Come Rendere Inattaccabile Il Patrimonio Aziendale

Vuoi proteggere il patrimonio della tua azienda da creditori, banche e Fisco?
In un contesto economico incerto, il rischio che debiti o contenziosi possano mettere in pericolo beni aziendali e personali è sempre più alto. Rendere il patrimonio inattaccabile non significa sottrarlo illegalmente ai creditori, ma adottare strumenti giuridici legittimi che ne limitino l’aggressione.

Perché proteggere il patrimonio aziendale
– Per difendere immobili, macchinari e beni strumentali dalle azioni esecutive
– Per evitare che crisi temporanee compromettano definitivamente l’attività
– Per separare il rischio imprenditoriale dal patrimonio personale dell’imprenditore
– Per tutelare la continuità aziendale anche in caso di insolvenza o fallimento

Strumenti per rendere inattaccabile il patrimonio
Costituzione di una società di capitali (S.r.l. o S.p.A.): limita la responsabilità ai conferimenti, separando il patrimonio aziendale da quello personale
Società holding: utile per accorpare e proteggere le partecipazioni, isolando il patrimonio dagli attacchi diretti ai singoli rami d’impresa
Fondo patrimoniale o trust: per destinare beni specifici a fini di famiglia o a finalità particolari, sottraendoli al rischio di aggressione per debiti estranei
Vincoli di destinazione: strumenti giuridici che permettono di separare beni e risorse con scopi specifici
Patrimoni destinati a uno specifico affare: consentono di circoscrivere la responsabilità solo a una parte del patrimonio societario
Piani di ristrutturazione del debito: per ridurre l’esposizione e proteggere i beni più rilevanti da azioni esecutive

Come difendersi da possibili aggressioni
– Monitorare costantemente la situazione debitoria per intervenire prima che scatti un’esecuzione
– Contestare gli atti viziati notificati dall’Agenzia delle Entrate o da altri creditori
– Dimostrare l’impignorabilità dei beni essenziali per l’attività
– Negoziare piani di rientro o transazioni con i creditori per evitare azioni giudiziali
– Adottare strumenti legali di protezione patrimoniale in tempi non sospetti, evitando di agire quando i debiti sono già conclamati

Cosa si può ottenere con una corretta protezione patrimoniale
– La continuità aziendale anche in situazioni di crisi
– La tutela degli asset più importanti da pignoramenti e ipoteche
– La separazione netta tra patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di negoziare con i creditori da una posizione di forza
– La riduzione del rischio di insolvenza irreversibile

Attenzione: proteggere il patrimonio non significa sottrarsi ai debiti. Gli strumenti devono essere adottati in modo preventivo e legittimo: se attivati in presenza di debiti già in corso, possono essere dichiarati inefficaci come atti fraudolenti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in protezione patrimoniale, diritto societario e difesa del contribuente – ti spiega come rendere inattaccabile il patrimonio aziendale e quali strumenti legali adottare per garantirne la sicurezza.

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Introduzione

La protezione del patrimonio di un imprenditore non è un semplice “trucco” per nascondere ricchezze, ma un insieme di strategie giuridiche legittime, da applicare per tempo e con competenza. Negli ultimi anni in Italia, la volatilità economica e l’inefficienza di certe procedure espongono i beni di aziende e famiglie a rischi crescenti. Non è un caso che nel 2024 si sia registrato un aumento del 17,2% dei fallimenti d’impresa e del 31% del contenzioso tributario. In tale contesto, tutelare il patrimonio non è solo prudenza ma una necessità strutturale.

Prima di esaminare gli strumenti disponibili, occorre chiarire un principio fondamentale del diritto italiano: il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri (art. 2740 c.c.). La responsabilità patrimoniale è il punto di partenza inderogabile: ogni soggetto è tenuto a pagare i propri debiti con l’intero patrimonio, salvo limitazioni espressamente previste dalla legge. In altri termini, non esiste una “formula magica” per rendere il patrimonio totalmente immune dalle pretese dei creditori. Esistono però strumenti giuridici tipici, creati per perseguire scopi ritenuti meritevoli di tutela (es. i bisogni della famiglia, la pianificazione successoria, la protezione di soggetti deboli, ecc.), che producono effetti protettivi come beneficio indiretto. Tali istituti – se correttamente usati e istituiti con largo anticipo rispetto a potenziali crisi – possono di fatto rendere più difficile o talora impossibile l’aggressione dei beni da parte di creditori o terzi.

È essenziale sottolineare che l’ordinamento italiano non ammette strumenti volti unicamente a sottrarre il patrimonio ai creditori legittimi. Ogni meccanismo di segregazione patrimoniale dev’essere giustificato da una causa lecita e meritevole di tutela. La legge favorisce i creditori: il principio di cui all’art. 2740 c.c. è rafforzato, ad esempio, dall’art. 2929-bis c.c. (introdotto nel 2015), che consente al creditore munito di titolo esecutivo di espropriare beni che il debitore abbia donato o vincolato in trust/fondo patrimoniale entro un anno dalla loro trascrizione, senza neppure dover prima ottenere la revoca di quegli atti. Ciò significa che, ad esempio, trasferire all’ultimo momento un immobile ai figli o in un trust non impedirà al creditore di aggredirlo: se l’atto è recente, il creditore potrà procedere direttamente al pignoramento. Anche oltre tale termine annuale, rimane sempre esperibile l’ordinaria azione revocatoria (art. 2901 c.c.), entro cinque anni dall’atto dispositivo, per far dichiarare inefficaci verso il creditore gli atti compiuti in suo pregiudizio.

In sintesi, la tutela del patrimonio deve essere pianificata in bonis, quando ancora non vi sono crediti insoddisfatti né procedure incombenti. “Agire per tempo” è la regola d’oro: attivare per tempo strumenti come fondi patrimoniali, trust, polizze vita, holding, patti successori, etc., in un quadro coordinato, può fare la differenza nel momento del bisogno. Se invece si tenta di correre ai ripari quando i debiti sono già sorti o – peggio – quando è in atto un’azione esecutiva o concorsuale, gli strumenti potranno essere vanificati da revocatorie, sequestri, istanze di fallimento e perfino sanzioni penali (si pensi al reato di bancarotta fraudolenta in caso di atti dispositivi a danno della massa dei creditori).

Nelle sezioni seguenti esamineremo:

  • Le forme giuridiche d’impresa e come incidono sulla separazione tra patrimonio aziendale e personale.
  • Gli strumenti di segregazione patrimoniale disponibili (trust, fondo patrimoniale, vincoli di destinazione, polizze assicurative, intestazione fiduciaria, ecc.), con riferimenti normativi e ultime sentenze.
  • Le strategie societarie e operative per proteggere attivi (holding, società semplici, patti parasociali, spin-off immobiliari, patto di famiglia, trasferimento a estero, ecc.).
  • Le prassi da evitare che possono compromettere la protezione (es. fideiussioni personali, commistione di beni societari e personali, condotte di mala gestio).
  • Esempi pratici, domande frequenti e risposte, per calare la teoria in situazioni concrete.
  • Tabelle riepilogative per un colpo d’occhio su responsabilità nelle varie forme societarie e sul confronto tra strumenti di tutela patrimoniale.

Passiamo dunque in rassegna i vari aspetti, tenendo a mente che l’obiettivo è rendere il patrimonio “inattaccabile” – per quanto possibile – senza violare la legge, bensì sfruttando le opportunità che essa offre, bilanciando prudenza ed efficacia.

Forme giuridiche d’impresa e responsabilità patrimoniale

Il primo fattore da considerare nella protezione dei beni è la forma giuridica con cui si esercita l’attività economica. La scelta del veicolo societario o meno incide profondamente sull’autonomia del patrimonio aziendale rispetto a quello personale dell’imprenditore. Di seguito esaminiamo le principali forme previste dal diritto italiano, con i relativi profili di responsabilità verso i creditori.

Ditte individuali e imprese individuali

L’impresa individuale (commerciante, artigiano, libero professionista in forma non associata, ecc.) non ha una personalità giuridica distinta dall’imprenditore stesso. Ne consegue che non esiste separazione tra patrimonio dell’azienda e quello personale: l’imprenditore risponde di tutti i debiti d’impresa con tutti i suoi beni, presenti e futuri, senza limitazioni (principio di responsabilità illimitata ex art. 2740 c.c.). Se, ad esempio, un artigiano con ditta individuale contrae un debito commerciale o fiscale, la sua casa, i suoi risparmi e ogni altro bene personale possono essere pignorati dai creditori in caso di insolvenza, anche se tali beni non sono direttamente utilizzati nell’attività.

Vantaggi: la gestione è semplice e non vi sono i costi e adempimenti di una società; tuttavia, dal punto di vista patrimoniale la ditta individuale è la forma più rischiosa, perché il patrimonio aziendale e personale coincidono. In caso di fallimento dell’imprenditore (se supera le soglie di fallibilità previste dalla legge), tutto il suo patrimonio entra nel fallimento.

Strumenti protettivi per l’imprenditore individuale: a parte scegliere una forma societaria diversa (vedi oltre), l’imprenditore può solo ricorrere agli istituti di segregazione patrimoniale esterni all’impresa, come ad esempio:

  • Fondo patrimoniale: se coniugato, può vincolare beni ai bisogni familiari (si veda infra). Tuttavia, come vedremo, la protezione è limitata e non copre debiti d’impresa contratti per scopi ritenuti familiari.
  • Assicurazione sulla vita: investire liquidità in polizze vita (non in danno ai creditori) può mettere tali somme al riparo da esecuzioni (ex art. 1923 c.c., le somme dovute dall’assicuratore al beneficiario non sono pignorabili).
  • Trust o vincoli di destinazione: trasferire alcuni beni (es. immobili) in un trust o in un atto di destinazione per finalità meritevoli può segregarli dal resto del patrimonio (ma attenzione alle azioni revocatorie se i creditori esistono già).
  • Intestazione a terzi di fiducia: alcuni imprenditori trasferiscono beni personali a fiduciari (es. società fiduciarie o familiari stretti) per sottrarli alle proprie vicende aziendali. Questa pratica, se fatta senza adeguata pianificazione, espone però a rischi di revocatoria e, in caso di coniugi o parenti, può configurare atti in frode.

Va menzionato che, per tutelare l’abitazione principale dell’imprenditore individuale, l’ordinamento non prevede un esonero generale dal pignoramento (come avviene in altri Paesi con le homestead exemption). Solo in procedure di sovraindebitamento (riservate al debitore civile non fallibile) la legge 3/2012 ha introdotto qualche margine per salvaguardare la prima casa, ma nell’esecuzione individuale ordinaria la casa dell’imprenditore può essere pignorata e venduta salvo che sia già vincolata in un fondo patrimoniale o in altro strumento idoneo prima che i debiti sorgano.

Simulazione pratica: Marco è un commerciante in proprio e ha alcuni macchinari e un furgone intestati a lui, oltre alla casa di abitazione. A causa di un calo di affari, accumula debiti verso fornitori e banca. Non avendo costituito alcuna struttura societaria né vincoli particolari, i creditori ottengono decreti ingiuntivi e aggrediscono direttamente i suoi beni: pignorano il furgone e i macchinari, e iscrivono ipoteca sulla casa. Marco rischia di perdere tutto. Se invece avesse condotto l’attività tramite una società (es. una S.r.l.), in assenza di garanzie personali i creditori commerciali non avrebbero potuto toccare la sua casa (ferme restando le eccezioni viste, ad esempio se avesse dato fideiussioni).

Società di persone (S.n.c., S.a.s., Società semplice)

Le società di persone (disciplinate dal codice civile) rappresentano forme intermedie: la società è un soggetto di diritto distinto dai soci, ma l’autonomia patrimoniale è “imperfetta”. Ciò significa che in alcune condizioni i creditori possono comunque rivalersi sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili.

  • S.n.c. (Società in nome collettivo): tutti i soci sono illimitatamente e solidalmente responsabili per i debiti sociali (art. 2291 c.c.). Tuttavia vige il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale: i creditori della società devono prima aggredire i beni della società e, solo se questi risultano insufficienti, possono richiedere ai soci il pagamento del residuo. In pratica, la responsabilità personale dei soci è sussidiaria rispetto a quella della società, ma una volta escusso (escusso = escutere) il patrimonio sociale, i soci rispondono con tutti i propri beni. È importante notare che la responsabilità è solidale: il creditore può chiedere l’intero importo a uno qualsiasi dei soci, il quale poi avrà diritto di regresso sugli altri per la loro parte.
  • S.a.s. (Società in accomandita semplice): esistono due categorie di soci: gli accomandatari (che hanno amministrazione e sono illimitatamente responsabili, proprio come i soci di S.n.c.) e gli accomandanti (che non possono amministrare, rischiano solo il capitale conferito, e godono di responsabilità limitata per le obbligazioni sociali). Attenzione: se un socio accomandante ingerisce nell’amministrazione compiendo atti gestori verso i terzi, perde la limitazione di responsabilità e risponde illimitatamente (art. 2320 c.c.). Dunque, nelle S.a.s. almeno un soggetto (accomandatario) ha patrimonio personale esposto ai creditori sociali, mentre gli accomandanti – se rispettano i limiti del loro ruolo – vedono protetto il proprio patrimonio personale oltre la quota conferita. Bisogna però considerare che le S.a.s. sono meno usate per asset protection perché l’accomandatario di solito è l’imprenditore principale stesso, il quale rimane con responsabilità illimitata.
  • Società semplice: è una forma societaria priva di scopo commerciale (può svolgere solo attività economiche non commerciali, tipicamente gestione di patrimoni immobiliari o partecipazioni). Non è soggetta a fallimento e ha regole più flessibili. Quanto a responsabilità, di base è simile alla S.n.c.: i soci rispondono illimitatamente, salvo patto contrario interno (che però non ha effetto sui terzi creditori). Particolarità interessante ai fini protettivi: le quote di partecipazione in una società semplice non sono liberamente trasferibili né pignorabili da creditori personali dei soci senza consenso degli altri soci. Il creditore particolare del socio, se il socio non ha altri beni, può al più chiedere la liquidazione della quota del socio debitore (art. 2270 c.c.), ma non può far vendere forzosamente la quota a terzi estranei. Questa caratteristica, unita alla mancanza di obbligo di bilancio pubblico, ha reso la società semplice uno strumento di “cassaforte familiare”: ad esempio, si crea una società semplice tra parenti per mettervi immobili e partecipazioni, così se uno dei soci ha debiti personali, i suoi creditori non possono pignorare direttamente i beni sociali né inserire estranei in società. La società semplice ben si presta dunque come holding non commerciale, offrendo una discreta protezione indiretta (protezione per i soci: i beni restano della società e le quote non sono aggredibili facilmente; protezione per la società: non essendo impresa commerciale, di regola non contrae molti debiti e comunque non fallisce).

