Avviso Di Accertamento Legato A Conti O Redditi A Malta: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché il Fisco ti contesta conti correnti o redditi detenuti a Malta?
L’Agenzia delle Entrate, grazie allo scambio automatico di informazioni fiscali tra Stati UE, può ottenere dati su conti bancari, investimenti e immobili intestati a contribuenti italiani a Malta. Se queste attività non sono state dichiarate correttamente, il rischio è di ricevere un accertamento con richiesta di imposte, interessi e sanzioni molto pesanti.

Quando scattano le contestazioni
– Se non sono stati dichiarati conti correnti, depositi o investimenti detenuti a Malta
– Se non è stato compilato il quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale
– Se non sono stati dichiarati redditi da dividendi, affitti, plusvalenze o altri proventi prodotti a Malta
– Se i trasferimenti bancari da e verso Malta non risultano coerenti con i redditi dichiarati in Italia

Cosa rischia il contribuente
– Recupero delle imposte sui redditi esteri non dichiarati
– Sanzioni dal 3% al 15% degli importi non monitorati (percentuale che aumenta se considerate violazioni aggravate)
– Applicazione di interessi di mora che accrescono il debito complessivo
– Contestazione del reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione se superate le soglie penali di legge
– Sequestri preventivi, ipoteche e altre misure cautelari sui beni in Italia

Come difendersi da un avviso di accertamento legato a Malta
– Verificare la correttezza dei dati trasmessi dal sistema di scambio internazionale all’Agenzia delle Entrate
– Dimostrare che i fondi provengono da redditi già tassati o non imponibili in Italia
– Presentare estratti conto, contratti e documentazione bancaria a supporto della provenienza lecita delle somme
– Contestare errori di calcolo, duplicazioni di dati o presunzioni non fondate
– Dimostrare la buona fede in caso di omissioni dovute a incertezza normativa
– Regolarizzare la posizione con dichiarazioni integrative o ravvedimento operoso, se la contestazione non è definitiva
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini di legge

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione delle sanzioni grazie alla dimostrazione della buona fede o con strumenti deflattivi
– La sospensione di cartelle, pignoramenti e procedure esecutive collegate all’atto
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di chiudere il contenzioso pagando solo quanto realmente dovuto

Attenzione: anche se Malta è un Paese UE, il Fisco italiano tratta con severità i redditi e i conti esteri non dichiarati. Le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate devono però essere sempre dimostrate e possono essere contestate con prove solide.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa da accertamenti fiscali – ti spiega come affrontare un avviso di accertamento legato a conti o redditi a Malta e come tutelarti in sede legale.

Hai ricevuto un avviso di accertamento per conti o redditi a Malta?
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Introduzione

Sempre più cittadini italiani – professionisti, imprenditori e privati – intrattengono rapporti finanziari con Malta o trasferiscono lì la residenza, attratti dal regime fiscale maltese vantaggioso. Questo fenomeno ha però richiamato l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria italiana. Ricevere un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate in relazione a conti bancari o redditi prodotti a Malta può generare grande preoccupazione nel contribuente (il debitore), specialmente se si riteneva in regola col Fisco maltese o convinto di aver trasferito la propria residenza fuori dall’Italia. È fondamentale comprendere a fondo quali sono i propri obblighi fiscali verso l’Italia e come difendersi da pretese impositive che potrebbero rivelarsi indebite.

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un’approfondita panoramica normativa (con gli ultimi aggiornamenti legislativi e giurisprudenziali) e pratici consigli difensivi su come affrontare un accertamento fiscale italiano legato a patrimoni o redditi detenuti a Malta. Il taglio è giuridico-divulgativo di livello avanzato, adatto a professionisti legali ma anche a privati e imprenditori interessati. Dal punto di vista del contribuente, esamineremo:

