Come Difendersi Se L’Agenzia Delle Entrate Contesta La Gestione Antieconomica

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta una gestione antieconomica?
Il Fisco può ritenere che la tua attività non sia condotta secondo logica imprenditoriale, e utilizzare questo come presunzione per ricostruire ricavi non dichiarati. In questi casi si parla di accertamento induttivo per antieconomicità. Ma non sempre le contestazioni sono fondate: ci sono strategie precise per difendersi.

Cos’è la gestione antieconomica secondo il Fisco
– È la condotta di un’impresa che dichiara ricavi troppo bassi rispetto ai costi sostenuti
– Si presume che nessun imprenditore agirebbe in perdita per lungo tempo senza un ritorno economico
– Può emergere quando l’impresa dichiara bilanci costantemente in rosso o margini molto bassi
– È utilizzata come presunzione per accertare redditi non dichiarati

Quando l’Agenzia delle Entrate la contesta
– In presenza di perdite fiscali ripetute negli anni
– Se i margini dichiarati sono molto inferiori rispetto agli indici di settore
– Quando ci sono incoerenze tra il tenore di vita del titolare e i redditi dichiarati
– Se i costi appaiono sproporzionati rispetto ai ricavi

I rischi per il contribuente
– Emissione di un accertamento induttivo basato su presunzioni
– Richiesta di pagamento di maggiori imposte, sanzioni e interessi
– Possibili azioni esecutive (cartelle, ipoteche, pignoramenti) se l’atto non viene impugnato
– Contestazioni anche di natura penale se vengono superate determinate soglie

Come difendersi da una contestazione di gestione antieconomica
– Dimostrare con documentazione contabile che le perdite derivano da fattori oggettivi (crisi del settore, insolvenze dei clienti, eventi straordinari)
– Contestare la validità degli indici statistici o dei parametri utilizzati dal Fisco, non sempre aderenti alla realtà della singola impresa
– Produrre prove che giustificano l’antieconomicità temporanea (investimenti, start-up, strategie di mercato)
– Dimostrare che i movimenti bancari o patrimoniali non corrispondono a ricavi occulti
– Eccepire la genericità o la mancanza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni
– Impugnare l’accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento dell’accertamento se basato solo su presunzioni generiche
– La riduzione delle somme richieste attraverso il riconoscimento delle reali condizioni aziendali
– La sospensione delle procedure esecutive collegate all’accertamento
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di proseguire l’attività senza subire richieste fiscali sproporzionate

Attenzione: l’antieconomicità non è di per sé una prova di evasione fiscale. Senza elementi concreti, l’accertamento può essere annullato. Difendersi con prove e documenti adeguati è la strategia migliore.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti fiscali e difesa del contribuente – ti spiega cosa significa la contestazione di gestione antieconomica e quali strategie legali usare per difenderti.

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Introduzione

Il concetto di gestione antieconomica si riferisce a una situazione in cui i risultati economici dichiarati da un’impresa non si conciliano con i normali criteri di convenienza o razionalità economica. Ad esempio, un’azienda in perdita cronica o che opera sistematicamente con margini di profitto insolitamente bassi rispetto agli standard di settore può far sorgere sospetti nell’amministrazione finanziaria. Come spiegato dalla dottrina tributaria, “l’antieconomicità è il sintomo che l’operatività dichiarata contrasta con i normali criteri di convenienza economica: un imprenditore razionale non venderebbe sistematicamente sottocosto né sosterrebbe spese ingenti per ottenere ricavi esigui, salvo ragioni straordinarie”. Un indicatore tipico è la percentuale di ricarico sulle vendite: se un contribuente dichiara un ricarico medio ben inferiore alla media di mercato per la sua attività, l’Agenzia sospetta che parte dei ricavi non sia stata dichiarata. In tali casi l’Agenzia può procedere a un accertamento analitico-induttivo (ex art. 39, comma 1, lett. d) DPR 600/1973), rettificando singoli componenti reddituali sulla base di presunzioni. Cassazione 501/2023 ha confermato che tale accertamento è legittimo “anche in presenza di contabilità formalmente regolare”, purché vi siano «presunzioni gravi, precise e concordanti» che ne facciano dubitare l’attendibilità.

Elementi indicativi e possibili giustificazioni

Gli elementi fattuali che possono far ritenere una gestione antieconomica sono, ad esempio, costanti perdite più anni, ricavi troppo bassi rispetto ai costi, margini di ricarico anomali o prezzi di vendita significativamente inferiori ai valori di mercato. La Cassazione ha affermato che «la perdita sistematica è indice di inverosimiglianza economica della condotta imprenditoriale, e può costituire presupposto di sottofatturazione o occultamento di ricavi». Ad esempio, un negozio con ricarico medio del ~39% a fronte di margini usuali del 90-100% in settore è stato ritenuto in “posizione inattendibile”, perché operava in zona centrale senza cause straordinarie che giustificassero i bassi profitti.