Vantaggi delle società di persone: struttura giuridica semplice, costi ridotti, tassazione per trasparenza (pro e contro), e in certe forme (società semplice) possibilità di mantenere riservato il patrimonio. Svantaggi: almeno un soggetto rimane con responsabilità illimitata e, quindi, il patrimonio personale di tale soggetto non è affatto inattaccabile. In caso di debiti sociali rilevanti, i soci (illimitatamente responsabili) rischiano i propri beni come in una ditta individuale. Anche i soci accomandanti o limitatamente responsabili potrebbero subire pregiudizio indiretto: ad esempio, il patrimonio sociale può essere aggredito lasciando la società senza attivi e, di riflesso, impoverendo il valore della quota del socio accomandante.

Simulazione pratica: Lucia e Giovanni sono soci di una S.n.c. che gestisce un ristorante. A causa di un contenzioso, la società viene condannata a pagare 100.000€. Il ristorante ha pochi beni intestati (qualche attrezzatura); i creditori escutono questi beni ma restano 80.000€ insoddisfatti. A questo punto possono agire su Lucia e Giovanni personali: pignorano l’auto di Lucia e il conto corrente di Giovanni. Se Lucia o Giovanni non avessero altri beni, i creditori potrebbero persino chiedere il fallimento personale di entrambi (essendo soci illimitatamente responsabili falliscono con la società). Se invece Lucia e Giovanni avessero operato tramite una S.r.l., nessuno dei due sarebbe automaticamente responsabile con il proprio patrimonio (salvo garanzie personali). Tuttavia, come vedremo, neanche la S.r.l. offre protezione assoluta se gli amministratori commettono irregolarità.

Società di capitali (S.r.l., S.p.A. e affini)

Le società di capitali (Società a responsabilità limitata – S.r.l., Società per azioni – S.p.A., Società in accomandita per azioni – S.a.p.a.) sono dotate di piena autonomia patrimoniale “perfetta”. Il patrimonio sociale è totalmente distinto da quello dei soci e degli amministratori. Ne consegue la regola generale: per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio (art. 2462 c.c. per la S.r.l.; art. 2325 c.c. per la S.p.A.). I creditori della società non possono aggredire i beni personali dei soci o degli organi sociali, e viceversa i creditori personali di un socio non possono pretendere il soddisfacimento sul patrimonio della società (possono al più pignorare o sequestrare le quote/azioni del socio debitore, con i limiti previsti per la loro circolazione).

Questa separazione netta rende la S.r.l. o S.p.A. la scelta elettiva per limitare il rischio patrimoniale personale dell’imprenditore. In caso di insolvenza o fallimento della società, il socio perde al massimo il capitale investito (le sue quote/azioni possono azzerarsi di valore), ma i suoi ulteriori beni restano di regola al riparo. Ecco perché uno step fondamentale per rendere inattaccabile il patrimonio personale è spesso operare tramite società di capitali anziché come persona fisica.

Tuttavia, è cruciale comprendere che la responsabilità limitata non è assoluta né garantita in ogni scenario. Vi sono eccezioni legali e rischi pratici che possono vanificare la barriera societaria. Ecco i principali casi in cui soci o amministratori di una società di capitali rispondono con il proprio patrimonio nonostante il velo societario:

  • Soci che rilasciano garanzie personali (fideiussioni, avalli): Questo non dipende dalla legge ma da prassi bancaria/contrattuale. Molti istituti di credito, fornitori o locatori chiedono ai soci (soprattutto se di maggioranza) o agli amministratori di firmare garanzie personali a fronte delle obbligazioni assunte dalla società neonata o di piccole dimensioni. Se un socio/amministratore firma una fideiussione per i debiti sociali, egli stesso diviene obbligato verso il creditore con tutti i suoi beni. Ad esempio, se una S.r.l. ottiene un prestito bancario garantito da fideiussione personale del socio, in caso di insolvenza della società la banca potrà escutere direttamente il socio garante, aggredendo i suoi beni (casa, conto corrente, etc.). La presenza di garanzie personali vanifica di fatto la protezione offerta dalla forma societaria: è un aspetto da negoziare con attenzione nei rapporti con i creditori contrattuali.
  • Responsabilità “sanzionatoria” del socio unico di S.r.l.: La legge prevede che, se una S.r.l. ha un unico socio, costui diviene illimitatamente responsabile per i debiti sociali contratti nel periodo in cui la partecipazione unipersonale non è stata regolarmente pubblicizzata nel Registro Imprese (art. 2462, comma 2 c.c.). Inoltre, sempre il socio unico risponde illimitatamente se non è stato interamente versato il capitale sociale (almeno fino a concorrenza della parte non versata). Queste norme mirano a tutelare i terzi: se c’è un unico proprietario, occorre dare massima trasparenza e solidità (versando il capitale) – pena la perdita del beneficio della responsabilità limitata. Ad esempio, Tizio costituisce una S.r.l. unipersonale ma non deposita presso il Registro Imprese la dichiarazione di socio unico e, magari, versa solo il 25% del capitale. Se la società fallisce, i creditori sociali potranno pretendere soddisfazione anche da Tizio personalmente per i debiti contratti nel periodo di inattuazione degli obblighi (pubblicità e versamento). Questa è una responsabilità legale automatica a carattere sanzionatorio.
  • Cattiva gestione societaria e violazione dei doveri degli amministratori: Gli amministratori di S.r.l./S.p.A. non rispondono normalmente dei debiti sociali, ma possono rispondere direttamente verso i creditori sociali se con la loro mala gestio hanno provocato una insufficienza patrimoniale della società (ossia hanno violato obblighi di conservazione del patrimonio sociale arrecando danno ai creditori). In particolare, l’art. 2476 comma 6 c.c. (per S.r.l.) e l’art. 2394 c.c. (per S.p.A.) riconoscono ai creditori sociali un’azione di responsabilità verso gli amministratori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfarli, e ciò a causa dell’inosservanza dei doveri imposti agli amministratori (ad es. non aver impedito il compimento di operazioni imprudenti, aver aggravato il dissesto, ecc.). La giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I n. 13465/2010) ha chiarito che i creditori possono agire in responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.) contro gli amministratori colpevoli di atti di gestione dolosi o gravemente negligenti lesivi del loro diritto alla conservazione della garanzia patrimoniale. Esempi tipici: continuare ad aggravare l’esposizione della società invece di liquidarla, distrarre attivi a beneficio di alcuni, falsificare bilanci portando la società al tracollo. In tali casi, il tribunale può condannare l’amministratore a risarcire i creditori, e il risarcimento sarà prelevabile dal suo patrimonio personale. Inoltre, in sede fallimentare, il curatore può esercitare cumulativamente sia l’azione sociale sia quella dei creditori contro gli ex amministratori (art. 146 l.f. e art. 2394 c.c.), con conseguente condanna di questi a coprire il deficit fallimentare con beni propri. Dunque, amministrare scorrettamente una società di capitali può portare a perdere il beneficio della schermatura patrimoniale.
  • Violazioni fiscali e contributive gravi: Alcune normative speciali attribuiscono responsabilità personale agli amministratori per certe obbligazioni verso l’erario o enti previdenziali. Ad esempio, l’amministratore che omette il versamento di ritenute o IVA commette reato e può essere civilmente obbligato al pagamento delle relative somme e sanzioni. La Cassazione ha affermato che, se l’amministratore presenta dichiarazioni fiscali fraudolente o bilanci falsi causando indebiti risparmi d’imposta poi contestati, egli risponde in solido con la società delle sanzioni pecuniarie tributarie. In generale, l’Erario (Agenzia Entrate o Agenzia Riscossione) in caso di mancato versamento di imposte può tentare di dimostrare l’abuso della personalità giuridica (es: società schermo usata per non pagare) o invocare la responsabilità per mancata adozione dei provvedimenti di liquidazione (collegata agli artt. 2485-2486 c.c., v. oltre) per agire sul patrimonio dell’amministratore. Va ricordato che se l’amministratore non versa IVA o contributi, può subire sanzioni personali e misure cautelari sui propri beni (es. il sequestro per equivalente in sede penale o misure cautelari tributarie). Dunque, anche sul fronte pubblico, comportamenti omissivi possono tradursi in aggredibilità personale.
  • Violazione degli obblighi nella “crisi” dell’impresa: Gli amministratori hanno l’obbligo di preservare l’integrità del patrimonio sociale e, in caso di perdita rilevante o causa di scioglimento, devono attivarsi (convocare assemblea, liquidare o ricapitalizzare, art. 2485-2486 c.c.). Se continuano l’attività aggravando il dissesto, rispondono dei nuovi debiti contratti in quell’abuso di continuazione. Il Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) ha accentuato questi doveri: la tardiva emersione della crisi e il mancato rispetto degli obblighi di gestione conservativa dopo una causa di scioglimento possono generare responsabilità personali notevoli. Esempio: se la società azzera il capitale (perdite oltre il limite di legge) e l’amministratore non convoca i soci per gli opportuni provvedimenti, proseguendo l’attività e facendo nuovi debiti, egli ne risponde personalmente verso i creditori per la quota di aggravio. Anche qui, in sede fallimentare, tali condotte sono oggetto di azione di responsabilità per danno.
  • “Commistione” di patrimoni e abuso della forma societaria: In situazioni estreme, quando la distinzione tra società e persona fisica è un puro artificio (ad es. l’amministratore tratta i beni sociali come propri, usa la cassa aziendale per spese personali, non tiene contabilità distinta, ecc.), i giudici possono “disapplicare” la schermatura societaria ravvisando un abuso di diritto. La cosiddetta piercing the corporate veil (termine anglosassone) non è codificata espressamente nel nostro ordinamento, ma pronunce giurisprudenziali hanno di fatto attribuito debiti della società alla persona fisica quando quest’ultima ha completamente sovrapposto i patrimoni, perpetrando una frode ai creditori. Ad esempio, se l’amministratore unico di una S.r.l. paga sistematicamente le proprie spese personali con i conti societari, o intesta alla società beni che però usa solo lui, in caso di insolvenza il tribunale potrebbe ritenere la società un mero schermo e consentire ai creditori di aggredire i beni di fatto riferibili all’imprenditore. Un segnale di allarme è proprio la confusione di patrimoni: l’uso promiscuo dei conti correnti e degli asset può portare a contestare che la società sia solo un alter ego del debitore. Pertanto, un comportamento da evitare assolutamente se si vuole mantenere il beneficio della responsabilità limitata è quello di mescolare finanze personali e aziendali: occorre sempre tenere distinte le sfere e documentare adeguatamente ogni movimento.
  • Altri casi particolari: in associazioni non riconosciute, i legali rappresentanti rispondono solidalmente (art. 38 c.c.); nelle cooperative, eventuali prestiti da soci possono avere garanzie limitate; nella S.a.p.a., i soci accomandatari sono assimilabili agli amministratori di S.n.c. per responsabilità. Inoltre, liquidatori di società di capitali possono essere responsabili verso creditori se, ad esempio, ripartiscono attivo tra soci lasciando debiti (art. 2495 c.c. e responsabilità ex art. 2489 c.c.). Anche i sindaci e revisori possono incorrere in responsabilità risarcitorie se per loro negligenza i creditori subiscono pregiudizio (ad es. per mancata vigilanza su frodi).

Riassumendo per le società di capitali: in condizioni normali il patrimonio personale dei soci (e degli amministratori) è protetto dai debiti sociali. Tuttavia, tale protezione funziona solo finché si rispettano le regole e non si assumono indebiti rischi personali. L’uso corretto della forma societaria implica:

  • Capitale sociale versato e adeguato,
  • Osservanza degli obblighi di legge (fiscali, contabili, di governance),
  • Nessuna distrazione di beni o confusione di conti,
  • Gestione prudente, specialmente in prossimità di insolvenza,
  • Evitare di prestare garanzie personali se non strettamente necessario (o cercare di limitarle nel tempo/importo),
  • Documentare sempre che le operazioni societarie sono nell’interesse della società (evitando conflitti d’interessi non gestiti).

Simulazione pratica: Giuseppe opera tramite una S.r.l. di cui è amministratore unico e socio al 100%. La società, indebitata, non paga l’IVA per un anno e accumula debiti con fornitori. Giuseppe, per sostenere la società, paga fornitori selezionati e sposta incassi su un altro conto. La società fallisce. In sede penale Giuseppe viene accusato di omesso versamento IVA (reato) e in sede civile il curatore lo cita per aver pagato alcuni creditori a scapito di altri (violazione par condicio) e per non aver tempestivamente fermato l’attività. Inoltre la banca escute Giuseppe come fideiussore su un mutuo aziendale. Risultato: nonostante la S.r.l., Giuseppe si trova con un sequestro sul suo conto personale per l’IVA evasa e una condanna a risarcire diversi crediti sociali. La casa di Giuseppe viene ipotecata dalla banca per la fideiussione. Questo scenario mostra che la S.r.l. offre uno schermo che però cade in caso di condotte illegali o imprudenti. Al contrario, se Giuseppe avesse gestito correttamente la crisi (procedendo a liquidare la società appena emerse l’insolvibilità, senza aggravare i debiti, e senza prestare garanzie personali), il suo patrimonio personale sarebbe rimasto probabilmente intatto: la S.r.l. sarebbe fallita lasciando insoddisfatti dei crediti, ma i creditori non avrebbero potuto aggredire i beni di Giuseppe.