  • I criteri legali di residenza fiscale secondo la normativa italiana vigente (inclusa la riforma 2024) e il ruolo delle convenzioni internazionali (trattato Italia-Malta contro le doppie imposizioni).
  • Le tipologie di contestazioni fiscali tipicamente mosse in relazione a conti esteri o redditi di fonte maltese: residenza fittizia, omessa dichiarazione di redditi esteri, omessa indicazione di asset esteri nel quadro RW, utilizzo di società maltesi o trust per pianificazione fiscale aggressiva, etc.
  • Le strategie di difesa possibili: dagli strumenti pre-contenziosi (compliance spontanea, istanze di autotutela, accertamento con adesione) fino al ricorso in sede contenziosa (Commissioni Tributarie/Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, eventuale ricorso per Cassazione), con particolare attenzione all’onere della prova e agli orientamenti dei giudici tributari.
  • Il ruolo della cooperazione internazionale tra Italia e Malta, sia nello scambio di informazioni finanziarie (scambio automatico CRS) sia nell’assistenza per la riscossione transfrontaliera dei tributi.
  • I più recenti precedenti giurisprudenziali rilevanti (sentenze di Corte di Cassazione, Corte di Giustizia UE, Commissioni Tributarie) e riferimenti normativi autorevoli, per corroborare tesi difensive solide.
  • Alcuni casi pratici (simulazioni) che illustrano scenari reali (dalla residenza contestata all’omessa dichiarazione di investimenti esteri), con analisi delle possibili soluzioni.
  • Tabelle riepilogative e una sezione FAQ (domande e risposte) per fissare i concetti chiave in modo schematico.

Importanza pratica: per avvocati, consulenti fiscali ma anche per gli stessi contribuenti, conoscere queste tematiche è essenziale per prevenire o affrontare efficacemente un accertamento. Ad esempio, comprendere le regole sull’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e sulle condizioni per essere considerati non residenti fiscalmente in Italia consente di evitare errori formali (come la mancata tempestiva iscrizione all’AIRE) che possono far scattare presunzioni fiscali sfavorevoli. D’altro canto, essere consapevoli delle difese attuabili – come la possibilità di dimostrare la effettività della residenza maltese con prove concrete o di invocare le clausole della Convenzione Italia-Malta per evitare doppie imposizioni – può fare la differenza nell’esito di un contenzioso.

Nel seguito, dopo aver inquadrato i principi normativi, esamineremo le contestazioni tipiche e le relative contromisure, con un linguaggio tecnico-giuridico ma chiaro. L’obiettivo è fornire una guida completa dal punto di vista del contribuente debitore, per navigare con successo tra normative italiane, obblighi di monitoraggio fiscale e possibili dispute tributarie legate a conti o redditi esteri (in particolare maltesi).

Residenza fiscale tra Italia e Malta: criteri e presunzioni

Il primo snodo cruciale in casi di accertamenti su redditi esteri è determinare dove il contribuente è fiscalmente residente. In Italia vige il principio della worldwide taxation: se un soggetto è residente fiscale in Italia, deve dichiarare e tassare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti (compresi quelli generati a Malta), salvo evitare doppie imposizioni tramite crediti d’imposta o convenzioni. Viceversa, un non residente in Italia è tassato qui solo per i redditi di fonte italiana. Dunque, molte controversie sorgono proprio sulla residenza fiscale effettiva dell’individuo.

Criteri interni di residenza fiscale (TUIR) e riforma 2024

La definizione di residenza fiscale delle persone fisiche in Italia è data dall’art. 2, comma 2 del T.U.I.R. (D.P.R. 917/1986). Fino al 31/12/2023, la norma stabiliva che una persona è considerata residente in Italia se, per più di 183 giorni nell’anno, soddisfa anche uno solo di questi requisiti alternativi:

  • Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in un Comune italiano (A.P.R.).
  • Domicilio in Italia ai sensi del codice civile (art. 43 c.c.), inteso come sede principale degli affari e interessi.
  • Residenza (civilistica) in Italia ai sensi del codice civile, ossia dimora abituale.

