Avviso Di Accertamento Legato A Conti O Redditi In Brasile: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché il Fisco ti contesta conti correnti o redditi detenuti in Brasile?
Grazie agli accordi internazionali sullo scambio di informazioni fiscali, l’Agenzia delle Entrate può accedere ai dati relativi a conti bancari, investimenti e immobili posseduti da contribuenti italiani in Brasile. Se tali attività non sono state dichiarate correttamente, il rischio è di ricevere un accertamento con richiesta di imposte, interessi e sanzioni molto pesanti.

Quando scattano le contestazioni
– Se non hai dichiarato conti correnti, depositi o investimenti detenuti in Brasile
– Se non hai compilato il quadro RW per il monitoraggio fiscale
– Se non hai dichiarato redditi da locazioni, dividendi, plusvalenze o altri proventi generati in Brasile
– Se i trasferimenti bancari da e verso il Brasile non risultano coerenti con i redditi dichiarati in Italia

Cosa rischia il contribuente
– Recupero delle imposte sui redditi esteri non dichiarati
– Sanzioni dal 3% al 15% degli importi non monitorati, con possibilità di aggravio in caso di violazioni gravi
– Interessi di mora che aumentano l’importo complessivo del debito
– Contestazione del reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione se superate le soglie penali
– Possibili sequestri, pignoramenti e ipoteche sui beni in Italia

Come difendersi da un avviso di accertamento legato al Brasile
– Verificare l’attendibilità e la correttezza dei dati ricevuti dal Fisco italiano tramite scambi internazionali
– Dimostrare che i redditi contestati sono già stati tassati in Brasile o non sono imponibili in Italia
– Produrre documentazione bancaria, fiscale e contrattuale che provi la provenienza lecita delle somme
– Contestare errori di calcolo, presunzioni arbitrarie o incongruenze nelle ricostruzioni dell’Agenzia delle Entrate
– Dimostrare la buona fede in caso di omissioni dovute a incertezza normativa o scarsa trasparenza informativa
– Utilizzare strumenti come dichiarazioni integrative o ravvedimento operoso se la contestazione non è ancora definitiva
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni dalla notifica

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione delle sanzioni attraverso la dimostrazione della buona fede o tramite definizioni agevolate
– La sospensione delle procedure esecutive collegate (cartelle, pignoramenti, ipoteche)
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di chiudere la posizione pagando solo quanto realmente dovuto

Attenzione: anche se il Brasile non è un paradiso fiscale, i redditi e i conti esteri non dichiarati vengono comunque considerati imponibili in Italia. Le contestazioni si basano spesso su presunzioni che possono essere ribaltate con prove documentali solide.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale, contenzioso tributario e difesa da accertamenti fiscali – ti spiega come affrontare un avviso di accertamento legato a conti o redditi in Brasile e quali strategie legali usare per difenderti.

Hai ricevuto un avviso di accertamento per conti o redditi in Brasile?
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Introduzione

In Italia vige il principio della tassazione mondiale dei redditi (worldwide taxation): un contribuente fiscalmente residente in Italia è tenuto a dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti, inclusi quelli esteri. Ciò significa che redditi provenienti dal Brasile – come interessi bancari su conti brasiliani, dividendi da società brasiliane, canoni di locazione di immobili in Brasile o redditi di lavoro svolto in Brasile – sono imponibili in Italia e vanno inseriti nella dichiarazione annuale dei redditi. Inoltre, il monitoraggio fiscale impone di dichiarare anche il possesso di attività finanziarie e patrimoniali estere (conti correnti, investimenti, immobili) nel quadro RW del Modello Redditi. La mancata dichiarazione di tali redditi o attività può far scattare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, con recupero delle imposte evase, sanzioni e interessi.

Negli ultimi anni, grazie alla cooperazione internazionale in materia fiscale, l’Amministrazione finanziaria ha potenziato gli strumenti per individuare capitali e redditi non dichiarati all’estero. Scambi automatici di informazioni come il Common Reporting Standard (CRS) dell’OCSE consentono all’Italia di ricevere dati sui conti finanziari detenuti da residenti italiani presso banche estere, incluso il Brasile. Il Brasile, avendo aderito al CRS, trasmette ogni anno alle autorità italiane informazioni su conti bancari e investimenti intestati a soggetti fiscalmente residenti in Italia. Ciò, unito alla convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni tra Italia e Brasile (in vigore dal 1981), rende assai più difficile occultare redditi o patrimoni detenuti in Brasile. In pratica, un conto non dichiarato in Brasile o redditi esteri non riportati in dichiarazione hanno oggi elevate probabilità di essere scoperti, attivando procedure di accertamento.

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamina dal punto di vista del contribuente (debitore) come affrontare efficacemente un avviso di accertamento relativo a conti bancari o redditi prodotti in Brasile. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati tributaristi, dottori commercialisti) sia a privati cittadini e imprenditori che si trovino ad affrontare un contenzioso con il Fisco italiano su investimenti esteri. Verranno illustrati i riferimenti normativi italiani rilevanti, le ultime novità legislative e i più recenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze di Cassazione aggiornate al 2024-2025) in materia di redditi esteri, con focus specifico sul Brasile. La guida comprende tabelle riepilogative (ad esempio sulle sanzioni applicabili), una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti, e alcune simulazioni pratiche basate su casi concreti (es. calcolo di imposte e sanzioni su un conto estero non dichiarato). Verranno trattati sia i profili tributari (imposte evase, sanzioni amministrative) sia i possibili profili penali, come il reato di omessa o infedele dichiarazione e il reato di autoriciclaggio in caso di movimenti volti a occultare proventi illeciti all’estero. Un’enfasi particolare sarà dedicata agli strumenti deflativi del contenzioso, ossia le soluzioni per evitare il processo tributario: ravvedimento operoso, accertamento con adesione, e più in generale la regolarizzazione spontanea per ridurre sanzioni ed evitare conseguenze penali.

In sintesi, chi ha ricevuto un avviso di accertamento per capitali o redditi detenuti in Brasile deve sapere che: (a) il Fisco italiano può legittimamente tassare quei redditi (salvo verificarne la residenza fiscale effettiva e l’applicazione delle convenzioni internazionali); (b) esistono presunzioni legali e norme severe per chi omette di dichiarare attività estere, ma anche possibilità di difesa e rimedi per attenuare le sanzioni; (c) se il reddito estero è già stato tassato in Brasile, grazie alla Convenzione contro le doppie imposizioni spetta un credito d’imposta in Italia, anche se il reddito non era stato dichiarato (come confermato da Cassazione 2024); (d) muoversi per tempo, magari tramite ravvedimento operoso prima che l’accertamento diventi definitivo, può ridurre drasticamente sia le sanzioni amministrative sia azzerare il rischio di sanzioni penali. Nei paragrafi che seguono esamineremo dapprima il quadro normativo di riferimento, poi come si svolge l’attività di accertamento sui redditi esteri, e infine come impostare la difesa del contribuente nelle varie fasi (fase pre-contenziosa e contenziosa).

Quadro normativo: obblighi dichiarativi e tassazione dei redditi esteri

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986) stabilisce all’art. 2 che sono residenti in Italia, ai fini fiscali, le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni l’anno) sono iscritte all’anagrafe della popolazione residente oppure hanno in Italia il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. La residenza fiscale implica, ai sensi dell’art. 3 TUIR, la tassazione in Italia dei redditi ovunque prodotti dal soggetto residente. Dunque, un cittadino italiano (o straniero) residente in Italia che possiede conti bancari in Brasile, investimenti finanziari o immobili in Brasile, deve dichiarare in Italia sia gli eventuali redditi finanziari (es. interessi, dividendi, plusvalenze) derivanti da tali attività sia i redditi patrimoniali (es. canoni di locazione di immobili siti in Brasile). Devono essere dichiarati anche i redditi di lavoro dipendente o autonomo svolto in Brasile, salvo il caso in cui il contribuente non sia considerato fiscalmente residente in Italia in base ai criteri sopra citati o in base alle regole della convenzione contro le doppie imposizioni applicabile.

Accanto all’obbligo di dichiarare i redditi esteri nel modello Redditi (nei relativi quadri Redditi: RL, RM, RT a seconda della tipologia di reddito), l’ordinamento italiano prevede l’obbligo del monitoraggio fiscale delle attività estere. Introdotto dal D.L. 167/1990 (conv. in L. 227/1990) e successivamente integrato, tale obbligo impone ai residenti di indicare nel Quadro RW della dichiarazione annuale tutte le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. In pratica, vanno riportati in RW i conti correnti, depositi, partecipazioni, investimenti e immobili detenuti all’estero, a scopo di controllo dei flussi di capitali. L’omessa compilazione del quadro RW comporta sanzioni amministrative specifiche (indipendenti dalle imposte sui redditi evase eventualmente sui relativi frutti) di cui diremo oltre. Inoltre, per alcune attività estere sono dovute imposte patrimoniali: ad esempio, su conti e attività finanziarie detenute all’estero si paga l’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere, pari normalmente al 0,2% annuo del valore, in analogia all’imposta di bollo italiana) e sugli immobili esteri si paga l’IVIE (Imposta sul valore degli immobili esteri, generalmente lo 0,76% annuo, analoga all’IMU). Queste imposte devono essere calcolate e versate in autoliquidazione nel modello Redditi. Ad esempio, un immobile in Brasile del valore di euro 100.000 comporta un’IVIE di circa 760 euro annui; un conto corrente in Brasile con giacenza media di euro 50.000 comporta un’IVAFE di 100 euro annui. La mancata indicazione in RW e il mancato pagamento di IVIE/IVAFE espongono il contribuente ad accertamento e sanzioni.

Sul piano internazionale, il rapporto fiscale tra Italia e Brasile è regolato dalla Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Brasile (firmata nel 1978 e ratificata con L. 29/11/1980 n. 844, in vigore dal 1981). Tale trattato bilaterale stabilisce criteri per evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte, ripartendo in alcuni casi la potestà impositiva tra i due Stati e prevedendo che il Paese di residenza conceda un credito d’imposta per le imposte pagate nel Paese della fonte del reddito. Ad esempio, in base alla Convenzione: i redditi immobiliari sono tassabili sia in Brasile (dove è sito l’immobile) sia in Italia (Paese di residenza del proprietario), ma l’Italia dovrà detrarre dall’IRPEF dovuta l’imposta patrimoniale o sul reddito pagata in Brasile su quegli immobili; gli stipendi per lavoro dipendente sono di regola tassabili solo nel Paese dove viene svolta l’attività lavorativa, purché il lavoratore vi soggiorni per oltre 183 giorni/anno e sia a carico di un datore locale – condizioni previste dall’art. 15 della Convenzione – altrimenti la tassazione compete anche allo Stato di residenza. Per interessi e dividendi, la Convenzione prevede un regime di tassazione concorrente: il Brasile in quanto fonte può applicare un’imposta limitata (generalmente max 15% sugli interessi, e 0% sui dividendi, poiché il Brasile storicamente non applica ritenuta sui dividendi distribuiti all’estero), mentre l’Italia tassa i medesimi redditi applicando le proprie aliquote (ad esempio il 26% sui dividendi percepiti da persone fisiche residenti, salvo esenzioni) ma deve concedere un credito per l’eventuale imposta pagata in Brasile. Un’importante particolarità del trattato Italia-Brasile è che, limitatamente ai dividendi societari, esso adotta il metodo dell’esenzione per evitare la doppia imposizione in alcuni casi: se un residente italiano detiene almeno il 25% del capitale di una società brasiliana, i dividendi distribuiti da quest’ultima sono esenti da tassazione in Italia (art. 23 par. 3 della Convenzione). Questa previsione – unica insieme a quella analoga della Convenzione con la Germania – consente dunque a società italiane “madri” di evitare qualsiasi tassazione sui dividendi provenienti da controllate brasiliane, indipendentemente dal fatto che il Brasile non prelevi alcuna imposta su tali dividendi. La Corte di Cassazione, con due sentenze gemelle del 2019 (nn. 30140 e 29635/2019), ha confermato che tale esenzione convenzionale va applicata in modo pieno, prevalendo sul diritto interno: i dividendi della società figlia estera vanno esclusi integralmente dal reddito imponibile italiano, senza condizioni ulteriori (ad esempio non rileva se l’utile societario estero sia stato effettivamente tassato o meno dallo Stato della fonte). Ciò in base al principio generale secondo cui in caso di conflitto prevalgono le norme della Convenzione internazionale rispetto a quelle domestiche. Dunque, un contribuente italiano ha diritto alla detassazione o al credito d’imposta secondo la Convenzione anche se non ha dichiarato originariamente quei redditi esteri: l’omessa dichiarazione in Italia non fa venir meno i benefici del trattato.

È importante evidenziare che il diritto interno italiano (art. 165 TUIR) contiene una disposizione restrittiva – il comma 8 – secondo cui il credito per imposte pagate all’estero non spetta qualora il reddito estero non sia stato indicato nella dichiarazione dei redditi italiana dell’anno di riferimento. In passato, l’Agenzia delle Entrate applicava rigidamente questa norma, negando il credito di imposta in sede di accertamento se il contribuente non aveva spontaneamente dichiarato il reddito estero. Tuttavia, la giurisprudenza più recente della Cassazione (2024) ha censurato tale approccio, ritenendo la norma interna incompatibile con gli obblighi assunti dall’Italia nelle Convenzioni internazionali. In particolare, con la sentenza n. 24160 del 9 settembre 2024 la Suprema Corte ha stabilito che, in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni, il credito per le imposte estere deve essere riconosciuto anche in caso di omessa dichiarazione del reddito estero in Italia, purché il contribuente fornisca la prova del pagamento dell’imposta all’estero. L’Italia, firmando la Convenzione con il Brasile, si è infatti obbligata in modo incondizionato a evitare la doppia imposizione: tale obbligo convenzionale prevale sulle limitazioni formali del TUIR. Pertanto il contribuente, anche se in difetto dichiarativo, ha diritto a detrarre l’imposta pagata in Brasile dall’imposta dovuta in Italia sul medesimo reddito, e le norme interne vanno interpretate di conseguenza (o disapplicate se contrastanti). Questo principio – confermato anche da altre sentenze di legittimità negli ultimi anni – costituisce un importante strumento difensivo, come vedremo, per chi si vede accertare redditi esteri già tassati oltreconfine.

Riassumendo, dal quadro normativo emergono alcuni capisaldi fondamentali:

  • Un residente fiscale italiano deve dichiarare in Italia i redditi esteri (inclusi quelli di fonte brasiliana) e le attività patrimoniali/finanziarie detenute all’estero (indicandole in Quadro RW). L’omissione espone a recupero d’imposta e sanzioni.
  • L’Italia-Brasile: esiste un trattato per evitare doppie imposizioni che prevede il credito d’imposta per i tributi pagati in Brasile (o in taluni casi l’esenzione). Il trattato prevale sul diritto interno: il contribuente non perde il diritto al credito estero solo perché non ha presentato la dichiarazione in Italia.
  • Esistono sanzioni amministrative specifiche per: (a) redditi non dichiarati (sanzione proporzionale sull’imposta evasa); (b) omessa indicazione di attività estere in RW (sanzione proporzionale sul valore dell’attività non dichiarata). Tali sanzioni possono essere mitigate mediante ravvedimento operoso spontaneo, ma diventano molto elevate se l’irregolarità è contestata dall’Ufficio.
  • In presenza di violazioni gravi (elevate imposte evase) possono configurarsi anche reati tributari (infedele o omessa dichiarazione). Inoltre, trasferire o occultare all’estero i proventi di evasione fiscale può integrare il reato di autoriciclaggio, introdotto nel 2015, con conseguenze penali severe e misure cautelari come il sequestro dei beni.