Tabella 1 – Forme d’impresa e rischio patrimoniale per l’imprenditore

Forma giuridicaAutonomia patrimonialeResponsabilità per debiti d’impresaFallibilità
Ditta individualeNessuna separazioneIllimitata: il titolare risponde con tutti i beni personali (art. 2740 c.c.)Sì, se imprenditore commerciale (soggetto a fallimento se supera soglie)
Società semplice (non commerciale)Autonomia imperfetta (no fallimento)Illimitata per tutti i soci (salvo patto interno). Quote non pignorabili da creditori personali (solo liquidazione quota).No (non fallibile per legge)
S.n.c. (nome collettivo)Autonomia imperfettaIllimitata e solidale per tutti i soci, con preventiva escussione beni sociali.Sì (fallisce la società; soci falliscono ipso iure se illimitatamente responsabili)
S.a.s. (accomandita semplice)Autonomia imperfettaIllimitata per soci accomandatari; limitata al conferimento per accomandanti (purché non amministrino).Sì (fallisce la società; accomandatari falliscono ipso iure)
S.r.l. (resp. limitata)Autonomia perfettaLimitata al patrimonio sociale per i soci (art. 2462 c.c.). Eccezioni: socio unico (se difetto pubblicità/capitale) illimitatamente responsabile; obblighi versamento capitale; possibili azioni dirette contro amministratori (mala gestio).Sì (fallisce solo la società; soci non falliscono, amministratori possono fallire solo se soci illimitatamente resp. in altra società)
S.p.A. (azioni)Autonomia perfettaLimitata al patrimonio sociale per gli azionisti (art. 2325 c.c.). Eccezioni analoghe a S.r.l. per mala gestio (azione ex art. 2394 c.c.); soci accomandatari nella S.a.p.a illimitati.Sì (fallisce la società; azionisti no, salvo accomandatari S.a.p.a.)

(Legenda: “falliscono ipso iure” significa che la sentenza dichiarativa di fallimento della società estende il fallimento anche ai soci illimitatamente responsabili, ex art. 147 l.f.)

Strumenti di segregazione e tutela patrimoniale (trust, fondi, polizze, vincoli…)

Esaminate le basi della responsabilità, passiamo agli strumenti giuridici specifici che consentono di separare determinati beni dal restante patrimonio, con lo scopo di proteggerli dalle vicende debitorie dell’imprenditore (o comunque di chi li ha costituiti). È importante ribadire che in Italia tali strumenti non sono concepiti per “salvare il debitore dai suoi creditori” in senso assoluto, ma per perseguire finalità particolari (familiari, successorie, assistenziali, ecc.) che indirettamente comportano una segregazione patrimoniale. Se usati correttamente – ossia in anticipo e non per frodare creditori esistenti – possono comunque rendere quel patrimonio non attaccabile dai creditori personali del disponente. Di seguito analizziamo i principali istituti: fondo patrimoniale, vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., trust, mandato fiduciario e polizze assicurative vita. Ne vedremo il funzionamento, i limiti e l’evoluzione giurisprudenziale recente.

Fondo patrimoniale (artt. 167–171 c.c.)

Il fondo patrimoniale è stato a lungo uno strumento cardine per proteggere i beni della famiglia legittima (coniugata). Introdotto nel codice civile del 1942, consente ai coniugi (o a un terzo per loro) di destinare determinati beni – tipicamente immobili, titoli o altri cespiti – a far fronte ai bisogni della famiglia. Si tratta di un vincolo su un insieme di beni: il fondo patrimoniale crea un patrimonio separato dal resto dei beni dei coniugi, con una propria destinazione d’uso vincolata ai bisogni familiari. I redditi (frutti) dei beni del fondo dovrebbero anch’essi essere destinati alla famiglia.

Chi può istituirlo: esclusivamente coniugi (uniti in matrimonio). Non è ammesso per coppie di fatto, né formalmente per un singolo celibe/nubile (sebbene esista un analogo strumento per single: il vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., di cui diremo). Con la legge sulle unioni civili, si ritiene applicabile anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Come si costituisce: mediante atto pubblico notarile (anche durante il matrimonio) oppure per testamento. Va annotato a margine dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile per essere opponibile ai terzi. Se riguarda immobili o altri beni registrati, l’atto va trascritto nei pubblici registri (Conservatoria immobiliare, PRA, ecc.). Possono conferirsi beni immobili, mobili registrati o titoli di credito (questi ultimi con specifiche formalità, art. 167 c.c.).

Effetti: i beni conferiti nel fondo diventano gravati da un vincolo di destinazione: possono essere utilizzati solo per soddisfare i bisogni della famiglia. Agli effetti pratici sul piano delle aggressioni dei creditori:

  • Art. 170 c.c. stabilisce che l’esecuzione forzata sui beni del fondo (e sui loro frutti) non può aver luogo per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Questo è il cuore protettivo del fondo: se un debito non è per bisogni familiari e il creditore ne era a conoscenza, allora i beni del fondo non possono essere pignorati per soddisfarlo.
  • Di converso, se il debito è contratto per bisogni familiari, i beni del fondo possono essere pignorati a garanzia di quel debito come se il fondo non ci fosse (sono “aggredibili solo per debiti derivanti da obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia”).
  • Esempio: bollette di casa, spese per istruzione figli, un finanziamento per l’auto familiare – sono debiti per bisogni della famiglia, quindi i creditori relativi possono pignorare anche beni nel fondo. Un debito per investimento speculativo in borsa, invece, è estraneo ai bisogni familiari: se la banca tenta di escutere i beni del fondo per il saldo negativo del conto trading, i coniugi possono opporsi ex art. 170 c.c. (provando che la banca sapeva la finalità non familiare).

Problema interpretativo: cosa rientra nei “bisogni della famiglia”? La nozione è stata oggetto di evoluzione giurisprudenziale. Tradizionalmente, i bisogni della famiglia erano intesi in senso ampio, comprendendo non solo le necessità essenziali, ma anche tutto ciò che serve a mantenere e far prosperare la famiglia in relazione al tenore di vita, includendo l’armonico sviluppo anche economico del nucleo. Sono esclusi solo gli scopi voluttuari o strettamente speculativi. Ad esempio, i debiti contratti per finanziare l’impresa familiare o la professione di uno dei coniugi sono stati a lungo considerati non automaticamente estranei ai bisogni familiari, in quanto i redditi di quell’attività servono al mantenimento della famiglia.

Tuttavia, negli ultimi anni la Cassazione ha oscillato su questo punto, cercando di bilanciare la tutela della famiglia con il principio che il fondo non deve diventare uno schermo per attività d’impresa. Un importante arresto è l’Ordinanza Cass. n. 2904 dell’8 febbraio 2021, la quale ha affermato che di norma i debiti contratti nell’ambito dell’attività professionale o imprenditoriale dei coniugi si presumono estranei ai bisogni familiari. La finalità di soddisfare bisogni della famiglia non può dirsi sussistente solo perché il debito è sorto nell’esercizio dell’impresa. In altre parole, la Cassazione 2021 ha escluso una connessione automatica: se marito o moglie fanno un debito per la loro azienda individuale, in linea di principio quel debito è fuori dall’orbita familiare e quindi il fondo offre protezione. Il creditore non potrà pignorare i beni del fondo, a meno che provi che in concreto quel debito d’impresa era destinato immediatamente al soddisfacimento di esigenze familiari (onere probatorio a carico del creditore). Contestualmente, però, resta a carico del debitore-coniuge l’onere di provare (in caso di opposizione all’esecuzione) che il debito aveva scopo estraneo alla famiglia e che il creditore ne era consapevole.

Questa pronuncia del 2021 sembrava molto favorevole alla protezione offerta dal fondo patrimoniale per debiti d’impresa/professionali. Di fatto molti commentatori l’hanno letta così: “i beni conferiti in fondo patrimoniale non sono automaticamente pignorabili per debiti dell’attività lavorativa, perché questi di regola non sono contratti per i bisogni della famiglia”.

Tuttavia, la più recente Cassazione, sentenza n. 32146 del 12 dicembre 2024 (Sez. III civ.) ha segnato un revirement restrittivo. In un caso di mutuo bancario contratto da un imprenditore edile e garantito da ipoteca su beni in fondo patrimoniale, la Suprema Corte ha ribaltato la decisione di merito che aveva dato ragione al debitore. La Cassazione 2024 ha sancito che:

  • Non basta la natura imprenditoriale del debito per escludere l’assoggettabilità dei beni del fondo. L’inerenza ai bisogni familiari non dipende semplicemente dal tipo di attività (es. impresa), ma va valutata in concreto la finalità del debito.
  • Grava sul debitore che eccepisce la impignorabilità ex art. 170 c.c. l’onere di provare che il debito è estraneo ai bisogni familiari e che il creditore ne era consapevole. Questa prova non è automatica neppure se il debito nasce nell’attività d’impresa; anzi, la Corte afferma che il fatto che il debito sia sorto in ambito imprenditoriale non esonera affatto il debitore dall’onere della prova, ma semmai porta a presumere il contrario (ovvero che quell’attività d’impresa fornisce mezzi di sostentamento alla famiglia).
  • Si deve presumere che i proventi dell’attività di ciascun coniuge siano ordinariamente destinati alla famiglia; pertanto, contrarre debiti per l’attività lavorativa è, di regola, finalizzato anche (indirettamente) ai bisogni familiari, a meno che non si dimostri il contrario in quello specifico caso. La Corte richiama i doveri familiari di contribuzione ex art. 143 c.c. e il principio costituzionale di solidarietà familiare (artt. 29 Cost.) per sottolineare che la famiglia ha diritto di godere dei frutti dell’attività lavorativa dei coniugi.
  • Principio di diritto enunciato (Cass. 32146/2024): il debitore che vuole sottrarre i beni del fondo all’esecuzione deve dimostrare che il creditore era consapevole dell’estraneità del debito ai bisogni familiari (intesi in senso ampio: non solo mantenimento, ma anche benessere economico, sviluppo attività lavorativa dei membri, ecc.), anche se il debito è sorto nell’attività imprenditoriale o professionale del coniuge.

In sostanza, la Cassazione 2024 ha ridimensionato la portata protettiva del fondo per debiti d’impresa: non c’è più la presunzione pro debitore affermata nel 2021, bensì una presunzione inversa pro creditori (i redditi d’impresa servono alla famiglia, quindi salvo prova contraria i relativi debiti sono per bisogni familiari). D’ora in avanti, chi oppone il fondo patrimoniale a un creditore dovrà fornire solide prove che quel debito era estraneo e che il creditore lo sapeva (esempio di prova: la banca erogante un mutuo sapeva che i soldi andavano a finanziare un’operazione speculativa personale, fuori dall’interesse familiare).

Ulteriori limiti del fondo patrimoniale:

  • Se il matrimonio si scioglie (per divorzio o morte di uno dei coniugi, o annullamento), il fondo patrimoniale si estingue, salvo che vi siano figli minori: in tal caso dura finché il minore più giovane diventi maggiorenne (art. 171 c.c.). Dunque il fondo è tipicamente temporaneo, legato alla durata della famiglia nucleare.
  • Non si può costituire un fondo dopo il matrimonio se ci sono già procedimenti esecutivi in corso o un fallimento: l’atto potrebbe essere revocato come atto in frode ai creditori. Anzi, ex art. 2929-bis c.c., se un fondo viene costituito e un creditore ha già un titolo esecutivo, entro 1 anno può saltare la revocatoria e pignorare direttamente i beni conferiti.
  • Anche se fatto prima, un creditore pregresso (il cui credito esisteva già) può agire in revocatoria ordinaria entro 5 anni dalla costituzione del fondo, sostenendo che l’atto ha diminuito la garanzia patrimoniale arrecando pregiudizio. La giurisprudenza considera l’atto di costituzione del fondo patrimoniale un atto a titolo gratuito (quanto meno per la quota eccedente eventuali obblighi alimentari) – quindi il creditore anteriore può ottenerne la revoca senza dover provare la partecipazione di terzi o la malafede (basta dimostrare il pregiudizio e la scientia damni del debitore). Ad esempio, Cass. n. 21497/2013 ha statuito che la costituzione del fondo patrimoniale è revocabile se il debitore era già tale e sussisteva per lui la consapevolezza del danno alle ragioni creditorie.
  • In ambito fallimentare, se un imprenditore fallisce, i beni del suo fondo patrimoniale conferito con atto nei due anni anteriori possono essere dichiarati inefficaci ex art. 64 l.f. (come atti a titolo gratuito) e tornare nella massa fallimentare. Inoltre, il trustee o fiduciario che li detiene potrebbe vederseli revocare.
  • Il fondo patrimoniale non offre protezione penale: se un coniuge, in previsione di insolvenza, conferisce tutti i suoi beni nel fondo per sfuggire a futuri creditori e poi fallisce, tale condotta potrebbe costituire elemento di bancarotta fraudolenta (distrazione di beni). Così pure, se sottrae beni ai creditori creando un fondo fittizio potrebbe incorrere nel reato di protezione fraudolenta dei beni (art. 388 c.p.); anche se la giurisprudenza in tema di reato ex art. 388 c.p. è altalenante sull’uso di strumenti leciti come trust o fondo.

In sintesi, il fondo patrimoniale:

  • Pro: relativamente semplice da costituire; mantiene i beni in mano ai proprietari (coniugi) sebbene vincolati; tutela effettiva per debiti estranei ai bisogni familiari (es. obbligazioni voluttuarie, fideiussioni per terzi, ecc. se il creditore lo sapeva); fiscalmente neutro (nessun grosso costo fiscale, salvo tasse fisse).
  • Contro: limitato a coppie sposate; utilizzo ormai noto ai creditori (spesso pretendono rinunce al fondo o garanzie alternative); giurisprudenza recente sfavorevole per debiti di impresa e tributari, tendendo a ritenere tutto “inerente” alla famiglia salvo prova contraria; soggetto a revocatorie e a art. 2929-bis se usato tardivamente; durata limitata alla vita matrimoniale.

