Come Impugnare l’Avviso di Accertamento Fiscale

Hai ricevuto un avviso di accertamento fiscale e vuoi sapere come impugnarlo?
L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate richiede il pagamento di maggiori imposte, interessi e sanzioni. È un provvedimento immediatamente esecutivo: se non lo impugni, diventa definitivo e può portare a cartelle esattoriali, ipoteche e pignoramenti. Conoscere i tempi e le modalità di difesa è fondamentale per tutelare i tuoi diritti.

Quando si può impugnare un avviso di accertamento
– Se contiene errori di calcolo o di ricostruzione dei redditi
– Se è stato notificato oltre i termini di decadenza previsti dalla legge
– Se presenta vizi di notifica o mancanza di motivazione
– Se si basa su presunzioni arbitrarie o documentazione incompleta
– Se le somme richieste sono già prescritte o già pagate

Termini per impugnare l’avviso
– Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica
– Se prima si tenta la strada del reclamo-mediazione, i termini possono essere sospesi
– La sospensione feriale (1° – 31 agosto) allunga i termini di impugnazione

Come si impugna un avviso di accertamento
– Rivolgersi a un avvocato tributarista per analizzare l’atto e i possibili vizi
– Presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria competente
– Allegare documenti e prove a sostegno della propria difesa
– Richiedere, se necessario, la sospensione dell’atto per bloccare cartelle e procedure esecutive durante il giudizio
– Partecipare all’udienza per sostenere le proprie ragioni contro l’Agenzia delle Entrate

Cosa si può ottenere con un ricorso efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’avviso di accertamento
– La riduzione delle imposte e delle sanzioni richieste
– La sospensione di cartelle, ipoteche e pignoramenti collegati all’atto
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di pagare solo quanto realmente dovuto

Attenzione: ignorare un avviso di accertamento significa lasciare che diventi definitivo, con conseguenze immediate sul tuo patrimonio. Impugnarlo nei termini è l’unico modo per difenderti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in accertamenti fiscali e difesa del contribuente – ti spiega come impugnare un avviso di accertamento e quali strategie legali adottare per proteggerti.

Hai ricevuto un avviso di accertamento e vuoi impugnarlo?
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Introduzione

Impugnare un avviso di accertamento significa contestare formalmente un atto impositivo con cui l’Amministrazione finanziaria (o l’ente locale) ritiene dovute maggiori imposte, sanzioni o interessi. L’avviso di accertamento è un atto esecutivo e impugnabile: esecutivo perché, trascorsi 60 giorni dalla notifica (termine di decadenza del ricorso), diventa titolo idoneo per la riscossione coattiva; impugnabile perché il contribuente può rivolgersi alla Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla notifica, pena l’impossibilità di contestare ulteriormente l’atto.

Dal punto di vista giuridico, l’avviso di accertamento è disciplinato principalmente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (per le imposte dirette: IRPEF, IRES, sostituti d’imposta, etc.) e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (per l’IVA), nonché dallo Statuto del Contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) e dal D.Lgs. 546/1992 (codice del processo tributario). Per i tributi locali (IMU, TASI, TARI, ecc.) si applicano normative tributarie speciali (ad es. D.Lgs. 504/1992 per l’ICI/IMU, legge 296/2006 art.1 c.161 per i termini) senza pregiudicare il ricorso al giudice tributario ordinario.

Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un quadro avanzato e completo (con riferimenti normativi e giurisprudenziali) su come il contribuente (privato, imprenditore o professionista) possa impugnare un avviso di accertamento, illustrando anche le fasi di autotutela e mediazione (oggi abrogata), possibili vizi dell’atto, procedure alternative di definizione (acquiescenza, adesione), termini di decadenza, simulazioni pratiche e risposte alle domande più comuni.

1. Contenuto e requisiti formali dell’avviso di accertamento

L’avviso di accertamento deve contenere tutti gli elementi essenziali previsti dalla legge. In particolare, deve riportare: dati anagrafici e fiscali del contribuente (o ragione sociale), l’anno o gli anni d’imposta cui si riferisce, la natura e l’ammontare del tributo accertato (IRPEF, IVA, IRES, IMU, ecc.), la motivazione dei maggiori imponibili (fatti ed elementi di diritto che giustificano l’operato), i calcoli eseguiti (imposta, sanzioni e interessi), l’autorità amministrativa che lo emette (nome dell’Ufficio e del funzionario responsabile) e – soprattutto – l’indicazione chiara e puntuale dei mezzi di prova (es. processi verbali di constatazione, documenti). Deve inoltre precisare i termini e la procedura per impugnarlo (normalmente 60 giorni davanti alla competente Commissione Tributaria).

La motivazione è un requisito chiave: per la Cassazione essa deve consentire al contribuente di comprendere “il percorso logico del ragionamento” dell’Amministrazione. Se la motivazione è contraddittoria o così generica da non chiarire le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’imposizione, l’atto è nullo. In particolare, la Corte suprema ha sancito che “l’avviso di accertamento non può essere supportato da motivazione contraddittoria” e che un avviso fondato su motivi diversi e inconciliabili è nullo. In sintesi, l’avviso deve spiegare in modo non equivoco perché l’imposta è dovuta (ad es. errori contabili, ricavi non dichiarati, IVA non versata, base imponibile errata, ecc.), senza contraddizioni interne.