Nei capitoli seguenti analizzeremo come il Fisco italiano viene a conoscenza dei conti e redditi detenuti in Brasile (cooperazione internazionale), come è strutturato un avviso di accertamento in queste materie, e quali strategie il contribuente può adottare per difendersi efficacemente, evitando ove possibile un lungo contenzioso e facendo valere i propri diritti (ad esempio il credito d’imposta, la non tassabilità di alcune somme, la prescrizione dei periodi troppo risalenti, etc.).

Cooperazione internazionale e scoperta dei redditi esteri (CRS, FATCA, scambio Italia-Brasile)

Fino a qualche anno fa, detenere fondi o investimenti all’estero poteva sembrare al contribuente un modo per sottrarsi ai controlli del Fisco nazionale. Oggi non è più così: gli Stati collaborano attivamente per contrastare l’evasione fiscale internazionale. Uno snodo fondamentale è stata la normativa statunitense FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) del 2010, che ha costretto tutti i Paesi (Italia compresa, con accordo bilaterale del 2014) a comunicare periodicamente al fisco USA i conti detenuti da soggetti statunitensi. Sulla scia di FATCA, l’OCSE ha sviluppato il Common Reporting Standard (CRS), uno standard globale di scambio automatico di informazioni finanziarie. L’Italia e il Brasile aderiscono entrambi al CRS: ciò significa che le rispettive Amministrazioni finanziarie si trasmettono reciprocamente, ogni anno, i dati sui conti finanziari (conti correnti, depositi, custodial accounts, ecc.) detenuti presso intermediari finanziari dei due Paesi da parte di soggetti residenti nell’altro Paese. In pratica, le banche brasiliane identificano i correntisti/beneficiari italiani e comunicano al fisco brasiliano saldo e movimenti del conto; queste informazioni vengono poi inviate all’Italia entro scadenze prefissate (di norma entro il 30 settembre dell’anno successivo). Allo stesso modo, l’Italia comunica al Brasile i dati finanziari dei residenti brasiliani con conti in Italia.

Il Brasile figura nell’elenco delle giurisdizioni con le quali l’Italia scambia automaticamente informazioni finanziarie almeno dal 2018. Infatti, con il D.M. 9 maggio 2019 il MEF ha aggiornato l’allegato degli Stati oggetto di scambio automatico includendo, tra gli altri, proprio il Brasile (già attivo per lo scambio dei dati riferiti al 2018). Questo significa che a partire dai redditi del 2018 (comunicati nel 2019), l’Agenzia delle Entrate riceve annualmente dal Brasile dati puntuali su conti e investimenti intestati a contribuenti fiscalmente residenti in Italia. Le informazioni tipicamente trasmesse includono: generalità e codice fiscale del titolare, numero di conto, saldo di fine anno, importo totale degli interessi o dividendi accreditati sul conto durante l’anno. Tali informazioni forniscono all’Agenzia delle Entrate elementi per individuare redditi finanziari esteri non dichiarati (es. interessi attivi su un conto brasiliano) e anche per rilevare patrimoni non monitorati (es. saldi di conto non segnalati in RW).

Oltre al CRS (standard multilaterale), va ricordato che Italia e Brasile hanno anche un canale di cooperazione bilaterale previsto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni: l’art. 27 del trattato (scambio di informazioni) impegna le autorità fiscali dei due Paesi a scambiarsi tutte le informazioni pertinenti per applicare correttamente la Convenzione o le leggi fiscali interne, comprese informazioni bancarie (il segreto bancario non può essere opposto). Questo scambio avviene su richiesta (in presenza di un’indagine specifica) ma la prassi moderna è utilizzare lo scambio automatico CRS per la maggior parte dei casi, riservando le richieste mirate a situazioni particolari (es. indagini penali o casi non coperti dal CRS).

In aggiunta, l’Italia partecipa ad accordi di cooperazione internazionale più ampi: la Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale (MAC) e le direttive UE sullo scambio di informazioni (Direttiva 2011/16/UE come modificata dalla Dir. 2014/107/UE, cosiddetta DAC2 per lo scambio finanziario). Il Brasile ha sottoscritto la Convenzione MAC, rafforzando ulteriormente la rete di scambio di informazioni con l’Italia anche oltre il CRS (ad esempio per lo scambio di informazioni su richiesta e per l’assistenza nel recupero dei crediti tributari). In teoria, dunque, se un contribuente italiano con beni in Brasile viene accertato e non paga quanto dovuto in Italia, le autorità italiane potrebbero chiedere alla controparte brasiliana assistenza per riscuotere coattivamente il credito sul territorio brasiliano (anche se nella pratica l’assistenza internazionale nella riscossione è meno frequente e richiede un’apposita intesa in tal senso).

Dal punto di vista del contribuente, questa rete di cooperazione significa che è diventato altamente probabile che l’Agenzia delle Entrate venga a conoscenza di conti o investimenti non dichiarati in Brasile. Già in diversi casi negli ultimi anni, l’Agenzia ha utilizzato i dati per inviare cosiddette “lettere di compliance”: comunicazioni “soft” con cui avvisa il contribuente che risultano attività estere non dichiarate e lo invita a regolarizzare spontaneamente. Ad esempio, nel 2022 l’Agenzia ha inviato migliaia di lettere riguardanti anomalie sul periodo d’imposta 2018 emerse dallo scambio automatico di informazioni. Le lettere indicano sinteticamente l’attività estera (es. un conto corrente presso Banco do Brasil con saldo X) e invitano il contribuente a verificare la propria dichiarazione. In caso di ricezione di una simile comunicazione, il contribuente può ancora avvalersi del ravvedimento operoso per sanare l’omissione (come vedremo, la lettera di compliance non preclude il ravvedimento). Se invece il contribuente ignora la comunicazione o non provvede a regolarizzare, l’Agenzia procederà con un vero e proprio avviso di accertamento.

Da notare che il Brasile non è considerato un “paradiso fiscale” dalla normativa italiana: è un Paese a fiscalità ordinaria e con accordi di scambio informazioni pienamente operativi, ragion per cui il trattamento sanzionatorio delle attività non dichiarate in Brasile è più mite rispetto a quello previsto per i Paesi black list. In particolare, come vedremo, le sanzioni per omessa dichiarazione di investimenti esteri sono doppie solo se le attività finanziarie erano detenute in Stati o territori non cooperativi (es. paradisi fiscali senza accordi): in tal caso vige il raddoppio delle sanzioni (dal 6% al 30% del valore non dichiarato) e anche il raddoppio dei termini di accertamento. Il Brasile, essendo nella “white list” dei Paesi collaborativi, non comporta di per sé l’automatica attivazione di queste misure eccezionali. Tuttavia, l’Agenzia può comunque contestare le annualità pregresse entro i termini ordinari (che, come vedremo, possono arrivare fino a 8 anni in presenza di omessa dichiarazione).

In sintesi, la cooperazione internazionale attiva tra Italia e Brasile rende altamente sconsigliabile lasciare somme o redditi brasiliani non dichiarati. Se in passato qualcuno confidava sulla distanza geografica o sul segreto bancario locale, oggi quei fattori non costituiscono più un ostacolo per il Fisco. È molto più prudente e conveniente dichiarare spontaneamente e, se ci si rende conto di omissioni passate, correre ai ripari tramite ravvedimento operoso prima che i dati vengano incrociati e sfocino in un accertamento vero e proprio.

Nei prossimi paragrafi esamineremo cosa succede quando, a seguito di queste attività di cooperazione e controllo, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento relativo a redditi/attività in Brasile: analizzeremo il contenuto tipico di tali avvisi, i periodi accertabili, le presunzioni utilizzate e come leggere le contestazioni mosse al contribuente.

L’avviso di accertamento per conti e redditi esteri: caratteristiche e presupposti

L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente un’imposta in più da pagare, comprensiva di sanzioni e interessi, rispetto a quanto dichiarato o versato. Nel caso di redditi o conti esteri non dichiarati, l’accertamento scaturisce di norma da attività di controllo fiscale su informazioni ricevute dall’estero (es. segnalazioni CRS) oppure da verifiche finanziarie (ad es. accertamenti bancari mirati se il contribuente è oggetto di indagine). Prima di emettere l’avviso, l’Ufficio può inviare al contribuente questionari o inviti a comparire per chiarimenti, ma ciò non sempre avviene: in presenza di elementi documentali chiari (ad es. i dati forniti dal Brasile), si può procedere direttamente all’atto impositivo.

Un avviso di accertamento relativo a conti o redditi esteri generalmente contiene:

  • Anno o anni d’imposta accertati: es. 2017, 2018 e 2019 (gli anni per cui risultano attività non dichiarate).
  • Descrizione dei rilievi: l’Ufficio spiega che, a seguito di controlli, sono emersi redditi di fonte estera non dichiarati o investimenti esteri non monitorati. Vengono indicati gli importi e la natura (ad es. “interessi attivi per €5.000 accreditati nel 2018 su conto corrente n. XYZ presso Banco Bradesco in Brasile, non dichiarati ai fini IRPEF né indicati in Quadro RW”).
  • Motivazione giuridica: vengono citate le norme violate (es. art. 4 D.L. 167/90 per omessa compilazione RW; artt. 2 e 3 TUIR per omessa dichiarazione di redditi esteri) e il metodo con cui si è quantificato il maggior reddito. Potrebbero essere richiamate presunzioni fiscali: ad esempio, l’art. 6 D.L. 167/90 prevede una presunzione di redditività degli investimenti esteri non dichiarati, secondo cui tali investimenti si presumono produttivi di un reddito pari al tasso ufficiale medio di interesse. Inoltre, se l’investimento era in un paradiso fiscale (non il caso del Brasile), l’art. 12 co.2 D.L. 78/2009 fa presumere che l’intero capitale derivi da redditi sottratti a tassazione in Italia.
  • Imposta accertata: viene ricalcolata l’imposta dovuta in Italia aggiungendo i redditi esteri non dichiarati. Ad esempio, se nel 2018 il contribuente aveva €5.000 di interessi su conto brasiliano non dichiarati, l’Agenzia calcola l’IRPEF dovuta su quei €5.000 (aliquota dipendente dallo scaglione di reddito del contribuente, oppure 26% se ritenuto reddito di capitale a tassazione separata).
  • Sanzioni amministrative: l’avviso liquida le sanzioni pecuniarie previste dalla legge. Per i redditi non dichiarati, si tratta della sanzione per infedele dichiarazione: fino al 2023 tale sanzione era dal 90% al 180% dell’imposta evasa, mentre per le violazioni dal 2024 in poi è fissata al 70% fisso della maggior imposta dovuta (grazie alla riforma delle sanzioni, D.Lgs. 29/11/2023 n. 156, in vigore dal 2024). Se però la dichiarazione era totalmente omessa (il contribuente non aveva presentato affatto il modello Redditi), la sanzione sale dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. Oltre a ciò, si applica la sanzione per omesso monitoraggio RW: pari al 3%–15% dell’ammontare non dichiarato (per il Brasile, Paese collaborativo). Tale sanzione RW è calcolata, di regola, sul valore massimo raggiunto dall’investimento estero nel corso dell’anno o sul saldo al 31/12. Se l’attività estera ha prodotto anche redditi non dichiarati, le due sanzioni (infedele + RW) sono cumulabili, trattando il monitoraggio come violazione distinta rispetto all’evasione d’imposta.
  • Interessi di mora: sono calcolati sulle imposte non versate, dal momento in cui erano dovute (tipicamente dal termine di versamento saldo/acconto di quell’anno) fino alla data dell’accertamento. Il tasso è quello legale (negli ultimi anni circa lo 0,5%-1% annuo, ma recentemente aumentato).
  • Termine di pagamento: il contribuente ha 60 giorni dalla notifica per pagare le somme (imposte + sanzioni ridotte di 1/3 in caso di acquiescenza + interessi) oppure per presentare ricorso. È indicato che trascorso il termine, l’accertamento diventa esecutivo e verranno avviate le procedure di riscossione coattiva.

Un punto cruciale è capire quante annualità pregresse possono essere accertate. I termini di decadenza dell’accertamento, per le imposte sui redditi, sono stabiliti dal DPR 600/1973:

  • In caso di dichiarazione presentata, l’Ufficio deve notificare l’avviso entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (ad esempio, per redditi 2019 dichiarati nel 2020, il termine è il 31/12/2025).
  • In caso di dichiarazione omessa (il contribuente non ha presentato il modello Redditi affatto), il termine è più lungo: 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Questi sono i termini ordinari. Esistono tuttavia proroghe/raddoppio dei termini in particolari circostanze, applicabili anche per i redditi esteri:

  • Raddoppio per paradisi fiscali: Come accennato, l’art. 12 co.2-ter D.L. 78/2009 prevede che se le attività non dichiarate erano in Paesi a fiscalità privilegiata (black list), i termini di accertamento raddoppiano. Questo non riguarda il Brasile, poiché non è black list.
  • Raddoppio per reati tributari: In passato la scoperta di fatti costituenti reato comportava il raddoppio automatico dei termini, ma oggi ciò avviene solo se l’Amministrazione trasmette notizia di reato alla Procura prima della scadenza dei termini ordinari (art. 2 D.Lgs. 128/2015). Quindi, se l’evasione è di entità tale da configurare un reato (v. infra, soglie penali), l’Ufficio può estendere il controllo oltre il quinto o settimo anno, ma deve inviare la denuncia penale tempestivamente. Ad esempio, se la scoperta di redditi esteri non dichiarati per il 2016 configura il reato di omessa dichiarazione, l’Agenzia può notificare l’avviso fino al 31/12/2024 (invece del 31/12/2023) purché entro il 2023 abbia inoltrato la denuncia per quel reato.

In generale, dunque, per redditi esteri non dichiarati di fonte brasiliana (Paese collaborativo), l’Agenzia può contestare fino a 5 anni indietro (se il contribuente aveva comunque presentato dichiarazioni, anche incomplete) oppure fino a 7 anni (se non presentava affatto dichiarazioni). Ad esempio, un avviso notificato nel 2025 potrebbe riguardare le annualità fino al 2018 (dichiarazione 2019) in caso di infedele, o addirittura fino al 2016 (dichiarazione 2017) in caso di omessa dichiarazione totale. Oltre tali limiti, l’accertamento sarebbe decaduto e impugnabile per intervenuta prescrizione dei termini. Sarà onere del contribuente eccepirlo nel ricorso, qualora l’Ufficio abbia sbagliato nel calcolo dei termini (evenienza rara, ma possibile).

Un altro aspetto peculiare degli accertamenti su conti esteri è l’onere della prova e l’utilizzo di presunzioni legali. Il Fisco spesso non conosce la natura esatta di tutte le movimentazioni sui conti esteri, ma la legge gli fornisce strumenti per presumere che tali disponibilità siano frutto di redditi non dichiarati. Ad esempio, l’art. 6 del D.L. 167/90 prevede che “gli investimenti e le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti in Stati esteri si presumono, salvo prova contraria, costituiti con redditi sottratti a tassazione”. Questa presunzione – inizialmente riferita solo ai Paesi black list, ma in passato estesa transitoriamente anche ad alcuni scudi fiscali – significa che, se il contribuente non prova il contrario, l’intero valore del conto estero potrebbe essere considerato come reddito non tassato (da tassare quindi come reddito dell’anno di emersione). Tuttavia, va sottolineato che tale presunzione piena opera soprattutto per i paradisi fiscali. Nel caso di Paesi collaborativi come il Brasile, l’approccio è in genere diverso: l’Ufficio tende a focalizzarsi sui redditi effettivamente prodotti da quegli investimenti (interessi, dividendi, ecc.) e non sul capitale in sé, a meno che non emergano versamenti sospetti di capitali dall’estero non giustificati. Ad ogni modo, qualora l’accertamento equiparasse indebitamente il patrimonio estero a un reddito tassabile, il contribuente potrà difendersi fornendo prova della provenienza legittima e fiscalmente regolare di quei capitali (ad es. dimostrando che il saldo conto è frutto di redditi già tassati in anni precedenti, o di donazioni, eredità, ecc.).

