sistema CRS, tra cui l’Italia e la Grecia (l’UE ha recepito il CRS con la direttiva 2014/107/UE, c.d. DAC2). In base a tale meccanismo, le istituzioni finanziarie greche (banche, assicurazioni, intermediari) comunicano ogni anno al fisco greco i dati dei conti intestati a soggetti non residenti (es. cittadini italiani): saldo di fine anno, saldo medio, importo degli interessi maturati, dividendi accreditati, proventi lordi da assicurazioni, ecc. Questi dati vengono poi trasmessi dalla Grecia all’Agenzia delle Entrate italiana (e viceversa per conti italiani di residenti greci). In pratica, se un residente italiano ha un conto corrente in Grecia, la banca greca segnala al fisco greco e quest’ultimo invia i dettagli all’Italia. L’Agenzia delle Entrate carica queste informazioni nelle proprie banche dati, associandole al codice fiscale del contribuente. Ogni anno entro settembre (relativamente ai dati dell’anno precedente) avviene questo flusso automatico. Ad esempio: l’Italia ha ricevuto entro settembre 2024 i dati sui conti finanziari in Grecia detenuti da soggetti fiscalmente residenti in Italia nel 2023. Tali dati includono il numero di conto, l’istituto estero, il saldo al 31/12/2023, la somma degli accrediti, degli addebiti, ecc. L’Agenzia delle Entrate utilizza queste informazioni per confrontarle con quanto dichiarato dal contribuente. Se, ad esempio, una persona non ha compilato il quadro RW indicando quel conto greco, scatterà un’“anomalia” nei sistemi automatici. Il CRS rappresenta dunque la fonte primaria grazie a cui “il fisco viene a sapere dei conti esteri”, superando di fatto il segreto bancario internazionale.
  • Scambio automatico su altri redditi: oltre ai conti finanziari (DAC2), la cooperazione UE prevede scambi automatici anche su altre categorie: ad esempio, le informazioni fiscali su lavoratori distaccati, pensioni private, compensi pubblici (DAC1), gli accordi preventivi e ruling transfrontalieri (DAC3), i report Country-by-Country delle multinazionali (DAC4), i meccanismi di pianificazione fiscale aggressiva (DAC6) e – novità – i dati dalle piattaforme digitali (DAC7, in vigore dal 2023). Quest’ultimo significa ad esempio che i redditi da affitti turistici percepiti tramite Airbnb su immobili in Grecia potrebbero essere segnalati all’Italia se l’host risiede in Italia. Dal 2026 partirà anche il DAC8 per lo scambio automatico di informazioni sulle cripto-attività. Insomma, la rete di scambio si fa sempre più ampia e capillare.
  • Scambio su richiesta e spontaneo: al di là degli automatismi, le autorità fiscali possono scambiarsi informazioni su richiesta (per singoli casi in indagine) o spontaneamente (quando uno Stato ottiene dati utili all’altro). L’Italia e la Grecia hanno entrambe ratificato la Convenzione Multilaterale OCSE sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale, che facilita queste cooperazioni. Ad esempio, l’Italia potrebbe chiedere alla Grecia dettagli su una specifica transazione o posizione finanziaria di un contribuente italiano (richiesta ex art. 26 Convenzione OCSE) e la Grecia fornirli. Oppure, se la Grecia scopre che un cittadino italiano ha ingenti proprietà nel Paese, potrebbe segnalare spontaneamente tali informazioni all’Italia. Lo scambio spontaneo è previsto espressamente anche dalle direttive UE. In passato, prima dell’era CRS, vi sono stati casi di liste di conti esteri condivise (si pensi alla “lista Falciani” sulle banche svizzere o alla lista Lagarde che coinvolse conti greci in Svizzera). Oggi lo scambio automatico rende sistematica questa condivisione, ma le richieste mirate restano un’opzione in casi particolari (evasione sospetta, indagini penali, ecc.).
  • Accordi bilaterali Italia-Grecia: oltre al trattato contro le doppie imposizioni, esistono memorandum di cooperazione e l’adesione comune ad iniziative UE. Ad esempio, la Grecia ha aderito dal 2016 al programma europeo di cooperazione contro le frodi fiscali (Eurofisc) e ha implementato i sistemi di interscambio dati IVA (VIES) e anagrafe finanziaria europea. Una notizia di febbraio 2010 riportava che la Grecia aveva siglato intese per collaborazione col Fisco italiano per contrastare le frodi, consolidando lo scambio di informazioni anche extra convenzione. In sostanza, i due Paesi si considerano reciprocamente “white list”, cioè con adeguato scambio di informazioni fiscali. Il DM 4 settembre 1996 e successive modifiche (white list italiana) includono la Grecia come giurisdizione collaborativa. Ciò rileva, tra l’altro, per l’applicazione di alcune presunzioni e per le sanzioni (come vedremo, l’omessa dichiarazione di attività in Paesi non collaborativi subisce misure più severe rispetto a quelle in Paesi collaborativi).
  • Assistenza nel recupero crediti tributari: grazie alla direttiva 2010/24/UE (recepita in Italia dal D.Lgs. 149/2012), le amministrazioni finanziarie UE si aiutano anche nella riscossione delle imposte. Ciò significa che, se un contribuente italiano viene accertato e non paga quanto dovuto, e possiede beni o redditi in Grecia, l’Italia può chiedere alle autorità greche di recuperare coattivamente quelle somme in Grecia, come se fossero imposte greche. Ad esempio, un italiano che si è trasferito in Grecia pensando di sottrarsi al fisco italiano potrebbe vedersi notificare dall’ente greco di riscossione un ingiunzione per conto dell’Italia (dopo che l’accertamento italiano è divenuto definitivo). L’integrazione delle procedure di notifica e riscossione tra Stati UE rende quindi inefficace tentare di sfuggire semplicemente trasferendosi: i debiti tributari “seguono” il contribuente. Ovviamente, questo avviene a valle del procedimento (quando c’è un titolo esecutivo); in fase difensiva il contribuente può sempre far valere le sue ragioni prima che ciò accada.

In conclusione, il contesto normativo attuale vede un forte allineamento Italia-Grecia sul fronte fiscale: da un lato, chi è residente in Italia non può più nascondere agevolmente redditi o patrimoni greci (grazie al CRS e agli accordi, l’Agenzia Entrate può scoprire conti e beni esteri); dall’altro, sono previsti strumenti per evitare doppie tassazioni (crediti d’imposta da trattato) e per perseguire le evasioni transfrontaliere. Questa cornice rende fondamentale per il contribuente rispettare gli obblighi dichiarativi e, in caso di contestazione, sapere come muoversi: l’ignoranza o l’inazione possono portare a pagare imposte non dovute o sanzioni elevatissime, mentre una difesa consapevole permette spesso di ridurre notevolmente il danno (se non di annullarlo, ove l’accertamento sia infondato).

Nei paragrafi successivi analizzeremo proprio cosa succede quando il Fisco avvia un controllo su conti o redditi greci e come il contribuente può difendersi in concreto.


L’avviso di accertamento: caratteristiche e iter del procedimento

Dalla “lettera di compliance” all’avviso di accertamento

In molti casi, il primo segnale di un problema fiscale con l’estero non è direttamente un avviso di accertamento, ma una comunicazione di compliance inviata dall’Agenzia delle Entrate. Negli ultimi anni, l’Agenzia ha infatti intensificato l’invio di lettere ai contribuenti con “anomalie” sui redditi o attività estere dichiarati. Tipicamente, queste lettere scaturiscono dal confronto tra i dati esteri ottenuti tramite scambio di informazioni (es. lista dei conti esteri da CRS) e la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente. Se risultano difformità o omissioni – ad esempio un conto corrente in Grecia non indicato nel quadro RW, oppure interessi bancari esteri non dichiarati – il Fisco invia una lettera “friendly” in cui segnala la possibile irregolarità e invita il contribuente a mettersi in regola spontaneamente.

Queste comunicazioni non sono atti impositivi formali impugnabili, ma rappresentano un’opportunità: il contribuente può, entro un certo tempo, correggere l’errore tramite ravvedimento operoso, pagando le imposte dovute con sanzioni ridotte. In alternativa, se ritiene che i dati del Fisco siano errati, può segnalare all’Agenzia le ragioni per cui non c’è violazione, inviando documenti e chiarimenti che eventualmente smentiscano l’anomalia (ad es. dimostrando che quell’asset estero non andava dichiarato, o che è residente all’estero e non doveva dichiarare affatto).

Le lettere di compliance generalmente indicano il tipo di anomalia (mancato monitoraggio RW e/o mancata indicazione di redditi esteri) e forniscono istruzioni su come regolarizzare con ravvedimento. Inoltre, il contribuente può accedere al proprio cassetto fiscale online (portale “L’Agenzia scrive”) per vedere i dati esteri che l’Agenzia ha ricevuto e che hanno fatto scattare la segnalazione. Ad esempio, potrà visualizzare i dettagli del conto bancario greco segnalato (istituto, saldo, interessi). Questo aiuta a verificare la fondatezza della contestazione.

Esempio: Mario, residente a Milano, possiede dal 2020 un conto corrente ad Atene non dichiarato. Nel settembre 2024 l’Agenzia Entrate gli invia una lettera dove comunica che “dai dati pervenuti dalle Autorità estere risulta che lei detiene attività finanziarie in Grecia non indicate nella dichiarazione 2021 (redditi 2020) e seguenti”. Nella lettera c’è un invito a verificare e, se del caso, a presentare dichiarazioni integrative con quadro RW e redditi esteri, beneficiando del ravvedimento operoso (sanzioni ridotte a 1/6 del minimo). Mario a quel punto può reagire: se effettivamente non aveva dichiarato il conto e i relativi interessi, può inviare ora dichiarazioni integrative per gli anni 2020-2023, pagando l’IVAFE e le imposte su eventuali interessi con sanzione minima (ravvedimento). Così eviterà l’accertamento. Se invece Mario ritiene che l’account non fosse soggetto (ipotizziamo avesse saldo sotto 15.000 € e niente interessi), potrebbe comunicare tale circostanza all’Agenzia, documentandola, per evitare sanzioni. Le istruzioni allegate alla lettera spiegano come procedere in entrambi i casi.

Se il contribuente ignora la lettera di compliance o non si ravvede, l’Ufficio procederà con l’iter ordinario di accertamento. Talvolta l’Agenzia invia un questionario o una richiesta di informazioni (atto istruttorio formale) per avere delucidazioni prima di chiudere il caso. Ma in molti casi, soprattutto se i dati sono chiari e il contribuente non ha risposto, l’amministrazione passa direttamente all’emissione dell’avviso di accertamento.

Che cos’è l’avviso di accertamento e cosa contiene

L’avviso di accertamento è l’atto tramite cui l’Agenzia delle Entrate rettifica la posizione fiscale del contribuente, ricalcolando le imposte dovute. Esso deve rispettare determinati requisiti di legge: motivazione, indicazione dei fatti accertati, degli imponibili e delle aliquote applicate, nonché delle imposte liquidate e delle sanzioni. La motivazione deve spiegare chiaramente la ragione della pretesa fiscale, pena la nullità dell’atto (art. 7 dello Statuto del Contribuente, L. 212/2000). In pratica, nell’avviso troveremo una parte narrativa dove l’Ufficio descrive le violazioni contestate (es: “Il contribuente non ha indicato nel quadro RW il conto corrente n. XYZ presso la Banca Alpha in Grecia, saldo €…, né ha dichiarato gli interessi attivi per €… relativi all’anno…”) e una parte finale con il ricalcolo delle imposte evase e l’applicazione delle relative sanzioni.

Quando l’accertamento riguarda redditi o conti esteri, in genere l’avviso specifica la fonte delle informazioni (ad es. “in base ai dati comunicati dall’Amministrazione fiscale greca ai sensi della Direttiva 2014/107/UE (CRS) si è appurato che…”). Spesso viene citato il provvedimento di accertamento con adesione eventuale e i termini per impugnarlo.

Va notato che l’avviso di accertamento viene notificato dopo l’eventuale contraddittorio endoprocedimentale. Se l’Agenzia ha emesso un Processo Verbale di Constatazione (PVC) o ha svolto un’attività istruttoria complessa (verifica, ecc.), deve attendere 60 giorni prima di emettere l’avviso, a tutela del diritto di difesa anticipato del contribuente (art. 12, c.7 L. 212/2000). Nel caso di accertamenti “a tavolino” basati su dati esteri, spesso non c’è un PVC ma solo la lettera di compliance come avvertimento. La prassi recente comunque tende a garantire un confronto: l’Agenzia talvolta convoca il contribuente per un contraddittorio anticipato, specie se le somme sono rilevanti, prima di chiudere l’atto. Tuttavia, legalmente per i controlli automatizzati su redditi esteri non vi è obbligo di contraddittorio preventivo (tranne in materia di IVIE/IVAFE, dove la Cassazione ha richiesto il contraddittorio preventivo essendo tributi “nuovi” e non dichiarati; ma il tema è dibattuto).