Domanda frequente: “Il fondo patrimoniale mi protegge dai debiti fiscali o bancari dell’azienda?”Risposta: Dipende. Se i debiti sono stati contratti per scopi estranei ai bisogni familiari e il creditore (Agenzia Entrate o banca) lo sapeva, i beni del fondo non dovrebbero essere pignorabili. Ad esempio, un debito fiscale su redditi dell’azienda potrebbe essere considerato inerente alla famiglia (perché i redditi d’impresa avvantaggiavano la famiglia), soprattutto secondo la Cassazione 2024. Viceversa, una fideiussione concessa a un amico e escussa potrebbe essere fuori dall’interesse familiare. In pratica oggi i giudici tendono a includere i debiti fiscali e professionali tra quelli familiare-correlati, salvo prova contraria. Dunque il fondo non è una protezione sicura per debiti d’impresa o tributi; poteva esserlo in passato in base a interpretazioni più favorevoli, ma ora è rischioso farvi affidamento esclusivo. Inoltre, Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione può iscrivere ipoteca su immobili in fondo se contesta l’estraneità dello scopo, costringendo il contribuente a un’opposizione giudiziale dall’esito incerto.

Vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.

Il vincolo di destinazione introdotto nel 2006 (art. 2645-ter c.c.) è un istituto relativamente nuovo che consente di destinare beni immobili o mobili registrati a realizzare determinati interessi meritevoli di tutela, per una durata massima di 90 anni o per la durata della vita della persona beneficiaria. Si tratta di un atto unilaterale (o contratto) a forma notarile che crea una sorta di “patrimonio separato” pur restando la proprietà in capo al disponente (o al soggetto indicato). In pratica:

  • Il proprietario di un immobile può, con atto pubblico trascritto nei registri, dichiarare che tale immobile è destinato esclusivamente a soddisfare una certa finalità (es. mantenimento di una persona disabile, oppure garantire i bisogni di un figlio minore, o ancora un progetto di pubblica utilità).
  • Da quel momento, l’immobile (o il bene registrato) è segregato: non può essere distratto dalla destinazione e i creditori potranno aggredirlo solo per debiti attinenti a quella finalità. Ad esempio, se vincolo un immobile per garantire le spese di cura di mio figlio disabile, un creditore estraneo (banca per un mio debito personale) non dovrebbe poterlo pignorare, mentre un creditore avente titolo in quelle spese (es. il centro assistenza se non pago) potrebbe.
  • Il vincolo è opponibile ai terzi solo se trascritto. Ha natura atipica: la legge non specifica esattamente i contenuti, salvo la necessità che il fine sia meritevole di tutela e le modalità di attuazione siano indicate.

In sostanza il vincolo ex 2645-ter c.c. è un “fratello minore” del trust, introdotto per supplire alla mancanza di un trust interno. Differenze dal fondo patrimoniale:

  • Può essere utilizzato da chiunque, non solo coniugi. Anche una persona non sposata può vincolare un proprio bene per un certo scopo (es. a favore di sé stesso e futuro coniuge, oppure a favore di un ente benefico, etc.).
  • Può riguardare anche un singolo bene, non serve un “fondo” minimo e non c’è soggezione ai bisogni della famiglia strettamente. Ad es., si potrebbe destinare un immobile a garantire il pagamento degli studi universitari di un nipote.
  • È più flessibile: contenuto atipico significa che il disponente può modellare l’atto come meglio crede (sempre rispettando la meritevolezza dello scopo). Può prevedere poteri di gestione in capo a qualcuno, condizioni, termine finale, ecc.
  • Svantaggi: essendo atto unilaterale, manca una figura fiduciaria terza (come il trustee); il disponente spesso rimane proprietario e gestore, il che può far sembrare ai creditori che nulla sia cambiato – con possibili contestazioni di simulazione o frode se fatto in extremis. Inoltre, l’utilizzo pratico è ancora non diffusissimo e la giurisprudenza su 2645-ter è in evoluzione, ma finora ha retto (la Corte Costituzionale ne ha confermato la legittimità).

Validità ed efficacia: La Corte di Cassazione ha riconosciuto validi i vincoli ex 2645-ter purché lo scopo sia lecito e meritevole (sono stati reputati tali, ad esempio: il mantenimento di figli, la tutela di coniuge disabile, finalità pubbliche). Non potrebbe essere valido un vincolo “per evitare che i miei creditori si soddisfino su questo bene” in quanto scopo non meritevole (sarebbe meramente fraudolento). Quindi bisogna individuare un fine oggettivamente apprezzabile.

Protezione offerta: Se il vincolo è genuino, il bene vincolato è destinato solo a quell’obiettivo e formalmente fuori dalla garanzia generale ex art. 2740 c.c.. I creditori estranei allo scopo non possono toccarlo. Ma anche qui, come per trust e fondo:

  • Un creditore anteriore insoddisfatto può agire in revocatoria sostenendo che l’atto (a titolo gratuito o comunque dispositivo) ha pregiudicato le sue ragioni. La giurisprudenza ha equiparato questo atto a un atto a titolo gratuito, quindi revocabile entro 5 anni se c’era il credito antecedente.
  • Resta l’art. 2929-bis: se un creditore ha un titolo esecutivo e il vincolo è stato trascritto da meno di un anno, può pignorare il bene vincolato direttamente, rendendo il vincolo inefficace nei suoi confronti.
  • Non essendoci un trasferimento di proprietà, in caso di fallimento del disponente, probabilmente il bene entra nel fallimento (a differenza del trust dove non è più del fallito). Tuttavia, la destinazione d’uso rimane formalmente e il curatore dovrebbe rispettarla o chiedere al giudice di eliminarla per realizzo – la prassi fallimentare su ciò è ancora da consolidare.

Quando usarlo: Il vincolo ex 2645-ter è indicato quando c’è un bene specifico da proteggere per uno scopo definito, e magari non si vuole (o può) creare un trust formalmente (ad es. per costi o perché si preferisce non far intervenire un trustee esterno). È stato usato, ad esempio, per proteggere la casa di abitazione destinandola ai bisogni della famiglia di fatto (anche se i conviventi non possono fare fondo patrimoniale, possono destinare la casa ex 2645-ter per i figli). Oppure da imprenditori che destinano l’immobile di famiglia a garanzia del mantenimento dei familiari, isolandolo dai rischi d’impresa.

In conclusione, vincolo di destinazione:

  • Pro: disponibile per tutti; molto flessibile; dà segregazione opponibile (se trascritto); non richiede trasferire la proprietà a terzi; idoneo a scopi vari (non solo familiari in senso stretto).
  • Contro: nuovo (qualche incertezza applicativa); se il disponente resta proprietario può sembrare “fittizio”; facile bersaglio di revocatoria se non fatto in tempo di pace; efficacia limitata a uno scopo circoscritto (non è omnicomprensivo come un trust con beneficiari molteplici).

Trust

Il trust è uno strumento di origine anglosassone che l’ordinamento italiano non prevede espressamente in una legge interna, ma riconosce in base alla Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 (ratificata dall’Italia con legge n. 364/1989). Grazie a tale Convenzione, è possibile istituire un trust in Italia scegliendo però una legge straniera applicabile (es. legge di Jersey, di Malta, del Regno Unito, ecc.), e l’ordinamento italiano ne rispetta gli effetti.

Cos’è il trust: È un rapporto giuridico nel quale un soggetto (disponente o settlor) trasferisce determinati beni a un altro soggetto (trustee), affinchè questi li amministri o li gestisca per uno scopo determinato o a beneficio di uno o più beneficiari, secondo le istruzioni stabilite nell’atto istitutivo del trust. I beni in trust formano una massa separata: sono segregati sia dal patrimonio residuo del disponente sia da quello personale del trustee. Il trustee ne ha la titolarità legale, ma non nell’interesse proprio: li detiene e gestisce nell’interesse altrui (beneficiari) o per il perseguimento dello scopo indicato.

Effetto fondamentale: La segregazione – i beni in trust non sono aggredibili dai creditori personali del disponente, né da quelli personali del trustee, né (in linea di principio) dai creditori personali dei beneficiari, finché i beni restano nel trust. Risponderanno solo dei debiti contratti dal trust stesso (ossia delle obbligazioni che il trustee assume nell’amministrazione del trust). Questo fa sì che il trust venga percepito come un potente mezzo di protezione patrimoniale, sebbene – si ribadisce – la sua causa tipica non sia la “protezione del disponente” ma la gestione organizzata di un patrimonio per scopi di pianificazione (spesso successoria o tutela di soggetti deboli).

Tipi di trust: Possono essere trust con beneficiari individuati (es. trust familiare a favore dei figli, dove i figli avranno diritto ai beni al termine o a distribuzioni periodiche) oppure trust di scopo (senza beneficiari, destinati a realizzare un fine – es. trust per finanziare la ricerca scientifica, trust di garanzia a favore di creditori, trust liquidatorio per pagare debiti). Molti trust usati per protezione patrimonio rientrano nel trust familiare o successorio (es. genitore che mette beni in trust a beneficio dei figli fino al raggiungimento di una certa età).

Durata: stabilita dal disponente nell’atto, con eventuale termine (max 90-100 anni in molte leggi) o evento risolutivo.

Ruoli: oltre al trustee, si può nominare un guardiano (protector) con compiti di controllo sul trustee.

Perché si usa il trust in Italia:

  • Per pianificazioni ereditarie complesse o evitare frammentazioni del patrimonio: es. affidare l’azienda di famiglia a un trust per assicurare continuità gestionale a favore degli eredi incapaci o per saltare una generazione.
  • Per tutelare soggetti deboli: trust a favore di un figlio disabile, per garantire la cura a vita (anche il legislatore lo ha incentivato con la legge “Dopo di noi” n. 112/2016, prevedendo agevolazioni fiscali per trust in favore di disabili gravi).
  • Per segregare beni a scopo di garanzia: alcuni debitori pongono asset in trust a beneficio dei creditori come alternativa alle garanzie reali tradizionali (trust di garanzia).
  • Per protezione da future pretese: se un imprenditore vuole isolare certi beni personali dal rischio di impresa, può istituire un trust di cui non è beneficiario (ad es. a favore dei figli). Così quei beni non saranno più suoi legalmente e, se arrivano malaugurate cause o debiti, i creditori faticheranno molto di più a raggiungerli.
  • In operazioni societarie (meno frequenti): trust usati per intestare partecipazioni, o per gestire stock option plan, o per liquidazioni concordatarie.

Normativa applicabile: Poiché l’Italia non ha una Trusts Act interna, ogni trust istituito deve scegliere espressamente la legge regolatrice di un ordinamento che conosca il trust. Popolari sono le leggi di Jersey, Guernsey, Malta, UK, Bahamas, San Marino, ecc. L’atto in Italia sarà formalizzato tipicamente con scrittura privata autenticata o atto pubblico, ma con riferimento alla legge straniera prescelta. L’Italia applica le disposizioni di quella legge per disciplinare il trust, però le attività del trustee svolte in Italia devono rispettare le leggi italiane imperative (es. norme tributarie, antimafia, ordine pubblico…).

Trust e aggressione dei creditori (italiani): Questo è il punto sensibile. È vero che i beni conferiti in trust non appartengono più al disponente, quindi i suoi creditori non potrebbero pignorarli perché il disponente non ne è più proprietario. Tuttavia, questo scenario vale se:

  • Il trust è stato costituito lecitamente e tempestivamente, senza intento di frode verso creditori attuali;
  • Non si configura un trust simulato o “sham trust”, ossia se in realtà il disponente continua a disporre dei beni come se fossero suoi (in tal caso un giudice potrebbe dichiarare che il trust era fittizio e quindi inefficace).

Gli strumenti giudiziari che i creditori hanno a disposizione sono principalmente:

  1. Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.): I creditori anteriori al trust (o anche successivi, se provano il consilium fraudis anticipato) possono chiederne l’inefficacia verso di loro, dimostrando che il trust li pregiudica e che il disponente ne era consapevole. Su questo terreno la giurisprudenza ha dato ampio spazio: costituire un trust familiare è considerato atto a titolo gratuito, salvo che sia in adempimento di un obbligo giuridico o a fronte di corrispettivo. Quindi per i creditori anteriori basta provare il pregiudizio, non occorre la malafede del trustee (trattandosi di atto gratuito). La Cassazione ha confermato più volte che l’istituzione di un trust è revocabile ex art. 2901 c.c. e anzi la revocatoria può colpire tanto l’atto di conferimento dei beni nel trust quanto l’atto istitutivo stesso. In passato c’era dibattito se bisognasse revocare il conferimento e non l’istituzione; ora la Cassazione (ordinanza n. 25964/2023 e n. 28145/2023) ha chiarito che entrambe le azioni sono possibili: si può agire contro l’atto istitutivo se è contestuale ai conferimenti, perché esso dà causa alla segregazione e quindi contribuisce al danno ai creditori. Anzi, colpendo l’atto istitutivo, automaticamente cadono anche i conferimenti come effetto consequenziale. Il trust “familiare” non è considerato adempimento di dovere (come potrebbe esserlo un fondo patrimoniale per bisogni familiare? No, anche quello è volontario) ma un atto dispositivo gratuito, quindi revocabile se c’è pregiudizio.
  2. Azione ai sensi dell’art. 2929-bis c.c.: se il trust riguarda beni immobili o mobili registrati, ed è atto a titolo gratuito, un creditore con titolo esecutivo può bypassare la revocatoria e procedere direttamente. L’art. 2929-bis menziona “vincoli di indisponibilità” o “trasferimenti a titolo gratuito”. La costituzione di un trust familiare è stata ritenuta dalla giurisprudenza un atto a titolo gratuito soggetto alla norma (non è a titolo oneroso, né adempimento di obbligo). Quindi, se un trust su un immobile è trascritto e entro 1 anno un creditore ottiene un titolo, può subito iscrivere pignoramento sull’immobile come se il trust non ci fosse. Questo rende i trust dell’ultimo minuto particolarmente inefficaci.
  3. Sequestro conservativo e azioni cautelari: In attesa di revocatoria, alcuni creditori hanno chiesto e ottenuto sequestri conservativi su beni conferiti in trust, sostenendo fumus di frode. La Cassazione (sent. 13903/2014) ha ritenuto ammissibile, ad esempio, il sequestro su quote societarie fiduciarie (vale analogia col trust) per garantire un’eventuale futura sentenza di accertamento del carattere simulato o revocatorio di quell’atto. Dunque anche in pendenza di giudizio i beni del trust potrebbero essere congelati.
  4. Eccezione di simulazione: Se il trust è palesemente simulato (es. l’atto è solo cartaceo ma i beni non si spostano, o il disponente rimane l’unico a usare i beni in trust senza alcun rispetto delle regole), un creditore potrebbe far valere che il trust è inesistente e che i beni sono ancora del debitore. Ciò richiede una causa ad hoc e prove robuste (documenti, comportamenti).