Infine, ogni avviso di accertamento deve indicare i rimedi esperibili: normalmente, l’Ufficio segnala la possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione (per definire bonariamente la pretesa) entro i 60 giorni, oppure di proporre ricorso alla Commissione/Tribunale Tributario entro 60 giorni (estesi a 150 in caso di adesione). Spesso l’Agenzia informa anche che, in caso di pagamento entro 60 giorni senza ricorso (c.d. acquiescenza), si applica la riduzione di un terzo delle sanzioni. Queste opzioni saranno discusse dettagliatamente più avanti, quando tratteremo delle strategie per evitare o gestire il contenzioso.

In sintesi, l’avviso di accertamento per redditi esteri in Brasile concretizza le contestazioni del Fisco ed è un atto complesso, ma conoscendone la struttura il contribuente può già trarre informazioni utili per la difesa. Bisogna verificare attentamente:

  • Quali annualità sono toccate (e se i termini sono rispettati).
  • Quali importi e redditi specifici sono contestati (e se eventualmente erano già stati tassati in Brasile).
  • Che basi legali e presunzioni vengono invocate dall’Ufficio.
  • L’importo delle imposte e delle sanzioni richieste (valutando se ci sono errori di calcolo o duplicazioni).
  • Le opportunità di definizione agevolata indicate (adesione, acquiescenza).

Nel prossimo capitolo vedremo come difendersi da un simile avviso: sia tramite strumenti pre-contenziosi (ravvedimento operoso tardivo, adesione) che nel contenzioso tributario vero e proprio (ricorso, eccezioni, prove), sottolineando gli aspetti su cui il contribuente-debitore può far leva (doppia imposizione, mancanza di prova di certi redditi, ecc.) per ottenere un esito favorevole o almeno attenuare le sanzioni.

Come difendersi: strategie immediate e analisi dell’avviso

Affrontare un avviso di accertamento per conti o redditi non dichiarati in Brasile richiede un approccio metodico e tempestivo. Ecco le prime mosse da compiere una volta ricevuto l’atto:

1. Leggere attentamente l’avviso e capire le contestazioni. Può sembrare banale, ma la prima difesa è comprendere esattamente cosa viene contestato. Bisogna identificare per ogni anno:

  • Quali redditi esteri sono stati aggiunti (interessi, dividendi, affitti, ecc.) e in che misura.
  • Se è contestata anche l’omessa dichiarazione RW di certi asset (e quali).
  • L’ammontare delle imposte evase secondo l’Ufficio e delle sanzioni applicate.
  • Gli eventuali richiami a norme (per capire se si è in presenza di presunzioni legali, ad es. se citano l’art. 12 D.L. 78/09 su paradisi fiscali, anche se non dovrebbe riguardare il Brasile, o altre norme).

Questa analisi serve per individuare possibili errori o eccessi dell’accertamento. Ad esempio, se l’Agenzia avesse erroneamente trattato il Brasile come Paese non cooperativo applicando sanzioni doppie (6-30% invece di 3-15%), ciò sarebbe contestabile. Oppure l’Ufficio potrebbe aver tassato come “reddito” un semplice trasferimento di fondi già tassati (ad esempio, se sul conto brasiliano è arrivato un bonifico dall’Italia di denaro già dichiarato: quello non è un reddito nuovo, ma solo movimento di capitale).

2. Verificare la documentazione a supporto. L’avviso spesso elenca documenti o informazioni su cui si basa (es. “in base ai dati CRS trasmessi dall’Autorità fiscale brasiliana”). Il contribuente ha diritto di accedere agli atti e ottenere copia di tali documenti. È importante procurarsi:

  • Gli estratti conto o report delle attività finanziarie estere in questione (spesso forniti dallo scambio internazionale). Ad esempio, potrebbe esserci un prospetto con saldo al 31/12 e interessi totali annui accreditati.
  • Eventuali questionari compilati o comunicazioni pregresse (se c’è stata una fase istruttoria).
  • In generale, qualunque elemento probatorio posto a base dell’accertamento.

Confrontando questi dati con la propria documentazione personale, il contribuente può rilevare discrepanze. Talvolta le banche estere commettono errori nel comunicare i dati (ad esempio, indicano erroneamente come titolare una persona che invece aveva firma disgiunta ma non era intestatario effettivo; oppure segnalano un conto cointestato attribuendone l’intero saldo a ciascun cointestatario). Se vi sono inesattezze fattuali, è fondamentale segnalarle subito all’Agenzia, possibilmente in modo documentato.

3. Valutare la propria posizione fiscale complessiva per quegli anni. Bisogna poi inserire le somme accertate nel contesto della dichiarazione italiana di quei periodi:

  • Il contribuente aveva già dichiarato altri redditi? In tal caso, gli importi accertati potrebbero spostare gli scaglioni IRPEF. Ad esempio, se i redditi italiani dichiarati erano €30.000 e si aggiungono €10.000 di redditi esteri, parte di questi €10.000 sconteranno un’aliquota IRPEF più alta (38% anziché 27%), generando un’imposta evasa maggiore. Bisogna verificare se l’Ufficio ha calcolato correttamente l’IRPEF aggiuntiva secondo gli scaglioni applicabili.
  • Il contribuente ha pagato imposte in Brasile su quei redditi? Questo è cruciale: se ad esempio su un interesse bancario di €5.000 la banca brasiliana avesse applicato una ritenuta (diciamo il 15%), significa che €750 sono stati pagati al fisco brasiliano. In base alla Convenzione, l’Italia dovrebbe riconoscere quei €750 come credito. Come detto, l’Agenzia tendeva in passato a negarlo se il reddito era occultato, ma la Cassazione ha sancito il contrario. È dunque necessario raccogliere le prove di tali pagamenti esteri (es. certificazione della banca circa le imposte prelevate, copia delle dichiarazioni dei redditi brasiliane se il contribuente le ha presentate, ecc.).
  • Residenza fiscale: valutare se per caso in quell’anno il contribuente potrebbe sostenere di non essere residente in Italia (magari era iscritto all’AIRE e viveva stabilmente in Brasile). Questo è un terreno complesso, ma se veramente la persona si era trasferita all’estero e l’accertamento italiano è erroneo perché non c’era residenza fiscale, ciò va ovviamente fatto valere con solide prove (contratti d’affitto, famiglia a seguito, lavoro all’estero, ecc.). In genere tuttavia, se uno viene accertato per redditi esteri, l’Agenzia lo considera residente (potrebbe aver fatto controlli incrociati su iscrizione AIRE, bollette, ecc.). Contestare la residenza è una difesa radicale (se riesce, annulla tutto perché i redditi esteri di un non residente non sono tassabili qui) ma difficile, e di solito riguarda casi di esterovestizione (fittizia espatrio) che esulano dallo scopo di questa guida, focalizzata su chi di fatto è residente in Italia.

4. Considerare la possibilità di adesione o ravvedimento (temi che approfondiremo): già nella fase iniziale, il contribuente deve decidere l’atteggiamento generale. Se ritiene che l’accertamento sia corretto nei fatti (ha effettivamente omesso quei redditi) e che sarebbe arduo vincere in giudizio, può essere saggio puntare a ridurre il danno tramite gli strumenti deflattivi: accertamento con adesione o acquiescenza con sanzioni ridotte. Se invece emergono chiari motivi di illegittimità o errori (ad es. doppi calcoli, applicazione di norme inesatte, violazione del diritto al contraddittorio, ecc.), allora si potrà pensare al ricorso. In ogni caso, può essere utile presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 giorni: questo congela i termini per il ricorso e offre la chance di discutere con l’Ufficio. Anche senza voler per forza concludere un accordo, l’adesione permette di capire la disponibilità dell’Agenzia a rivedere alcune posizioni (ad esempio, ammettere il credito per imposte estere se inizialmente negato, o concordare una riduzione delle sanzioni).

5. Attenzione ai termini! Dal giorno di notifica dell’avviso decorrono i 60 giorni per impugnare: se si fanno passare, l’atto diviene definitivo e incontestabile. Dunque, anche mentre si valuta l’adesione, occorre predisporre il ricorso per sicurezza (che poi si perfezionerà solo se l’adesione fallisce). Inoltre, se l’importo è elevato e il contribuente rischia difficoltà a pagare, entro 60 giorni può anche chiedere sospensione giudiziale al tribunale tributario (dimostrando il periculum di un danno grave dalla riscossione immediata).

In generale, l’analisi dell’avviso con l’aiuto eventualmente di un professionista (avvocato tributarista o commercialista esperto in fiscalità internazionale) è la base per impostare la difesa. Spesso, in ambito di redditi esteri, i punti contestabili sono: la doppia imposizione (mancato credito d’imposta, su cui come visto si ha buon diritto a insistere), la quantificazione del reddito (ad esempio l’Ufficio potrebbe aver considerato tassabile una somma che in realtà era esente o non un reddito imponibile – si pensi a un risarcimento o una pensione esente), la prescrizione di annualità troppo remote, e talvolta vizi procedurali (ad es. mancata notifica di un previo invito obbligatorio nei casi di accertamento parziale ex art. 41-bis DPR 600, anche se per redditi esteri l’Agenzia procede con accertamento ordinario di norma).

Nei prossimi paragrafi entreremo nel dettaglio delle strategie difensive, distinguendo tra soluzioni pre-contenziose per evitare il processo (ravvedimento, adesione) e difese in sede di contenzioso tributario (ricorso e successivi gradi). Analizzeremo anche come sfruttare a proprio vantaggio i più recenti orientamenti giurisprudenziali (es. Cassazione sul credito estero) e quali prove fornire per ribaltare le presunzioni del Fisco.

Strumenti deflativi: come evitare (o risolvere) il contenzioso tributario

Prima di addentrarsi nel ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria), è opportuno valutare le vie che consentono di definire la controversia senza arrivare al giudice. Il legislatore e l’Amministrazione mettono a disposizione vari strumenti deflativi del contenzioso, che spesso – a fronte dell’accettazione (totale o parziale) della pretesa fiscale – garantiscono significativi benefici in termini di riduzione delle sanzioni. Nel contesto di redditi esteri non dichiarati, questi strumenti assumono particolare rilievo perché il contribuente potrebbe preferire sanare la propria posizione limitando il più possibile le penalità, anziché ingaggiare una lunga battaglia legale dall’esito incerto.

Ravvedimento operoso (anche tardivo)

Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997) è la regolarizzazione spontanea delle violazioni tributarie da parte del contribuente, mediante pagamento del dovuto e di sanzioni ridotte proporzionalmente al ritardo. Normalmente il ravvedimento si effettua prima che la violazione sia contestata o che siano iniziati accessi/controlli di cui il contribuente ha formale conoscenza. Ricevere un avviso di accertamento significa che ormai la violazione è stata formalmente contestata, e quindi il ravvedimento “ordinario” non è più ammesso. Tuttavia, è utile parlarne per capire cosa si sarebbe potuto fare prima e perché l’Agenzia invia le lettere di compliance: chi avesse ricevuto, ad esempio, una segnalazione di anomalia RW prima dell’emissione dell’avviso avrebbe potuto ravvedersi ed evitare proprio l’accertamento.

Nel ravvedimento ordinario, la sanzione per infedele dichiarazione (oggi 70%) viene ridotta in base al momento in cui si rimedia: ad esempio se ci si ravvede entro 90 giorni, la sanzione scende a 1/9 del minimo (minimo 70%, quindi circa 7.78%); entro 1 anno scende a 1/8 (8.75%), entro 2 anni 1/7, oltre 2 anni 1/6 (≈11.67%). Analogamente la sanzione RW (minimo 3%) si ridurrebbe ai medesimi frazionamenti. Quindi, ravvedersi spontaneamente prima di controlli comporta pagare imposte + interessi + una frazione molto piccola di sanzioni, evitando il salasso dell’accertamento.

Detto ciò, dopo la notifica dell’avviso il ravvedimento classico non è più applicabile. Non è però del tutto persa la possibilità di uno sconto sanzionatorio: l’ordinamento prevede comunque l’acquiescenza agevolata all’avviso, di cui diremo a breve, che riduce le sanzioni ad 1/3. Inoltre, va ricordato che in sede penale il ravvedimento operoso conserva un effetto importantissimo: se il contribuente, prima che inizino procedimenti penali o verifiche, paga integralmente imposte, sanzioni e interessi dovuti, i reati di omessa o infedele dichiarazione non sono punibili (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Dunque chi regolarizza spontaneamente prima di essere scoperto ottiene non solo sconti sulle sanzioni amministrative ma anche una sorta di “scudo penale” per i reati tributari correlati. Se invece l’accertamento è già partito, tale esimente non è più invocabile – ma in caso di procedimento penale resta comunque possibile estinguere la pena col pagamento, come vedremo.

Una particolare forma di ravvedimento è stata introdotta dalla legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) con il “ravvedimento speciale”, che consentiva di sanare infedeltà dichiarative relative agli anni fino al 2021 con sanzione ridotta a 1/18 (5%) e pagamento frazionato in 8 rate trimestrali. Tuttavia, tale istituto aveva escluso espressamente le violazioni sul monitoraggio quadro RW, e comunque il termine per aderirvi (31/03/2023 per la prima rata) è ormai decorso. Pertanto, attualmente (luglio 2025) non vi sono ravvedimenti straordinari aperti: resta solo il ravvedimento ordinario.

In pratica, se avete già ricevuto l’avviso per redditi esteri, il ravvedimento non è più utilizzabile in senso stretto. Ma se siete ancora nella fase della lettera di compliance (o se, addirittura, non siete stati ancora individuati), conviene seriamente considerare di ravvedersi: presentare una dichiarazione integrativa per gli anni non prescritti, inserire i redditi esteri non dichiarati, pagare le relative imposte con sanzioni ridotte e interessi. Questo vi metterà al riparo da successivi avvisi e in genere costerà molto meno in termini di sanzioni. Inoltre, come detto, in caso di ravvedimento integrale prima di notizie di reato, non si verrà puniti penalmente per eventuali soglie penalmente rilevanti.

Nel contesto del nostro caso (avviso già emesso), passiamo dunque agli altri strumenti.

Accertamento con adesione

L’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) è una procedura che permette al contribuente e all’ufficio accertatore di concordare il contenuto dell’accertamento, evitando il ricorso. Si attiva su iniziativa del contribuente, che entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso può presentare un’istanza di adesione all’Agenzia delle Entrate (all’ufficio che ha emesso l’atto). La presentazione dell’istanza sospende automaticamente i termini per impugnare per 90 giorni, congelando di fatto la situazione.

Nei casi di redditi esteri, l’adesione è spesso un momento utile per interloquire con l’ufficio e magari fornire in quella sede elementi che possano indurre a una parziale riduzione dell’accertato. Ad esempio, il contribuente potrebbe presentarsi all’incontro con la documentazione che attesta le imposte pagate in Brasile: l’ufficio, preso atto, potrebbe accettare di riconoscere in adesione il credito per quelle imposte (abbattendo così l’IRPEF accertata). Oppure potrebbero emergere errori (es: un reddito era già stato dichiarato altrove) e l’ufficio potrebbe ridurre l’imponibile. Ovviamente, l’adesione richiede la disponibilità del contribuente a rinunciare al ricorso e viceversa dell’Agenzia a venire a patti, cosa che non è garantita.

Se però si raggiunge l’accordo, viene redatto un atto di adesione con le nuove somme concordate. I vantaggi per il contribuente sono notevoli:

  • Le sanzioni applicate sull’imposta evasa vengono ridotte ad 1/3 del minimo previsto (o di quello irrogato). Ad esempio, se l’accertamento riportava una sanzione del 90% (minimo edittale infedele ante 2024), aderendo si paga il 30%. Se la sanzione era 70% (nuovo regime) si riduce circa al 23%.
  • Si evita il contenzioso e il rischio di dover pagare, in caso di soccombenza, anche spese di giudizio.
  • Il pagamento può avvenire in forma rateale fino a 8 rate trimestrali (12 se importo > €50.000 di tributo). La prima rata va versata entro 20 giorni dalla firma dell’adesione. Le rate successive subiscono un modesto interesse.
  • Una volta perfezionato il pagamento (della prima rata o dell’unica soluzione), l’accertamento si definisce e non potrà essere impugnato né aggravato.

