Hai ricevuto una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria che compensa le spese di giudizio senza una reale motivazione?
Capita spesso che i giudici tributari, anche in presenza di una vittoria piena del contribuente, decidano di compensare le spese con una formula generica o di stile, privando la parte vincitrice del diritto al rimborso delle spese legali. Questo comportamento può essere contestato e ribaltato.
Cos’è la compensazione delle spese con motivazione di stile
– È la decisione del giudice che dispone che ciascuna parte paghi le proprie spese di giudizio
– Viene adottata anche quando una delle parti è risultata vincitrice
– È giustificata con frasi generiche e stereotipate, prive di riferimenti concreti al caso (es. “giusti motivi” o “ragioni di equità”)
– Non rispetta i principi fissati dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, che richiedono motivazioni reali e specifiche
Perché è illegittima
– La legge prevede che le spese siano a carico della parte soccombente
– La compensazione può essere disposta solo in casi eccezionali e deve essere motivata in modo puntuale
– Le motivazioni di stile non sono sufficienti a giustificare la deroga al principio di soccombenza
– La giurisprudenza della Cassazione considera nulle le decisioni prive di motivazione adeguata sulle spese
Come contestare la decisione
– Analizzare attentamente la sentenza con un avvocato tributarista per verificare se la motivazione è effettivamente generica
– Proporre ricorso per Cassazione entro 60 giorni dalla notifica della sentenza
– Evidenziare l’assenza di motivazione effettiva sulla compensazione delle spese
– Richiamare la giurisprudenza consolidata che richiede una giustificazione specifica per derogare al principio di soccombenza
– Chiedere la riforma della sentenza limitatamente al capo sulle spese di lite
Cosa si può ottenere con il ricorso
– L’annullamento della parte della sentenza relativa alla compensazione delle spese
– La condanna della parte soccombente a rifondere integralmente le spese legali sostenute
– La tutela del diritto del contribuente vincitore a non essere penalizzato economicamente
– Un precedente utile per evitare future decisioni analoghe
Attenzione: la compensazione delle spese con motivazioni di stile non va accettata passivamente. È un vizio di legittimità che può essere corretto in Cassazione con un ricorso ben strutturato.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e ricorsi in Cassazione – ti spiega come contestare una decisione della Corte di Giustizia Tributaria che compensa le spese senza una vera motivazione e quali strumenti utilizzare per difenderti.
Hai ricevuto una sentenza con spese compensate senza motivazione?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Esamineremo la sentenza, individueremo i vizi e predisporremo il ricorso per ottenere il rimborso delle tue spese legali.
Introduzione
Contestare una decisione tributaria che abbia compensato le spese di lite con una motivazione di stile – cioè una giustificazione generica e stereotipata – è un tema di grande rilevanza pratica per contribuenti, imprenditori e professionisti legali. In ambito di giustizia tributaria italiana, specialmente dopo la riforma del 2023, vige il principio per cui la parte soccombente deve rimborsare le spese processuali della parte vittoriosa; la compensazione delle spese è un’eccezione rigorosamente limitata a ipotesi tassative e richiede una motivazione specifica e concreta. Quando il giudice – tipicamente la Corte di Giustizia Tributaria di primo o secondo grado – dispone l’integrale compensazione delle spese senza una vera motivazione, limitandosi a frasi formule generiche (es. “per la particolarità del caso” o “per motivi di equità”), tale decisione può e deve essere contestata.
Nei paragrafi che seguono forniremo una guida approfondita (aggiornata a luglio 2025) su come impostare questa contestazione, con riferimento alle norme vigenti, agli orientamenti giurisprudenziali più recenti (dopo la riforma del 2023) e ai profili di diritto sovranazionale (CEDU). La guida è strutturata in modo da essere utile sia a professionisti legali (avvocati tributaristi), sia a privati cittadini o imprenditori che si trovino nel ruolo di contribuenti “debitori” vittoriosi nel merito ma privati del rimborso delle spese legali. Useremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, fornendo anche domande e risposte, tabelle riepilogative e casi pratici. Il focus sarà sul punto di vista del contribuente (il “debitore” nel rapporto col Fisco) che intende far valere il proprio diritto al ristoro delle spese processuali.
Quadro normativo: principio di soccombenza e compensazione delle spese nel processo tributario
Nel processo tributario italiano, il principio generale in materia di spese processuali è quello della soccombenza: la parte che perde totalmente la causa (soccombente) deve rimborsare alla parte vincitrice le spese di giudizio da questa sostenute e liquidate dal giudice. Questo principio, previsto anche nel processo civile ordinario (art. 91 c.p.c.), vale anche nel processo tributario: a ribadirlo è intervenuta la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite, chiarendo che solo la parte interamente vittoriosa va esente dalle spese, mentre qualsiasi soccombenza (anche parziale) giustifica la condanna alle spese. In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato che il criterio di soccombenza non va frazionato per fasi processuali, ma valutato nell’esito finale della lite: se una parte risulta perdente nel complesso, può essere condannata alle spese anche se aveva avuto decisioni favorevoli in gradi precedenti. Al contempo, la Suprema Corte ha precisato che il controllo in sede di legittimità sulle spese si limita a verificare che non siano poste spese a carico del vincitore, restando invece discrezionale per il giudice di merito l’eventuale compensazione totale o parziale nei casi consentiti.
La compensazione delle spese di lite, cioè la decisione di far sopportare a ciascuna parte le proprie spese (in tutto o in parte, anziché porle a carico della parte soccombente), costituisce una deroga eccezionale al suddetto principio. Proprio per il suo carattere derogatorio, la compensazione è ammessa solo in circostanze ben precise previste dalla legge e richiede un’attenta giustificazione. Nel processo tributario, la materia è disciplinata autonomamente dall’art. 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (il “codice” del processo tributario), che dopo varie modifiche – da ultima la riforma introdotta con il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 – oggi stabilisce condizioni stringenti per poter compensare le spese.
Art. 15, comma 2, D.Lgs. 546/1992 (testo vigente dal 2024): “Le spese del giudizio sono compensate, in tutto o in parte, in caso di soccombenza reciproca e quando ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate, ovvero quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio.”
In base a questa norma – come novellata dalla riforma del 2023 – le ipotesi di compensazione delle spese nei giudizi tributari (di primo e secondo grado, nonché in Cassazione per quanto compatibile) sono tassative. Possiamo riassumerle così:
- Soccombenza reciproca: quando entrambe le parti risultano parzialmente vincitrici e parzialmente soccombenti. Ciò può accadere, ad esempio, se il contribuente ottiene solo un accoglimento parziale del ricorso (es. l’avviso di accertamento viene annullato solo in parte, oppure solo alcuni motivi di ricorso vengono accolti). In tal caso ciascuno ha in parte “perso” e in parte “vinto”, e il giudice può compensare le spese perché nessuna parte può dirsi totalmente vittoriosa. La soccombenza reciproca è la situazione “tradizionale” in cui era ammessa la compensazione anche prima delle riforme, ed è oggi espressamente prevista sia dall’art. 15 D.Lgs. 546/92 sia dall’analoga norma del codice di procedura civile.
- Gravi ed eccezionali ragioni, espressamente motivate: questa è la clausola generale che consente la compensazione solo in casi eccezionali, da spiegare in sentenza con motivazione puntuale. Si tratta di circostanze atipiche che rendono oggettivamente equilibrato o non iniquo lasciare ogni parte con le proprie spese, anche in presenza di un vincitore e un perdente netti. L’art. 15 richiede però che tali ragioni siano “gravi ed eccezionali” e soprattutto che siano indicate esplicitamente dal giudice. Non è più ammessa una compensazione per “giusti motivi” formulati in modo implicito o generico: come vedremo, la legge e la giurisprudenza richiedono specificità. Esempi di gravi ed eccezionali ragioni ricavabili dalla prassi giurisprudenziale (e in parallelo dall’art. 92 c.p.c. per il processo civile) sono:
- L’assoluta novità della questione giuridica trattata, cioè quando la controversia verteva su un tema mai affrontato prima in sede giudiziaria, tale da giustificare un margine di incertezza sul diritto applicabile.
- Un mutamento radicale e imprevedibile della giurisprudenza sulla materia, intervenuto magari proprio mentre la causa era pendente, che rende comprensibile l’errore della parte poi soccombente. Ad esempio, se al momento del ricorso esisteva un orientamento favorevole al contribuente, poi capovolto dalle Sezioni Unite durante il giudizio: in tal caso il giudice potrebbe compensare le spese considerando che la parte soccombente aveva fatto affidamento su un precedente orientamento ora superato.