Tuttavia, non ogni scostamento legittima l’accertamento. La giurisprudenza richiede che l’antieconomicità sia “macroscopica”: discrepanze modeste (es. 4-5% o 10%) possono avere ragioni legittime (strategie commerciali aggressive, fasi di avviamento, congiuntura sfavorevole, ecc.) e non giustificano induttivi. Le sentenze hanno annullato accertamenti fondati su scostamenti contenuti, mentre scostamenti molto accentuati e prolungati (ad es. oltre il 10-15% rispetto alla media di settore) sono stati considerati gravi indizi. In ogni caso, spetta al contribuente provare con evidenze concrete che esistono reali ragioni economiche delle perdite o dei bassi margini (ad esempio documentando crisi settoriali, investimenti iniziali rilevanti, attività assistenziali o eventi straordinari). In sintesi: una gestione sistematicamente in perdita o con utili irrisori viene vista come non sostenibile e dunque indizio di evasione, e l’Agenzia può basare l’avviso su di essa come potente presunzione, a meno che il contribuente giustifichi dettagliatamente la propria condotta.

Quadro normativo rilevante

L’accertamento induttivo “puro” è disciplinato dall’art. 39, c.1, lett. d) del DPR 600/1973 (Imposte sui redditi) e dall’art. 54 del DPR 633/1972 (IVA). Tali norme consentono all’Amministrazione di determinare il reddito o il volume d’affari anche in presenza di scritture formalmente regolari, qualora queste siano giudicate inattendibili sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti. In particolare, la Cassazione afferma che le indagini fiscali possono prescindere dalla contabilità “fino a prova contraria”: se emergono indizi di anomalia (perdite croniche, ricarichi anomali, etc.), l’ufficio può procedere a rettifiche presuntive, per poi lasciare al contribuente l’onere di dimostrarne la fondatezza.

Altro riferimento normativo è il D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, introdotto per favorire la definizione agevolata delle liti pendenti al 2017/2018. Questa definizione consente al contribuente che ha pagato una prima rata di estinguere il contenzioso tributario, a fronte di uno sconto su imposte e sanzioni. In Cass. 09/07/2025 n. 18717 si è precisato che il diniego di tale definizione non può essere basato sulla semplice pendenza di un procedimento penale (in questo caso contro la Commissione Tributaria) relativo al medesimo atto. Finché le sentenze di merito non siano dichiarate formalmente nulle, la definizione agevolata può perfezionarsi presentando la domanda e pagando la rata entro il termine prestabilito (ad es. entro il 31/5/2019).

Vanno citati anche gli strumenti deflattivi del contenzioso previsti dal D.Lgs. 546/1992 (ad esempio l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale) e le modifiche recenti al diritto processuale tributario (riforma 2023, mediazione tributaria etc.). In particolare, l’accertamento con adesione (art. 6, L. 212/2000, rif. D.Lgs. 218/1992) è una procedura facoltativa che permette di chiudere l’accertamento prima del ricorso, concordando con l’ufficio le somme dovute. La conciliazione tributaria in sede amministrativa (introdotta dal 2021 in CTR, art. 48 ss. D.Lgs. 546/92) consente di trovare un accordo con riduzioni di sanzioni, evitando il giudizio vero e proprio. Fonti normative principali da tenere presenti sono dunque: art. 39 DPR 600/1973, art. 54 DPR 633/1972, art. 6 D.L. 119/2018; nonché le norme sugli strumenti deflattivi (L. 212/2000, D.Lgs. 546/1992 e succ., L. 197/2022 etc.).

Procedura di accertamento e contraddittorio

Il processo di accertamento tributario prevede diverse fasi, utili per la difesa del contribuente. Durante le verifiche fiscali (visite, accessi, controlli incrociati), il fisco raccoglie elementi sulla contabilità. Nel caso emerga una gestione antieconomica, l’ufficio può avviare un contraddittorio interno endoprocedimentale prima di notificare l’atto finale. Il contraddittorio consente al contribuente di fornire chiarimenti e documenti prima dell’avviso di accertamento. Ad esempio, l’art. 12, co.7 della L. 212/2000 prevedeva 60 giorni di tempo dopo una verifica on-site per presentare osservazioni (norma abrogata dal 2024, ma spesso applicata in via interpretativa). Esistono specifici obblighi: per gli accertamenti da ISA o studi di settore l’invito al contraddittorio è obbligatorio altrimenti l’atto è nullo. In ogni caso, il contribuente dovrebbe sempre cogliere l’occasione di spiegare le proprie perdite: ad esempio, in sede di accertamento bancario l’ufficio può interrogare il contribuente su movimenti contestati, e questo dialogo – anche scritto tramite memorie – è considerato una forma di contraddittorio.