Nel decidere se chiedere l’adesione, il contribuente dovrebbe valutare: ho margini per ottenere una riduzione significativa? Se la pretesa è palesemente errata in toto, tanto vale fare ricorso; se invece l’errore è mio ma posso far valere qualche argomento (credito d’imposta, sanzione eccessiva, ecc.) forse l’adesione è la via migliore per chiudere con danni limitati.

Durante il contraddittorio dell’adesione, è importante collaborare con trasparenza, ma anche far valere con decisione le proprie ragioni. Ad esempio, si può evidenziare che il contribuente ha già subito tassazione in Brasile (mostrare documenti) e che dunque, in virtù della Convenzione, occorre evitare la doppia imposizione. Oppure segnalare che certi importi non rappresentano redditi imponibili (ad esempio, movimenti tra conti dello stesso titolare). Gli uffici, a differenza del giudice, hanno una certa discrezionalità e possono accogliere parzialmente queste tesi per trovare un accordo.

Se l’adesione fallisce (nessun accordo entro i 90 giorni, o il contribuente rinuncia prima), l’effetto è che i 60 giorni per il ricorso riprendono a decorre dalla notifica del diniego o dalla scadenza dei 90 giorni sospesi. Quindi, attenzione: non bisogna farsi trovare impreparati; il ricorso va predisposto in bozza durante la sospensione, pronto a essere depositato se serve.

Acquiescenza e riduzione delle sanzioni

L’acquiescenza consiste nel non impugnare l’avviso di accertamento e pagare quanto richiesto entro i 60 giorni, beneficiando di uno sconto sulle sanzioni. Precisamente, l’art. 15 D.Lgs. 218/1997 prevede che, in caso di mancata impugnazione e pagamento entro 60 giorni, le sanzioni irrogate si riducono ad 1/3 (lo stesso beneficio dell’adesione). In pratica l’acquiescenza ha effetti simili all’adesione, ma senza contraddittorio: il contribuente accetta integralmente l’accertamento così com’è (salvo lo sconto sanzioni di legge).

Conviene dunque ricorrere all’acquiescenza quando l’atto è corretto e non si hanno appigli difensivi, oppure quando l’Agenzia, anche su sollecitazione del contribuente, abbia già rettificato eventuali errori in autotutela. Ad esempio, supponiamo che dopo la notifica l’Ufficio, su nostra segnalazione informale, riconosca il credito per le imposte pagate in Brasile rideterminando il dovuto (questo a dire il vero richiederebbe un nuovo atto o un annullamento parziale in autotutela). A quel punto, se la somma ci sta bene, paghiamo col terzo di sanzioni e chiudiamo.

Da notare che adesione e acquiescenza non sono cumulabili: se chiedo adesione, trascorsi i 60 gg l’acquiescenza non è più possibile (infatti il termine è sospeso e poi riparte, ma se non concludo l’adesione posso sempre pagare entro i 20 gg successivi al verbale adesione con lo stesso beneficio). In pratica, o scelgo la via negoziale (adesione) o pago e basta (acquiescenza).

L’acquiescenza consente anch’essa la rateazione delle somme dovute oltre €50.000 (fino a 20 rate trimestrali). È importante rispettare i termini di pagamento: se uno fa acquiescenza ma poi non versa interamente quanto dovuto, perde il beneficio e l’atto torna esecutivo per intero.

Altri strumenti: reclamo e mediazione, conciliazione giudiziale

Nel caso di importi contestati contenuti (oggi fino a €50.000 di tributi), il primo ricorso in Commissione Tributaria è automaticamente reclamo-mediazione: significa che il contribuente deve presentare un’istanza motivata di annullamento/riduzione all’Agenzia (coincidente con il ricorso introduttivo) e l’Ufficio ha 90 giorni per valutare e eventualmente proporre esso stesso una mediazione (riducendo sanzioni, imponibile, ecc.). Se l’accordo di mediazione viene raggiunto, le sanzioni sono ridotte al 35% (ulteriore vantaggio) e il contenzioso si chiude. Questa strada è però interna al percorso processuale e presuppone comunque la stesura di un ricorso; la citiamo per completezza. Potrebbe applicarsi, ad esempio, se l’accertamento riguarda piccoli importi di interessi o un solo anno.

Un altro strumento deflativo, ma dopo l’instaurazione del giudizio, è la conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. 546/92), che permette anche davanti al giudice di chiudere transattivamente la lite con riduzione delle sanzioni (in misura variabile, generalmente 40% in primo grado, 50% in secondo grado). È una ulteriore chance se non si è chiuso prima.

Cooperative compliance e tax control framework

Va menzionato, per quanto riguarda specialmente le imprese di grandi dimensioni, il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance, D.Lgs. 128/2015). Questo regime – riservato inizialmente a imprese con fatturato superiore a 10 miliardi, poi abbassato a 1 miliardo e dal 2021 a 100 milioni – prevede che l’azienda aderisca a un accordo con l’Agenzia delle Entrate impegnandosi a fornire trasparentemente dati e sistemi di controllo interni, in cambio di un dialogo costante col Fisco e di un trattamento sanzionatorio di favore (sanzioni ridotte di un 50% e niente sanzioni per violazioni comunicategli in anticipo). Nell’ambito di questa guida, che si rivolge più a persone fisiche e PMI, la cooperative compliance è di scarso rilievo pratico, ma merita nota come approccio culturale diverso: l’azienda segnala all’Agenzia in tempo reale le operazioni transfrontaliere dubbie e ne ottiene il benestare preventivo, evitando a monte il contenzioso. Per un singolo contribuente con conti in Brasile, questo non si applica; tuttavia, vale la pena ricordare che esiste anche l’interpello sui nuovi investimenti (art. 2 D.Lgs. 147/2015) attraverso cui chi intende effettuare investimenti esteri significativi può chiedere un parere preventivo all’Agenzia sul trattamento fiscale, ottenendo certezza ed evitando futuri contenziosi.

Conclusione sulla parte deflattiva: se avete ricevuto un avviso su redditi brasiliani, prendete seriamente in considerazione di non arrivare allo scontro finale in tribunale, a meno che non abbiate argomenti fortissimi. Spesso la strategia migliore è combinare l’ammissione delle proprie mancanze con una trattativa sulle sanzioni e sul quantum. Ravvedersi prima possibile è l’ideale; se ormai siete oltre, l’adesione può farvi risparmiare un terzo delle sanzioni e magari togliere il grosso della doppia imposizione. Anche l’acquiescenza, se rassegnati a pagare, almeno riduce le penalità. Il contenzioso va riservato ai casi in cui l’Agenzia rifiuta di riconoscere diritti evidenti (es. il credito d’imposta estero, ormai sancito dalla Cassazione) o in cui l’accertamento è palesemente infondato. Nel prossimo capitolo affronteremo proprio l’ipotesi del ricorso tributario: come impostare la difesa in giudizio e quali argomentazioni utilizzare per contestare l’atto impositivo.

Il contenzioso tributario: impostare il ricorso e argomentazioni difensive

Qualora non sia stato possibile (o conveniente) definire l’accertamento in via amministrativa, resta la strada del ricorso alla Giustizia Tributaria. La riforma del 2022 ha introdotto i Giudici tributari professionali e rinominato le Commissioni Tributarie in Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, ma la sostanza del processo tributario rimane analoga al passato. Di seguito esamineremo i principali profili per chi intende impugnare un avviso di accertamento riguardante redditi/conti esteri, soffermandoci in particolare sulle argomentazioni difensive efficaci in questo ambito.

Procedura di ricorso: termini e condizioni

Il ricorso va presentato (telematicamente, tramite PEC) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, a meno che non sia stata presentata istanza di adesione; in tal caso, come detto, i 60 giorni sono sospesi per un massimo di 90 giorni e riprendono dopo l’eventuale insuccesso dell’adesione. Nel ricorso, oltre agli estremi dell’atto impugnato, vanno indicati i motivi di impugnazione, cioè le ragioni di fatto e di diritto per cui l’atto sarebbe illegittimo o infondato.

Importante: se l’importo di imposte contestate supera €3.000 (il che è probabile in materia esteri), la legge richiede che per poter stare in giudizio il contribuente versi un importo pari ad 1/3 delle imposte accertate (al netto di interessi e sanzioni) entro il termine di proposizione del ricorso. In pratica, questo 1/3 è sospeso se si presenta adesione (perché in attesa), ma poi va versato se si ricorre, a titolo di acconto. Se non lo si versa, in teoria il ricorso potrebbe essere dichiarato inammissibile (anche se la Corte Costituzionale ha attenuato questa sanzione). Comunque, meglio pagarlo per non avere problemi. Qualora si ritenga di aver diritto a sospensione dell’atto (perché l’esecuzione immediata creerebbe danno grave), si può presentare istanza al giudice tributario per sospendere l’esecutività dell’accertamento fino alla decisione di primo grado. Il giudice decide in tempi brevi (entro 180 gg dalla richiesta) e concede la sospensione se vede sia fumus boni iuris (motivi plausibili di vittoria) che periculum in mora (rischio grave e irreparabile dal pagamento immediato). Nel nostro caso, ad esempio, se l’importo è enorme e il contribuente non ha liquidità, potrebbe ottenerla.

Il processo tributario è un giudizio principalmente documentale: raramente vi sono testimonianze (per legge vietate) o prove orali. Dunque la produzione di documenti è fondamentale: vanno allegati al ricorso tutti i documenti utili, e altri se ne possono aggiungere fino a 20 giorni prima dell’udienza. Nel caso di redditi esteri, i documenti chiave potrebbero essere:

  • Estratti conto esteri integrali, per mostrare esattamente i flussi (es: quell’importo in entrata sul conto era un trasferimento da me stesso, non un reddito).
  • Documenti giustificativi di operazioni (es: contratti di affitto dell’immobile in Brasile, per dimostrare che il reddito era magari inferiore a quanto supposto, o che l’immobile era sfitto e non dava reddito).
  • Certificazioni fiscali brasiliane: ad esempio, certificato di residenza fiscale in Brasile se si sostiene di non essere residente in Italia; ricevute di pagamento di imposte in Brasile sui redditi (da far tradurre se necessario); moduli di dichiarazione brasiliani.
  • Comunicazioni dell’Agenzia (lettere di compliance, etc.) se rilevanti a mostrare atteggiamento cooperativo del contribuente.

Con un buon corredo probatorio, il contribuente può puntare a ribaltare le presunzioni dell’Ufficio. La giurisprudenza ha chiarito che di fronte a presunzioni legali relative (come quella sugli investimenti esteri non dichiarati), spetta al contribuente fornire prova contraria puntuale. Ad esempio, la Cassazione ha richiesto un onere severo di prova analitica su ogni movimentazione contestata. Quindi, in ricorso, bisogna presentare prova documentale chiara per ogni aspetto che si vuole smentire.

Passiamo ora alle principali linee difensive sostanziali.

Doppia imposizione e credito per imposte estere

Come già evidenziato, uno dei pilastri della difesa è invocare la Convenzione Italia-Brasile per evitare la doppia imposizione. Se il contribuente ha effettivamente pagato imposte in Brasile sui redditi accertati, deve chiedere al giudice di riconoscergli il credito d’imposta corrispondente, qualora l’Agenzia non lo abbia fatto. La Cassazione 24160/2024 è un ottimo supporto giuridico: il ricorso può citarla espressamente, affermando che “la pretesa dell’Ufficio viola la Convenzione contro le doppie imposizioni con il Brasile, la quale prevale sul TUIR e garantisce il credito d’imposta anche in caso di omessa dichiarazione (Cass. n. 24160/2024)”. Si allegheranno le ricevute o certificati delle imposte pagate all’estero, con traduzione se opportuno.

Un esempio concreto: l’Agenzia richiede IRPEF su €20.000 di redditi da lavoro dipendente percepiti in Brasile. Il contribuente mostra che su quei €20.000 ha pagato, poniamo, €4.000 di imposte in Brasile (aliquota del 20%). L’Italia calcola su 20.000 un’IRPEF magari di €5.000 (aliquote progressive). Ebbene, in base alla Convenzione e alla Cassazione, l’Italia deve limitarsi a far pagare la differenza (€1.000) ed evitare doppie imposizioni. Se l’atto non lo ha fatto, va impugnato in parte qua. È probabile che, di fronte a una contestazione del genere ben supportata, l’Agenzia in giudizio possa cedere, poiché effettivamente la giurisprudenza è univoca.

Va detto che in alcuni casi particolari il trattato stesso non garantisce il credito. Ad esempio, i dividendi esteri percepiti da persona fisica: il modello OCSE e la Convenzione prevedono il credito, ma il diritto interno italiano – per le persone fisiche non imprenditori – dal 2018 tassa i dividendi esteri con una imposta sostitutiva del 26% senza possibilità di credito per ritenute estere (regime “schedulare” sui capitali). Su questo vi è un dibattito: alcune convenzioni (non quella col Brasile) contengono l’art. 23 par. 2 lett. a modello OCSE che esclude da imposizione i dividendi tassati alla fonte, ma con Brasile come visto c’è l’esenzione solo per partecipazioni qualificate al 25%. In pratica, se Tizio ha ricevuto €1.000 di dividendi da azioni Petrobras nel 2024, il Brasile non applica ritenute (0%), l’Italia richiede il 26% = €260. Qui non c’è doppia imposizione, quindi niente credito (0% pagato in Brasile). Se invece su interessi su un bond brasiliano Tizio subisce il 15% a fonte (€150 su 1.000) e l’Italia vuole il 26% (€260), qui c’è doppia imposizione parziale: si chiederà credito di €150, pagando in Italia solo la differenza (€110). Insomma, la regola generale: pretendere sempre il credito per le imposte pagate in Brasile su quegli stessi redditi. Il giudice tributario ha potere di disapplicare la norma interna contraria al trattato e riconoscerlo.

Assenza di imponibilità o diversa qualificazione del reddito

Un’altra difesa è verificare se davvero quanto contestato costituisce reddito imponibile in Italia. Ad esempio:

  • Potrebbero aver tassato una plusvalenza su investimento finanziario: ma se quell’investimento era detenuto da più di 5 anni, magari la plusvalenza era esente (nel caso di immobili, c’è l’esenzione per immobili posseduti da >5 anni). Oppure se era un reddito esente per altra norma (pensioni di guerra estere, borse di studio esenti, ecc.).
  • Indennizzi o risarcimenti: se una somma accreditata sul conto brasiliano era un risarcimento danni (es. assicurativo) non costituisce reddito imponibile. Il contribuente deve spiegarlo e documentarlo.
  • Donazioni o trasferimenti: se l’importo contestato non è frutto di un’attività del contribuente ma ad esempio un regalo da un familiare, in Italia le donazioni non sono reddito (eventualmente sarebbero soggette a imposta di donazione, ma non c’è accertamento IRPEF su esse). Bisogna provare la fonte (es. dichiarazione di chi ha donato, bonifico originante dall’Italia già tassato). La Cassazione ha affermato che il semplice possesso di disponibilità su conti esteri non prova automaticamente che siano redditi sottratti a tassazione, se il contribuente fornisce una diversa spiegazione concreta. Certo, la soglia di prova è alta, ma se si dispone di evidenze (atto di donazione, estratto conto di addebito al donante, etc.) il giudice potrebbe accogliere.
  • Importi già tassati in Italia: a volte un soggetto potrebbe aver trasferito soldi dall’Italia al Brasile (ad esempio, portando su un conto brasiliano redditi italiani già netti). Se poi l’Agenzia vede quel saldo e lo tassa come reddito estero, c’è un errore di duplicazione. Occorre far vedere i movimenti di uscita dall’Italia e ingresso in Brasile combacianti.