Dal punto di vista formale, l’atto deve essere sottoscritto dal funzionario responsabile del tributo. In passato la legge richiedeva esplicitamente la firma autografa del dirigente (art.1 c.162 L.296/2006, per i tributi locali; art.1 c.87 L.549/1995, per gli atti Tarsu/ICI), ma tale esigenza è stata in parte derogata per gli atti automatizzati: se l’avviso è predisposto con sistemi informatici, è ammesso sostituire la firma con l’indicazione a stampa del nominativo del responsabile, a condizione che ciò sia previsto da apposita determina dirigenziale. In ogni caso, l’assenza di un’adeguata autorizzazione a usare la firma a stampa può invalidare l’atto: recente sentenza tributaria (CTP Lazio n. 6333/2023) ha dichiarato nullo un avviso IMU sottoscritto solo con firma meccanografica in mancanza del provvedimento autorizzativo.

Infine, l’avviso di accertamento deve riportare i termini di impugnazione (60 giorni) e le modalità di pagamento; dal 2011 esso ha efficacia esecutiva per i tributi erariali (dopo il termine per il ricorso l’atto è titolo esecutivo senza necessità di cartella). Se il contribuente decide di versare l’importo, può beneficiare della definizione in misura ridotta (acquiescenza con sanzioni ridotte), ma solo se ciò è indicato nell’atto. Va anche segnalato che dal 2024 l’amministrazione è tenuta a coinvolgere il contribuente in un contraddittorio preventivo obbligatorio: ogni avviso deve essere preceduto da uno “schema di atto” inviato al contribuente per consentirgli di fornire osservazioni; nell’avviso finale verrà richiamata questa fase.

2. Termini di decadenza per l’accertamento

Il contribuente deve innanzitutto verificare se il termine per notificare l’avviso è scaduto. In Italia l’accertamento deve essere eseguito entro precisi termini di decadenza. In base al D.P.R. 600/1973, art. 43, per le imposte sui redditi (IRPEF/IRES) l’avviso di rettifica o di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, o – se la dichiarazione è stata omessa o nulla – entro il 31 dicembre del settimo anno successivo. Ad esempio, per redditi dichiarati nel 2020 il termine scade il 31/12/2025.

Analogamente, per l’IVA l’art. 57 del D.P.R. 633/1972 stabilisce il termine di 5 anni (7 in caso di omessa dichiarazione) per notificare l’accertamento. Anche i tributi locali (IMU, TARI, ecc.) hanno un termine unico: l’art. 1 co. 161 della L. 296/2006 (Finanziaria 2007) fissa il termine decadenziale a 5 anni dal versamento o dalla dichiarazione (per ogni imposta locale, in assenza di distinzioni fra dichiarazione o versamento). Quindi, in linea generale, l’Agenzia delle Entrate può recuperare imposte o IVA non dichiarate fino al quinto anno successivo; per dichiarazioni mai presentate il termine si estende a 7 anni. In alcuni casi particolari (redditi esteri, violazioni penali, aiuti di Stato) i termini possono essere raddoppiati o prorogati.

Rispettato il termine di decadenza, l’avviso notificato è legittimo e solo da quel momento può diventare definitivo. Se l’avviso viene notificato oltre i termini previsti (ad esempio, un avviso IRPEF 2015 notificato nel 2026) il contribuente può far valere la decadenza del potere accertativo (l’atto è illegittimo e non può produrre effetti). Spetta all’Amministrazione provare che l’avviso è stato emesso entro i termini: va considerata la data di consegna al portalettere (o di spedizione). Infine, se il termine ultimo cade in giorno festivo, il DPR 600/1973 art.66 (norma generale) sposta la scadenza al primo giorno feriale successivo.

Tabella 1 – Termini decadenziali per l’avviso di accertamento:

TributoTermine ordinario (dichiarazione presentata)Termine se omessa dichiarazione
IRPEF/IRES31/12 del 5° anno successivo a quello di dichiarazione31/12 del 7° anno successivo
IVA31/12 del 5° anno successivo (DPR 633/72 art.57)31/12 del 7° anno successivo
Tributi locali (IMU, ecc.)31/12 del 5° anno successivo a dichiarazione o versamento(stesso termine: 5 anni anche per omessa dichiarazione)

In sintesi, prima di impugnare l’avviso il contribuente deve controllarne la tempestività. Se l’avviso è fuori termine (d.p.c.m. o normativa di risparmio), esso può essere impugnato eccependo la decadenza del potere. Al contrario, se il termine è rispettato, l’avviso può essere impugnato nel merito.

3. Vizi formali e sostanziali dell’avviso

Il contribuente deve esaminare con attenzione la validità formale dell’avviso. Alcuni vizi configurano nullità assoluta dell’atto, altre sono irregolarità sanabili (annullabilità). I vizi nulli (o annullabili) possono essere sempre eccepiti nel ricorso. Di seguito i più rilevanti:

