Come Rendere Inattaccabile Il Patrimonio Familiare

Vuoi proteggere il patrimonio della tua famiglia da banche, creditori e possibili azioni esecutive?
La casa, i risparmi e i beni familiari rappresentano la sicurezza delle persone care. Tuttavia, debiti fiscali, crisi aziendali o problemi finanziari possono metterli in pericolo. Rendere inattaccabile il patrimonio familiare significa adottare strumenti legali e preventivi per tutelarlo da aggressioni esterne.

Perché proteggere il patrimonio familiare
– Per difendere la casa di abitazione da pignoramenti e ipoteche
– Per evitare che debiti personali o professionali si ripercuotano sulla famiglia
– Per garantire ai figli e ai congiunti beni che restino al riparo da azioni esecutive
– Per pianificare la successione e la trasmissione dei beni in modo sicuro

Strumenti per rendere inattaccabile il patrimonio familiare
Fondo patrimoniale: vincola la casa e altri beni ai bisogni della famiglia, rendendoli aggredibili solo per debiti contratti per scopi familiari
Trust familiare: permette di trasferire beni a un trustee che li gestisce a favore della famiglia, proteggendoli dai creditori personali del disponente
Vincolo di destinazione: consente di destinare beni a uno specifico scopo, limitandone l’aggressione da parte dei creditori
Donazioni e pianificazione successoria: utili per trasferire anticipatamente beni ai familiari con strumenti che ne riducano la vulnerabilità
Assicurazioni sulla vita: le somme corrisposte non rientrano nell’asse ereditario e sono impignorabili entro certi limiti di legge

Come difendersi da aggressioni ai beni familiari
– Monitorare eventuali esposizioni debitorie personali e aziendali per intervenire tempestivamente
– Contestare ipoteche o pignoramenti illegittimi notificati dall’Agenzia delle Entrate o da altri creditori
– Dimostrare l’impignorabilità dei beni vincolati a fondo patrimoniale o trust
– Agire in anticipo, creando strumenti di protezione quando ancora non vi sono debiti conclamati
– Evitare operazioni tardive che potrebbero essere considerate atti fraudolenti

Cosa si può ottenere con una protezione efficace
– La sicurezza della casa di abitazione e dei beni destinati ai bisogni familiari
– La riduzione del rischio che crisi aziendali o professionali mettano in pericolo la famiglia
– La continuità patrimoniale per figli e congiunti
– Una maggiore forza contrattuale nei rapporti con i creditori
– La possibilità di vivere con serenità senza il timore di perdere i beni essenziali

Attenzione: la protezione del patrimonio familiare deve essere attuata in modo preventivo e lecito. Gli strumenti giuridici adottati quando i debiti sono già sorti possono essere dichiarati inefficaci dai giudici.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in protezione del patrimonio, diritto di famiglia e difesa dai creditori – ti spiega come rendere inattaccabile il patrimonio familiare e quali strumenti utilizzare in modo legittimo.

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Introduzione

Rendere “inattaccabile” il patrimonio familiare significa adottare strategie legali per limitare la possibilità che i creditori possano aggredire i beni della famiglia. In Italia vige il principio generale sancito dall’art. 2740 c.c., secondo cui “il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”. Questo principio di responsabilità patrimoniale illimitata comporta che, salvo eccezioni previste dalla legge, ogni bene del debitore è potenzialmente aggredibile a garanzia dei debiti. Tuttavia, l’ordinamento prevede alcuni strumenti leciti di segregazione patrimoniale, mediante i quali è possibile destinare determinati beni a uno scopo particolare (famigliare, fiduciario, imprenditoriale, previdenziale, ecc.) rendendoli in vario grado non utilizzabili per il soddisfacimento di obbligazioni estranee a quello scopo.

Nel rispondere al quesito su come rendere effettivamente protetto il patrimonio di famiglia, forniremo una guida aggiornata a luglio 2025, citando le norme rilevanti e le più recenti sentenze delle Corti italiane. Analizzeremo gli strumenti giuridici più utilizzati – dal fondo patrimoniale al trust, dall’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. alle polizze assicurative sulla vita, fino alle società di capitali e alle società semplici – illustrandone il funzionamento, i punti di forza e i limiti. Adotteremo un taglio avanzato, ma con linguaggio chiaro e divulgativo, utile tanto a professionisti del diritto quanto a imprenditori e privati cittadini. Il tutto sarà affrontato dal punto di vista del debitore che intende pianificare in via preventiva la tutela del proprio patrimonio, evitando responsabilità illimitate e prevenendo abusi, ma senza sconfinare nell’illegalità o nella frode. Ricordiamo infatti che un utilizzo distorto di questi strumenti (ad esempio al solo fine di sottrarre beni ai creditori) può portare alla loro inefficacia e persino a conseguenze penali in ambito tributario.

Nelle sezioni che seguono esamineremo ciascun istituto giuridico, con riferimenti normativi, indicazioni pratiche, casi giurisprudenziali aggiornati e considerazioni sugli aspetti fiscali. In aggiunta, saranno presentate tabelle riepilogative, esempi e una sezione di Domande & Risposte, per chiarire i dubbi frequenti. L’obiettivo finale è fornire una guida completa su come proteggere il patrimonio familiare in modo lecito ed efficace, bilanciando l’esigenza di tutela dei beni con il rispetto delle normative vigenti e dei diritti dei creditori.

Principi generali della protezione patrimoniale

Prima di analizzare i singoli strumenti, è utile richiamare alcuni principi generali del diritto italiano in materia di garanzia patrimoniale e protezione dei beni. Come accennato, il cardine è l’art. 2740 c.c., che rappresenta una norma di chiusura a tutela dei creditori: di regola tutto il patrimonio di una persona risponde dei suoi debiti, presenti e futuri. Deroghe a questa regola sono ammesse solo per previsione di legge, e in quanto tali sono di stretta interpretazione. Ciò significa che il debitore non può arbitrariamente sottrarre beni alla garanzia generica dei creditori, se non utilizzando strumenti legali tipici che la legge stessa mette a disposizione. Gli istituti di segregazione patrimoniale (come il fondo patrimoniale, il trust, i vincoli di destinazione, ecc.) sono proprio alcune di queste eccezioni, in quanto permettono di creare patrimoni separati o destinati a uno scopo, entro i limiti e alle condizioni previste dalla normativa.

È fondamentale comprendere che nessuno di questi strumenti garantisce un’impunità assoluta: l’ordinamento bilancia la tutela del debitore e della sua famiglia con la tutela del credito. Ad esempio, costituire un fondo patrimoniale o un trust quando si è già indebitati e in assenza di altre risorse può facilmente essere considerato un atto in frode ai creditori, e come tale aggredibile con azione revocatoria ex art. 2901 c.c.. L’azione revocatoria ordinaria consente al creditore pregiudicato da un atto dispositivo a titolo gratuito (o anche oneroso, in presenza di dolo del debitore e conoscenza del terzo) di ottenerne l’inefficacia relativa, ricostituendo la garanzia sul bene separato. Tutti gli istituti protettivi esaminati rientrano, in caso di abuso, nel raggio d’azione dell’azione revocatoria: la giurisprudenza ha chiarito che anche atti non trasferitivi in senso stretto – come la costituzione di un fondo patrimoniale o di un trust autodichiarato – possono diminuire la garanzia patrimoniale e quindi essere revocati se fatti in frode.

In aggiunta alla revocatoria giudiziale, il legislatore ha introdotto nel 2015 un meccanismo di tutela immediata per i creditori: l’art. 2929-bis c.c., che consente, al ricorrere di specifici presupposti, di pignorare direttamente beni oggetto di vincoli di destinazione o donazioni senza attendere una sentenza. In particolare, se un creditore è già munito di titolo esecutivo e l’atto di disposizione a titolo gratuito (costituzione di un fondo patrimoniale, di un trust, di un vincolo ex 2645-ter, oppure una donazione) è successivo al sorgere del credito ed è trascritto da meno di un anno, il creditore può agire immediatamente sui beni conferiti o trasferiti, aggirando i tempi della revocatoria. Questa norma, nata per contrastare le “fughe di beni” last-minute, impone al debitore una pianificazione tempestiva e non strumentale: proteggere il patrimonio quando ancora non vi sono creditori in vista o situazioni di insolvenza, e farlo con atti rispettosi della legge, è l’unica strada per evitare che tali atti vengano poi spazzati via da revocatorie o pignoramenti ex art. 2929-bis.

Un altro principio generale da tenere presente è quello della meritevolezza degli interessi e della buona fede. Strumenti come il trust e l’atto di destinazione presuppongono per la loro validità la realizzazione di interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (contratto atipico). Ciò significa che l’unico scopo di tali atti non deve essere la mera sottrazione dei beni ai creditori – altrimenti verrebbe violato l’art. 2740 c.c. – ma deve esservi una causa lecita concreta, ad esempio la tutela della famiglia, la pianificazione successoria, la protezione di soggetti deboli, la continuità aziendale, etc.. La giurisprudenza ha più volte affermato la nullità o inopponibilità di atti privi di causa reale e posti in essere solo per eludere la regola della responsabilità patrimoniale universale. Pertanto, è buona prassi esplicitare le finalità genuine negli atti istitutivi (soprattutto nei trust e nei vincoli di destinazione) e comportarsi coerentemente ad esse, per evitare che un giudice possa rilevare un “abuso dello strumento giuridico” e dichiararne l’inefficacia.

Da ultimo, bisogna considerare gli aspetti fiscali e penali: trasferire beni in determinate forme può comportare imposte (si pensi alle imposte sulle donazioni per un trust o una donazione diretta, alle imposte di registro/ipotecarie per conferimenti immobiliari, ecc.), e soprattutto non salva dalle obbligazioni tributarie. Il Fisco dispone di norme speciali per tutelare le proprie ragioni: ad esempio, in materia di fondo patrimoniale, l’Amministrazione finanziaria può iscrivere ipoteca sui beni del fondo per debiti tributari, a meno che il contribuente provi rigorosamente che quei debiti erano estranei ai bisogni familiari e che il Fisco ne era consapevole. Inoltre, porre in essere atti dispositivi del patrimonio con finalità fraudolenta verso il Fisco può integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), punito con la reclusione se il debito fiscale supera determinate soglie (attualmente €50.000, con aggravante oltre €200.000). Costituire un trust o un fondo patrimoniale dopo aver maturato un grosso debito tributario, al solo scopo di evitare pignoramenti da parte dell’Erario, espone il debitore a possibili indagini penali oltre che all’inefficacia dell’atto: la Cassazione penale ha recentemente confermato che un trust autodichiarato usato come schermo per beni di un contribuente indebitato configura tale reato. Si tornerà su questi profili fiscali man mano che analizzeremo i singoli strumenti. L’importante, in via generale, è avere chiaro che la protezione del patrimonio familiare va pianificata con largo anticipo e motivazioni sostanziali, evitando di trovarsi all’ultimo momento a spostare frettolosamente beni quando i creditori (privati o il Fisco) hanno già iniziato le loro azioni. La tempestività e la legittimità dello scopo sono le chiavi per rendere efficace e duratura qualsiasi asset protection.

Segue ora l’analisi dei principali strumenti giuridici di protezione patrimoniale in ambito familiare. Per ciascuno, vedremo cos’è, come funziona, chi può utilizzarlo, quali vantaggi offre al debitore e quali limiti o rischi comporta, anche alla luce delle ultime novità normative e giurisprudenziali (aggiornate al 2025). In chiusura verranno proposte tabelle comparative e FAQ per ricapitolare i punti salienti.

Il fondo patrimoniale: tutela dei beni della famiglia

Il fondo patrimoniale è uno strumento tradizionale dell’ordinamento civile italiano, previsto dagli artt. 167–171 del Codice Civile. Esso consiste in un vincolo di destinazione che i coniugi (o un terzo, anche tramite testamento) possono costituire su determinati beni – beni immobili, beni mobili registrati o titoli di credito – destinandoli a far fronte ai bisogni della famiglia. I beni conferiti nel fondo patrimoniale formano un patrimonio separato dal resto del patrimonio dei coniugi: per espressa previsione dell’art. 170 c.c., “l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. In altre parole, i creditori non possono aggredire i beni del fondo patrimoniale per debiti che non siano stati contratti nell’interesse della famiglia, purché – fondamentale! – il creditore al momento in cui è sorto il debito fosse a conoscenza dell’estraneità di questo rispetto ai bisogni familiari. La ratio è proteggere la casa familiare e gli altri beni destinati alla famiglia da pretese creditorie derivanti da obbligazioni personali di un coniuge non correlate alle esigenze familiari (es. debiti per attività speculative, spese voluttuarie estranee al ménage familiare, ecc.).

Costituzione e requisiti: il fondo patrimoniale può essere costituito da due coniugi, oppure da uno solo di essi (anche su bene di proprietà esclusiva) a vantaggio della famiglia, oppure da un terzo (anche per testamento) a beneficio della famiglia di determinate persone coniugate. Dal 2016, con la legge sulle unioni civili, l’istituto è accessibile anche alle coppie unite civilmente (le parti di unione civile sono equiparate ai coniugi ai fini degli artt. 167 ss. c.c.). La costituzione richiede un atto pubblico notarile con l’accettazione da parte dell’altro coniuge (se sono gli stessi coniugi a conferire i beni) o l’accettazione da parte dei coniugi beneficiari se è un terzo a dotare il fondo. L’atto deve essere annotato a margine dell’atto di matrimonio (o dell’unione civile) per divenire opponibile ai terzi e, se riguarda beni immobili o mobili registrati, dev’essere trascritto nei pubblici registri immobiliari o mobiliari. I beni conferiti restano di proprietà dei coniugi (salvo diverso accordo, possono anche divenire in comunione se erano personali), ma sono gravati da questo vincolo di destinazione che ne limita l’utilizzo e la disponibilità: ad esempio, per alienare o ipotecare i beni del fondo occorre il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, l’autorizzazione del giudice (art. 169 c.c.). I frutti dei beni (es. canoni di locazione) dovrebbero essere impiegati per i bisogni della famiglia. Il fondo si scioglie per annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzio), salvo che vi siano figli minori, nel qual caso dura fino alla maggiore età dell’ultimo figlio (art. 171 c.c.). Può anche cessare per esaurimento del patrimonio o consenso dei coniugi (con autorizzazione del giudice se figli minori).

Vantaggi e forza protettiva: se validamente costituito prima dell’insorgere di debiti, e se utilizzato correttamente, il fondo patrimoniale offre una discreta tutela dei beni essenziali della famiglia (tipicamente la casa di abitazione). Il suo effetto principale è l’impignorabilità condizionata: il creditore che tenta un pignoramento di un bene in fondo patrimoniale dovrà affrontare l’opposizione del debitore, il quale potrà eccepire che il debito è estraneo ai bisogni familiari e che tale estraneità era conosciuta dal creditore quando concesse il credito. Se il debitore riesce a provare queste circostanze, l’esecuzione forzata non potrà proseguire sul bene vincolato. Ad esempio, se un coniuge ha costituito un fondo patrimoniale e poi contrae un debito per finanziare un investimento speculativo personale, quel debito potrebbe essere considerato “estraneo” ai bisogni della famiglia; se il creditore era consapevole di tale estraneità (ad es., perché dalla documentazione contrattuale emergeva chiaramente la destinazione speculativa), allora non potrà soddisfarsi sui beni del fondo. Questo meccanismo incentiva le banche o altri creditori a verificare l’esistenza di un fondo patrimoniale e la finalità del credito che stanno concedendo: se ignorano il vincolo o concedono prestiti per scopi manifestamente estranei ai bisogni familiari, rischiano di non poter aggredire quei beni. Il regime del fondo, dunque, tutela in primis il nucleo familiare (coniugi e figli) evitando che, per debiti personali di uno di essi estranei alla famiglia, possano andare perse ad esempio la casa di abitazione della famiglia o altre utilità primarie.

Limiti e recenti orientamenti giurisprudenziali: occorre evidenziare che la protezione offerta dal fondo patrimoniale non è assoluta, anzi è stata oggetto di interpretazioni restrittive da parte della giurisprudenza recente, soprattutto per evitare abusi. Un punto chiave è proprio la nozione di “debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia“. La Cassazione ha chiarito che i “bisogni della famiglia” non vanno intesi in senso meramente essenziale (non si limitano cioè alle sole necessità di sussistenza), ma ricomprendono tutto ciò che concerne il pieno mantenimento e lo sviluppo armonico della famiglia, includendo anche il benessere economico e le esigenze volte a potenziare la capacità lavorativa dei membri della famiglia. Proprio partendo da questa visione ampia, le Sezioni semplici della Cassazione hanno di recente invertito quella che era una presunzione diffusa: prima si tendeva a ritenere che i debiti contratti nell’attività d’impresa o professionale di un coniuge fossero automaticamente (o quanto meno presumibilmente) estranei ai bisogni familiari. In effetti una pronuncia del 2021 (Cass. ord. n. 2904/2021) aveva affermato che i debiti derivanti dall’attività lavorativa imprenditoriale/professionale di regola sono estranei ai bisogni della famiglia, salvo prova contraria. Questo orientamento è stato rivisto nel 2024: con la sentenza n. 32146/2024 la Cassazione ha stabilito che non ci si può basare unicamente sulla natura imprenditoriale del debito per escludere la responsabilità del fondo patrimoniale. Anzi, ha affermato un principio quasi opposto: normalmente l’attività di impresa o di lavoro serve proprio a mantenere la famiglia, quindi i debiti che ne derivano si presumono finalizzati ai bisogni familiari, salvo prova rigorosa del contrario. Più precisamente, la Corte ha fissato il seguente principio di diritto: “in tema di beni costituiti in fondo patrimoniale, il debitore che intenda sottrarli all’esecuzione forzata è onerato di provare che il creditore era consapevole dell’estraneità ai bisogni della famiglia […] del debito contratto, anche se questo è sorto nell’ambito dell’attività imprenditoriale o professionale svolta dal coniuge”. Dunque non basta al debitore invocare la natura “aziendale” o “professionale” del debito per evitare il pignoramento: occorre comunque dimostrare in concreto che quel debito non aveva ricadute (nemmeno indirette o potenziali) sul benessere familiare e che il creditore sapeva tale estraneità. L’onere della prova grava sul debitore; in mancanza, vige la normalità che i proventi dell’attività di ciascun coniuge servono (anche) alla famiglia, e così pure le passività connesse. Questo orientamento (Cass. 32146/2024) ha segnato un giro di vite contro l’uso spregiudicato del fondo patrimoniale da parte, ad esempio, di imprenditori: non si può più dare per scontato che un debito bancario contratto per finanziare l’azienda sia estraneo ai bisogni familiari; occorrerà provare che quei soldi non hanno portato alcun beneficio (nemmeno in prospettiva) alla famiglia e che la banca ne era conscia erogando il credito. In pratica, la tutela del fondo si è ristretta, almeno sul piano probatorio, poiché vengono coperti solo i debiti chiaramente estranei alla famiglia e con creditori consapevoli di tale estraneità. Ad esempio, nel caso deciso dalla Cassazione nel 2024: un imprenditore edile aveva messo la casa in fondo e poi contratto un mutuo per la sua impresa; la Cassazione ha stabilito che il fondo non poteva evitare l’ipoteca della banca, dato che l’imprenditore non aveva fornito prova stringente che quel mutuo non giovasse affatto alla famiglia (anzi, i redditi d’impresa mantengono la famiglia). La banca dunque poteva iscrivere ipoteca e procedere.

Un altro limite importante è che il fondo patrimoniale non protegge dai debiti anteriori alla sua costituzione. Se un soggetto costituisce un fondo quando ha già dei crediti insoddisfatti verso terzi, questi ultimi potranno agire con azione revocatoria per far dichiarare inefficace l’atto di costituzione del fondo rispetto a loro. La giurisprudenza è granitica nel ritenere l’atto di costituzione del fondo patrimoniale un atto a titolo gratuito potenzialmente pregiudizievole per i creditori, dunque revocabile ex art. 2901 c.c. purché ricorrano i requisiti (credito anteriore e scientia damni del debitore). La sentenza Cass. 28593/2024 ha ulteriormente chiarito gli effetti della revocatoria sul fondo: l’accoglimento dell’azione fa venir meno il vincolo di destinazione sui beni del fondo (ripristinandone la normale aggredibilità) con effetto limitato al creditore attore, ma non travolge eventuali atti di disposizione dei beni fatti nel frattempo a favore di terzi. Ciò perché la costituzione del fondo non è un atto di trasferimento in sé – i beni restano ai coniugi – quindi se tali beni sono stati alienati successivamente a terzi, tali alienazioni non dipendono dall’atto istitutivo del fondo e non vengono automaticamente caducate dalla sua revoca. In pratica, il creditore che revoca il fondo rende quel vincolo inefficace erga se (solo nei suoi confronti) e riacquista la possibilità di pignorare i beni come se il fondo non ci fosse mai stato. Se però il debitore ha già venduto quei beni a terzi, il creditore dovrà eventualmente agire con separata azione (revocatoria del successivo atto di vendita) perché la revoca del fondo di per sé non annulla le vendite fatte a terzi estranei. Questo complesso principio evidenzia che costituire un fondo patrimoniale e poi cedere i beni a terzi non legati dal vincolo può mettere i creditori in maggiore difficoltà (dovendo forse fare due cause revocatorie in serie); ma attenzione: se il creditore aveva già trascritto la domanda di revocatoria sul fondo prima della vendita, il terzo acquirente subisce gli effetti retroattivi dell’azione vittoriosa (art. 2902 c.c.), a meno che – dice la Cassazione – non si tratti appunto di ipotesi di fondo patrimoniale dove quell’art. 2902 c.c. non opera automaticamente per i motivi sopra detti. Al di là dei tecnicismi, per il debitore la lezione è: il fondo patrimoniale va fatto molto prima e con scopi leciti, perché se fatto quando i creditori sono alle porte sarà facilmente revocato.