An aspetto cruciale è il rispetto del contraddittorio. Per i tributi armonizzati (es. IVA) la Corte di Cassazione (SS.UU. 24823/2015) e la Corte Costituzionale hanno stabilito l’obbligatorietà del contraddittorio ante accertamento, pena l’illegittimità dell’atto. Tuttavia, l’attuale orientamento Cassazione è che la mancata attivazione del contraddittorio non invalida automaticamente l’avviso: il contribuente deve dimostrare in giudizio di aver subito un pregiudizio concreto (“prova di resistenza”) derivante dalla mancanza di confronto. In pratica, se il contribuente ha comunque avuto modo di spiegarsi (anche tramite questionari o osservazioni scritte), difficilmente potrà ottenere l’annullamento dell’accertamento per vizi formali. Tuttavia, a difesa del debitore va sottolineato che in sede contenziosa il giudice tributario deve valutare le osservazioni e motivarle adeguatamente, altrimenti il vizio di motivazione può essere censurato.

Onere della prova e presunzioni semplici

Nell’ambito dell’accertamento induttivo, l’Amministrazione non deve provare direttamente l’esistenza di ricavi non dichiarati, ma può basarsi su presunzioni semplici purché soddisfino i requisiti di gravità, precisione e concordanza (art. 2729 c.c.). La Cassazione conferma che anche una contabilità formalmente regolare può essere contestata qualora emergano indizi forti di inattendibilità. In particolare, “la gestione antieconomica reiterata nel tempo, in assenza di spiegazioni economiche plausibili, è un grave indizio di inattendibilità contabile”. Ciò significa che l’ufficio può invertire l’onere della prova, imponendo al contribuente di dimostrare le reali operazioni economiche sottostanti. Come chiarisce Cass. 12848/2021, «il giudice tributario non può limitarsi a constatare la regolarità formale della documentazione contabile, essendo consentito al fisco di desumere costi minori e ricavi non fatturati utilizzando presunzioni, con conseguente spostamento dell’onere della prova sul contribuente».

In altre parole, la presunzione di una gestione antieconomica è semplice, non legale: non esiste infatti una norma che dica testualmente “impresa in perdita = evasione”, ma la combinazione di circostanze (perdite reiterate, ricarichi anomali, zona di alta redditività, ecc.) rappresenta un indizio serio di evasione. L’ufficio deve fornire indizi robusti; tuttavia, una volta innescata la presunzione (ad es. continue perdite o ricarichi radicalmente inferiori agli standard), la contabilità è considerata inattendibile fino a prova contraria. Al contribuente, pertanto, spetta l’onere di fornire «elementi di fatto in grado di giustificare le proprie scelte gestionali» (es. documentare eventi eccezionali, investimenti in avviamento, contratti a lungo termine a margini bassi, ecc.). Se il contribuente dimostra ragioni reali e gravi dell’antieconomicità (ad es. cause di forza maggiore, ristrutturazioni, erogazioni sociali), il giudice potrà ritenerla giustificata, limitando o annullando l’accertamento. Viceversa, l’assenza di prova adeguata implica l’esito contrario.

In sintesi, nei ricorsi tributari il contribuente deve far confluire ogni giustificazione economica e documentale. Ricostruire con dati di fatto il suo modello di business (p.es. profitti di altri esercizi, dinamiche di mercato, contratti pluriennali) è essenziale per spezzare la presunzione di evasione. Anche piccoli accorgimenti procedurali contano: ad esempio, in contabilità può essere utile evidenziare spese eccezionali, proporre integrazioni fatturazione, esibire lettere di solidarietà aziendale, bilanci analitici, pareri di consulenti, certificazioni di servizi gratuiti o sociali svolti, ecc. Tutti questi elementi, se congruenti, spingono verso il riconoscimento della genuinità della gestione da parte del giudice.