  • Mancanza o insufficienza di motivazione – Il difetto di motivazione (art. 42 DPR 600/73, art.3 L.212/2000) è vizio gravissimo. La Cassazione ha stabilito che un avviso privo di motivazione comprensibile o con motivazione interna contraddittoria è nullo. In breve, se non si capisce perché l’imposta è aumentata, o se l’atto riporta due ragioni inconciliabili, l’avviso va annullato.
  • Firma del funzionario responsabile – L’avviso deve essere sottoscritto dal funzionario designato (es. dirigente). Per i tributi locali, norme speciali (L. 549/1995, art.1 c.87 e D.Lgs. 504/1992, art.11) prevedono che la firma autografa può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del responsabile, individuato con determina dirigenziale. La Cassazione ha confermato che questa sostituzione è legittima se tutte le condizioni (atto informatico, determina, indicazione del nome nell’atto, ecc.) sono rispettate. Tuttavia, l’assenza di un provvedimento che designi formalmente il funzionario o di altre formalità rende nullo l’atto. Ad es., una CTP del Lazio ha ritenuto nullo un avviso IMU quando mancava la determinazione del dirigente che autorizzava l’uso della firma a stampa.
  • Notifica irregolare – L’avviso deve essere notificato secondo le regole del codice di procedura civile (CPC) modificate per i tributi (DPR 600/73, art.60). In generale, la notifica va eseguita presso il domicilio fiscale del contribuente, salvo consegna in mani proprie. Il contribuente può eleggere un domicilio in altro luogo (di norma con raccomandata AR o PEC). Se manca un recapito, si usa la notifica all’estero o l’affissione se non rintracciabile. La notifica irregolare (es. indirizzo errato, mancata firma di ricevuta senza giustificazione, consegna a persona non legittimata) non invalida di per sé l’avviso se sanabile; tuttavia, l’eccezione di nullità per vizio di notifica può essere sollevata nel ricorso (purché il contribuente lo faccia valere in giudizio entro 60 giorni). In ogni caso, un vizio di notifica non tutelato per tempo si consolida con l’atto.
  • Competenza dell’ufficio – L’ufficio che emette l’avviso deve essere competente sia per materia (es. erariale vs locale) sia per territorio. Un avviso emesso da ente incompetente (ad es. Comune per tributo regionale fuori distretto, o Provincia per imposte erariali) è annullabile come atto emanato da autorità non titolata. Anche l’omessa allegazione di documenti essenziali (verbali, fatture) indicati nella motivazione può essere motivo di ricorso, ma di regola non costituisce nullità se l’atto è comunque comprensibile.
  • Annuncio di sanzioni e interessi – L’avviso deve indicare le sanzioni comminate e gli interessi calcolati. Se tali voci sono trattate in modo evidente, la loro mancanza formale nell’avviso (es. non riportati esattamente i calcoli) può comportare violazione dei diritti di difesa, ma raramente determina nullità assoluta; è più spesso un vizio annullabile.

In sintesi, alcuni vizi (p. es. mancanza di motivazione, mancata firma di legge, vizi notificatori gravi) comportano la nullità (atto invalido sin dall’origine); altri sono annullabili (l’atto è valido fino a cancellazione) e richiedono che il contribuente li deduca espressamente nel ricorso. Nella tabella seguente si sintetizzano i principali vizi formali dell’avviso:

Tabella 2 – Principali vizi dell’avviso di accertamento:

Vizio / IrregolaritàEsito dell’attoNote
Mancata motivazione o motivazione contraddittoriaNullità assolutaL’atto è nullo, viola art.3 L.212/2000 e art.42 DPR 600/73. Il contribuente perde possibilità di difendersi.
Omessa sottoscrizione del responsabile (o firma irregolare)Nullità (per tributi locali) o inammissibile (per erariali)Per locali: serve delega, L.549/95 prevede stampa nome; senza delega, atto nullo. Per erariali: dal 2023 al momento si considera valido anche firma digitale dell’ufficio.
Notifica non regolareAnnnullabilità (nullità sollevabile se gravemente irregolare)Ad es., mancata consegna al domicilio fiscale, consegna fuori orario legale. Può essere eccepita nel ricorso.
Ufficio incompetente (territorio o materia)Nullità o annullabilitàAtto emanato da soggetto non competente (es. Comune vs Agenzia Entrate), vizi senza sanatoria automatica.
Decadenza / prescrizione superataNullità assoluta (atto illegittimo)L’avviso emesso oltre termini decadenziali di legge (art.43 DPR600, art.57 DPR633) è invalido.

Nota: Nel diritto tributario italiano la nullità o annullabilità degli atti vanno quasi sempre eccepite dall’interessato entro i termini di impugnazione. Un vizio formale non rilevato in giudizio si considera “sanato” con l’omessa impugnazione. Quindi ogni irregolarità deve essere contestata nel ricorso.

4. Procedura di impugnazione

Se l’avviso rispetta i requisiti formali minimi (o vi sono vizi evidenziati nel ricorso) e il contribuente intende contestarlo, deve agire rapidamente. L’azione principale è il ricorso in Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente per territorio, da presentare entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell’avviso. La decorrenza di questi 60 giorni è rappresentata dalla data di ricezione dell’atto, salvo quegli istituti particolari (domicilio eletto, giorni festivi) di cui al codice civile (art.60 DPR 600/73, art.149 c.p.c.). L’assenza di tempestiva impugnazione provoca la definitività dell’avviso (gli atti vanno quindi eseguiti tramite cartella di pagamento dopo ulteriore intimazione).

Dove e come ricorrere. Il ricorso va depositato (telematicamente) presso la segreteria della CTP territorialmente competente (solitamente nel luogo di esercizio dell’attività o di residenza del contribuente). Il ricorso deve essere in forma scritta e contenere: i dati di parte, i motivi di impugnazione e le prove che si intendono produrre. Deve essere sottoscritto dal contribuente o dal suo procuratore tributario (avvocato/CAF/commercialista). È necessario allegare il contraddittorio amministrativo (atto viziato) e copia dell’avviso. Se il contribuente sceglie di affrontare il giudizio senza difensore, nel ricorso indicherà le proprie generalità anche del domicilio eletto, in modo da consentire le comunicazioni.