Un aspetto peculiare riguarda i debiti fiscali e il fondo patrimoniale. Le Entrate tendono a considerare le imposte dovute come obbligazioni inerenti alla famiglia, in quanto chi gode dei redditi ha anche il dovere di pagarne le imposte. La giurisprudenza però non è univoca: talora tasse o sanzioni tributarie relative ad attività d’impresa sono state giudicate estranee ai bisogni familiari (specie se la famiglia non traeva utilità dai redditi poi colpiti da imposta o sanzione). Ad ogni modo, costituire un fondo patrimoniale per sfuggire al Fisco è molto pericoloso: oltre al rischio penale già menzionato, va segnalata la sentenza Cass. 26496/2024 (sez. V tributaria), la quale ha ribadito che l’Agente della Riscossione può iscrivere ipoteca fiscale sui beni in fondo patrimoniale se il contribuente non prova l’estraneità del debito tributario ai bisogni familiari. In quel caso, un contribuente con cartelle esattoriali non pagate si era opposto all’ipoteca su due immobili in fondo patrimoniale, sostenendo che spettava al Fisco dimostrare che le tasse evase fossero per bisogni familiari. La Cassazione invece ha stabilito che vale la regola generale: è il contribuente-debitore a dover provare che quei debiti fiscali nulla avevano a che fare con la famiglia e, per di più, che il Fisco lo sapeva. In mancanza di tale prova rigorosa, l’ipoteca è legittima. Dunque, nemmeno nei confronti del Fisco il fondo offre uno scudo certo, specie dopo gli orientamenti del 2024 che – come visto – hanno aggravato il compito probatorio del debitore.

In sintesi, il fondo patrimoniale è un istituto che può contribuire a proteggere la casa e altri beni della famiglia, ma funziona bene solo in contesti normali e pianificati (es.: coniugi che destinano la casa familiare e alcuni risparmi al fondo all’inizio dell’unione, senza situazioni debitorie in atto). Se invece viene attivato in prossimità di difficoltà finanziarie o lo si vorrebbe opporre a debiti derivanti da attività economiche significative, la protezione rischia di risultare debole. La tendenza giurisprudenziale è infatti di tutelare il credito quando i debiti hanno una qualche attinenza con la vita familiare o professionale del debitore. Inoltre, il fondo vincola i beni solo finché i coniugi restano sposati e non ci siano figli minori dopo: in caso di divorzio (o di decesso di entrambi i coniugi senza figli minori), il fondo cessa e i beni tornano completamente liberi, potenzialmente aggredibili da creditori.

Caso esemplificativo: Mario e Anna, marito e moglie, costituiscono un fondo patrimoniale nel 2018 conferendovi la casa di proprietà. Nel 2022 Mario, imprenditore, contrae dei debiti bancari per la sua attività commerciale che in seguito non riesce a ripagare. La banca ottiene un decreto ingiuntivo e avvia un’azione esecutiva sulla casa di Mario. Mario si oppone, sostenendo che il debito bancario era per l’azienda e quindi estraneo ai bisogni familiari. La banca replica che i redditi di quell’azienda contribuivano al mantenimento familiare. In giudizio, secondo gli orientamenti attuali, Mario avrebbe l’onere di dimostrare che il prestito aziendale non ha avuto alcun collegamento col bilancio familiare e che la banca era consapevole di questa estraneità (ad esempio dimostrando che la banca sapeva che il prestito serviva per un progetto speculativo del tutto estraneo alla famiglia). Se Mario non fornisce tale prova – e tipicamente è molto difficile – il giudice riterrà pignorabile la casa nonostante il fondo patrimoniale. La banca potrà quindi procedere all’esecuzione. Mario potrebbe tentare altre strade (es. contestare il mutuo per altri motivi), ma non potrà fare affidamento sul fondo patrimoniale come scudo, data la natura imprenditoriale (dunque presumibilmente familiare) del debito.

Aspetti fiscali del fondo patrimoniale: dal punto di vista tributario, la costituzione di un fondo patrimoniale non genera di per sé imposte sui redditi o indirette significative. Il trasferimento di beni al fondo non è un atto traslativo verso un soggetto diverso (restano ai coniugi), quindi non c’è imposta di donazione tra coniugi. Vi saranno i normali costi di registrazione e trascrizione (imposta fissa di registro e ipo-catastali se immobili, bolli, onorari notarili). Durante la vigenza del fondo, i redditi prodotti dai beni (es. canoni di affitto) restano fiscalmente imputati ai proprietari (i coniugi) secondo le regole ordinarie IRPEF; non c’è un soggetto fiscale “fondo” separato. Dal punto di vista delle imposte patrimoniali, nessuna agevolazione: ad esempio l’IMU sulla casa resta dovuta (se seconda casa) dai proprietari, anche se vincolata nel fondo. In caso di conferimento da parte di un terzo (es. suocero che dota un immobile al fondo del figlio e nuora), tecnicamente si tratta di una donazione verso i coniugi (anche se destinata al fondo), dunque soggetta all’eventuale imposta sulle donazioni secondo il grado di parentela (spesso esente se a favore del figlio entro la franchigia di 1 milione di €). Se però il terzo conferente si riserva l’usufrutto o pone condizioni, la struttura fiscale può complicarsi. In generale, comunque, il fondo patrimoniale non offre vantaggi né svantaggi fiscali rilevanti: è neutro da questo punto di vista, salvo evitare – in ipotesi – che i beni finiscano in un patrimonio separato estero o in trust, cosa che avrebbe altre implicazioni fiscali.

Un cenno va fatto alla relazione tra fondo patrimoniale e imposta sulle successioni e donazioni: poiché la costituzione del fondo tra coniugi non è considerata un “trasferimento” in senso stretto (i beni restano nella famiglia), generalmente non attiva l’imposta sulle donazioni. Tuttavia, se i beni del fondo al termine dovessero essere trasferiti a terzi (es. ai figli, una volta cessato il fondo magari per morte dei genitori), quell’atto sarebbe soggetto alle imposte previste (es. successione o donazione, a seconda delle modalità). Non vi sono normative specifiche nuove al 2025 su questo punto: la recente riforma (D.Lgs. 139/2024) ha menzionato i “vincoli di destinazione” tra gli atti che possono far scattare l’imposta, ma ciò più che altro riguarda i trust e gli atti ex 2645-ter (come vedremo oltre). Il fondo patrimoniale, restando confinato all’interno della comunione familiare, tendenzialmente non determina un arricchimento tassabile fino a che i beni restano ai coniugi o ai loro discendenti aventi diritto.

In conclusione sul fondo patrimoniale: è uno strumento di tutela “classico”, consigliabile per proteggere la casa coniugale e pochi altri beni di famiglia da evenienze impreviste, ma deve essere attivato in una situazione di tranquillità economica (non quando i creditori sono già alle porte) e consapevoli che protegge solo da debiti estranei alla famiglia. Non è adatto a schermare attività d’impresa rischiose (in tal caso meglio usare società di capitali o trust, come vedremo) né a eludere il Fisco. Inoltre, la sua efficacia è ormai limitata dalla giurisprudenza più recente: il debitore avrà spesso un difficile onere probatorio per difendere il vincolo. In ogni caso rimane uno strumento relativamente semplice e a basso costo (rispetto ad altri) per segregare beni in un ambito familiare, e per questo è ancora utilizzato, ad esempio, da professionisti o piccoli imprenditori che intendano mettere al riparo la casa di abitazione e pochi investimenti a beneficio della moglie e dei figli. Bisogna però operare con estrema correttezza e cautela nella sua costituzione e gestione, tenendo sempre presente la lente con cui i tribunali valuteranno l’operazione in caso di contenzioso con creditori.

Il trust: segregazione patrimoniale flessibile e internazionale

Tra gli strumenti di asset protection, il trust è forse quello che offre la maggiore flessibilità e forza segregativa, pur essendo di introduzione relativamente recente nel panorama giuridico italiano. Il trust non è disciplinato da una legge interna italiana, ma è riconosciuto per effetto della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata in Italia con legge 364/1989 ed in vigore dal 1992. In base a tale Convenzione, è possibile istituire in Italia un trust scegliendo come legge regolatrice quella di un Paese che prevede e disciplina l’istituto (ad esempio la legge di Jersey, di Guernsey, del Regno Unito, del Delaware, ecc.). Si parla comunemente di “trust interno” per indicare un trust in cui beni, disponente, beneficiari, ecc. sono tutti collegati all’Italia, ma che viene disciplinato da una legge straniera prescelta. Pur non essendoci (ancora) una legge italiana specifica sul trust, questo strumento viene ampiamente usato anche in Italia e riconosciuto negli effetti dalla nostra ordinamento, salvo il limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative interne (ad es. non si può usare il trust per violare norme come quelle sulla successione necessaria, sulla par condicio dei creditori, ecc., come anche la Convenzione specifica).

Che cos’è e come funziona il trust: il trust è essenzialmente un rapporto giuridico fiduciario in cui un soggetto (disponente o settlor) trasferisce determinati beni a un altro soggetto (trustee), il quale li amministra e gestisce nell’interesse di uno o più beneficiari (o per il raggiungimento di uno scopo determinato), secondo le regole stabilite in un atto istitutivo (trust deed). La caratteristica fondamentale è che i beni trasferiti nel trust costituiscono un patrimonio separato sia dal patrimonio personale del trustee sia da quello del disponente. Il trustee ne diventa formalmente proprietario (titolarità legale), ma non ne può disporre liberamente a proprio beneficio: ha l’obbligo di destinarli ai beneficiari secondo le finalità del trust. Grazie a questa separazione (detta effetto segregativo), i beni in trust non sono aggredibili dai creditori personali del trustee né, di regola, da quelli del disponente. Inoltre, non rientrano nel patrimonio ereditario del disponente (se questi muore durante il trust), in quanto egli se ne è spossessato; faranno invece parte, al termine, della sfera dei beneficiari designati. In sintesi, il trust permette di separare la sorte di determinati beni dalla sorte giuridica del disponente, mettendoli in mani fiduciarie per uno scopo o beneficio altrui.

Esempio semplice di trust: Tizio trasferisce un immobile e un conto titoli a Caio (trustee) affinché li gestisca e alla fine li trasferisca ai figli di Tizio (beneficiari) quando questi avranno compiuto 30 anni. Nel frattempo, i beni sono segregati: se Tizio avesse debiti, i suoi creditori in linea di principio non possono pignorare l’immobile o il conto, perché Tizio ne ha perso la titolarità; se Caio (trustee) avesse suoi debiti personali, i suoi creditori non possono aggredire i beni del trust perché non appartengono realmente a Caio (che li detiene in fiduciaria amministrazione); nemmeno i creditori dei figli (prima che i beni arrivino loro) potrebbero far valere diritti su quel patrimonio. In questo modo, Tizio ha protetto quei beni per assicurare un futuro ai figli, indipendentemente dalle vicende sue o di Caio. Ovviamente, i creditori di Tizio rimasti insoddisfatti potrebbero tentare azioni (ad es. revocatoria, come vedremo), ma in assenza di frode il trust così congegnato è robusto.

Vantaggi protettivi del trust: rispetto agli strumenti interni come il fondo patrimoniale o l’atto di destinazione, il trust offre alcuni vantaggi rilevanti:

  • Ampia portata oggettiva: nel trust si possono segregare qualsiasi tipo di beni o diritti (immobili, mobili registrati, denaro, partecipazioni societarie, opere d’arte, crediti, ecc.), anche costituendo un fondo molto vario. Non c’è il limite dei soli immobili/mobili registrati come per il fondo patrimoniale o il vincolo ex 2645-ter c.c. Si può conferire anche un’intera azienda, o essere beneficiari di una polizza vita indicandone il trustee, ecc.. Questa flessibilità lo rende adatto a proteggere patrimoni complessi.
  • Segregazione molto forte: il trust crea un effetto segregativo totale: i beni escono dalla sfera giuridica del disponente e non entrano nel patrimonio pieno del trustee (che li possiede solo per funzione), formando un patrimonio autonomo. La separazione è così netta che – come sottolineato spesso – costituisce quasi una “zona franca” dal punto di vista delle aggressioni: nessun creditore personale, né del disponente né del trustee né (finché non ricevono) dei beneficiari, può sottoporre a esecuzione i beni in trust. Ovviamente, resta la possibilità per i creditori del disponente di contestare il trust se questo li ha pregiudicati (revocatoria) o di farlo dichiarare simulato se fittizio; ma finché il trust è valido, il creditore non può pignorare direttamente quei beni, a differenza di quanto avviene con il fondo patrimoniale (dove il creditore può tentare il pignoramento e la questione famiglia/estraneità è poi oggetto di opposizione). Nel trust, la segregazione è più radicale: i beni non appartengono più al debitore, quindi il creditore in genere deve prima far cadere il trust per poi aggredirli. Questo è un potente deterrente.
  • Flessibilità di struttura: il trust consente di personalizzare in dettaglio l’atto istitutivo, prevedendo clausole ad hoc per la gestione dei beni, poteri e doveri del trustee, diritti dei beneficiari, eventuale presenza di un guardiano (protector) che vigili sull’operato del trustee, condizioni di durata, ecc. Si possono così cucire soluzioni su misura per la famiglia: ad esempio trust discrezionali (dove il trustee decide come e quando assegnare ai vari beneficiari, offrendo protezione anche dalle pretese dei loro futuri creditori o ex coniugi), trust dinastici di lunga durata (per mantenere indiviso un patrimonio di generazione in generazione), trust caritatevoli (per beneficenza, con scopo altruistico). Questa flessibilità manca nel fondo patrimoniale, che è standardizzato e dedicato solo ai bisogni familiari, o nell’atto ex 2645-ter che richiede uno scopo definito e non dà margine di governance sofisticata.
  • Possibilità di terzietà del gestore: scegliendo un trustee indipendente (ad es. un trust company, un professionista fiduciario, un parente di fiducia non creditore, ecc.), il disponente può aumentare la robustezza del trust. Se il disponente stesso mantiene il ruolo di trustee (trust autodichiarato), il trust è valido ma più attaccabile (perché i beni restano di fatto sotto il suo controllo, facilitando accuse di simulazione). Invece, con un trustee terzo che gestisce realmente e con beneficiari definiti (es. i figli), il trust appare più genuino e “solido” contro contestazioni. La legge straniera scelta spesso offre ulteriori strumenti di protezione, come clausole di spendthrift (limitazione di diritti dei beneficiari), non contest clauses, ecc., che qui però non approfondiamo.

Limiti e rischi del trust (opponibilità ai creditori): benché il trust sia potenzialmente il più efficace strumento di protezione patrimoniale, presenta anche esso alcune criticità dal punto di vista giuridico, soprattutto se usato in modo aggressivo:

  • Innanzitutto, come già detto, un trust istituito con finalità meramente elusive dei creditori può essere dichiarato inefficace o addirittura nullo. I creditori dispongono della azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. per colpire sia l’atto istitutivo del trust sia i singoli conferimenti in trust. La Cassazione (es. ord. n. 25964/2023) ha confermato che il creditore può scegliere se agire contro l’atto di conferimento o contro l’atto istitutivo, essendo entrambi atti dispositivi rilevanti ai fini del pregiudizio. Nel caso di trust autodichiarato (disponente = trustee), addirittura l’atto istitutivo stesso produce un immediato effetto segregativo sui beni (pur senza trasferimento) e quindi può costituire di per sé atto revocabile, avendo diminuito la garanzia patrimoniale del creditore. In giudizio verrà valutata la causa concreta del trust: se si dimostra che era un “trust di mero scopo di sottrarre beni ai creditori”, la revoca sarà verosimilmente accolta; se invece il trust perseguiva uno scopo lecito autonomo (es. tutela di un figlio disabile, pianificazione successoria genuina) e non vi è scientia fraudis, il giudice potrebbe respingere la revocatoria in assenza di frode comprovata.
  • A fianco della revocatoria, dal 2015 anche il trust (se a titolo gratuito) è soggetto all’art. 2929-bis c.c.: significa che un creditore con titolo esecutivo può procedere direttamente a pignorare un bene conferito in trust dal debitore dopo il sorgere del credito, entro l’anno dalla trascrizione del trust, senza attendere l’esito di un giudizio. In pratica, se Caio vanta un credito certo ed esecutivo verso Tizio e scopre che Tizio un mese fa ha messo la villa in un trust a favore dei figli, Caio – ricorrendone i presupposti – può notificare un pignoramento al trustee e trascriverlo contro il bene in trust, invocando l’art. 2929-bis. Il bene verrà poi venduto e Caio soddisfatto, salvo ovviamente il diritto dei beneficiari (figli) di opporsi in giudizio dimostrando eventualmente che non c’erano i presupposti (atto non gratuito, credito non anteriore, ecc.). Questa norma, come già spiegato, riduce di molto i tempi di reazione del creditore. Quindi costituire trust “dell’ultimo minuto” serve a poco se il creditore è diligente: in un anno può avviare l’azione esecutiva diretta.
  • Il trust, pur non avendo personalità giuridica, è comunque un “soggetto fiscalmente rilevante” e registrabile; quindi non garantisce anonimato totale né semplicità di gestione. Bisogna aprire un codice fiscale per il trust, tenere una contabilità di base, il trustee deve presentare dichiarazioni fiscali per il trust (se dotato di redditi) o comunque gestire con trasparenza. Inoltre l’atto di trust va verosimilmente registrato (anche se con imposta fissa, in mancanza di trasferimenti a tassazione immediata) e se riguarda immobili trascritto. Questo lo rende visibile ai terzi (es. risulta dalla visura catastale che l’immobile è intestato a “Caio trustee del Trust X”). I creditori dunque non hanno troppa difficoltà a scoprire l’esistenza del trust, e possono attivarsi di conseguenza. Quindi il trust non è uno strumento per “nascondere” i beni in senso stretto, bensì per proteggerli giuridicamente dietro un vincolo riconosciuto.
  • Costi e competenza tecnica: istituire e gestire un trust è più oneroso rispetto, ad esempio, a un fondo patrimoniale. Serve il coinvolgimento di professionisti esperti: un notaio o avvocato per predisporre l’atto istitutivo (in inglese o bilingue se legge straniera), spesso un trustee professionale che percepisce compensi annuali, eventuali costi per il guardiano. Dal punto di vista costi, si deve anche considerare la fiscalità (come esposto più avanti). Pertanto è uno strumento adatto per patrimoni di un certo valore o situazioni complesse, mentre sarebbe sproporzionato per proteggere ad esempio un piccolo appartamento (dove magari il fondo patrimoniale basta e avanza).
  • Rischio “sham trust” (trust simulato/fittizio): la Cassazione e i tribunali italiani sono molto attenti a verificare se il trust non sia di pura facciata. In particolare, un trust dove il disponente resta di fatto padrone dei beni, magari nominando sé stesso trustee e beneficiario, con la mera etichetta di trust, può essere dichiarato simulato e quindi inesistente. La Cassazione penale, ad esempio, ha definito “negozio simulato fraudolento” il trust autodichiarato istituito al solo scopo di non pagare le imposte, evidenziando come elementi sintomatici il fatto che il disponente/trustee continuava a gestire i beni “come propri” e che mancassero beneficiari effettivi (trust con beneficiario generico o scopo finto). Anche in sede civile, se i creditori provano che il trust era privo di vera causa e attuato in violazione dell’art. 2740 c.c., potrebbero ottenerne la nullità (per illiceità della causa) anziché solo la revoca. Un caso classico fu un trust liquidatorio con cui un imprenditore insolvente cercò di trasferire tutti i beni ai creditori “scelti” evitando il fallimento: la Cassazione lo dichiarò nullo per contrasto con le norme inderogabili concorsuali. Quindi serve attenzione: un trust ben fatto deve avere sostanza (beni realmente segregati e amministrati da trustee indipendente, beneficiari chiari, scopi leciti) e non lasciare al disponente il controllo totale. Se il debitore mantiene mani libere sui beni, il trust perde efficacia e i creditori possono facilmente attaccarlo come simulazione o interposizione fittizia. In ambito fiscale, l’Agenzia delle Entrate qualifica come “trust interposto” (inesistente fiscalmente) quello in cui il disponente conserva poteri tali da rendere il trust un mero schermo; in tali casi considera i beni ancora del disponente sia per imposte dirette sia, attualmente, per imposta di successione/donazione (torneremo su questo nella parte fiscale).