- (Nel processo civile, si citavano inoltre la particolare complessità in fatto e in diritto della controversia, ma nel processo tributario tali circostanze devono comunque tradursi in novità della questione o contrasto giurisprudenziale; la semplice complessità di per sé non è più sufficiente come “giusto motivo” generico.)
- Altre analoghe ragioni di eccezionalità, purché specifiche e documentate: la norma parla di “gravi ed eccezionali ragioni” in termini generali, quindi lascia teoricamente spazio anche ad altre situazioni oltre a novità e cambio di orientamento, ma qualunque ragione addotta deve avere il carattere dell’eccezionalità e non deve coincidere con una circostanza ordinaria della lite (ad esempio la “buona fede” della parte soccombente o la “comprensibilità” del suo errore, se non dovuta a vere incertezze normative, non sono di regola sufficienti in assenza di assoluta novità normativa o giurisprudenziale).
- Vittoria fondata su documenti decisivi prodotti tardivamente: questa ipotesi è stata introdotta dalla riforma del 2023 (D.Lgs. 220/2023) e riguarda un caso specifico: quando la parte che risulta vittoriosa lo fa grazie a documenti decisivi che essa stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio. Qui l’idea è di sanzionare processualmente la parte vincitrice che avrebbe potuto produrre prima quei documenti (ad esempio, allegandoli all’istanza in autotutela o in fase amministrativa) e invece li ha presentati tardivamente, costringendo l’altra parte al giudizio. In tale scenario, oggi la legge impone la compensazione delle spese (o comunque la rende obbligatoria in quanto eccezionale deroga): la parte “vincitrice tardiva” non potrà farsi rimborsare le spese perché il suo stesso comportamento ha contribuito a far sorgere il contenzioso. Si pensi a un contribuente che esibisce una prova decisiva dell’errore del fisco solo in giudizio e non prima: pur vincendo la causa, le spese potrebbero essere compensate perché avrebbe potuto evitare il giudizio presentando prima quel documento.
- Conciliazione intervenuta tra le parti: se nel corso del processo tributario le parti raggiungono una conciliazione giudiziale (accordo transattivo formalizzato davanti al giudice), le spese di regola si intendono compensate salvo diverso accordo specifico. Questa regola è prevista dalla legge (art. 48 D.Lgs. 546/92 come modificato dalla L. 130/2022) e riflette la logica che, avendo le parti trovato un accordo bonario, ciascuno sopporta le proprie spese, a meno che abbiano concordato diversamente nel verbale di conciliazione (possono ad esempio prevedere che una parte rimborsi una quota di spese all’altra). La conciliazione dunque comporta ex lege la compensazione, ma solo se non c’è un patto diverso fra le parti in merito alle spese.
Come si vede, la disciplina attuale (post riforma 2022-2023) è molto chiara nel indicare quando il giudice tributario può deviare dal principio “chi perde paga” compensando le spese. Il filo conduttore è che la compensazione è un’eccezione giustificata solo da ragioni di equità sostanziale ben identificabili: casi in cui sarebbe oggettivamente ingiusto far pagare interamente le spese al soccombente (perché non completamente soccombente, o perché “scusabile” per novità normative/giurisprudenziali, o perché la controparte vincitrice ha avuto comportamenti processuali tali da aggravare inutilmente il giudizio). Al di fuori di queste ipotesi tassative, il giudice non può compensare le spese.
Tabella riepilogativa: motivazioni ammissibili vs. motivazioni non valide per la compensazione
Di seguito una tabella che sintetizza alcuni esempi di ragioni valide (eccezionali) per la compensazione delle spese rispetto a ragioni non valide o considerate meramente apparenti:
Motivazioni di compensazione AMMISSIBILI (eccezioni) | Motivazioni NON valide (formule di stile) |
---|---|
Soccombenza reciproca (entrambe le parti parzialmente vittoriose/soccombenti). | Formula generica “per motivi di equità” o “per la natura della causa” senza dettagli. |
Novità assoluta della questione giuridica trattata, che ha creato incertezza interpretativa. | Riferimento a “particolarità del caso” senza spiegare quale elemento concreto la costituisca. |
Mutamento imprevedibile della giurisprudenza sulla materia durante il processo. | Invocare la buona fede o la correttezza della parte soccombente come mero inciso, se la questione non era giuridicamente dubbia (non integra di per sé una ragione eccezionale). |
Comportamento processuale della parte vincente che ha prodotto documenti decisivi in ritardo, rendendo necessario il giudizio (art. 15, c.2 riformato). | Richiamo alle “circostanze del caso” o “ragioni di opportunità” prive di specificazione (es. non indicare quali circostanze). |
Conciliazione giudiziale fra le parti (spese compensate salvo accordi diversi). | Difficoltà organizzative o carico di lavoro dell’ente impositivo (es. “mole di contenzioso dell’Ufficio”) – non costituiscono validi motivi di compensazione. |
Altre ragioni “gravi ed eccezionali” strettamente legate a peculiarità specifiche del caso, esplicitate in sentenza (es: causa pilota con esito influenzato da fattori straordinari, ecc.). | Assenza totale di motivazione sul punto spese – il giudice non può limitarsi a compensare senza dire nulla: sarebbe una motivazione mancante/apparente e quindi un error in procedendo. |
Nota: Le motivazioni nella colonna di destra sono definibili “di stile” perché si riducono a frasi stereotipate, apodittiche (cioè affermate senza spiegazione) che non rivelano le effettive ragioni della decisione. Tali formule sono ritenute dalla giurisprudenza inidonee a giustificare la compensazione delle spese. Viceversa, le motivazioni ammissibili devono riferirsi a elementi concreti della lite, indicati con precisione.
Cosa si intende per “motivazione di stile” nella liquidazione delle spese
Con l’espressione “motivazione di stile” si fa riferimento, in gergo giudiziario, a quelle motivazioni standardizzate e generiche che talvolta i giudici inseriscono nei provvedimenti per giustificare una decisione senza fornire una vera spiegazione specifica. Nel contesto delle spese processuali, una motivazione di stile è tipicamente una frase fatta, priva di contenuto concreto, utilizzata per compensare le spese senza entrare nel merito di quali sarebbero le ragioni effettive della compensazione.
Esempi classici di formule stereotipate con cui alcuni giudici in passato compensavano le spese sono: “considerata la particolarità della questione trattata, si compensano le spese”; oppure “ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese”; o ancora “spese compensate per equità”. Queste frasi, se non accompagnate da ulteriori spiegazioni, non chiariscono quale fatto o circostanza concreta giustifichi l’eccezione alla regola della soccombenza. In altre parole, non permettono di capire perché la parte che ha vinto non debba ottenere il rimborso delle spese da chi ha perso.
La giurisprudenza definisce questo tipo di motivazioni come motivazioni apparenti o apodittiche. Una motivazione è “apparente” quando di fatto non svela il percorso logico-giuridico della decisione, pur presentando una facciata formale. Ad esempio, scrivere “compensazione disposta per altri giusti motivi” senza indicare quali siano questi motivi equivale a non dare alcuna motivazione reale: siamo di fronte a parole di rito (locuzioni di stile, appunto) che non consentono a chi legge di controllare la logicità e legalità della decisione. La Corte di Cassazione ha più volte evidenziato che un richiamo generico a non meglio precisati “motivi di equità” o “ragioni di opportunità” non rappresenta una ragione sufficiente a giustificare la compensazione delle spese.
In particolare, dopo le riforme normative che hanno reso più rigorosi i presupposti per la compensazione (prima la L. 69/2009 e poi la L. 162/2014 per il processo civile, e dal 2015 anche nel processo tributario), la Cassazione ha assunto un atteggiamento molto severo verso le motivazioni di stile. Oggi le frasi fatte non bastano più: il giudice deve indicare in modo puntuale quale sia la ragione grave ed eccezionale che lo ha convinto a non applicare la regola del “chi perde paga”. Se non lo fa, la decisione sulle spese è erronea e può essere annullata.
Vale la pena citare testualmente un recente passaggio giurisprudenziale sul punto. La Corte di Giustizia Tributaria di II grado del Lazio (ossia la ex Commissione Tributaria Regionale) nella sentenza n. 3950/2023 ha affermato che le ragioni di compensazione devono riferirsi a circostanze specifiche o aspetti particolari della lite e non possono consistere in una formula di stile o in un’affermazione generica che non rappresenti una ragione idonea o sufficiente a giustificare la compensazione. Allo stesso modo, la Cassazione, Sez. Tributaria, ord. n. 3220 del 2 febbraio 2023 (successivamente confermata da numerosi altri provvedimenti) ha ribadito che nel processo tributario le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui all’art. 15 D.Lgs. 546/92 devono essere esplicitamente indicate e riferite a specifiche circostanze della controversia, non potendo essere espresse con formula generica, altrimenti la sentenza risulta viziata. In quell’occasione la Suprema Corte ha anche precisato che motivazioni illogiche o erronee sulle spese – sebbene formalmente esplicitate – configurano comunque un vizio di violazione di legge censurabile in Cassazione. Ad esempio, sempre la Cassazione 3220/2023 ha cassato una decisione in cui il giudice di merito aveva compensato le spese adducendo la “difficoltà di gestione del contenzioso da parte dell’ufficio fiscale locale”: tale circostanza (il carico di lavoro dell’ente impositivo) non rientra tra i motivi legittimi di compensazione, e inoltre il modo in cui era stata formulata (“a tacere d’altro…”) è stato giudicato privo di vero contenuto, quindi assimilabile a una motivazione nulla.