Effetti del ricorso. La presentazione del ricorso presso la CTP ha efficacia dichiarativa e sospensiva del pagamento: la procedura di riscossione coattiva (pignoramenti, fermi, ipoteche) non può essere eseguita fino alla decisione definitiva (anche di secondo grado). Tuttavia, l’Amministrazione può effettuare riscossioni ordinarie nel frattempo se decise prima della notifica (per i tributi locali, ad es.). Se il ricorso è fondato, la Commissione accerterà l’illegittimità dell’avviso (o ridurrà l’importo) e l’atto non sarà più esecutivo. Se invece il contribuente perde, potrà impugnare in Cassazione (per motivi di diritto) entro 60 giorni dalla sentenza di secondo grado (Commissione Tributaria Regionale).

Procedure deflative. Prima di intentare giudizio, il contribuente può (e in alcuni casi deve) valutare le procedure alternative di definizione del contenzioso:

  • Accertamento con adesione: se proposto dalla Agenzia prima dell’atto, consente di concordare il valore del tributo a termini vantaggiosi.
  • Domanda di acquiescenza: entro 60 giorni dall’avviso, il contribuente può chiedere all’ufficio definizione in misura ridotta (pagando imposta, interessi e 1/3 di sanzioni).
  • Conciliazione/Mediazione tributaria: fino al 2023 era un passaggio obbligatorio (per cause ≤50.000€) prima del giudizio; dal 4/1/2024 è stato abrogato. Oggi il contribuente può rivolgersi direttamente al giudice.

Cosa succede dopo l’avviso – Spesso dopo 60 giorni senza opposizione e senza pagamento, l’avviso vale come titolo esecutivo (per tributi erariali e locali) e si procede con l’intimazione di pagamento e poi eventuale pignoramento. Se invece il contribuente paga spontaneamente l’avviso (o prevale in giudizio), può recuperare gli importi eventualmente versati in eccesso chiedendo rimborso o compensando negli anni seguenti.

5. Autotutela dell’Amministrazione

Prima o dopo l’impugnazione, il contribuente può attivare l’istituto dell’autotutela tributaria: chiedere all’Agenzia delle Entrate (o all’ente locale) di annullare o correggere l’avviso. Lo Statuto del Contribuente (L.212/2000) – recentemente riformato dal D.Lgs. 219/2023 – distingue casi di autotutela obbligatoria e facoltativa.

  • Autotutela obbligatoria: l’amministrazione deve annullare d’ufficio l’avviso quando presenta “manifeste illegittimità” espressamente elencate (art.10-quater L.212/00). Ad esempio, errori evidenti di persona (dati anagrafici errati), di calcolo (imposta, sanzioni, interessi calcolati male), del tributo (se l’atto riguarda una imposta già coperta dall’accertamento di altro tributo), difetto degli elementi minimi di motivazione, ecc.. La Circolare AE 21/E del 7/11/2024 chiarisce che, in tali casi, l’Agenzia non può sottrarsi all’obbligo di cancellare l’atto. L’autotutela obbligatoria decade se è già intervenuta sentenza definitiva favorevole all’Amministrazione o è decorso un anno dalla definitiva irrevocabilità dell’atto stesso.
  • Autotutela facoltativa: prevista dall’art.10-quinquies dello Statuto, consente all’Agenzia di annullare o rettificare anche altri atti palesemente illegittimi (dalla prospettiva dell’amministrazione) per ragioni di opportunità o di non aggravamento del contenzioso, purché non vi siano contenziosi pendenti dello stesso giudicato. L’autotutela facoltativa deve tener conto della situazione giurisdizionale. Spesso l’Agenzia fa redigere delle istruttorie interne (“ispezioni”) per identificare errori. Con la riforma del 2023, l’autotutela è stata potenziata: gli articoli 10-quater e 10-quinquies L.212/2000 (introduzione e modalità di domanda, responsi espresso o tacito entro 90 giorni) sono stati aggiornati, e l’Amministrazione ricorda che può avvalersi di tale strumento per risolvere controversie senza ricorrere al giudice. Le Circolari ministeriali (ad es. Circ. 21/E del 2024) illustrano i casi tipici (errori materiali, ricorsi con manifesta infondatezza, elementi nuovi sopravvenuti) e ricordano che, una volta rigettata (tacitamente o espresso) la richiesta di autotutela, il contribuente può ricorrere giudizialmente entro 60 giorni.

Iter in autotutela. Il contribuente invia all’ufficio (Agenzia Entrate – Accertamento, o ente locale) un’istanza motivata di annullamento/rimborso (ad es. presentando documenti nuovi o evidenziando errori). L’ufficio ha 90 giorni per rispondere (dopo di che si ha silenzio-rigetto e si può ricorrere). L’atto di diniego di autotutela è equiparato, ai fini del giudizio tributario, a un diniego di accesso: pertanto l’art. 21, co.1 lett. g-bis del D.Lgs. 546/1992 include anche il rifiuto (espresso/tacito) sull’istanza di autotutela nei casi di cui agli art.10-quater e 10-quinquies L.212/2000. Ciò significa che il contribuente può impugnare tale diniego in sede tributaria, come se fosse un altro atto avverso cui ricorrere.

In sintesi, l’autotutela è un rimedio amministrativo che può evitare il contenzioso: se l’ufficio riconosce l’errore, annulla l’avviso ed evita al contribuente di dover ricorrere. È sempre consigliabile valutare prima l’autotutela, soprattutto per vizi evidenti e sanabili. Tuttavia, l’ufficio non è obbligato ad accogliere tutte le richieste, e in alcuni casi (ad es. motivi di opportunità economica dello Stato) può rifiutare. In tal caso scatta il termine di 60 giorni per il ricorso in Commissione.