Validità temporale: un trust può durare al massimo, secondo molte leggi regolatrici (es. Jersey), 100 anni o 90 anni, oppure può essere anche di breve durata o dipendere da eventi (es. termina alla morte del disponente o al compimento di una data dei beneficiari). Non essendoci un limite italiano esplicito (salvo ordine pubblico), si segue la legge straniera scelta. In qualunque caso, terminato il trust, i beni escono dalla segregazione e confluiscono nel patrimonio dei beneficiari, dove tornano aggredibili dai loro eventuali creditori. È quindi possibile anche “scaglionare” temporalmente la protezione: es. Tizio istituisce un trust vitalizio a proprio beneficio (disponente-beneficiario) e alla sua morte i beni vanno ai figli. Finché è vivo, i beni sono segregati e protetti dai suoi creditori (salvo revocatorie); alla sua morte, tornano attaccabili se i figli hanno problemi (ma non per debiti di Tizio, poiché a quel punto l’azione dei creditori di Tizio sui beni è definitivamente preclusa, non essendo più suoi né ereditari – con l’eccezione di azioni revocatorie se ancora esperibili in termini).

Efficacia verso il Fisco: il trust non ferma l’Erario. Come visto, l’art. 11 D.Lgs. 74/2000 colpisce gli atti fraudolenti verso il Fisco, trust inclusi. Anche senza reato, l’Agenzia delle Entrate dispone di vari strumenti: può contestare abusi del diritto, può emettere avvisi di accertamento riqualificando un trust come interposizione fittizia (tassando i redditi in capo al disponente se questi ne mantiene il controllo), può considerare i beni in trust come appartenenti al disponente ai fini del calcolo dell’imposta di successione (come da circolare 34/E 2022 per trust interposti). La Cassazione penale ha notato che anche solo costringere il Fisco a fare causa per “smontare” un trust rappresenta un ostacolo alla riscossione e quindi configura danno (ai fini penali). Quindi, chi pensa di usare il trust per evadere le tasse rischia grosso: il trust deve essere trasparente e genuino anche verso il Fisco, indicato nelle dichiarazioni e amministrato correttamente. In caso di accertamento, il contribuente dovrà dimostrare la legittima finalità del trust e che non c’è intento elusivo. Un trust legittimo non dà vantaggi fiscali indebiti, ma offre protezione: bisogna saperlo difendere provando che è stato istituito “in tempi non sospetti” e con scopi leciti (tutela familiare, pianificazione, etc.).

Passando ora agli aspetti fiscali specifici del trust (imposte indirette e dirette), occorre fare una distinzione importante: la fiscalità del trust in Italia è stata oggetto di notevoli evoluzioni giurisprudenziali e normative negli ultimi anni, culminate con una recente riforma nel 2024 (delega fiscale) le cui disposizioni entrano in vigore nel 2025.

Imposte indirette (donazioni e successioni) sul trust: storicamente c’è stato dibattito su quando applicare l’imposta di donazione/successione ai beni conferiti in trust. La Cassazione in passato aveva dato due orientamenti: uno (2007-2008) che tassava subito l’atto di dotazione in trust come donazione, un altro (2019-2021) che invece sosteneva la tassazione solo all’atto finale di attribuzione ai beneficiari, poiché solo in quel momento vi è un arricchimento stabile. Quest’ultima linea è stata accolta in diverse sentenze (es. Cass. 13626/2018, Cass. Sez. Unite 18725/2017 per certi aspetti, Cass. 21614/2021) che hanno sottolineato come nel trust vi sia un difetto di arricchimento immediato, dato che il trustee non si arricchisce (ha obblighi) e i beneficiari finali ricevono solo al termine. Ne discende che “il conferimento di beni al trust produce soltanto effetti segregativi […] non c’è un arricchimento patrimoniale reale finché i beni non sono attribuiti ai beneficiari finali”. Questa frase, tratta dalla Cassazione, sintetizza il perché non si dovrebbe applicare l’imposta di donazione all’atto di dotazione: perché manca un trasferimento di ricchezza definitivo.

Ebbene, il Legislatore delegato nel 2024 (D.Lgs. 139/2024, riforma delle imposte patrimoniali) ha in gran parte recepito questo concetto nella normativa primaria, facendo chiarezza: è stato modificato l’art. 1 del D.Lgs. 346/1990 (Testo Unico Successioni e Donazioni) stabilendo espressamente che “il tributo sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti […] compresi i trasferimenti derivanti da trust e da altri vincoli di destinazione”, e inserendo l’art. 4-bis che chiarisce: “I trust […] rilevano, ai fini dell’applicazione dell’imposta, ove determinino arricchimenti gratuiti dei beneficiari. In altre parole, la legge ora sancisce che l’imposta sulle donazioni colpisce solo i trust che comportano un effettivo arricchimento di qualcuno. Se il trust è strutturato in modo tale che non vi sia un arricchimento immediato (il caso normale del trust liberale con beneficiari finali), l’imposta sarà dovuta al momento in cui i beni usciranno dal trust verso i beneficiari (considerandolo come una donazione). Esempio: Caio pone 1 milione in un trust per darne reddito vitalizio alla moglie e alla morte capitale ai figli: al conferimento nel trust non si paga imposta di donazione (perché i beneficiari finali figli non si arricchiscono ancora), ma quando alla morte di Caio il trust trasferirà il capitale ai figli, allora sarà dovuta l’imposta di donazione su 1 milione, con aliquote e franchigie relative (aliquota 4% con franchigia €1.000.000 ciascuno se figli). Durante il trust, eventuali attribuzioni di redditi o altro ai beneficiari potrebbero anch’esse scontare imposta come liberalità se fuori dall’oggetto del trust. La riforma ha insomma confermato la tassazione “in uscita” dal trust. Attenzione: se però il trust è “fittizio” o interposto, cioè il disponente di fatto non si è spossessato (es. trust autodichiarato in cui egli è anche beneficiario e può revocare liberamente), l’Amministrazione finanziaria lo considererà come inesistente e allora i beni potrebbero essere tassati come facenti ancora parte del patrimonio del disponente. La circolare 34/E del 2022 affermava ad esempio che, in caso di morte del disponente considerato interponente, i beni del trust vanno inclusi nell’asse ereditario tassabile. La nuova norma peraltro distingue i trust “interposti” (non soggetti passivi IRES) ai fini donazione: se il trust non è riconosciuto autonomo fiscalmente, si considera che “i beni del trust fund siano attratti nell’asse del disponente perché quest’ultimo non se ne è mai sostanzialmente spossessato”, e dunque sarebbero tassati come donazione o successione al disponente stesso. Viceversa, per trust regolari, l’imposta colpisce i beneficiari quando ricevono. Quindi, per il debitore che istituisce un trust, c’è anche il vantaggio di non dover pagare imposte di donazione subito (a patto che sia un trust vero): si rinvia il momento impositivo. Questo vantaggio però non deve essere la ragione del trust (sarebbe un’elusione), ma è un effetto collaterale.

In sintesi, dal 1° gennaio 2025, imposte su trust e vincoli:

  • Trust genuino (autonomo): nessuna imposta immediata sul conferimento (solo €200 registro fisso); imposta di donazione al momento in cui beni e diritti sono attribuiti ai beneficiari gratuitamente, applicando aliquote e franchigie come per le normali donazioni ai beneficiari stessi. Esempio: trust a favore di coniuge e figli → imposta al momento dell’attribuzione 4% oltre franchigia; trust a favore di soggetto estraneo → 8% oltre franchigia €100.000, etc.
  • Trust interposto/fittizio: se il disponente mantiene poteri tali da non perdere il controllo (es. riservandosi revoca e sostituzione trustee a piacimento, essendo unico beneficiario revocabile, ecc.), il trust non è riconosciuto e i beni sono considerati ancora suoi. Quindi se muore, tassati come eredità verso i suoi eredi reali (anche se diversi dai beneficiari del trust). Addirittura, l’art. 56-bis TUS introdotto prevede che il trust fittizio sia visto come negozio-mezzo e si applichi l’imposta come se i beni fossero trasferiti ai beneficiari al decesso del disponente. In pratica, per evitare complicazioni: non fate trust finti, perché fiscalmente possono costare di più e vanificare la segregazione (se i beni tornano in asse ereditario, i creditori ereditari li potranno attaccare).
  • Vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.: anch’essi vengono equiparati ai trust: sono soggetti a imposta sulle donazioni solo se determinano un arricchimento di un beneficiario. Spiegheremo meglio più avanti, ma tipicamente l’atto di destinazione è a favore di un soggetto (es. figlio disabile) per un periodo: potrebbe essere tassato come donazione a quel soggetto (se produce arricchimento immediato di lui – dibattito esiste) o come nel trust, tassato solo all’effettivo trasferimento dei beni.

Imposte dirette (redditi) del trust: il trust può essere soggetto passivo IRES in Italia se residente (cioè se amministrato in Italia e con determinati requisiti) e se non trasparente. La legge fiscale distingue:

  • Trust con beneficiari individuati di reddito (trust trasparente): i redditi del trust sono imputati per trasparenza ai beneficiari e tassati in capo a questi (come avviene per società di persone, ma qui in base alla quota di diritto agli utili del trust). Quindi se un trust familiare accumula redditi di affitto, e beneficiari sono i figli, quei redditi ogni anno saranno dichiarati dai figli pro quota e tassati Irpef come redditi di capitale.
  • Trust senza beneficiari individuati (trust opaco): il trust stesso paga l’IRES sui redditi che produce (24% su reddito d’impresa o diverso, aliquote speciali su redditi finanziari, etc., a seconda dei casi). Quando poi distribuirà patrimonio ai beneficiari, quella distribuzione sconta eventualmente tassazione come reddito di capitale (se proveniente da redditi già tassati una volta) o come donazione se è proprio il capitale originario.
  • Trust misto (parte redditi a beneficiari, parte accumulati): tassazione mista.
  • Trust non residenti: se il trust è istituito all’estero e non tassato in Italia ma ha disponente o beneficiari italiani, c’è normativa CFC e altro che può tassare i beneficiari italiani su redditi esteri. Inoltre, la legge italiana (art. 44 TUIR, comma 1 lett. g-sexies) tassa comunque con aliquote IRPEF progressive le distribuzioni ai beneficiari da trust esteri paradisiaci, considerandole reddito. Ciò per evitare di usare trust esteri come schermo per redditi accumulati.

Per il nostro scopo (protezione patrimonio), basti dire che un trust ben pianificato non dà risparmi d’imposta particolari, anzi può essere fiscalmente neutro o a volte penalizzante (se trust opaco paga IRES su redditi finanziari dove persone fisiche magari avrebbero esenzione parziale su dividendi, etc.). Non si istituisce trust per motivi fiscali, ma per tutela legale. La riforma 2024 comunque ha definito un quadro più chiaro: trust genuini tassati all’uscita, trust finti tassati come se non esistessero.

Quando utilizzare il trust – tipologie di debitori: il trust si presta soprattutto a chi abbia un patrimonio consistente da proteggere e degli obiettivi di medio-lungo termine: es. un imprenditore che vuole assicurare patrimonio ai figli senza rischio imprenditoriale, oppure un professionista che intende destinare alcuni beni a garantire il futuro della famiglia isolandoli da possibili cause di responsabilità professionale, oppure ancora una famiglia con un figlio disabile grave (in tal caso esiste la legge “Dopo di noi” n. 112/2016 che incentiva i trust per disabili con esenzioni fiscali). Il trust può anche essere usato dall’imprenditore per mettere al riparo l’azienda stessa: ad es. trust in cui l’azienda viene messa e gestita per passaggio generazionale, impedendo che fallimenti personali possano travolgerla. Tuttavia, attenzione: se si è imprenditori commerciali, trasferire l’intera azienda in un trust potrebbe configurare abuso degli strumenti concorsuali se l’impresa è insolvente (il caso del trust liquidatorio nullo perché antielusivo della legge fallimentare). Quindi un imprenditore in bonis può valutare un trust “antifallimento”, ma deve farlo in tempi non sospetti e con modalità trasparenti (es. trust a beneficio dei creditori dell’impresa? Esiste ma fu dichiarato nullo come visto). Più utile è il trust per proteggere i beni personali dell’imprenditore: ad es. immobili, liquidità personale, partecipazioni di famiglia, separandoli dal rischio d’impresa (che sta nella società). Il trust, a differenza del fondo patrimoniale, può anche essere istituito da persona non coniugata (celibe, nubile) per destinare beni a parenti o altri; dunque un professionista single può usarlo, laddove il fondo è precluso.

Esempio pratico (Trust e revocatoria): il sig. Beta ha un’azienda individuale con debiti verso la società Alfa. Temendo di non poter pagare, costituisce un trust familiare e vi trasferisce liquidità e titoli, nominando trustee un amico e beneficiari la moglie e i figli. La società Alfa, rimasta a credito di 200.000 €, scopre l’operazione e cita Beta in giudizio chiedendo la revoca ex art. 2901 c.c. sia dell’atto istitutivo sia del conferimento. In giudizio emerge che Beta, al momento del trust, era già debitore di Alfa e consapevole di non avere altri beni per pagarla: chiari indizi di pregiudizio e malafede (scientia fraudis). Il tribunale infatti dichiara inefficace il trust nei confronti di Alfa: ciò permette ad Alfa di pignorare i titoli e la liquidità come se fossero ancora di Beta (nei limiti del suo credito). I familiari beneficiari vedono quindi sfumare la protezione sperata: il trust era troppo “tardivo” e mirato a sottrarre quei beni proprio al creditore Alfa. Morale: un trust va pianificato quando non c’è all’orizzonte un creditore determinato in posizione conflittuale; diversamente la tutela che offre potrà essere rimossa per via giudiziaria.

Aspetti fiscali riassuntivi per il trust:

  • Registro e bollo: atto istitutivo soggetto a registrazione €200, conferimenti in trust di immobili 1% + ipotecaria 0,5% (se strumentali a trasferimento di immobili? Norme complesse, comunque spesso registro fisso €200 anche su immobili se trust liberale – prassi in evoluzione). Trascrizione ipoteche e volture catastali: imposte fisse €200 cad. in trust liberali. (Va verificato caso per caso con notai, ma la tendenza è non applicare imposte proporzionali su atti segregativi privi di effetto traslativo finale).
  • Donazione/successione: come detto, dal 2025 applicabile solo sull’attribuzione finale ai beneficiari, salvo trust interposti. Con franchigie e aliquote ordinarie in base a rapporto beneficiario-disponente (il disponente è considerato il donante). Se beneficiari indeterminati (es. trust di scopo), ci sarà aliquota massima 8% senza franchigia quando si trasferirà a qualcuno.
  • Imposte dirette: trust residente opaco paga IRES 24% sui redditi, trust trasparente non paga ma i beneficiari dichiarano gli importi a loro imputati (tassati IRPEF). Trust non residente: se in Paese black list, considerato fiscalmente opaco residente black list, i beneficiari italiani sono tassati sulle attribuzioni con IRPEF progressiva come redditi di capitale ex art. 44 TUIR. In generale, conviene che il trust sia in Paese white list o residente qui, per evitare trattamenti punitivi.

Conclusione sul trust: il trust è un “coltellino svizzero” dell’asset protection: versatile, potenzialmente molto efficace nel blindare i beni, e utilizzabile in mille situazioni (famiglia, minori, disabili, tutela coniuge debole, ecc.). Tuttavia, richiede serietà: dev’essere pensato con un fine meritevole vero, attuato quando il disponente è solvibile e non in prossimità del default, e gestito correttamente nel tempo dal trustee. Un trust improvvisato all’ultimo e magari lasciando il disponente come dominus occulto è destinato all’insuccesso: o sarà aggredito dai creditori (con revocatoria, sequestro, ecc.) o addirittura porterà guai peggiori (penali, fiscali). Se invece è fatto in modo professionale e con buona fede, offre livelli di protezione non raggiungibili da altri istituti interni. La Cassazione in molte sentenze recenti (anche del 2025) continua a riconoscere validità ai trust ben costituiti, distinguendoli dai casi patologici. Ad esempio è stato ritenuto ammissibile un trust a favore dei figli nonostante altri coeredi opponenti (escludendo la nullità ex art. 2740 per il solo fatto di vincolare beni ereditari). Segno che, se non contrario a norme imperative, il trust è uno strumento ormai entrato nel nostro ordinamento a pieno titolo e può essere la risposta ideale per proteggere il patrimonio familiare di imprenditori, professionisti e privati facoltosi con esigenze complesse.

L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.: il “vincolo di destinazione” italiano

Accanto al trust di origine anglosassone, il legislatore italiano ha introdotto nel 2006 (con la legge 51/2006) una norma interna per consentire la creazione di vincoli di destinazione sui beni immobili o mobili registrati, allo scopo di realizzare interessi meritevoli di tutela. Si tratta del famoso art. 2645-ter c.c., che ha inaugurato la categoria degli “atti di destinazione”. Questo istituto è talvolta presentato come l’alternativa “domestica” al trust, sebbene le differenze siano notevoli.

Cosa prevede la norma: l’art. 2645-ter dispone che “gli atti in forma pubblica che destinano beni immobili o mobili registrati a soddisfare interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, altri enti o persone fisiche” possono essere trascritti per rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione, e che tale vincolo “dura per un periodo non superiore a 90 anni ovvero per la durata della vita della persona fisica beneficiaria”. In sostanza, tramite un atto unilaterale o contrattuale, un soggetto (conferente) può vincolare un bene determinato a uno scopo specifico e lecito, per una durata massima, segregandolo dal resto del patrimonio. Durante la vigenza del vincolo, il bene e i suoi frutti dovrebbero essere impiegati solo per realizzare lo scopo prefissato. Gli effetti verso i creditori non sono dettagliati nella norma, ma per interpretazione analogica e dottrinale si è compreso che tali beni vincolati non dovrebbero poter essere aggrediti da creditori per scopi estranei a quello di destinazione. La struttura ricorda quindi un trust di scopo limitato, oppure un fondo patrimoniale ma non limitato alla famiglia.