L’ambito temporale dell’accertamento dipende dai termini di decadenza fissati dalla legge. Per le imposte dirette (IRPEF) e relative violazioni dichiarative:

  • In caso di dichiarazione omessa (il contribuente non ha presentato affatto la dichiarazione dei redditi per quell’anno) l’accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del 7° anno successivo a quello di imposta. Ad esempio, per l’anno d’imposta 2018 (dichiarazione che si sarebbe dovuta presentare nel 2019) il termine “lungo” è il 31/12/2025.
  • In caso di dichiarazione presentata ma infedele (omissione parziale di redditi, come il mancato quadro RW o mancata indicazione di alcuni redditi esteri) il termine ordinario è il 31 dicembre del 5° anno successivo. Esempio: per redditi 2018 dichiarati nel 2019, il Fisco ha tempo fino al 31/12/2024 per accertare maggiori imponibili o sanzioni.
  • Una specificità era prevista per gli investimenti esteri in Paesi non collaborativi (black list): il D.L. 78/2009 (art. 12, c.2-bis) introdusse un raddoppio dei termini di accertamento e di contestazione sanzioni qualora l’attività non dichiarata fosse in un paradiso fiscale. Ciò significa che, ad esempio, un conto in un Paese black list non dichiarato nel 2018 potrebbe essere accertato fino al 2028 (10 anni invece di 5). Questa norma è stata in parte mitigata dal 2015 in poi, ma di base il concetto di tempi raddoppiati per i Paesi a bassa cooperazione è rimasto. Per la Grecia, essendo white list, non si applica il raddoppio: valgono i termini ordinari di 5 o 7 anni.
  • Per le sanzioni da monitoraggio fiscale (omessa compilazione RW), la giurisprudenza ha chiarito che se non c’è evasione di imposta connessa (ovvero la violazione RW è “solo formale” nel senso che magari il reddito estero era tassato alla fonte e non c’era ulteriore imposta), allora si applica il termine breve di 5 anni. Diversamente, se il quadro RW omesso è accompagnato da evasione d’imposta sostanziale (es. mancata dichiarazione di redditi esteri imponibili), i termini seguono quelli dell’imposta evasa. In pratica, spesso le due cose coincidono e comunque 5 anni è il riferimento salvo omessa dichiarazione totale (7 anni).

L’avviso di accertamento per redditi esteri può riguardare più periodi d’imposta contemporaneamente. Ad esempio, se emergono conti esteri non dichiarati per tre annualità, l’Ufficio potrebbe emettere tre avvisi separati (uno per anno) o un avviso cumulativo pluriennale (più raro). Il contribuente deve fare attenzione a ciascun anno contestato e verificare se per qualcuno di essi il termine fosse magari già scaduto: nel qual caso potrà eccepire la decadenza in sede di ricorso. Ad esempio, se nel 2025 arriva un avviso che include l’anno 2017, quest’ultimo potrebbe essere tardivo (31/12/2023 era il termine per accertare il 2017 in caso di dichiarazione presentata).

L’avviso di accertamento indica anche le modalità e i tempi di impugnazione (generalmente “entro 60 giorni dalla notifica avanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente” – ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Inoltre, può contenere l’invito a formulare istanza di accertamento con adesione prima del ricorso, il che sospende per 90 giorni i termini di impugnazione. Spesso l’Agenzia allega all’avviso un prospetto per l’adesione e i riferimenti dell’ufficio a cui rivolgersi.

Importante: se il contribuente non fa nulla entro i 60 giorni (né adesione, né ricorso), l’avviso diviene definitivo ed esecutivo. Ciò comporterà l’iscrizione a ruolo delle somme e la notifica di una cartella esattoriale per la riscossione. Ignorare l’avviso, quindi, non è mai una buona idea: occorre reagire in qualche modo, o trovando un accordo o contestando formalmente l’atto.

Riassumiamo gli step tipici del procedimento:

  1. Scambio informazioni (es. dati CRS dalla Grecia all’Italia).
  2. Analisi dell’Agenzia: individuazione di anomalie (conti non dichiarati, differenze di redditi, ecc.).
  3. Lettera di compliance (invito a regolarizzare) – fase facoltativa ma frequente.
  4. Ravvedimento operoso del contribuente – opportunità per evitare sanzioni piene se attuato in tempo.
  5. (Eventuale) Questionario o convocazionein alcuni casi, per chiarimenti.
  6. Avviso di accertamentoin assenza di spontanea regolarizzazione o chiarimenti accolti.
  7. 60 giorni per difendersi: il contribuente può presentare ricorso oppure chiedere adesione (con sospensione di 90 gg dei termini).
  8. Eventuale accertamento con adesione: se il contribuente lo attiva, si apre un confronto con l’ufficio per un possibile accordo; se si trova un accordo sulle somme, si redige atto di adesione con riduzione sanzioni a 1/3.
  9. Decisione contenzioso: se ricorso, il caso viene deciso dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado; eventuale appello e poi Cassazione.
  10. Riscossione: se l’avviso diventa definitivo (per mancato ricorso o dopo sentenza passata in giudicato), le somme sono iscritte a ruolo e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) procede a recuperarle, anche con misure coattive se necessario, eventualmente attivando l’assistenza internazionale in Grecia come detto.

Nei prossimi capitoli ci concentreremo sulle sanzioni previste e soprattutto sulle strategie difensive che il contribuente ha a disposizione nelle varie fasi (dalla risposta alla lettera di compliance fino al ricorso in giudizio).


Sanzioni per omessa dichiarazione di attività/patrimoni esteri e redditi esteri

La normativa italiana prevede sanzioni specifiche per chi viola gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) e per chi occulta redditi imponibili (dichiarazione infedele). In un accertamento legato a conti o redditi esteri, spesso si cumulano entrambe le tipologie di sanzioni:

  • Sanzioni “Quadro RW” (monitoraggio): l’omessa o incompleta indicazione in dichiarazione di attività finanziarie o investimenti detenuti all’estero è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato. Questa è la forbice ordinaria se l’attività è in un Paese collaborativo (white list, come la Grecia). Se invece l’attività è in un Paese a fiscalità privilegiata (black list, non la Grecia), la sanzione raddoppia dal 6% al 30%. Tali percentuali si applicano per ciascun anno per cui l’attività non è stata dichiarata. Ad esempio, se un conto con saldo €100.000 in Grecia non è dichiarato per due anni, la sanzione base potrebbe andare da €3.000 a €15.000 per anno (quindi da €6.000 a €30.000 complessivi), oltre all’eventuale tassazione degli interessi. È importante notare che questa sanzione colpisce la violazione di monitoraggio indipendentemente dal fatto che il reddito sia stato tassato o meno: infatti la Cassazione ha chiarito che la mancata compilazione del quadro RW è una violazione sostanziale, non mera formalità, perché compromette il sistema di controlli del fisco. La Corte (sent. n. 28077/2024) ha espressamente respinto l’idea che se non c’è imposta evasa la violazione RW sia irrilevante: al contrario, è punibile di per sé, a tutela della trasparenza. Le sanzioni italiane del 3-15% sono state giudicate proporzionate e diverse da quelle draconiane di altri paesi (ad es. la Spagna prevedeva sanzioni fisse del 150% dichiarate illegittime dalla Corte UE). Dunque non è possibile invocare l’illegittimità generale di tali sanzioni: il range 3-15% è considerato conforme ai principi UE, secondo la Cassazione, proprio in una causa in cui si citava la sentenza Commissione UE vs Spagna C-788/19.
  • Sanzioni per imposte evase (dichiarazione infedele/omessa): se dall’omissione estera è derivata anche un’evasione d’imposta (ad es. redditi non dichiarati su cui non sono state pagate imposte in Italia), si applicano le sanzioni ordinarie previste dal D.Lgs. 471/1997. In particolare:
    • Dichiarazione infedele (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/97): si ha quando il contribuente ha presentato la dichiarazione ma ha indicato un reddito inferiore a quello effettivo. La sanzione è pari al 90% dell’imposta corrispondente alla differenza tra il dichiarato e il dovuto, con un minimo di €250. Può salire fino al 180% nei casi di maggiore gravità (molto elevato lo scostamento, uso di mezzi fraudolenti, ecc.). Ad esempio, se non ho dichiarato €10.000 di interessi da conto estero e l’imposta evasa è €2.600, la sanzione base sarà €2.340 (90% di 2.600). In sede di accertamento, l’Ufficio tende ad applicare la misura minima edittale (90%) salvo aggravanti. Va ricordato che queste sanzioni, se il contribuente aderisce o rinuncia al ricorso, possono poi ridursi ad 1/3.
    • Omessa dichiarazione (art. 1, c.1 D.Lgs. 471/97): se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione annuale (caso estremo, tipicamente di chi cerca di sparire dal radar fiscale), la sanzione è più alta: dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. Ad esempio, un soggetto che si è trasferito in Grecia ma era ancora considerato residente in Italia e non ha presentato dichiarazione dei redditi in Italia affatto, potrebbe vedersi contestare questa violazione se l’Italia prova che doveva dichiarare. Anche qui, riduzioni sono possibili in adesione o definizioni agevolate.
    • Altre sanzioni: se l’evasione supera certe soglie, scattano profili penali (vedi oltre). Inoltre, sanzioni fisse minori possono aggiungersi, ad esempio per omessa presentazione del modello RW separatamente (dove non già assorbita nell’infedele), per mancato versamento di imposte ecc. In materia di IVIE/IVAFE non versate, le sanzioni seguono quelle dei tributi dovuti (30% per omesso versamento, ridotto se poi pagato spontaneamente con ritardo).

In caso di conti o investimenti esteri non dichiarati, spesso l’accertamento cumula quindi:

  • una sanzione del 3-15% annuo sul valore non dichiarato (RW);
  • più la sanzione del 90% sull’imposta evasa per gli eventuali redditi prodotti da tali attività (interessi, dividendi, affitti, plusvalenze…).

Esempio: Tizio aveva €200.000 su un conto greco dal quale nel 2019 ha ottenuto €5.000 di interessi, non dichiarati. Accertato questo nel 2025, l’Agenzia chiederà l’IRPEF su €5.000 (aliquota 26% = €1.300) + sanzione infedele 90% = €1.170; più sanzione RW 2019 su €200.000 al 3% = €6.000. Totale sanzioni €7.170 oltre all’imposta di €1.300 e interessi legali. Si noti: se quel conto era in Svizzera (black list fino al 2016), la sanzione RW sarebbe stata 6% = €12.000; ma la Grecia è cooperativa quindi 3%.

Ravvedimento operoso: prima che l’accertamento arrivi, il contribuente ha sempre la chance di ravvedersi spontaneamente. Il ravvedimento consente di pagare sanzioni ridotte in misura crescente col ritardo. Ad esempio, oltre 2 anni di ritardo si paga 1/6 della sanzione minima. Quindi un’omessa indicazione RW (3% min) ravveduta tardivamente pagherebbe lo 0,5% per anno invece del 3%. L’istituto è molto vantaggioso e non precluso dal tempo: si può regolarizzare anche molti anni indietro finché l’amministrazione non contesta nulla. È stato chiarito infatti che il ravvedimento è possibile anche oltre i termini di accertamento (in tal caso ovviamente l’amministrazione non potrebbe più emettere atto, ma il contribuente versa per mettersi in regola ed evitare rischi penali). Finché non vi è stata formale constatazione o notifica di avviso, il ravvedimento rimane applicabile. Attenzione: dopo che l’Ufficio invia un avviso di accertamento (o persino una comunicazione di irregolarità formale), il ravvedimento ordinario non è più ammesso. Si potrà semmai ricorrere all’accertamento con adesione per ridurre sanzioni. Dunque, se si riceve una lettera di compliance o si ha il sentore di imminente controllo, conviene attivarsi prima possibile.

Profili penali: l’evasione internazionale può integrare anche reati tributari. Nel nostro contesto, i reati ipotizzabili sono quelli comuni:

  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): omessa dichiarazione di elementi attivi per imposta evasa > €100.000 e imponibile non dichiarato > 10% del totale o comunque > €2 milioni. Esempio: redditi esteri occultati per oltre 2 milioni comportanti più di 100k di imposte. Pena: reclusione 2 a 4.5 anni (range aggiornato al 2015).
  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): se non si presenta la dichiarazione e l’imposta evasa > €50.000, scatta il reato. Pena: 2 a 5 anni.
  • Riciclaggio/autoriciclaggio: se i capitali portati in Grecia provengono da reati (anche reati fiscali gravi), il loro occultamento o impiego potrebbe configurare questi ulteriori delitti (art. 648-bis e 648-ter.1 c.p.). Ad esempio, se qualcuno ha evaso milioni e li ha trasferiti su conti esteri celati, potrebbe essere accusato di autoriciclaggio oltre che di reati tributari.

Tuttavia, la mera violazione del quadro RW non è di per sé un reato. La Cassazione ha escluso, ad esempio, la possibilità di sequestro penale preventivo nei confronti di chi ha solo omesso di indicare attività estere ma non ha commesso reati di omessa dichiarazione di redditi. Quindi va valutato caso per caso: le sanzioni di cui principalmente ci occupiamo qui sono quelle amministrative, anche se il rischio penale esiste per i casi più gravi di evasione collegata.