6. Procedura conciliativa (reclamo-mediazione) e novità

Fino a pochi anni fa, in alcuni casi il contribuente era obbligato a esperire un tentativo deflattivo prima di adire la Commissione Tributaria. Si trattava del reclamo-mediazione tributaria, introdotto dal D.Lgs. 156/2015 e modificato più volte. Dal 4 gennaio 2024 però tale istituto è stato abrogato per quasi tutte le controversie, semplificando la via del ricorso.

  • Reclamo-mediazione (fino al 3/1/2024): per le cause di valore non superiore a €50.000 (calcolato sull’imposta dichiarata maggiore) il ricorso alla CTP aveva valore anche di reclamo: il contribuente notificava un unico atto (il ricorso) e attendeva 90 giorni l’eventuale mediazione obbligatoria con l’ufficio. Se non si raggiungeva accordo, trascorso quel termine si procedeva con il deposito del ricorso in Commissione. Questo era un passo obbligatorio (pena decadenza del diritto di ricorrere) per gli anni 2016-2023. Chi ricorreva per controversie di importo superiore poteva tuttavia esperire liberamente la conciliazione (facoltativa).
  • Abolizione reclamo-mediazione (dal 4/1/2024): il D.Lgs. 220/2023 (rist. processuale tributario) ha abrogato l’art.17-bis del D.Lgs. 546/1992. Di conseguenza, per gli atti notificati dal 1° gennaio 2024 non è più obbligatorio il reclamo-mediazione: il contribuente può notificare immediatamente il ricorso alla Commissione entro i 60 giorni. Solo le controversie finite prima del 4/1/24 rimangono soggette al vecchio obbligo. Con la revisione del 2023, quindi, è nuovamente possibile andare al giudice tributario “direttamente”, senza attendere o proporre preliminarmente mediazione. Resta però ferma la possibilità (ancora oggi utile) di tentare una conciliazione spontanea con l’ufficio anche dopo l’emissione dell’avviso, e di versare in via parziale per definire con sanzioni ridotte (acquiescenza).

In pratica, oggi il contribuente riceve l’avviso e, se ritiene l’atto illegittimo, può presentare subito il ricorso in Commissione (entro 60 giorni). Se invece preferisce provare ad accordarsi (per esempio con abbuono di sanzioni), può farlo (autotutela contrattuale), ma non è più obbligato dalla legge.

7. Impugnazione in commissione tributaria: aspetti pratici

7.1 Termini e competenza

Il termine per proporre ricorso è di 60 giorni dalla data di notifica dell’avviso (art.21 D.Lgs.546/92). Questo termine è perentorio: scaduto senza l’iniziativa, l’accertamento diventa definitivo. Per contare i 60 giorni si considera la data di ricezione (non quella di spedizione). Ad esempio, se un avviso è ricevuto il 1° aprile, il termine ultimo per ricorso è il 30 maggio (o il 31° giorno se maggio ha 31 giorni). Se il termine scade di sabato o festivo, si applica lo slittamento (art.60 DPR 600/73, co.4). Il deposito del ricorso in Commissione deve avvenire entro il trentesimo giorno successivo alla notifica del ricorso stesso (art.7 co.4 D.Lgs.546/92); in passato c’era la sospensione per i 90 giorni di mediazione, ora non più.

La competenza territoriale dipende dal luogo in cui l’atto è stato notificato o dove il soggetto ha domicilio fiscale/ricavi. Il contribuente sceglie l’ufficio giudiziario provinciale nel cui distretto era residente o operava l’anno d’imposta in contestazione. Se l’atto è stato notificato all’estero, la competenza è del Tribunale di Roma.

7.2 Contenuto del ricorso

Il ricorso deve contenere (a pena di inammissibilità) gli elementi essenziali previsti dal codice tributario (art.21 D.Lgs.546/92):

  • Intestazione: indicazione della Commissione Tributaria (ad es. C.T. Provincia di Milano), delle parti (ricorrente e resistente – tipicamente l’Agenzia o il Comune), e del processo.
  • Soggetto ricorrente: dati completi (CF/P.IVA), domicilio fiscale, eventuale rappresentante o difensore (con procura).
  • Atto impugnato: individuazione (tipo di atto, data, numero, anno d’imposta, tributo).
  • Oggetto: specificazione della domanda (es. annullamento dell’avviso, nullità o ricalcolo).
  • Motivi di ricorso: esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che giustificano l’annullamento o la riduzione dell’avviso (ad es. “violazione di termini”, “errore di calcolo”, “mancanza di motivazione”, “limiti di decadenza superati”, “diniego di autotutela”). Ogni motivo deve essere argomentato e, se possibile, supportato da documenti o riferimenti normativi.
  • Prove: elenco e produzione di documenti, perizie, contraddittori amministrativi, ogni mezzo probatorio utile.
  • Conclusioni: sintesi di quanto richiesto (es. annullamento totale o parziale dell’avviso; rideterminazione del tributo), con eventuali domande istruttorie (audizione teste, CTU).
  • Elenco documenti: elenco degli allegati.
  • Firma: il ricorso deve essere firmato digitalmente dal difensore o cartaceo (nel caso di pagamento di marche) se non inviato telematicamente.