Come si costituisce e funziona l’atto di destinazione:

  • Soggetti coinvolti: tipicamente vi è un conferente (proprietario del bene) e uno o più beneficiari (es. una persona con disabilità, oppure lo stesso conferente per un certo scopo, o un ente pubblico, ecc.). Non è esplicitamente previsto un “gestore” terzo come il trustee, ma di fatto spesso il conferente può nominare un gestore o trustee interno che amministra il bene secondo il programma di destinazione. Ad esempio: Tizio con un atto pubblico costituisce un vincolo su un suo immobile, destinandone i redditi a pagare le cure del figlio disabile Caio; nomina come gestore l’amico Sempronio che raccoglierà gli affitti e li userà a tale scopo. L’atto deve indicare chiaramente lo scopo meritevole e preferibilmente la durata (entro 90 anni o vita del beneficiario).
  • Beni vincolabili: solo immobili, mobili registrati (es. auto, barche) o titoli di credito registrati (qualche dubbio se possano includersi quote di s.r.l., che sono mobili non registrati – prevale interpretazione che , essendo assimilati a titoli creditizi nominativi). Non si possono vincolare beni mobili non registrati (denaro, gioielli) con questa forma – differenza importante rispetto al trust.
  • Forma e pubblicità: atto notarile in forma pubblica. Deve essere trascritto nei registri immobiliari o mobiliari per essere opponibile (da cui la rubrica dell’articolo in materia di trascrizioni). Nella trascrizione si indicherà che il bene è oggetto di vincolo ex 2645-ter a favore di X per scopo Y. Non servono annotazioni a margine di registri di stato civile (non è limitato a coniugi).
  • Effetti patrimoniali: l’atto di destinazione non trasferisce la proprietà del bene: il proprietario conferente rimane proprietario, ma il bene è gravato dal vincolo di destinazione e sottoposto a un regime di separazione patrimoniale. In pratica si crea un patrimonio separato all’interno dello stesso soggetto conferente: il bene destinato e i suoi frutti rispondono solo delle obbligazioni contratte per realizzare lo scopo, e non delle altre obbligazioni personali del conferente; viceversa, il conferente e gli altri suoi beni non rispondono delle obbligazioni contratte per lo scopo (questo è il concetto di separazione). Si noti che l’art. 2645-ter non lo dice esplicitamente, ma dottrina e prime pronunce lo interpretano così, in analogia al fondo patrimoniale e al trust. Ad esempio, se Tizio vincola un immobile per mantenimento di Caio, e poi Tizio fallisce per debiti d’impresa, l’immobile vincolato (per quell’interesse meritevole) non dovrebbe entrare nella massa fallimentare, in quanto segregato per un fine diverso (salve contestazioni di revocatoria, vedi oltre). Allo stesso tempo, se per attuare lo scopo Sempronio (gestore) contrae un debito, solo il bene destinato ne risponde, non Tizio con gli altri beni. Questa è la teoria, ma in pratica serve poi che i terzi rispettino il vincolo (ecco perché serve trascrizione: rende opponibile a tutti tale destinazione).
  • Durata: massima 90 anni oppure vita del beneficiario. Ciò significa che non è possibile destinare beni “in perpetuo” (il trust invece può durare fino a 100 anni o vita + 21 anni in altre giurisdizioni). Passato il termine, il vincolo si estingue e il bene torna libero. Può estinguersi anche prima se lo scopo è raggiunto o divenuto impossibile. Alcuni atti prevedono il trasferimento finale del bene a qualcuno al termine (questo approccio può farlo assomigliare a un trust con beneficiario finale e allora fiscalmente comporta donazione per quel trasferimento). Se non previsto, semplicemente cessato il vincolo il bene rimane al proprietario (o ai suoi eredi se nel frattempo deceduto).
  • Scopi meritevoli: la legge cita espressamente persone con disabilità, P.A. o altri enti, persone fisiche; in generale la dottrina ha ritenuto che il vincolo deve perseguire un fine lecito e socialmente apprezzabile: tipici esempi validi sono: tutela di una persona disabile (in linea col “Dopo di noi”), destinazione di un immobile a sede di un ente benefico o P.A., mantenimento di un figlio minore fino alla maggiore età, garanzia di un credito nell’interesse di un finanziatore pubblico, ecc. Non è chiaro se la protezione generica del patrimonio da creditori possa costituire “interesse meritevole”: la prevalenza dice di no, perché sarebbe elusione di 2740 c.c. (bisogna sempre indicare un fine ulteriore: es. “mantenimento famigliare” – che però è appunto il fondo patrimoniale; oppure “destinare casa a mio erede per continuità familiare” – finalità successoria; oppure ancora scopo di assistenza di coniuge anziano). In pratica, l’atto di destinazione non dovrebbe essere fatto con la dicitura “a scopo di protezione dal rischio d’impresa del conferente”: andrebbe giustificato in positivo (es. “garantire risorse all’altro coniuge in caso di mia crisi” potrebbe essere un fine meritevole? borderline). Meritevole è concetto elastico, ma arbitrato dai giudici: ci sono state pronunce che hanno ritenuto non meritevole il mero fine di garanzia dei creditori del disponente. Ad esempio, una vicenda: due fratelli soci di una s.r.l., fideiussori verso banca, costituiscono vincoli ex 2645-ter sui loro immobili a favore delle rispettive mogli per tutelare il patrimonio familiare temendo l’escussione delle fideiussioni. Il tribunale ha ritenuto tale scopo non meritevole (era solo protezione anti-creditori) e quindi ha dichiarato inefficaci i vincoli verso la banca. Quindi è un terreno scivoloso: occorre identificare interessi concreti leciti (salvaguardia dei figli, destinazione a successione ecc.) e non finalità genericamente elusive.
  • Gestione del bene: l’atto può prevedere che il conferente continui ad amministrare il bene nell’interesse del beneficiario, oppure nominare un terzo gestore. La prassi notarile a volte struttura l’atto di destinazione in forma di contratto tra un affidante e un affidatario (quest’ultimo gestisce per lo scopo) – sorta di trust autodichiarato nostrano. In assenza di ciò, il proprietario rimane possessore ma con obbligo fiduciario di rispettare la destinazione. Se venisse meno, i beneficiari potrebbero agire in giudizio per far valere l’obbligo di destinazione (simile all’azione ex art. 167 c.c. per fondo).

Protezione offerta e limiti:
L’atto di destinazione crea un vincolo pubblicamente opponibile, e viene generalmente considerato un patrimonio separato a tutti gli effetti. Dunque, come detto, il bene destinato non risponde delle obbligazioni estranee allo scopo. Ad esempio, se un immobile è destinato per 20 anni a garantire le necessità di un certo minore, i creditori personali del conferente non possono pignorarre l’immobile per debiti che il conferente ha verso di loro, a meno che quei debiti non siano collegati con lo scopo (circostanza di solito non ricorrente). Tuttavia, occorre essere consapevoli di alcune cose:

  • I creditori anteriori alla costituzione del vincolo possono attaccarlo. Il vincolo ex 2645-ter è considerato atto a titolo gratuito (in genere non c’è corrispettivo), quindi revocabile ex art. 2901 c.c. come qualunque atto gratuito pregiudizievole. Cassazione ha confermato che rientra negli atti revocabili (cfr. Cass. 8095/2014 e altre). Quindi se uno fa un atto di destinazione quando ha già debiti, i creditori possono chiederne l’inefficacia.
  • Anche qui si applica l’art. 2929-bis c.c.: un creditore con titolo esecutivo che vede trascritto un vincolo 2645-ter dopo che è sorto il suo credito, può pignorare direttamente il bene entro un anno dalla trascrizione del vincolo, saltando la revocatoria. Ci sono state applicazioni in giurisprudenza di 2929-bis a vincoli di destinazione. Quindi vale lo stesso discorso: se fatto last minute, il vincolo può essere facilmente bypassato.
  • Se il vincolo è costituito per garantire creditori specifici, attenzione: la norma parla di interessi meritevoli riferibili anche a enti. Potrei destinare un immobile a garanzia di un credito di una banca (per ottenere un finanziamento). Questo appare come una sorta di patrimonio destinato ad hoc: la banca è beneficiaria indiretta. La giurisprudenza però non ha ancora chiarito bene questi casi. In generale i vincoli ex 2645-ter sono usati per proteggere familiari, disabili, ecc., non per contratti con banche (per quelli esistono i patrimoni destinati nelle società, vedi oltre, e le garanzie convenzionali classiche).
  • Un limite operativo: solo un bene specifico per atto. Non si crea un fondo con più beni diversi (a meno che siano pertinenze o complesso unitario). Quindi non serve per blindare un intero patrimonio vario (per quello serve trust o società).
  • Mancanza di struttura organizzativa: il trust ha trustee, regole, ecc. Il fondo patrimoniale ha almeno i coniugi e regime legale. L’atto ex 2645-ter è molto essenziale: ciò può generare incertezze su come perseguire lo scopo, chi controlla. Spesso si abbina con un contratto di amministrazione fiduciaria per dare attuazione pratica. Se il conferente muore durante il periodo di destinazione, il bene resta destinato ma la gestione passa agli eredi con quell’obbligo (complicazione notevole se non previsto uno scenario). Quindi è meno “istituzionalizzato” del trust.
  • Giurisprudenza penale: da segnalare che anche qui, se usato per fini fraudolenti, può integrare reato (stesso art. 11 D.Lgs. 74/2000 se vincolo per non pagare imposte). La Cassazione penale (sent. 7637/2018) ha affermato che il vincolo destinatorio non impedisce il sequestro preventivo di un bene finalizzato alla confisca penale. In un caso di reati tributari, un imprenditore aveva destinato i beni ai figli: la Cass. disse che il vincolo non può ostacolare il sequestro finalizzato a confisca, perché l’interesse pubblico prevale. Quindi per la giustizia penale quel vincolo è inopponibile allo Stato che confisca beni derivanti da reato.

Quando preferire l’atto di destinazione: esso può essere una soluzione se non si vuole o può usare il trust, magari per contenere i costi, e si ha uno scopo circoscritto su un bene. Un caso tipico è: genitore anziano che vuole destinare la propria casa a garantire il figlio disabile a vita (può fare un vincolo ex 2645-ter nominando un fiduciario che gestirà la casa per ricavare redditi per il figlio). Oppure una coppia di fatto non potendo accedere al fondo patrimoniale potrebbe vincolare la casa comune per i bisogni del figlio minore. Oppure un imprenditore potrebbe destinare un capannone a un patto di famiglia futuro, mantenendolo intoccabile per garantire ai figli di averlo. Si tratta comunque di situazioni piuttosto specifiche. Per protezione generica del patrimonio, l’atto 2645-ter da solo non basta, perché è troppo limitato (un bene alla volta, scopo definito, massimo 90 anni). Non di rado, si è cercato di utilizzarlo come surrogato del trust per evitare di ricorrere a leggi straniere: in vari casi, però, i giudici hanno faticato ad equipararlo in pieno. Per esempio, una pronuncia ha escluso che l’atto 2645-ter possa avere efficacia oltre il limite di 90 anni (mentre un trust di scopo in certi ordinamenti potrebbe durare di più), o che possa semplicemente replicare la struttura di un trust autodichiarato (dove conferente=gestore=beneficiario, in quel caso mancherebbe la meritevolezza).

Aspetti fiscali dell’atto di destinazione: analogamente al trust, prima della riforma vi era incertezza sull’imposta di donazione. Ora con D.Lgs. 139/2024 è chiaro: “trasferimenti derivanti da […] altri vincoli di destinazione” rientrano nell’art.1 TUS, e art. 4-bis c.1 dice che rilevano se c’è arricchimento dei beneficiari. Quindi, se l’atto di destinazione in sostanza arricchisce subito qualcuno (es. se destinassi un immobile direttamente a favore di un beneficiario per tot anni, potenzialmente è come donargli l’usufrutto), potrebbe essere tassato. Se invece è destinazione di scopo e il conferente resta proprietario, non c’è arricchimento immediato, e l’imposta si manifesterà solo se/quando il bene magari sarà trasferito ai beneficiari finali. Per prudenza, molti atti di destinazione vengono registrati pagando imposta fissa €200. L’Agenzia inizialmente le contestava chiedendo imposta di donazione proporzionale, ma dopo le sentenze Cassazione pro-contribuente ciò è calato. Ora con la legge nuova, se la destinazione è a favore di persona con disabilità grave ex L.104 (ad esempio), c’è esenzione specifica (come dal 2016 per trust in favore disabili). In altri casi, si valuterà: se al termine il bene va a un certo beneficiario, allora è come donazione differita e lì si paga. In generale, dal punto di vista registro/ipotecarie: per trascrivere il vincolo, si paga imposta fissa (€200 registro, €200 ipotecaria + €200 catastale se immobile). Se c’è trasferimento contestuale (non comune, ma es. il conferente potrebbe contestualmente trasferire la nuda proprietà al beneficiario e mantenere l’usufrutto vincolato per uno scopo), allora si pagherebbe imposta di donazione. Ma nella maggior parte di casi il bene resta al conferente, quindi nessuna imposta di trasferimento immediata. Redditi: restano in capo al proprietario (conferente) se non c’è soggetto distinto. Se l’atto prevede un gestore terzo, fiscalmente si tratterà di vedere se costituisce un ente (di fatto no, non è persona giuridica). In genere, i redditi del bene destinato vengono comunque dichiarati dal proprietario conferente (o dal beneficiario se civilisticamente è considerato un beneficiario di reddito presente). Ad es. se l’atto dice “i frutti dell’immobile X destinati a Tizio disabile”, potrebbe interpretarsi che quell’usufrutto sia di Tizio → Tizio pagherà imposte sul reddito come se avesse usufrutto. Sono questioni complesse e non tutte risolte: il trust è più codificato fiscalmente, l’atto 2645-ter no. Quindi attenzione a consultare un fiscalista per strutturare bene e non creare situazioni incerte.

Giurisprudenza recente su vincoli 2645-ter:

  • Cass. 8053/2024 ha ribadito la revocabilità dell’atto di destinazione se pregiudica creditori, equiparandolo a un atto gratuito anche se lo scopo è meritevole (non esenta dalla revocatoria).
  • Tribunale di Vicenza 2022 (caso di imprenditore in crisi che destina immobili ai creditori amici): la trascrizione del vincolo a favore di creditori fu ritenuta inopponibile al fallimento, perché fatta in frode alla par condicio. Questo ci dice che non si può usare 2645-ter per preferire alcuni creditori su altri: violerebbe norme fallimentari.
  • Ci sono sentenze sulla distinzione trust vs vincolo: in generale i giudici riconoscono che il vincolo 2645-ter non crea un nuovo soggetto né trasferisce proprietà, quindi eventuali azioni giudiziarie vanno fatte sempre coinvolgendo il conferente (nel trust invece il trustee è litisconsorte necessario in cause sui beni). In pratica, è uno strumento meno “forte” giuridicamente del trust, ma se rispettato può bastare a tutelare il bene.

In conclusione sull’atto di destinazione: è un istituto che consente anche a non coniugati e in generale a qualsiasi proprietario di vincolare un bene specifico per uno scopo protettivo, ottenendo una segregazione patrimoniale simile a un micro-fondo. Può essere utile per esigenze mirate (disabilità, tutela minori, protezione coniuge in difficoltà, ecc.) e ha il pregio di essere interno, cioè non richiede riferimenti a leggi straniere o figure come trustee. Di contro, la sua efficacia protettiva è più incerta rispetto a un trust: molto dipende dalla meritevolezza effettiva dello scopo e dalla correttezza dell’operazione. In ottica debitori, può rappresentare una soluzione “snella” per blindare ad esempio la casa di un figlio disabile o un bene destinato a fini pubblici. Ma per proteggere genericamente il proprio patrimonio dalle pretese dei creditori, è meno indicato, a meno di non avere uno scopo genuino da dichiarare. In ogni caso, come sempre, la tempistica è essenziale: va fatto prima che i creditori bussino alla porta, e con motivazioni che possano reggere a un vaglio giudiziale.

Le polizze assicurative sulla vita e gli strumenti previdenziali: l’impignorabilità dei capitali assicurativi

Una delle soluzioni più “semplici” e spesso citate per proteggere il denaro o i risparmi da possibili aggressioni dei creditori è quella di impiegarli in strumenti assicurativi o previdenziali, in particolare nelle polizze vita. La logica è che il denaro investito in una polizza vita (soprattutto se con beneficiari terzi designati) gode di una tutela particolare prevista dal Codice Civile: l’art. 1923 c.c. stabilisce infatti che “le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare”. Questo significa che il capitale assicurato e anche il suo valore di riscatto (somma che il contraente può ottenere sciogliendo anticipatamente la polizza) sono, in linea di massima, impignorabili e insequestrabili da parte dei creditori tanto dell’assicurato quanto del beneficiario. La ratio storica di tale privilegio risiede nella natura previdenziale dell’assicurazione sulla vita: il legislatore vuole incentivare i cittadini a provvedere alla propria sicurezza economica e a quella dei propri familiari, proteggendo queste forme di risparmio dai rischi generici. La Cassazione a Sezioni Unite già nel 2008 (sent. 8271/2008) aveva sottolineato che la finalità del divieto di esecuzione sulle polizze vita è di preservare la funzione di previdenza e risparmio che esse svolgono, come un “terzo pilastro” accanto alla previdenza pubblica e a quella complementare. Tale orientamento è stato ribadito dalla giurisprudenza più recente e persino dalla Corte Costituzionale (ord. 192/2020, che non ha ravvisato incostituzionalità nel privilegio dato alle polizze vita).

Come funziona in pratica la protezione delle polizze:

  • Se Tizio stipula una polizza vita sulla propria testa (cioè sulla propria sopravvivenza o morte) designando come beneficiario la moglie e i figli, in caso di decesso di Tizio gli importi pagati dall’assicurazione ai beneficiari non potranno essere pignorati dai creditori di Tizio né (in linea di massima) dai creditori personali dei beneficiari. Tizio, sapendo di avere magari pochi beni ma volendo lasciare qualcosa ai familiari anche in caso di dissesto, può trasferire liquidità a una compagnia di assicurazione acquistando una polizza: così facendo, converte denaro da lui pignorabile in un diritto di credito futuro dei beneficiari impignorabile. Persino se Tizio venisse fallito (se fosse imprenditore), la polizza vita generalmente non entra nell’attivo fallimentare, salvo eccezioni, proprio per questo vincolo di destinazione previdenziale.
  • Anche prima della morte dell’assicurato, la norma vale per le somme dovute al contraente o beneficiario: ciò è stato interpretato estensivamente fino a comprendere anche il valore di riscatto. Il valore di riscatto è la somma che il contraente può ottenere se decide di sciogliere anticipatamente la polizza. La Cassazione (sent. 15304/2013, e più di recente sent. 3762/2022) ha ritenuto che anche tale valore è impignorabile, perché farlo pignorare equivarrebbe a permettere ai creditori di realizzare forzosamente l’incasso della polizza, vanificando la tutela. Dunque, un creditore di Tizio non può nemmeno pignorare presso l’assicurazione la posizione di polizza chiedendo di riscuotere il valore di riscatto al posto del contraente (cosa altrimenti teoricamente possibile). Insomma la protezione copre la polizza in tutte le sue fasi.

Quali polizze sono protette: attenzione, il beneficio dell’art. 1923 c.c. riguarda le assicurazioni sulla vita. Non si estende ad altri tipi di polizze (es. polizza infortuni, RC auto, ecc.) se non hanno causa vita. Anche le forme di previdenza complementare (fondi pensione, PIP) godono di impignorabilità per legge (D.Lgs. 252/2005 art. 11): le somme accumulate nei fondi pensione non sono sequestrabili o pignorabili fino al momento in cui diventano esigibili come prestazione pensionistica (salvo solo il pignoramento per assegni di mantenimento o alimenti). Quindi pure i fondi pensione integrativi sono un rifugio sicuro: se Tizio versa soldi nel suo fondo pensione, i creditori non possono toccarli. Tornando alle polizze vita, ne esistono varie tipologie: polizze caso morte (pagano solo se l’assicurato muore entro un certo termine; hanno puro scopo di protezione familiare), polizze miste o di risparmio (che prevedono un capitale a scadenza se l’assicurato è vivo, oppure prima se muore: fungono da investimento + copertura), polizze unit-linked o index-linked (forme di investimento assicurativo collegate a fondi finanziari), polizze a premio unico (versi molto e lasci investito), ecc. La giurisprudenza recente ha affrontato un problema: non tutte le polizze hanno una reale natura assicurativa. Alcune cosiddette polizze finanziarie mancano del vero rischio demografico (rischio legato alla vita umana) e sono di fatto investimenti travestiti. In tali casi, se non c’è autentica funzione previdenziale, la protezione potrebbe non spettare. Infatti, Cassazione 9672/2018 e altre avevano inizialmente escluso l’impignorabilità per certe polizze unit-linked prive di garanzia sulla vita (es. quando capitale pagato coincide sempre col valore di mercato, senza vere coperture assicurative: lì la polizza è solo un contenitore finanziario, e alcuni giudici l’hanno considerata pignorabile). Nel 2024 però la Cassazione ha fatto chiarezza (sent. n. 9418/2024): ha affermato che anche le polizze miste con componente finanziaria (es. unit-linked) tendenzialmente assolvono funzione previdenziale e vanno protette, purché vi sia comunque una componente assicurativa sulla vita, sia pure minima. In pratica la Corte ha ritenuto che ormai le polizze vita moderne (anche quelle legate a fondi) rientrano nell’alveo dell’art. 1923 c.c. proprio perché finalizzate a costruire un capitale per la vecchiaia o per gli eredi. Quindi oggi è più difficile per un creditore sostenere “non è una vera polizza, quindi la pignoro”: dovrà dimostrare che è totalmente priva di alea assicurativa e di finalità previdenziale. Per esempio, se una “polizza” è in realtà un contratto atipico di investimento senza caso morte o con possibilità di riscatto immediato e totale senza penali, etc., potrebbe essere considerata fuori dall’art. 1923 (ci sono state cause così). Ma se la polizza prevede comunque un evento legato alla vita (come un capitale pagabile a scadenza solo se l’assicurato è in vita, oppure un bonus in caso di morte, etc.), allora di regola sarà protetta. Un indizio: la Cass. 9418/2024 sottolinea che la protezione spetta non perché il contratto ha la forma assicurativa, ma “perché adempie a una particolare funzione di previdenza complementare […] destinata ai bisogni della tarda età”. Quindi è la sostanza previdenziale a contare.