Riepilogo sanzioni e termini (tabella):

Violazione (Paese estero)Termine accertamentoSanzione base (edittale)
Omessa indicazione attività estera (RW) – Paese white list (es. Grecia)5 anni dal periodo d’imposta (violazione formale)3% – 15% del valore non dichiarato (per anno)
Omessa indicazione attività estera (RW) – Paese black list10 anni (termini raddoppiati)6% – 30% del valore non dichiarato (per anno)
Dichiarazione infedele (redditi esteri non dichiarati, dich. presentata)5 anni (dich. presentata)90% – 180% dell’imposta evasa (min €250)
Omessa dichiarazione (residente non dichiara affatto redditi)7 anni (dich. omessa)120% – 240% dell’imposta evasa (min €250)
Omesso versamento IVIE/IVAFE (dichiarate ma non pagate)5 anni (da dichiarazione)30% dell’imposta non versata, riducibile se pagata tardivamente
Violazioni penali tributarie (es. omessa dichiarazione reato)Termine prescrizione penale (6 anni base, 8 anni aggravata)Reclusione (2-5 anni omessa; 2-4.5 infedele) – soglie di punibilità come sopra

(Nota: ravvedimento operoso consente riduzioni fino a 1/5 o 1/6 delle sanzioni amministrative minime, se prima di accertamento).

Le sanzioni amministrative, una volta irrogate, possono essere talora annullate o ridotte in sede contenziosa se il contribuente dimostra esimenti (es. obiettiva incertezza normativa, cioè la difficoltà oggettiva nell’interpretare la norma, che esclude la punibilità ex art. 6 D.Lgs. 472/97). Ad esempio, se un certo reddito estero aveva un trattamento incerto e il contribuente ha adottato in buona fede una soluzione poi rivelatasi errata, il giudice potrebbe annullare la sanzione mantenendo solo il tributo. Oppure, se l’accertamento principale cade (es. si dimostra che non era dovuta alcuna imposta), cadono anche le sanzioni relative. Inoltre, come vedremo, in sede di accertamento con adesione le sanzioni sono ridotte a 1/3 per legge, e l’amministrazione può ulteriormente concedere riduzioni in caso di accordo (es. limitare la contestazione ad alcune annualità).

In definitiva, le sanzioni potenziali sono severe, ma esistono diversi modi per attenuarle: ravvedimento, adesione, ricorso con motivazioni solide, invocare cause di non punibilità o disproporzione (soprattutto se il contribuente era convinto di essere residente estero, ecc.). Una parte fondamentale della strategia difensiva è proprio valutare come ridurre al minimo la sanzione pecuniaria, oltre che l’imposta.


Strategie difensive: come tutelarsi di fronte a un accertamento su redditi esteri

Affrontare un avviso di accertamento per conti o redditi in Grecia richiede un mix di conoscenza tecnica e mosse strategiche. Esamineremo le possibili difese dal punto di vista del contribuente (assistito dal suo avvocato o consulente), distinguendo le fasi:

  • Prima dell’emissione dell’avviso: risposta a lettere di compliance, ravvedimento, prevenzione.
  • Fase amministrativa/adesione: come interagire con l’ufficio per cercare una soluzione concordata.
  • Fase contenziosa: difendersi in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria) con specifiche eccezioni e prove.

Lo scopo è evitare, ridurre o posticipare il pagamento, e possibilmente far annullare l’atto o le sanzioni. Vediamo le principali leve difensive.

1. Regolarizzazione spontanea (prima dell’accertamento)

La miglior difesa è giocare d’anticipo se ci si accorge di una violazione. Se il contribuente realizza di non aver dichiarato un conto o redditi greci, prima che l’Agenzia se ne accorga conviene usare il ravvedimento operoso. Come detto, ciò permette di sanare la posizione con sanzioni ridotte (anche di molto) ed evitare l’intero iter accertativo.

Finché non avete ricevuto né PVC, né avviso, né una comunicazione formale di irregolarità, il ravvedimento è consentito. Anche se avete ricevuto una lettera di compliance, la stessa Agenzia vi sta invitando a ravvedervi: approfittatene. Presentate le dichiarazioni integrative per gli anni coinvolti (entro l’ultimo quarto anno, di solito) inserendo i quadri RW mancanti e i redditi esteri non dichiarati. Pagate poi le imposte dovute e le sanzioni ridotte. Esempio pratico: una persona che nel 2025 si pente e vuole regolarizzare un conto non dichiarato dal 2019 in poi, dovrà:

  • Presentare Unico integrativo 2020 (redditi 2019), 2021, 2022, 2023 e 2024, compilando i quadri RW per il conto greco in ciascun anno.
  • Calcolare l’IVAFE dovuta per ogni anno (es. €34,20 annui se il conto aveva >5.000 €).
  • Dichiarare gli eventuali interessi attivi non tassati e pagarci l’IRPEF (o la sostitutiva 26%) per ciascun anno.
  • Versare le sanzioni ridotte: per il quadro RW omesso nel 2019 (sanz. base 3% del saldo), essendo trascorsi più di 2 anni, paga 1/6 = 0,5% del saldo; per il 2020 (violazione di 4 anni fa) 1/7 del 3%, ecc. Stessa cosa per l’IVAFE non versata, sanzione 30% ridotta a 1/6 per ravvedimento tardivo, etc. In soldoni, una spesa modesta rispetto alle potenziali sanzioni piene.

Dopo aver fatto ciò, se arriva comunque una lettera o un controllo su quegli anni, si avrà ben poco da temere: la violazione sarà stata sanata (magari arriverà solo un avviso bonario di liquidazione per allineare i conti, ma senza sanzioni ulteriori). Nota: il ravvedimento resta valido anche se effettuato dopo aver ricevuto la lettera di compliance, perché quella lettera non è un atto impositivo formale. L’importante è che non sia già partito l’accertamento vero e proprio.

Se invece l’accertamento è già stato notificato, il ravvedimento ordinario non è più esercitabile. Ci si potrà avvalere, semmai, di istituti straordinari se previsti da normative temporanee (in passato ad es. c’è stata la “rottamazione delle cartelle” o il “ravvedimento speciale” per annualità pregresse, ma queste misure hanno carattere eccezionale e limitato nel tempo). Al momento (luglio 2025) non vi è un condono aperto per sanare attività estere occultate, quindi l’unica via spontanea ex post è l’adesione (di cui dopo) o il pagamento per intero seguito magari da richiesta di sgravio delle sanzioni in autotutela.

2. Analisi critica dell’avviso: vizi formali e sostanziali

Se arriva l’avviso di accertamento, la prima cosa da fare è esaminarlo attentamente con l’aiuto di un esperto, alla ricerca di possibili vizi o errori che possano costituire motivi di ricorso. Alcune questioni da verificare:

  • Motivazione sufficiente: l’avviso spiega adeguatamente le ragioni della pretesa? Se risultasse generico o privo di motivazione (es. non indica quali conti o redditi sono contestati), sarebbe nullo per violazione dell’art.7 L.212/2000. Nella pratica, però, sugli esteri l’Agenzia motiva abbastanza, quindi questa eccezione è meno frequente.
  • Termini di decadenza: come detto, controllare le annualità e i termini. Se l’avviso include un anno ormai decaduto, si può fare eccezione di decadenza per quella parte. Ad esempio, accertamento notificato a luglio 2025 per l’anno 2016 sarebbe tardivo (5 anni scaduti a fine 2022). Attenzione però: l’Agenzia a volte invoca il raddoppio dei termini art.12 D.L.78/09 per i paradisi fiscali; se la Grecia non è black list, non potevano raddoppiare. Se per caso l’ufficio avesse applicato erroneamente il raddoppio, è un punto debole della loro posizione.
  • Notifica regolare: verificare che l’avviso sia stato notificato correttamente (indirizzo giusto, tempi giusti). Se il contribuente risiede in Grecia ed era iscritto AIRE, l’Agenzia avrebbe dovuto notificare all’estero tramite raccomandata o tramite autorità consolare: eventuali errori di notifica potrebbero viziare l’atto o quantomeno far decorrere diversamente i termini di impugnazione. Questo aspetto è molto tecnico e spesso va fatto valere in giudizio.
  • Errori di calcolo: sembra banale, ma controllare i numeri. Talvolta gli avvisi contengono importi errati, duplicazioni o calcoli di sanzioni sbagliati. Ad esempio, l’ufficio potrebbe aver calcolato la sanzione RW al 15% (massimo) in automatico, mentre si può chiedere al giudice di ridurla al minimo 3% se non c’erano aggravanti. Oppure potrebbero non aver concesso il credito d’imposta per le tasse pagate in Grecia: è fondamentale evidenziare al più presto (anche in adesione) che deve essere riconosciuto il credito ex art. 24 della Convenzione, così da abbattere l’imposta italiana richiesta.
  • Presenza di presunzioni non giustificate: spesso, negli accertamenti su estero, l’Agenzia applica presunzioni legali a suo favore. Due in particolare:
    • La presunzione di redditività delle attività estere, ex art. 6 D.L. 167/90: le somme detenute su conti esteri si presumono produttive di interessi al tasso ufficiale medio vigente in Italia, salvo prova contraria del contribuente. Significa che, se non ho dichiarato interessi, il Fisco calcola comunque un reddito presunto (anche se magari il conto era infruttifero). Questa presunzione è iuris tantum: il contribuente può vincerla mostrando ad es. gli estratti conto che provano zero interessi o addirittura perdite (conto in valuta con commissioni). La Cassazione ha confermato la legittimità della presunzione (Cass. 20032/2011, 7682/2016) ma anche la sua natura relativa superabile con prova contraria. Dunque una difesa tipica è: “Gli interessi non sono dovuti perché il conto non ne ha prodotti, come da documentazione bancaria allegata”.
    • La presunzione di evasione sull’origine dei capitali esteri, ex art. 12 D.L. 78/2009: questa norma (ancorché riferita ai Paesi black list) stabiliva che le attività finanziarie e investimenti in paradisi fiscali, se non dichiarati, si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione in Italia. Anche questa presunzione è iuris tantum, superabile dimostrando che i fondi hanno origine lecita già tassata. Sebbene riferita formalmente ai paradisi fiscali (comma 2-bis art. 12, ora abrogato dal 2015), nella prassi il fisco tende comunque a sospettare che capitali esteri non dichiarati siano frutto di evasione, anche se provenienti da Paesi collaborativi. Pertanto, nella difesa conviene assumere l’onere della prova sull’origine: mostrare documenti (vendita di un immobile, risparmi su redditi già tassati, donazione di familiari, ecc.) che attestino da dove arrivano quei soldi. Se il contribuente riesce a dimostrare che i €100.000 sul conto greco derivano ad esempio dalla vendita di una casa in Italia già tassata (plusvalenza non imponibile, ecc.), allora cade qualsiasi pretesa di tassarli come “redditi in nero”. Al contrario, se non dà spiegazioni, l’Ufficio avrà gioco facile a sostenere che “in assenza di prova, quei capitali si considerano frutto di evasione pregressa” e potrà tassarli come ricavi non dichiarati.

Dunque, un’attenta analisi iniziale serve per impostare la difesa. Si potrà contestare, nel ricorso, i vizi formali (nullità per difetto di motivazione, decadenza termini, notifica inesistente) e i vizi sostanziali (errata applicazione di presunzioni, mancato riconoscimento di crediti d’imposta, errore nel considerare residente il contribuente, ecc.). Queste eccezioni vanno sollevate sin dal primo grado di giudizio per non precluderle.

3. Difesa della residenza fiscale (se contestata)

Uno scenario particolare ma frequente è quello del contribuente che si dichiara residente all’estero (in Grecia) e riceve un accertamento perché l’Agenzia lo considera invece ancora residente in Italia (e quindi tenuto a dichiarare i redditi mondiali). In questo caso la questione primaria da dirimere è proprio la residenza fiscale nell’anno oggetto di verifica.

Se l’Agenzia prova che il contribuente aveva ancora il centro degli interessi in Italia, allora tutti i redditi esteri (pensioni, conti, ecc.) diventano imponibili in Italia; viceversa, se il contribuente dimostra di essersi effettivamente trasferito in Grecia, l’Italia non può pretendere imposte sui redditi esteri successivi al trasferimento, in virtù sia del principio interno, sia dell’eventuale Convenzione.