Riassumendo, una motivazione “di stile” sulle spese è una motivazione fittizia: sembra motivare ma in realtà non espone alcun motivo concreto. È considerata alla stregua di una mancanza di motivazione e come tale viola sia la legge processuale nazionale (art. 36, co.2, n.4 D.Lgs. 546/92, che richiede alle sentenze tributarie di esporre succintamente i motivi in fatto e diritto) sia il precetto costituzionale dell’art. 111 Cost. che impone l’obbligo di motivazione delle sentenze. Nel prossimo paragrafo vedremo proprio i profili di illegittimità costituzionale e convenzionale connessi a una sentenza che compensi le spese senza un’adeguata motivazione, nonché come tali profili possano essere fatti valere.
Obbligo di motivazione: profili costituzionali e CEDU nelle decisioni sulle spese
L’obbligo di motivazione delle sentenze è un principio cardine del nostro ordinamento, sancito a livello costituzionale dall’art. 111, comma 6, della Costituzione Italiana, secondo cui “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Una sentenza priva di motivazione o con motivazione meramente apparente contrasta con questo principio e si traduce in una violazione di legge gravissima (error in procedendo), tale da rendere nulla la sentenza stessa. Nel caso specifico delle spese processuali, se il giudice non argomenta il perché della compensazione – quando sarebbe tenuto a farlo – incorre proprio in questa violazione. Non sorprende, quindi, che la Corte di Cassazione abbia affermato in plurime occasioni che una compensazione delle spese non motivata o motivata in modo meramente stereotipato integra un vizio di nullità della sentenza per difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c. (richiamato dall’art. 36, co.2, n.4 D.Lgs. 546/92).
La Cassazione stessa ha sviluppato il concetto di “minimo costituzionale” della motivazione: in una celebre pronuncia a Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 8053/2014) ha stabilito che solo le anomalie motivazionali estreme sono censurabili in sede di legittimità, ossia quei casi in cui la motivazione manca del tutto, è puramente apparente, oppure è talmente contraddittoria o incomprensibile da equivalere a zero. La motivazione di stile rientra proprio tra queste ipotesi (motivazione apparente): consiste magari in qualche riga di testo ma non permette di comprendere le ragioni della decisione, quindi è come se non ci fosse. Ne consegue che una sentenza tributaria che liquida le spese con una frase fatta, senza spiegare le specifiche ragioni per deviare dal criterio della soccombenza, viola l’art. 111 Cost. e può essere annullata su ricorso.
Anche la Corte Costituzionale si è interessata, seppur indirettamente, del tema delle spese compensate. In passato, quando il codice di procedura civile consentiva al giudice di compensare le spese per “giusti motivi” anche senza doverli esplicitare, la prassi aveva generato abusi (molte sentenze compensavano quasi automaticamente). La Consulta, pur non avendo mai censurato come illegittimo costituzionalmente tale potere discrezionale, ha però accolto con favore le strette normative che hanno richiesto la motivazione esplicita. Ad esempio, la sentenza Corte Cost. n. 77/2018 – nell’esaminare la riduzione delle ipotesi di compensazione introdotta nel 2014 – ha riconosciuto che limitare la compensazione a casi eccezionali non viola il diritto di difesa né il principio di uguaglianza, ma anzi è una scelta legislativa ragionevole per evitare che la compensazione diventi uno strumento deflattivo improprio o un disincentivo all’azione giudiziaria. In altre parole, la Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo che il legislatore imponga criteri stringenti e obbligo di motivazione, poiché ciò tutela il giusto processo: il giudice deve rendere giustizia anche sulle spese in modo coerente e proporzionato al caso concreto, e le parti hanno diritto a conoscere il perché della decisione sulle spese.
Dal punto di vista sovranazionale, è fondamentale richiamare l’art. 6 §1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che garantisce il diritto a un equo processo. Una componente essenziale del giusto processo, secondo consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, è proprio il dovere del giudice di motivare le proprie decisioni. La Corte di Strasburgo ha affermato che i tribunali nazionali sono tenuti a motivare i loro provvedimenti almeno in maniera sufficiente a far comprendere le ragioni della decisione, benché l’estensione di tale obbligo possa variare in base alla natura della decisione e alle circostanze del caso. Questo principio, elaborato in casi come Van de Hurk vs. Paesi Bassi (CEDU 1994) e Hiro Balani vs. Spagna (CEDU 1994), vale in generale per ogni pronuncia giudiziaria su diritti e obblighi civili o penali.
Importante per il nostro tema, la Corte EDU ha esplicitamente riconosciuto che l’obbligo di motivazione si applica anche alle decisioni sulle spese processuali. In una decisione del 2011 (Associazione per la Difesa dei Diritti Umani in Romania – Comitato Helsinki c. Romania, ric. n. 2959/11), la Corte europea ha dichiarato inammissibile per altre ragioni un ricorso, ma ne ha approfittato per ribadire che anche la statuizione sulle spese giudiziarie deve essere motivata. Dunque, un giudice che imponga spese o le compensi senza motivazione adeguata può incorrere in violazione dell’art. 6 CEDU. Un caso emblematico riferito all’Italia è la sentenza Quattrone c. Italia (CEDU, 24 marzo 2015), in cui la Corte europea ha riscontrato la violazione dell’art. 6 §1 proprio perché una Corte d’Appello italiana, decidendo su un’indennizzo “Pinto” per durata irragionevole del processo, aveva liquidato spese legali elevatissime senza alcuna motivazione sull’ammontare. La Corte EDU ha sottolineato che, dato l’importo significativo delle spese, la totale assenza di giustificazione al riguardo integrava una violazione del diritto a un processo equo.
Tradotto nel contesto del processo tributario: se un contribuente vince la causa contro il Fisco (magari perché l’atto impositivo era illegittimo) ma il giudice gli nega il rimborso delle spese legali senza spiegazioni concrete, tale omissione di motivazione incide sul suo diritto di difesa e sul principio di equità processuale. Egli di fatto subisce un pregiudizio economico (deve accollarsi i costi del proprio legale nonostante abbia avuto ragione) senza sapere perché, e senza poter verificare se il giudice abbia applicato correttamente la legge. Come affermato anche a Strasburgo, questa situazione può configurare violazione della Convenzione, ma prima ancora rappresenta un vizio di legittimità che va fatto valere nei gradi interni di giudizio (appello o Cassazione). Infatti, per adire la Corte EDU occorre aver esaurito i rimedi interni: sarà dunque cruciale impugnare la decisione sulle spese di fronte ai giudici superiori italiani, come vedremo subito.
Mezzi di impugnazione contro la compensazione ingiustificata delle spese
Come può agire concretamente il contribuente (“debitore”) che si ritrova con una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria (CGT) – di primo grado o di secondo grado – che ha compensato le spese con una motivazione apparente o stereotipata? I percorsi si differenziano a seconda del livello del giudizio in cui ci si trova, ma il principio generale è: la statuizione sulle spese processuali è parte della sentenza e, in quanto tale, può essere impugnata autonomamente o insieme al resto della decisione.
In altri termini, se riteniamo errata la decisione del giudice di compensare le spese senza adeguata motivazione, dobbiamo impugnare la sentenza in quella parte (il “capo” relativo alle spese) mediante gli strumenti ordinari di impugnazione, ossia:
- Appello (dinanzi alla CGT di secondo grado) se la decisione impugnata è una sentenza di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale, oggi Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). L’appello nel processo tributario è disciplinato dagli artt. 51 e ss. D.Lgs. 546/92. Si tratta di un riesame completo della causa da parte del giudice di secondo grado, sia in fatto che in diritto. Nel proporre appello, la parte vittoriosa nel merito ma soccombente sulle spese dovrà sollevare uno specifico motivo di appello contestando la compensazione disposta dal giudice di prime cure. È fondamentale dedicare un motivo ad hoc alle spese, anche se si è totalmente vinto sul merito, perché altrimenti quel capo diventerà definitivo. In appello, si potrà chiedere al giudice di riformare la sentenza di primo grado sul punto spese, quindi di condannare la controparte (es. l’Agenzia delle Entrate) al rimborso delle spese del primo grado, oltre eventualmente alle spese dell’appello stesso. Nel giudizio di appello tributario, infatti, il giudice ridetermina anche le spese del primo grado se l’appellante glielo richiede e se accoglie il motivo.
