Hai una società in difficoltà economica ma che non rientra tra quelle dichiarabili fallite?
Non tutte le imprese possono essere assoggettate a fallimento. Le società di piccole dimensioni, che non superano determinati limiti di fatturato, attivo e debiti, rientrano nella categoria delle società “non fallibili”. In questi casi, quando i debiti diventano insostenibili, occorre valutare la liquidazione e altri strumenti alternativi per chiudere l’attività senza rischiare responsabilità personali.
Cos’è una società non fallibile
– È una società che non supera i limiti dimensionali previsti dalla legge per il fallimento
– Riguarda generalmente piccole srl, società di persone e microimprese
– Non può essere dichiarata fallita, ma resta comunque esposta a procedure esecutive individuali e ad azioni dei creditori
Come si può liquidare una società non fallibile
– Avviando la procedura di liquidazione volontaria con delibera dei soci
– Nomina di un liquidatore che gestisce il pagamento dei debiti con l’attivo residuo
– Vendita dei beni sociali per soddisfare i creditori nei limiti del patrimonio disponibile
– Cancellazione dal Registro delle Imprese una volta esaurite le operazioni di liquidazione
Quali sono i rischi per i soci e gli amministratori
– Nelle società di persone, i soci rispondono illimitatamente con il proprio patrimonio per i debiti non estinti
– Nelle società di capitali (Srl), i soci rispondono solo nei limiti delle quote, salvo abbiano prestato garanzie personali
– Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere se non hanno agito correttamente nella gestione o nella fase di liquidazione
Strumenti alternativi alla liquidazione semplice
– Accordi stragiudiziali con i creditori per ridurre o diluire i debiti
– Piani di ristrutturazione del debito o saldo e stralcio
– Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, con cui è possibile ridurre i debiti e ottenere l’esdebitazione
– Trasformazione o cessione della società, se ci sono soggetti interessati a rilevarla con i debiti concordati
Cosa si può ottenere con una gestione corretta
– La chiusura definitiva della società senza rischi di responsabilità future
– La riduzione del peso debitorio tramite accordi o procedure giudiziali
– La tutela del patrimonio personale dei soci e della famiglia
– La possibilità di ripartire senza debiti pendenti
Attenzione: liquidare una società non fallibile non significa automaticamente liberarsi dei debiti. In molti casi, i creditori possono rivalersi sui soci o sugli amministratori. Per questo è fondamentale pianificare la liquidazione con l’assistenza legale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, crisi d’impresa e difesa del patrimonio – ti spiega come liquidare una società non fallibile e quali strumenti adottare per proteggerti.
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Introduzione
La liquidazione di una società è il processo finale volto a chiudere l’attività, realizzare il patrimonio e soddisfare i creditori, fino alla cancellazione dal Registro delle Imprese. Anche le società “non fallibili” – cioè quelle escluse dalle procedure concorsuali tradizionali (sovente perché di piccole dimensioni, come molte S.r.l., S.n.c., start-up o imprese agricole) – possono essere liquidate. La legge non vieta la liquidazione volontaria di una società debitore. Tuttavia, se l’attivo patrimoniale è insufficiente a coprire tutti i debiti, i soci possono dover rispondere fino all’ammontare teoricamente spettante loro. In tal caso conviene valutare tempestivamente anche strumenti alternativi (concordati, accordi di ristrutturazione, composizione negoziata, piani attestati, ecc.) per evitare l’apertura della liquidazione giudiziale (ex fallimento).
In questa guida (aggiornata a luglio 2025) esamineremo dall’ottica del debitore come liquidare ordinatamente una società non fallibile. Presenteremo i riferimenti normativi essenziali, le più recenti pronunce della giurisprudenza, tabelle di confronto tra procedure, simulazioni pratiche, e una sezione di domande frequenti. Tratteremo anche gli aspetti fiscali e tributari connessi alla liquidazione. Il linguaggio è tecnico-giuridico ma accessibile a imprenditori, privati e professionisti.
Quadri normativi e definizioni chiave
- Società non fallibili: Con la riforma del 2019 (D.lgs. 14/2019, “Codice della Crisi e dell’Insolvenza” – CCII) sono rimasti esclusi dalle procedure concorsuali tradizionali (ex legge fallimentare) taluni soggetti prima detti “non fallibili”. In particolare, l’imprenditore agricolo, l’imprenditore commerciale sotto soglia (ad es. S.n.c. o S.a.s. di piccole dimensioni), le microimprese, le start-up, e in generale le società di modeste dimensioni, non soggiacciono al fallimento/liquidazione giudiziale ordinaria. Ciò non significa però che siano prive di soluzioni di crisi: il legislatore ha previsto strumenti dedicati anche a questi soggetti (piani di risanamento, composizione negoziata, concordato semplificato, ecc.). Ad esempio, anche un imprenditore agricolo può accedere alla composizione negoziata.