Uso corretto del trust per asset protection: per massimizzare la protezione:

  • Costituire il trust in bonis, quando non ci sono grossi debiti all’orizzonte. Più tempo passa tra il trust e l’insorgere di eventuali crediti, più difficile per i creditori provare la frode. Passati 5 anni, l’ordinaria revocatoria non è più possibile per i creditori antecedenti (salvo, ovviamente, se nel frattempo non c’è un fallimento, in cui c’è comunque un termine di 2 anni per atti gratuiti).
  • Trasferire effettivamente i beni al trustee e rispettare la forma (trascrizioni, consegna, cambi intestazione di conti, ecc.). Un trust “di facciata” dove nulla di concreto accade sarà smascherabile.
  • Evitare di essere sé stessi trustee: se il disponente è anche trustee e beneficiario, il trust è autodichiarato e autoamministrato – questo accentua i sospetti di auto-frode. Meglio nominare un trustee terzo (un professionista, una trust company) per dare sostanza all’indipendenza del patrimonio.
  • Limitare poteri e benefici al disponente: se il disponente si riserva troppi poteri (es. poter revocare il trustee a piacere, cambiare beneficiari a piacere) o addirittura è beneficiario lui stesso in larga misura, i creditori potrebbero sostenere che in realtà il patrimonio rimane nella disponibilità del disponente. In passato ci sono stati casi in cui il fisco, ad esempio, ha considerato fiscalmente i beni del trust come ancora appartenenti al disponente quando questi era anche beneficiario discrezionale unico.
  • Prevedere scopi meritevoli e mantenere separazione contabile: il trust deve avere una logica plausibile (passaggio generazionale, tutela familiare, ecc.) e il trustee deve gestire i beni in modo separato, tenendo contabilità dedicata, conti correnti separati, ecc. Se il disponente continua ad usare i beni senza rispettare il ruolo del trustee, i creditori potranno produrre evidenze di abuso.

Giurisprudenza rilevante: Oltre alle già citate Cass. 25964/2023 e 28145/2023 sulla revocatoria:

  • Cass. Sez. Un. n. 21614/2016: ha stabilito che l’azione revocatoria fallimentare può colpire i conferimenti in trust come atti a titolo gratuito compiuti prima del fallimento (fattispecie di “frode alla legge fallimentare”). Quindi se un imprenditore fallisce, il curatore può far dichiarare inefficaci i beni trasferiti in trust nei due anni anteriori (ex art. 64 l.f., analogamente a quanto vale per fondo patrimoniale).
  • Cass. civ. n. 19376/2018 (Sez. I): ha affermato che il trust istituito per finalità successorie non è di per sé una donazione, ma ai fini della revocatoria va valutato come tale se privo di corrispettivo.
  • Cass. pen. n. 12249/2019: in sede penale di bancarotta, ha ritenuto configurabile la distrazione quando un imprenditore aveva costituito un trust con patrimonio societario poco prima del fallimento senza reale giustificazione economica, considerandolo atto fraudolento.

Vantaggi del trust:

  • Massima segregazione: i beni escono dal patrimonio del debitore.
  • Flessibilità: infinite possibilità di progettazione, durata, condizioni.
  • Versatilità: applicabile a beni mobili, immobili, partecipazioni, liquidità.
  • Riconoscimento internazionale: utile se il patrimonio è in più paesi o si vuole beneficiare di legislazioni più stabili.

Svantaggi:

  • Costo e complessità: serve consulenza specializzata, costi notarili e spesso tassazione non agevolata (es. atti di conferimento beni immobili scontano imposta fissa ma possono emergere dubbi su imposta donazione se beneficiari determinati).
  • Manca legge interna: la necessità di appoggiarsi a leggi straniere può rendere incerti alcuni dettagli; inoltre i giudici italiani non sempre hanno formazione in materia e vi è del vario orientamento.
  • Visto con sospetto se fatto in prossimità di default: i creditori attaccano spesso i trust come espedienti fraudolenti.
  • Gestione: bisogna affidarsi a un trustee di fiducia e capace. Un cattivo trustee può danneggiare il patrimonio in trust e i beneficiari avrebbero tutele legali in base alla legge scelta, ma comunque c’è un margine di rischio fiduciarie.
  • Irriversibilità: di regola un trust ben congegnato non è revocabile unilateralmente dal disponente (perché se lo fosse, i creditori chiederebbero di subentrargli nel revocarlo!). Quindi quando si fa, occorre essere davvero sicuri perché ci si spoglia della proprietà, spesso in modo definitivo.

Trust vs fondo patrimoniale: Quale scegliere? – Per un imprenditore:

  • Il fondo patrimoniale è più semplice e “interno”, ma vincolato a matrimonio e oggi con efficacia ridotta per debiti di impresa.
  • Il trust è più forte sul piano della segregazione (i beni escono dal patrimonio del debitore), ma più costoso e sofisticato, e se fatto male può essere attaccato.
  • Un criterio: se vi sono eredi disabili o figli minorenni, un trust può offrire una gestione di lungo periodo oltre la vita del disponente, mentre il fondo si estingue al 18° compleanno dell’ultimo figlio.
  • Se l’imprenditore è scapolo, non può fare fondo ma può fare trust (o vincolo 2645-ter).
  • Per patrimoni ingenti e variegati, il trust consente di includere molti beni e nominare un gestore professionale, magari assicurando continuità generazionale (i figli incapaci di gestire ricevono redditi ma non il controllo).
  • Per patrimoni più modesti o obiettivi limitati (es. proteggere la casa di famiglia), un fondo (se sposato) o un vincolo 2645-ter possono essere adeguati e meno costosi.

Domanda frequente: “Se creo un trust con i miei beni, i creditori non potranno più toccarli?”Risposta: In linea generale , i beni usciranno dal tuo patrimonio e quindi i creditori successivi non potranno pignorarli perché formalmente non sono più tuoi. Tuttavia, i creditori precedenti o già esistenti potranno impugnare la tua azione: con la revocatoria ordinaria o con l’art. 2929-bis possono rendere inefficace il trust verso di loro. Quindi il trust protegge efficacemente dai rischi futuri (imprevisti) se istituito in anticipo e con serietà; non è una scappatoia per sottrarsi ai debiti già contratti. Inoltre, occorre rinunciare al controllo sui beni: se continui ad usarli come nulla fosse, un giudice potrebbe dire che il trust è fittizio e consentire l’azione esecutiva lo stesso. In concreto, trust ben fatti e datati hanno resistito a molti attacchi, mentre trust last-minute o con abusi sono stati smontati dai tribunali. Quindi il trust è un ottimo strumento di asset protection preventiva, ma non dell’ultimo momento.

Mandato fiduciario e intestazione fiduciaria

L’intestazione fiduciaria di beni consiste nel trasferire formalmente la titolarità di un bene (ad esempio quote societarie, titoli, immobili) ad una società fiduciaria autorizzata, la quale si impegna a custodirlo e amministrarlo nell’interesse dell’effettivo proprietario (fiduciante), ritrasferendoglielo a richiesta. In sostanza è un mandato senza rappresentanza: la fiduciaria appare come intestataria nei pubblici registri, ma contrattualmente riconosce che la proprietà sostanziale e i diritti economici spettano al fiduciante.

Finalità: lo strumento nasce principalmente per garantire riservatezza e professionalità nella gestione di patrimoni. Ad esempio, un imprenditore può intestare le proprie partecipazioni societarie ad una fiduciaria, così nei registri delle imprese comparirà la fiduciaria (schermando il nome del vero titolare). Oppure può affidare ad essa somme da investire, con il vantaggio di una gestione accentrata e professionale.

Differenze da trust o fondo: La fiduciaria non crea un patrimonio separato di legge. I beni fiduciari rimangono civilisticamente di proprietà del fiduciante – con la particolarità che sono intestati al fiduciario, il quale li amministra. Non c’è effetto segregativo pieno: la fiduciaria infatti è mera intestataria formale. Non a caso, la Cassazione dice che qui si ha dissociazione tra titolarità formale (fiduciario) e titolarità sostanziale (fiduciante). La fiduciaria non risponde dei debiti del fiduciante con quei beni (perché non entrano nel patrimonio della fiduciaria), ma viceversa i creditori del fiduciante possono aggredire quei beni, previa scoperta dell’intestazione.

Infatti, a tutela dei terzi creditori, l’ordinamento prevede che il rapporto fiduciario possa essere “scoperto” in sede giudiziaria: il creditore del fiduciante può fare azione di accertamento per dimostrare che, ad esempio, quelle quote intestate a Alfa Fiduciaria S.r.l. sono in realtà di Tizio, suo debitore. Una volta ottenuta una sentenza che accerta l’intestazione fiduciaria, si considera Tizio il vero titolare e il bene potrà essere pignorato come parte del patrimonio di Tizio. La pronuncia non trasferisce la proprietà dal fiduciario al fiduciante, perché si considera che non sia mai uscita dalla sfera del fiduciante. In pratica, è una forma di revoca della fiducia sul piano degli effetti verso i creditori.

Quanto ai mezzi cautelari: la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile anche un sequestro conservativo su beni in capo al fiduciario, se c’è rischio che durante il tempo per l’accertamento possano essere dispersi. Ad esempio, Tribunale di Roma in passato ha permesso di sequestrare immobili intestati a fiduciaria per garantire il credito verso il fiduciante.

Conclusione: L’intestazione fiduciaria non rende il bene inattaccabile, rende solo più difficile individuarlo. Funge da “schermo” di riservatezza, ma non fornisce una segregazione giuridica reale. Tanto che si dice spesso: “la fiduciaria nasconde ma non protegge”. Se un creditore scopre l’escamotage, può attivare le tutele e il bene verrà comunque coinvolto nell’esecuzione (magari con qualche ritardo).

Ci sono due eccezioni parziali a questa vulnerabilità:

  • Nel caso di quote di S.r.l. intestate a fiduciaria, poiché le quote di S.r.l. non sono beni mobili registrati, non c’è un registro pubblico dei titolari effettivi facilmente consultabile. Il creditore deve fare un po’ di indagini (magari con esposti ex art. 199 TUB se immagina appropriazioni, o chiedere informazioni in fase di discovery). Una volta scoperto, però, la giurisprudenza è chiara: le quote intestate a fiduciaria restano nel patrimonio del fiduciante e non possono essere sottratte ai creditori di quest’ultimo. Quindi si può ottenere pignoramento delle quote come se fossero direttamente del debitore (tecnicamente, serve il previo accertamento).
  • Se l’intestazione fiduciaria è molto datata e il debitore è fallito, i tempi e prove richieste al curatore per revocare l’intestazione possono essere onerosi. Ma generalmente se c’è traccia contrattuale, il curatore potrà acquisirla. Va citata una massima: “il trustee risulta titolare di un ufficio, e quindi proprietario nell’interesse altrui”. Per il fiduciario vale concetto simile: la fiduciaria è mera intestataria, giuridicamente non entra in possesso sostanziale del bene. Quindi dire che il bene non è nel patrimonio del debitore sarebbe sbagliato: rimane nel suo patrimonio, come massa distinta ma pur sempre sua.

Uso tipico: L’intestazione fiduciaria è utile per tenere nascosto un bene (ad es. un imprenditore non vuole comparire come socio di una certa società per evitare problemi di concorrenza, oppure per motivi di sicurezza personale). Oppure per affidare la gestione finanziaria a esperti (fiduciaria fa da intermediario con banche, permettendo di cambiare investimenti agevolmente). Ma se l’obiettivo è proteggere il bene da aggressioni, la fiduciaria non basta. In combinazione con altri strumenti può essere efficace: ad esempio, intestare le quote a fiduciaria e contestualmente vincolarle in un patto di famiglia o un trust estero – qui la struttura diventa più complessa da smontare.

Domanda frequente: “Ho messo la casa/quote intestate a una fiduciaria: i miei creditori possono comunque attaccarle?”Risposta: Sì, possono. La fiduciaria non è proprietaria per sé (ha solo la legittimazione all’esercizio dei diritti, ma la proprietà sostanziale resta tua). Una volta che il creditore scopre l’accordo fiduciario, può far dichiarare dal giudice che il bene è tuo e procedere al pignoramento. L’intestazione fiduciaria non esclude misure come sequestro o ipoteca: se, ad esempio, il Fisco individua che un immobile in capo a Beta Fiduciaria S.p.A. è tuo, può iscrivere ipoteca a tuo nome e successivamente farlo vendere. Non troverà intestato a te l’immobile (il che inizialmente lo confonde), ma ha strumenti investigativi e procedurali per recuperare l’informazione (anche l’obbligo antiriciclaggio impone alle fiduciarie di identificare e comunicare l’effettivo titolare alle autorità in caso di richiesta). Dunque non contare sulla fiduciaria come strumento di protezione patrimoniale: è piuttosto uno strumento di pianificazione e riservatezza. Per protezione effettiva, meglio trust o vincoli reali.