Queste difese rientrano tutte nel concetto di prova contraria alla presunzione di reddito: il contribuente dimostra che quel flusso finanziario non era reddito imponibile. È essenziale essere analitici: ad esempio, presentare un prospetto dove per ogni accredito contestato si indica la natura (stipendio già tassato in Italia, bonifico da famiglia, ecc.) e si allegano i riscontri.

Errori procedurali e vizi formali

Nel ricorso tributario si possono sollevare anche eccezioni procedurali, anche se in materia di redditi esteri sono meno frequenti. Ad esempio:

  • Motivazione insufficiente dell’avviso: se l’atto non spiega adeguatamente la pretesa o non mette il contribuente in grado di capire e replicare, ciò viola l’art. 7 L. 212/2000 (Statuto del Contribuente) e l’art. 42 DPR 600/73. Nel nostro caso, se l’Agenzia si fosse limitata a dire “accertiamo redditi esteri non dichiarati €100.000” senza dettagli, sarebbe un vizio. Ma di solito l’Agenzia dettaglia.
  • Omessa allegazione di documenti: se l’avviso cita documenti esterni (es. “come da elenco conti esteri allegato”) ma poi non li allega effettivamente, si potrebbe eccepire nullità. Anche qui, però, spesso allegano o riproducono il contenuto essenziale.
  • Violazione del contraddittorio preventivo: per accertamenti a tavolino su materie diverse dall’IVA, attualmente non c’è un obbligo generalizzato di contraddittorio prima dell’atto (la Cassazione ha stabilito che è obbligatorio solo se previsto per legge specifica). Nel caso di redditi esteri, non vi è una norma che imponga un contraddittorio anticipato, se non per i tributi “armonizzati” come l’IVA (ma qui non c’è IVA). Quindi, difficilmente si potrà annullare l’atto lamentando di non essere stati ascoltati prima, a meno che non si dimostri un concreto pregiudizio derivante da ciò (cosa non semplice).
  • Termine di decadenza: come già detto, va sempre controllato. Se l’atto è fuori termine, è nullo. Ad esempio, atto notificato il 2 gennaio invece che il 31 dicembre (fuori tempo). Oppure se l’Agenzia pretende di usare il raddoppio per reato ma il reato in realtà non sussiste (perché l’imposta evasa sta sotto soglia penale): in passato vi furono liti su questo, con pronunce altalenanti, ma oggi la regola è che il raddoppio opera se la denuncia è presentata tempestivamente e poi non importa l’esito penale. In ogni caso, se i numeri mostrano che l’imposta evasa è sotto le soglie penali, si può far notare che il raddoppio non doveva essere applicato (ma ripetiamo, su redditi esteri black list l’art. 12 78/09 è più specifico). Per il Brasile probabilmente l’Agenzia userà i termini ordinari.

Sollevare questi vizi formali può portare in alcuni casi all’annullamento integrale dell’atto, indipendentemente dal merito. Spesso però i giudici, in presenza di materia sostanziale ben documentata, preferiscono decidere nel merito. Quindi conviene sempre accompagnare le eccezioni formali a una robusta difesa di merito, perché se anche un vizio formale venisse superato (magari reputato sanato o irrilevante), si hanno altre cartucce.

Onere della prova e strategie probatorie

In giudizio tributario su redditi non dichiarati, la ripartizione dell’onere probatorio avviene come segue: l’Amministrazione finanziaria porta elementi anche presuntivi (es. dati di conto estero) per fondare la propria pretesa; a questo punto spetta al contribuente dimostrare il contrario, ossia che quei redditi non esistono o sono inferiori, o che quei capitali non sono frutto di evasione. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che, in tema di attività estere non dichiarate, il contribuente deve fornire prova rigorosa per superare la presunzione di redditività e di provenienza di tali somme. Ciò può sembrare oneroso – e lo è – ma è anche vero che il contribuente spesso ha conoscenza e disponibilità delle prove migliori. Nessuno meglio di lui può sapere da dove vengono i soldi sul conto brasiliano.

È dunque cruciale adottare un approccio proattivo: produrre spontaneamente ogni documento utile, anche se non espressamente richiesto dall’Ufficio prima. Tradurre documenti in lingua straniera (almeno in sunto) per facilitarne l’accettazione. Eventualmente, ricorrere a perizie tecniche: ad esempio, se ci sono molti movimenti finanziari complessi, si può far redigere da un consulente un prospetto analitico riconciliando le somme con fonti tassate o esenti, da usare come guida per il giudice (che spesso apprezza la chiarezza espositiva).

Una tattica difensiva può essere quella di ridurre il contenzioso all’essenziale: ammettere ciò che è innegabile e contestare ciò che è contestabile. Ad esempio: “E’ vero, non ho dichiarato gli interessi su quel conto, me ne assumo la responsabilità, però contesto il calcolo della sanzione al 90% perché avrebbe dovuto essere 70% essendo violazione 2024” – oppure – “riconosco l’imponibilità di X ma non di Y, perché Y non è un reddito ma capitale già tassato”. Questo atteggiamento moderato spesso è apprezzato dai giudici, che potrebbero essere più propensi ad accogliere in parte il ricorso (riducendo l’accertamento) che non totalmente (il che comporterebbe lasciare l’evasione impunita, ipotesi che possono vedere di malocchio se il contribuente era realmente evasore).

Giurisprudenza favorevole e casi precedenti

È sempre utile citare eventuali precedenti giurisprudenziali simili a supporto. Ne elenchiamo alcuni rilevanti:

  • Cass. 24160/2024 (già citata) – credito estero da riconoscere anche se reddito non dichiarato.
  • Cass. 30140/2019 e 29635/2019 – prevalenza Convenzione su norme interne, esenzione dividendi esteri al 100% se trattato lo prevede (clausola Germania/Brasile).
  • Cass. 22508/2013 – in materia di conti esteri, viene affermato che la semplice copia di estratti conto non costituisce di per sé prova di reddito imponibile, se non è supportata da ulteriore evidenza che quei movimenti siano redditi (la banca può certificare l’esistenza del conto e i movimenti, ma occorre capire la causale). Questo precedente si usa per dire: l’Ufficio non può limitarsi a dire “c’era un conto milionario non dichiarato ergo ha evaso”, ma deve quantomeno indicare quali movimenti sono ritenuti redditi. Tuttavia, oggi con l’art. 6 D.L.167/90 quella lacuna è in parte colmata dalla presunzione legale.
  • CTR Veneto n. 1180/2021 – una Commissione regionale (Veneto) ha stabilito che se non opera la presunzione ex art. 12 (perché il Paese non è black list), l’Ufficio non può pretendere di tassare capitali esteri in mancanza di prova di specifici redditi, riducendo dunque la contestazione a quanto effettivamente accertabile (questo per sottolineare che col Brasile, paese white list, l’Agenzia deve sforzarsi di individuare redditi reali).
  • Cass. 11126/2021 (Sez. VI) – ha ribadito che nell’accertamento sintetico (redditometro) l’onere della prova documentale contraria è a carico del contribuente. Questo per analogia vale anche qui: quindi nulla di nuovo, ma ci ricorda di portare pezze d’appoggio.
  • Cass. 38750/2021 – afferma che per i documenti esteri presentati in giudizio tributario non è richiesta legalizzazione consolare (facilitando l’utilizzo di documenti provenienti dall’estero). Utile se l’Agenzia contesta documenti in portoghese: basta traduzione semplice, non serve asseverazione rigida se non espressamente impugnata l’autenticità.

Ovviamente, è opportuno verificare eventuali pronunce più recenti fino al 2025: la materia è in evoluzione, e la Cassazione potrebbe averne emesse altre (ad es. in campo penale una recente del 2025 di cui parliamo sotto, che però attiene al penale).

Con una buona memoria difensiva scritta nel ricorso e con prove solide allegate, le chance di ridurre la pretesa sono concrete. Il giudice potrebbe:

  • Annullare le sanzioni o ridurle (ad esempio se ritiene che il contribuente, pur avendo sbagliato, abbia agito in buona fede o se trova irregolarità formali nella notifica delle stesse).
  • Dichiarare non dovute le imposte già pagate in Brasile (evitando il doppio carico).
  • Dichiarare prescritti gli anni più vecchi se l’Ufficio avesse sforato il termine.
  • Nella migliore delle ipotesi, annullare integralmente l’atto se riscontrasse proprio un difetto di motivazione o un errore macroscopico (ma ciò è meno frequente a meno di vizi chiari).

Il contribuente deve tuttavia essere conscio che, se ha effettivamente nascosto redditi, difficilmente otterrà un annullamento totale: più verosimilmente la vittoria parziale sarà l’obiettivo realistico (es. dimezzamento della pretesa). Questo comunque può voler dire risparmi significativi. Inoltre, può appellare in secondo grado qualora non sia soddisfatto dell’esito di primo grado, così come l’Agenzia può appellare se il contribuente vince troppo. La lite potrebbe proseguire in Cassazione, con tempi lunghi. Ciò fa comprendere perché, quando possibile, convenga chiudere prima: si evita l’incertezza e gli anni di cause.

Passando oltre il contenzioso tributario, affrontiamo ora un aspetto collaterale ma di primaria importanza: le possibili conseguenze penali di un accertamento per redditi esteri non dichiarati. L’aver omesso di dichiarare redditi può configurare reati tributari (se sopra certe soglie), e l’occultamento di capitali all’estero può aver rilievo come autoriciclaggio. Nel prossimo capitolo esamineremo questi profili e come evitarli.

Profili penali: reati tributari e autoriciclaggio

La materia fiscale, quando si parla di somme ingenti, non si ferma alle sanzioni pecuniarie. In alcuni casi scatta anche la sanzione penale, con procedimento a carico del contribuente per reati di evasione. Vediamo quali possono interessare chi ha nascosto redditi o patrimoni in Brasile e come si collegano all’accertamento fiscale:

Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000)

È il reato commesso da chi, presentando la dichiarazione annuale, indica redditi inferiori al reale, con evasione di imposta sopra una certa soglia. Nel 2025, per la dichiarazione infedele la soglia di punibilità è: imposta evasa > €150.000 e ammontare degli elementi sottratti > 10% del totale o comunque > €3 milioni. La pena è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Se un contribuente ha presentato dichiarazioni ma ha omesso, ad esempio, redditi esteri per milioni di euro di imponibile, potrebbe ricadere in questa fattispecie. Se invece le cifre sono più contenute (es. €50.000 di redditi esteri non dichiarati con imposta evasa di €13.000), il fatto resta illecito solo amministrativo (sanzione pecuniaria) perché sotto soglia penale.

Nel contesto del Brasile, la dichiarazione infedele sarebbe tipica per chi ha dichiarato i redditi italiani ma ha omesso, ad esempio, interessi o affitti dall’estero. Attenzione: se i redditi esteri non dichiarati provenivano da fonti “illecite” (ad esempio una società offshore non dichiarata, ecc.), può configurarsi anche la dichiarazione fraudolenta (art. 3 D.Lgs. 74/2000) se si usano artifici per nasconderli, ma di solito la semplice omissione rientra nell’infedele.

Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000)

È il reato di non presentare proprio la dichiarazione pur essendovi obbligati, con imposta evasa > €50.000. La pena va da 2 a 5 anni di reclusione. Può riguardare chi, magari ritenendo (erroneamente) di essere residente all’estero, non presenta alcuna dichiarazione in Italia e quindi non dichiara nemmeno i redditi esteri. Ad esempio, un connazionale non iscritto AIRE che lavora in Brasile e non dichiara nulla al fisco italiano: se l’Agenzia prova che era residente qui, quell’omissione per importi rilevanti è reato.

Nel caso specifico di un avviso di accertamento, se riguarda più anni di omessa dichiarazione con imposte evase ingenti, l’Agenzia segnalerà la cosa alla Procura. Va detto che questi reati si basano sull’intento di evasione: se uno davvero era convinto di non dover dichiarare perché riteneva di non essere residente, potrebbe far valere ciò come assenza di dolo specifico, ma è un discorso da farsi in sede penale eventualmente.

Emersione volontaria ed effetti penali

Abbiamo accennato che il ravvedimento operoso totale prima che parta la verifica estingue i reati di infedele e omessa (art. 13 D.Lgs.74/2000). Ma se l’accertamento è già in corso, c’è un’altra chance: il pagamento del debito tributario (imposte, sanzioni, interessi) prima della dichiarazione dibattimentale in primo grado, comporta una causa di non punibilità per omessa e infedele (introdotta dal D.Lgs. 158/2015). Quindi, anche dopo la notifica dell’accertamento, qualora si arrivi ad un processo penale, il contribuente può evitare la condanna pagando tutto (magari utilizzando la definizione agevolata o rateizzazioni per mettere insieme la somma). In sintesi, il nostro ordinamento spinge molto a pagare il dovuto; chi lo fa, anche tardi, non va in carcere per quei due reati.

Autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.)

Questo reato, introdotto nel 2015, punisce chiunque avendo commesso un delitto (es. reato di evasione) impiega, trasferisce, sostituisce i proventi di tale delitto in attività economiche o finanziarie, ostacolando concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. In parole semplici, l’evasore fiscale che occulta o reimpiega i soldi evasi in modo da ripulirli commette autoriciclaggio. Prima del 2015, paradossalmente, l’evasore che nascondeva all’estero il bottino non era punibile per riciclaggio (perché riciclare denaro proprio non era reato); ora lo è.

Nel contesto dei conti in Brasile: se il contribuente ha trasferito ingenti somme di denaro in Brasile frutto di evasione (ad esempio, ricavi non fatturati di un’azienda italiana dirottati su un conto brasiliano), egli oltre ai reati tributari può incorrere nell’autoriciclaggio. La Cassazione ha già avuto modo di confermare applicazioni rigorose: ad esempio Cass. Pen. Sez. II n. 44733/2022 ha ritenuto configurabile autoriciclaggio nel trasferimento di somme evase su conti esteri tramite società schermo, in quanto operazione volta a ostacolare l’identificazione. Cass. Pen. n. 227/2021 ha affermato che il semplice spostare all’estero proventi di frodi fiscali giustifica l’accusa di autoriciclaggio e la confisca dei beni.

Da notare: la legge esclude la punibilità per utilizzo personale dei proventi (la cosiddetta “clausola di risparmio” per chi si limita a godersi i soldi senza reimpiegarli in attività economiche). Quindi, se uno ha evaso e si limita a tenere i soldi fermi su un conto all’estero per sé, teoricamente non ci sarebbe autoriciclaggio. Ma basta che li investa, li ritrasferisca attraverso strutture finanziarie o ne faccia utilizzi economici, perché scatti. In pratica, molti casi di occultamento all’estero integrano l’autoriciclaggio, perché l’atto stesso di trasferirli in un conto estero segreto può essere visto come finalizzato a ostacolare l’identificazione dell’origine (nascondo i soldi evasi spostandoli fuori, magari in paradisi fiscali; col Brasile, essendo cooperativo, è meno sicuro oggi, ma se l’azione fu fatta quando non c’era scambio, l’intento di occultare c’era).

Qual è il rischio concreto? L’autoriciclaggio è punito severamente: reclusione da 2 a 8 anni (se il reato presupposto – l’evasione – è punito sopra 5 anni come nel caso di frode fiscale; se era infedele sotto soglia sarebbe delitto non punibile, quindi niente autoriciclaggio perché manca il presupposto). Inoltre c’è la confisca obbligatoria dei beni o somme equivalenti al profitto del reato. Dunque, se uno ha 1 milione di nero portato in Brasile, rischia che gli venga confiscato equivalente importo (anche su beni in Italia).