- Codice della Crisi (D.lgs. 14/2019): Entrato in vigore pienamente dal 15 luglio 2022, ha unificato la disciplina della crisi d’impresa. Tra le novità principali: (a) procedure di risanamento (concordato preventivo con continuità o liquidatorio, accordi di ristrutturazione, piani attestati, ecc.); (b) accesso precoce (obblighi di allerta e d’iniziativa dell’imprenditore); (c) strumenti extragiudiziali come la Composizione negoziata della crisi (artt. 12-25 CCII) e le procedure di sovraindebitamento per piccoli imprenditori (Legge 3/2012 e ss.). Il Codice distingue tra stato di crisi (squilibrio economico-finanziario serio, ma con prospettive di recupero) e insolvenza (incapacità di pagare regolarmente i debiti).
- Strumenti di composizione della crisi: Oltre alla liquidazione, l’ordinamento offre diversi percorsi. In sintesi:
- Liquidazione volontaria: procedura societaria ordinaria di scioglimento (assemblea) e liquidazione, per chiudere l’attività. Riservata a società solventi o in crisi ma avviata volontariamente dai soci.
- Liquidazione giudiziale: l’ex-fallimento per imprese, applicabile solo a soggetti fallibili (imprese oltre soglia) e che interviene su richiesta di creditore/debitore quando l’impresa è insolvente (debiti scaduti ≥ 30.000 €).
- Composizione negoziata (art. 12-25 CCII): procedura extragiudiziale volontaria, assistita da un esperto terzo, che consente all’imprenditore in difficoltà di negoziare con i creditori piani di risanamento o soluzioni concordate, con possibilità di blocco temporaneo delle azioni esecutive e di misure premiali (tutele e sgravî fiscali) per chi si attiva presto. Aperta a tutte le imprese, anche “non fallibili”. Può includere, per esempio, la cessione concordata dell’azienda o il passaggio a un concordato semplificato di liquidazione.
- Concordato preventivo (art. 60 CCII): procedura giudiziale di risanamento (in continuità o liquidatorio) da proporre al tribunale, che prevede un piano votato dai creditori e omologato dal giudice. Può essere usato anche dalle piccole imprese (senza soglie di reddito) per evitare il fallimento se approvato.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 58 CCII): accordi stragiudiziali con una maggioranza qualificata di creditori (anche finanziari), che possono poi essere omologati dal tribunale per vincolare i terzi e i creditori dissenzienti. Sono riservati alle “imprese soggette a procedura” in stato di crisi o di insolvenza.
- Piani attestati di risanamento (artt. 67-68 CCII e Legge 3/2012): piani di rientro predisposti dall’imprenditore con l’attestazione di fattibilità di un professionista abilitato. Consentono di ottenere efficacia protettiva (ad es. semiefficienti contro le revocatorie) senza bisogno di omologazione. Possono essere utilizzati anche da imprese non “soggette a fallimento” (grazie alla legge sul sovraindebitamento).
La scelta dello strumento dipende dallo stato dell’impresa e dall’obiettivo (salvezza in continuità vs liquidazione ordinata). L’imprenditore è tenuto ad attivarsi “senza indugio” non appena emergono i primi squilibri, per evitare il rischio di responsabilità personale e il peggiore esito della liquidazione giudiziale.
Scioglimento societario e apertura della liquidazione volontaria
La liquidazione volontaria si apre con lo scioglimento della società, deliberato di solito dall’assemblea dei soci. Le cause di scioglimento sono elencate negli artt. 2308 (soc. semplici e n.c.), 2323 (s.a.s.) e 2484 c.c. (soc. di capitali). Esempi tipici: decorso del termine statutario, conseguimento o impossibilità di raggiungere l’oggetto sociale, decisione unanime dei soci, mancanza di pluralità sociale, o perdita di quasi tutto il capitale. Inoltre, vi si aggiunge l’ipotesi odierna di scioglimento per perdite: se il patrimonio netto scende al di sotto della metà o del limite legale (art. 2482-bis c.c.), gli amministratori devono convocare assemblea per decidere lo scioglimento o il riassetto (es. ricapitalizzazione).