La difesa su questo punto si articola così:

  • Dimostrare il trasferimento reale: produrre documenti che attestano che nell’anno X il contribuente viveva stabilmente in Grecia. Ad esempio: contratto di locazione o atto di acquisto di una casa in Grecia a partire da X, bollette e utenze a suo nome, certificato di iscrizione all’AIRE (fatto tempestivamente, entro 90 giorni dall’espatrio), eventuale permesso di soggiorno greco se non UE, iscrizione al sistema sanitario locale, apertura di conto bancario in Grecia con movimentazioni quotidiane, iscrizione a circoli/sociale, ecc.. Più prove concrete di vita quotidiana greca si hanno, meglio è. Vanno anche documentati i legami personali e familiari: se ad es. coniuge e figli si sono trasferiti in Grecia, se i figli sono iscritti a scuola in Grecia, queste sono evidenze forti che il centro degli interessi vitali si è spostato.
  • Dimostrare la rottura con l’Italia: parallelamente, conviene evidenziare la riduzione di legami in Italia: ad es. se si possedeva una casa in Italia e la si è venduta o affittata a terzi (non tenendola a disposizione), se si è cessata un’attività di lavoro in Italia, se ci si è cancellati dal medico di base e dall’anagrafe italiana (AIRE), ecc. Inoltre, mostrare quante pochissime volte ci si è recati in Italia in quell’anno (biglietti aerei, timbri passaporto, ecc.). Questo per evitare che l’Ufficio provi l’elemento “presenza fisica >183gg in Italia”.
  • Contestare presunzioni dell’Agenzia: l’Agenzia può applicare la presunzione di cui all’art. 2 comma 2-bis TUIR se pensasse che la Grecia fosse a fiscalità privilegiata – ma non lo è. Quindi, niente presunzione legale di residenza per espatrio in Grecia (diverso fosse Monaco o Cipro in passato, ecc.). Può però presumere, in base agli indici, che la residenza sia rimasta in Italia: ad es. se uno ha ancora casa, famiglia in Italia e solo fittiziamente un appartamento in Grecia. In tali casi il contribuente deve portare elementi sostanziali a suo favore (come sopra). Cautela: non basta dire “ho il certificato di residenza greco”, perché la Cassazione ribadisce che non è risolutivo da solo.
  • Invocare la Convenzione contro le doppie imposizioni (tie-breaker rules): se si dovesse risultare tecnicamente residenti per entrambe le legislazioni (doppia residenza, es. iscritto AIRE ma presenza >183gg in Italia), allora secondo l’art. 4 par.2 del Modello OCSE (applicato anche nel trattato Italia-Grecia) bisogna determinare un solo Stato di residenza fiscale seguendo criteri di prevalenza: abitazione permanente, centro degli interessi vitali (personali/economici), soggiorno abituale, cittadinanza in quest’ordine. Il contribuente in sede difensiva può far valere questi criteri. Ad esempio: “Anche se ho soggiornato 190 giorni in Italia nel 2024, la Convenzione Italo-Greca stabilisce che se il centro dei miei interessi è in Grecia (famiglia, lavoro lì), la residenza fiscale va attribuita alla Grecia”. Tali regole convenzionali non operano automaticamente, ma vanno invocate nel procedimento (eventualmente attivando un accordo amichevole tra Stati, ma più spesso direttamente in giudizio presentando le prove). Le autorità fiscali raramente applicano d’ufficio i tie-breaker, quindi spetta al contribuente sollevare la questione nel ricorso, chiedendo di essere considerato residente estero in virtù della Convenzione. Se il giudice accoglie, l’Agenzia dovrà rinunciare alla tassazione completa e potrà al più tassare i redditi prodotti in Italia come non residente.

Questa difesa “sulla residenza” è cruciale ad esempio per i pensionati esteri: molti italiani si sono trasferiti in Grecia per godere della flat tax 7%. L’Agenzia monitora questi casi con attenzione per scovare residenze fittizie. Se un pensionato riceve un questionario o accertamento, dovrà mostrare di aver davvero trasferito la sua vita (non solo la residenza formale). Consiglio pratico: preparate già un “dossier” con tutto: contratto casa in Grecia, iscrizione AIRE, prove che i 183 giorni li passate in Grecia (biglietti, etc.), conti correnti con spese lì, ricevute affitto italiana se avete affittato casa, etc. Più si forniscono elementi, più si ha chance di far cadere l’accusa di residenza fittizia. Nel caso di pensioni, inoltre, c’è il punto Convenzione: la pensione privata spetta solo al nuovo Stato, quindi anche se la normativa interna italiana dicesse che siete (erroneamente) residenti, il trattato potrebbe salvarvi attribuendo residenza alla Grecia. Queste argomentazioni vanno ben articolate nel ricorso e suffragate da prove.

4. Accertamento con adesione: negoziare con l’Ufficio

Una volta ricevuto l’avviso, il contribuente può valutare se attivare la procedura di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Si tratta di un procedimento facoltativo che consente di discutere con l’Agenzia per eventualmente trovare un accordo sulle somme dovute, evitando il contenzioso. L’istanza di adesione va presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o 30 giorni se era un invito a comparire preventivo), e comporta la sospensione dei termini di ricorso per 90 giorni.

Perché aderire? Vantaggi:

  • Riduzione delle sanzioni: in caso di accordo, tutte le sanzioni amministrative si applicano al 1/3 del minimo edittale. Ad esempio, una sanzione RW del 3% diventa 1% (1/3 di 3), una sanzione infedele del 90% diventa 30%. È un taglio significativo.
  • Rateazione comoda: le somme dell’adesione si possono pagare in 8 rate trimestrali (o 16 se importo alto).
  • Chiusura rapida e definitiva: si evita il processo e, una volta firmato l’accordo e pagato, l’Ufficio non potrà più perseguire oltre su quelle materie.

Svantaggi:

  • Bisogna rinunciare a far valere ragioni di nullità dell’atto: se l’atto magari è viziato e si sarebbe potuto vincere in giudizio, aderendo si accettano i tributi (anche se ridotti). Quindi l’adesione è consigliabile quando il contribuente riconosce sostanzialmente il debito (almeno in parte) e vuole solo mitigarlo, oppure quando i rischi di causa sono elevati.
  • Nessuna riduzione sulle imposte: l’Agenzia raramente sconta il dovuto, a meno di evidenti errori da parte loro. Più che altro concede sconti su sanzioni e interessi. Tuttavia, in materia estera, a volte l’Ufficio può riconsiderare alcune presunzioni (es. potrebbe accettare documenti sul fatto che il conto non ha prodotto interessi e quindi togliere quell’imposta). Quindi un po’ di trattativa sul merito è possibile.

In sede di adesione, il contribuente (con il suo difensore) avrà un colloquio con i funzionari. Strategie da usare nell’incontro:

  • Evidenziare eventuali errori dell’accertamento: es. “Avete calcolato interessi presunti per €5.000 ma ecco estratti conto a dimostrazione che erano zero”. Il funzionario, se convinto, potrebbe rettificare togliendo quell’imposta e relative sanzioni.
  • Sostenere le proprie ragioni con misura, proponendo magari una qualificazione alternativa: es. l’Ufficio ha tassato un certo reddito come “dividendo” (aliquota 26%) ma il contribuente prova che era restituzione di capitale (non tassabile) – potrebbe convincerli a rimuoverlo. Oppure discutere sulla competenza temporale: se un reddito era di un altro anno, si può spostarlo e forse quell’anno è decaduto.
  • Far leva su eventuali incertezze normative o documenti interpretativi a favore: ad esempio, in qualche Circolare dell’Agenzia stessa. Mostrare che si è in grado di argomentare anche in giudizio.
  • Mostrarsi collaborativi ma fermi: l’obiettivo dell’adesione è trovare un punto d’incontro. Se il contribuente ad esempio ha prove su metà delle somme, può proporre: “Riconosco che una parte è da sanzionare, ma su questa parte chiedo di soprassedere per i motivi X; sulle sanzioni applicatemi il minimo”. In genere, il funzionario, pur dovendo far cassa, preferisce un accordo ragionevole che porti a incassare subito piuttosto che rischiare di perdere tutto in giudizio.

Se si raggiunge un accordo, si sottoscrive un atto di adesione con le nuove somme. È importante leggere bene: talvolta l’ufficio, nel concedere qualcosina, chiede in cambio la non impugnabilità su altre questioni. Ma per legge, firmato l’atto, non si può più far ricorso su quella materia; quindi deve andare bene.

Un aspetto: l’adesione, se avviata, sospende il termine di impugnazione per 90 giorni oltre i 60 iniziali. Ciò significa che, anche se non si trovasse accordo, quei 90 giorni sono tempo utile in più per poi fare ricorso. Quindi in alcuni casi il contribuente presenta istanza di adesione anche solo per prendere tempo (guadagnare 3 mesi) e preparare meglio il ricorso. È un’opzione tattica.

In sintesi, l’adesione è consigliabile quando:

  • Le prove a proprio discarico non sono fortissime e c’è rischio di soccombere in giudizio;
  • L’importo in gioco non è sproporzionato e si preferisce chiudere pagando qualcosa subito, evitando incertezza;
  • Si punta a ridurre drasticamente le sanzioni (1/3 del minimo è in genere più favorevole di quanto un giudice potrebbe eventualmente ridurre);
  • Si vuole evitare i costi e i tempi del contenzioso.

Di contro, se l’accertamento è palesemente infondato (es. notifica nulla, anno prescritto, o il contribuente ha ragione documentale evidente su tutto) allora conviene fare ricorso e andare fino in fondo per annullarlo.

5. Ricorso in Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)

Se non si è aderito o l’adesione è fallita, l’unica via è il ricorso giurisdizionale. Come detto, ora le Commissioni si chiamano Corti di Giustizia Tributaria (riforma 2022), ma la sostanza non cambia: primo grado provinciale, secondo grado regionale e infine ricorso per Cassazione. Il ricorso di primo grado va notificato all’Ufficio entro 60 giorni (estesi a 150 se c’è stata adesione senza esito) dalla notifica dell’avviso.

Strutturazione del ricorso: andranno indicati i motivi di diritto e fatto su cui ci si basa. In un caso di redditi esteri, i motivi tipici sono:

  • Contestazione della residenza fiscale (se applicabile), come discusso sopra, con argomenti e documenti a supporto.
  • Eccezione di decadenza per le annualità prescritte (se ve ne sono).
  • Nullità parziale dell’atto per difetto di motivazione (ad esempio, se l’Agenzia non ha spiegato l’origine dei dati esteri o non ha indicato il criterio di calcolo delle imposte).
  • Errata applicazione di norme convenzionali: es. mancato riconoscimento del credito d’imposta estero, violazione art. 24 Convenzione.
  • Travisamento dei fatti: es. si prova che il conto era cointestato con un familiare e in realtà la metà era già dichiarata da quest’ultimo, oppure che un importo accreditato sul conto greco non è un reddito ma uno spostamento di fondi personali (no imponibilità).
  • Presunzioni non motivate adeguatamente: il ricorso può censurare se l’Ufficio ha usato presunzioni senza verificare prove contrarie offerte. Ad esempio, si può scrivere: “L’Ufficio ha erroneamente applicato la presunzione di fruttuosità nonostante il contribuente avesse prodotto in sede di adesione gli estratti conto attestanti l’assenza di interessi. Tale comportamento viola i principi di collaborazione e buona fede ex L.212/2000 e rende l’accertamento in parte infondato”.
  • Sproporzione delle sanzioni e buona fede: chiedere al giudice, in subordine, di ridurre le sanzioni al minimo, evidenziando eventuali elementi di buona condotta (ad esempio: il contribuente si è attivato subito per pagare il dovuto appena ricevuto l’avviso, depositando €X = attenuante, da considerare ai fini sanzionatori; oppure la normativa era incerta e indubbiamente di difficile interpretazione, quindi sussistono le condizioni dell’esimente ex art. 6 co.2 D.Lgs. 472/97 per escludere le sanzioni).

Nel processo tributario, l’onere della prova in parte ricade sul contribuente quando si tratta di fatti a lui noti (es. origine dei fondi, estinzione di obblighi, esimenti). Quindi è fondamentale allegare al ricorso o depositare successivamente tutti i documenti utili:

  • Estratti conto esteri di tutti gli anni, per dimostrare movimenti e interessi.
  • Contratti bancari che mostrano i tassi (se zero).
  • Documenti reddituali italiani passati che mostrano che si avevano risparmi sufficienti per giustificare quelle somme all’estero (così da vincere l’idea di redditi “nascosti”).
  • Eventuali certificazioni del fisco greco su imposte pagate in Grecia (per avvalorare il credito d’imposta).
  • Documenti sullo status di residente in Grecia (se rileva).
  • Insomma, documentazione massiva: meglio presentare troppi documenti che pochi. La Corte di Cassazione ha chiarito più volte che in materia di esterovestizione ed estero, l’onere della prova se si vuole vincere le presunzioni è sul contribuente. Quindi il ricorrente deve “riempire” il fascicolo di tutto quanto possa supportare le sue affermazioni.

Discussione in giudizio: i procedimenti tributari spesso si decidono sulle carte, ma la difesa può evidenziare oralmente i punti salienti all’udienza. Ad esempio, si potrà sottolineare al Collegio come Cassazione e giurisprudenza di merito hanno trattato casi analoghi:

  • Es. citare Cass. n. 7682/2016 e 20032/2011 a sostegno del fatto che la presunzione di interessi esteri è superabile.
  • Citare Cass. n. 19188/2015 che afferma che se il contribuente ha aderito a Voluntary Disclosure, le sue violazioni penali si estinguono (utile se nel frattempo si era fatto disclosure, benché tardiva).
  • Citare eventuali sentenze CTR favorevoli (es. una CTR Lombardia 2020 potrebbe aver annullato sanzioni RW in un caso borderline).
  • Citare anche sentenze UE: quella contro la Spagna C-788/19 può essere usata per dire “attenzione a sanzioni troppo alte”, anche se Cass. 2024 ha distinto il caso italiano come visto. Però almeno tentare di far leva sul principio di proporzionalità UE.