Limiti e possibili rischi delle polizze come strumento di protezione:

  • Disponibilità del bene: se un debitore versa i suoi risparmi in una polizza vita, sta acquisendo protezione, ma perde anche la disponibilità liquida immediata di quei soldi (non li può più usare liberamente, se non chiedendo riscatto che però potrebbe annullare la protezione nel momento in cui incassa). Quindi c’è un trade-off: i soldi sono al sicuro, ma congelati per lo scopo previdenziale. Se poi li ritira, tornano aggredibili (appena sul conto corrente, un creditore può pignorarli). Quindi è utile se davvero l’intenzione è di accantonare sul lungo periodo.
  • Premi esagerati poco prima del default: il Codice civile prevede (art. 1923 ult. comma) che i premi pagati sulla polizza possano essere oggetto di azione revocatoria da parte dei creditori se sono “manifestamente eccessivi” rispetto alle condizioni del debitore al tempo del pagamento. Cioè, se un debitore in crisi versa, poniamo, 200.000 € in un colpo solo in una polizza, i creditori potrebbero agire per far dichiarare inefficace quel versamento (trattandolo come atto in frode, simile a una donazione di denaro all’assicuratore). Ciò bilancia un po’ la tutela: non si può mettere al sicuro somme ingenti all’ultimo momento con la scusa della polizza. La giurisprudenza ha utilizzato sia l’art. 1923 c.c. analogicamente sia l’ordinaria revocatoria: ad esempio c’è stata revoca di polizze sottoscritte dall’imprenditore pochi mesi prima del fallimento con premi unici elevatissimi. Anche la Cassazione penale annovera i versamenti in polizze tra gli atti potenzialmente fraudolenti per il reato tributario se volti a sottrarre liquidità al Fisco. Quindi, è efficace come protezione di risparmi accumulati nel tempo in modo coerente col reddito, ma non come mossa dell’ultimo secondo con cifre sproporzionate.
  • Rischio di abuso del contraente stesso: se il debitore è allo stremo, il fatto che nessuno possa toccare la sua polizza vita non impedisce che lui stesso possa riscattarla e spendere i soldi (magari in modi non intelligenti). Dunque la protezione ha senso soprattutto per garantire i beneficiari (familiari) più che il debitore in vita. Infatti, tecnicamente i creditori non possono obbligare il debitore a riscattare la polizza (sarebbe un aggiramento del divieto di esecuzione, i giudici non lo consentono), ma se il debitore volontariamente lo fa – per esempio perché sottoposto a pressioni o per necessità – i soldi riscossi tornano attaccabili. D’altronde il debitore in situazione di stress economico potrebbe essere tentato di attingere a quella riserva per pagare qualcuno o per sé. Quindi c’è un profilo comportamentale da considerare.
  • Ambito soggettivo della tutela: i creditori dell’assicurato e del beneficiario non possono agire sulla polizza, ma che dire dei creditori del contraente se diverso? Spesso il contraente coincide con l’assicurato, ma non sempre. Immaginiamo: Tizio (padre) contrae una polizza sulla vita del figlio Caio, beneficiaria la nuora. In caso di morte di Caio, paga a nuora. Chi è tutelato? Verosimilmente i creditori di Tizio (contraente) potrebbero cercare di pignorare il diritto di riscatto spettante a Tizio (perché Tizio ha diritto di riscatto in quanto contraente, benché la polizza sia su vita di Caio). È un scenario contorto ma possibile: su questo si applica l’art. 1923 letteralmente – parla di somme dovute a contraente o beneficiario. Finché Caio è vivo, somme dovute al contraente non ce ne sono salvo riscatto: se Tizio chiede riscatto, allora l’assicuratore deve pagare Tizio (contraente) – quella somma dovrebbe essere impignorabile anch’essa in base all’art. 1923. Vi è però minor chiarezza rispetto al caso tipico assicurato=contraente.

In generale, comunque, sottoscrivere una polizza vita nominando i propri familiari beneficiari è una mossa di pianificazione patrimoniale apprezzata e utilizzata, specialmente da professionisti e imprenditori: consente di accumulare un capitale protetto (anche da sequestro conservativo, non solo esecuzione), che in caso di evento (vita/morte a termine polizza) andrà ai cari. È da notare che il beneficiario di polizza vita ha un diritto proprio sui soldi (non passano dall’eredità), il che li rende inattaccabili anche da eventuali creditori ereditari o legittimari – salvo il caso in cui i premi pagati fossero lesivi della quota di legittima (c’è una norma che equipara i premi di assicurazione a donazioni ai fini della riduzione successoria se sproporzionati, art. 1923 e 741 c.c.). Ma questo esula dal focus debitori. Basti sapere: i capitali assicurativi non entrano in successione, e beneficiano di esenzione dall’imposta di successione; inoltre non sono reddito per i beneficiari (non tassati IRPEF, salvo eventuale rendita finanziaria per polizze miste ma di solito no). Quindi anche fiscalmente c’è un vantaggio: è un modo di trasmettere ricchezza ai figli fuori dall’asse ereditario e senza tasse di successione (le polizze sono esenti). Fisco: l’unico neo è l’imposta di bollo sul rendiconto polizze (0,2% annuo sul valore per le polizze di investimento), ma per polizze pure caso morte non c’è. Nessuna imposta su liquidazione caso morte (eccetto se c’è un rendimento finanziario eccedente in polizze miste, su cui c’è imposta sostitutiva). Quindi polizza vita = rifugio sicuro e neutro fiscalmente.

Conclusione sulle polizze vita: come strumento di difesa patrimoniale, le polizze vita rappresentano una soluzione efficace e legittima, radicata nel codice. Sono particolarmente adatte per proteggere somme di denaro o capitali liquidi: invece di tenere soldi sul conto (aggredibili), li si “congela” in un contratto assicurativo. Ovviamente non bisogna esagerare con importi sproporzionati all’ultimo minuto per non incorrere in revocatorie. Ma all’interno di una pianificazione continua, destinare parte dei propri risparmi a polizze vita garantisce che, in caso di avversità, almeno quella parte sarà salva per i beneficiari (o resterà al sicuro finché non serve davvero). In alcuni contesti, come per i professionisti (medici, avvocati, ecc.), è consigliato avere polizze vita e fondi pensione adeguati, proprio perché in caso di rovina economica tali asset non saranno toccati e potranno costituire una rete di sicurezza. Da notare: la protezione legale delle polizze prescinde dal fatto che il debitore sia persona fisica. Anche una società potrebbe stipulare una polizza vita (ad es. su un amministratore) e nominare beneficiario sé stessa o terzi: in teoria art. 1923 c.c. parla genericamente di assicurato/contraente/beneficiario – ci si può interrogare se protegge solo persone fisiche o anche giuridiche. L’idea di previdenza porta a immaginare persone, però alcune polizze key-man per aziende potrebbero ricadere. È un dettaglio: diciamo che in ambito patrimonio familiare parliamo di persone fisiche. Anche i piani individuali pensionistici (PIP) venduti da assicurazioni rientrano nelle polizze vita (ramo I o III) e godono di doppia tutela: impignorabilità art. 1923 c.c. + D.Lgs.252/05. Quindi davvero a prova di bomba.

In definitiva, incanalare risorse in polizze vita è uno dei metodi più pratici e sicuri per mettere al riparo ricchezza liquida, con la flessibilità che il contraente (finché solvibile) può sempre riscattare se cambiano le cose.

Le società di capitali e altri veicoli societari: separare patrimonio personale e rischio d’impresa

Un capitolo fondamentale nella protezione del patrimonio riguarda l’utilizzo di strutture societarie. Il motto classico è: “far svolgere l’attività d’impresa a una società di capitali per limitare la responsabilità”. Infatti, se un individuo opera come imprenditore individuale o professionista, risponde con tutti i suoi beni (presenti e futuri) dei debiti generati dall’attività. Viceversa, se l’attività è incanalata in una società a responsabilità limitata (S.r.l.) o società per azioni (S.p.A.), la regola di base è che la società, in quanto soggetto giuridico distinto, risponde dei propri debiti con il suo patrimonio, mentre i soci non sono personalmente obbligati (art. 2462 c.c. per le S.r.l.: “per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio”). Dunque l’imprenditore che gestisce il business attraverso una società di capitali rischia al massimo il capitale investito in quella società (le quote o azioni), ma isola il resto dei propri beni personali dalle pretese dei creditori dell’impresa. Questo principio è un cardine del diritto societario e uno strumento potentissimo di asset protection “lecita” per imprenditori e anche per chi vuole detenere beni in modo separato.

Protezione offerta dalle società di capitali:

  • Se Tizio possiede personalmente un immobile e subisce un tracollo per i debiti della sua ditta individuale, l’immobile sarà aggredibile dai creditori. Ma se Tizio invece aveva conferito l’immobile a una sua S.r.l. e conduceva l’attività tramite la S.r.l., i creditori personali di Tizio non possono aggredire direttamente i beni intestati alla S.r.l., perché appartengono a un soggetto diverso (la società). Potranno semmai attaccare le quote di partecipazione di Tizio nella S.r.l., ma non i beni della società. Inoltre, se Tizio non ha garantito personalmente i debiti sociali, in caso di default dell’azienda i creditori potranno rifarsi sul patrimonio della società, ma non sul patrimonio di Tizio medesimo (casa personale, altri beni fuori dalla società). In altre parole, la società funge da “scudo”: delimita il perimetro del rischio economico.
  • Questo consente strategie come la holding immobiliare: si crea una società (spesso una S.r.l.) a cui si intestano gli immobili di famiglia; un’altra società (o ditta) opera l’attività d’impresa rischiosa. In caso di insolvenza dell’impresa, i creditori non potranno toccare gli immobili, perché sono di un altro soggetto (la holding). Semmai, se l’imprenditore aveva fornito garanzie personali (es. fideiussioni), allora torna l’esposizione personale, ma se ciò è evitato o limitato, il patrimonio resta protetto nella holding.
  • Anche un professionista può costituire una S.r.l. unipersonale e vendere a questa i beni personali (o darli in affitto) così da non possederli più direttamente. Ad esempio un medico preoccupato da potenziali cause può costituire una S.r.l. immobiliare e trasferirvi la proprietà della casa e dello studio (magari affittandogli poi lo studio per l’attività). Così, se viene condannato a risarcimenti, i creditori troveranno lui personalmente con pochi beni, mentre la casa è della S.r.l. (a meno che provino che la S.r.l. è uno schermo interposto, vedi dopo).

Limiti e considerazioni importanti sull’uso delle società di capitali:

  • Prima di tutto, la separazione patrimoniale societaria regge se la società è gestita correttamente e non è confusa con la persona. Se la società è solo un “prestanome” del socio e questi la usa come cosa sua, i creditori possono cercare di aggredire indirettamente i beni sociali attraverso vari strumenti:
    • Possono, come detto, pignorare le quote/azioni del socio debitore. Se Tizio è unico proprietario della S.r.l. che detiene la villa, il creditore può pignorare la quota di Tizio (100%) e farla vendere: chi la compra diventa nuovo socio (di fatto prende controllo della S.r.l. e quindi dei suoi beni). In pratica il bene viene colpito in via mediata. Certo, la vendita di una quota di S.r.l. che contiene quell’immobile potrebbe non essere facile, ma è fattibile. La Cassazione ha chiarito che il pignoramento della quota S.r.l. dà al creditore la possibilità di ottenere, se non trova acquirenti, la liquidazione della quota tramite l’art. 2482 c.c. (un meccanismo per uscire dalla società). Inoltre dal 2021 le norme sulle espropriazioni di partecipazioni societarie sono state migliorate: il codice di procedura civile consente al giudice di nominare un custode/amministratore della quota per gestire la società nel frattempo, ecc. Quindi non è un ostacolo insormontabile per un creditore, specie se la società ha un solo asset noto.
    • “Piercing the corporate veil” all’italiana: in ordinamento italiano non c’è un istituto univoco come in USA per “inopponibilità schermo societario”, ma esistono concetti di abuso di personalità giuridica. Ad esempio, in ambito tributario, l’Agenzia Entrate e la Guardia di Finanza possono dimostrare che la società è mera fictio e attribuire al socio gli asset (per es. se S.r.l. serve solo a intestare la casa e non ha vita economica reale, il Fisco potrebbe qualificarla come interposta e colpire il socio). In ambito civile, ci sono teorie sulla “sottocapitalizzazione” e “confusione patrimoni”: se l’imprenditore mischia conti personali e societari, usa la società per spese personali, e magari la società è sottocapitalizzata al punto da essere ingannevole per i creditori, alcuni giudici hanno riconosciuto responsabilità personale (casi rari, ma possibili). Inoltre, per i debiti erariali di società, se c’è mala gestio (tipo non pagamento sistematico di IVA, distrazione di beni) l’amministratore può rispondere per responsabilità patrimoniale propria (per esempio art. 2394 c.c. per S.p.A., o azione dei creditori sociali). Quindi la protezione non è a prova di condotta scorretta: deve essere una separazione genuina.
    • Se il socio presta fideiussioni o garanzie personali sui debiti sociali (prassi molto comune, soprattutto per ottenere credito bancario), la protezione sfuma: il creditore principale (banca) potrà attaccare direttamente il socio garante, quindi i suoi beni personali. Occorre perciò limitare, per quanto possibile, il rilascio di garanzie personali e trovare alternative (es. usare confidi, garanzie reali della società stessa, ecc.).
  • Società a socio unico: la legge prevede che nelle S.r.l. unipersonali il socio sia tenuto a versare interamente il capitale sociale e adempiere alle pubblicità (indicazione di unipersonalità). Se non lo fa e la società fallisce, può essere dichiarata la responsabilità illimitata del socio (art. 2462 c.2 c.c.). Questo è un caso di “schermo inefficace” per omissioni formali. Similmente, in S.p.A., comportamenti come finanziare la società in modo anomalo potrebbero portare a confusione e rischi di revocatoria dei conferimenti fittizi, ecc. Sono dettagli tecnici, ma il succo: seguire le regole formali per non perdere il beneficio del limite di responsabilità.
  • Società di persone: hanno invece responsabilità illimitata dei soci (snc, sas) e quindi non proteggono i soci da creditori sociali (anzi, i soci rispondono con tutto). Però possono proteggere al contrario, cioè i beni sociali da creditori particolari dei soci: nella Snc/Sas, il creditore personale del socio non può chiedere il pignoramento di beni sociali; può solo agire su utili spettanti o chiedere, a fine società, la quota. Questo fa sì che un tipo di società in particolare – la società semplice (S.s.) – sia usata come strumento di protezione patrimoniale. La società semplice è una società di persone basica (non può esercitare attività commerciale), usata spesso come “cassaforte di famiglia”: i membri di una famiglia conferiscono immobili, partecipazioni, ecc. nella S.s., e li gestiscono in quella sede. Se uno dei soci ha debiti personali, il suo creditore non può toccare i beni della S.s. (perché appartenenti alla società), potrà al più aggredire la quota del socio debitore ma con grossi limiti: art. 2270 c.c. dice che il creditore particolare del socio, finché dura la società, può agire sugli utili e non può ottenere la liquidazione della quota se la società è a termine; se la società è a tempo indeterminato o dura oltre 10 anni, può chiedere al giudice lo scioglimento limitatamente al socio debitore (quindi fargli liquidare la quota). In pratica, i beni rimangono dentro la società e non vengono venduti singolarmente, si liquida la quota (il socio esce con equivalente in denaro, se la società ha cassa o vendendo qualcosa). Questo meccanismo è farraginoso e spesso scontenta il creditore. Per questo molte famiglie italiane usano la S.s. immobiliare: ad es. padre, madre e figli costituiscono una S.s. e conferiscono gli immobili di famiglia; i figli non li possiedono direttamente ma tramite la società; se uno di essi contrae debiti personali, i suoi creditori non possono ipotecare o pignorare l’immobile (che è della società). Al più, come detto, possono tentare di sciogliere la quota di quel figlio, ma se la società è ben congegnata (durata lunga, clausole di continuazione con altri soci, ecc.), il creditore resta bloccato a lungo o otterrà cifre limitate (valore quota può essere discusso, etc.). La società semplice, inoltre, non fallisce mai (perché non commerciale): quindi i beni dentro di essa non rischiano procedure concorsuali per debiti sociali. I soci rispondono personalmente dei debiti sociali, ma se l’attività è solo gestione patrimonio, di solito i debiti sono pochi (tasse immobiliari, spese condominiali, etc., facilmente pagabili dalla società stessa). E comunque anche in caso di debiti sociali insoluti, non c’è un fallimento che li liquidi forzatamente. I creditori sociali potranno aggredire i beni societari (sì, quelli possono, contrariamente ai creditori particolari, qui è normale responsabilità). Ma se la società non fa da garante per debiti estranei, e conduce vita sana, è improbabile che abbia creditori rilevanti. In sintesi la SOCIETÀ SEMPLICE è un formidabile veicolo di protezione e gestione intergenerazionale, molto usato da famiglie facoltose, in quanto: facile da costituire, flessibile (statuto liberamente adattabile), fiscalmente trasparente (no doppia tassazione, redditi imputati ai soci in base alla natura: es. affitto tassato come reddito fondiario ai soci, ecc.), e come visto beni sociali al riparo dai creditori particolari. Unico limite: non può svolgere imprese commerciali, altrimenti diventerebbe Snc. Ma come holding immobiliare o finanziaria va bene.
  • Patrimoni destinati in società commerciali: una menzione: il codice consente alle S.p.A. (e oggi anche alle S.r.l. in forma minore, es. SRL “start-up innovativa” può creare patrimonio dedicato a singolo affare) di creare patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447-bis c.c.). Questo strumento, poco usato, consente alla società di “segregare” parte dei propri beni per dedicarli a un progetto, con separazione contabile e di responsabilità (creditori dell’affare prendono solo quel patrimonio, i creditori generali non vi accedono e viceversa). È un istituto pensato per progetti di grande portata (project financing, ecc.), raramente entra nella pianificazione familiare, se non quando famiglie molto ricche usano S.p.A. come cassaforti e ne isolano segmenti. Non lo approfondiamo, ma esiste come forma di separazione interna alla società.
  • Società fiduciarie: talvolta citate tra gli strumenti di protezione. In realtà la fiduciaria (ex L. 1966/1939) serve a intestare beni a nome della fiduciaria per conto del fiduciante, garantendo riservatezza. Ma giuridicamente il fiduciante resta proprietario sostanziale, quindi i creditori possono pignorare i suoi diritti verso la fiduciaria e ottenere i beni. Il vantaggio è semmai di occultare temporaneamente la titolarità (non appare a visura che Tizio è titolare di azioni, ci risulta la fiduciaria): può ostacolare un po’ le ricerche dei creditori, ma se questi lo sanno, c’è procedura ex art. 1990 c.c. per sequestrare bene presso fiduciaria. Quindi non è una protezione robusta, è più un velo di riservatezza.

Aspetti fiscali e societari da considerare:

  • Conferire o vendere beni alla società: se si sposta un immobile dalla persona fisica a una società, bisogna fare i conti con imposte di registro, eventuale IVA, e possibili plusvalenze. Per fortuna, trasferimenti di beni ai propri veicoli spesso godono di regimi agevolati: un conferimento in società di capitali, ad esempio, sconta imposta di registro fissa (€200) e imposte ipo-catastali fisse (€200+€200) se la società è soggetto IVA (operazione fuori campo IVA art. 2 c.3 DPR 633/72 e imposta registro fissa per conferimenti a società ex art. 4 Tariffa parte I DPR 131/86). Significa che posso apportare un immobile a una S.r.l. in cambio di quote senza pagare il 9% di registro come se lo vendessi. È molto vantaggioso. Inoltre l’operazione non genera plusvalenza tassabile per il conferente (è neutralità fiscale se fatto a valori contabili, o comunque regime di realizzo controllato, troppo dettaglio: di base, se conferisco a valore di libro, non pago tasse su eventuali plusvalori). Quindi conferire immobili in una S.r.l. è fattibile con costi contenuti. Alternativamente, vendere alla società (ma se è la tua stessa società non ha senso preferibile conferire). Nella società semplice, la fiscalità dei conferimenti è incerta: credo applichi anch’essa registro fisso se conferimento a titolo di capitale sociale, ma essendo società non commerciale a volte interpretano come cessione con imposta proporzionale (c’è dibattito). Di solito si capitalizza con contanti e poi la società compra l’immobile dal socio: in tal caso paga imposta registro 9% come compravendita normale (società semplici non hanno agevolazioni). Comunque, spesso l’aspetto fiscale è secondario rispetto alla protezione: molte famiglie accettano di pagare un’imposta di registro pur di mettere al sicuro un immobile in una società. Ma con pianificazione si può ridurre.
  • Tassazione corrente: una S.r.l. paga IRES 24% sugli utili + eventuale IRAP se ha dipendenti o è attività immobiliare di gestione. Se è solo custodia di immobili e li dà in uso ai soci, può ottimizzare costi. I soci poi se vogliono godere di utili pagheranno imposta su dividendi (26% cedolare secca attuale). Mentre tenere immobili in persona fisica comporta IRPEF su redditi fondiari e nessuna su valore incrementale. Quindi, da un lato c’è protezione, dall’altro eventuale aggravio fiscale (dipende dal reddito e regime dei soci). Per questo, a volte l’immobile di abitazione si preferisce metterlo in un fondo patrimoniale o trust piuttosto che in società, per non pagare doppio su eventuali incrementi. Ma molti usano società semplici per immobili: fiscalmente trasparenti, quindi quasi come persone fisiche (paghi IRPEF sui redditi fondiari come prima, solo che li dichiari per quota). E se vendi l’immobile come società semplice, se detenuto >5 anni non c’è tassazione (segue regole persone fisiche per plusvalenze). Quindi la società semplice è efficiente fiscalmente, a differenza di S.r.l. (che invece su plusvalenze paga IRES e niente esenzione 5 anni).
  • Casi particolari: se i soci di una società semplice sono coniugi in comunione, il conferimento di un bene personale può generare donazione indiretta verso l’altro (questioni che attengono alla comunione legale). Vanno valutate le posizioni, ma esula dal contesto qui (solo avvertenza: fatevi assistere da un notaio esperto).