- Delibera di scioglimento: nell’atto costitutivo o nel codice civile solitamente sono richieste maggioranze qualificate (spesso unanimità o 2/3) per deliberare lo scioglimento e nominare i liquidatori (art. 2479 c.c.). L’assemblea straordinaria deve stabilire l’apertura della liquidazione e nominare uno o più liquidatori (società di capitali) o liquidatore unico (società di persone). Il verbale va depositato presso il Registro Imprese e pubblicato. Gli amministratori continuano a operare fino all’iscrizione di tale verbale, poi cessa la loro funzione e subentrano i liquidatori, i quali assumono la rappresentanza legale della società in liquidazione.
- Liquidatori: Di solito sono scelti tra professionisti (commercialisti, avvocati) o anche soci/manager. Devono agire con diligenza e trasparenza. Rientra tra i loro compiti principali: redigere l’inventario dei beni, raccogliere i crediti della società, realizzare l’attivo (vendite, incassi, cessioni) e pagare i debiti secondo le priorità di legge (privilegiati, chirografari, ecc.). Devono inoltre redigere i bilanci intermedi e finali di liquidazione. Fino al termine della procedura, il liquidatore deve adempiere a tutti gli obblighi fiscali e tributari della società (dichiarazioni IVA, IRES/IRAP, denunce INPS, ecc.) fino alla chiusura definitiva.
- Bilanci di liquidazione: Il liquidatore predisporrà (almeno) un inventario iniziale, bilanci annuali di liquidazione e un bilancio finale (art. 2490 c.c.). Nel bilancio finale vanno indicati gli attivi realizzati e i debiti pagati, nonché l’eventuale avanzo distribuibile ai soci o l’eventuale divario negativo. Dopo l’approvazione del bilancio finale da parte dell’assemblea, si procede alla cancellazione della società dal Registro Imprese (art. 2312 c.c. per S.n.c. e art. 2486 c.c. per S.r.l./S.p.A.), fatto che comporta l’estinzione formale dell’ente (ma non – come vedremo – delle sue obbligazioni residue).
- Responsabilità dei soci: In generale, nelle società di capitali (S.r.l., S.p.A.) i soci non rispondono personalmente dei debiti sociali, se non per il versamento del capitale sottoscritto. Dopo la liquidazione, la responsabilità dei soci residua in base alla “successione pro quota” prevista dall’art. 2495 c.c.: i soci subentrano nei debiti della società fino al limite delle somme ricevute durante la liquidazione. Ciò significa che un socio di S.r.l. rischia di dover restituire l’importo ricevuto in fase di liquidazione (per es., indennità di liquidazione, somme eccedenti il capitale sottoscritto). La Cassazione ha confermato che, anche se un socio non ha effettivamente incassato nulla, rimane comunque responsabile nella misura teoricamente spettante (il c.d. fenomeno successorio). In una liquidazione volontaria con patrimonio insufficiente, i creditori insoddisfatti possono agire pro quota contro gli ex soci (entro i limiti del riparto non versato). Per le società di persone (S.n.c., S.a.s.), invece, i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti sociali e quindi già prima dello scioglimento hanno responsabilità patrimoniali personali.
- Quota di sottoscrizione e responsabilità residua: Se la S.r.l. era monocomposizione (unipersonale) o i soci hanno versato solo parte del capitale, è necessario anche compensare le insufficienze di capitale. In tal caso il liquidatore, prima della distribuzione finale, deve richiedere ai soci il versamento delle quote non interamente pagate, affinché il patrimonio copra i debiti prima di procedere a qualsiasi distribuzione.
Effetti sugli obblighi sociali e trasferimento dei crediti
Un aspetto cruciale riguarda i debiti residui dopo cancellazione. Secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (luglio 2025, n. 19750), «l’estinzione della società – conseguente alla cancellazione dal Registro delle Imprese – non comporta l’estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci». In altre parole, anche dopo la cancellazione della società, i debiti non pagati non spariscono ma possono essere fatti valere contro gli ex soci. L’unica eccezione è se il creditore abbia espressamente e inequivocabilmente rinunciato al proprio credito, comunicandolo al debitore e senza che il debitore abbia rifiutato per iscritto. Inoltre, la stessa Cassazione ha spiegato che la mancata iscrizione di un credito nel bilancio di liquidazione non comporta automaticamente rinuncia: spetta al creditore dimostrare che la presunta rinuncia sussiste, ove invocata.