Il giudice tributario deciderà se l’accertamento è fondato o meno. Possibili esiti:

  • Accoglimento totale del ricorso: l’avviso viene annullato in toto. Esempio: giudice concorda che il contribuente era residente in Grecia, quindi annulla la pretesa su redditi esteri (magari lasciando solo quelle su redditi italiani se ve ne erano). Oppure annulla per vizio procedurale insanabile (notifica nulla).
  • Accoglimento parziale: il giudice può annullare in parte l’atto. Ad esempio: ritiene valide le imposte ma abbassa le sanzioni al minimo; oppure esclude un anno prescritto ma conferma gli altri; oppure accoglie il credito d’imposta estero riducendo l’importo.
  • Rigetto del ricorso: se il giudice ritiene corretta la tesi del Fisco e non valuta sufficienti le prove del contribuente, rigetta. In tal caso l’atto diviene definitivo (salvo appello). Si dovrà pagare il dovuto, a meno di proseguire nel grado successivo sperando di ribaltare.

Appello e Cassazione: sia il contribuente sia l’Agenzia possono appellare la sentenza di primo grado entro 60 giorni dalla notifica della stessa. In secondo grado si rivalutano i motivi. Infine, la Cassazione è possibile solo per motivi di diritto. Ad esempio, se la CTR non ha riconosciuto un credito d’imposta estero, il contribuente può fare ricorso in Cassazione per violazione della Convenzione; oppure l’Agenzia può ricorrere se la CTR ha annullato l’atto per un formalismo che ritiene errato.

Va segnalato che dal 2023 sono stati introdotti giudici tributari professionali e, in certe cause, il giudice monocratico sotto i 3.000 euro di valore. Nel nostro contesto, spesso gli importi superano tale soglia, quindi si andrà davanti a un collegio. Ma se il valore della lite (solo imposte, senza interessi e sanzioni) è inferiore a 3.000 euro, un giudice unico deciderà in primo grado.

Costo del contenzioso: il contribuente, se soccombente, può essere condannato alle spese di giudizio, ma in genere nei tributi ognuno paga le proprie salvo casi di soccombenza totale e manifesta infondatezza. Inoltre c’è il costo del contributo unificato (circa €30 fino a 5.000 euro di valore, poi a salire).

Un elemento finanziario da ricordare: presentando ricorso, bisogna versare una somma provvisoria pari di norma a 1/3 delle imposte accertate (non delle sanzioni). Precisamente, dopo 60 giorni dall’avviso (se nessuna sospensione), l’atto diventa esecutivo limitatamente a 1/3 dei tributi accertati e interessi, che vengono affidati in riscossione. Questo accade anche se avete fatto ricorso, a meno che chiediate e otteniate una sospensione dell’esecutività dal giudice. Nei casi di accertamenti su estero, è possibile chiedere al giudice di sospendere la riscossione di quel 1/3 se ricorrono gravi motivi (es. il pagamento vi manderebbe in rovina) e fumus di fondatezza nel ricorso. Se accordata, non si paga nulla finché la causa è pendente. Se non si chiede o non viene accolta, bisogna essere pronti a pagare quel terzo (o eventualmente rateizzarlo con l’Agente della Riscossione) durante la causa. Se poi vincete, vi sarà restituito.

In conclusione, il processo tributario è l’arena finale in cui far valere tutte le proprie ragioni. Con una preparazione meticolosa e se si dispone di valide prove (o di interpretazioni normative a favore), si hanno buone chance di successo o almeno di una significativa riduzione delle pretese. Molte controversie su conti esteri si risolvono con vittorie parziali del contribuente (ad esempio sanzioni drasticamente abbattute perché sproporzionate, crediti d’imposta riconosciuti, ecc.). Anche una transazione in appello è possibile (la legge consente definizioni agevolate con sconto sanzioni in appello in certi casi).

6. Esempi pratici di difesa in casi frequenti

Vediamo ora, riassuntivamente, alcuni casi concreti tipici e come difendersi in ciascuno, dal punto di vista del contribuente italiano.

Caso 1: Conto corrente in Grecia non dichiarato (saldo elevato, interessi modesti).
Scenario: Il signor Rossi, residente in Italia, ha un conto a Salonicco con saldo medio €80.000 dal 2018, mai indicato in RW. Non ha altri redditi dal conto se non piccolissimi interessi (50-100 € l’anno). Nel 2025 riceve lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate che segnala il conto non dichiarato 2018-2019-2020.
Rischi se ignorato: Avviso di accertamento con sanzione RW 3-15% su €80.000 per ciascun anno (minimo €2.400 per anno, totale minimo €12.000 per 5 anni), più imposta sugli interessi non dichiarati (26% di circa €300 totali = €78) con sanzione infedele 90% (€70). Totale oltre €12.000 di sanzioni.
Difesa: Poiché ha ricevuto la lettera ed è ancora in tempo, la mossa ideale è ravvedimento operoso: presentare subito le integrate RW per 2018-2019-2020-2021-2022, pagare IVAFE se dovuta (nel 2018-2019 la giacenza >5k quindi €34,20 annui) e pagare le sanzioni RW ridotte: ad esempio per 2018 (5 anni di ritardo) sanz. base 3% = €2.400, ridotta 1/6 = €400; simili per gli altri anni, in totale circa €2.000 di sanzioni invece di 12.000. Inoltre pagherà il 26% sugli interessi non tassati (€78) + sanzione infedele 1/6 di 90% (circa €12). Quindi con forse €2.500 risolve tutto. L’Agenzia probabilmente non emetterà alcun avviso, avendo sanato Rossi la violazione spontaneamente.
Se ormai arrivato avviso: Rossi dovrebbe comunque portare estratto conto che provi gli interessi minimi per far eventualmente cadere la presunzione di maggiori interessi (il Fisco potrebbe aver presunto qualche centinaio di € in più). In adesione o in ricorso punterebbe a ridurre le sanzioni al minimo evidenziando la collaborazione (magari nel frattempo versa quell’1/3 e chiede clemenza su sanzioni). Data la modesta entità dell’imposta evasa, può anche chiedere la non punibilità per particolare tenuità se fosse un reato (ma non lo è qui perché €78 di imposta evasa è poco). In giudizio, probabile esito: dovrà pagare l’IVAFE e la sanzione minima del 3% annuo (circa €2.400 x 5 = €12.000) a meno che convinca il giudice di avere diritto a un’ulteriore riduzione per buona fede (difficile). Meglio ravvedersi prima insomma.

Caso 2: Immobile in Grecia non dichiarato e affittato (doppia residenza contestata).
Scenario: La signora Bianchi, pensionata, si è trasferita a Creta nel 2021 comprando una casa, ma non si è iscritta all’AIRE e torna spesso in Italia dove ha ancora una casa. La casa di Creta viene affittata ai turisti su Airbnb per €10.000 l’anno. La Bianchi non ha dichiarato né l’immobile (niente RW né IVIE) né i redditi da locazione in Italia. Nel 2024 l’Agenzia le notifica un accertamento: la considera ancora residente in Italia (non essendosi iscritta AIRE e avendo presenza in Italia) e le contesta per 2021 e 2022 la mancata indicazione dell’immobile estero (sanzione 3-15% su valore casa €200.000 => €6.000 min. per anno) e i redditi di locazione €10.000/anno tassati IRPEF (aliquota marginale 38%, imposta €3.800/anno) + sanzione infedele 90% (€3.420/anno). Totale preteso circa €20.000 tra imposte e sanzioni.
Difesa: Qui il nodo cruciale è la residenza fiscale. Se Bianchi dimostra di essere veramente residente in Grecia nel 2021-22, l’Italia non può tassare i redditi immobiliari esteri (la Convenzione li riserverebbe alla Grecia e l’Italia darebbe credito). Inoltre, l’obbligo RW e IVIE sarebbe venuto meno se lei non era più residente. Dunque la strategia è produrre tutto il possibile per provare che era residente in Grecia: contratto acquisto casa a Creta, ricevute di spese correnti lì, testimonianze che vive abitualmente lì, biglietti aerei a dimostrare più di 183gg fuori dall’Italia. Anche se non iscritta AIRE (male), sottolineare che la non iscrizione non è più presunzione assoluta e portare altri elementi di fatto. Possibilmente invocare la tie-break rule della Convenzione: se lei può dire “abitazione permanente solo in Grecia” (dovendo la casa in Italia risultare magari affittata a terzi o data via) allora il trattato le darebbe ragione. Se riesce, l’accertamento va annullato integralmente: non era residente => niente obblighi in Italia su quell’immobile/affitti.
Se invece la sua posizione è fragile (in realtà stava molto in Italia e casa ITA a disposizione), conviene puntare a un accordo in adesione: magari far qualificare quel reddito da locazione come imponibile solo in Grecia secondo la Convenzione (non facile: reddito immobiliare è tassabile anche in Italia se residente) o almeno ottenere il credito d’imposta per le tasse pagate in Grecia su quegli affitti. Se ha pagato l’imposta greca sugli affitti (supponiamo 15% = €1.500/anno), allora l’Italia deve scomputarla: la Bianchi si assicurerebbe che nel calcolo finale l’IRPEF italiana di €3.800 venga ridotta di €1.500, a €2.300 per anno. Inoltre, in adesione otterrebbe sanzioni al 1/3: RW passa da 3% a 1% (€2.000/anno), infedele da 90% a 30% (€1.026/anno). Totale due anni: IVIE 0,76% (€1.520/anno, ipotizzando nessuna imposta patrimoniale greca), affitti €2.300 imposta netta, sanz RW €2.000, sanz infedele €1.026, per anno ≈ €6.846, per due anni ≈ €13.692. Meglio di 20k.
In giudizio, i suoi assi nella manica potrebbero essere: se convincente sulla residenza, vincerà tutto; se no, almeno le sanzioni potrebbero essere ridotte dal giudice se dimostra confusione normativa (magari lei credeva di essere residente estero e che quell’immobile non andasse dichiarato, c’era “incertezza” – plausibile data la riforma 2024). Inoltre, punterebbe sul credito d’imposta per affitti e sulla deduzione ENFIA dall’IVIE.
Outcome probabile: se Bianchi non ha prove forti di residenza greca, l’avviso sarà confermato per gran parte, ma con riduzione sanzioni (il giudice tende a mettere il minimo 3% RW e 90% infedele se l’ufficio aveva usato più del minimo; può ridurre a zero per non colpevolezza, ma è raro). Invece, se appare un caso di “pensionata ignara che pensava di poter non dichiarare”, il giudice potrebbe annullare le sanzioni per obiettiva incertezza. Tutto dipende dalla narrativa e dalle prove.

Caso 3: Dividendi da società greca non dichiarati.
Scenario: Un imprenditore italiano, socio al 50% di una società in Grecia, percepisce nel 2022 un dividendo di €100.000. In Grecia è stata applicata alla fonte una ritenuta del 5%. Lui però in Italia non dichiara quel dividendo. L’Agenzia, incrociando i dati (magari perché la banca greca l’ha comunicato via CRS come flusso di denaro), notifica accertamento: richiede l’imposta italiana sul dividendo (26% di 100k = €26.000), con credito nullo perché lui non l’ha chiesto; applica sanzione infedele 90% = €23.400; e sanzione RW se la partecipazione >10% andava dichiarata (supponiamo di sì: 3% sul valore della partecipazione, diciamo valore quota €500k => €15.000). Totale circa €26.000+€23.400+€15.000 = €64.400 più interessi.
Difesa: In realtà, lui ha subito 5% di ritenuta greca (€5.000). Ha diritto a un credito d’imposta di €5.000. Quindi l’imposta italiana doveva essere solo €21.000 netta. Il primo passo è dunque far valere la Convenzione art. 24. Se l’Agenzia non l’ha considerato, in adesione si chiede subito di detrarre quei €5.000 (serve certificazione della società greca o moduli UE). Già così la pretesa scende a €59.400. Poi, la sanzione RW su partecipazione estera: bisogna vedere se l’imprenditore aveva già dichiarato la società in quadro RW (spesso chi ha società estere dichiara la quota, ma poniamo di no). Se la dimenticanza c’è, la sanzione c’è. Si può però controllare il valore dichiarato: spesso il valore di partecipazioni estere è di difficile stima, magari l’azienda greca vale meno di 500k o c’erano passività. Se si trova un appiglio per dire che 15k di sanzione è su valore sovrastimato, meglio.
Focus difesa: sostanziale, è un reddito di capitale, quindi non soggetto a progressività IRPEF ma a imposta sostitutiva 26%. L’Ufficio a volte erroneamente può averlo trattato come reddito ordinario: in tal caso c’è errore di diritto (il 26% è imposta sostitutiva, tecnicamente andava in quadro RM e sanzione omesso versamento, non infedele). Questo può complicare la contestazione: alcuni uffici commettono sbavature sulla qualificazione. In giudizio si può far leva su eventuali errori concettuali: se l’avviso qualificava male il reddito (es. come lavoro autonomo o altro).
Infine, evidenziare eventualmente intento collaborativo: se lui versa subito i €21.000 di imposte e magari parte delle sanzioni, in giudizio chiedere quantomeno la riduzione sanzioni al minimo. Citare magari la circolare dell’Agenzia che equipara dividendi esteri a quelli italiani etc. Non c’è molta incertezza su obbligo dichiarativo dei dividendi esteri, quindi la sanzione 90% è difficilmente eliminabile per buona fede, però si può sperare in una riduzione (il giudice potrebbe applicare 90% del tributo al netto del credito estero e calcolare su €21.000 invece che 26.000, riducendo di poco).
Adesione: conviene: sanzione infedele scende a 30% e RW a 1% = €7.000 + €5.000, totale €12.000 di sanzioni invece di 38.400. L’imposta resta €21.000. Totale €33.000. Molto meglio di €59k. Probabile che l’Ufficio accetti, essendo appunto un caso chiaro.
Se contenzioso: l’imprenditore ha poche chance di annullare l’atto (il dividendo c’era ed era imponibile). Otterrà al più il riconoscimento del credito d’imposta estero (€5k) se l’Ufficio ostinato non l’avesse dato prima (ma il giudice glielo deve dare, è diritto convenzionale). E forse sanzioni minime. Quindi meglio negoziare.