Polizze assicurative sulla vita e strumenti assicurativi

Le polizze vita sono spesso citate come strumento di protezione patrimoniale “occulta”. In effetti, la legge italiana (art. 1923 c.c.) prevede che “le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare, salvo il caso in cui la polizza sia stata stipulata in frode ai creditori. Ciò significa che i capitali assicurati, al momento del loro pagamento (per decesso o a scadenze previste), non sono pignorabili dai creditori del contraente o del beneficiario. L’intento è di tutelare la funzione previdenziale dell’assicurazione vita.

Come funziona: Tizio stipula una polizza vita (a premio unico o premi periodici) designando come beneficiario Caio (che può essere sé stesso medesimo, in caso di polizze miste, oppure un terzo). Se Tizio incorre in debiti, i creditori non possono pignorare il diritto all’indennità prima che questa sia liquidata. Al momento della liquidazione (ad es. Tizio muore e Caio matura il diritto al capitale), quella somma corrisposta dall’assicurazione non può essere toccata dai creditori di Tizio né da quelli di Caio per il solo fatto della sua erogazione.

Naturalmente, se Caio poi deposita quei soldi sul suo conto personale indistintamente, quei soldi diventano patrimonio di Caio e i suoi eventuali creditori personali potrebbero pignorarli. Ma i creditori di Tizio (contraente/assicurato) non possono rivalersi sulle somme dovute dall’assicuratore. Questa è una grossa differenza: se Tizio avesse messo quei soldi in banca a risparmio, i suoi creditori li avrebbero potuti pignorare; mettendoli in una polizza vita, li trasforma in un capitale impignorabile, sebbene destinato al sostegno suo o dei beneficiari al verificarsi dell’evento assicurato.

Limiti:

  • La legge stessa fa salvo il caso di polizza in frode ai creditori. Se Tizio sottoscrive la polizza quando è già insolvente, destinando ingenti capitali a un terzo per sottrarli ai creditori, quell’atto può essere revocato (visto come un pagamento anticipato al beneficiario). La giurisprudenza è intervenuta: Cass. civ. n. 6531/2019, ad esempio, ha confermato la possibilità di revocatoria di polizze vita quando fungono da strumento di distrazione di risorse (soprattutto se il beneficiario è qualcuno che non partecipa al pagamento premi).
  • Se il premio pagato è sproporzionato e paga contanti un creditore, in sede fallimentare potrebbe configurarsi anche come atto svantaggioso. Ma di solito i premi si versano alla compagnia assicurativa in cambio di un contratto vero, quindi non è gratuita disposizione.
  • La protezione vale per le somme dovute dall’assicuratore. Se uno ha già ricevuto la liquidazione e la tiene sul conto, il denaro liquido non gode più di protezione speciale (diventa pignorabile come normale).
  • La norma tutela contraente e beneficiario. Quindi se i creditori sono del contraente, non possono colpire l’indennizzo (che va al beneficiario); se sono del beneficiario, in certi casi non possono rivalersi prima che l’indennità entri nel suo patrimonio.
  • Le polizze unit-linked (ramo III) che hanno contenuto finanziario prevalente, se contengono comunque una componente caso morte significativa, sono trattate come polizze vita dal punto di vista civilistico (Cass. n. 6319/2019 ha confermato che anche se prevale l’investimento, basta una congrua copertura caso morte per qualificarle vita). Dunque anche queste godono di impignorabilità.
  • Attenzione: la polizza vita non è revocabile ex art. 2929-bis perché il credito dell’assicurato verso l’assicuratore non è un bene immobile o mobile registrato. Quindi la scorciatoia 2929-bis non si applica. Resta però la revocatoria ordinaria se si dimostra l’intento fraudolento.

Aspetti fiscali: le somme percepite da assicurazione vita sono esenti da imposta di successione e non formano reddito IRPEF (tranne eventuale componente di rendimento tassata in modo agevolato). Questo è un ulteriore vantaggio: trasferire patrimoni tramite polizze evita tasse di successione e rende il passaggio invisibile al fisco (fa eccezione solo se i premi pagati sono chiaramente sproporzionati poco prima della morte, caso in cui l’Agenzia può riqualificare per abuso del diritto in casi estremi).

Polizze vita come protezione personale: Molti imprenditori ricorrono a polizze vita a favore dei familiari come forma di cassaforte intangibile. Ad esempio, invece di accumulare utili in azienda (esposti a creditori) o su conti personali (pignorabili), l’imprenditore può stipulare una polizza e spostarvi liquidità eccedente. Così, in caso di difficoltà, quei valori sono blindati e al bisogno (scadenza o decesso) daranno risorse alla famiglia. Va pianificato con cura per non incorrere in situazioni in cui il giudice reputi l’operazione volta solo a sottrarre attivi. In genere però l’impignorabilità ex lege è un argomento forte in favore del debitore.

Altri strumenti assicurativi:

  • Le polizze long term care e sanitarie non hanno capitali rilevanti, dunque meno cruciali per protezione patrimoniale.
  • Le polizze di investimento (unit-linked, index-linked) se hanno veste vita (ramo I o V o multiramo con componente vita) beneficiano del 1923 c.c. come detto.
  • Anche i fondi pensione integrativi (previdenza complementare) godono di una certa impignorabilità (art. 8 D.Lgs. 252/2005: le posizioni individuali accumulate non sono pignorabili né cedibili fino al momento della prestazione). Quindi versare soldi in un fondo pensione è un altro modo di metterli temporaneamente al sicuro dai creditori (che non li possono toccare finché restano nel fondo). Questa è protezione però temporanea: quando poi si percepisce la prestazione (rata pensionistica o capitale), quell’importo entra nel patrimonio disponibile e diverrebbe aggredibile.

Pro e contro polizze:

  • Pro: facile da attivare; totalmente legale e anzi con finalità previdenziale; tutela codificata dalla legge; flessibile su beneficiari (si può cambiare beneficiario in qualsiasi momento, anche farlo all’insaputa dei creditori in extremis, sebbene potrebbe configurare reato di sottrazione fraudolenta se fatto post nubila); benefici fiscali e successori.
  • Contro: non adatte per investire beni immobili direttamente (la polizza tipicamente investe denaro in strumenti finanziari, anche se esistono polizze index su indici immobiliari ecc.); costo di caricamenti e commissioni talvolta elevato; se il debitore ha urgenza di liquidità, riscattare anticipatamente la polizza può comportare perdita di benefici e penali; se i creditori scoprono e riescono a provare la frode, via revocatoria potrebbero far dichiarare inefficace la designazione beneficiario.

Domanda frequente: “Posso mettere i miei soldi in una polizza vita così i creditori non li toccano?”Risposta: Sì, questa è una strategia nota e legittima se fatta con anticipo e non in frode. Una polizza vita in cui tu (debitore) sei contraente e assicurato, e nomini come beneficiario ad es. tuo figlio o tua moglie, rende quelle somme impignorabili dai tuoi creditori presenti e futuri. Anche se resti tu stesso beneficiario (polizza mista che restituisce a te capitale a scadenza), finché i soldi sono presso l’assicurazione non possono essere aggrediti. Però attenzione: se fai questa operazione quando sei già sommerso di debiti, i creditori potrebbero agire in giudizio per farla annullare come atto in frode. E se versi importi enormi sottraendo liquidità alle casse aziendali, potresti incorrere in responsabilità (se fallisci, il curatore potrebbe accusarti di aver dissipato attivo). Quindi, polizze vita ottime come prevenzione (trasformare risparmi liquidi in un capitale protetto per la famiglia) – tanto che molti le chiamano “cassaforte assicurativa” –, ma non vanno utilizzate all’ultimo istante come scappatoia.

Nota pratica: Le compagnie segnalano che a volte, davanti a pignoramenti del conto del cliente, nascono contenziosi se sul conto vengono accreditati importi da polizze. In teoria, se il pignoramento è già in essere e poi arriva la somma da assicurazione, essa rimane impignorabile in capo all’assicuratore ma una volta sul conto confuso, il pignoramento li acchiapperebbe. Bisogna in tal caso fare opposizione dimostrando la provenienza protetta. Per evitare ciò, alcuni scelgono polizze che pagano direttamente al beneficiario (diverso dal debitore) o far depositare la somma altrove (es. assegno circolare intestato al beneficiario).

Altri strumenti e strategie personali

Oltre a quelli maggiori sopra descritti, menzioniamo brevemente:

  • Patto di famiglia: non è uno strumento di protezione verso terzi creditori, ma un contratto tra familiari per anticipare la successione d’impresa a favore di alcuni eredi, liquidando gli altri. Indirettamente, però, può contribuire a stabilizzare la proprietà dell’azienda, evitando frammentazioni che la renderebbero più vulnerabile. E non può essere impugnato per lesione di legittima dopo la morte. Inoltre, come vedremo nella sezione successiva, consente passaggi generazionali senza imposte di donazione se certi requisiti sono rispettati. Non incide su creditori del disponente, se non nel senso che i beni escono dal patrimonio come donazione (infatti il patto di famiglia può essere revocato dai creditori come una donazione se li pregiudica, entro 5 anni).
  • Cessione di beni ai figli: la donazione semplice di beni a familiari è spesso la prima idea quando si teme il pignoramento. Purtroppo è anche la più fragile: i creditori la revocano facilmente (entro 5 anni come atto gratuito, e se c’è stato doloso pregiudizio anche oltre, fino a quando c’è malafede e consilium con il donatario). Inoltre, se il donatario è figlio o coniuge, il rischio di 2929-bis è altissimo: una donazione di un immobile può essere bypassata dall’art. 2929-bis entro un anno. Quindi donare all’ultimo non funziona; donare con tanti anni di anticipo e poi non contrarre debiti può funzionare, ma è un azzardo se quell’attività è soggetta a rischio (meglio trust in tal caso).
  • “Escamotage” vari: in passato c’era chi cedeva nuda proprietà riservando usufrutto, o creava debiti fittizi con amici per ipotecare l’immobile e renderlo meno appetibile. Queste condotte sono borderline e spesso configurano frode ai creditori se fatte scientemente. Inoltre, un’ipoteca volontaria fasulla a un amico (cosiddetta ipoteca “di favore”) può essere dichiarata nulla o revocata dal curatore in fallimento. La vendita simulata a un prestanome pure è soggetta a revoca e può costare accuse penali. Insomma, vie illegali o poco trasparenti di asset protection sono sconsigliabili – oltre illecite, spesso inefficaci perché i tribunali ci arrivano.

Tabella 2 – Confronto strumenti di tutela patrimoniale personali

StrumentoChi può usarloBeni coinvoltiProtezione offertaPunti di attenzione
Fondo patrimonialeConiugi (famiglia legittima)Immobili, mobili registrati, titoli destinati ai bisogni familiariImpignorabilità per debiti estranei a bisogni familiari (se creditore a conoscenza). Segregazione nel nucleo familiare.Solo per famiglie coniugate; dubbi su debiti d’impresa (Cass. 2024 restringe); revocabile se recente; cessa con fine matrimonio.
TrustChiunque (con disponibilità beni; necessaria legge straniera)Qualsiasi bene (immobili, mobili, crediti, partecipazioni, denaro)Segregazione totale: beni fuori dal patrimonio del disponente e del trustee. Inaccessibili ai creditori personali (salvo revocatoria).Struttura complessa e costosa; da costituire in bonis; soggetto a revocatoria se fraudolento; bisogno di trustee affidabile; legge straniera applicata.
Vincolo 2645-terChiunqueImmobili o mobili registrati specificiSegregazione mirata: bene vincolato solo a scopo indicato, non aggredibile per altri debiti. Flessibilità di scopi (es. tutela disabili, convivenze).Manca figura terza (disponente spesso gestore); relativamente nuovo (minore prassi); comunque revocabile se pregiudizievole; durata max 90 anni/vita beneficiario.
Mandato fiduciarioChiunque (spesso imprenditori per quote, investitori)Tipicamente partecipazioni societarie, talora immobili o denaro (gestione patrimoni)Nessuna segregazione giuridica reale; offre riservatezza (schermo nominativo) e gestione professionale. I creditori del fiduciante possono far valere i loro diritti sui beni fiduciari dimostrando l’intestazione.Rapporto contrattuale: fiducia nel mandatario; se fiduciaria fallisce, beni non suoi ma può esserci ritardo nel recupero; obbligo antiriciclaggio può svelare beneficiario effettivo alle Autorità.
Polizza vitaChiunque (contraente assicurazione)Denaro (premi versati convertiti in capitale assicurato)Impignorabilità e insequestrabilità delle somme dovute dall’assicuratore. Trasferimento benefici protetto e esente tasse.Se usata in frode a creditori può essere revocata; costi di caricamento; liquidità non disponibile fino a evento o scadenza salvo riscatto (perdita benefici); dopo liquidazione, somme sul conto diventano pignorabili se non separate.
Patto di famigliaImprenditore + eredi (discendenti e coniuge)Azienda o partecipazioni societarie dell’imprenditoreEvita frammentazione dell’azienda tra eredi e azioni di riduzione, assicurando continuità al prescelto. Esenzione imposte donazione se requisiti.Non protegge da creditori (azienda resta aggredibile); è un contratto familiare (necessita accordo con tutti i legittimari o liquidazione compensi); possibili revocatorie se ledono creditori del disponente.
Società semplice “cassaforte”Individui (es. familiari)Patrimonio mobiliare/immobiliare conferito nella società sempliceBeni intestati alla società semplice non pignorabili dai creditori personali dei soci; società non fallibile; privacy (scritture non pubbliche se non immobili).Soci illimitatamente responsabili per debiti della società (ma se società non fa attività rischiose, debiti limitati); creditore personale socio può chiedere liquidazione quota (non può prendere i beni specifici).
Holding e separazione societariaImprenditore (come socio di più società)Partecipazioni e asset societari allocati tra società diverse (holding, immobiliare, operativa)Protezione per compartimenti: crisi di una controllata non intacca beni nelle altre. Holding isolata da rischio operativo delle figlie. Patrimonio immobiliare separato riduce rischio impresa (spin-off immobiliare crea “cassaforte di famiglia”).Struttura da pianificare con anticipo (scissioni e conferimenti soggetti a revocatoria se fatti in frode); costi di governance aggiuntivi; possibili garanzie incrociate nel gruppo da evitare.