In pratica, se dopo la cancellazione emerge un debito noto (ad esempio una cartella esattoriale emessa prima della chiusura), i creditori possono recuperare l’importo pro quota presso i soci, nei limiti delle somme da essi percepite in liquidazione. Se nel bilancio finale il liquidatore non aveva incluso quel debito, si presume che la società non l’abbia portato a termine, ma ciò non libera automaticamente i soci – il debitore (creditore) deve provare la rinuncia ai sensi dell’art. 1236 c.c. La giurisprudenza più recente richiede una prova rigorosa dell’inequivoca volontà di remissione.
Alternativa alla liquidazione volontaria: soluzione della crisi
Quando una società non fallibile si trova in difficoltà economiche, la scelta della liquidazione volontaria non è l’unica via. Se l’impresa è già insolvente (non riesce più a pagare i debiti), i soci possono considerare strumenti di risanamento preventivi. In particolare:
- Composizione negoziata della crisi: è uno strumento “salva impresa” volontario e riservato (trattative private) introdotto dalla Legge 147/2021 e inserito nel Codice della Crisi (art. 12-25). Anche le imprese in liquidazione volontaria possono accedervi. Un’assemblea già convocata per la liquidazione non impedisce di avviare contestualmente la procedura CN, purché vi sia ragionevole prospettiva di risanamento. La composizione negoziata prevede la nomina di un esperto indipendente (nomina su segnalazione di organi di controllo societari o su iniziativa del debitore) che coordina la definizione di un piano con i creditori. Durante questa fase si può ottenere l’eventuale protezione del tribunale (blocco temporaneo delle azioni esecutive sui beni dell’impresa). La CN è indicata proprio per evitare di arrivare alla liquidazione giudiziale: si tratta di “un percorso volontario e assistito che può consentire di risanare l’impresa ed evitare l’apertura di una procedura liquidatoria giudiziale”.
- Concordato preventivo o accordi di ristrutturazione: Anche le società “sotto-soglia” possono ricorrere al concordato preventivo (con continuità o liquidatorio) se ritengono realizzabili piani di pagamento ai creditori. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 58 CCII) sono invece riservati alle imprese già in crisi (anche “sotto-soglia”) che hanno rapporti rilevanti con banche o obbligazionisti. Entrambi gli strumenti possono consentire di pagare i debiti ratealmente o parzialmente, spesso con misure premiali fiscali (transazione fiscale) o agevolazioni sui debiti previdenziali.
- Piani di risanamento attestati o concordato semplificato: I piani attestati (art. 67 CCII) possono essere predisposti dall’imprenditore sotto la supervisione di un professionista per blindare pagamenti e atti. Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 29-bis CCII) è un percorso rapido dedicato alle microimprese, che si può attivare – anche per società non fallibili – dopo un tentativo di composizione negoziata, offrendo spesso condizioni migliori rispetto al fallimento.
La scelta tra liquidare o risanare dipende dalle prospettive di continuità. Come osservato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, «il risanamento… può consistere anche nella soddisfazione ristrutturata dei creditori tramite la liquidazione del patrimonio, purché ciò avvenga in modo organizzato e migliorativo rispetto al fallimento». Di recente, alcuni tribunali hanno tuttavia precisato che non è possibile avviare la Composizione negoziata con un piano già di per sé liquidatorio (senza concreta prospettiva di continuità aziendale). L’orientamento dominante richiede che all’inizio vi sia almeno un margine ragionevole di risanamento (altrimenti conviene andare subito al concordato semplificato o dichiarare l’insolvenza).