- Ricorso per Cassazione (dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, Sezione Tributaria) se la decisione impugnata è una sentenza di secondo grado (ex CTR, ora Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado). Il ricorso per Cassazione è previsto dall’art. 62 D.Lgs. 546/92 e si propone per motivi di legittimità, cioè errori di diritto commessi dal giudice di merito. Una sentenza di secondo grado che abbia illegittimamente compensato le spese può essere impugnata in Cassazione per due possibili motivi di ricorso:
- Violazione di legge (art. 360 c.p.c. comma 1 n.3) – Si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 15 D.Lgs. 546/92 e 92 c.p.c., nonché eventualmente dell’art. 111 Cost., per aver disposto la compensazione al di fuori delle ipotesi consentite o senza la motivazione espressamente richiesta dalla legge. Ad esempio, si potrà sostenere che la CGT di secondo grado ha violato l’art. 15 comma 2 D.Lgs. 546/92, compensando pur in assenza di soccombenza reciproca e senza indicare alcuna ragione eccezionale esplicita.
- Nullità della sentenza per difetto di motivazione (art. 360 c.p.c. comma 1 n.4) – Si deduce che la sentenza impugnata è nulla ex art. 132 c.p.c. e art. 36 D.Lgs. 546/92 (in relazione all’art. 111 Cost.), poiché la motivazione sul punto spese è meramente apparente. In pratica, si lamenta che il giudice di appello ha utilizzato una formula di stile (o non ha proprio motivato) per compensare le spese, quindi la sentenza è affetta da error in procedendo. Questa censura spesso si accompagna alla precedente in via subordinata: prima si dice che la compensazione è contra legem, e comunque – anche se fosse astrattamente consentita – la motivazione adottata è inesistente o insufficiente.
È importante notare che il ricorso per Cassazione sulle spese può essere proposto anche se sul merito della causa non si hanno ulteriori questioni. La parte completamente vittoriosa nel merito ma danneggiata dalla compensazione spese può rivolgersi alla Cassazione esclusivamente su questo aspetto, senza timore di rimettere in discussione l’esito favorevole di merito (che, non essendo impugnato da controparte, diventa definitivo). La Cassazione ha più volte confermato che la statuizione sulle spese ha natura accessoria ma autonoma, quindi impugnabile separatamente (in passato c’era un dibattito sulla necessità di impugnare l’intera decisione, ma oggi è pacifico che si possa limitare il ricorso al capo sulle spese).
Tempistiche e procedura
I termini per impugnare seguono le regole generali del processo tributario. Dopo la riforma del 2022, il termine breve per appello o cassazione è di 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado (o di primo grado, nel caso di appello) ad istanza di parte. In assenza di notificazione, opera il termine lungo di 6 mesi (oggi 6 mesi dal deposito della sentenza, estesi a 12 mesi per i casi introdotti dopo il 2022, ma nel dubbio conviene non attenderlo). Quindi, se si riceve la notifica della sentenza di secondo grado che ha compensato male le spese, si hanno 60 giorni per preparare e notificare il ricorso per Cassazione.
La redazione dell’atto di impugnazione deve essere accurata: soprattutto in Cassazione, vige il principio di specificità dei motivi e di autosufficienza. Bisogna quindi:
- Indicare chiaramente i motivi: ad esempio, intitolare uno dei motivi come “Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 D.Lgs. 546/92 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., nonché nullità della sentenza per motivazione apparente ex art. 360, n.4 c.p.c., in tema di compensazione delle spese”.
- Esporre i fatti rilevanti: riportare brevemente il contenuto della sentenza impugnata nella parte in cui ha deciso sulle spese. Esempio: “La CGT di secondo grado del Lazio, pur avendo confermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato (accoglimento integrale del ricorso del contribuente), ha tuttavia integralmente compensato le spese di lite tra le parti, motivando testualmente: ‘considerata la peculiarità della vicenda e l’assenza di un univoco orientamento giurisprudenziale sul punto, spese compensate’. Si osserva peraltro che, nella specie, la questione controversa era già stata risolta da un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, ignorato dal giudice di merito.”.
- Sviluppare l’argomentazione giuridica: spiegare perché quella motivazione è inadeguata e contraria a legge. Continuando l’esempio: “Tale motivazione risulta meramente apparente e contraria a diritto. In primo luogo non ricorre alcuna soccombenza reciproca, essendo il contribuente totalmente vittorioso; in secondo luogo il riferimento alla ‘peculiarità della vicenda’ e ad un preteso difetto di orientamenti univoci non individua alcuna specifica ragione grave ed eccezionale: al contrario, la materia (detrabilità IVA, nel caso di specie) risulta da tempo chiarita in giurisprudenza, come attestato da Cass. n. XXX/20XX. Pertanto, la sentenza impugnata ha violato l’art. 15 D.Lgs. 546/92, compensando le spese al di fuori delle ipotesi consentite. Inoltre, la motivazione adottata sul punto è meramente stereotipata: non indica quali sarebbero le asserite peculiarità o incertezze, limitandosi ad espressioni di stile. Secondo la giurisprudenza di legittimità, “le gravi ed eccezionali ragioni devono indicarsi specificamente e non possono essere espresse con una formula generica” (Cass. 02/02/2023, n. 3220); nel caso in esame, la formula adottata dal giudice laziale è generica e apodittica, dunque integra vizio di motivazione nullo ai sensi dell’art. 132 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. U, 8053/2014).”.
- Richiedere il provvedimento: concludere il motivo (o i motivi) chiedendo espressamente alla Corte di Cassazione l’accoglimento e la cassazione sul punto spese. Ad esempio: “Si chiede pertanto alla Suprema Corte di cassare la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese, e per l’effetto di condannare l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese dei gradi di merito ovvero, in subordine, di rinviare la causa ad altra sezione della CGT di secondo grado affinché statuisca nuovamente sulle spese attenendosi ai principi di diritto”.
La Cassazione, se riconosce fondato il motivo, potrà procedere in due modi:
- Cassare con rinvio: annulla la sentenza limitatamente al capo sulle spese e rinvia ad altra sezione della CGT di secondo grado (o anche allo stesso giudice, purché in diversa composizione) affinché applichi il principio indicato. Ad esempio la Cassazione ord. n. 13268/2024, in un caso simile, ha cassato la sentenza di appello che aveva compensato senza motivo e rinviato alla CGT Lazio in diversa composizione. Il giudice di rinvio dovrà decidere ex novo sulle spese dei gradi di merito, tenendo conto della pronuncia di Cassazione.
- Cassare senza rinvio e decidere nel merito: in teoria la Cassazione potrebbe, quando la causa è matura e non ci sono accertamenti di fatto da fare, decidere essa stessa sulle spese ai sensi dell’art. 384 c.p.c. Nel contenzioso tributario ciò avviene raramente, perché la liquidazione delle spese implica quantificare onorari e spese secondo le tariffe, attività che la Cassazione preferisce lasciare al giudice di merito. Tuttavia, se fosse pacifico l’ammontare delle spese documentate e l’illegittimità della compensazione, la Corte potrebbe direttamente condannare la parte soccombente alle spese dei precedenti gradi.
Va aggiunto che il contribuente vittorioso che impugna per le spese non rischia di peggiorare la propria situazione sul merito (già definito). L’unica cosa di cui tener conto è che, se la Cassazione rigettasse il ricorso, potrebbe condannare il ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione. Ma spesso in questi casi, trattandosi di vittoria di merito del contribuente confermata, la controparte amministrazione finanziaria in Cassazione neppure si costituisce, oppure la Cassazione può compensare le spese di Cassazione se la questione era oggettivamente controversa (qui, ironicamente, potrebbe farlo ma con motivazione effettiva!). Comunque, il gioco vale la candela: in ballo c’è il recupero di importi che possono essere significativi (onorari legali di uno o più gradi di giudizio).
Attenzione: se non si impugna la pronuncia sulle spese, quella decisione passa in giudicato. Ciò significa che non sarà più possibile chiedere, ad esempio, il rimborso delle spese del primo grado se non lo si è chiesto in appello, né si potrà lamentare la compensazione in un secondo momento. Non esistono rimedi straordinari ad hoc (la revocazione, ad esempio, non sarebbe ammessa salvo che il giudice abbia omesso completamente di pronunciarsi sulle spese – il che sarebbe un errore revocatorio, ma se anche omette la pronuncia sulle spese, di solito si interpreta come compensazione implicita). Quindi è fondamentale agire tempestivamente con gli strumenti ordinari.