Caso 4: Trasferimento di denaro dall’Italia alla Grecia contestato come reddito.
Scenario: Un contribuente nel 2020 trasferisce €300.000 dal suo conto italiano a un nuovo conto greco. Non dichiara il conto greco. L’Agenzia vede l’uscita di fondi (magari tramite antiriciclaggio) e l’omessa RW, e sospetta siano soldi “in nero” portati fuori. Accerta nel 2025: contesta omessa dichiarazione del conto (sanzione 3% di 300k = 9.000) e presume che i €300k siano redditi sottratti a tassazione, dunque li tassa come “redditi diversi” 2020 per €300k (aliquote marginali, supponiamo 43% = €129.000 imposta) + sanzione infedele 90% = €116.100. Totale spaventoso: oltre €254.000. Il contribuente in realtà aveva prelevato quei €300k da conti italiani frutto di risparmi accumulati e già tassati in passato (vendita di un immobile ereditato).
Difesa: Questo è proprio il caso tipico della presunzione art. 12 D.L.78/09: il Fisco applica la presunzione di evasione sull’origine dei fondi esteri. Chiave di difesa: prova documentale dell’origine dei €300k. Ad esempio, produrre l’atto di vendita dell’immobile ereditato, mostrare che l’incasso (€300k) era stato dichiarato esente (la vendita di immobile dopo tot anni non genera plusvalore tassabile) e che quei soldi sono transitati dal conto italiano al greco. In pratica, creare la catena: eredità -> vendita -> bonifico sul conto italiano -> bonifico verso conto greco. Se si riesce a documentare tutto questo (contratti, estratti conto con date e importi combacianti), la presunzione viene vinta. Quindi i €300k non sono reddito imponibile (erano capitale già esente). L’unica violazione rimane il quadro RW non compilato: sanzione 3-15% su 300k = €9.000-€45.000. Si può cercare di mitigare anche quella: magari invocare che era il primo anno, scusarsi, ecc. Ma quella difficilmente sparisce del tutto.
Se l’Agenzia viene convinta in adesione, potrebbe annullare l’imposta su €300k e ridurre la sanzione RW al minimo 3% (1/3 in adesione = 1%, quindi €3.000). Il contribuente firmerebbe volentieri.
Se invece l’Ufficio è rigido o il contribuente non fornisce prove forti, in giudizio dovrà farlo: portare gli atti di cui sopra. Cassazione e CTR hanno più volte affermato che se il contribuente dimostra origine non imponibile dei fondi, la presunzione crolla. Ad es., una Cass. del 2017 (citata magari in ricorso) diceva proprio che la vendita di un immobile con atto notorio può provare la provenienza lecita e precludere la tassazione come nero. Quindi le chance di far annullare quell’imposizione di €129.000 sono alte se la documentazione è convincente. Rimarrà la sanzione monitoraggio, forse il giudice la applicherà al minimo 3%.
Quindi outcome atteso: niente tassazione €300k, sanzione RW minima. Di €254k iniziali, magari finisce a €9k + interessi.
Questo esempio evidenzia l’importanza di contrastare le presunzioni con evidenze: il contributore deve prepararsi come se fosse un investigatore finanziario della propria vita, producendo ogni prova che i capitali esteri non sono redditi nascosti. Se lo fa, ha buone probabilità di successo.

7. Domande frequenti (FAQ)

D: Ho un conto corrente in Grecia con pochi soldi, devo dichiararlo lo stesso?
R: Dipende dall’importo. Se il valore massimo del conto non ha mai superato 15.000 € nell’anno e la giacenza media è stata ≤5.000 €, allora sei esonerato dal dichiararlo in RW. Ad esempio, conto con saldo massimo €10.000 e media €4.000 → niente RW e niente IVAFE. Se però la giacenza media supera 5.000 € (anche con saldo max sotto 15.000), devi comunque compilarlo per versare l’IVAFE (imposta fissa €34,20). Invece, se il saldo massimo supera 15.000 € anche solo per un giorno, scatta l’obbligo di monitoraggio a prescindere. In sintesi: conti piccoli generalmente no, conti oltre 15k sì. Ricorda però: se il conto genera interessi (anche pochi euro), quelli vanno dichiarati come reddito di capitale. Non c’è esonero di soglia per i redditi: anche €10 di interessi esteri sarebbero teoricamente imponibili (in pratica, se trascurabili, difficilmente fanno accertamento, ma per scrupolo andrebbero dichiarati).

D: L’Agenzia può davvero scoprire il mio conto in Grecia? C’è il segreto bancario?
R: Il segreto bancario di fatto non esiste più a livello internazionale per fini fiscali. Tramite il Common Reporting Standard (CRS), le banche greche comunicano al fisco greco i conti dei non residenti, e i dati arrivano all’Italia automaticamente. Ogni anno, entro settembre, l’Italia riceve informazioni su saldi e interessi dei conti intestati a residenti italiani in Grecia. Inoltre, Grecia e Italia essendo UE cooperano strettamente: la Grecia è nella “white list” italiana (adeguato scambio di info). Quindi , l’Agenzia può scoprirlo, anzi è probabile che lo sappia già se sono passati un paio d’anni. A conferma, dal 2017 in poi molti contribuenti hanno ricevuto lettere di compliance basate proprio su dati di conti esteri (Svizzera, San Marino, ma anche Grecia, Francia, ecc.). In pratica, non conviene fare affidamento sul segreto bancario: meglio dichiarare spontaneamente.

D: Ho ricevuto un’email (o lettera) dalla banca greca che mi chiedeva il TIN (tax identification number) italiano per CRS. Cosa significa?
R: Significa che la tua banca, per normativa CRS, deve classificare i clienti non residenti e riportare alle autorità i loro identificativi fiscali (il TIN è il codice fiscale). Se non l’hai fornito, la banca non potrà classificarti correttamente. Ma in ogni caso, avrà segnalato il conto come potenzialmente di soggetto italiano. Quindi quell’informazione, codice fiscale incluso, finirà nel pacchetto di dati trasmessi all’Italia. Insomma, è un adempimento formale, ma la sostanza è che sei nel radar. Ignorare la richiesta non blocca il flusso (anzi, rischi che la banca ti classifichi male o segnali comunque). Meglio rispondere e regolarizzare la posizione fiscale.

D: Ho una casa in Grecia ereditata tanti anni fa che non ho mai indicato in Italia. Non ci guadagno nulla (nessun affitto), devo aspettarmi sanzioni?
R: Purtroppo sì, c’è l’obbligo di dichiararla in Quadro RW anche se non produce reddito (perché soggetta a IVIE, salvo crediti per l’eventuale imposta locale). L’Agenzia può scoprirla? Finora il CRS scambia info finanziarie, non catastali. Però se, ad esempio, tu paghi tasse in Grecia per quella casa o la vendi e i soldi arrivano su un conto, indirettamente possono accorgersene. Ci sono anche progetti UE per scambiare dati immobiliari. Il rischio quindi c’è. Se la dichiari spontaneamente ora, pagherai l’IVIE (0,76% annuo sul valore, con detrazione imposta locale greca se pagata) e la sanzione RW in forma ridotta col ravvedimento. Se attendi un accertamento, pagherai sanzioni piene 3-15% anno su valore. Considera anche che se è seconda casa estera, dovevi pagare l’IVIE: l’omissione di IVIE è imposta evasa (sanzione 30% per omesso versamento). La somma può crescere. Quindi, prudente procedere a regolarizzare. Essendo ereditata “tanti anni fa”, attento ai termini: l’obbligo c’è dal 2012 (introduzione IVIE). Gli anni precedenti 2012 non li contestano perché il quadro RW esisteva ma non c’era IVIE (c’erano comunque sanzioni monitoraggio, ma se son passati oltre 5 anni son prescritte). Dovresti sanare dal 2012 in poi se mai fatto.

D: Sono un pensionato che si è trasferito in Grecia aderendo alla flat tax 7%. L’Italia continua a mandarmi la tassazione sulla pensione italiana, come devo fare?
R: Questo è un caso comune. Se sei residente fiscale in Grecia e hai optato per il regime 7% lì, la tua pensione italiana dovrebbe essere esente in Italia in base alla Convenzione (trattandosi di pensione privata). L’INPS però spesso continua ad applicare la ritenuta IRPEF finché non riceve dagli enti competenti la comunicazione dello status di non residente convenzionale. Devi presentare all’INPS (o ex-Inpdap se pubblica) il modulo EP-I/Grecia o simili, con attestazione dell’autorità fiscale greca che sei residente e assoggettato a tassazione lì, chiedendo l’applicazione dell’art. 18 della Convenzione. In parallelo, se l’Agenzia Entrate italiana ti ha inviato un questionario per verificare la residenza, rispondi allegando: iscrizione AIRE, certificato di residenza fiscale greco, prova che paghi il 7% in Grecia, ecc. Se hai ricevuto un avviso di accertamento che ti considera residente in Italia (quindi tassabile qui), devi fare ricorso invocando la Convenzione e fornendo tutte le prove del reale espatrio. Spesso l’Agenzia è scettica e tocca al giudice riconoscere la tua non residenza in Italia. Ma con documenti solidi vinci. Inoltre, hai diritto al rimborso delle imposte eventualmente già trattenute in Italia sulla pensione dopo il trasferimento: puoi chiederlo entro 48 mesi dall’anno in cui hai pagato, presentando istanza di rimborso per i non residenti (art. 163 TUIR). Alcuni preferiscono far dialogare direttamente i due Stati con la procedura di accordo amichevole prevista dal Trattato (art. 25), ma è lunga. In pratica: difendi strenuamente il tuo status di residente estero esibendo quanti più elementi sostanziali possibili. Non basta aver cambiato residenza anagrafica, servono presenza all’estero, legami, ecc. In caso di contestazione, è vivamente consigliato farsi assistere da un fiscalista esperto di contenzioso internazionale, data la tecnicità.

D: L’Agenzia mi ha mandato un questionario chiedendo se possiedo conti all’estero e di indicare eventuali movimentazioni. Devo rispondere?
R: Sì, è obbligatorio. Il questionario (art. 51 DPR 633/72 richiamato per imposte dirette) è un atto istruttorio formale: non rispondere o rispondere falsamente è sanzionato (sanzione fissa, e può costituire indizio negativo). Conviene rispondere con verità, ma strategicamente. Se effettivamente hai conti o investimenti esteri non dichiarati, sei ormai nel mirino: rispondendo, puoi però allo stesso tempo comunicare di aver già avviato la regolarizzazione (magari alleghi copia delle dichiarazioni integrative inviate in ravvedimento, o manifesti l’intenzione di aderire a breve). Questo potrebbe indurre l’ufficio a non proseguire con un accertamento duro, attendendo la tua sanatoria. Se invece non avevi nulla all’estero, dichiaralo e amen (magari ti confondevano con un omonimo). Fare finti “gnorri” è sconsigliato: se menti e poi scoprono che avevi il conto, la tua posizione peggiora (dimostri poca collaborazione, male in ottica di sanzioni e giudizio). In sintesi: rispondi entro il termine indicato (di solito 30 giorni), allegando la documentazione richiesta (es. estratti conto) se ce l’hai. E usa la risposta anche per raccontare la tua versione: es. “Sì, ho il conto X in Grecia, non l’ho indicato per errore ritenendo che non fosse sopra soglia, ma provvederò al ravvedimento”. Sarà tutto verbale utilizzabile più avanti, quindi stai attento a quello che dichiari (meglio farsi aiutare da un avvocato nel redigere la risposta, per non ammettere cose non dovute, ma al contempo non inguaarsi).

D: Se faccio una voluntary disclosure adesso, posso evitare l’accertamento sui fondi esteri?
R: Al momento (2025) non c’è una procedura di voluntary disclosure aperta per i capitali esteri. Ci sono state in passato due edizioni (2015 e 2017) che garantivano anche uno scudo penale. Oggi si può solo usare il ravvedimento operoso ordinario. Qualche differenza: il ravvedimento non dà protezione penale se ci fossero reati (ma questi nel tuo caso probabilmente non ci sono, a meno di enormi evasioni), e devi calcolare tu sanzioni e interessi. Con la VD, l’agenzia calcolava e applicava sanzioni ridotte 1/6. Col ravvedimento di fatto arrivi a pagare 1/6 se superati 2 anni. Quindi l’effetto è simile, salvo il penal. Dunque, se temi un accertamento, agisci con ravvedimento. Non aspettare sperando in una nuova voluntary: potrebbe non esserci a breve, e intanto potresti subire controlli. Nota: la voluntary disclosure serviva anche per regolarizzare somme frutto di reati diversi (es. riciclaggio), ma se il tuo problema è solo fiscale, ravvedimento è sufficiente. Anzi, la Cassazione ha detto che chi aderisce a voluntary o ravvedimento e paga tutto non è punibile penalmente per i reati di dichiarazione infedele (perché manca l’intento fraudolento, essendosi autodenunciato). Quindi, per il principio del favor rei, se ti autodenunci e sistemi, difficilmente ti perseguitano penalmente dopo.