La Tabella seguente riassume le differenze principali fra liquidazione volontaria, liquidazione giudiziale (fallimento) e concordato preventivo:
Caratteristiche | Liquidazione volontaria | Liquidazione giudiziale (fallimento) | Concordato preventivo |
---|---|---|---|
Inizio | Assemblea soci straordinaria (scioglimento) | Istanza di creditore/debitore o PM (società insolvente) | Istanza societaria (debitore insolvente) |
Requisito per l’avvio | Nessun requisito soglia, sufficiente volontà soci | Insolvenza con debiti ≥ 30.000 € | Insolvenza (o grave squilibrio) |
Organi | Liquidatore/i nominati dai soci | Curatore fallimentare (nomina tribun.) | Commissario giudiziale (nomina tribun.) |
Obiettivi | Chiudere azienda e liquidare patrimonio | Liquidare patrimonio e pagare creditori secondo legge concorsuale | Risanare impresa (continuità) o liquidare concordatariamente |
Protezione | Nessuna protezione speciale | Sospensione esecuzioni (securum del tribun.) | Protezione creditori (es.: revocatorie sospese) |
Passività residua | Soci rispondono pro quota ex art.2495 c.c. | Soci rispondono pro quota, ma passività gestite dal curatore | Soci non pagano debiti se piano accettato e omologato |
Aspetti fiscali | Liquidatore presenta IVA/IRES fino alla chiusura; eventuali plusvalenze tassate separatamente | Curatore gestisce dichiarazioni tributarie; procedure separate per crediti fiscali | Possibili riduzioni/sospensioni tributarie (p.es. transazione fiscale) |
Durata orientativa | Variabile (dipende dal patrimonio) | Fino alla liquidazione totale (anni) | Spesso più breve (talvolta 1-2 anni) |
Normativa di riferimento | Art. 2484-2501 c.c.; artt. 182 e ss. TUIR | D.lgs. 14/2019 (Titolo II Parte II); (ex L.Fall.) | D.lgs. 14/2019 (Titolo II Parte I, art. 60) |
(Fonte: elaborazione propria su fonti normative e giurisprudenziali aggiornate)
Aspetti fiscali e tributari della liquidazione
La fase di liquidazione ha rilevanza anche sotto il profilo fiscale:
- Periodi d’imposta: Il liquidatore deve presentare tutte le dichiarazioni fiscali della società fino alla data di chiusura (IVA, dichiarazione dei redditi IRES/IRPEF, IRAP, dichiarazioni sostitutive, modelli trasmittenti, ecc.). Gli esercizi contabili si distinguono in ante-liquidazione e liquidazione. L’ultimo periodo d’imposta (fino al bilancio finale) vede la determinazione del reddito d’impresa finale, che comprende tutte le operazioni di vendita dei cespiti e di realizzo del patrimonio. Eventuali plusvalenze realizzate (differenza tra ricavi di cessione e valore contabile) si considerano reddito separato tassato in via ordinaria.
- IVA: Il liquidatore continua a svolgere l’attività accessoria necessaria (ad es. vendite di beni) e addebitare/riversare l’IVA. Deve provvedere al versamento dell’IVA (e delle ritenute fiscali) dovute fino al momento della chiusura. Al termine, la partita IVA della società viene chiusa. I beni venduti in liquidazione seguono le normali regole IVA.
- IRES/IRAP: La società in liquidazione resta soggetto passivo fino alla cancellazione. L’IRES è dovuta sul reddito di liquidazione determinato al termine. L’eventuale utile residuo distribuito ai soci può essere tassato in capo a questi (tassazione IRPEF separata). L’IRAP continua a gravare sul valore aggiunto prodotto fino al completamento.
- Imposte indirette: Se il liquidatore vende beni immobili o quote, si applicano le imposte di registro, ipotecarie, catastali secondo le ordinarie disposizioni (se la società non è più attiva, spesso si applicano imposte fisse). L’atto di chiusura della società è soggetto ad imposta di registro proporzionale (attualmente 200 € in caso di atto pubblico di liquidazione).
- Debiti tributari nel passivo: Eventuali debiti tributari (imposte, IVA, sanzioni) residui devono essere iscritti nel passivo concorsuale dalla data dell’iscrizione del passivo. Con l’approvazione del bilancio finale, tali debiti formano titolo per l’Agenzia delle Entrate verso i soci in caso di insolvenza della società (art. 36 DPR 602/1973): i soci rispondono entro i limiti della loro quota (ex art. 2495 c.c.) per i debiti fiscali residui non saldati. Va tuttavia ricordato che, se i soci hanno già ricevuto somme in liquidazione, il Fisco può pretendere il recupero solo fino a quella misura (Cass. 16/7/2025, n.19750 richiede all’Agenzia di provare le condizioni del credito).
- Transazione fiscale: In caso di concordato o accordo di ristrutturazione, è previsto il meccanismo della transazione fiscale (art. 182-bis L.F., ora art. 123 CCII): è un accordo con Agenzia delle Entrate/INPS per definire con saldo e stralcio i debiti tributari e contributivi dell’impresa in crisi, presentando offerte percentuali sul debito totale. Il liquidatore volontario può agevolmente definire con l’Agenzia eventuali piani di rientro dei debiti accumulati (es. aderendo a sanatorie come la rottamazione delle cartelle o rateizzazioni). Tuttavia, la transazione fiscale vera e propria si applica formalmente solo alle procedure concorsuali; resta comunque possibile tentare accordi privatamente (anche tramite i professionisti in composizione negoziata) per ridurre sanzioni/interessi attraverso una dilazione.