(N.B: La tabella sopra include anche elementi societari che verranno approfonditi nella sezione successiva sulle strategie societarie.)

Strategie societarie e operative per blindare il patrimonio aziendale

Oltre agli strumenti “personali” di tutela (come trust, fondo, ecc.), un imprenditore accorto può mettere in atto strategie sul piano societario per rendere più resiliente il suo patrimonio e quello dell’azienda. Si tratta di operazioni o accorgimenti organizzativi volti a compartimentare i rischi e proteggere gli asset più importanti da eventuali insolvenze o aggressioni esterne. Vediamo i principali:

Costituzione di una holding e separazione delle attività

Creare una holding significa istituire una società (spesso una S.r.l. o una S.p.A., ma anche una società semplice per patrimoni) che detiene le partecipazioni di altre società operative controllate. In un gruppo così strutturato:

  • La holding di famiglia possiede i beni di valore e le partecipazioni, ma di per sé non svolge l’attività rischiosa quotidiana.
  • Le singole società figlie (operative) svolgono ciascuna un ramo d’azienda o un business specifico. Ad esempio, un’impresa immobiliare potrebbe avere una società per ogni cantiere, oppure un gruppo industriale potrebbe separare in società diverse la produzione, la distribuzione, i servizi, ecc.
  • Vantaggi: “l’andamento negativo di una società non compromette le altre”. Se una controllata fallisce o viene colpita da cause, il danno è circoscritto ad essa; la holding e le altre controllate (che sono entità giuridiche separate) restano in piedi. I creditori di una società figlia non possono aggredire direttamente i beni delle consorelle né della holding (se non eventualmente tentando di ‘scalare’ fino alla holding per responsabilità come amministratore di fatto in casi di mala gestio di gruppo, ma è raro e richiede abusi). Si crea quindi un effetto “contenimento incendio”: ogni società è un compartimento stagno per i debiti delle altre.
  • Inoltre, la holding consente di centralizzare la cassa e gli utili: ad esempio, può percepire dividendi dalle figlie (tassati in capo alla holding solo al 5% grazie alla PEX, Participation Exemption, quindi con aliquota effettiva 1,2% IRES), e avere riserve di liquidità protette. Se una figlia va male, la holding non risponde con il suo patrimonio oltre il capitale investito.
  • Protezione dell’azionariato: in caso di morte dell’imprenditore, la presenza di una holding evita che le partecipazioni operative si frammentino: restano unite nella holding e l’eredità si gestisce solo a livello di quote holding. Ciò facilita la continuità ed evita liti tra eredi su singole aziende. Prevenzione litigi eredi: come evidenziato, se i soci superstiti non vogliono nuovi ingressi indesiderati, la holding di famiglia può mantenere il controllo e filtrare l’entrata degli eredi “non graditi”. Ad esempio, liti ereditarie: la holding con adeguati patti sociali può impedire che, morendo un socio, i suoi eredi vendano a terzi estranei, preservando la continuità.
  • Vantaggi fiscali e finanziari: oltre alla PEX sui dividendi e plusvalenze (95% esente), la holding può fare da cassaforte finanziaria per investimenti, ottenere finanziamenti a monte e ridistribuirli, fare consolidato fiscale di gruppo per compensare utili e perdite, ecc. Sono benefici indiretti ma che rafforzano la resilienza patrimoniale (es. se una figlia perde e l’altra guadagna, col consolidato si evita esborso fiscale inutile, mantenendo risorse nel gruppo).
  • Rischio Paese e delocalizzazione holding: come accennato in una delle fonti, collocare la holding in un paese estero stabile e con legislazione favorevole può proteggere da rischi normativi italiani (es. improvvise patrimoniali). Un esempio è il modello Soparfi lussemburghese (holding di diritto lussemburghese), o holding in Austria, Svizzera, ecc., paesi con sistemi giuridici stabili e tassazione prevedibile. Ciò può aggiungere uno strato di protezione “politica”: se in Italia venisse introdotta una tassa straordinaria sui patrimoni societari, una holding estera ne sarebbe esente. Ovviamente, spostare la holding all’estero comporta altre complessità (norme CFC, monitoraggio fiscale, etc.), ma per gruppi consistenti è un’opzione.

Spin-off immobiliare: Una specifica applicazione del concetto di holding è la scissione immobiliare (“spin-off immobiliare”). Consiste nel separare gli immobili (stabili, capannoni, terreni) dall’attività operativa di impresa:

  • Si effettua una scissione societaria trasferendo gli asset immobiliari in una newco dedicata, le cui quote vanno in mano agli stessi soci della società originaria (proporzionalmente).
  • Risultato: una società (immobiliare pura) possiede e gestisce gli immobili, affittandoli magari alla società operativa; l’altra società resta con l’attività di business ma leggera di asset immobiliari.
  • Vantaggio: se l’azienda operativa fallisce o è aggredita da creditori, i suoi immobili non sono toccati perché stanno nell’altra società, la quale non fallisce (a meno di garanzie in solido). Si trasforma quella immobiliare in una “cassaforte di famiglia” fuori dal rischio di impresa.
  • Questo spin-off aiuta anche nel passaggio generazionale: i figli non interessati a proseguire l’attività imprenditoriale possono tenere la partecipazione nell’immobiliare e vivere di rendita sugli affitti, mentre i figli attivi prendono la società operativa. Così nessuno resta scontento e non c’è litigio tra chi lavora in azienda e chi no.
  • Attenzione: tali scissioni vanno fatte quando la società è in bonis. Farlo mentre l’azienda è insolvente esporrebbe a revocatoria fallimentare (scissioni pre-fallimentari possono essere dichiarate inefficaci verso il fallimento se pregiudizievoli per i creditori). Anche l’Agenzia Entrate sta attenta che non siano fatte per eludere imposte (valutazioni di anti-avoidance).
  • La scissione immobiliare in tempi non sospetti, con perizia di congruità e continuità di soci, è di solito opponibile ai creditori futuri, a condizione che non vi sia intento fraudolento.

Società di famiglia e protezione da estranei: Oltre alla holding classica, la semplice adozione di patti parasociali può avere un riflesso protettivo. Ad esempio, i sindacati di blocco impediscono ai soci di vendere le proprie quote a terzi senza consenso reciproco, riducendo il rischio che, a seguito di pignoramenti o vicende personali, entrino soggetti estranei indesiderati nel capitale. Anche le clausole statutarie di prelazione o gradimento hanno simile funzione: se un creditore pignora e mette all’asta la quota di un socio, le clausole societarie possono dare prelazione agli altri soci o imporre requisiti all’acquirente. Ciò non ferma l’esecuzione, ma consente almeno controllo su chi subentra.

Simulazione pratica (holding & spin-off): Un imprenditore possiede un’azienda manifatturiera e un capannone. Decide di attuare uno spin-off: costituisce Alfa S.r.l. immobiliare a cui conferisce il capannone, e Beta S.r.l. industriale che fa la produzione, detenute entrambe dalla holding Famiglia S.r.l. Un domani Beta subisce un’ondata di cause per prodotti difettosi e finisce in crisi: i creditori aggrediscono Beta e i suoi beni (macchinari, scorte), ma non possono toccare il capannone poiché è di Alfa. Beta può anche fallire, ma Alfa rimane solvibile e continua a possedere l’immobile, che magari affitterà ad altre imprese (generando reddito per la famiglia). In sostanza, la famiglia ha perso la fabbrica ma ha preservato l’immobile di valore. Se invece tutto fosse rimasto in un’unica società, il capannone sarebbe stato venduto per pagare i debiti di Beta. Questo esempio mostra come la separazione ex ante delimita il campo di rovina.

Società semplice holding di famiglia

Già anticipata, la società semplice può essere un veicolo ottimale per fungere da holding familiare di partecipazioni e patrimoni mobiliari. Pro:

  • Non fallisce (quindi i beni lì dentro non sono mai coinvolti in procedure concorsuali).
  • Privacy: registra solo il minimo (registro imprese se esercita attività agricola o se richiesto, ma non deposita bilanci pubblici).
  • Flessibilità interna: pochi obblighi formali, niente organi di controllo, autonomia contrattuale (patti tra soci quasi totalmente liberi).
  • Protezione delle quote: come detto, i creditori personali dei soci non possono pignorare le quote, ma solo chiederne liquidazione.
  • Possibilità di limitare responsabilità: se la società semplice non svolge attività commerciale, i suoi debiti tipicamente saranno solo fiscali (bassa entità, tasse su eventuali redditi di capitale o affitti) e volendo, il contratto sociale può prevedere ripartizioni interne di responsabilità (anche se verso terzi comunque rispondono tutti i soci, a meno che il creditore accetti la limitazione conoscendola).
  • Continuità generazionale: la società semplice può durare per generazioni, basta che nel contratto sociale si preveda la continuazione con gli eredi e magari meccanismi per liquidare quelli non interessati. Non essendoci capitale nominale, il passaggio di quote può avvenire per atto tra vivi o successione con formalità ridotte (spesso non serve neanche atto pubblico, salvo immobili).

Conferire alla società semplice beni di famiglia (es. immobili dati in locazione, partecipazioni di società operative, portafogli finanziari) li isola dal rischio individuale dei singoli componenti della famiglia. Certo, se un giorno tutti i soci dovessero avere grossi debiti personali, i creditori potrebbero aggredire indirettamente la società chiedendone lo scioglimento, ma è scenario estremo e poco probabile in blocco.

In pratica, la società semplice funge spesso da cassaforte:

  • Emette magari fidiussioni alle banche per conto delle operative se necessario, con il suo patrimonio (cosa non sempre auspicabile, ma segno di forza).
  • Incassa utili sotto forma di dividendi dalle società di capitali e li redistribuisce ai soci in modo controllato.

Esempio: La famiglia Rossi mette le partecipazioni delle loro 3 aziende in Rossi & C. Società Semplice. Papà e mamma e figli sono soci. Una delle aziende, Rossi SpA, fallisce per una crisi di mercato. La società semplice perde valore nella partecipazione Rossi SpA (che ora vale zero), ma conserva le altre due aziende e magari immobili. I creditori di Rossi SpA non possono attaccare Rossi & C. S.s., né le altre aziende via di lei, perché soggetti distinti. Al massimo, se papà Rossi avesse dato garanzie personali, ne risponde lui, ma se non l’ha fatto e i soci mantengono distinte le sfere, il danno è circoscritto. La S.s. potrebbe anche intervenire con mezzi propri per ricapitalizzare l’azienda in crisi se lo ritenesse opportuno, fungendo da “polmone”.

Patti di famiglia e accordi parasociali

Già trattato in parte:

  • Il patto di famiglia (l. 55/2006) consente di congelare l’assetto proprietario in vista del passaggio generazionale. Evita impugnazioni e causa ai legittimari esclusi, offrendo compensazioni interne. Non serve direttamente a proteggere dai creditori, ma assicura che l’azienda resti a chi la può portare avanti, riducendo il rischio di cessioni affrettate o smembramenti che renderebbero l’azienda più debole e quindi più vulnerabile anche economicamente.
  • I patti parasociali (accordi di voto, sindacati di blocco) e le clausole statutarie come prelazione, possono rientrare nel concetto di protezione in senso lato: proteggono l’integrità proprietaria e il controllo, evitando ingressi sgraditi e mantenendo una visione comune. Un’azienda con compagine stabile è meno esposta a conflitti che possano degenerare in cause costose o richieste di scioglimento.

Domiciliazione societaria all’estero e asset protection internazionale

Un imprenditore particolarmente accorto potrebbe valutare:

  • Trasferimento della sede legale della holding o di società detentrici di attivi in ordinamenti con forte tutela della proprietà e con norme sui trust interne. Ad esempio, creare trust o fondazioni di famiglia in Svizzera, Liechtenstein, ecc., dove l’effetto segregativo è robusto e riconosciuto anche oltre confine (entro certi limiti di ordine pubblico).
  • Utilizzo di veicoli esteri: come accennato, la holding lussemburghese (Soparfi) o una LLC americana per detenere asset. Questo rende più complicato per un creditore italiano aggredire, dovendo passare per procedure internazionali. Non immunizza di per sé (con riconoscimento di sentenze può colpire ugualmente), ma fa da deterrente e allunga i tempi.
  • Trust estero: alcuni si affidano a trust in paradisi offshore sperando di sottrarli a giurisdizione. Tuttavia, va considerata la Convenzione Aja: l’Italia riconosce trust se c’è genuinità e leggi applicabili ammesse. Non riconoscerà, ad esempio, un trust destinato a violare norme imperative (es: trust auto-dichiarato a Panama fatto il giorno prima del fallimento – un giudice italiano potrebbe ignorare la legge straniera richiamandosi all’ordine pubblico).
  • In ogni caso, portare beni all’estero può sollevare questioni fiscali (monitoraggio, potenziali reati se si occultano capitali, ecc.), quindi va fatto sempre alla luce del sole e con consulenza.