Va detto che per far partire un’accusa di autoriciclaggio serve tipicamente un’attività investigativa della Guardia di Finanza e una Procura piuttosto zelante. Non scatta automaticamente con l’accertamento fiscale; però può succedere in casi eclatanti. Spesso la GdF concentra l’attenzione sull’autoriciclaggio nei contesti di frode fiscale organizzata, più che sul singolo contribuente privato. Ad esempio, un imprenditore che costituisce società offshore in Brasile per farvi transitare utili e creare schermi potrebbe incappare anche nell’autoriciclaggio. Un privato che aveva un conto segreto può in teoria, ma se l’ha solo detenuto senza movimentazioni complesse, è più difficile si spinga all’autoriciclaggio (resta comunque l’omessa dichiarazione).

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000)

Oltre ai reati di evasione e riciclaggio, c’è un reato che può emergere dopo l’accertamento: la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, che punisce chi, al fine di non pagare imposte o sanzioni, alieni simulatamente o compia atti fraudolenti sui propri beni per renderne difficile la riscossione (soglia imposte non pagate > €50.000). Esempio: dopo aver ricevuto l’avviso, Tizio regala la casa al parente per non farsela pignorare dal Fisco.

Nel contesto dei capitali esteri, se uno, dopo un accertamento milionario, trasferisce i suoi fondi al sicuro in Brasile o li intesta a terzi, rischia questo reato. In passato, alcune Procure cercarono di usare l’art. 11 per colpire la mera presenza di beni all’estero non dichiarati: argomentavano che non dichiarare asset in RW equivalga a sottrarli alla garanzia del Fisco. Ma la Cassazione ha chiarito recentemente (sent. n. 20649 del 4 giugno 2025, Terza sezione penale) che la sola violazione di monitoraggio RW non costituisce di per sé reato di sottrazione fraudolenta. In quel caso, un contribuente aveva subito un accertamento con sanzioni RW per 1,7 milioni e poi aveva trasferito beni al figlio: Cassazione ha escluso il reato perché le sanzioni RW non sono imposte e i trasferimenti non erano realmente fraudolenti (giustificati da esigenze familiari). Inoltre, il patrimonio del contribuente era comunque sufficiente a pagare, quindi mancava il pericolo per la riscossione. Questo precedente è rassicurante: se l’accertamento riguarda solo sanzioni da RW o importi modesti di imposta, il penale non entra. Ma se le imposte evase sono alte e il contribuente le sottrae alla riscossione con artifici, allora sì.

Come evitare grane penali? La prima cosa è regolarizzare tempestivamente la situazione fiscale, usando gli scudi offerti (ravvedimento, pagamento integrale) per beneficiare delle cause di non punibilità. Se l’accertamento è avviato, conviene comunque cercare di pagare (anche a rate) prima di arrivare a giudizio penale, per poter chiedere l’archiviazione o la non punibilità nei casi previsti. In secondo luogo, non commettere ulteriori azioni elusive dopo la notifica: ad esempio, non nascondere ulteriormente i soldi. Al contrario, mostrare collaborazione: se si chiede una rateazione e si versa regolarmente, è meno probabile che la GdF ipotizzi artifizi fraudolenti per non pagare.

Va ricordato che il processo penale e quello tributario sono indipendenti: si può essere assolti in uno e condannati nell’altro. Ma spesso le prove raccolte fiscalmente alimentano anche il penale. Ad esempio, la lista dei conti esteri genera sia l’atto impositivo sia la prova per l’evasione.

Dal punto di vista del contribuente, affrontare anche un procedimento penale è fonte di grande preoccupazione. Un consiglio pratico: se ricevete un accertamento molto elevato che vi mette a rischio penale, è fondamentale consultare anche un avvocato penalista tributario, oltre che il fiscalista, per muovere i passi giusti (ad esempio eventuale autodenuncia tardiva o predisporre il pagamento per estinguere il reato, ecc.).

Fortunatamente, per piccole violazioni (sotto soglie) non c’è rischio penale. E con la giusta condotta riparatoria, anche nelle grandi si può evitare il peggio. Ad esempio, la giurisprudenza ha ammesso anche l’attenuante del ravvedimento attuato dopo l’apertura delle indagini ma prima del dibattimento, con effetti sul patteggiamento favorevoli.

Riassumendo i profili penali:

  • Verificate se le somme evase superano le soglie di reato. In caso negativo, nessun reato tributario.
  • Se vi è reato, agite per estinguerlo pagando il dovuto (prima possibile).
  • Evitate comportamenti post-accertamento che possano configurare autoriciclaggio (es. spostare occultamente fondi) o sottrazione fraudolenta (es. vendite simulate di beni).
  • Sapere che, in ipotesi di contestazione penale, la difesa può appoggiarsi a diverse argomentazioni (assenza di dolo se equivoco su residenza, utilizzo personale dei fondi esteri per escludere autoriciclaggio, ecc.), ma la miglior difesa resta il pagamento integrale.

Passiamo ora a una sezione più operativa: forniremo alcune esemplificazioni numeriche e casi pratici, per capire concretamente a cosa va incontro un contribuente in termini di importi e come può cambiare l’esito agendo in modi diversi.

Esempi pratici e simulazioni di calcolo

Per rendere tangibili gli scenari fin qui discussi, presentiamo alcune simulazioni semplificate di casi tipici di avvisi di accertamento su conti o redditi in Brasile, con il calcolo indicativo delle imposte e sanzioni, e l’effetto delle possibili difese.

Caso 1: Conto bancario in Brasile con interessi non dichiarati

Situazione: Il signor Rossi, residente in Italia, ha un conto presso Banco do Brasil. Nel 2020 il conto ha prodotto interessi attivi per €10.000, su cui in Brasile è stata applicata una ritenuta del 15% (€1.500). Rossi però non ha indicato il conto in Quadro RW né i €10.000 di interessi in dichiarazione dei redditi 2021. Nel 2023, grazie al CRS, l’Agenzia viene a conoscenza del conto e nel 2025 notifica avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2020.

Accertamento: Vengono aggiunti €10.000 di redditi di capitale esteri imponibili. L’IRPEF dovuta (essendo interessi esteri per persona fisica) è calcolata come imposta sostitutiva del 26% = €2.600. Inoltre:

  • Sanzione per infedele dichiarazione: per il 2020, essendo atto emesso prima della riforma sanzioni 2024, la sanzione edittale è 90% dell’imposta evasa. 90% di €2.600 = €2.340. (Se atto emesso dopo settembre 2024, sarebbe 70% = €1.820).
  • Sanzione quadro RW: 3% del valore non dichiarato. Il valore medio del conto nel 2020 supponiamo fosse €200.000. 3% di 200.000 = €6.000. (Solo per non aver indicato il conto, a prescindere dagli interessi).
  • Interessi di mora sull’imposta €2.600 per 3 anni ~ circa €150.

Totale pretesa circa: Imposta €2.600 + Sanzioni €8.340 + Interessi €150 = €11.090.

Difesa: Il signor Rossi, tramite il suo consulente, imposta la difesa così:

  • Chiede il credito d’imposta per i €1.500 pagati in Brasile. Dunque l’IRPEF netta da pagare in Italia andrebbe ridotta a €1.100 (2.600 – 1.500).
  • Fa istanza di accertamento con adesione. Nell’incontro, l’Agenzia riconosce il credito (sulla base di Cassazione 2024) e riduce l’imposta dovuta a €1.100. Si accordano anche su uno sconto sanzioni: applicano comunque le sanzioni minime ma poi 1/3 per adesione.
    • Sanzione infedele ridotta a 1/3 del 90%: 30% di €2.600 = €780.
    • Sanzione RW ridotta a 1/3 del 3%: effettiva 1% di €200.000 = €2.000.
    • (In realtà, spesso in adesione l’ufficio potrebbe rinunciare a parte della sanzione RW se il contribuente era collaborativo, ma supponiamo di no).
  • Interessi leggermente ricalcolati sull’imposta minore (~€60).

Esito in adesione: Rossi pagherà imposta €1.100 + sanzioni totali €2.780 + int. €60 = €3.940, rateizzabili. Avrà così regolarizzato il 2020.

Alternativa: se Rossi avesse ravveduto spontaneamente prima dell’avviso (diciamo nel 2022 quando ha ricevuto lettera compliance):

  • Avrebbe pagato l’imposta netta €1.100, più sanzione infedele ridotta (ad es. ravvedimento dopo 2 anni = 1/7 del 90% ≈ 12.86% di €2.600 = €334) e sanzione RW ridotta (1/7 del 3% ≈ 0,428% di 200.000 = €856), più interessi modesti ~€100. Totale ravvedimento ~ €1.100+334+856+100 = €2.390. Molto meno che attendere l’avviso.

Penale: L’imposta evasa in questo caso era €2.600 (sopra 50k? No, sotto), quindi nessun reato. Solo sanzioni amministrative.

Caso 2: Immobile in Brasile non dichiarato, con canoni di affitto

Situazione: La sig.ra Bianchi, residente in Italia, possiede un appartamento a Rio de Janeiro. Nel 2019-2020 lo ha affittato percependo €12.000 annui di canoni. Non ha indicato tali redditi in Italia né l’immobile in RW; in Brasile però ha pagato una tassa locale sull’affitto pari a €1.800/anno. Nel 2024 l’Agenzia accerta i redditi 2019 e 2020 basandosi su informazioni acquisite (ad es. l’inquilino brasiliano ha dichiarato i pagamenti, segnalati via scambio info).

Accertamento: Si contestano €12.000 di redditi fondiari per 2019 e €12.000 per 2020, non dichiarati:

  • Imposta italiana: i canoni da immobile estero seguono l’IRPEF ordinaria. Ipotizziamo che la sig.ra Bianchi abbia in Italia già €30.000 di altri redditi; i €12.000 aggiuntivi cadono nello scaglione 38%. Quindi €4.560 di IRPEF anno per ciascun anno. Totale €9.120 imposte evase su due anni.
  • Sanzioni infedele: 90% di 9.120 = €8.208 (per due anni; se atto post-2024, 70% = €6.384).
  • Sanzioni RW: valore immobile supponiamo €150.000. 3% = €4.500 per ciascun anno, totale €9.000 (2019 e 2020).
  • Interessi: su €9.120 per qualche anno ~ €500.

Totale pretesa ~ imposte €9.120 + sanzioni €17.208 + int. €500 = €26.828.

Difesa: La sig.ra Bianchi presenta ricorso e invoca:

  • Credito d’imposta per la tassa brasiliana pagata (€1.800/anno). La Convenzione prevede che l’Italia riconosca il credito per imposte pagate all’estero su redditi immobiliari (art. 23 co.2). Quindi su €4.560 IRPEF per anno, credito €1.800, IRPEF netta €2.760/anno.
  • Rideterminazione base imponibile: in Italia gli affitti percepiti da privati su immobili all’estero sono imponibili come reddito fondiario, di regola al 95% (si deduce un 5% forfettario spese se non si opta per cedolare che però vale solo per immobili in Italia). Dunque su €12.000, reddito imponibile sarebbe €11.400. L’Agenzia avrà probabilmente calcolato imposta sul 100% in automatico; la difesa fa valere la deduzione forfettaria 5%. Ciò riduce l’imposta di circa €228/anno (5% di 12k * 38%).
  • Termini decaduti? Supponiamo che l’avviso esca a fine 2024: l’anno 2019 è al limite (dichiarazione 2020, termine 31/12/2025, quindi in tempo). No decaduti.
  • Sig.ra Bianchi opta per acquiescenza con pagamento ridotto: L’ufficio, dopo il ricorso, magari propone conciliazione riconoscendo il credito d’imposta. Si accordano su imposta dovuta totale ~€5.520 (2.760*2) e sanzioni ridotte a 1/3:
    • Infedele 1/3 di 90%: 30% di 9.120 = €2.736.
    • RW 1/3 di 9.000 = €3.000.
    • Interessi ~€400.
    • Totale definizione: €5.520 + €5.736 + €400 = €11.656.

Penale: Imposta evasa inizialmente €9.120 > €150k? No, quindi niente infedele penale (sotto soglia). Anche omessa dich. no perché la dichiarava, solo incompleta. Quindi niente reato tributario. Autoriciclaggio non pertinente (affitti regolari, solo non dichiarati, e soldi rimasti in Brasile magari spesi lì per manutenzione).

Caso 3: Lavoratore in Brasile non iscritto AIRE

Situazione: Il sig. Verdi ha lavorato come dirigente in Brasile per una multinazionale locale dal 2018 al 2020, percependo l’equivalente di €100.000 annui lordi, tassati alla fonte in Brasile con aliquote fino al 27.5% (circa €25.000 di tasse pagate ogni anno in Brasile). Verdi, pur vivendo in Brasile, non si è mai iscritto all’AIRE e risulta residente in Italia all’Anagrafe fino al 2020. L’Agenzia delle Entrate lo considera residente fiscale in Italia per 2018-2020 e, tramite scambio info (o un controllo incrociato), rileva che non ha dichiarato quei redditi di lavoro estero. Nel 2024 notifica avvisi per 2018, 2019, 2020.

Accertamento: redditi di lavoro dipendente estero €100.000 per ciascun anno da assoggettare a IRPEF italiana:

  • IRPEF dovuta in Italia (aliquote progressive): su 100k di reddito, l’imposta netta italiana (senza considerare estero) sarebbe circa €35.000 per anno (aliquota media ~35%). Totale tre anni €105.000 imposte.
  • Sanzioni omessa/infedele: qui dipende. Se Verdi presentava comunque la dichiarazione per altri redditi? Probabilmente no (lavorava solo in Brasile). Allora è omessa dichiarazione per 3 anni. Reato penale, tra l’altro (imposta evasa > 50k). Sanzione amministrativa: 120%–240% imposta. L’ufficio di solito applica il minimo 120%. 120% di 105k = €126.000 sanzioni.
  • Sanzione RW: se aveva conti o investimenti non dichiarati, ma nel caso di reddito lavoro potrebbe averli spesi. Trascuriamo RW qui, focus su reddito.
  • Interessi: su imposte non pagate di ogni anno, accumulo ~€10.000.

Totale importi richiesti: imposte €105k + sanzioni €126k + interessi €10k = €241.000.

Difesa: Il sig. Verdi può impostare la difesa su due fronti:

  • Residency tie-breaker: se può sostenere che in quegli anni la sua residenza effettiva era in Brasile (centro interessi, famiglia con lui, ecc.), potrebbe appellarsi all’art. 4 della Convenzione Italia-Brasile (criteri per risolvere i casi di doppia residenza) per dire che era residente in Brasile e non doveva essere tassato in Italia. Questo è un esito vincente al 100% se provato, perché annulla l’accertamento (non era soggetto passivo in Italia). Tuttavia, se non si era iscritto AIRE e magari manteneva casa in Italia, l’Agenzia avrà elementi per dire che era residente in Italia (presunzione dell’iscrizione anagrafica). Sarà una questione fattuale difficile. Cassazione in casi analoghi (es. persone in UK non iscritte AIRE) tende a dare peso a dove effettivamente vivevano. Se Verdi dimostra di aver vissuto stabilmente a San Paolo con la famiglia, potrebbe spuntarla.
  • Credito per imposte estere: in subordine (se giudicato comunque residente in Italia), far valere il credito di €25.000/anno per le tasse pagate in Brasile. Quindi per ciascun anno l’IRPEF italiana di 35k scende a 10k effettiva. Su 3 anni, imposte dovute diventano €30.000 invece di 105k.
  • Sanzioni e ravvedimento operoso: essendo l’accertamento in corso, potrebbe cercare un accordo con AdE: forse un ravvedimento speciale? ma scaduto. Adesione: sanzioni ridotte a 1/3. Inoltre, data l’entità, punterà a pagare e usare la non punibilità penale. Infatti, con imposta evasa 105k annui, ha 3 reati di omessa dich. Ma se paga tutto prima del dibattimento, ciascun reato verrà dichiarato non punibile (art. 13).
  • Pagamenti: Sig. Verdi chiede rateazione in adesione (8 rate) su €30k imposte + sanzioni ridotte (€42k) + interessi €? tot. ~€80k. Rate da 10k. Pesante ma gestibile rispetto ai 241k iniziali.