Riassumendo la procedura in forma di check-list pratica dal punto di vista del contribuente vittorioso ma senza rimborso spese:
- Leggere attentamente la sentenza: verificare cosa ha deciso sulle spese. Se c’è una formula generica di compensazione (es. “spese compensate per la particolarità della causa”), prendere nota esatta delle parole usate dal giudice.
- Consultare la normativa vigente: confermare che quella situazione non rientra tra quelle in cui la compensazione è obbligata o ammessa (es. non c’è soccombenza reciproca, non c’è conciliazione, etc.). Nella maggior parte dei casi in cui il contribuente ha vinto integralmente, nessuna di tali ipotesi ricorre.
- Verificare giurisprudenza e dottrina: sapere che la Cassazione e la legge richiedono motivazione espressa per compensare. (Questa guida fornisce già i principali riferimenti).
- Valutare il grado di giudizio: se la compensazione inadeguata è in sentenza di primo grado, prepararsi a fare appello; se è in sentenza di secondo grado, preparare il ricorso per Cassazione.
- Affidarsi a un avvocato tributarista: in Cassazione, tra l’altro, è obbligatorio il patrocinio di un avvocato cassazionista iscritto nell’albo speciale. Fornire al legale copia della sentenza e dei documenti necessari.
- Redigere l’atto di impugnazione puntando l’attenzione sul vizio di compensazione spese: formulare il motivo (o i motivi) specifici, citando norme e sentenze rilevanti (come Cass. 3220/2023, Cass. 13268/2024, ecc.).
- Notificare e depositare l’atto nei termini: rispettare il termine di 60 gg dalla notifica (o il termine lungo di legge) e seguire le formalità (notifica a mezzo PEC o ufficiale giudiziario, deposito telematico del ricorso/appello).
- Seguire l’iter del giudizio: se appello, ci sarà un’udienza pubblica o camerale in CGT II grado; se Cassazione, il ricorso sarà deciso in camera di consiglio (salvo casi eccezionali) con ordinanza. Tenere traccia del calendario e, in Cassazione, valutare se depositare una memoria ex art. 380-bis c.p.c. per enfatizzare la questione spese.
- Esecuzione: se la contestazione ha successo, la decisione finale (della CGT in appello o della Cassazione/rinvio) stabilirà presumibilmente che l’Ufficio finanziario deve rimborsare le spese di lite al contribuente. In tal caso, munirsi del dispositivo e, trascorsi eventuali termini di pagamento spontaneo, attivare le procedure di riscossione nei confronti dell’Erario (che dovrebbe pagare tramite apposito capitolo di bilancio).
Argomentazioni e strategie difensive per contestare la compensazione delle spese
Vediamo ora più in dettaglio quali argomenti sostanziali si possono (e si dovrebbero) mettere in campo nell’impugnare una decisione di compensazione delle spese ingiustificata. In pratica, si tratta di convincere il giudice di gravame (sia esso la CGT di secondo grado o la Corte di Cassazione) che la compensazione decisa dal primo giudice è frutto di un errore di diritto o di un vizio di motivazione, e che quindi la decisione va modificata.
Ecco alcuni punti chiave da sviluppare nelle proprie difese (ricorso in appello o per Cassazione):
- Sottolineare la totale vittoria nel merito (se applicabile): Ad esempio, “la parte appellante è risultata integralmente vittoriosa nel merito, avendo ottenuto l’annullamento dell’atto impugnato; non sussiste dunque alcuna soccombenza reciproca che possa giustificare una compensazione”. Questo serve a escludere la più intuitiva delle giustificazioni (soccombenza reciproca) e a evidenziare che la compensazione rappresenta un’eccezione alla regola che il vincitore dev’essere rimborsato. Se invece vi era soccombenza reciproca parziale, la situazione è diversa: la compensazione può essere giustificata, ma solo per la parte corrispondente alla reciproca soccombenza – se il giudice ha compensato oltre quanto giustificato, quell’eccesso va contestato.
- Evidenziare l’assenza di ragioni eccezionali esplicitate: Ad esempio, “il giudice a quo si è limitato ad affermare la sussistenza di non meglio precisate ragioni di peculiarità del caso, senza però individuare alcuna circostanza specifica di fatto o di diritto che renda il caso eccezionale”. Si può aggiungere: “Tale motivazione non consente in alcun modo di comprendere le ragioni della decisione sulle spese, risultando del tutto apodittica”. Questo è il fulcro: far emergere che la motivazione è solo apparente. Se il giudice ha usato formule come “giusti motivi” o “novità della questione” in modo astratto, bisogna incalzare sostenendo che non è stata spiegata quale sarebbe la novità o lo specifico giusto motivo.
- Confutare eventuali ragioni addotte se errate o inesistenti: In alcune sentenze, il giudice potrebbe aver menzionato una ragione, ma erronea in diritto o smentita dai fatti. Ad esempio: “la sentenza impugnata parla di assenza di un orientamento univoco sulla questione, ma ciò non corrisponde al vero: si citano a riguardo Cass. n. XXXX/20XX e Cass. n. YYYY/20YY che già avevano risolto la questione conformemente alla tesi del contribuente vittorioso. Dunque non si trattava affatto di una questione nuova o controversa”. Oppure: “il giudice di merito ha compensato adducendo la particolare complessità del caso, tuttavia la complessità riguardava semmai il merito deciso a favore dell’attore; una volta accertato il torto dell’Ufficio, non vi era ragione di equità per non condannarlo alle spese”. Si deve quindi smontare la (eventuale) motivazione fornita, dimostrando che non rientra tra quelle ammesse dall’art. 15 D.Lgs. 546/92 (es: la “complessità” di per sé non è nella norma, se non declinata in termini di novità giuridica) o che è manifestamente illogica.
- Citare la giurisprudenza di legittimità pertinente: È molto efficace richiamare nelle argomentazioni alcune pronunce chiave della Cassazione che hanno fissato i principi sul tema. Ad esempio:
- “Come ribadito da Cass. 14/05/2024, n. 13268, nel processo tributario le spese possono essere compensate solo se sussistono gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate in motivazione; nel caso di specie, difetta qualsivoglia esplicitazione di ragioni qualificabili come tali.”
- Oppure: “Cass. 02/02/2023, n. 3220 ha cassato una sentenza per motivazione apparente sulla compensazione delle spese, affermando che una formula generica non soddisfa l’obbligo motivazionale. Tale principio trova applicazione immediata anche nel presente giudizio, atteso che la motivazione offerta dal giudice di appello è altrettanto generica.”
- Ancora: “Cass. 25/01/2019, n. 2206 ha chiarito che le ragioni di compensazione, oltre ad essere esplicite, non possono essere illogiche o erronee senza incorrere in violazione di legge. Nella specie, la ragione addotta (‘difficoltà dell’ufficio’) è estranea ai criteri di legge ed è logicamente non pertinente rispetto al criterio di soccombenza, quindi costituisce violazione dell’art. 15 D.Lgs. 546/92.”
- Se del caso, citare anche principi di Cass. Sezioni Unite 2023 (sent. n. 4040/2023) sul fatto che solo il vincitore integrale può essere esentato dalle spese, e che la valutazione di compensare rientra sì nella discrezionalità del giudice di merito, ma entro i confini fissati dall’art. 92 c.p.c. (analoghi all’art. 15). Ciò aiuta a far capire che il giudice non aveva un potere arbitrario sulle spese, ma doveva rispettare quei confini.
- Richiamare eventualmente i principi sovranazionali (CEDU): Questo è un asso nella manica da usare con finezza. Si può ad esempio scrivere: “Si rammenta che l’obbligo di motivazione è tutelato anche a livello convenzionale: Corte EDU, decisione 22/11/2011 (Ass.ne difesa dir. umani c. Romania) ha statuito che l’obbligo di motivare si estende alla condanna alle spese. La totale carenza di motivazione sulle spese nel caso in esame, oltre a violare la legge interna, determina un vulnus al diritto ad un equo processo ex art. 6 CEDU del contribuente vittorioso, privato senza spiegazione del suo diritto al ristoro.”. Questa argomentazione segnala al giudice nazionale che una conferma di quella compensazione ingiustificata potrebbe esporre l’Italia a censure in sede europea. Ovviamente va usata solo se pertinente: nei casi di evidente assenza di motivazione è pertinente eccome, come ha dimostrato la citata sentenza Quattrone c. Italia. Anche se i giudici italiani non sono vincolati dalle decisioni CEDU se non nei casi specifici, il riferimento ai principi convenzionali rafforza la sensazione che quella compensazione sia ingiusta in senso lato, non solo tecnicamente illegittima.