Giurisprudenza chiave aggiornata

Negli ultimi anni la Cassazione si è espressa su molti casi rilevanti. Tra le più recenti decisioni si segnalano:

  • Cass. civ., sez. trib., ord. 15 mag. 2025 n. 13029 – conferma il principio che la gestione antieconomica protratta nel tempo, senza spiegazioni plausibili, è “grave indizio di inattendibilità contabile” legittimando l’accertamento induttivo. La Corte ribadisce che le presunzioni semplici possono fondare l’accertamento (purché GPC) e che non vi è vizio di motivazione nell’uso di valutazione sintetica purché logica e non manifestamente illogica. L’analisi degli indizi (perdite persistenti, costi elevati, assenza di giustificazioni) è questione di merito, non di legittimità.
  • Cass. civ., sez. trib., ord. 11 gen. 2023 n. 501 – come visto, autorizza l’accertamento analitico-induttivo anche con contabilità formale regolare, indicando che l’art. 39 non esige contabilità irregolare per procedere per presunzioni. Ciò ha aperto la strada a nuovi accertamenti fondati sulla «gestione illogica» documentale, purché sussistano indizi «gravi, precisi e concordanti».
  • Cass. civ., sez. V, ord. 10 ago. 2023 n. 24355 – ha affermato che le percentuali di ricarico accertate in un anno possono legittimamente essere utilizzate come parametro indiziario per ricostruire i dati di anni precedenti o successivi. Nel caso, venivano confrontate percentuali di ricarico dichiarate e normali, e la gestione antieconomica ricavata era in assenza di giustificazioni, indizio di ricavi occultati (con successivo onere al contribuente di provare i mutamenti economici del suo settore).
  • Cass. civ., sez. V, ord. 9 lug. 2025 n. 18717 – pur trattando un caso di definizione agevolata, conferma principi analoghi sul contraddittorio di merito e sul concetto di gestione antieconomica. La CTR aveva ritenuto giustificata la gestione antieconomica del contribuente, ma l’Amministrazione sosteneva di avere indizi adeguati. In Cassazione si è pronunciata solo sulla definizione agevolata, ritenendo illegittimo il diniego basato sul pendere di un procedimento penale. Non avendo la Corte cassato la decisione di merito (rimasta favorevole al contribuente), si può intendere affermato che l’azione del giudice di merito nel valutare i presupposti dell’antieconomicità debba sempre basarsi su fatti concreti e non solo su valutazioni astratte.
  • Cass. civ., sez. trib., ord. 4 feb. 2025 n. 2645 – (Giurispedia) riguarda una srl alberghiera che dichiarava perdite dal 2003 al 2007. L’Agenzia, constatata l’antieconomicità, aveva rideterminato il reddito 2005 in via induttiva. La CTP aveva accolto la difesa della società (gestione solidaristica), la CTR riduceva l’accertamento. La Cassazione ha trattato tra l’altro questioni procedurali (fallimento) e ha nuovamente confermato che in presenza di reiterate perdite viene applicato un “parametro di sostenibilità” reddituale col principio del riscontro continuo (onere del contribuente di provare le differenze tra esercizi) – cfr. similare Cass. 11717/2022 citata nel 24355/2023. In sostanza, la Cassazione conferma l’esistenza di una presunzione di continuità: chi dichiara sistematicamente in perdita deve spiegare le ragioni economiche di ciascun anno, altrimenti il fisco ha mano libera.
  • Cass. civ., sez. V, ord. 13 mag. 2021 n. 12848 – confermato (Studio Cerbone) come sopra visto, principio canonico: contestata l’antieconomicità, l’ufficio può inferire costi inferiori e maggiori ricavi con presunzioni e il contribuente deve dimostrare la regolarità delle operazioni, non basta provare la contabilità regolare.

Queste pronunce ribadiscono tre direttrici comuni: (a) il fisco può dubitare della contabilità se vi sono indizi gravi di anomalia; (b) l’onere di prova si rovescia sul contribuente, che deve fornire giustificazioni documentate; (c) la valutazione degli indizi è rimessa al giudice di merito, purché non sia del tutto illogica.

Difese del contribuente e strategie pratiche

Contraddittorio endoprocedimentale

Il contribuente dovrebbe sempre attivare il contraddittorio preventivo per anticipare le ragioni difensive. In sede di verifica, è opportuno presentare osservazioni dettagliate sulle voci sospette: allegare bilanci storici, contratti, perizie di mercato, piani aziendali, documentare qualunque fattore straordinario. Ad esempio, se il fisco critica un ricarico scarso, il contribuente può produrre analisi di settore o pareri di esperti che giustifichino tale pricing. In questo modo l’ufficio potrà rettificare o abbandonare l’avviso in autotutela, oppure quantomeno i giudici terranno conto di queste giustificazioni. In mancanza di un contraddittorio formale (per es. nel caso di controlli che non prevedevano obbligo legale), il contribuente dovrà comunque riproporre tutte le osservazioni nel ricorso, per non perdere la possibilità di contestare l’accertamento.