Dopo la redazione, il ricorso va notificato alla controparte (Agenzia Entrate o ente impositore) entro il termine: cioè va inviato tramite posta raccomandata (con raccomandata a/r o, preferibilmente, tramite PEC) alla sede dell’Amministrazione, e depositato in segreteria CTP entro 30 giorni dalla notifica. Dal 2022 è infatti obbligatoria la notifica telematica agli uffici dell’Agenzia (D.Lgs. 182/2022): l’atto va inoltrato alla Pec dell’ufficio competente (quella indicata nell’avviso o nelle comunicazioni del fisco).

7.3 Questioni di rito comuni

In fase iniziale, il giudice tributario può esaminare questioni di rito. Le più frequenti sono:

  • Legittimazione a ricorrere: solo il destinatario effettivo dell’avviso (o il suo successore) può impugnare. Se l’avviso reca il nome di una persona ormai deceduta o estinta, il ricorso sarà inammissibile. Non possono ricorrere persone diverse dal reale destinatario.
  • Doppia impugnazione: ogni atto di accertamento si impugna con un unico ricorso. Se si ricevono accertamenti su anni diversi o su tributi diversi, si possono notificare più ricorsi distinti (massimo 5 atti per ricorso).
  • Anche la “virtù d’informatrice”: dopo il 2024, l’avviso deve ricordare di per sé il termine e la competenza (art.19 D.Lgs.546/92); la mancanza dell’avvertenza non pregiudica il diritto del contribuente di impugnare, purché lo faccia nei termini. Infatti “la violazione dell’obbligo di informazione” in sé è un vizio dell’atto, ma non automatizza l’annullamento: va dedotta in ricorso per farla valere.
  • Aspetti telematici: dal 2019 il processo tributario è telematico, quindi il ricorso si presenta via PST (processo tributario telematico) e le comunicazioni delle udienze avvengono anch’esse con PEC e deposito telematico (art.16-bis D.Lgs.546/92). Il difensore deve pertanto avere PEC e firma digitale.

7.4 Possibili esiti del giudizio

Se il giudice di primo grado accoglie il ricorso, dispone l’annullamento totale o parziale dell’avviso, con statuizione sugli importi. Nel caso di parziale accoglimento, il Tribunale Tributario riduce il tributo dovuto. Se respinge il ricorso (riconferma l’avviso), il contribuente può fare appello davanti alla Corte Tributaria Regionale (secondo grado) entro 60 giorni. In sede di appello si può proporre nuove questioni di fatto o diritto, ma occorre tenere presente che l’oggetto del giudizio di secondo grado (qualora l’appello sia del contribuente) è in genere limitato a questioni di diritto (la materia è complessa: l’art. 58 D.Lgs.546/92). Infine, da entrambe le sentenze di CTP o CTR è possibile, se vi sono i presupposti, ricorrere in Cassazione per errori di diritto (art.360 c.p.c.).

8. Principali aspetti tributari a confronto: IRPEF, IVA, IRES, IMU

L’avviso di accertamento può riguardare diversi tributi. Le regole generali viste valgono sia per le imposte dirette (IRPEF, IRES e addizionali) sia per le indirette (IVA), così come per i tributi locali come l’IMU. Alcune differenze significative riguardano i termini di decadenza (già trattati) e la competenza: per l’IVA e le imposte sui redditi si impugna presso la Commissione Tributaria Provinciale di residenza del contribuente (o sede azienda), mentre per l’IMU si impugna la competenza può variare se la controversia riguarda parte statale o comunale dell’imposta (di solito: per la porzione comunale la competenza è del Comune ricorrente, ma la regola generale è il domicilio del contribuente). In ogni caso il procedimento giudiziario è lo stesso.

Un’altra differenza riguarda la definizione degli avvisi: per esempio l’accertamento IVA (art.54 DPR 633/72) può scaturire da controlli in contraddittorio, quanto quello IRPEF (art.36 DPR 600/73). Ma una volta notificato, le impugnazioni seguono lo stesso rito. Resta valido che, per qualsiasi tributo, se l’Amministrazione deriva l’accertamento da un controllo (verifica o controllo automatizzato) effettuato, l’avviso può essere un atto distinto (accertamento definitivo) oppure conclusivo di un procedimento di contraddittorio (accertamento con adesione). Ma in sede di ricorso cambia poco: si deduce l’insussistenza dei fatti o la errata applicazione delle norme.

9. Domande frequenti (FAQ)

Q1: Entro quando devo fare ricorso contro l’avviso?
A1: Entro 60 giorni dalla notifica (data di ricezione). Se scade sabato o festivo, si conta il giorno feriale successivo. La decorrenza è perentoria: scaduto il termine, l’avviso diventa definitivo.

Q2: Che differenza c’è tra un avviso di accertamento e una cartella esattoriale?
A2: L’avviso di accertamento è un atto impositivo che definisce maggiori imposte, sanzioni o interessi da versare; può essere impugnato direttamente entro 60 giorni. La cartella di pagamento, invece, è un titolo di riscossione emesso per somme già definite (in via amministrativa o giudiziaria) e diventa esecutiva decorsi pochi giorni senza pagamento. L’avviso diventa esso stesso titolo esecutivo se non impugnato entro il termine.

Q3: Cosa succede se non rispondo all’avviso né pago?
A3: Se trascorrono 60 giorni senza ricorso né pagamento, l’avviso acquista efficacia esecutiva e l’Agenzia (o Equitalia/Agenzia-Riscossione) può procedere a riscossione coattiva (ad es. fermo amministrativo, pignoramento) senza emettere prima cartella. Quindi è fondamentale impugnare entro i termini o pagare per evitare l’escalation. Pagando l’avviso entro 60 giorni si può usufruire della definizione agevolata (sanzioni ridotte all’uno-terzo).