- Insistere sul principio di causalità nel processo: Una riflessione spesso gradita nei ricorsi in materia di spese è che la distribuzione dei costi segue la logica per cui chi ha torto causa le spese. Nel caso tributario, se l’Agenzia delle Entrate ha emesso un atto illegittimo costringendo il contribuente a fare ricorso, è oggettivamente equo che l’Ente ne sopporti le conseguenze economiche (spese legali). Compensare le spese senza ragione equivale a frustrare in parte la tutela giudiziaria ottenuta dal contribuente: questi vince la causa sul tributo ma “perde” sul rimborso delle spese, il che può vanificare il beneficio della vittoria (specie per importi di imposta modesti a fronte di spese legali elevate). Tale argomento non è giuridico in senso stretto, ma affonda nel concetto di giustizia della decisione: si può dunque adombrare che la compensazione immotivata crea un danno e costituisce un ingiusto vantaggio per la parte soccombente (che ha potuto agire senza rischio di pagar spese). Un richiamo implicito a questo principio emerge in Cass. SU 2018 n. 19704 (in materia civile) dove si dice che la compensazione limitata ai casi eccezionali mira a evitare che la soccombenza venga privata delle sue normali conseguenze (la condanna alle spese) in modo indebito, scongiurando abusi.
In definitiva, l’obiettivo è far apparire evidente l’errore commesso dal giudice che ha compensato le spese. Se l’atto di impugnazione articola chiaramente questi concetti, il giudice di appello o la Cassazione avranno terreno fertile per accogliere la doglianza. Non bisogna aver timore di evidenziare anche con un certo vigore la genericità della motivazione impugnata: definire quella motivazione “inesistente” o “di stile” è ormai lessico comune accolto anche nelle sentenze (come abbiamo visto, Cass. 13268/2024 parla apertamente di rimando generico e apodittico privo di fondamento). L’importante è mantenere un tono professionale e fondato su dati normativi e giurisprudenziali.
Domande frequenti (FAQ) sulla compensazione delle spese per motivi di stile
Di seguito proponiamo alcune domande e risposte frequenti, utili per chiarire i dubbi più comuni in materia di spese compensate e motivazione:
D: Cosa significa esattamente “compensare le spese” in una sentenza?
R: Significa che il giudice dispone che ciascuna parte sopporti le proprie spese legali, senza condannare la parte soccombente a rimborsare quelle della parte vittoriosa. La compensazione può essere totale (ognuno paga integralmente il proprio avvocato) o parziale (il giudice può ad esempio dividere le spese a metà, oppure stabilire che solo una parte delle spese – come onorari o contributi unificati – siano compensate). In pratica è come dire: “nonostante Tizio abbia vinto e Caio perso, ognuno resta con il proprio conto da pagare”. È un’eccezione al principio per cui chi perde paga anche le spese dell’altro.
D: Cosa si intende per “motivazione di stile” nelle spese?
R: Si intende una motivazione standardizzata, generica e priva di sostanza che il giudice inserisce per giustificare la compensazione delle spese. È una frase fatta che non spiega concretamente il perché della decisione. Per esempio frasi come “visti i giusti motivi, si compensano le spese” oppure “spese compensate per equità” o “data la particolarità del caso, spese compensate” sono considerate motivazioni di stile. Non rivelano alcun vero motivo specifico: suonano come una motivazione, ma di fatto non motivano. La giurisprudenza le chiama anche motivazioni apparenti.
D: Il giudice può compensare le spese se il contribuente ha vinto la causa contro il Fisco?
R: Di regola, no. Se il contribuente (ricorrente) risulta interamente vittorioso, dovrebbe essergli riconosciuto il rimborso delle spese da parte dell’ente soccombente (Agenzia Entrate/Riscossione). La compensazione in questo caso è ammessa solo in presenza di circostanze eccezionali che la giustifichino (es. la causa verteva su una questione giuridica del tutto nuova o su cui la giurisprudenza era incerta, oppure il contribuente ha prodotto tardivamente delle prove decisive). Ma queste situazioni devono essere chiaramente indicate in sentenza. Se manca una ragione valida, compensare le spese in caso di vittoria piena del contribuente è un errore: come hanno chiarito sia la Cassazione che la Corte Costituzionale, la compensazione è una deroga e non può mai essere automatica né giustificata da motivi generici di “equità”. Dunque, salvo eccezioni motivate, la risposta è: no, il giudice non dovrebbe compensare le spese quando il Fisco perde la causa; se lo fa, la decisione è impugnabile.
D: Quali sono esempi di “gravi ed eccezionali ragioni” che possono giustificare la compensazione?
R: Alcuni esempi tratti dalla legge e dalla prassi:
- Novità della questione: il caso pone un problema di diritto nuovo, mai risolto prima, per cui era ragionevole che la parte soccombente ritenesse di avere ragione (in quanto mancavano precedenti).
- Contrasto giurisprudenziale: la materia era oggetto di orientamenti discordanti dei giudici, e quindi c’era un’incertezza oggettiva. Se il contribuente vince appoggiandosi a un filone giurisprudenziale e l’ufficio ne seguiva un altro, il giudice può ritenere equo compensare (ma deve spiegare quali pronunce contrastanti c’erano).
- Parziale reciproca soccombenza: ciascuno ha perso qualcosina. Esempio: il contribuente impugnava 5 provvedimenti, ne annullano 4 ma uno viene ritenuto legittimo – entrambe le parti hanno perso su qualcosa, quindi c’è soccombenza reciproca e può compensarsi (integralmente o in proporzione).
- Comportamento processuale della parte vittoriosa: come la nuova ipotesi normativa del 2023, se la parte vincente aveva tardato a produrre un documento decisivo. Oppure se la parte vincente ha rifiutato senza motivo una proposta di conciliazione favorevole e poi ha ottenuto lo stesso risultato in sentenza – anche qui, parte della dottrina ritiene potrebbe essere ragione eccezionale (anche se non codificata espressamente).
- Conciliazione o cessazione della materia del contendere per fatto sopravvenuto: se ad esempio durante il giudizio l’ente annulla in autotutela l’atto impugnato (come successo nel caso di Cass. 18459/2023), spesso si dichiara cessata la materia del contendere. In tal caso, se l’annullamento è avvenuto tempestivamente e la controversia era complessa, la Cassazione ha detto che il giudice può compensare le spese perché l’ente ha agito con lealtà eliminando l’atto appena possibile. Ma se l’atto era manifestamente illegittimo dall’inizio, anche in caso di autotutela tardiva, le spese vanno poste a carico dell’ente (principio della “soccombenza virtuale”).
Al contrario, non sono considerate valide ragioni: la semplice buona fede della parte soccombente, la moderata complessità della causa (che è ordinaria amministrazione), il fatto che la parte vittoriosa abbia disponibilità economiche maggiori della controparte, o generici appelli all’equità senza base normativa. Tutte queste non rientrano nelle “gravi ed eccezionali ragioni”.
D: Il giudice ha scritto “spese compensate per particolarità della controversia”: è una motivazione sufficiente?
R: No, non è sufficiente. “Particolarità della controversia” è una classica formula di stile se non viene spiegato in cosa consista tale particolarità. La Cassazione ha più volte cassato sentenze con diciture simili proprio perché prive di spiegazione concreta. Per essere sufficiente, la motivazione avrebbe dovuto dettagliare quale aspetto peculiare (di fatto o di diritto) rendeva opportuno derogare al criterio ordinario delle spese. Ad esempio: “particolarità della controversia, costituita dall’assenza di precedenti specifici in materia” – già sarebbe una spiegazione più chiara, se rispondente al vero. Ma la frase generica da sola non soddisfa il requisito dell’art. 15, che richiede motivazione espressa e specifica. Quindi, in base alla giurisprudenza vigente, quella motivazione è inidonea e la compensazione può essere contestata per difetto di motivazione.
D: Cosa succede se non impugno la compensazione delle spese? Posso recuperare i miei soldi in altro modo?
R: Purtroppo, se lasci trascorrere i termini di impugnazione senza contestare la decisione sulle spese, non avrai più modo di recuperare gli esborsi sostenuti. La sentenza diventerà definitiva anche nella parte che ha compensato le spese, e farà stato tra le parti. Non potrai ad esempio fare causa civile separata per chiedere le tue spese: la controparte opporrebbe il giudicato della sentenza che le ha compensate (significa che giuridicamente hai accettato di sopportarle tu). Non esistono procedure amministrative per ottenere un indennizzo dallo Stato in tal caso, perché non si tratta di un errore giudiziario risarcibile (la compensazione ingiusta non dà luogo a equa riparazione se non è prima denunciata nei gradi di giudizio). Inoltre, poiché hai vinto sul merito, non c’è nessun “credito” automatico verso l’erario per le spese. Dunque l’unica via per avere il rimborso delle spese legali è far modificare la sentenza tramite appello o ricorso. Se questo non avviene, dovrai accollarti definitivamente i costi del tuo legale.