Ricorso e giudizio tributario

Alla ricezione dell’avviso di accertamento, il primo passo è verificare la correttezza formale del provvedimento. L’avviso deve contenere il calcolo analitico delle imposte, la descrizione dei fatti contestati e la motivazione degli indizi. In mancanza di motivazione sufficiente (ad es. se l’ufficio non specifica in cosa consista esattamente l’antieconomicità), si può citare la giurisprudenza che chiede motivazioni “sufficienti e congrue”. Se vi è vizio formale (es. omissione contraddittorio obbligatorio sugli studi di settore), va eccepito in ricorso (poi il giudice, se invocata, richiede prova di resistenza).

Nel merito, si possono sollevare questioni specifiche:

  • Valutazione degli indizi: contestare l’inesistenza di elementi di gravità/precisione/concordanza. Ad es. la CTR può ritenere che i ricarichi anomali debbano essere accompagnati da altri indizi di evasione (Cass. 24355/2023). Si deve evidenziare ogni elemento mancante: magari l’ufficio ha considerato periodi diversi dal periodo dichiarato, o non ha valutato eventi aziendali.
  • Onere probatorio: sottolineare che spetta all’amministrazione produrre i dati che consentono la ricostruzione del reddito (Cass. 12848/2021). Se il fisco non ha dimostrato concretamente come ha ricavato i maggiori ricavi, il contribuente può sostenere che la semplice affermazione di “gestione antieconomica” non è indice certo di imponibile occulto senza elementi numerici.
  • Giustificazioni economiche: proporre tutti i motivi contingenti che spiegano le perdite (contratti svantaggiosi, situazioni di welfare aziendale, investimenti promozionali, apertura in periodo di crisi, eventi naturali). Vanno documentate: ad es. fatture di acquisto grandi per giustificare costi elevati, note contabili sulle promozioni, lettere di fornitori, stampa economica di settore, ecc.
  • Aggiornamenti normativi: verificare se al periodo d’imposta in oggetto si applicavano leggi speciali (es. agevolazioni, crediti d’imposta, sospensioni fiscali) che abbassino realmente il reddito o l’IVA dovuta.
  • Difesa procedurale: se applicabile, eccepire vizi di notifica (termine decadenza, mancata consegna della documentazione, ecc.). In particolare, verificare i termini di decadenza (generalmente 4 anni dal termine della dichiarazione) o eventuali interruzioni (appello, adesione).

Ricorsi e memorie difensive (modelli esemplificativi)

In sede di ricorso tributario (innanzi alla CTP), è fondamentale articolare chiaramente la propria difesa. Un modello di ricorso può includere:

  1. Oggetto e parti: indicare atto impugnato (numero, data), anni di imposta, parti in causa.
  2. Fatti di causa: esporre brevemente la situazione contabile del contribuente e gli accertamenti motivati dall’Agenzia (ad es. “si evidenzia che per gli anni 20XX-20YY l’impresa ha dichiarato sistematiche perdite contabili, come si desume dai bilanci in atti”).
  3. Motivi di impugnazione: elencare i punti di difesa, ad es.:
    • Mancanza di presupposti dell’induttivo: argomentare che la contabilità è coerente e non esistono indizi di evasione significativi. Citare Cass. 12848/2021 per la regola di presunzione di inattendibilità e sostenere che essa non è correttamente applicabile nel caso concreto.
    • Presunzioni non gravi/precise/concordanti: dettagliare le circostanze controindicanti (es. l’azienda è non-profit o cooperativa; operazioni occasionali; eventi eccezionali).
    • Errori di calcolo: qualora il fisco abbia applicato parametri sbagliati (p.e. ricarico medio di settore errato, periodo di riferimento erroneo), richiedere la ricalcolazione con dati corretti.
    • Onere della prova: ricordare che, ai sensi della giurisprudenza, l’Amministrazione deve provare almeno la ragionevole esistenza di ricavi ulteriori, e che la contestazione generica di perdita senza elementi concreti non può sostenere l’accertamento.
  4. Prove e documentazione: allegare documenti giustificativi (bilanci, fatture, contratti, perizie di mercato) e richiedere di escuterli come prove; se necessario, chiedere consulenza tecnica d’ufficio per valutare la coerenza economica.
  5. Conclusioni: porre domanda di annullamento totale o parziale dell’avviso. In subordine, chiedere la rideterminazione del reddito/IVA in misura minore (ad es. calcolando un ricarico reale anziché presunto). Si possono anche formulare eccezioni preliminari (nullità per difetto di contraddittorio, decadenza dell’azione accertativa, motivazione insufficiente).

Una memoria difensiva depositata in appello può sviluppare ulteriormente questi argomenti, citando sentenze aggiornate come Cass. 13029/2025. È utile organizzare la memoria in capitoli corrispondenti a ciascun motivo di gravame, con rinvii precisi alle prove prodotte. In ogni caso, citare sempre le sentenze di Cassazione recenti (come le sopra menzionate) o la giurisprudenza di merito coerente con la difesa aiuta a rafforzare la posizione del contribuente.