- Responsabilità fiscale degli amministratori: Nel corso della liquidazione, gli amministratori potrebbero essere chiamati a rispondere in via penale o civile per violazioni tributarie (es.: occultamento di utili, omissioni di imposte). In linea generale, però, in caso di malagestio pregresso rilevano le regole ordinarie: gli amministratori di S.r.l. rispondono personalmente dei debiti tributari solo in presenza di dolo o colpa grave (art. 2476 c.c.) o per casi specifici come la violazione della norma sulla riscossione (art. 36 DPR 602/1973). La mera situazione debitoria della società non implica automaticamente responsabilità degli amministratori nel periodo della liquidazione. Tuttavia è prudente fornire al liquidatore ogni documentazione contabile e dichiarazioni fiscali corrette per evitare contestazioni future.
Simulazioni pratiche di liquidazione
Per comprendere meglio il processo, consideriamo due semplici esempi di liquidazione volontaria di una S.r.l. ipotetica.
- Esempio 1 – Liquidazione con attivo superiore ai debiti: la SRL “Alfa s.r.l.” possiede un patrimonio di €200.000 (beni immobili e liquidità) e ha debiti complessivi pari a €150.000. I soci convengono lo scioglimento e nominano liquidatore. Quest’ultimo realizza i beni e incassa il denaro. Dopo aver pagato tutti i debiti (IVA, IRES, fornitori, INPS ecc.), restano €50.000 di attivo residuo. Secondo il piano di liquidazione, ai soci viene distribuito questo surplus: in proporzione alle loro quote sociali. L’attivo è sufficiente: i creditori chirografari incassano il 100% e i soci ricevono le somme spettanti. Non vi sono debiti residui per i quali i soci possano essere chiamati a rispondere. L’operazione si chiude con l’approvazione del bilancio finale e la cancellazione della società.
- Esempio 2 – Liquidazione con attivo insufficiente: la “Beta s.r.l.” ha attivo €100.000 ma debiti €250.000 (fornitori e fisco). In assemblea i soci decidono comunque di liquidare. Il liquidatore vende tutti i beni incassando €100.000, che versa ai creditori in ordine di priorità (ad es. prima le imposte, poi i creditori privati). Il debito residuo ammonta a €150.000. I soci, dopo aver percepito la liquidazione (ad esempio €20.000 complessivi come rimborso del capitale sottoscritto), non incassano utili extra. Tuttavia i creditori insoddisfatti possono chiedere agli ex soci la parte restante dei debiti pari alle quote di liquidazione che spettavano loro. Se i soci hanno effettivamente percepito €20.000, potranno essere chiamati a rispondere per quella cifra (ossia €20.000) secondo la disciplina della successione prevista dall’art. 2495 c.c.. Eventuali debiti tributari rimasti aperti (es. imposte non saldate) possono essere notificati direttamente agli ex soci entro i limiti delle somme già incassate. In pratica, in questo scenario la liquidazione volontaria non annulla l’esposizione residua dei soci, che in alternativa avrebbero potuto ricorrere a strumenti come il concordato liquidatorio o la composizione negoziata per differire o ridurre i debiti.
Tabella riepilogativa – Simulazione
Voce | Esempio 1 (attivo > debiti) | Esempio 2 (attivo < debiti) |
---|---|---|
Attivo iniziale | €200.000 | €100.000 |
Debiti complessivi | €150.000 | €250.000 |
Incasso liquidazione | €200.000 | €100.000 |
Pagamenti creditori | €150.000 (totali) | €100.000 (parziale) |
Debiti residui | €0 | €150.000 |
Distribuzione soci | €50.000 (utile residuo) | €0 |
Esposizione soci (ex post) | €0 (tutto pagato) | €20.000 (importo percepito pro quota) |
Nell’esempio 2, se Beta S.r.l. fosse stata insolvente al momento dello scioglimento, conveniva valutare subito procedure alternative (p.es. concordato preventivo liquidatorio o composizione negoziata) per bloccare l’azione diretta dei creditori e cercare un esito negoziale più vantaggioso.
Domande frequenti (Q&A)
- È possibile liquidare una società anche se ha debiti?
Sì. La liquidazione volontaria può essere deliberata dai soci anche quando l’azienda è in passivo. Non vi è alcun divieto legale. Tuttavia, se l’attivo realizabile risulta insufficiente a coprire i debiti, i creditori residui potranno rivalersi sui soci per la quota di loro spettanza (salvo evitare l’inizio di una procedura concorsuale). Si consiglia di redigere tempestivamente lo stato passivo e di valutare fin dall’assemblea di liquidazione la possibilità di piani di rientro o accordi con i creditori, o l’accesso a strumenti di composizione negoziata. - Quali adempimenti fiscali deve svolgere il liquidatore?