In sintesi sulle società come protezione:

  • Usare la S.r.l. per l’impresa: regola aurea per un imprenditore, mai esporsi personalmente oltre il necessario. Così se l’impresa fallisce, non perdi la casa (purché non l’abbia ipotecata o garantita). Questo è asset protection “ordinario” e incoraggiato. Bisogna però fare attenzione a non confondere società e persona (niente prelievi illeciti, tenere contabilità, non pagare spese private con soldi sociali). Altrimenti i creditori o il curatore troveranno appigli per azioni di responsabilità o revocatorie (es. prelievi senza causa possono essere revocati in fallimento come pagamenti ai soci).
  • Usare società per detenere beni familiari: ottimo per immobili e partecipazioni. La società semplice è spesso lo strumento top per questo. Con uno statuto ben scritto, si possono introdurre clausole che impediscono facili aggressioni: ad esempio prelazioni, necessità consenso per cessione quote, cause di scioglimento solo dopo tot anni, ecc. Sul tema, autori come il notaio Busani e altri hanno scritto di come la S.s. può essere “blindata” statutariamente. Perfino Matteo Rinaldi (esperto asset protection) evidenzia che non basta intestare a S.s. ma serve blindare la governance (quote incedibili, amministratori con veto, clausole anticinghia etc.). Lo scopo è rendere molto arduo a un eventuale creditore di un socio trarre reale beneficio anche liquidando la quota. Un creditore raramente vuole entrare socio, preferisce soldi: se statuto rende la liquidazione lunga e penalizzante, il creditore potrebbe accontentarsi di fare un accordo transattivo.
  • Società e fisco: ricordare che far transitare beni per società può attivare fattispecie elusive se il solo scopo è risparmio d’imposta. L’Agenzia può contestare ex art. 10-bis L.212/2000 se uno crea S.r.l. solo per abbattere tasse. Ma in contesto protezione, l’obiettivo è un altro (se poi ci sono effetti fiscali neutri o negativi, l’uso è giustificato da ragioni extra-fiscali, quindi in teoria ok).
  • Debitori non imprenditori: se un privato qualunque, non imprenditore, teme per esempio di poter causare un danno (metti un medico per colpa extra professione) o di finire garante di qualcuno, può in anticipo trasferire beni a società intestate a familiari (o dove lui ha solo piccola quota) per non risultare facoltoso. Chi fa volontariamente ciò riducendo sé alla povertà apparente rischia la revocatoria se poi i creditori nascono. Ma se è molto prima e nessuna situazione concreta, rimane valido (certo sta di fatto regalando beni, quindi occhio a altre implicazioni, es. coniuge, eredi legittimari).
  • “Affidare beni a terzi fidati” (es. intestare a moglie o figli): è fuori dall’ambito societario, ma merita cenno. Molti debitori pensano di intestare beni al coniuge o ai figli per salvarli. Questo però è rischioso:
    • Se fatto quando i debiti già esistono o sono imminenti, verrà quasi sicuramente revocato (donazione revocabile entro 5 anni, etc.).
    • Se il terzo non è affidabile poi per restituire, uno perde il bene. Con società almeno mantieni controllo (se sei socio o amministratore).
    • Oggi con art. 2929-bis c.c., anche un semplice atto di donazione o intestazione a familiare può essere bypassato con pignoramento immediato entro 1 anno. Quindi è soluzione debole.
    • Più efficiente è appunto creare una società o un trust dove il disponente mantiene un certo controllo regolare e le cose sono formalizzate.
  • Crisi d’impresa e rischi penali: utilizzare società non esclude obblighi: se la società va in crisi e i soci/amministratori distraggono beni (magari per portarli fuori dai creditori), incappano in reati fallimentari (bancarotta). Quindi la protezione societaria vale ex ante, ma ex post se la società è in decozione bisogna stare alle regole, non saccheggiarla impunemente.

Conclusione sulle strutture societarie: incorporare è una delle prime regole di asset protection per imprenditori e non. Dividere patrimonio personale e attività rischiosa è fondamentale. Oltre a costituire S.r.l., si può frazionare in più società per isolare rischi diversi (es. una società per immobili, una per business 1, una per business 2, così il fallimento di una non tira giù tutto). Questo però va bilanciato con i costi e complessità di gestione. Per un privato non imprenditore, l’uso di società può servire soprattutto come contenitore patrimoniale (società semplice o holding familiare) per rendere più difficile l’aggressione e facilitare l’organizzazione generazionale (le quote societarie si possono tra l’altro trasferire con patti di famiglia o gestire con clausole successorie, facilitando la continuità e prevenendo divisioni ereditarie). Dal punto di vista del debitore, la società è uno schermo legale che lo distingue dai suoi beni: ciò è pienamente legittimo e anzi favorito dall’ordinamento per incentivare l’attività economica. Naturalmente, l’abuso di questo schermo (costituire società fasulle solo per non pagare, o spostare tutto a società estere) può essere combattuto dai giudici, ma se fatto con razionalità, creare entità distinte per le varie sfere della propria vita è segno di buona pianificazione. In conclusione, “mettere il patrimonio di famiglia al riparo” spesso significa anche “metterlo in una struttura societaria adeguata”, in cui i beni sono gestiti separatamente dall’individuo. Un patrimonio familiare ben difeso difficilmente sarà intestato interamente alle singole persone fisiche: sarà invece dislocato magari in una S.r.l. immobiliare, in partecipazioni societarie, in trust o fondi, in polizze vita – tutte entità e forme che compartimentano il rischio, evitando che il fallimento di una tessera faccia crollare tutto il domino.

Tabelle riepilogative degli strumenti di protezione

Di seguito, presentiamo alcune tabelle riassuntive che confrontano le caratteristiche principali dei vari strumenti esaminati – fondo patrimoniale, trust, atto di destinazione (2645-ter), polizza vita, società di capitali e società semplice – in termini di meccanismo giuridico, vantaggi, limiti e aspetti fiscali salienti. Queste tabelle consentono una visione d’insieme e un confronto rapido tra le diverse soluzioni di asset protection familiare.

StrumentoMeccanismo e base normativaVantaggi protettiviLimiti e rischiCenni fiscali
Fondo patrimonialeBeni di coniugi destinati a bisogni familiari (artt. 167-171 c.c.). Vincolo su immobili/mobili regist. di proprietà dei coniugi o ricevuti da terzi, annotato a margine atto di matrimonio.Impignorabilità condizionata: i beni non sono esecutabili per debiti estranei ai bisogni familiari noti al creditore. Protegge casa e risparmi della famiglia se debito non attiene alla famiglia. Regime legale di amministrazione e conservazione del bene in ambito familiare.Riservato a coniugi/uniti civili (non disponibile per single). Protezione limitata: debiti per bisogni di famiglia o creditori ignari del vincolo possono agire. Onere della prova a carico debitore, presunzione che debiti d’impresa siano per famiglia. Revocabile ex art. 2901 c.c. se costituito in frode ai creditori; atto gratuito, vulnerabile 5 anni post-atto (2929-bis c.c. permette pignoramento diretto entro 1 anno). Cessa con scioglimento matrimonio o figli maggiorenni (art. 171 c.c.), allora beni tornano liberi. Possibile sequestro/ipoteca fiscale salvo prova estraneità debito.Atto pubblico con imposta registro fissa; se conferimento da terzi può essere donazione soggetta a imposta. Nessun effetto sulle imposte dirette (redditi dei beni tassati ai coniugi). Nessuna agevolazione su IMU o altre tasse patrimoniali. Beni fuori dall’asse ereditario? No, entrano in successione dei coniugi (ma il fondo cessa salvo disposizione testamento). Imposta donazione/successione non applicata alla costituzione tra coniugi; se conferimento da terzo, si applicano franchigie parentela.
TrustRapporto fiduciario regolato da legge straniera (Conv. Aja 1985, L.364/1989). Disponente trasferisce beni a trustee che li amministra per beneficiari o scopo, con effetto segregativo. Nessuna legge italiana dedicata, ma pieno riconoscimento effetti salvo ordine pubblico.Segregazione patrimoniale completa: beni fuori dal patrimonio di disponente e trustee, non aggredibili da creditori personali di entrambi. Grande flessibilità di scopi (tutela familiare, passaggio generazionale, beneficenza, ecc.) e durata (fino a 100 anni in certe leggi). Atto personalizzabile: possibile protezione di qualsiasi bene (anche liquidità, partecipazioni). Beneficiari ottengono diritto equitativo, non attaccabile finché il trust non distribuisce. Adatto a gestioni complesse con regole ad hoc (es. protector, trustee professionale).Procedura costitutiva complessa e costosa (atto notarile con legge straniera, trust company/trustee da nominare). Necessaria gestione professionale e trasparente: se disponente mantiene controllo e trust è simulato (sham trust) viene dichiarato inesistente/fraudolento. Revocabile ex 2901 c.c. se pregiudica creditori (atto gratuito); possibile pignoramento diretto ex 2929-bis se atto post-debito entro 1 anno. Creditori devono agire demolendo il trust, ma Cassazione penale considera comunque ostacolo che può integrare reato se finalizzato a frode fiscale. Non è anonimo: pubblicità nei registri (immobiliari, etc.) e codice fiscale trust. Legge straniera applicabile: rischio errori formali.Conferimento beni in trust segregativo non sconta imposta immediata (non c’è arricchimento): dal 2025 imposta donazione solo su attribuzioni ai beneficiari. Se trust interposto (disponente non spossessato), fisc. considera beni ancora suoi (imposta successione/donazione dovuta come se niente trust). Trust “puro” gode di neutralità iniziale (registro €200). Fiscalità diretta: trust opaco paga IRES 24%, trust trasparente imputazione ai beneficiari. Esenzione imposta successione per trust di disabili (L.112/2016). Trasferimenti da trust a beneficiari = donazione tassata con aliquote/franchigie ordinarie. Rendimento finanziario nel trust tassato come per enti (o beneficiari se trasparente).
Atto di destinazione(2645-ter c.c.)Vincolo di destinazione su beni immobili/mobili registrati, per realizzare interessi meritevoli di tutela (durata max 90 anni o vita beneficiario). Atto pubblico trascritto. Proprietà rimane al conferente, ma bene separato per lo scopo.Strumento interno (legge italiana) per segregare singoli beni a favore, ad es., di un familiare debole o di uno scopo pubblico. Opponibile a terzi tramite trascrizione. Beni e frutti destinati soddisfano solo obbligazioni inerenti lo scopo; conseguente impignorabilità per debiti estranei (analogia con art.170 c.c. e art.2740) – anche se norma non lo esplicita, è la finalità implicita. Flessibile nella scelta dello scopo (purché meritevole): es. tutela disabile, mantenimento figlio, preservazione bene culturale. Può complementare o sostituire trust per chi preferisce strumento domestico.Ambito ristretto: possono essere vincolati solo beni registrati (no denaro liquido, no partecipazioni non titoli). Non crea persona giuridica distinta né trasferisce titolarità: conferente rimane proprietario, quindi creditori del conferente potrebbero tentare aggressione se contestano meritevolezza. Scopo deve essere “meritevole” secondo 1322 c.c.: se è solo protezione dai creditori, rischio dichiarazione di nullità per causa illecita. Revocabile se pregiudica creditori (atto a titolo gratuito); soggetto a pignoramento diretto ex 2929-bis entro 1 anno come altri atti gratuiti. Manca disciplina dettagliata: gestione del bene e controllo attuazione scopo da prevedere nell’atto, altrimenti incertezze. Durata limitata max 90 anni: non adatto a vincoli perpetui. Se conferente fallisce, vincolo potrebbe non essere riconosciuto in sede concorsuale (specie se scopo non altruistico).Imposta di registro fissa su atto e trascrizione (€200+€200); esente IVA. Imposta donazione: dovuta solo in presenza di arricchimento di beneficiari (post riforma 2024). Spesso atto destinazione non implica trasferimento immediato, quindi nessuna imposta proporzionale all’atto costitutivo; se al termine i beni vanno a beneficiario, tassati come donazione a quel momento. Redditi dei beni restano in capo al proprietario conferente (nessun soggetto fiscale autonomo). Se beneficiario percepisce frutti direttamente, possono considerarsi redditi suoi (es. usufrutto destinato a favore disabile: redditi tassati a lui). Nessuna agevolazione specifica su imposte patrimoniali (IMU etc.).
Polizza vitaContratto di assicurazione sulla vita (artt. 1882, 1919 c.c.). Contraente paga premi a assicuratore; beneficio in caso di morte o sopravvivenza assicurato va al beneficiario designato. Art. 1923 c.c.: capitali e rendite assicurative impignorabili e insequestrabili.Somme assicurate non aggredibili dai creditori dell’assicurato né del beneficiario. Vale sia per capitale caso morte sia per valore di riscatto maturato (Cass. 19246/2013, Cass. 3785/2024) – i creditori non possono forzare il riscatto. Strumento semplice e discreto: consente di proteggere liquidità convertendola in un diritto futuro per i familiari. Beneficiario ha diritto proprio sui capitali, fuori dall’asse ereditario (non soggetti ad azioni dei creditori ereditari). Polizze miste/unit-linked ricomprese nella tutela se hanno scopo previdenziale. Nessuna formalità pubblicitaria (contratto privato); può fungere anche da previdenza integrativa (rendita vitalizia esente da esecuzione).Protezione condizionata alla natura effettiva di assicurazione vita: se contratto privo di alea assicurativa (puro investimento mascherato), rischio che giudice neghi applicazione art.1923 (caso per caso, ma Cass. 2024 propensa a includere quasi tutte le polizze vita finanz.). Debitore/contraente conserva facoltà di riscatto: se esercitata, i soldi riscattati tornano pignorabili sul conto. Versamenti eccessivi possono essere revocati dai creditori se sproporzionati (“premi manifestamente eccedenti” ex art.1923 ult. co., analogia con atti in frode) – tipico se depositi ingenti a ridosso di insolvenza. Non protegge da azioni penali: se configurato come sottrazione fraudolenta al Fisco (versamenti oltre €50k per evadere), possibile sequestro e confisca penale dei premi versati (considerati atto fraudolento). Beneficiario può essere modificato dal contraente fino a evento: se debitore in crisi cambia beneficiario last minute per salvare somme? L’atto di designazione non è revocabile dai creditori (non essendo donazione diretta), ma potrebbe essere scrutinato se fatto in frode (difficile, norma tace).Capitale assicurativo esente da imposta di successione (art. 34 D.lgs.346/90); premi polizze vita non soggetti a donazione (non sono trasferimento a terzi, ma pagamento a assicuratore). Fiscalmente efficiente: prestazioni caso morte non tassate IRPEF. Prestazioni in vita (polizze miste) tassate solo sulla componente rendimenti (26% imposta sostitutiva sulla plusvalenza). Premi detraibili solo per rischio morte/premorienza limitatamente (€530 annui) se polizza avente requisiti (infortuni, vita lunghe). Imposta di bollo annuale 0,20% su valore polizze investimento (ramo III) come per altri prodotti finanziari. Nei fondi pensione/PIP: tassazione agevolata rendimenti 20% e prestazioni tassate separatamente. In sintesi, vantaggi fiscali: differimento imposte sui rendimenti fino a riscatto; niente tasse su capitale in caso decesso; fuori asse ereditario = niente imposta successione e immediata disponibilità ai beneficiari.
Società di capitali (es. S.r.l., S.p.A.)Personalità giuridica distinta del soggetto societario. Responsabilità limitata: la società risponde con patrimonio sociale, soci non oltre il conferimento (art. 2462 c.c.) salvo garanzie personali. Patrimoni separati possibili (2447-bis c.c. per SpA).Netta separazione tra patrimonio dell’imprenditore (socio) e patrimonio dell’impresa: i creditori della società non possono aggredire i beni personali del socio; i creditori personali del socio possono al più pignorare le sue quote/azioni, non i beni intestati alla società. Consente di isolare il rischio d’impresa: fallimento/insolvenza della società non coinvolge i beni dei soci (salvo garanzie date). Grande flessibilità di utilizzo: soci familiari possono conferire immobili, liquidità alla società per “blindarli” all’interno del soggetto giuridico. Struttura organizzata con amministrazione professionale e continuità oltre la persona (utile anche per passaggi generaz.). Possibilità di holding per scindere asset (es. immobiliare vs commerciale).Forma più onerosa: costi di costituzione, gestione contabile, bilanci pubblici. Se il socio abusa della forma (confusione patrimoni, uso personale della società): possibili reazioni – es. azioni di responsabilità, revocatorie sui conferimenti o pagamenti a soci, in alcuni casi “schermo” ignorato (es. socio unico non adempiente = responsabilità illimitata ex art. 2462). Creditori personali del socio possono comunque colpire indirettamente patrimonio sociale pignorando le quote/azioni e vendendole: il terzo acquirente controllerà la società e quindi i suoi beni. Quota pignorata: se nessun acquirente, possibile liquidazione quota ex lege, costringendo la società a pagare il valore (scioglimento parziale) – così creditori recuperano su attivo societario. Frequentemente banche e fornitori chiedono fideiussioni personali ai soci/amministratori: in tal caso, responsabilità limitata vanificata per quei debiti garantiti. In caso di mala gestio societaria (es. distrazione beni, sottocapitalizzazione dolosa) i soci/amministratori possono incorrere in responsabilità e dover rispondere coi propri beni (azioni revocatorie fallimentari, azione creditori sociali art. 2394 c.c., ecc.). Società non adatta a fini meramente “passivi” se non ottimizzata: es. S.r.l. immobiliare ha tassazione su redditi da locazione (IRES+irap) potenzialmente più alta di persona fisica con cedolare. Liquidi della società bloccati se soci non distribuiscono utili (o dividendi tassati extra). Procedura concorsuale: società può fallire, i suoi beni liquidati, soci perdono il controllo sul patrimonio sociale in caso di insolvenza grave.Conferimenti di immobili/beni a società di capitali in cambio di quote – neutralità fiscale e imposte registro fisse (nessuna tassazione plusvalore immediata, no imposta 9% registro ordinaria) per conferimenti in S.p.A./S.r.l.; possibili imposte fisse ipocatastali €200+200. Trasferimenti di beni a società a titolo oneroso (vendita) soggetti a imposte come tra terzi (registro 9% immobili, plusvalenza tassabile se entro 5 anni per venditore persona fisica). Società di capitali paga IRES su redditi (24%) + IRAP se applicabile. Distribuzione dividendi a soci: tassazione 26% (persone fisiche) o esenzione 95% (se socio società). Vantaggi fiscali possibili in strategie (es. accumulo utili a IRES 24% vs IRPEF fino 43%, conviene tenere in società). Successione: quote societarie trasferite per successione/donazione soggette a imposta successione regolare con franchigie; possibile esenzione totale per aziende/quote > di controllo trasmesse a eredi che continuano attività per 5 anni (agevolazione “azienda di famiglia”). Tasse locali: immobili in società pagano IMU (no esenzione prima casa). In S.r.l. non esenzione plusvalenze >5 anni (vale solo per persone fisiche), quindi alienazione beni può generare imponibile. Pianificazione fiscale necessaria per evitare carichi maggiori rispetto a intestazione diretta (valutare case per uso personale in società – spesso non conviene per fringe benefit tassati).
Società sempliceSocietà di persone priva di scopo commerciale (art. 2251 c.c. e segg.). Personalità giuridica assente ma patrimonio sociale distinto. Soci illimitatamente responsabili per debiti sociali, ma regime speciale per creditori particolari dei soci (art. 2270 c.c.).Cassaforte patrimoniale familiare: può detenere immobili, partecipazioni, ecc. Creditori particolari di un socio non possono aggredire beni sociali finché la società dura; possono solo intervenire sugli utili spettanti al socio debitore e, per ottenere capitale, chiedere la liquidazione della quota solo nei casi previsti (se società a tempo indeterminato o oltre la vita del socio). Ciò significa che i beni intestati alla S.s. sono al riparo da esecuzioni individuali dei creditori dei singoli soci: al più, il creditore otterrà la quota del socio (diritti su utili e quota di liquidazione a scioglimento). La separazione soggettiva (società vs soci) e le regole restrittive di 2270 c.c. rendono molto difficile per un creditore forzare la vendita di un bene della società semplice per soddisfarsi. Inoltre la S.s. non può essere dichiarata fallita (anche se ha debiti insoluti, i soci rispondono ma niente procedure concorsuali sui beni sociali). Struttura flessibile: statuto può prevedere clausole anti-trasferimento, gradimento, maggioranze qualificate, ecc. per blindare ulteriormente il controllo (impedendo di fatto al creditore del socio di entrare o provocare scioglimento). Ideale per gestione di immobili di famiglia, portafogli finanziari o partecipazioni, con continuità generazionale (si possono trasmettere le quote ai figli evitando frammentazione dei beni). No obbligo di bilanci pubblici né registri speciali (se non nella forma di atto pubblico se conferimento immobili).Non limita responsabilità per debiti contratti dalla società: i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali con tutto il loro patrimonio (come Snc) – quindi da evitare di far contrarre debiti alla società; meglio usarla come veicolo passivo (gestione patrimoniale con debiti modesti facilmente solvibili). Se un debitore ha sia debiti personali sia è socio di S.s., i creditori personali incontrano ostacoli come detto, ma i creditori sociali possono invece aggredire beni sociali senza problemi (quindi se la società semplice per es. garantisce un debito di uno dei soci o fa da veicolo per operazioni rischiose, i beni non sono protetti). Creditori particolari del socio possono, a certe condizioni, ottenere dal tribunale lo scioglimento della società limitatamente al socio debitore e la liquidazione della sua quota: questo significa che se la società detiene soprattutto beni illiquidi (immobili), per pagare quella quota potrebbe dover vendere qualche bene – dunque una via indiretta per i creditori c’è, anche se procedura lunga e soggetta a valutazioni (soprattutto se società ha durata determinata, il creditore deve attendere termine). Richiede fiducia e accordo tra familiari soci: è strumento di gestione collettiva, ogni socio ha diritto agli utili e partecipazione amministrazione salvo patto contrario; possibili conflitti interni. Nessuna personalità giuridica: i beni sono intestati alla società (che è soggetto di diritto distinto in senso relativo), ma ad es. notifiche legali possono essere complicate (vanno ai soci amministratori). Possibile sequestro quota del socio debitore da parte dei creditori (atto conservativo sugli utili/quota). Morte di socio: salvo patto di continuazione, rischia scioglimento – ma si prevedono clausole per evitare.Fiscalmente trasparente: non soggetta a IRES, ma imputa i redditi ai soci. Se detiene immobili: redditi fondiari imputati ai soci pro quota (con stesso trattamento IRPEF come se li possedessero direttamente: es. possono optare per cedolare se locazioni abitative). Plusvalenze su cessioni immobili applicano regole persone fisiche (esente se oltre 5 anni). Detiene partecipazioni: redditi di capitale (dividendi) imputati ai soci (in genere 95% esenti se partecipazioni qualificate, come regime Pex – ma verificare prassi). Trasferimento immobili a S.s. può scontare imposta registro proporzionale (9%) se interpretato come cessione, oppure fatto via conferimento con imposta fissa (tema dibattuto). Spesso meglio costituire S.s. già intestando beni inizialmente ai soci come conferenti per minimizzare costi (notaio e registro). S.s. non soggetta a obblighi contabili fiscalmente (ma opportuno tener traccia). Quote S.s. trasferite per successione o donazione: tassate come beni normali (franchigie in base a parentela). Non c’è esenzione art. 3 comma 4-ter TUSD perché riservata a aziende e Snc/Sas, non a S.s. (che non è impresa commerciale). Quindi se S.s. detiene solo patrimonio personale, imposte successione/donazione standard.