Esempio pratico (simulazione semplificata)

Caso ipotetico: Tizio SRL, negozio di generi alimentari nel centro storico, dichiara per il 2020 ricavi netti €100.000 e costi di acquisto €90.000 (ricarico ~11%). Secondo i dati di settore, il ricarico medio per quel tipo di attività e area è intorno al 80-100%. L’Agenzia contesta tale “gestione antieconomica” e, ritenendo inattendibile la contabilità, applica un ricarico forfettario del 90%, determinando ricavi imponibili aggiuntivi e un’avviso di accertamento IRPEF/IVA.

Strategie difensive:

  • Documentazione: Tizio produrrà i dati delle vendite effettive nel periodo (ad es. fatture emesse) e le giustificazioni ai prezzi bassi (promozioni dovute a crisi Covid, misure di solidarietà verso i clienti, costo del magazzino medio inferiore del previsto, spese fisse straordinarie).
  • Presunzioni contrarie: potrà chiedere di considerare i dati degli anni precedenti, mostrando che 2018-2019 avevano margini normali, e che il 2020 è stato anomalo per situazioni eccezionali (rafforzando l’ipotesi di causa non evasiva).
  • Richiesta di contraddittorio: si rivolgerà all’Agenzia (se ancora in fase di verifica o pre-atto) per spiegare le proprie posizioni con supporto di un perito commerciale.
  • Ricorso: evidenzierà che il semplice scostamento del 70 punti percentuali (dal 11% al 90%) è macroscopico e implica oneri a carico dell’ufficio di provare la mancanza di fatture (analisi incrociata con fornitori). Potrà inoltre allegare listini o fatture d’acquisto per provare il vero costo del venduto (o far eseguire CTU sull’inventario).

Questo esempio – seppur semplificato – illustra come la difesa attiva si basi su dati concreti e su circostanze economiche del periodo. La mere asserzione di «gestione antieconomica» senza elementi numerici di supporto e senza aver considerato fattori speciali dovrebbe essere contrastata con fatti verificabili.

Tabelle riepilogative

Tab.1 – Indizi tipici di antieconomicità e possibili giustificazioni:

Indizio di antieconomicitàPossibili spiegazioni legittime
Perdite continue per più anniCrisi settoriale, fase di start-up, oneri straordinari (investimenti in avvio, ristrutturazione), attività sociale o assistenziale che non mira al profitto. Evento pandemico o forzato (ex art. 47 TUIR).
Ricarico (%) su vendite molto inferiore alla normaPolitica prezzi aggressiva, concorrenza spietata, promozioni straordinarie, vendite di liquidazioni di stock. Pattizi (accordi) per forniture a prezzo bloccato, oppure operazioni intercompany (trasferimenti infragruppo).
Costi fissi elevati rispetto ai ricaviAllocazione errata di costi (es. parte di costi generali spalmata solo su poche attività), costi di leasing o contratti pluriennali onerosi, investimento in immobili di pregio.
Prezzi di vendita anomali (sottocosto)Offerta di servizi “sociali” (p.es. refezione scolastica in perdita compensata da convenzioni pubbliche), sconti agli anziani, progetto commerciale temporaneo, avviamento di nuovo business.

Fonte: elaborazione su base Cass. 13029/2025 e dottrina.

Tab.2 – Strumenti deflattivi del contenzioso tributario:

StrumentoAmbitoEffettoRiferimenti
Definizione agevolata (art.6 D.L.119/2018)Liti pendenti fino al 2019Estinzione del contenzioso con sconto (riduce sanzioni e interessi) se il contribuente paga il dovuto (o prima rata) entro termini.Cass. 09/07/2025 n.18717 (diniego illegittimo se basato su pendente penale)
Accertamento con adesione (art.6 D.Lgs. 218/1992)Accertamenti fiscali prima del giudizioDefinizione bonaria dell’accertamento con riconciliazione delle somme dovute, riducendo sanzioni (fino a 1/3) e interessi. Fase volontaria, il contribuente può decidere di non aderire.
Conciliazione giudiziale (art.48 ss. D.Lgs. 546/1992)Giudizio tributario (in appello alla CTR)Se ammissibile, le parti concordano l’importo dovuto, con riduzione delle sanzioni fino a 1/18 (2000/97, comma 1). Prevista per controversie di modico valore o condotto collaborativo. Introduzione recente (D.L. 132/2014, poi L. 178/2020).
Mediazione tributaria (D.Lgs. 154/2013)Giudizio tributarioFacoltativa richiesta di incontro con il giudice e l’Avvocatura dello Stato per trovare accordo (può limitare costi legali). Strumento poco usato, obbligo di astensione del giudice.
Rateizzazione e “saldo&stralcio”Riscossione/coattivoSoluzioni di pagamento agevolato dei debiti (tassi agevolati, condono parziale). Non risolvono la controversia sostanziale sul reddito, ma possono ridurre la pressione sul contribuente e facilitare la difesa.