Il liquidatore deve continuare a gestire gli obblighi fiscali della società. Deve presentare tutte le dichiarazioni (IVA, IRES, IRAP, modelli UNICO, 770, Comunicazioni fiscali, ecc.) per i periodi ante-liquidazione e di liquidazione, rispettando le scadenze ordinarie. Deve versare l’IVA e le ritenute dovute fino alla cessazione dell’attività e poi procedere alla chiusura della partita IVA. Eventuali imposte e contributi pregressi devono essere inseriti nel passivo. In sintesi, la liquidazione non esonera la società dagli obblighi tributari: il liquidatore agisce “in luogo” della società fino alla definitiva cancellazione. - I soci possono essere chiamati a pagare i debiti sociali dopo la cancellazione?
Sì, ma con limiti. In una S.r.l. (società di capitali) i soci rispondono solo nella misura delle somme ricevute nella liquidazione (successione pro quota ex art. 2495 c.c.). Cioè, i creditori possono rivalersi sugli ex soci fino alla concorrenza dell’importo spettante a ciascuno in base alle partecipazioni. La Cassazione ha precisato che la responsabilità dei soci non dipende dal fatto che abbiano materialmente incassato o meno utili: essi rispondono comunque “in base al fenomeno successorio” per il valore della quota di liquidazione prevista. Se i soci non hanno percepito nulla (perché non c’era avanzo), il creditore può esigere solo l’importo teoricamente spettante. In pratica, se in fase di liquidazione i soci hanno ricevuto in tutto €X, i creditori potranno reclamare fino a €X in totale agli ex soci. - Quando scatta l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento) per una SRL?
L’ex-fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale) si apre quando l’impresa è insolvente e i debiti scaduti superano una soglia (attualmente 30.000 €). In tal caso un creditore può chiedere al tribunale di dichiarare la liquidazione giudiziale (ex art. 49 CCII), oppure può farlo direttamente l’imprenditore stesso (con riserva di violare eventuali doveri di autoricognizione) o il Pubblico Ministero. Prima di arrivare a ciò, conviene sempre esplorare le alternative negoziali: ad esempio, tentare accordi di ristrutturazione o la composizione negoziata, che bloccano temporaneamente le azioni esecutive e possono evitare l’iscrizione della procedura concorsuale. - Qual è la differenza tra concordato preventivo e liquidazione?
Il concordato preventivo è una procedura di risanamento giudiziale: il debitore propone ai creditori un piano per pagare il debito in misura ridotta o dilazionata, mantenendo l’attività (concordato in continuità) o procedendo a liquidazione concordata (concordato liquidatorio). Se il piano ottiene i voti necessari e l’omologa del tribunale, il fallimento è scongiurato. La liquidazione volontaria, invece, è semplicemente la chiusura ordinata dell’azienda, senza continuità. In un concordato l’impresa sopravvive (almeno fino al soddisfacimento dei creditori), mentre nella liquidazione si estingue definitivamente. Se il concordato fallisce o non è attivabile, l’impresa può finire in liquidazione giudiziale. - Cosa succede se dopo la cancellazione emerge un debito ignoto?
Se, dopo la cancellazione della società, emerge un credito (es. tributo) non inserito nel bilancio finale, l’Agenzia delle Entrate o il creditore possono comunque agire contro gli ex soci. Secondo la Cassazione, il fatto che un debito non fosse elencato nel bilancio di liquidazione non prova automaticamente la rinuncia del creditore. Il creditore dovrà dimostrare di essere titolare del credito e, per agire sugli ex soci, dovrà allegare che la società non ha rinunciato ad esso. In pratica, se il creditore può provare il suo credito, può notificarlo ai soci in via “ereditata”. L’unica difesa è dimostrare che la società aveva formalmente rimesso o estinto quel debito, o che c’è stata remissione per fatti concludenti. - Cos’è la transazione fiscale e come si utilizza?
La transazione fiscale è un istituto previsto nelle procedure concorsuali (concordato/accordo di ristrutturazione/composizione negoziata) che permette di definire con lo Stato i debiti tributari e contributivi pendenti dell’impresa in crisi. Consiste nel presentare una proposta di pagamento ai creditori erariali con percentuali ridotte (es. pagare il 30-50% del debito) e rateizzazioni. È necessaria una “relazione tecnica” (attestazione del professionista incaricato) che dimostri l’effettivo vantaggio per il Fisco (rispetto alla liquidazione). Se l’Agenzia aderisce, si chiude il debito fiscale con saldo e stralcio. Se non aderisce, ma il tribunale omologa comunque il concordato perché è conveniente complessivamente (“cram-down fiscale”), si può applicare comunque la riduzione concordata, specialmente sulla componente sanzionatoria. In breve, la transazione fiscale abbassa (talvolta “azera”) parte dei debiti tributari (sanzioni e interessi) di un’impresa in concordato o in composizione negoziata. - Come gestire i debiti contributivi (INPS)?