Domande frequenti (FAQ) sulla protezione del patrimonio familiare

D1: Ho un’attività imprenditoriale individuale. Qual è la prima cosa che dovrei fare per proteggere il mio patrimonio personale?
R: In genere, adottare una struttura a responsabilità limitata è il passo fondamentale. Trasformare l’attività individuale in una società di capitali (es. S.r.l.) permette di separare il rischio d’impresa dal tuo patrimonio personale. Così, se l’impresa contrae debiti o fallisce, i creditori potranno rifarsi sui beni sociali ma non sulla tua casa, sui tuoi risparmi personali, ecc.. È importante però non aver già situazioni di insolvenza in atto (altrimenti la trasformazione può essere revocata come atto in frode) e gestire correttamente la società, senza rilasciare garanzie personali se possibile e senza mescolare conti. In sostanza: costituisci una S.r.l. e conferiscile l’azienda o apri direttamente l’attività nella forma societaria. Ciò ti dà uno scudo legale (art. 2740 c.c., limitazione di responsabilità ammessa per legge) per il futuro. Ovviamente, per i debiti già esistenti, questo non ti proteggerà (i creditori anteriori potrebbero agire in revocatoria sul conferimento d’azienda). Ma guardando avanti, lavorerai con una barriera tra patrimonio d’impresa e personale.

D2: La mia banca mi chiede comunque la fideiussione personale per concedere credito alla mia S.r.l.: come posso proteggermi in questo caso?
R: Purtroppo è prassi frequente. Firmando la fideiussione, torni ad essere esposto personalmente per quel debito (la banca potrà escutere te e i tuoi beni in caso di insolvenza della società). Per ridurre il rischio, puoi provare a limitare l’importo e la durata della garanzia, o contrattare che decada al rimborso di una parte del finanziamento. Una volta data la fideiussione, puoi valutare di coprirti con un’assicurazione del tipo “Protection” (esistono polizze che indennizzano il fideiussore in caso debba pagare, anche se non comuni). In alternativa – e più direttamente – dovresti valutare il costo/opportunità di quella garanzia: se stai mettendo a rischio, ad esempio, la casa, forse conviene finanziare in modo diverso l’azienda (capitale proprio, investitori terzi, finanziamenti meno onerosi in termini di garanzie). Ricorda inoltre di mettere in sicurezza gli altri beni personali: se la casa è in pericolo perché hai firmato garanzie, potresti tutelarla con altri strumenti (ad es. intestarla a un fondo patrimoniale o a una società distinta) prima che eventuali escussioni inizino – anche se la fideiussione è un’obbligazione a tutti gli effetti, quindi quei trasferimenti sarebbero attaccabili dai creditori se fatti dopo che il debito è sorto. In sintesi: se sei costretto a fare da garante, cerca di controbilanciare riducendo al minimo il patrimonio aggredibile (tenendo ad es. liquidità eccedente in polizze vita impignorabili, trasferendo proprietà non indispensabili a un familiare di fiducia o società, etc., con la dovuta prudenza e anticipo). Non c’è una soluzione perfetta: la vera leva è contrattuale, ossia evitare o attenuare la fideiussione mediante trattative.

D3: Ho ereditato dai miei genitori un patrimonio cospicuo e non ho debiti; temo però che sposandomi o avviando un’attività possa in futuro perdere parte di questi beni. Cosa posso fare per “blindarli” in anticipo?
R: In una situazione di attuale tranquillità economica, hai diverse opzioni di protezione preventiva. Eccone alcune, anche combinabili:

  • Valuta di costituire una società semplice di famiglia in cui conferire tali beni (immobili, partecipazioni, conti investimenti). Rimarrai proprietario attraverso le quote societarie, ma i beni saranno intestati alla società, la quale – come visto – è molto robusta contro eventuali futuri creditori personali. Puoi mantenere il controllo come amministratore, e magari coinvolgere come soci persone di fiducia (futuri figli, fratelli). In caso di matrimonio, sappi che i beni conferiti prima rimangono fuori dalla comunione legale (che riguarderebbe solo ciò acquistato dopo). La società semplice li terrà segregati e fuori dalla comunione.
  • Considera un patto di famiglia (se parte del patrimonio sono quote di azienda): è uno strumento che facilita il passaggio di aziende a eredi evitando liti future, e contestualmente ha esenzione dall’imposta di donazione per le quote societarie d’azienda, ma serve ci siano discendenti. Magari non è il tuo caso ora, ma da tenere presente per il futuro.
  • Uno strumento assicurativo: se una parte sono liquidità, potresti allocarne una in polizze vita o fondi pensione a te stesso come assicurato e beneficiari i futuri figli o tuoi cari. Così accumuli ricchezza in un veicolo intoccabile. Se un domani avrai un rovescio, quelle polizze resteranno intatte per i beneficiari.
  • Se pensi di sposarti e vuoi evitare rischi su quei beni, puoi optare per il regime di separazione dei beni fin dall’atto di matrimonio (è semplice, basta dichiararlo; in tal modo nulla di tuo diventa comune). Inoltre, potresti valutare – sembra poco romantico ma è utile – un accordo prematrimoniale o atto di fondo patrimoniale post-matrimonio che includa quei beni per i bisogni familiari (in modo da destinarli solo alla famiglia stretta, e non essere aggredibili per altro). Attenzione: il fondo patrimoniale ti protegge da creditori estranei alla famiglia, ma non dai conflitti col coniuge (in caso di divorzio, i beni del fondo vengono gestiti per i figli finché minori, poi tornano di libera disponibilità; inoltre il coniuge non può pretendere quei beni se erano tuoi propri, restano tuoi). In sostanza, il fondo è più protezione da terzi, la separazione dei beni è protezione in caso di crisi coniugale.
  • Trust interno: potresti creare un trust oggi, di cui sei magari beneficiario per tutta la vita e poi i tuoi eventuali figli dopo di te. Conferisci lì parte del patrimonio. Finché navigherai in acque tranquille, i beni saranno gestiti dal trustee secondo le tue indicazioni, con eventuali benefici a te (ad es. redditi); se un domani avrai grossi problemi debitori, quei beni – essendo in trust e non più legalmente tuoi – saranno difficilmente aggredibili (i creditori dovrebbero sostenere che il trust è fittizio o revocarlo se recente). Un trust fatto ora, senza creditori e per scopi legittimi (es. protezione familiare di lungo periodo), è molto solido in futuro. Il lato negativo è la perdita di proprietà diretta e i costi di gestione, ma è forse il blindaggio più forte (anche venturi generi/nuore o altri non potranno interferire).

In sintesi, disponendo ora di beni liberi da pesi, agire d’anticipo è saggio: costituisci entità separate (società o trust), stipula polizze, e scegli regimi patrimoniali prudenti nel matrimonio. Così riduci drasticamente le vie attraverso cui un tuo ipotetico creditore futuro (o altre vicende) possa toccare quel patrimonio ereditato.

D4: Il fondo patrimoniale mi conviene ancora? Ho letto che i giudici ormai lo “bucano” facilmente, specie per debiti di natura fiscale o d’impresa.
R: Il fondo patrimoniale è vero che ha perso parte della sua efficacia con le recenti interpretazioni. Oggi come oggi, va considerato uno strumento di tutela parziale: funziona bene contro creditori casuali o debiti prettamente personali non familiari di modesta entità, e se tu riesci a dimostrare la loro estraneità alla famiglia. Ma contro il Fisco o banche per debiti d’impresa, protegge poco o nulla se non hai prove forti. Ciò detto, istituirlo non nuoce se sei nei requisiti (sposato/unito civilmente) e il bene da proteggere è ad esempio la casa coniugale. È semplice da attivare e non costoso. Semplicemente, non affidargli aspettative eccessive. Consideralo come un “primo strato di difesa”: il creditore dovrà comunque fare i conti con l’art. 170 c.c. e magari passare da un giudice se vuoi opporre il vincolo; intanto potresti guadagnare tempo o forza contrattuale. Molti professionisti continuano a consigliarlo per proteggere la casa della famiglia, soprattutto se l’attività lavorativa comporta rischi. Sapendo però che:

  • In caso di debiti fiscali o con banche, quasi sicuramente l’ente creditore contesterà l’estraneità e, come visto, la legge ora tende a dar ragione al creditore salvo prova contraria.
  • Se il tuo è un debito voluttuario (es. gioco d’azzardo, spese di lusso non per la famiglia) e il creditore lo sapeva, lì il fondo dovrebbe proteggere (perché quell’uso era estraneo e noto). Ma sono casi rari.
    In pratica, valuta soluzioni aggiuntive o alternative: ad esempio, se puoi, preferisci la società semplice immobiliare (che protegge meglio la casa dai creditori personali) o un trust. Questi sono meno noti al grande pubblico creditore e offrono scudi più robusti (il trust perché i beni non sono tuoi, la società semplice perché costringe il creditore a prendersi la quota e non la casa direttamente). Certo, costano di più in creazione/gestione. Il fondo resta un’opzione low-cost, e se non hai situazioni a rischio imminente, io direi: meglio averlo che niente. Al limite, un domani se vendi la casa o la togli dal fondo, non hai perso nulla di sostanziale. Sappi solo che non è inattaccabile al 100%: bisogna combinare altri strumenti e comportamenti prudenti. Per esempio, se hai un fondo, non contrarre debiti in nome tuo per finanziare l’azienda – fallo fare alla società; non accumulare cartelle esattoriali pensando “tanto ho la casa in fondo”, perché Equitalia ti metterà ipoteca lo stesso e avrà ragione se non provi che il debito fiscale era estraneo ai bisogni (cosa ardua). In conclusione: sì al fondo patrimoniale se risponde alla tua situazione familiare e vuoi un livello base di protezione; ma non farci affidamento esclusivo. E tieniti aggiornato su eventuali riforme: c’è chi propone di introdurre in Italia strumenti di fondo patrimoniale potenziato o trust domestico, il quadro potrebbe evolvere.

D5: Il trust non rischia di essere considerato nullo in Italia dato che non c’è una legge nazionale?
R: No, il trust se validamente istituito ai sensi di una legge straniera ammessa (di solito lo è) è pienamente riconosciuto in Italia in virtù della Convenzione dell’Aja del 1985. La nullità può aversi solo se il trust concreto contrasta con norme di ordine pubblico italiano. Ad esempio, un trust che violi i diritti dei legittimari nelle successioni può essere inefficace verso di loro; oppure un trust usato per finalità illecite (frode fiscale conclamata, copertura di attività criminali) non sarà ovviamente tutelato. Ma questi sono usi distorti. Per un trust familiare normale, il riconoscimento è assicurato: la Cassazione negli anni ha emanato decine di sentenze riconoscendo e regolando i trust interni. Ne è prova che li ha assoggettati a revocatoria, a tassazione, ecc., trattandoli come atti efficaci. Dunque, non temere una nullità in sé: se il trust è fatto bene e per scopi leciti, al massimo un creditore potrà chiederne la revoca relativa per tutelare il suo credito, ma non dirà mai “è nullo perché non esiste la legge italiana”. Attenzione solo a:

  • Seguire la legge straniera scelta: l’atto deve rispettare i requisiti di quella legge (ad es. legge Jersey richiede un trustee, un beneficiario definito o definibile, ecc.). Scegli leggi note e collaudate, e fatti assistere da esperti.
  • Trascrivere correttamente eventuali atti in Italia (immobili, pignoramenti contro trustee e non trust come entità). Ci sono aspetti tecnici (es. la Cassazione ha detto che il pignoramento di un immobile in trust va trascritto contro il trustee e non contro il nome del trust). Questo riguarda i terzi però, tu basta che fai bene la trascrizione del conferimento (a favore del trustee).
    In sintesi, i trust sono prassi consolidata oramai, specie nel campo della protezione patrimoniale e pianificazione successoria. Il “rischio nullità” sussiste solo se abusi dello strumento (es. trust usato per eludere norme imperative italiane: la Cass. ha dichiarato nullo un trust che sostituiva una procedura fallimentare). Per un trust familiare genuino, vai tranquillo sulla validità. Piuttosto, focalizzati sul farlo a regola d’arte e amministrarlo in modo corretto: un trust fatto male (ad esempio disponente che continua a comportarsi come proprietario assoluto dei beni) può essere dichiarato simulato, e quindi inefficace (più che nullo, si dice che non produce l’effetto segregativo perché in realtà è un fiducie occulta). Ma anche qui, è questione di prova: i creditori dovrebbero dimostrare che il trust era fittizio. Se ti affidi a un trustee indipendente serio e tu “rispetti le regole del gioco”, è molto difficile che riescano a farlo passare per sham.

D6: Una polizza vita con beneficiario il mio coniuge può essere considerata una forma di trust o di fondo patrimoniale?
R: No, è giuridicamente diversa. La polizza vita è un contratto di assicurazione: tu (contraente-assicurato) paghi premi a una compagnia, la quale si impegna a versare un capitale al beneficiario al verificarsi dell’evento assicurato (tua morte, o tua sopravvivenza a una certa data). Non si crea un patrimonio separato autonomo come nel trust; i premi versati diventano proprietà dell’assicuratore, che però ha un debito condizionato verso il beneficiario. Tuttavia, dal punto di vista pratico di protezione, una polizza vita offre un effetto in parte analogo: i soldi che vi metti sono in un certo senso “destinati” ai tuoi cari, e non attaccabili dai creditori (per legge) durante la tua vita e fino all’evento. Ma non confondiamoli:

  • Un trust comporta trasferire i beni a un trustee per gestirli e poi passarli ai beneficiari: c’è un cambio di titolarità immediato (il trustee ne diviene proprietario legale), c’è un atto segregativo, ecc. Nella polizza, i soldi li dai all’assicurazione che li gestisce insieme alle sue riserve e te li restituirà (o li darà a beneficiario) secondo il contratto. Non c’è un “fondo” separato intestato ai beneficiari nel frattempo – c’è però la protezione ex art.1923 c.c. sul credito assicurativo.
  • Un fondo patrimoniale è ancora diverso: i beni restano ai coniugi ma vincolati per la famiglia. In polizza i soldi escono dal tuo patrimonio (diventano dell’assicuratore) ma non appartengono nemmeno a tuo coniuge finché non accade l’evento.
    In breve: la polizza vita è uno strumento finanziario-assicurativo con finalità previdenziale e gode di privilegio anti-esecuzione, ma non è un atto dispositivo come trust o fondo. Questo può essere un bene (meno formalità, più flessibilità) ma anche un limite (se metti troppi soldi e poi hai bisogno, devi riscattare e perdi protezione). Non la considererei un sostituto di trust/fondo, ma un complemento: ad esempio, puoi destinare una parte delle tue sostanze a trust per certe esigenze e un’altra parte investirla in polizze per aumentare la quota garantita ai familiari qualunque cosa accada. La polizza ha un vantaggio anche di rapidità di erogazione: alla tua morte, l’assicuratore paga subito il beneficiario, senza trafile ereditarie, e quel capitale è immediatamente disponibile per la famiglia (e fuori da pretese di eventuali creditori del defunto, in quanto non entra in eredità).