D: Dopo quanti anni posso stare tranquillo che non mi facciano accertamenti sui redditi esteri?
R: Dipende, come visto, dai termini di decadenza. In generale: 5 anni dopo l’anno fiscale, se hai presentato la dichiarazione (anche se incompleta); 7 anni dopo se non l’hai presentata. Ad esempio, per il 2018 (dichiarazione 2019) l’accertamento può arrivare fino al 31/12/2025. Quindi, superato quel termine senza atti, quell’annualità è in salvo. Per conti in Paesi black list non dichiarati c’era il raddoppio a 10 anni, ma la Grecia non è black list. Attenzione però: se commetti reato tributario (es. omessa dichiarazione con imposta evasa >50k), il termine si allunga di molti anni per effetto della sospensione legata al procedimento penale. Quindi in casi gravi la tranquillità arriva solo dopo anche 8-10 anni. Ma per casi standard, direi: 5 anni. Uno scenario: hai dimenticato di dichiarare un conto nel 2015 e non c’era imposta evasa. Dal 1° gennaio 2022 quell’anno è decaduto (5 anni finiti a fine 2021). L’ufficio non può più sanzionarti. Tieni però presente: se quell’omissione 2015 è collegata a una condotta continuativa (es. stesso conto tenuto nascosto anche negli anni successivi ancora accertabili), potrebbero comunque considerare l’intero contesto. In pratica, formalmente per l’anno 2015 non possono farti nulla dal 2022 in poi, ma se scoprono nel 2023 il conto e vedono che esisteva dal 2015, useranno i dati del 2015 come elemento indiziario per contestare gli anni aperti (2016-2021 ad esempio). Quindi “tranquillo” al 100% non sei se la posizione è proseguita. Inoltre, il ravvedimento è sempre possibile anche per anni prescritti (pagando per mettere la coscienza a posto, se volessi). Ma legalmente, dopo i termini, non ti possono più notificare avvisi per quegli anni.

D: Cosa rischio in concreto se ignoro un avviso di accertamento su redditi esteri e non pago?
R: Se lo ignori totalmente, dopo 60 giorni l’avviso diventa definitivo. L’Agenzia iscriverà a ruolo l’importo dovuto (imposte + sanzioni + interessi) e l’Agente della Riscossione ti notificherà una cartella di pagamento. A quel punto hai circa 60 giorni per pagare, altrimenti partiranno le azioni esecutive: fermo amministrativo su veicoli, ipoteca su immobili di tua proprietà in Italia, pignoramenti su conti correnti o su stipendi/pensioni. Se risiedi in Grecia e non hai beni in Italia, attiveranno la mutua assistenza europea: l’Italia chiederà alla Grecia di riscuotere per suo conto. La Grecia può quindi pignorarti beni/locali in base alla richiesta italiana (c’è un meccanismo per cui la cartella italiana viene “tradotta” in un titolo greco da eseguire). Questo ovviamente richiede un importo significativo (non lo fanno per poche centinaia di euro), ma per decine di migliaia sì. Inoltre, il debito genererà interessi di mora. Ignorare non porta benefici, anzi: perdi la chance di difenderti e aumenti i costi (aggiungendo aggio di riscossione, more, ecc.). Nel lungo termine, potresti subire il blocco di beni ovunque ti trovino. Vale anche ricordare: un avviso definitivo non impugnato preclude in radice ogni discussione sul merito (non potrai poi contestare dicendo “non dovevo pagare” – dovevi farlo entro i 60 gg iniziali). Quindi il rischio è di pagare tutto e di più. Se proprio non hai liquidità, era meglio cercare un accordo o rateizzare volontariamente: l’Agente ti dà fino a 72 rate mensili se ne fai richiesta prima del decadere. Ma se ignori e arrivi al pignoramento, perdi anche la facoltà di rate facile e potrai solo chiedere dilazioni su cartella. Insomma, ignorare un avviso è la scelta peggiore. Meglio presentare un ricorso, anche solo per guadagnare tempo ed eventualmente trattare.

D: Ma se l’Italia mi fa pagare e io ho già pagato in Grecia, non pago due volte?
R: No, non dovresti. Come spiegato, la Convenzione prevede il meccanismo del credito d’imposta. Quindi se hai pagato €X di tasse in Grecia su un reddito, l’Italia ti riconosce €X di detrazione dalle imposte italiane dovute su quel reddito. L’obiettivo è che l’onere fiscale finale sia pari al maggiore tra i due Paesi (di solito quello italiano, avendo aliquote più alte). Ad esempio: affitto di €5.000 su immobile in Grecia, tasse pagate in Grecia €500; tasse dovute in Italia su €5.000 (aliquota 23% circa) €1.150; pagherai in Italia solo €650 (per arrivare a 1.150 totale), perché €500 li hai già assolti in Grecia. Se per caso hai pagato di più in Grecia che quello che sarebbe stato in Italia (caso raro, ma succede con immobili: se ad es. l’ENFIA greca è più alta dell’IVIE italiana, l’IVIE manco la paghi perché il credito la azzera), allora in Italia non devi nulla e non c’è rimborso della differenza: semplicemente paghi tutto in Grecia. Importante: per usufruire del credito devi documentare il pagamento estero (certificati delle imposte pagate). Se non lo fai, l’Agenzia italiana inizialmente ti chiederà l’intero ammontare. Ma puoi far valere il credito in sede di accertamento o contenzioso, mostrando le ricevute o modelli. Nessuna doppia imposizione giuridica dovrebbe avvenire. Temporaneamente potresti dover pagare e poi chiedere rimborso se il credito non era stato subito considerato, ma alla fine uno dei due Stati restituisce (certo, a volte con tempi lunghi).

D: In Grecia le tasse sono più basse su certi redditi (es. cedolare 3% sugli interessi bancari). Potrei pagare solo lì e non dichiarare in Italia per risparmiare?
R: No, questa strategia non regge. Se sei residente italiano, devi dichiarare anche quei redditi e poi detrai la tassa greca. Quindi pagherai la differenza fino all’aliquota italiana. Ad esempio, interessi bancari €1.000: Grecia trattiene 3% (€30), Italia vuole 26% (€260), ti darà credito di €30 e pagherai €230 in Italia. Se non dichiari, con CRS lo vengono a sapere e ti chiederanno comunque €230 + sanzioni. Quindi non c’è un vantaggio reale a omettere. L’unico caso di “ottimizzazione lecita” è se esiste una clausola di esenzione nella Convenzione: ma nel nostro caso solo poche fattispecie (es. pensioni pubbliche se l’altro Stato non ha potere di tassarle, ecc.). La maggior parte dei redditi è a imposizione concorrente (doppia) con credito. Pertanto, pagare solo dove l’aliquota è minore non è consentito. L’Italia recupererà la differenza. Unica eccezione: se il reddito estero è tassato esclusivamente all’estero per trattato (es. pensione privata se tu fossi residente in Grecia; oppure reddito d’impresa di una stabile organizzazione estera), allora in Italia è esente. Ma parliamo di quando effettivamente hai cambiato residenza o hai aziende con stabile org. altrove. In tutti gli altri casi, dichiara e chiedi il credito: è la via corretta e ti evita guai.

D: Sono socio di una società greca (non paradiso) e l’Agenzia mi contesta “esterovestizione”, dicendo che la società in realtà è gestita dall’Italia. Come difendersi?
R: Questo è un tema più da imprenditori, ma giusto accennarlo. L’esterovestizione è l’accusa che una società formalmente estera sia in realtà residente in Italia (per sede di direzione effettiva in Italia). Se l’Agenzia lo prova, la società viene tassata in Italia su tutti i redditi e per te possono essere dolori (sanzioni, e anche penali se evasi grossi importi). Difendersi significa dimostrare che la società è realmente gestita in Grecia: sede amministrativa lì, decisioni prese dagli amministratori in Grecia, verbali assemblee in Grecia, dipendenti/uffici lì, ecc. Spesso l’Agenzia usa presunzioni (es. sei socio unico, vivi in Italia = sicuramente la controlli tu dall’Italia). Devi portare evidenze contrarie: ad esempio, c’è un amministratore locale che prende decisioni, tu hai delegato e risulti non ingerire. Non è semplice. L’Italia e la Grecia hanno entrambe firmato la Convenzione Multilaterale BEPS sui criteri antiabuso, quindi sono allineate: se l’impresa è fittizia, gli scambi di informazioni tra le autorità possono inchiodarti (es. l’Italia chiede alla Grecia: “quanti dipendenti ha la società X di Tizio? 0? Allora è un guscio vuoto, la tassiamo qui.”). L’esito dipende dalle prove: in un contenzioso di questo tipo (complesso), conviene farsi seguire da professionisti specializzati e spesso si risolve a livello di accordi tra stati (MAP). In concreto: se l’accertamento contesta esterovestizione, è molto pesante, parliamo di centinaia di migliaia di euro di imposte evase. La difesa punterà su “non c’è prova che la direzione fosse in Italia, invece ci sono evidenze che fosse in Grecia”, portando docenze, testimonianze. Si potrebbe argomentare anche che l’azienda ha sostanza economica in Grecia (uffici, attività vera), e l’Italia non può reclamarne la residenza solo perché i soci sono italiani. La giurisprudenza qualche volta ha dato ragione ai contribuenti se la società aveva un’attività vera e propria all’estero (Cass. ord. 10642/2021 – caso di società ritenuta non esterovestita per mancanza di prova della gestione in Italia). Ma è un terreno scivoloso. Data la complessità, mi limito a dire: la migliore difesa è la prevenzione – se hai società all’estero, assicurati di avere la governance e la sostanza locale, così da scoraggiare l’Agenzia dal contestare la residenza. Se lo fanno, devi combattere su un piano molto tecnico e con esito incerto.


Conclusioni

Difendersi da un avviso di accertamento legato a conti o redditi in Grecia richiede un approccio strutturato, documentato e proattivo. Abbiamo visto come la normativa italiana imponga ai residenti il monitoraggio e la tassazione dei redditi esteri, ma al contempo offra strumenti per evitare doppie imposizioni (crediti d’imposta da Convenzione) e opportunità di regolarizzazione spontanea (ravvedimento). La cooperazione tra Italia e Grecia è ormai molto stretta: l’epoca del “nascondere i soldi all’estero” è finita col CRS. Pertanto, il contribuente che riceve una contestazione su capitali greci non dovrebbe stupirsi, bensì attivarsi immediatamente per far valere i propri diritti e ridurre i danni.

Dal punto di vista del debitore (contribuente), i messaggi chiave sono:

  • Conoscere le regole: sapere cosa andava dichiarato (Quadro RW, IVIE/IVAFE) e quali imposte sono dovute in Italia su ogni tipologia di reddito estero. Questa conoscenza aiuta a capire se l’accertamento è corretto o se chiede troppo (es. mancato riconoscimento del credito estero, sanzioni esagerate, ecc.).
  • Agire tempestivamente: se si riceve una lettera o un questionario, rispondere e/o ravvedersi subito. Se arriva l’avviso, valutare adesione o ricorso entro 60 giorni, senza far scadere i termini.
  • Documentare tutto: la difesa vincente è spesso quella che porta pezze giustificative solide. Estratti conto, contratti, certificati fiscali greci, prove di residenza, qualsiasi documento ufficiale è meglio delle sole parole. In sede di giudizio, documenti battono presunzioni.
  • Contestare i punti deboli dell’accusa: presunzioni fiscali (origine fondi, redditività conti) che il Fisco applica possono essere rovesciate con prove. Termine scaduto? Si eccepisce decadenza. Motivazione mancante? Nullità dell’atto. Meno aspetti si lasciano incontestati, meglio è: il giudice valuterà tutte le eccezioni e qualcuna potrebbe portare giovamento (ad esempio cancellare almeno le sanzioni).
  • Usare le opportunità normative: accertamento con adesione per trattare sulle sanzioni, definizione agevolata se disponibile, rateazioni. Anche transigere in appello (con conciliazione giudiziale) può essere utile se si vuole chiudere la vicenda risparmiando su sanzioni.
  • Buona fede e collaborazione: mostratevi collaborativi (anche solo a livello di atteggiamento): l’Agenzia potrebbe ridurre le sanzioni in contenzioso se avete pagato il dovuto spontaneamente successivamente. Inoltre, il principio di buona fede (Statuto contribuenti) può essere invocato se la norma era davvero poco chiara.

In definitiva, con la giusta assistenza e un approccio proattivo, difendersi è possibile. Molti contribuenti hanno ottenuto significative vittorie in ambito di monitoraggio estero, soprattutto quando non vi era reale materia imponibile sottratta (si pensi alle sanzioni dichiarate illegittime in Spagna e ritarate qui, o ai giudici che hanno annullato sanzioni per violazioni formali). Certo, se invece c’è stata effettivamente un’evasione cospicua, l’obiettivo sarà più contenuto: non farla passare liscia (perché qualcosa bisognerà pagare) ma almeno limitare la sanzione al minimo e evitare duplicazioni.