Analogamente ai tributi statali, è possibile includere i debiti INPS in un piano di concordato o in un accordo di ristrutturazione, ottenendo riduzioni e dilazioni. La legge prevede infatti un’apposita “definizione agevolata” dei debiti INPS (Legge 197/2019) che il debitore può utilizzare durante la crisi. In liquidazione volontaria, il liquidatore continua a versare normalmente i contributi correnti dovuti fino alla chiusura. Per i debiti previdenziali pregressi o contestati, si possono concordare rientri rateali o transazioni con l’INPS. Se si avvia la composizione negoziata o il concordato, l’INPS può far parte del piano di definizione. L’obiettivo è evitare che l’azienda chiusa lasci debiti contributivi impagati, trascinando i soci nella responsabilità. - Come calcolare il compenso del liquidatore?
Nella liquidazione volontaria, il compenso del liquidatore (o dei liquidatori) viene deciso dai soci (o dall’assemblea di approvazione del bilancio finale) secondo le modalità pattuite nello statuto o nella delibera di nomina. Non esistono tariffe fisse di legge, ma usualmente si concorda un importo forfettario o una percentuale sull’attivo realizzato. Nella liquidazione giudiziale (fallimento), invece, il compenso del curatore è stabilito per legge in base a tabelle ministeriali (es. D.M. 18/2012) in base all’ammontare dell’attivo realizzato e dei lavori svolti. Esistono software o calcolatori online gratuiti per quantificare forfettariamente il compenso in base alla procedura. In ogni caso, i soci dovrebbero prevedere nel piano di liquidazione un compenso adeguato per attrarre professionisti esperti. - Gli amministratori pagano i debiti fiscali della società?
Di norma gli amministratori di S.r.l./S.p.A. non rispondono personalmente delle obbligazioni sociali, a meno di dolo o colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni (art. 2476 c.c.) o altre fattispecie particolari. Ad esempio, l’amministratore di società di capitali può essere chiamato a rispondere direttamente dei debiti tributari solo se è provato il suo dolo nella falsificazione delle scritture contabili o l’occultamento di patrimonio ai fini fiscali. In assenza di tali comportamenti fraudolenti, l’amministratore lascia il debito all’ente che rimane. Tuttavia, l’avvio di una liquidazione inadempiente (con gravi violazioni contabili) può attirare indagini fiscali o penali sui precedenti amministratori. In sintesi: la responsabilità patrimoniale resta limitata al patrimonio sociale, eccetto casi eccezionali di colpa grave o reato tributario. Gli organi di controllo societario (sindaci, revisori) svolgono un ruolo cruciale nel segnalare all’imprenditore eventuali squilibri (indici di crisi); la loro tempestività può persino influire sulla loro responsabilità in futuro.
Fonti normative e giurisprudenziali
Per approfondire si rimandano i testi di legge e le pronunce chiave:
- Normativa principale: Codice Civile (artt. 2308 ss., 2484 ss., 2312, 2490, 2495, 2740-41 c.c.), D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in particolare Titolo III Parte I sulla liquidazione, Titolo I/II su concordato e accordi), Legge 3/2012 (sovraindebitamento) e Legge 147/2021 (composizione negoziata), DPR 602/1973 (riscossione tributi art. 36).
- Giurisprudenza recente: Cass. SS.UU. 16 luglio 2025, n. 19750 (sull’estinzione dei crediti con cancellazione societaria); Cass. 20/7/2018 (presunti, sui soci pro quota); Cass. 31/12/2020, n. 30075 (su debiti tributari soci); Cass. 22/5/2020, n. 9464 (successione debiti controversi); Trib. Bologna 2/5/2025 e Trib. Verona 10/3/2025 (sulle condizioni di ammissibilità della composizione negoziata); ecc.
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- la liquidazione volontaria da parte dei soci,
- le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento,
- il concordato minore, che permette di proporre ai creditori un piano di rientro sostenibile.
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in crisi d’impresa e procedure di liquidazione societaria
✔️ Specializzato in sovraindebitamento e concordato minore per società non fallibili
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
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