D: Posso rivolgermi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) se il giudice mi ha negato le spese senza motivo?
R: In teoria sì, ma in pratica solo dopo aver esaurito i ricorsi interni e a condizione di aver subito un “significativo pregiudizio”. La CEDU potrebbe esaminare un ricorso in cui si denuncia la violazione dell’art. 6 §1 (diritto al giusto processo) qualora una decisione definitiva interna abbia lasciato a tuo carico spese processuali notevoli senza un’adeguata motivazione. Ci sono precedenti, come visto, in cui la Corte EDU ha ritenuto violato l’art. 6 proprio per carenza di motivazione sulle spese. Tuttavia, la CEDU è un rimedio sussidiario: devi prima aver fatto valere il problema in Cassazione. Se non hai impugnato in Cassazione, il tuo ricorso a Strasburgo sarebbe dichiarato inammissibile per mancato esaurimento dei rimedi interni. Inoltre, la Corte EDU richiede che il danno sia rilevante: ad esempio, spese di importo sproporzionato. Se parliamo di poche centinaia di euro, difficilmente Strasburgo se ne occuperà (c’è la regola del “pregiudizio minimo”). In ogni caso, è un percorso lungo e incerto. La cosa migliore è far valere subito i tuoi diritti davanti ai giudici italiani, usando anche l’argomento CEDU come leva nei ricorsi interni. Se poi (malauguratamente) anche in Cassazione non ottenessi giustizia e le spese negate fossero molto alte rispetto alla tua situazione, allora potresti valutare un ricorso alla Corte EDU entro 4 mesi dalla decisione definitiva italiana.
D: Se la mia impugnazione sulle spese viene accolta, chi paga in definitiva?
R: Se tutto va bene, alla fine del percorso sarà la parte originariamente soccombente (nel nostro esempio, il Fisco) a dover pagare. Facciamo un caso tipico: Tizio vince in primo grado contro un avviso fiscale da 50.000€ ma il giudice compensa le spese (poniamo 5.000€). Tizio appella sul punto spese; la CGT di secondo grado gli dà ragione e condanna l’Ufficio Entrate a pagargli, poniamo, 5.000€ per il primo grado e 2.500€ per il secondo. A quel punto Tizio ha un titolo esecutivo (la sentenza d’appello) per un totale di 7.500€ oltre accessori, che l’Agenzia dovrà liquidargli. In genere gli enti pagano a mezzo di quietanza o mandati di pagamento del MEF. Se tardassero, Tizio potrebbe persino procedere ad esecuzione forzata (pignoramento presso il Tesoro), anche se ciò accade di rado perché la PA tende a pagare spontaneamente le spese giudiziali dovute. Nel caso di decisione della Cassazione con rinvio, bisognerà attendere l’esito del rinvio per quantificare, ma l’obiettivo è sempre arrivare a una condanna dell’ente. Insomma, la spesa legale di Tizio verrebbe alla fine rimborsata (in tutto o in larga parte) dall’erario, come giusto. Vale il viceversa: se a impugnare sulle spese fosse il Fisco (caso raro: ad esempio se aveva vinto ma gli hanno compensate le spese), e vincesse in Cassazione, allora sarebbe il contribuente a dover pagare. Ma scenario più comune è il contribuente che reclama le proprie spese.
D: C’è differenza tra spese legali e compensi di consulenti tecnici o altri costi?
R: Nella condanna alle spese rientrano tutte le spese di lite: compenso avvocato, contributo unificato, marche da bollo, eventuali spese vive (notifiche, ecc.) e le spese per consulenti tecnici di parte se ammissibili (in Cassazione no, ma in merito possono esservi periti). Quando si parla di compensazione, di solito si intendono tutte le spese processuali. Il giudice potrebbe però fare distinzioni: ad esempio condannare alle spese legali ma compensare, poniamo, le spese di CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) se ne fosse stata fatta una. Ma sono casi particolari. In generale, se dice “spese compensate”, si intende in toto. Dunque, la contestazione dell’errata compensazione riguarda l’intero pacchetto di costi del giudizio.
D: Posso chiedere gli interessi o altro sulle spese non pagate?
R: Sì. Una volta ottenuta una condanna alle spese a tuo favore (magari in appello o dopo il rinvio), quelle somme sono dovute con interessi legali e rivalutazione dal giorno della pronuncia (o dalla domanda, a seconda). È un dettaglio tecnico: normalmente nelle sentenze viene stabilito che gli importi sono oltre accessori di legge. Quindi se per arrivare alla fine hai atteso qualche anno, avrai anche qualche piccolo interesse. Certo, l’obiettivo primario è farsi rimborsare il capitale speso.
Esempio pratico: il caso di “Mario” contro il Fisco
Per rendere più concreta la questione, consideriamo un caso ipotetico basato su vicende realmente accadute (ispirato dalla giurisprudenza recente):
- Scenario: Mario, piccolo imprenditore, riceve una cartella di pagamento per IRPEF che ritiene indebita (magari per un errore di persona, gli è attribuito un reddito non suo). Mario propone ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado e, nel frattempo, presenta istanza in autotutela all’Agenzia delle Entrate segnalando l’errore. L’Agenzia, però, non annulla subito la cartella. Arrivati all’udienza, la CGT riconosce che c’è stato uno scambio di persona e annulla la cartella, dando pienamente ragione a Mario. Tuttavia, nella sentenza il giudice scrive: “Considerata la natura peculiare della vicenda e l’equivoco di base, si compensano integralmente le spese di lite”.
- Conseguenza: Mario, pur avendo vinto, non ottiene il rimborso dei circa 3.000 euro spesi tra avvocato e tasse del processo. In pratica, deve pagarli di tasca sua nonostante il Fisco abbia sbagliato.
- Valutazione: La motivazione addotta (“natura peculiare della vicenda” e “equivoco di base”) è molto generica. Si intuisce che il giudice ha pensato: “c’è stato un qui pro quo, nessuno ha davvero colpa, quindi ognuno paghi i suoi”. Ma in termini giuridici questa non è una grave ed eccezionale ragione prevista dalla legge. L’errore era dell’Ufficio (ha scambiato persona); il fatto che si trattasse di un equivoco non la rende una questione nuova di diritto né altro, era un errore fattuale. Inoltre, il giudice non ha spiegato perché ciò giustifichi la compensazione. Siamo quindi di fronte a una classica compensazione “di equità” non motivata in modo conforme alla legge.
- Azione: Mario, tramite il suo avvocato, impugna la sentenza in appello limitatamente al capo delle spese. Nel ricorso in appello, sottolinea che:
- Egli è risultato totalmente vincitore (cartella annullata).
- Non vi era soccombenza reciproca né conciliazione.
- L’errore commesso dall’Agenzia (scambio di persona) non rappresenta un’oggettiva novità giuridica né un mutamento di giurisprudenza: è semplice errore di fatto dell’ente.
- La compensazione è stata motivata solo con un riferimento sommario alla “peculiarità” del caso, senza indicare alcuna ragione eccezionale specifica.
- Ciò viola l’art. 15 D.Lgs. 546/92, che consente la compensazione solo con motivazione espressa di gravi ragioni, e integra difetto di motivazione ai sensi dell’art. 36, co.2, n.4 D.Lgs. 546/92.
- Richiama quindi giurisprudenza: Cass. 18459/2023 (un caso simile di errore persona e compensazione errata) dove la Cassazione ha cassato la decisione perché l’annullamento in autotutela tardivo non esimeva dall’applicare la soccombenza virtuale; richiama Cass. 3220/2023 sulla necessità di motivazione non generica.
- Chiede alla CGT di secondo grado di condannare l’Ufficio a rifondergli i 3.000 euro del primo grado, più le spese dell’appello.