D7: In caso di procedimento di recupero crediti, come posso opporre l’esistenza di queste protezioni?
R: Dipende dal tipo di protezione e dallo stadio del procedimento. Qualche scenario:

  • Se un creditore tenta pignoramento di un immobile in fondo patrimoniale: dovrai presentare opposizione all’esecuzione davanti al giudice dell’esecuzione, eccependo che trattasi di bene vincolato ex artt.167 ss. c.c. e che il debito è estraneo ai bisogni familiari (con prove). Il giudice valuterà se sospendere l’esecuzione sul bene. Ad esempio, se è Equitalia che iscrive ipoteca, puoi fare ricorso in commissione tributaria o giudice ordinario (a seconda dei casi) sostenendo illegittimità ex art.170 c.c., anche se come visto la Cassazione 2024 pone l’onere della prova su di te.
  • Se tentano pignoramento di beni in trust: qui il pignoramento dovrebbe essere notificato al trustee, che è il legale proprietario. Il trustee potrà/doverà opporre l’atto sostenendo che i beni non sono del debitore (disponente) ma in trust per altri. Ci sono state fattispecie simili: ad es. se un creditore notificasse un pignoramento “presso terzi” per ottenere il trasferimento dei beni dal trustee al debitore, il trustee deve rifiutare perché vincolato dall’atto di trust. In pratica il creditore è costretto ad agire giudizialmente con revocatoria o con azione di simulazione. Come debitore, se vieni citato in un giudizio di revoca del trust, ovviamente difenderai la causa dimostrando che al tempo non c’era frode. Ma in sede esecutiva pura, di solito l’ufficiale giudiziario non potrà toccare i beni in trust perché non intestati a te. Quindi l’opposizione formale potrebbe nemmeno servire se il pignoramento non riesce a individuare il bene come tuo. (Attenzione però: se erroneamente il creditore trascrive pignoramento contro “Trust X” invece che contro il trustee, quell’atto è nullo e può darsi che tu debba poi fare un’azione per cancellare la formalità).
  • Se tentano pignoramento di quota di società semplice o S.r.l.: in tal caso l’esecuzione riguarda la quota. Tu come debitore potrai collaborare per far valorizzare correttamente la quota (spesso il creditore avrà difficoltà a venderla se gli altri soci non vogliono estranei). In una società semplice, se il creditore chiede la liquidazione della tua quota ex art. 2270 c.c., potrai difenderti sostenendo ad esempio che la società ha durata determinata quindi non è consentito. Insomma, l’opposizione è più tecnica sulla procedura.
  • Se un creditore scopre una tua polizza vita e volesse aggredirla: di solito può provare con un atto di pignoramento verso l’assicurazione per “credti del debitore verso terzi”. L’assicurazione dichiarerà che esiste una polizza ma le somme non sono dovute al debitore (se caso morte, niente è dovuto a lui; se ha diritto di riscatto, su quel diritto c’è impignorabilità ex lege). Quindi il giudice dell’esecuzione dovrebbe estinguere la procedura su quell’oggetto. Se per caso il giudice non fosse avveduto, puoi presentare istanza di improcedibilità citando l’art.1923 c.c. e la giurisprudenza che include il valore di riscatto. In extrema ratio, fai opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. invocando l’impignorabilità per legge. È una difesa piuttosto sicura, visto il chiaro tenore normativo.
    In generale, conviene sempre quando si attiva uno strumento protettivo pubblicizzarlo adeguatamente nei registri (se applicabile) e tenere la documentazione ordinata. Così, se arriva un atto di pignoramento, puoi prontamente dimostrare con estratti, atti notarili e sentenze a supporto che quel bene è fuori dalla portata. Spesso, poi, questa opposizione non arriva neanche in tribunale: un creditore informato, sapendo che il bene è in trust o vincolato, potrebbe evitare la spesa di un’esecuzione infruttuosa o cercare un accordo transattivo. Quindi un consiglio pratico: far conoscere (entro certi limiti) ai potenziali creditori la presenza di queste protezioni può scoraggiare l’azione o indirizzarla altrove. Ad esempio, iscrivere il vincolo 2645-ter in conservatoria significa che chi fa visura lo vede e sa a cosa va incontro, stessa cosa un fondo patrimoniale annotato sull’atto di matrimonio. Nel trust, scrivere la trascrizione del conferimento (es. “Tizio trustee of the ABC Trust” in catasto) può far capire a un legale che c’è di mezzo un trust – magari non capirà i dettagli, ma sarà cauto.

D8: In caso di fallimento (o liquidazione coatta) dell’azienda, i beni personali protetti restano tali?
R: Sì, se li hai strutturati fuori dall’impresa, non entreranno nella procedura concorsuale. Ad esempio, se la tua S.r.l. fallisce, il curatore raduna i beni intestati alla società; non può toccare quelli del socio, come la tua casa intestata a te o al tuo fondo patrimoniale (salvo che tu avessi fatto atti di distrazione, ma quella è responsabilità tua eventualmente). Se invece tu persona fisica vieni dichiarato fallito (come imprenditore individuale), il tuo patrimonio fallimentare comprende tutti i beni di tua proprietà al momento (e quelli usciti poco prima possono essere revocati). Dunque se avevi messo la casa in un trust irrevocabile anni prima, non è tua e non entra; se avevi fatto un atto di destinazione opponibile, quell’immobile non dovrebbe essere liquidabile dal curatore (anche se potrebbe contestare l’atto se recente). In procedure concorsuali ci sono state varie vicende: trust pre-fallimentari sono stati a volte ignorati se ritenuti abusivi (es. trust liquidatorio in sostituzione del fallimento – Cass. l’ha annullato). Ma se il trust era familiare e tu fallisci per debiti d’impresa, il curatore comunque potrebbe tentare la revocatoria del trust se istituito negli ultimi 2 anni (in fallimento termini più brevi). Quindi molto dipende da quando hai fatto l’operazione protettiva. Se con adeguato anticipo e causa lecita, regge anche al fallimento. Un fondo patrimoniale costituito dal fallito dopo che già era insolvente in azienda potrebbe essere considerato atto in frode ai creditori e revocato in ambito fallimentare (l’art. 64 L.F. rende revocabili di diritto gli atti gratuiti compiuti 2 anni prima). Ma se fatto da oltre 2 anni e debiti sorti dopo, potrebbe non essere toccato.
In procedura concorsuale, comunque, il giudice fallimentare e il curatore tendono a massimizzare l’attivo: se vedono polizze, trust, vincoli, esaminano con attenzione. Non è raro che il curatore faccia cause di massa: es. azione ex art. 64 L.F. per far dichiarare inefficace un fondo patrimoniale o trust gratuiti compiuti negli ultimi due anni prima del fallimento. Se rientri in quelle fattispecie temporali, l’atto viene revocato automaticamente (non serve provar frode, basta l’atto gratuito e il tempo). Quindi ricorda: la legge fallimentare ha poteri più forti delle revocatorie ordinarie. Pianifica almeno oltre 2 anni prima di eventuali situazioni di insolvenza seria.
Un ultimo scenario: se una società fallisce, e questa società aveva magari beni destinati (patrimoni separati interni) o partecipazioni, sarà il tribunale a decidere. Ad esempio, se c’è un patrimonio destinato ex 2447-bis in SpA fallita, quel patrimonio rimane separato per i suoi creditori e non va a massa (ma sono casi rarissimi in pratica).
Riassumendo: in fallimento personale, ciò che non è intestato al fallito non entra (ma attenzione a revocatorie); in fallimento societario, i beni dei soci (che avevi protetto) non centrano. Spesso è proprio per evitare il fallimento personale che si usa la società di capitali!

D9: Come incide la riforma fiscale 2023-2025 su questi strumenti?
R: La riforma fiscale ha toccato specialmente il trattamento dei trust e vincoli di destinazione ai fini delle imposte indirette (successioni e donazioni), come già dettagliato: dal 2025 in poi c’è maggiore certezza che il trust viene tassato all’uscita (quando i beni vanno ai beneficiari) e non all’entrata, salvo trust fittizi. Questo è un vantaggio chiarificatore: prima c’era incertezza, ora sai che se fai un trust per i figli, non paghi imposta donativa subito. Inoltre, la riforma delega potrebbe in futuro (non ancora attuato) innalzare le aliquote o modificare franchigie su donazioni e successioni – attenzione a questo se il tuo patrimonio è molto elevato: proteggere con trust o strumenti oggi potrebbe metterlo al riparo da possibili aggravi futuri (ma su questo è speculazione). La riforma inoltre distingue in legge i trust interposti: quindi se fai trust farlocchi, sappi che fiscalmente li ignoreranno. In ambito societario, la delega fiscale parla di favorire il passaggio generazionale: potrebbe esserci in arrivo un’estensione delle agevolazioni (oggi esenti certe aziende, domani forse anche immobili di famiglia se messi in certi veicoli? Non si sa ancora). Nulla di stravolgente sul codice civile al momento.
Quanto alle polizze vita, c’è stato intervento della Corte Costituzionale (sent. 28/2022) che ha mantenuto l’impignorabilità e ha chiesto però al legislatore di bilanciare meglio le ragioni dei creditori – ma finora nessuna modifica. Quindi stessi benefici.
In sintesi, la novità principale è: il Fisco ora considera formalmente trust e atti di destinazione nelle successioni, quindi ha predisposto norme ad hoc per tassarli quando c’è arricchimento. Questo non è uno svantaggio per te, è la conferma di legittimità e normalizzazione di questi istituti. Pagherai le tasse dovute ai beneficiari come pagheresti su una donazione diretta, nulla più (anzi eviti doppie imposizioni).

D10: Proteggere il patrimonio è legale? C’è differenza tra protezione e sottrazione fraudolenta ai creditori?
R: Domanda cruciale. Proteggere/prevenire è legittimo; sottrarre quando si è già inseguiti dai creditori può diventare illecito. La linea spesso sta nel tempismo e nella trasparenza:

  • Se tu pianifichi la tutela dei beni quando non hai situazioni debitorie gravi in atto, né intendi defraudare qualcuno, stai esercitando facoltà lecite (costituire un fondo, una società, un trust sono atti previsti dalla legge). Anche se l’effetto è che in futuro i creditori troveranno meno beni, ciò fa parte delle regole del gioco – come un assicurarsi. Si parla allora di asset protection o pianificazione, non di frode. La giurisprudenza afferma che “il debitore può liberamente disporre del suo patrimonio” e solo se c’è dolo di pregiudicare creditori specifici scatta la revocatoria. Quindi usare gli strumenti detti è consigliabile prima e con un fine lecito (protezione familiare, continuità, ecc.).
  • Se invece si agisce dopo che le obbligazioni sono sorte e magari non verranno onorate, per sottrarre attivamente quei beni alla garanzia, si configura la “fraus creditorum” civilistica (frode ai creditori) e i singoli creditori possono far annullare (inefficaci) quegli atti con l’azione revocatoria. Inoltre, se riguarda debiti fiscali sopra soglia, scatta anche il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte punito penalmente. Ad esempio: ho ricevuto una cartella enorme, trasferisco casa a mio figlio per non farla ipotecare – questo è tipico caso di reato ex art.11 D.Lgs.74/2000 se supera 50mila euro, e civilmente la cartella (Agenzia Entrate Riscossione) potrà revocare la donazione.
    C’è quindi differenza tra “Mettere al sicuro” e “Nascondere i beni ai creditori”: sottile ma esistente. Il primo implica agire in bonis, con strumenti legittimi, e accettando le conseguenze (es. se proteggi il bene non avrai facilmente credito usando quel bene come garanzia, ecc.). Il secondo scenario è quando un debitore già insolvente cerca di scappare con il malloppo – questo l’ordinamento lo contrasta fortemente (revocatorie brevi, reati fallimentari, ecc.).
    Dunque la protezione patrimoniale è legale se rientra nei canoni della legge (ad esempio, costituire un trust non è reato di per sé, neanche se sei indebitato: diventa reato solo se provano che l’unico fine era non pagare le imposte e hai superato soglia – e infatti vanno analizzati gli “indizi di artificio e inganno”). Spesso la differenza sta anche nella proporzionalità: se usi un istituto a favore della famiglia e lasci comunque qualche risorsa per i creditori, difficilmente avrai guai penali. Se vendi tutto e spogli completamente il patrimonio, magari intestando a prestanome, e i creditori restano a bocca asciutta, è più probabile un giudice veda profili di dolo.
    In conclusione, fai in modo di poter dimostrare che la tua pianificazione aveva ragioni non meramente elusive: es. “ho creato un fondo per la famiglia quando non c’erano creditori concreti perché volevo tutelare mia moglie e figli” – lecito; “ho messo l’azienda in trust per passaggio generazionale e non per fregare le banche” – dovrà emergere dalle clausole e dal contesto (infatti i trust fraudolenti di solito hanno anomalie evidenti: beneficiari finti, disponente che continua a fare come gli pare, etc.). Se temi di oltrepassare la linea, consulta un legale specializzato prima di muoverti, così da calibrarlo.

D11: Le strategie descritte assicurano al 100% che non perderò i miei beni se accumulo debiti?
R: Occorre essere onesti: un patrimonio “inattaccabile” al 100% esiste solo se non contrai debiti o se i tuoi atti sono così anteriori e ben fatti da rendere quasi impossibile ai creditori qualunque azione. Nella realtà, c’è sempre una percentuale di rischio residuo. Le tecniche sopra mitigano fortemente il rischio, spesso lo riducono al minimo, ma non si può garantire l’assoluto. Esistono casi in cui:

  • Un giudice creativo o determinato potrebbe trovare appigli per rendere aggredibile qualcosa (specie in vicende di divorzi o di obblighi alimentari, i giudici tendono a “bucare” trust e fondi per non lasciare moglie/figli senza mezzi). La legittima difesa patrimoniale non deve scontrarsi con diritti fondamentali di altri.
  • Potresti tu stesso vanificare la protezione per necessità: es. riscatti la polizza per pagare un accordo – in tal caso il bene protetto perde lo scudo. Oppure decidi di prestare garanzie sul bene protetto.
  • Cambi normativi: improbabile che tolgano l’impignorabilità polizze o aboliscano il trust, ma qualcosa potrebbe mutare (specie in materia fiscale, aumentando i costi o riducendo franchigie).
  • Errori formali: se un atto è viziato (es. trust non trascritto, fondo non annotato, ecc.), potresti perdere opponibilità.

Detto ciò, se applichi diligentemente quanto esposto e mantieni un comportamento coerente, avrai fatto tutto il possibile per mettere al sicuro il patrimonio. Sarà estremamente difficile per creditori ordinari colpirti, dovranno rassegnarsi a trattative o a rinunciare. La sicurezza quasi totale si ottiene con la combinazione di più strumenti: ad esempio, potresti avere immobili intestati a una S.s., e in più la quota di S.s. metterla in un trust o vincolo per i figli – doppio livello. Oppure la tua liquidità la tieni parte in polizze vita e parte in fondi pensione – anch’essi impignorabili. Un creditore, per quante ne sappia, non riuscirebbe ad aggredire nulla in tempi utili. Questo è di fatto il concetto di “patrimonio inattaccabile”: compartimentazione + anticipo + legalità.
Insomma, mentre il 100% non esiste, un 99% è raggiungibile – consapevoli che l’1% può dipendere da sfortune o situazioni imprevedibili. L’importante è non confondere questo con l’insolvenza fraudolenta: proteggere il patrimonio non ti autorizza poi a fare debiti a cuor leggero e non pagarli; in tal caso, benché i creditori non trovino beni, potresti avere altre conseguenze (es. un fallimento personale con restrizioni, difficoltà a fare affari futuri, reputazione rovinata). La protezione serve a evitare che un fallimento accidentale o un evento sfortunato ti rovini la vita e la famiglia – non a far sì che tu possa indebitarti irresponsabilmente senza conseguenze.

Conclusioni

Abbiamo esplorato un ventaglio di strumenti giuridici che, se ben utilizzati, permettono di rendere il patrimonio familiare molto più resistente alle aggressioni dei creditori. In conclusione, dal punto di vista di un debitore (attuale o potenziale) che intenda giocare d’anticipo:

  • La prevenzione è essenziale: pianificare oggi, da una posizione di solvibilità, è la chiave di volta. Una volta sopraggiunti guai finanziari, i margini di manovra si riducono drasticamente e ogni atto può essere sospettato di frode.
  • La legalità e trasparenza degli scopi va sempre preservata: gli istituti come trust, fondo, vincoli non sono “trucchi” ma strumenti con finalità riconosciute – familiare, successoria, previdenziale. Usarli rispettando tali finalità garantirà la loro tenuta. L’abuso invece li rende inefficaci o addirittura controproducenti (azioni legali, spese, possibili sanzioni).
  • Ogni strumento ha i suoi pro e contro, e spesso la strategia migliore è combinarne diversi a più livelli. Ad esempio: società per isolare rischio d’impresa, trust o fondo per proteggere la casa, polizze per accumulare risparmi al sicuro, società semplice per gestire il patrimonio ereditato, ecc. Questa stratificazione crea ridondanza protettiva.
  • Il fattore tempo e monitoraggio: il contesto legale e le posizioni personali evolvono. Ciò che è valido oggi va rivisto se subentrano nuovi fattori (matrimoni, nascite, modifiche normative). La protezione patrimoniale non è un atto unico ma un processo continuo di adattamento.

In definitiva, rendere “inattaccabile” il patrimonio familiare è possibile nei limiti in cui l’ordinamento lo consente – ed esso lo consente in molte forme. L’importante è muoversi con consapevolezza e rigore, preferibilmente con l’ausilio di professionisti (notai, avvocati, commercialisti) esperti in diritto patrimoniale. Così, il debitore prudente potrà affrontare le incertezze economiche con una rete di sicurezza legale sotto di sé, assicurando ai propri cari e a sé stesso una tutela patrimoniale avanzata, pur nel rispetto delle leggi e degli eventuali creditori.


Fonti e riferimenti normativi

  • Codice Civile, artt. 167-171 (fondo patrimoniale); art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale universale); art. 2901 c.c. (azione revocatoria ordinaria); art. 2929-bis c.c. (esecuzione su beni oggetto di vincoli o atti gratuiti); art. 2645-ter c.c. (vincolo di destinazione per interessi meritevoli); art. 1923 c.c. (impignorabilità assicurazione sulla vita); art. 2462 c.c. (responsabilità limitata soci S.r.l.); art. 2270 c.c. (creditore particolare del socio).
  • Codice di Procedura Civile, art. 615 (opposizione all’esecuzione), art. 546 (pignoramento crediti verso terzi – dichiarazione del terzo).
  • Legge 16/10/1989 n. 364 – Ratifica Conv. Aja 1985 sui trusts (riconoscimento trust interni).
  • D.Lgs. 10/03/2000 n. 74, art. 11 (reato di sottrazione fraudolenta al pagamento imposte).
  • Codice della Crisi e Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), art. 64 (atti a titolo gratuito revocabili nel fallimento).
  • Cassazione Civile Sez. I, sent. n. 32146 del 12/12/2024 – Fondo patrimoniale e onere della prova: attività d’impresa presumibilmente destinata ai bisogni familiari; onere al debitore di provare estraneità nota al creditore.
  • Cassazione Civ. Sez. V, sent. n. 26496 dell’11/10/2024 – Fondo patrimoniale e debiti tributari: legittima ipoteca di Agenzia Entrate Riscossione su bene in fondo se contribuente non prova estraneità debito fiscale ai bisogni famiglia.
  • Cassazione Civ. Sez. III, sent. n. 28593 del 06/11/2024 – Revocatoria fondo patrimoniale: l’azione revocatoria del fondo rende inefficace il vincolo ai soli fini del creditore istante, non travolge atti di alienazione successivi verso terzi indipendenti.
  • Cassazione Civ. Sez. I, ord. n. 25964 del 31/08/2023 – Trust e revocatoria: confermata possibilità di agire contro atto istitutivo di trust autodichiarato quale atto dispositivo pregiudizievole ex art. 2901.
  • Cassazione Penale Sez. III, sent. n. 13844 del 05/04/2024 – Trust autodichiarato e reato fiscale: trust come negozio simulato ai fini penali se debitore mantiene controllo beni per sottrarli al Fisco (art.11 D.Lgs.74/2000).
  • Cassazione Pen. Sez. III, sent. n. 8259 del 28/02/2025 – Separazione fittizia con trasferimento beni: anche atti di diritto di famiglia (separazione coniugi con trasferimento immobile) sono fraudolenti ex art.11 se fatti per sottrarre beni all’Erario.
  • Cassazione Civ. Sez. Un., sent. n. 8271/2008 – Polizze vita impignorabilità: fondamento previdenziale dell’art.1923 c.c., polizze vita come terzo pilastro previdenza.
  • Cassazione Civ. Sez. III, sent. n. 9418 del 09/04/2024 – Polizze unit-linked: confermata impignorabilità anche di polizze miste con componente finanziaria, in quanto assolvono funzione previdenziale complementare.
  • Cassazione Civ. Sez. III, sent. n. 34075 del 23/12/2024 – Trust e pignoramento: nullo pignoramento trascritto a nome del trust; va trascritto contro il trustee, il trust non ha soggettività giuridica.
  • Cassazione Civ. Sez. I, sent. n. 10105/2014 – Trust liquidatorio nullo: trust istituito dall’imprenditore insolvente per evitare fallimento viola norme imperative concorsuali, nullo ex art.15 Conv. Aja (ordine pubblico).
  • Corte Costituzionale, sent. n. 32/2024 – ribadita legittimità art.1923 c.c. e impignorabilità polizze vita, salvo intervento legislatore (dies a quo questione irrilevante).
  • Decreto Legislativo 29/08/2023 n. 136 e D.Lgs. 139/2024 (Delega Fiscale) – Novità trust e imposta donazione: Modifica TUS n.346/90, art. 1 e introdotto art. 4-bis: trust e vincoli di destinazione tassati solo se e quando producono arricchimenti gratuiti ai beneficiari. Confermata esenzione patti di famiglia e chiarita territorialità trust.

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