Q4: Posso chiedere prima di ricorrere una rateizzazione o un ulteriore contraddittorio?
A4: L’avviso stesso indica se è prevista la rateazione o acquiescenza (pagamento in riduzione). Fuori da ciò, un reclamo formale non è più previsto obbligatoriamente dopo il 2024, ma nulla vieta di contattare l’ufficio per chiedere chiarimenti o definizione. Per rotolarizzare le somme notificate, prima del 2024 c’era l’obbligo del reclamo-mediazione per alcune cause, ma ora non più. In ogni caso, non si sospendono i termini di ricorso chiedendo sanatorie: se si decide di impugnare, è consigliabile farlo subito. Se invece si intende pagare in modo dilazionato (pignoramento o rate), è necessario comunque impugnare se si contestano gli importi; altrimenti la decadenza scatta comunque.

Q5: E se ricevo solo una richiesta di pagamento o un invito a definire?
A5: Un semplice preavviso (prospetto o proposta di adesione) non è un avviso di accertamento definitivo e non è impugnabile separatamente. L’avviso definitivo è quello che contiene l’espressa ingiunzione di pagamento con evidenza di maggiori imposte. Se l’ente invia solo un “invito a definire” (ad es. in caso di accertamento con adesione), il contribuente può rispondere in quell’ambito, ma non impugnare ciò finché non viene emesso l’atto finale. Se invece il contribuente ha già avviato contraddittorio e ottenuto proposta di adesione, può acconsentire (definizione) o lasciar proseguire per l’avviso finale.

Q6: Posso impugnare per dubbi di legittimità costituzionale del tributo?
A6: No. In sede tributaria si valutano la violazione di norme di legge e le questioni di fatto (omissioni di redditi, aliquote errate, ecc.). La legittimità costituzionale di leggi tributarie non è materia per il giudice tributario, ma per la Corte Costituzionale in via incidente. Il contribuente non può sollevare direttamente in Commissione censure di legittimità costituzionale dell’imposta stessa.

Q7: Se vinco, l’Agenzia mi restituisce le somme già versate?
A7: Sì. In caso di annullamento o rideterminazione favorevole, il contribuente ha diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate (con rivalutazione monetaria e interessi se previsto) o alla compensazione nei versamenti successivi. Se il contribuente ha già pagato in acconto, l’Agenzia emette provvedimento di rimborso (art.30 D.P.R. 602/73) dopo la definizione. Se in esito al giudizio di merito residuano somme a credito del contribuente, l’Amministrazione dovrà restituirle (con sanzioni e interessi se previsti).

Q8: Posso contestare l’avviso se ho già pagato?
A8: Sì. Il pagamento non determina carenza di interesse a ricorrere, purché avvenuto sotto riserva di legge (ossia con atto scritto che dichiara il ricorso). Se il contribuente ha già versato ma ritiene l’avviso infondato, può comunque fare ricorso chiedendo il rimborso delle somme pagate in eccesso. Tuttavia, attenzione: pagare senza riserva comporta il consolidarsi dell’accertamento; quindi è fondamentale che ogni versamento sia effettuato contestualmente con la manifestazione di impugnazione.

10. Tabelle riepilogative

Tabella 3 – Termini per impugnare l’avviso:

TermineDecorrenzaBase normativa
Impugnazione60 giorni dalla notifica dell’avvisoD.Lgs. 546/92, art. 21; art.60 DPR 600/73
Deposito ricorso30 giorni dalla notifica del ricorsoD.Lgs. 546/92, art. 7, co.4
Appello (CTR)60 giorni dalla notifica sentenza CTPD.Lgs. 546/92, art. 37
Impugnazione Cassazione60 giorni dalla notifica sentenza CTRD.Lgs. 546/92, art. 54

Tabella 4 – Confronto tra accertamento erariale e locale:

AspettoTributi erariali (IRPEF, IVA, IRES)Tributi locali (IMU, TARI, TASI, TARSU)
Termine di decadenza5 anni (7 se omessa dichiarazione)5 anni (art.1 c.161 L.296/06)
Autorità accertatriceAgenzia delle Entrate, Guardia di FinanzaComune/Provincia/Regione
ImpugnazioneCommissioni Tributarie ProvincialiCommissioni Tributarie Provinciali
Firma dell’attoIn passato autografa, oggi anche digitale; no stampa nome prevista da norme speciali (D.Lgs. 546/92 art.16-bis)Autografa o a stampa (L.549/95, D.Lgs.504/92)
Procedure deflativeAccertamento con adesione (se previsto)Talvolta conciliazione locale
RiscossioneAgenzia Entrate – RiscossioneEquitalia/E-Riscossione o Ente Locale