- Esito possibile: La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, esaminati gli atti, dà ragione a Mario. Nella nuova sentenza dichiara: “L’appello di Mario è fondato. In tema di spese processuali tributarie, la compensazione può essere disposta solo in caso di gravi ed eccezionali ragioni espressamente motivate (art. 15 co.2 D.Lgs. 546/92); nel caso di specie, il primo giudice ha compensato le spese in mancanza di soccombenza reciproca e senza addurre ragioni specifiche, richiamando solo la peculiarità del caso, formula questa generica e inidonea a integrare la motivazione richiesta. Ne consegue la riforma sul punto della sentenza impugnata. La Agenzia delle Entrate risulta integralmente soccombente nel merito e priva di giustificazioni eccezionali: va dunque condannata al rimborso in favore di Mario delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in € 3.000, nonché delle spese del presente grado, liquidate in € 1.500, oltre accessori di legge.”. Mario ottiene così una sentenza di appello che non solo riconosce l’errore del primo giudice sulle spese, ma lo condanna anche alle spese dell’appello, poiché Mario ha dovuto affrontare un ulteriore giudizio per far valere il suo diritto. A questo punto Mario potrà recuperare un totale di € 4.500 più interessi. Inoltre, questa sentenza d’appello crea un precedente locale e un segnale: le spese non vanno più compensate a cuor leggero.
Questo esempio illustra come, con gli strumenti corretti, un contribuente possa reagire efficacemente a una decisione ingiustamente penalizzante sulle spese. Il punto cruciale è stato non accontentarsi della vittoria di merito, ma perseguire anche la questione accessoria delle spese – che, specie per i piccoli imprenditori o privati, è tutt’altro che “accessoria” dal punto di vista economico.
Conclusioni
Nel sistema attuale, a seguito della riforma della giustizia tributaria e dell’evoluzione giurisprudenziale, le decisioni sulle spese processuali non possono più essere considerate dettagli secondari né terreno di arbitrarie valutazioni equitative non motivate. Il punto di vista del “debitore” contribuente vittorioso esige rispetto: se il cittadino ha avuto ragione contro il Fisco, ha diritto di non essere gravato dalle spese sopportate per far valere i propri diritti, salvo che vi siano davvero circostanze eccezionali che rendono equo altrimenti. E tali circostanze devono essere esplicitate chiaramente dal giudice.
Abbiamo visto come contestare una compensazione delle spese ingiustificata sia non solo possibile, ma supportato da solide basi normative (art. 15 D.Lgs. 546/92, art. 36 D.Lgs. 546/92, art. 111 Cost.) e giurisprudenziali (Cassazioni recentissime, anche post-riforma 2023). La chiave del successo sta nell’individuare l’errore di diritto (o di motivazione) commesso dal giudice e presentarlo efficacemente in sede di impugnazione. Domandare giustizia anche sulle spese fa parte del diritto di difesa del contribuente, e i giudici di grado superiore – se adeguatamente investiti della questione – sono tenuti a correggere le situazioni di palese ingiustizia.
Infine, un consiglio pratico: non scoraggiarsi e far valere i propri diritti fino in fondo. Spesso il contribuente, dopo aver vinto sul merito, è tentato di lasciar perdere la questione spese per evitare ulteriore litigiosità o per mancanza di tempo/risorse. Ma rinunciare significa subire una lesione economica e incentivare prassi giudiziarie scorrette. Invece, impugnare educatamente ma fermamente queste decisioni contribuisce anche a migliorare il sistema: più pronunce di secondo grado e di Cassazione chiariranno che le motivazioni di stile non sono accettabili, meno i giudici di primo grado ne faranno uso. In definitiva, far valere il principio di soccombenza anche sulle spese rafforza il carattere equo e dissuasivo del processo – dissuasivo verso l’ente impositivo dal compiere atti illegittimi (sapendo che dovrà pagarne le spese) e verso la genericità nelle sentenze. È un investimento in civiltà giuridica, oltre che nel proprio legittimo interesse.
Fonti e Riferimenti
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15 (disciplina delle spese nel processo tributario) – Testo vigente modificato dal D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220. Disponibile su Normattiva. (Definisce i casi di compensazione delle spese: soccombenza reciproca, gravi ed eccezionali ragioni motivate, produzione tardiva di documenti decisivi).
- Decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220 – Riforma del processo tributario 2023. Articolo 1, comma 1, lett. e), che sostituisce l’art. 15, comma 2, D.Lgs. 546/92. (Introduce l’obbligo di motivazione espressa per le ragioni eccezionali e la nuova ipotesi di compensazione obbligatoria per produzione tardiva di documenti decisivi).
- Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – Ordinanza 2 febbraio 2023, n. 3220 – (Massimata in materia di spese nel processo tributario). Conferma che “le spese di lite possono essere compensate solo qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal Giudice” e che tali ragioni non possono essere formule generiche. (Caso in cui una CTR aveva compensato le spese per asserita difficoltà organizzativa dell’ufficio; la Cassazione ha cassato per motivazione apparente).
- Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – Ordinanza 14 maggio 2024, n. 13268 – (In Studio Cerbone, 2024). Ribadisce la necessità di motivazione specifica per compensare e giudica nulla per difetto assoluto di motivazione una sentenza che aveva compensato le spese con rinvio a “peculiarità e novità delle questioni” non esplicitate. Dispone cassazione con rinvio alla CGT di Lazio, diversa composizione.
- Corte di Cassazione – Sez. Unite – Sentenza 9 febbraio 2023, n. 4040 – (Massimata su IlPrincipio della soccombenza e sindacato della Cassazione sulle spese). Stabilisce che solo la parte interamente vittoriosa non può essere condannata alle spese e che l’eventuale compensazione rientra nella discrezionalità del giudice di merito entro i presupposti di legge (soccombenza reciproca o gravi ragioni ex art. 92 c.p.c.). Chiarisce i limiti del controllo di Cassazione (violazione del principio che il vincitore non paga spese).
- Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – Ordinanza 28 giugno 2023, n. 18459 – (Disponibile in Studio Cerbone). Caso di annullamento dell’atto in autotutela (cessata materia del contendere) e compensazione spese: la Cassazione ha affermato che la compensazione non è automatica in caso di autotutela, specie se l’errore originario dell’ente era manifesto. Ha cassato la sentenza di CTR Calabria per motivazione insufficiente sugli “altri giusti motivi”.
- Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – Ordinanza 2 febbraio 2022, n. 2963 – (Citata da Cass. 13268/2024). Conferma la linea sulle spese: gravi ragioni solo se specificamente indicate. (Ribadisce precedenti simili, consolidando l’orientamento già presente nel 2021 con Cass. 41360/2021).
- Corte di Giustizia Tributaria di II grado Lazio – Sentenza 2023, n. 3950 – (Richiamata in dottrina: Commercialista Telematico, 2023). Evidenzia che una formula di stile o un’affermazione generica non valgono come valida motivazione per la compensazione delle spese. (Esempio di come anche le corti di merito stanno recependo l’indirizzo di Cassazione).
- Corte Costituzionale – Sentenza 19 aprile 2018, n. 77 – (Disponibile su Giuricost). Dichiara infondate le questioni di legittimità sull’art. 92 c.p.c. come modificato nel 2014 (limitazione compensazione), affermando che restringere la compensazione a ipotesi tipiche è scelta non irragionevole e non lesiva dell’art. 3 e 24 Cost. (Consolida la legittimità dell’obbligo di motivazione e della natura eccezionale della compensazione).
- Corte EDU – Associazione per la Difesa dei Diritti Umani in Romania c. Romania (decisione 22 novembre 2011, n. 2959/11) – (Menționata in Ministero Giustizia, Sentenze CEDU). Stabilisce che “l’obbligo di motivazione si applica altresì alla condanna alle spese”. Riferimento importante per affermare che anche le decisioni accessorie come le spese rientrano nel diritto al giusto processo.
Hai ricevuto una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria che compensa le spese di lite senza una reale motivazione? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria che compensa le spese di lite senza una reale motivazione?
Vuoi sapere se questa decisione può essere contestata e come farlo?
La regola generale prevede che le spese processuali siano poste a carico della parte soccombente. La compensazione è ammessa solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere spiegate in modo chiaro e non con semplici formule di stile (“sussistono giusti motivi per compensare”). Quando la motivazione è generica o apparente, la sentenza può essere impugnata davanti alla Corte di Cassazione, poiché viola i principi di diritto e il diritto di difesa della parte vittoriosa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza la sentenza ricevuta e la motivazione utilizzata per compensare le spese
📌 Verifica se sussistono i presupposti per ricorrere in Cassazione per violazione di legge
✍️ Predispone il ricorso con argomentazioni specifiche contro la compensazione immotivata
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Cassazione per ottenere la riforma della sentenza
🔁 Ti supporta anche nella valutazione di soluzioni transattive per ridurre tempi e costi del contenzioso
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato cassazionista esperto in contenzioso tributario complesso
✔️ Specializzato in ricorsi per violazioni processuali e compensazione irregolare delle spese
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Una sentenza che compensa le spese di lite con una motivazione di stile è impugnabile.
Con una difesa legale mirata puoi ottenere la riforma della decisione e il riconoscimento delle spese processuali a tuo favore.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa in Cassazione comincia da qui.