Penale: Sì, omessa dichiarazione per 3 anni. Ma beneficiando della causa di non punibilità pagando, può evitare la condanna. Dovrà comunque affrontare un’inchiesta penale presumibilmente; tuttavia, se l’Agenzia stessa segnala che il contribuente ha aderito e pagato, la Procura potrebbe chiedere l’archiviazione direttamente. In caso contrario, al più patteggerebbe con pena sospesa se necessario.

Questo caso evidenzia come la doppia residenza sia un aspetto critico: se si fosse iscritto AIRE, probabilmente l’Italia non lo accertava affatto (Brasile non black list, e stava >183gg lì). Morale: curare gli aspetti formali della residenza per evitare contestazioni.

Caso 4: Società estera e dividendi

Situazione: Un imprenditore italiano possiede il 100% di una società in Brasile che gli ha distribuito dividendi per €50.000 nel 2021. La società brasiliana ha utili tassati al 34% in Brasile (corporate tax), ma i dividendi sono esenti da ritenuta (sistema brasiliano classico). In Italia, l’imprenditore – persona fisica – non ha dichiarato questi dividendi nel quadro RL del 2022. Nel 2025 l’Agenzia se ne accorge incrociando dati (magari la società brasiliana è stata segnalata).

Accertamento: €50.000 di dividendi esteri non dichiarati nel 2021. Regime fiscale: per il 2021, i dividendi esteri percepiti da persona fisica non imprenditore erano soggetti a 26% imposta sostitutiva. Dunque imposta dovuta €13.000.

  • Sanzione infedele: 90% di 13k = €11.700 (atto ante 2024; se post, 70% = €9.100).
  • Interessi: ~€700.
  • Totale ~ €25.400.

Difesa: Questo caso è interessante perché entra la Convenzione:

  • La società brasiliana è posseduta al 100% dall’imprenditore italiano. La Convenzione Italia-Brasile (art. 23(3)) prevede esenzione totale in Italia dei dividendi se il percettore italiano detiene almeno il 25% del capitale. Esattamente il caso: 100%. Quindi, in teoria, quei €50.000 non dovevano essere tassati affatto in Italia, indipendentemente dal credito. L’Ufficio a volte ignora questa clausola e tassa lo stesso (in passato alcuni uffici tassavano al 26% anche i dividendi Germania con analoghi requisiti, ma la Cassazione 2019 li ha smentiti).
  • Pertanto, il difensore invocherà l’applicazione dell’esenzione da Convenzione, che prevale sul TUIR ex art. 75 DPR 600/73 e sull’art. 18 TUIR. Indicherà le sentenze Cass. 2019 analoghe sulla Germania e sottolineerà che, benché il Brasile non applichi ritenute, la convenzione intendeva evitare doppia imposizione economica sugli utili societari, come spiegato dalla Cassazione (utile tassato in capo alla società figlia, e non ritassato come dividendo in capo al socio).
  • Se il giudice recepisce questo, l’imposta accertata va annullata integralmente. Ne consegue anche l’annullamento delle sanzioni (nessuna imposta evasa).
  • L’Agenzia potrebbe opporsi adducendo che la società brasiliana va verificato se è “società di capitali” ai sensi del trattato e non regime privilegiato ex art. 47-bis TUIR (norma CFC). Ma se la società ha tassato utili al 34%, non è affatto a regime privilegiato. Dunque quell’eccezione non regge, e in ogni caso Cass. ha detto che la Convenzione prevale pure su art. 47-bis in questi casi.

Esito atteso: L’avviso viene annullato in commissione. Il contribuente pagherà solo eventualmente una sanzione fissa per omessa compilazione quadro RW se non aveva indicato la partecipazione (3% del valore della partecipazione; il valore potrebbe essere il patrimonio netto società, ipotizziamo 200k, 3% = €6k sanzione RW, riducibile con adesione se volesse). Ma nessuna imposta sui dividendi.

Penale: Imposta evasa €13k < soglia 100k, niente reato. Al limite c’era l’omessa indicazione RW ma quella di per sé non è reato (e Cass. 2025 ha escluso che configuri sottrazione fraudolenta).

Questo caso dimostra l’importanza di conoscere le pieghe delle convenzioni internazionali: l’Agenzia a volte interpreta restrittivamente, ma un contribuente informato può far valere clausole come quella di esenzione sui dividendi da partecipazioni qualificate, ottenendo piena giustizia.


Questi esempi coprono varie tipologie (interessi, affitti, salari, dividendi). In ognuno si vede come la difesa tecnica (credito d’imposta, esenzioni da trattato, deduzioni nazionali) possa ridurre significativamente l’esborso, anche prima di considerare la riduzione sanzioni per adesione.

Da notare: in assenza di difesa, il contribuente avrebbe pagato cifre molto maggiori, come evidenziato dalla colonna “pretesa iniziale” rispetto a “esito dopo difesa” nelle nostre simulazioni. Ciò evidenzia l’importanza di non subire passivamente un avviso di accertamento ma di analizzarlo a fondo e reagire opportunamente.

Domande frequenti (FAQ)

D: Ho ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate che mi segnala un conto in Brasile non dichiarato. È già un avviso di accertamento? Cosa devo fare?
R: La lettera di compliance non è un avviso di accertamento, ma un invito bonario a controllare e regolarizzare la tua posizione. Significa che l’Agenzia dispone di informazioni (spesso da CRS) su un tuo conto o reddito estero non trovato nelle tue dichiarazioni. Se ricevi tale lettera, non ignorarla! Hai l’opportunità di ravvederti operosamente: presenta una dichiarazione integrativa per l’anno segnalato, compila il quadro RW e/o i redditi esteri, e paga le imposte dovute con sanzioni ridotte (grazie al ravvedimento). La lettera stessa non preclude il ravvedimento (non è un atto impositivo né un PVC). In caso di dubbi, puoi anche contattare l’ufficio che l’ha inviata per chiarimenti. Se invece non fai nulla, dopo un certo periodo (di solito 90 giorni) l’Agenzia procederà con l’accertamento formale, perdendo tu il beneficio delle sanzioni ridotte. Quindi conviene approfittare della “compliance” per sistemare tutto a costi minori.

D: Il mio conto corrente in Brasile è cointestato con mia moglie (che non produce reddito). In caso di accertamento, i saldi vanno attribuiti interamente a me?
R: No, in linea di massima se un conto è cointestato tra due persone, ciascuno ne detiene una quota ideale del 50%. Pertanto, ai fini del monitoraggio fiscale (Quadro RW), devi dichiarare il 50% del valore del conto. Anche eventuali interessi maturati andrebbero, salvo prova contraria, considerati al 50% come reddito di ciascun intestatario. Se l’accertamento ti imputasse il 100% dei valori, sarebbe contestabile dimostrando la cointestazione. Attenzione però: se l’altro intestatario è fiscalmente a tuo carico, l’Agenzia potrebbe presumere che in realtà il denaro sia tutto tuo (soprattutto se l’altro non ha disponibilità economiche). Sarà importante evidenziare la provenienza delle somme (ad es. se metà dei versamenti sul conto provenivano dal coniuge, allora il 50% è effettivamente suo). In sintesi, in regime normale l’attribuzione segue la cointestazione, ma è bene fornire all’occorrenza elementi per suffragare tale ripartizione.

D: Quali sono le sanzioni per aver dimenticato di compilare il quadro RW per un conto estero?
R: Le sanzioni per violazione del monitoraggio fiscale (omessa o infedele compilazione del quadro RW) sono proporzionali al valore non dichiarato. In particolare, l’art. 5 D.L. 167/90 (come modificato dal D.Lgs. 90/2017) prevede una sanzione dal 3% al 15% di quanto non monitorato. Se però l’attività estera si trova in un Paese non cooperativo (paradiso fiscale che non scambia informazioni), le sanzioni raddoppiano dal 6% al 30%. Poiché il Brasile scambia informazioni ed è in white list, si applica la fascia 3-15%. La misura specifica entro quella forbice la decide l’Ufficio: spesso applicano il minimo edittale (3%) per omissioni non fraudolente, ma possono salire verso il 15% se ritengono la violazione grave o ripetuta. Questa sanzione si riferisce ad ogni anno: ad esempio, 3% sul saldo di fine 2020 e 3% sul saldo di fine 2021, se entrambi non dichiarati. Va aggiunto che, se regolarizzi spontaneamente con ravvedimento, la sanzione si riduce proporzionalmente al ritardo (ad es. circa 0,5% al mese di ritardo per i primi 12 mesi, ecc., sino a 3% se ravvedi dopo molti anni). Infine, ricorda che la sanzione RW è autonoma rispetto alle eventuali sanzioni sull’imposta evasa: potresti subire entrambe.

D: Ho pagato le tasse in Brasile sul reddito (ad es. imposta sugli affitti, o trattenute sul salario). Devo pagarle di nuovo in Italia?
R: In linea di principio no, non paghi due volte sullo stesso reddito. Se sei tenuto a dichiarare in Italia quel reddito (perché sei residente qui), l’Italia ti riconosce un credito d’imposta per quanto hai pagato in Brasile. Ciò avviene grazie all’art. 23 della Convenzione Italia-Brasile e all’art. 165 del TUIR. Tuttavia, attenzione: per ottenere il credito devi indicare nella dichiarazione italiana l’ammontare del reddito estero e delle imposte estere pagate. Se ometti di dichiarare il reddito, formalmente l’art. 165 comma 8 TUIR nega il credito. Ma, come spiegato, la Cassazione ha superato questa negazione, affermando che il credito spetta comunque in sede di accertamento. Quindi, in sede di accertamento o ricorso potrai far valere il diritto al credito esibendo la prova delle tasse pagate in Brasile (come le ricevute o la dichiarazione dei redditi brasiliana). Il risultato finale sarà che in Italia dovrai pagare solo l’eventuale differenza tra l’imposta italiana e quella brasiliana. Ad esempio, se su un reddito X hai pagato 15 di tasse in Brasile e la tassazione italiana sarebbe 20, l’Italia chiederà solo 5 (più eventuali sanzioni per illeciti dichiarativi). Se invece la tassazione brasiliana è superiore a quella italiana (caso raro, ma ipotizza imposta brasiliana 30 e italiana 25), non avrai rimborso della differenza: il credito d’imposta è limitato all’imposta italiana sul medesimo reddito, l’eccedenza estera rimane a tuo carico. In pratica, si evita la doppia imposizione ma non si garantisce l’aliquota più bassa: paghi comunque il maggiore tra Italia e Brasile.

D: Cosa rischio se ignoro l’avviso di accertamento o non pago quanto dovuto?
R: Ignorare l’avviso è fortemente sconsigliato. Trascorsi i 60 giorni dalla notifica senza che tu abbia né presentato ricorso né pagato, l’accertamento diventa definitivo ed esecutivo. L’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) potrà procedere a riscossione forzata. Dal 2011 in poi, molti avvisi di accertamento valgono anche come cartella esattoriale decorsi i 60 giorni; in tal caso, dopo un preavviso di 30 giorni, si può agire su pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche, etc. Dovrai quindi affrontare:

  • l’iscrizione a ruolo degli importi con un ulteriore aggravio del 6% (oneri di riscossione) più eventuali spese;
  • il possibile pignoramento di conti correnti, stipendio, affitti, o il fermo dell’auto, fino a concorrenza del dovuto;
  • l’ipoteca su immobili di tua proprietà se il debito supera €20.000;
  • e in generale una situazione debitoria che può portare anche a vendite forzate di beni se non saldi.
    Inoltre, l’atto diventato definitivo non è più impugnabile: avrai perso ogni chance di contestazione. Sul fronte penale, se l’importo evaso rientra in fattispecie di reato, l’ignorare il debito aggrava la tua posizione: potresti subire il reato di sottrazione fraudolenta se fai atti per non pagare, e perderai le attenuanti legate al pagamento spontaneo. Quindi, ignorare non fa “cadere nel nulla” l’accertamento, anzi lo rende titolo esecutivo contro di te. Se non sei in grado di pagare subito, è meglio contattare l’Agenzia per una rateizzazione o valutare soluzioni (ad esempio chiedere la sospensione in autotutela se ci sono errori evidenti, o attivarsi per reperire fondi). In sintesi: affronta il problema, non sperare che sparisca da sé, perché l’ingranaggio della riscossione si attiverà con effetti molto concreti.

D: Posso ottenere una rateazione del debito risultante dall’accertamento?
R: Sì. Sia in sede di accertamento con adesione che in caso di pagamento in acquiescenza, è prevista la possibilità di rateizzare le somme dovute. In adesione, puoi dilazionare fino a 8 rate trimestrali (12 rate se l’importo dovuto supera €50.000). La prima rata va pagata entro 20 giorni dalla firma dell’atto di adesione, le successive ogni 3 mesi. Anche per l’accertamento divenuto definitivo (acquiescenza) la normativa consente la dilazione con le stesse modalità. Inoltre, se non hai definito in adesione e hai ricevuto la cartella/avviso esecutivo, puoi ancora chiedere rateazione alla Riscossione (di solito fino a 6 anni=72 rate mensili, estensibili a 10 anni in casi straordinari di grave difficoltà). È importante ricordare che in caso di mancato pagamento di due rate consecutive, il beneficio della rateazione decade e l’intero importo residuo diventa immediatamente riscuotibile. Dunque, chiedi rate compatibili con le tue effettive disponibilità. La rateazione ti permette di evitare misure esecutive purché tu sia in regola coi pagamenti delle rate.

D: Se regolarizzo e pago tutto con ravvedimento operoso, posso essere comunque perseguito penalmente?
R: No, se hai pagato integralmente tributi, sanzioni e interessi prima che la violazione ti sia contestata o comunque prima che inizino controlli fiscali (accessi, verifiche, ecc.), scatterà la causa di non punibilità penale prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 74/2000. In pratica, un ravvedimento operoso completo e tempestivo ti mette al riparo da reati di omessa o infedele dichiarazione relativi a quelle somme. Anche se il pagamento avviene dopo l’inizio di attività di controllo ma comunque prima dell’eventuale dibattimento penale, la legge – come modificata nel 2019 – estende la non punibilità a queste ipotesi. Ad esempio, se ricevi una verifica fiscale (PVC) e prima che parta la denuncia paghi tutto con sanzioni, potresti non essere punibile penalmente. Quindi, il ravvedimento non solo riduce le sanzioni amministrative, ma funge anche da “scudo” contro procedimenti penali (per i reati tributari di omessa/infedele; per altri reati come autoriciclaggio ovviamente conta meno, ma eliminando il reato fiscale presupposto si indebolisce anche l’autoriciclaggio). È sempre opportuno, in caso di violazioni significative, coordinarsi con un legale per valutare tempi e modi del ravvedimento in ottica penale, ma il principio generale è che chi si pente e paga spontaneamente non va in carcere per quei fatti.