11. Simulazioni pratiche

  • Esempio 1 (IRPEF): Mario Rossi, privato, riceve in luglio 2025 un avviso di accertamento IRPEF 2020 per €10.000 di imposta dovuta in più (con sanzioni e interessi). Controlla e nota che la motivazione riporta un verbale della Guardia di Finanza. I 60 giorni decorrono dalla data di notifica (ad es. 15/7/2025, termine 13/9/2025). Non ci sono motivi di errore di persona né di termine decadenziale, l’unico dubbio è sulla correttezza del calcolo dei ricavi. Decide di fare ricorso. Prepara il ricorso spiegando perché i maggiori ricavi contestati non corrispondono a dati effettivi (paga documenti di entrate extra?), allega la dichiarazione e il verbale e impugna entro i termini. Se fosse passato il 31/12/2025 (5 anni) avrebbe potuto eccepire decadenza.
  • Esempio 2 (IVA): Un’azienda presenta la dichiarazione IVA annuale e nel 2022 (per anno 2017) riceve un avviso che contesta operazioni non dichiarate. Verifica che l’atto sia stato notificato entro il 31/12/2022 (termine del 5° anno). Se è oltre, impugnerà per decadenza; altrimenti impugnerà nel merito contestando base imponibile ed eventuali crediti.
  • Esempio 3 (IMU/TARI): La Sig.ra Bianchi riceve nel 2023 un avviso di accertamento IMU 2020 emesso dal suo Comune. Nota che nell’avviso è riportata la firma a stampatello del funzionario responsabile, ma manca qualsiasi riferimento alla delibera del Comune che lo designa e al quadro normativo. Consultando un commercialista, scopre che in sede giurisdizionale (C.T. Lazio) è stato stabilito che senza determinazione del dirigente l’avviso è nullo. Prepara allora ricorso per nullità per difetto di sottoscrizione regolare dell’atto, depositandolo entro 60 giorni.
  • Esempio 4 (Acquiescenza): Un contribuente riceve un avviso di accertamento IVA 2018 con sanzioni al 30%. Decide di definire subito in acquiescenza: invia la domanda di acquiescenza all’Ufficio (entro 60 giorni) e paga l’importo con sanzioni ridotte (ad 1/3). In tal caso non propone ricorso e l’atto si chiude con la definizione.
  • Esempio 5 (Autotutela): Prima di fare ricorso, l’imprenditore Verdi invia un’istanza di autotutela all’Agenzia, facendo notare che l’avviso contiene un evidente errore di calcolo delle sanzioni (somma sbagliata). L’ufficio revisiona l’atto e, constato l’errore, emette un provvedimento di annullamento d’ufficio. In questo modo Verdi evita il contenzioso e l’accertamento cade senza ulteriori controversie.

12. Conclusioni

Impugnare un avviso di accertamento fiscale richiede attenzione ai termini, ai vizi formali e sostanziali dell’atto, e alla corretta strategia (ricorso o definizione). Il contribuente deve agire entro 60 giorni, preparare un ricorso ben motivato, allegare documenti e evidenziare eventuali errori dell’Amministrazione. Nel caso di avviso errato o irregolare (motivazione contraddittoria, firma illegittima, decorrenza scaduta, notificazione irregolare, ecc.), l’impugnazione porta spesso all’annullamento dell’atto, come confermato da recenti pronunce della Cassazione. Prima di ricorrere, vale la pena valutare anche l’autotutela (rimettere l’atto all’ufficio per rettifica) e, se ancora prevista, le procedure deflative (accertamento con adesione, acquiescenza). In ogni caso, è consigliabile affidarsi a un professionista (avvocato o commercialista tributarista) per redigere il ricorso e orientarsi nella complessa normativa tributaria.

Il contrasto fiscale richiede preparazione e azione tempestiva: questa guida aggiornata raccoglie le norme e le giurisprudenze più recenti utili a orientare il contribuente-debitore (privato o imprenditore) nel percorso di impugnazione di un avviso di accertamento.


Fonti

  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, c.1-2-3 (termini di decadenza e integrazione dell’accertamento); art. 60 (norme sulla notificazione).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 (termini di decadenza IVA).
  • D.Lgs. 546/1992, art. 21 c.1 (termine e pena di inammissibilità del ricorso), art. 17-bis (reclamo/mediazione, abrogato dal D.Lgs. 220/2023), art. 25-bis (mediazione introdotta), art. 54 (ricorso per cassazione).
  • L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente), art. 3 c.1 (motivazione degli atti), artt. 10-quater e 10-quinquies (autotutela obbligatoria/facoltativa).
  • L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1 c.162 (designazione funzionario tributi comunali).
  • L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1 c.87 (sostituzione firma autografa con nominativo a stampa se atto informatico).
  • D.Lgs. 220/2023 (riforma processo tributario, 30 dicembre 2023), art. 2, c.3 lett. a) (abrogazione art.17-bis D.Lgs.546/92); art. 19 (inserimento dei dinieghi di autotutela tra gli atti impugnabili).
  • Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 13620/2023 (del 19/06/2023) – annulla avvisi con motivazione contraddittoria.
  • Cassazione civile, ordinanza n. 28445/2023 (12/10/2023) – autorizza firma a stampa del funzionario per avvisi TARSU/ICI.
  • C.T. Lazio, Sez. 11, sentenza n. 6333/2023 (IMU) – avviso IMU nullo senza firma/regolare determina.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 21/E del 7 novembre 2024 (prassi, chiarimenti su autotutela).
  • Siti istituzionali: Ministero Economia e Finanze – Dip. Giustizia Tributaria (esempi procedure, termini).

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L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente maggiori imposte, sanzioni e interessi. Non è un atto definitivo: può e deve essere impugnato entro i termini di legge (generalmente 60 giorni dalla notifica). Il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria, con la possibilità di chiedere anche la sospensione dell’atto se vi è un rischio di danno grave e immediato. Difendersi è fondamentale, perché un avviso non impugnato diventa definitivo e incontestabile.


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Conclusione
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