Fonte: norme e prassi tributarie (cfr. L. 212/2000, D.Lgs. 546/92, D.L. 119/2018) e Cass. 18717/2025.

Domande e risposte (FAQ)

  • D. Cosa fare se ricevo un avviso di accertamento per gestione antieconomica?
    R. Prima di tutto, non ignorare l’atto. È fondamentale analizzarne il contenuto: verificare gli anni di imposta, le imposte coinvolte, e la motivazione del fisco (indicare esattamente perché la gestione è ritenuta anomala). Poi, immediatamente, valutare la possibilità di un contraddittorio endoprocedimentale: anche se non obbligatorio per legge, si può scrivere all’ufficio (o partecipare a incontri) fornendo le proprie giustificazioni con documenti di supporto. Se l’atto è già notificato, preparare il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni (o 90 giorni per alcune categorie) dalla notifica, articolando in modo completo la difesa e allegando prove. Citare sempre le sentenze che rendono onere del fisco l’uso di presunzioni valide.
  • D. Ho la contabilità regolare: può l’Agenzia comunque rettificare i miei redditi?
    R. Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’Amministrazione può procedere a un accertamento induttivo anche se i libri contabili sono regolarmente tenuti. La regolarità formale non basta: se emergono indizi gravi che gli utili dichiarati non riflettono l’attività effettiva, il fisco può ignorare le scritture e rettificare “ex presunzioni”. Tuttavia, tale accertamento deve fondarsi su elementi concreti (perdite ingiustificate, ricarichi insostenibili, altro) e rispettare il principio delle presunzioni gravi, precise e concordanti. In pratica, anche con contabilità a posto, se esistono elementi oggettivi di antieconomicità, il fisco può contestarla; tocca però al contribuente provare che quei risultati erano dovuti a cause non evasive (es. documentando spese straordinarie o eventi positivi estranei alla contabilità).
  • D. Come si dimostra la regolarità della mia gestione?
    R. Innanzitutto, raccogliere tutta la documentazione utile: bilanci giustificati, contratti coi fornitori/clienti, listini, consumi effettivi vs teorici, conti bancari riconciliati, ecc. Una strategia efficace è mostrare il quadro economico completo della propria attività: ad esempio, se l’azienda ha investito molto in un periodo (ammortamenti, ristrutturazioni), metterlo in evidenza. Se ci sono soci o enti che contribuiscono con erogazioni (per imprese non profit o cooperative), produrre delibere o contratti di convenzione. È utile anche far eseguire una perizia tecnica-contabile (CTU) che ricostruisca gli utili normalizzati. In giudizio, il contribuente può assumere testimoni (collaboratori commerciali, clienti abituali, o anche periti di fiducia) che confermino la veridicità delle operazioni. In sostanza, qualunque prova che renda credibile la sostenibilità economica dell’attività (anche se in perdita) rafforza la difesa. Come affermato dalla Cassazione, il contribuente può «provare le circostanze contrarie» alle presunzioni dell’Ufficio, quindi deve documentare con precisione i motivi economici.
  • D. Qual è la differenza tra accertamento analitico e induttivo in questo contesto?
    R. Nell’accertamento analitico (art. 39, lett. c) DPR 600/73) l’ufficio rettifica il reddito basandosi su atti o documenti certi (ad es. fatture mancanti, scritture infedeli) che dimostrino ricavi diversi. In pratica, bisogna che ci siano irregolarità formali concrete: es. fatture omesse, note di credito anomale, spese non giustificate dai documenti. Al contrario, l’accertamento induttivo puro (art. 39, lett. d), cfr. DPR 600/73 e analogo art.54 DPR 633/72 per l’IVA) si fonda su presunzioni: non serve un dato contabile inesistente, basta che l’insieme degli indizi renda inverosimile il reddito dichiarato. In breve: l’analitico corregge errori “documentati”, l’induttivo ricostruisce il reddito sulla base di indagini e parametri. Nel caso di gestione antieconomica, in genere si usa l’induttivo, perché la contabilità è formale, ma si ritiene anomala.
  • D. Che ruolo hanno gli studi di settore o gli ISA?
    R. Gli studi di settore (oggi ISA) sono indicatori statistico-economici che stimano i ricavi «normali» per un’azienda con certe caratteristiche. Se un contribuente si discosta drasticamente da questi valori, l’Agenzia ha l’obbligo di contraddittorio e può presumere ricavi non dichiarati fino al 100% della differenza (art. 8 co.3 D.Lgs. 546/92). In pratica, gli studi/ISA sono un tipo di presunzione legale parziale: l’indice di congruità fisso di reddito. Tuttavia, anche qui la giurisprudenza recente afferma che la sola anomalia di settore non giustifica di per sé la rettifica senza ulteriori indizi; il contribuente può fornire spiegazioni specifiche su quei valori (Cass. 24083/2018, cfr. Tas causa onere di prova per studi di settore). L’adozione dell’ISA non esclude l’uso degli altri parametri (ricarichi, margini di profitto, spese bancarie): tutti gli indicatori concorrono alla formazione del giudizio sulla sostenibilità.