Il contribuente italiano con conti o redditi in Grecia deve ormai considerare l’amministrazione finanziaria come un occhio vigile che guarda anche oltreconfine. Ma allo stesso tempo, la legge fornisce gli strumenti per difendersi legalmente. Questa guida, con fonti normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025, intende appunto mettere il contribuente (e i suoi consulenti) in condizione di conoscere le proprie armi difensive e i propri diritti, così da equilibrare il rapporto con il Fisco. Come recita lo Statuto del Contribuente, il rapporto tra contribuenti e amministrazione si basa sui principi di collaborazione e buona fede – ciò vale reciprocamente. Dunque il contribuente onesto, che magari ha commesso errori formali o in buona fede, ha tutto l’interesse a far emergere la propria correttezza; mentre chi ha deliberatamente evaso ma vuole rimediare, può contare su istituti premiali (ravvedimento) per regolarizzare con costi sostenibili, evitando sanzioni “devastanti”. In ogni caso, non è mai troppo tardi per reagire: anche un accertamento già emesso può essere efficacemente contrastato o transatto, purché si agisca con cognizione di causa e nei tempi giusti.

In conclusione, “come difendersi” da un avviso su conti o redditi greci significa:

  • Capire di cosa sei accusato (studio dell’avviso e delle norme violate).
  • Valutare le opzioni (sanatoria, adesione, ricorso) e scegliere la più adatta alla situazione.
  • Raccogliere tutte le prove e le argomentazioni legali a proprio favore.
  • Seguire la procedura (rispetto dei termini, istanze formali, etc.) in modo rigoroso.
  • Se necessario, affrontare il contenzioso con determinazione, facendo valere tanto i punti di diritto (es. Convenzioni, decadenza, nullità) quanto i punti di fatto (es. documenti che provano la realtà delle cose).

Il tutto con l’assistenza di professionisti preparati in materia internazionale, se possibile, data la complessità. Ma anche il singolo contribuente, con questa guida, può farsi un’idea chiara dei principi fondamentali e delle ultime novità (si pensi alla riforma della residenza dal 2024, o alla Cassazione 2024 sul quadro RW).

L’auspicio è che sempre meno avvisi siano necessari – segno che i contribuenti dichiarano correttamente il dovuto – e che, quando emessi, possano essere risolti in modo equo tenendo conto delle circostanze individuali. Nel frattempo, chi si trova a dover combattere un avviso sull’estero ha ora a disposizione una mappa dettagliata per orientarsi e far valere le proprie ragioni, dal primo all’ultimo grado di giudizio. Buona fortuna – o meglio, buon operato coscienzioso, perché in fiscalità internazionale la fortuna conta poco: contano la conoscenza e la preparazione.


Fonti e riferimenti normativi

  • D.P.R. 917/1986 (TUIR) – Art. 2, comma 2: criteri di residenza fiscale delle persone fisiche (come mod. dal D.lgs. 209/2023). Art. 3: tassazione worldwide dei residenti.
  • D.L. 167/1990, convertito in L. 227/1990 – Introduzione obblighi di monitoraggio fiscale: Art. 4 (dichiarazione investimenti esteri); Art. 5 (sanzioni 5%–25% per omessa dichiarazione di trasferimenti da/verso l’estero, nel testo ante modif.); Art. 6 (presunzione di fruttuosità delle somme estere).
  • D.Lgs. 471/1997 – Art. 1: sanzione dichiarazione infedele 90%–180% imposta evasa (min €250); Art. 2: sanzione omessa dichiarazione 120%–240% (min €250); Art. 5: sanzioni monitoraggio 3%–15% (6%–30% paesi black list).
  • D.L. 78/2009, convertito L. 102/2009 – Art. 12, c. 2 (presunzione che attività estere in black list = redditi sottratti a tassazione in Italia; raddoppio termini di accertamento e sanzioni per investimenti non dichiarati in Paesi black list). N.B.: il co. 2-bis è stato abrogato dal 2015, ma la sostanza è rimasta per i termini raddoppiati (oggi previsti dall’art. 43 DPR 600/73 modif.).
  • Direttiva 2011/16/UE (DAC1) – Cooperazione amministrativa UE in ambito fiscale (scambio su richiesta e automatico su redditi specifici).
  • Direttiva 2014/107/UE (DAC2) – Implementazione europea del Common Reporting Standard (CRS): scambio automatico di informazioni finanziarie dal 2017. Recepite in Italia con L. 95/2015 e DM 28/12/2015 (elenco paesi).
  • Provvedimento Agenzia Entrate n. 40601 del 24/03/2022 – Disposizioni per il proseguimento dell’invio di lettere di compliance ai contribuenti che non hanno dichiarato attività finanziarie estere (Quadro RW) e relativi redditi.
  • Circolare Agenzia Entrate 38/E del 23/12/2013 – Chiarimenti su nuovo monitoraggio fiscale post D.L. 6/2013: conferma soggetti obbligati (persone fisiche residenti), modalità compilazione RW, esoneri e figure del titolare effettivo.
  • Circolare Agenzia Entrate 20/E del 04/11/2024 – (ipotizzata) Chiarimenti riforma residenza fiscale: criteri domicilio/presenza, casi di conflitto e tie-breaker convenzionali.
  • Risoluzione Agenzia Entrate 71/E del 25/06/2015 – Presunzione capitali in paradisi fiscali e onere della prova a carico del contribuente (in vista Voluntary Disclosure).
  • Convenzione tra Italia e Grecia del 1987 (ratifica L. 29/11/1988 n. 501) – per evitare doppie imposizioni: Art. 4 (criteri per doppia residenza e tie-breaker OCSE); Art. 6 (redditi immobiliari tassabili dove sito); Art. 10 (dividendi: tassabili in entrambi, limite 15% fonte); Art. 11 (interessi: tassabili in entrambi, limite 10% fonte); Art. 18 (pensioni private tassabili solo in Stato residenza); Art. 19 (pensioni pubbliche tassabili solo da Stato pagatore salvo cittadini dell’altro); Art. 24 (Eliminazione doppia imposizione: metodo del credito d’imposta per l’Italia).
  • Corte di Cassazione – Sez. Trib. – varie sentenze recenti:
    • Sent. n. 20032/2011 e n. 7682/2016: confermano la presunzione di fruttuosità dei conti esteri (art. 6 D.L.167/90) ma ribadiscono che è iuris tantum, superabile con prova contraria (es. tasso zero).
    • Sent. n. 19188/2015: afferma che l’adesione alla Voluntary Disclosure esclude la punibilità penale per i reati tributari relativi ai capitali esteri emersi.
    • Ord. n. 1407/2021 (Cass. pen.): esclude il sequestro per omessa compilazione Quadro RW, ritenendo che di per sé non integra reato (nessun profitto da confiscare).
    • Ord. n. 18332/2021: in tema di esterovestizione, conferma la presunzione legale relativa di residenza in Italia per società estere controllate, onere della prova sul contribuente (socio).
    • Sent. n. 8653/2022: (Cass. trib.) tratta di quadro RW omesso e presunzioni; ha cassato una decisione CTR ribadendo che “sussiste la presunzione legale di fruttuosità (art.6 D.L.167/90) e l’onere della prova contraria grava sul contribuente”.
    • Sent. n. 28072/2023 (ord. del 5/10/2023): ribadisce che l’iscrizione AIRE di per sé non è decisiva ad escludere residenza, se la presenza in Italia supera 183 gg (principio di effettività, in linea col nuovo art.2 TUIR).
    • Sent. n. 28077/2024 (Sez. V, dep. 30/10/2024): giudica l’omessa dichiarazione di attività finanziarie estere violazione sostanziale, non meramente formale, e legittima le sanzioni relative (5–25%). Distingue il caso italiano dal caso Spagna C-788/19 in quanto sanzioni ITA sono proporzionate.
    • Ord. n. 1292/2025 (Sez. VI-5, dep. 18/01/2025): in materia di residenza fiscale, conferma per un soggetto trasferito nel Principato di Monaco che mere prove formali (casa, auto targa estera) non bastano a vincere la presunzione di residenza italiana ex art.2 co.2-bis TUIR, se mancano evidenze di effettivo spostamento vita all’estero.
  • Corte di Giustizia UESentenza 27/1/2022, causa C-788/19 (Commissione c. Spagna): ha dichiarato incompatibili col diritto UE le sanzioni spagnole (Modello 720) su attività estere, perché sproporzionate (multe altissime e imprescrittibilità). La Cassazione italiana 2024 ha distinto la normativa italiana, sostenendo che le sanzioni 5–25% sono invece proporzionate e vi è prescrizione quinquennale, quindi la pronuncia UE non rende illecita la normativa italiana. Tuttavia, il principio di proporzionalità rimane un parametro interpretativo per il giudice tributario italiano nel modulare le sanzioni in concreto.
  • Giurisprudenza di merito: molte Commissioni Tributarie hanno affrontato questi temi:
    • CTR Lombardia 2018: ha annullato sanzioni RW ritenendo la violazione formale in assenza di imposte evase (orientamento minoritario pre-Cassazione 2024).
    • CTP Milano 2020: in caso di voluntary disclosure ha dichiarato non dovute sanzioni ulteriori perché prevale l’adesione spontanea (principio clemenza).
    • CTR Toscana 2021: sulla residenza estera (caso pensionato in Portogallo) ha dato ragione al contribuente riconoscendo efficacia alla Convenzione e alla prevalenza del centro interessi all’estero, nonostante l’AIRE tardiva.
    • (Altre decisioni CTR sulle quali basarsi: es. CTR Lazio 2019 che ha sancito illegittimità del raddoppio termini per quadro RW in assenza di reato, anticipando un po’ la riforma).
  • OECD – Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information (CRS), 2014: quadro internazionale di riferimento per lo scambio automatico; l’Italia e la Grecia sono firmatarie della Multilateral Competent Authority Agreement CRS. (Non citato direttamente sopra, ma base concettuale).
  • Direttiva 2010/24/UE – Assistenza reciproca in materia di recupero crediti tributari; consente a uno Stato membro di recuperare imposte per conto di un altro. Recepita in Italia con D.Lgs. 149/2012.
  • D.Lgs. 218/1997 – Definizione accertamento con adesione e conciliazione giudiziale: prevede riduzione sanzioni a 1/3 in adesione e 40% in conciliazione giudiziale.

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta conti correnti, investimenti o redditi detenuti in Grecia? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta conti correnti, investimenti o redditi detenuti in Grecia?
Vuoi sapere quali sono i rischi e quali strategie puoi adottare per difenderti efficacemente?

La Grecia non è un paradiso fiscale, ma i capitali e i redditi detenuti all’estero devono comunque essere dichiarati in Italia attraverso il quadro RW (monitoraggio fiscale) e, quando previsto, assoggettati a tassazione.
Inoltre, esiste la Convenzione contro le doppie imposizioni Italia–Grecia, che evita di tassare due volte lo stesso reddito, ma solo se correttamente applicata.

La mancata dichiarazione di conti o redditi greci può portare a:

  • accertamenti retroattivi,
  • sanzioni rilevanti,
  • interessi di mora.

👉 Il Fisco presume che le somme non dichiarate siano redditi imponibili sottratti a tassazione in Italia, ma il contribuente può difendersi, dimostrando l’origine lecita delle somme o l’avvenuta tassazione in Grecia.


⚖️ Rischi principali in caso di accertamento su conti o redditi in Grecia

  • Sanzioni per omessa dichiarazione RW (dal 3% al 15% dei valori non dichiarati);
  • Imposte aggiuntive se i redditi non sono stati riportati nella dichiarazione italiana;
  • Contestazioni di esterovestizione per chi ha rapporti economici in Grecia ma residenza fiscale in Italia;
  • Interessi e aggravi in caso di mancato pagamento nei termini.

📌 Come difendersi in concreto

  1. Analizza l’atto ricevuto: capisci quali annualità e quali somme vengono contestate.
  2. Recupera la documentazione: estratti conto bancari, certificazioni fiscali greche, contratti di lavoro o di locazione.
  3. Verifica l’applicabilità della Convenzione Italia–Grecia: puoi far valere il credito d’imposta per le tasse già pagate in Grecia.
  4. Controlla eventuali errori formali: in alcuni casi la sanzione può essere ridotta o annullata.
  5. Agisci nei tempi previsti: predisponi memorie difensive, valuta l’adesione o presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analisi approfondita dell’avviso di accertamento su conti o redditi in Grecia;
  • 📌 Applicazione della Convenzione Italia–Grecia per evitare la doppia imposizione;
  • ✍️ Redazione di memorie difensive e ricorsi, finalizzati a ridurre o annullare sanzioni e interessi;
  • ⚖️ Assistenza nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
  • 🔁 Soluzioni alternative come regolarizzazioni volontarie o definizioni agevolate delle pendenze.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Esperto in fiscalità internazionale e in difesa da accertamenti su redditi esteri;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e convenzioni contro le doppie imposizioni;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Ricevere un avviso di accertamento per conti o redditi detenuti in Grecia non significa automaticamente dover pagare quanto richiesto.
Con una difesa legale mirata puoi far valere le tue ragioni, applicare correttamente la Convenzione internazionale e ridurre le pretese del Fisco.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti su redditi esteri comincia da qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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