Riepilogo e considerazioni

Abbiamo visto un ventaglio di tecniche e strumenti:

  • Forme giuridiche: passare dall’impresa individuale alla società di capitali è il primo step per proteggere il patrimonio personale.
  • Strutture societarie: frazionare il rischio tra più entità (holding, società figlie) e isolare asset strategici (immobili, liquidità) in entità separate.
  • Strumenti di destinazione patrimoniale: trust, fondi, vincoli – per segregare beni fuori dalla portata dei creditori.
  • Strumenti assicurativi e previdenziali: polizze vita, fondi pensione – per mettere al sicuro valori monetari.
  • Disciplina e prudenza gestionale: evitare commistioni, garanzie personali e condotte che possano portare a responsabilità personali.

È cruciale ribadire: nessuno strumento è assoluto o infallibile. La legge offre protezioni circoscritte e i creditori hanno vari rimedi per reagire. La chiave sta nel combinare più strategie in modo coerente e anticipare i problemi. Un patrimonio ben protetto spesso deriva da:

  • Pianificazione olistica: considerare aspetti legali, fiscali e successori insieme (per es., un trust può risolvere sia il tema ereditario sia quello protezione creditori).
  • Continuità e monitoraggio: non basta creare la struttura; va mantenuta e aggiornata se cambiano le leggi o la situazione (es. rivedere polizze se normative cambiano, adeguare patti societari, ecc.).
  • Consulenza multidisciplinare: come suggerito da esperti, servono una sorta di “ingegneria patrimoniale”, con avvocati, commercialisti, consulenti che lavorano insieme per disegnare la soluzione su misura.

Domande e risposte frequenti (FAQ) – Tutela del patrimonio

D: La mia azienda è in difficoltà e ho paura di perdere la casa. Posso salvarla in qualche modo?
R: La casa di abitazione è spesso l’asset più importante. Se siete coniugati, una strada poteva essere averla in comunione legale o ancor meglio in un fondo patrimoniale già costituito quando la situazione era tranquilla. Oggi, se la costituite ora, rischiate la revocatoria o l’inefficacia (specie per debiti bancari e fiscali connessi all’attività). Un trust potrebbe proteggerla trasferendola a un trustee per la famiglia, ma ancora una volta i creditori potrebbero opporsi se fatto adesso. Forse la cosa migliore è negoziare con i creditori un piano, magari far intervenire un parente che rilevi la casa a valore di mercato (monetizzando e pagando i debiti, se possibile). In ottica futura, se si supera la crisi, valutare di mettere la casa a nome di persona non coinvolta nell’impresa (con le dovute cautele e senza intenti elusivi) o in un trust familiare. Purtroppo se i debiti sono già conclamati, non esiste un modo legale e certo di salvare la casa all’ultimo minuto (ogni atto sarebbe passibile di revoca). Esistono leggi come il codice della crisi che escludono l’esecuzione sulla prima casa in alcuni procedimenti minori di sovraindebitamento, ma se parliamo di azienda soggetta a fallimento ciò non si applica.

D: Ho un socio con cui gestisco una SNC. Come posso tutelare i miei beni personali se l’azienda andasse male?
R: In una SNC lei è già illimitatamente responsabile per definizione. L’unica tutela reale sarebbe trasformare la società in una SRL (o costituirne una e trasferire l’attività). Nella trasformazione dovrete liquidare eventuali creditori dissenzienti e fornitori (la trasformazione in sé non vi esime dalle obbligazioni pregresse), ma dal momento in cui operate come SRL, i nuovi debiti saranno a carico solo della società. Inoltre, sarebbe opportuno stipulare un patto tra soci per evitare che uno dei due, senza l’altro, assuma rischi eccessivi o firmi garanzie a nome di entrambi. Valutate anche polizze assicurative a copertura di responsabilità civile (per esempio RC professionale se applicabile) e un’assicurazione Key-Man se uno dei due è critico: servirebbe almeno a fornire liquidità in eventi estremi. In sintesi: passare a una struttura a responsabilità limitata è il passo fondamentale. Attenzione però: le banche potrebbero chiedere fideiussioni personali per continuare gli affidamenti; cercate di evitarle o limitarle. E mantenete i patrimoni personali separati (non ipotecate case personali per debiti sociali, se potete).

D: Ho sentito parlare di “autonomia patrimoniale perfetta”. È vero che con una SRL sono sempre al sicuro personalmente?
R: La SRL offre autonomia patrimoniale perfetta, cioè i creditori della società di regola possono soddisfarsi solo sul patrimonio della società. Ciò significa che lei come socio (o amministratore) in condizioni normali non rischia i beni propri per i debiti della SRL. Ma attenzione alle eccezioni: se lei firma garanzie personali, quel patto contrattuale prevale (lei diventa debitore quanto la SRL). Se amministra male e fa illeciti o violazioni gravi, i creditori possono cercare di rivalersi su di lei (azione di responsabilità per mala gestio). Se non versa interamente il capitale sociale o non pubblica di essere socio unico, perde il beneficio (diventa illimitatamente responsabile per quei debiti). Quindi, “perfetta” sì, ma non assoluta: dipende dal suo comportamento. Possiamo dire: finché lei rispetta le regole e non si “auto-smina” con garanzie personali, la SRL la protegge molto bene.

D: Un mio creditore può far fallire una mia holding di famiglia che non ha debiti ma possiede azioni di altre società dove c’è stato un default?
R: Per far fallire una società occorre che essa sia insolvente (cioè non paghi i propri debiti). Se la sua holding non ha debiti propri rilevanti ed è solo proprietaria di quote, non c’è base per dichiararla fallita solo perché una sua partecipata fallisce. I creditori della partecipata possono tentare di attaccare la holding con teorie come l’eterodirezione (ad esempio sostenendo che la holding abbia diretto in modo abusivo la figlia causando il fallimento), ma è molto difficile da provare e raro. Se la holding ha prestato garanzie per la figlia insolvente, allora potrebbe subire escussioni su quelle garanzie: in tal caso se non paga neanche quelle, allora potrebbe diventare insolvente anche la holding. Ma se la holding è sana e i debiti della fallita non si propagano per garanzie, i creditori dovranno accontentarsi di liquidare i beni della fallita. Al massimo, la holding vedrà azzerato il valore della partecipazione in quella società, ma ciò non la fa fallire di per sé. Quindi, tenere la holding senza esposizioni dirette la rende robusta. L’importante è che la holding non abbia firmato lei fideiussioni o messo pegni per salvare la figlia (cosa che spesso le banche chiedono, ma in tal caso la holding si espone). Insomma, se la holding mantiene una posizione passiva e gestisce le partecipazioni, i guai di una controllata non si trasmettono automaticamente.

D: Meglio una fondazione o un trust per proteggere il patrimonio familiare a lungo termine?
R: Una fondazione è un ente con personalità giuridica che si può costituire per fini di pubblica utilità o anche per gestire patrimoni familiari (ad es. Fondazione di famiglia, in Italia non tipicissima ma possibile). La fondazione, una volta riconosciuta, ha patrimonio separato e propri organi – può essere efficace, però richiede scopo non egoistico (non può essere fatta al solo fine di mantenere la ricchezza in famiglia; deve avere un oggetto altruistico, culturale, assistenziale, etc., anche se la famiglia può mantenere ruoli di controllo). Una fondazione familiare puramente privata in Italia non è semplice da ottenere (a differenza di paesi come Olanda o Liechtenstein che hanno Stiftung apposite). Il trust invece è flessibile e può perseguire direttamente la cura dei membri della famiglia come beneficiari, senza dover dichiarare un fine altruistico pubblico. Dunque, per protezione patrimoniale familiare, il trust è di solito preferito. La fondazione potrebbe avere senso se si vuole destinare beni a scopi filantropici e al contempo assicurare magari un impiego per i discendenti nella gestione (es: fondazione museale intitolata alla famiglia), con vantaggi fiscali ed esenzione dalla successione. Ma come strumento di asset protection puro per patrimoni familiari, in Italia il trust è più immediato.

D: Ho ricevuto ingiunzioni da creditori. Se costituisco ora un vincolo di destinazione su un mio immobile, posso evitare il pignoramento?
R: Purtroppo no, se il creditore ha già un titolo (ingiunzione) e tra poco, suppongo, un precetto, siamo in fase di pericolo concreto. Addirittura, con l’ingiunzione esecutiva in mano, il creditore può avvalersi dell’art. 2929-bis c.c.: se lei trascrive oggi un vincolo ex 2645-ter, entro un anno quello è inefficace, il creditore può pignorare subito. Quindi costituirlo adesso non la proteggerà affatto, anzi potrebbe complicarle la posizione (mostrando una sua volontà di sottrazione). Diverso sarebbe se l’avesse messo anni fa per finalità genuine; ma farlo ora è sconsigliabile, rischia solo spese inutili. Meglio, se possibile, negoziare con il creditore un piano di rientro o ricorrere a procedure concorsuali minori (ad esempio un piano del consumatore o un accordo di ristrutturazione se ne ha i requisiti) per congelare le azioni esecutive e magari tenere l’immobile. In parallelo, valutare se quell’immobile possa essere messo in sicurezza facendolo acquistare da un terzo a valore di mercato con soldi destinati a pagare i debiti: questa è più una soluzione finanziaria che legale, ma a volte è praticabile (un parente compra la casa e con quei soldi lei paga i creditori, poi magari mantiene diritto di abitarvi). Costituire vincoli o trust postumo è quasi sempre inefficace.

D: Cosa rischia penalmente chi cerca di proteggere i beni in modo illecito?
R: Se la situazione sfocia in una procedura concorsuale (fallimento o liquidazione giudiziale), atti dispositivi del patrimonio fatti con doloso pregiudizio dei creditori possono integrare bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 l.fall.). Ad esempio, l’imprenditore che ha distratto beni ponendoli in un trust fittizio poco prima di fallire, potrebbe essere accusato di bancarotta fraudolenta, reato grave con pene detentive rilevanti. Anche fuori dal fallimento, esiste il reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” (D.Lgs. 74/2000, art.11) se si alienano beni per evadere il fisco (soglia almeno 50 mila € di imposte); e genericamente l’art. 388 c.p. punisce chi sottrae beni alle procedure esecutive (anche se qui la giurisprudenza tende a richiedere atti simulati o ingannevoli; un trust palese potrebbe non rientrarvi, ma c’è rischio interpretativo). Quindi, protezione sì, ma se si passa il limite nella frode conclamata, ci sono profili penali. L’ideale è non arrivare mai a situazioni di insolvenza tali per cui la protezione attivata sembri un depauperamento del patrimonio a danno dei creditori. Per questo l’insistenza: farlo prima, farlo in modo trasparente e lecito.

Conclusioni

Rendere “inattaccabile” il patrimonio aziendale è un obiettivo perseguibile solo in parte: l’ordinamento garantisce sempre ai creditori legittimi dei mezzi per soddisfarsi sui beni del debitore. Non esiste una bacchetta magica per diventare totalmente immuni, ma esistono tecniche valide per ridurre drasticamente il rischio che i beni finiscano preda di pretese altrui. La regola d’oro è la prevenzione: adottare per tempo l’architettura giuridica adeguata alla propria situazione, senza aspettare la tempesta.

Un imprenditore accorto:

  • Sceglie la struttura societaria adatta (preferendo la responsabilità limitata, utilizzando holding e societarizzando l’impresa individuale).
  • Mantiene separati i patrimoni personale e aziendale (niente commistioni di conti, evitare di indebitare la società per spese personali e viceversa).
  • Diversifica e compartimentalizza gli asset (immobili separati dall’attività, liquidità in veicoli protetti).
  • Pianifica la successione prima che la natura faccia il suo corso, usando trust o patti di famiglia per evitare blocchi aziendali dovuti ad eredi litigiosi.
  • Si assicura (letteralmente, con polizze) contro eventi catastrofali e per creare riserve impignorabili.
  • Non abusa mai di queste strutture per scopi illeciti: un asset protection fatto con onestà e lungimiranza reggerà molto meglio a eventuali contestazioni, perché fondato su scopi meritevoli (tutela familiare, continuità aziendale) e non su intenti fraudolenti.

In un’epoca di incertezze economiche e normative, proteggere il patrimonio non è egoismo, ma spesso dovere verso i propri cari, i soci e i dipendenti che da quel patrimonio (azienda o beni) dipendono. Naturalmente, deve essere fatto nel rispetto della legge, trovando quell’equilibrio tra pianificazione e adempimento delle obbligazioni. Come abbiamo visto, gli strumenti non mancano: sta al professionista saperli combinare e al cliente comprenderne la logica e portarla avanti coerentemente.

“La protezione patrimoniale non si esaurisce nella mera conformità alle leggi, ma si traduce nella capacità di anticipare le dinamiche che possono minare anni, se non generazioni, di lavoro”. Questa frase, emersa in un’intervista recente, riassume bene la filosofia: anticipare e strutturare. Con competenza, visione etica e strategica, si può costruire una barriera protettiva solida e proattiva attorno a ciò che conta davvero, senza eludere la legge ma sfruttandola a fin di bene.

Fonti

  1. Codice Civile e leggi collegate: articoli citati – art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale); art. 170 c.c. (fondo patrimoniale, limiti esecuzione); art. 2462 c.c. (responsabilità socio unico); art. 2929-bis c.c. (esecuzione su beni donati o vincolati); legge 132/2015 (introduzione 2929-bis); Convenzione Aja 1985 sui trusts; etc.
  2. Altro: dottrina notarile e fiscale (cit. Unistudio PDF su fondo patrimoniale); prassi concorsuale (es. Tribunale di Bergamo 2024 su nullità trust per frode, citato in Unijuris).

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Il patrimonio aziendale è sempre esposto a rischi in caso di insolvenza o di contestazioni da parte del fisco e dei creditori. Tuttavia, esistono strumenti giuridici per renderlo più sicuro e difficilmente aggredibile: dalla scelta della forma societaria corretta, alla costituzione di holding, trust, fondi patrimoniali o vincoli di destinazione. Una pianificazione preventiva è fondamentale per isolare i beni produttivi dalle pretese dei creditori e garantire continuità all’impresa.


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Conclusione
Rendere inattaccabile il patrimonio aziendale è possibile, ma serve una strategia legale preventiva e personalizzata.
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