Conclusioni

Affrontare una contestazione di gestione antieconomica richiede preparazione e documentazione accurata. Dal punto di vista del debitore, è essenziale:

  • Prevenire: collaborare col fisco in contraddittorio fornendo subito chiarimenti sul modello di business e i suoi numeri.
  • Documentare: mantenere e produrre ogni evidenza contabile e extra-contabile (contratti, perizie, comunicazioni di settore) che spieghi le proprie scelte gestionali.
  • Organizzare la difesa legale con appositi ricorsi e memorie, facendo leva su principi giurisprudenziali aggiornati. Sottolineare sempre che la contabilità “fa fede” fino a prova contraria e che la presenza di una gestione a primo acchito antieconomica non è di per sé prova di evasione se sussistono motivazioni concrete.
  • Sfruttare strumenti deflattivi se possibile (ad. es. richiedere l’accertamento con adesione o la definizione agevolata se il caso rientra nei termini e condizioni), al fine di ridurre sanzioni e liquidare la controversia in modo più favorevole.

In ogni fase del contenzioso, la qualità dell’istruttoria difensiva è determinante: la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che, in presenza di indizi di antieconomicità, spetta al contribuente supplire alla dimostrazione contraria. Dunque, quantomeno, il contribuente deve obiettare con prove e argomentazioni solide: le scelte di prezzo, i costi sostenuti, le condizioni di mercato. Preparare un fascicolo difensivo completo (eventualmente con l’ausilio di consulenti tecnici) è la chiave per non subire passivamente l’avviso dell’Agenzia. Infine, è utile ricordare che ogni giudice tributario è vincolato alle regole delle prove nel processo: se l’accertamento si basa su presunzioni indimostrabili in concreto, o su dati di contesto mal applicati, il contribuente può ottenere l’annullamento dell’atto.

La gestione antieconomica è dunque un terreno di contesa tecnico: richiede competenza fiscale e cura nella raccolta delle prove. Ma conoscendo la normativa, la giurisprudenza e le best practices difensive (come illustrato), il contribuente può efficacemente contrastare le pretese dell’Erario e tutelare i propri diritti.

Fonti normative e giurisprudenziali

  • Normativa: DPR 600/1973, art. 39 (accertamento analitico-induttivo); DPR 633/1972, art. 54 (accertamento IVA analitico-induttivo); D.L. 23/10/2018, n. 119, art. 6 (definizione agevolata delle liti pendenti); L. 212/2000 (Statuto del contribuente, art. 12); D.Lgs. 546/1992 (processo tributario, artt. 6, 48 ss.); D.Lgs. 218/1992, art. 6 (accertamento con adesione); D.Lgs. 154/2013 (mediazione tributaria).
  • Cassazione (sezione tributaria): ord. 15/05/2025 n. 13029; ord. 10/08/2023 n. 24355; ord. 09/07/2025 n. 18717; ord. 11/01/2023 n. 501; ord. 04/02/2025 n. 2645 (Corte di Cassazione); ord. 13/05/2021 n. 12848; sent. SS.UU. 24823/2015 (contraddittorio in IVA); sent. 24083/2018 (definizione agevolata).
  • Giurisprudenza tributaria amministrativa: CTR, CTP vari (si veda ad es. Cass. 12848/2021).

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La contestazione di antieconomicità si verifica quando il fisco ritiene che l’impresa abbia sostenuto costi eccessivi rispetto ai ricavi, o che la gestione non sia in linea con criteri di normale convenienza economica. Da ciò l’Agenzia delle Entrate può presumere l’esistenza di ricavi occulti o di spese non inerenti, emettendo un accertamento induttivo. Tuttavia, la semplice antieconomicità non è sufficiente a dimostrare l’evasione: il contribuente può difendersi dimostrando che i risultati negativi derivano da crisi di mercato, investimenti, scelte imprenditoriali legittime o circostanze eccezionali.


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Conclusione
Una contestazione di gestione antieconomica non equivale automaticamente a evasione fiscale.
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