D: Nel caso in cui volessi trasferire la mia residenza fiscale in Brasile, cosa devo fare per non avere più obblighi in Italia?
R: Devi operare un trasferimento di residenza “genuino” e curare alcuni adempimenti:

  1. Cancellarti dall’Anagrafe italiana e iscriverti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) presso il consolato competente. Questo è il primo passo formale per non essere più considerato residente in Italia.
  2. Stabilire la tua dimora abituale in Brasile e possibilmente trasferire lì il centro dei tuoi interessi (lavoro, famiglia). Se lasci in Italia famiglia e proprietà utilizzate, l’Agenzia potrebbe dire che hai ancora lì il domicilio.
  3. Rimanere all’estero per più di 183 giorni all’anno. Il Brasile dovrebbe diventare la tua residenza sia di fatto che di diritto.
  4. Attenzione alle “presunzioni di residenza”: l’Italia ha una presunzione per i Paesi black list (art. 2 c.2-bis TUIR) in base alla quale i cittadini italiani che si trasferiscono in paradisi fiscali si presumono comunque residenti in Italia salvo prova contraria. Il Brasile però non è nella lista nera, quindi questa presunzione specifica non si applica. Comunque, l’Amministrazione potrebbe sempre verificare la reale residenza (fenomeno dell’esterovestizione). Quindi conserva documenti che attestino la tua nuova vita in Brasile (contratti di affitto, bollette a tuo nome, contratto di lavoro, eventuale iscrizione ai registri locali).
  5. Considera la Convenzione Italia-Brasile: se dovessi avere redditi ancora dall’Italia, la convenzione eviterà doppie imposizioni assegnando potestà o crediti. Ma se sei residente in Brasile, in generale non dichiari più nulla in Italia (salvo redditi immobiliari che restano tassabili in Italia anche per i non residenti).
    In sintesi, per tagliare il “cordone fiscale” con l’Italia devi iscriverti all’AIRE e dimostrare che la tua vita si è spostata all’estero. Fatto ciò, dal periodo d’imposta successivo la tua residenza fiscale sarà solo brasiliana, e i redditi prodotti fuori Italia non saranno più tassati dall’Italia (dovrai però considerare eventuali redditi italiani ancora soggetti, es. affitti di case in Italia). Ricorda infine che il Brasile ti considererà residente fiscale se rimani lì più di 183 giorni/anno e avrai i relativi obblighi fiscali locali.

D: La Convenzione Italia-Brasile prevede lo scambio di informazioni e l’assistenza nel recupero crediti?
R: La Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Brasile (1981) all’art. 27 prevede lo scambio di informazioni tra le autorità competenti dei due Stati, per prevenire evasioni e applicare correttamente il trattato. Si tratta principalmente di scambio su richiesta (all’epoca in cui fu firmata non esisteva il CRS automatico). Quindi sì, c’è base legale per scambiarsi informazioni, cosa che oggi avviene perlopiù tramite il canale CRS multilaterale come visto. Invece, la assistenza nella riscossione dei tributi non è prevista specificamente in quella Convenzione (che è vecchio modello OCSE, che di norma all’epoca non includeva articoli di assistenza alla riscossione). Tuttavia, sia l’Italia che il Brasile hanno aderito nel frattempo alla Convenzione Multilaterale sulla mutua assistenza fiscale (MAC), che include anche l’assistenza alla riscossione su richiesta. Quindi, in teoria, l’Italia potrebbe chiedere al Brasile di aiutarla a riscuotere imposte da un soggetto che si è trasferito in Brasile, e viceversa. Nella pratica queste cooperazioni sulla riscossione non sono ancora molto utilizzate, ma la cornice giuridica esiste a livello multilaterale. In conclusione: sì allo scambio di informazioni (già in atto via CRS), sì in teoria all’assistenza al recupero (tramite accordi multilaterali più che per la vecchia Convenzione bilaterale), anche se su quest’ultimo aspetto pesa la volontà politica dei Paesi di attuarlo caso per caso.

D: Il denaro che avevo all’estero e che ora sto regolarizzando proveniva da evasione fiscale passata. Pagando le imposte adesso, mi conviene riportarlo in Italia?
R: Se hai regolarizzato la posizione (pagando imposte e sanzioni) quel denaro diventa, fiscalmente parlando, ripulito dal punto di vista tributario. Quindi potresti trasferirlo in Italia senza ulteriori imposizioni (nessuna tassazione sul rimpatrio in sé). Resta però da considerare il profilo di antiriciclaggio penale: se i fondi erano provento di evasione che costituiva reato, e tu li hai detenuti all’estero, spostarli adesso in Italia dopo aver pagato il dovuto può essere fatto con relativa serenità perché hai eliminato il reato presupposto pagando (quindi non c’è più “provento di reato” in teoria) e comunque farlo palesemente (tracciando il rimpatrio) indica volontà di trasparenza. Addirittura, nelle voluntary disclosure 2015 e 2017 il rimpatrio fisico non era obbligatorio ma incentivato. Oggi non c’è obbligo, puoi anche lasciarli dov’erano. Portarli in Italia ha il vantaggio che saranno sotto la stessa giurisdizione, e magari puoi investirli più facilmente qui. Tieni presente gli obblighi antiriciclaggio: le banche italiane chiederanno provenienza lecita dei fondi rimpatriati. Esibisci la documentazione dell’avvenuta regolarizzazione fiscale (atti di adesione, F24 pagati) per giustificare. In sintesi, sì puoi riportarli in Italia; valuta le condizioni di mercato (cambio, ecc.) ma sul piano legale, se tutto è stato sistemato col Fisco, non dovresti avere problemi, anzi diventa denaro “bianco” reinserito. Ovviamente, se la somma è molto grande ed era legata anche ad altre violazioni (es. reati diversi dall’evasione), consulta un esperto legale prima. Ma limitatamente al profilo tributario, una volta pagato il dovuto, il Fisco non ti chiederà altro su quel capitale e potrai disporne liberamente.

D: Ho ancora dei dubbi: meglio coinvolgere un esperto?
R: Assolutamente sì. Le questioni di fiscalità internazionale sono complesse, toccano norme italiane, trattati, prassi dell’Agenzia, giurisprudenza in evoluzione. Se ti trovi ad affrontare un accertamento di questo tipo o vuoi prevenire problemi (ad esempio hai ereditato un conto estero non dichiarato), rivolgiti a un professionista qualificato: un avvocato tributarista o un dottore commercialista esperto in materia internazionale. Un esperto saprà analizzare il tuo caso specifico, individuare i rischi e le opportunità (ad esempio eventuali adesioni a procedure di collaborazione volontaria se riaprissero, o quale strada deflattiva è migliore nel tuo scenario) e assisterti nel contraddittorio con l’Amministrazione e in giudizio se serve. Considera anche che le somme in gioco possono essere elevate e un errore difensivo o una mancata azione tempestiva possono costare molto. Dunque, benché questa guida fornisca un quadro avanzato, il “fai da te” in queste situazioni non è consigliabile. Un professionista potrà anche interloquire con l’ufficio locale dell’Agenzia in modo efficace (spesso conoscendo i funzionari e i margini di manovra possibili) e, se del caso, negoziare la miglior soluzione per te.

Conclusioni

Gli accertamenti fiscali su conti bancari o redditi detenuti in Brasile rappresentano una sfida multidimensionale per il contribuente, toccando aspetti tributari interni, diritto internazionale convenzionale e talora profili penal-tributari. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale affrontare la situazione con cognizione di causa e tempestività, sfruttando tutti gli strumenti di difesa e regolarizzazione offerti dall’ordinamento. Questa guida ha evidenziato che:

  • La normativa italiana impone ai residenti la dichiarazione di redditi esteri e di patrimoni detenuti all’estero, con sanzioni pesanti in caso di omissione. Allo stesso tempo, le Convenzioni internazionali (come quella col Brasile) offrono salvaguardie contro la doppia imposizione e prevalgono sulle leggi interne in caso di contrasto.
  • Negli ultimi anni, l’Italia riceve un flusso costante di informazioni finanziarie dal Brasile grazie al CRS e ad accordi bilaterali, riducendo enormemente la possibilità di mantenere nascosti investimenti all’estero. Pertanto, la miglior strategia è la compliance spontanea: se hai capitali non dichiarati, regolarizzali prima che il Fisco ti scopra, beneficiando di sanzioni ridotte e evitando guai peggiori.
  • Se l’avviso di accertamento è già arrivato, non è comunque la fine: esistono procedure come l’accertamento con adesione che permettono di negoziare una riduzione delle sanzioni e di trovare una soluzione condivisa, evitando il contenzioso. Se si va in giudizio, come abbiamo visto, vi sono solide argomentazioni difensive da far valere (credito d’imposta estero, mancata applicazione di presunzioni automatiche, errori procedurali, ecc.) suffragate anche da recenti sentenze di Cassazione.
  • Sul piano penale, la situazione è da maneggiare con cura: in caso di importi elevati, l’evasione può costituire reato, così come il trasferimento occulto di fondi all’estero può configurare autoriciclaggio. Tuttavia, il legislatore premia il contribuente che si pente e paga il dovuto, esonerandolo da sanzioni detentive in molte circostanze. Ciò invita ancora una volta a risolvere il contenzioso in maniera collaborativa e sollecita.
  • L’esperienza delle recenti pronunce giudiziarie conferma un orientamento più garantista verso i diritti del contribuente internazionale: la Cassazione ha censurato duplicazioni d’imposta illegittime e pretese punitive eccessive, richiamando l’Amministrazione al rispetto dei trattati e dei principi generali (come il ne bis in idem sostanziale nei casi di autoriciclaggio legato a evasione). Questo significa che un contribuente ben difeso, oggi, ha buone chance di far valere le proprie ragioni, almeno in parte.

In conclusione, un avviso di accertamento per attività in Brasile non dichiarate va affrontato con un mix di prudenza e assertività: prudenza nel non sottovalutare mai la portata dell’azione fiscale (attivandosi subito, evitando di nascondere ulteriormente fatti, valutando la transazione quando opportuno) e assertività nel rivendicare i propri diritti (niente doppie tasse sui medesimi redditi, rispetto dei termini e delle procedure, applicazione corretta delle norme convenzionali). Ogni caso ha le sue peculiarità, ma le linee guida generali fornite in questa trattazione permettono di orientarsi e comprendere cosa aspettarsi.

Il punto focale è che il debitore-contribuente informato è in grado di passare da una posizione passiva (“subire” un accertamento) a una posizione attiva di negoziazione e difesa consapevole. Ciò spesso si traduce in esiti significativamente migliorativi: importi nettamente ridotti, sanzioni alleggerite, e nelle situazioni migliori annullamento integrale delle pretese infondate. Anche l’impatto sulla propria vita (si pensi al fronte penale, o allo stress di un lungo contenzioso) può essere mitigato attraverso scelte strategiche come il ravvedimento, la definizione per adesione, ecc.

Infine, va sottolineato che il panorama normativo è in continua evoluzione: la riforma fiscale in cantiere (delega 2023) potrebbe portare ulteriori novità in materia di sanzioni, di rapporti internazionali, forse di nuove definizioni agevolate per i contenziosi. È dunque opportuno, per i professionisti e i contribuenti, tenersi aggiornati sulle modifiche legislative e sugli orientamenti giurisprudenziali. Le fonti autorevoli citate in questa guida – sentenze di Cassazione, circolari dell’Agenzia, dottrina specialistica – costituiranno un utile riferimento anche per approfondimenti futuri.

In definitiva, “difendersi” da un accertamento su redditi esteri non significa affatto eludere le proprie responsabilità, ma assicurarsi che venga richiesto solo il giusto (ciò che è realmente dovuto secondo legge, senza duplicazioni né eccessi) e che nell’applicare la legge siano considerati tutti gli strumenti di clemenza ed equità che l’ordinamento prevede (dalle riduzioni per adesione fino alle esimenti penali per condotta riparatoria). Così facendo, il contribuente potrà regolarizzare la propria posizione verso il Fisco italiano pagando il dovuto in maniera proporzionata e sostenibile, voltando pagina rispetto al passato fiscale irregolare e riducendo al minimo le conseguenze negative sul proprio patrimonio e sulla propria libertà.


Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a luglio 2025)

  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), artt. 2, 3, 15, 18, 165 – Criteri di residenza fiscale, tassazione dei redditi esteri e credito per imposte estere.
  • D.L. 28 giugno 1990 n. 167, conv. in L. 4 agosto 1990 n. 227, e successive modifiche – Monitoraggio fiscale attività estere (Quadro RW), presunzioni su investimenti esteri e sanzioni relative.
  • D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, artt. 4, 5, 11, 13 – Reati tributari di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, sottrazione fraudolenta al pagamento e causa di non punibilità per pagamento integrale.
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, art. 1 – Sanzioni amministrative per infedele dichiarazione (70% dal 2024; prev. 90-180%) e omessa dichiarazione (120-240%).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art. 13 – Ravvedimento operoso e riduzioni sanzioni.
  • D.Lgs. 19 giugno 1997 n. 218, artt. 6, 7, 15 – Accertamento con adesione e acquiescenza all’accertamento (riduzione sanzioni a 1/3).
  • Legge 15 dicembre 2014 n. 186, art. 1 – Introduzione del reato di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) e collaborazione volontaria 2015.
  • Decreto Legislativo 29 novembre 2023 n. 156, art. 5 – Riforma delle sanzioni tributarie dal 2024 (infedele 70% fisso, soglie penali innalzate: €150k imposta, €3mln elementi attivi).
  • Convenzione tra Italia e Brasile per evitare le doppie imposizioni (firma 03/10/1978, ratifica L. 29/11/1980 n. 844) – Artt. 4 (residenza fiscale), 7 (redditi d’impresa), 15 (lavoro dipendente), 22 (eliminazione doppie imposizioni), 23 (metodo esenzione per dividendi partecipazioni ≥25%), 27 (scambio di informazioni).
  • Direttiva 2014/107/UE (DAC2) e Standard OCSE CRSScambio automatico di informazioni finanziarie (implementati in Italia con L. 95/2015 e D.M. 28/12/2015).
  • Cassazione Civile, Sez. Trib. n. 30140 e 29635 del 2019Dividendi esteri da partecipazione qualificata (Germania/Brasile): esenzione totale in base alle Convenzioni, prevalenza su norme interne.
  • Cassazione Civile, Sez. Trib. n. 21614/2016Credito per imposte estere spettante anche se il reddito non fu dichiarato, in presenza di Convenzione (precedente confermato nel 2024).
  • Cassazione Civile, Sez. Trib. n. 24160 del 9 settembre 2024Diritto al credito d’imposta estero non condizionato dalla presentazione della dichiarazione; prevalenza obblighi convenzionali su art. 165 c.8 TUIR.
  • Cassazione Penale, Sez. III, n. 20649 del 4 giugno 2025Omessa compilazione quadro RW e trasferimenti di beni: non integra reato di sottrazione fraudolenta se manca imposta evasa e mancano atti realmente fraudolenti.
  • Cassazione Penale, Sez. V, n. 227 del 7 gennaio 2021Autoriciclaggio: trasferimento all’estero di proventi da reati fiscali giustifica l’accusa e consente sequestro/confisca.
  • Cassazione Penale, Sez. II, n. 44733/2022Reato di autoriciclaggio configurabile quando l’operazione estera ostacola concretamente l’identificazione dei proventi (anche ritardo).
  • Cassazione Penale, Sez. III, n. 37384/2019Causa di non punibilità ex art. 13 D.Lgs.74/2000 applicabile se pagamento integrale avviene prima del dibattimento, precluso patteggiamento su reato estinto.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 38/E del 23 dicembre 2013Chiarimenti sul monitoraggio fiscale e raddoppio termini in materia estera.
  • Provvedimento AE n. 439255 del 23 dicembre 2022Invio lettere di compliance per attività estere non dichiarate dal 2020 in poi, sulla base dei dati CRS.
  • Relazione illustrativa D.Lgs. 156/2023Spiegazione ratio riduzione sanzioni infedele al 70% per favorire compliance e ravvedimenti.

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Il Brasile non è un paradiso fiscale, ma i redditi e i conti esteri devono comunque essere dichiarati in Italia nel quadro RW e assoggettati a tassazione, salvo applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Brasile. La mancata dichiarazione può comportare accertamenti retroattivi, imposte, sanzioni e interessi. In alcuni casi, il fisco presume automaticamente che le somme non dichiarate siano redditi imponibili sottratti a tassazione in Italia, salvo prova contraria. Difendersi è possibile dimostrando l’avvenuta tassazione in Brasile, la provenienza lecita delle somme o l’assenza di obblighi dichiarativi.


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Conclusione
Un avviso di accertamento per conti o redditi in Brasile può avere conseguenze rilevanti, ma non sempre è fondato.
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