Questi criteri alternativi significavano che era sufficiente uno solo perché il soggetto fosse considerato residente fiscale. In particolare, la giurisprudenza italiana tradizionale assegnava grande peso al criterio formale anagrafico: la Corte di Cassazione ha più volte affermato che la permanenza nell’anagrafe italiana di per sé rendeva il contribuente residente fiscale, senza possibilità di prova contraria. In altre parole, la mancata iscrizione all’AIRE (e la conseguente iscrizione all’anagrafe in Italia) costituiva una presunzione assoluta di residenza in Italia. Ad esempio, Cassazione nn. 16634/2018 e 1355/2022 hanno ribadito che chi non si iscrive all’AIRE e resta nell’anagrafe italiana è senz’altro considerato residente ai fini fiscali italiani. Questo approccio formalistico penalizzava molti “expat” che, pur vivendo stabilmente all’estero, per dimenticanza o ritardo burocratico avevano omesso l’iscrizione all’AIRE.

Dal 2024 è intervenuta una svolta normativa: in attuazione della delega fiscale (legge 111/2023), il D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 ha modificato l’art. 2 TUIR ridefinendo i criteri di residenza fiscale delle persone fisiche a partire dal periodo d’imposta 2024. Le novità principali sono:

  • L’iscrizione nell’anagrafe italiana diventa presunzione legale relativa di residenza, contestabile con prova contraria. Non è più una presunzione assoluta: il contribuente potrà dimostrare con elementi oggettivi di fatto di aver stabilito altrove la propria residenza effettiva. In pratica, dal 1° gennaio 2024 il solo fatto di risultare residente in un Comune italiano non basta a radicare in modo incontestabile la residenza fiscale in Italia, se ci sono evidenze concrete che la vita del soggetto si svolge all’estero.
  • Nuovo criterio della presenza fisica: accanto a domicilio e residenza “civilistici”, la legge ora considera anche i giorni di permanenza sul territorio italiano. Se una persona soggiorna in Italia più di 183 giorni (anche non consecutivi) in un anno, ciò costituisce un criterio autonomo per qualificarla come residente fiscale. La Circolare Agenzia Entrate n. 20/E del 04/11/2024 ha chiarito che questo requisito è oggettivo e prescinde dallo scopo della presenza (lavoro, vacanza, ecc.), contando anche le frazioni di giorno. Dunque, ad esempio, chi risulta fisicamente in Italia per almeno metà anno potrebbe essere considerato residente fiscale anche se formalmente iscritto all’AIRE.
  • Ridefinizione del concetto di domicilio fiscale: sempre dal 2024, il “domicilio” ai fini tributari viene sganciato dalla nozione civilistica e inteso come il luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari del contribuente. Si privilegiano dunque i legami personali/familiari rispetto a quelli economici. Questo per dare rilevanza, nell’individuare il centro degli interessi, soprattutto al luogo della vita familiare e sociale (ad es. dove risiede stabilmente la famiglia, i figli, il partner) anziché al luogo dove si svolgono affari. È una modifica importante: in passato il concetto di domicilio (civilistico) generava incertezze, poiché poteva includere prevalentemente interessi economici; ora il legislatore vuole ancorare il domicilio fiscale ai legami personali.

Nota: la riforma si applica pro futuro, ossia dal 2024 in avanti, e non incide automaticamente sui contenziosi relativi ad anni precedenti. La Cassazione, con sent. n. 19843/2024, ha confermato che le nuove regole non hanno effetto retroattivo. Tuttavia, come vedremo, già prima del 2024 parte della giurisprudenza e la stessa Amministrazione finanziaria riconoscevano in alcuni casi la possibilità di superare la rigida presunzione anagrafica facendo ricorso ai criteri convenzionali (tie-breaker).

Presunzione di residenza per espatri in Paesi a fiscalità privilegiata

Un ulteriore aspetto normativo da menzionare è la speciale presunzione prevista dall’art. 2, comma 2-bis TUIR per i trasferimenti di residenza verso Stati o territori a fiscalità privilegiata (cosiddetti “Paesi black list”). Questa norma – introdotta nel 2000 – stabilisce che un cittadino italiano che si cancella dall’anagrafe residente e si trasferisce in un Paese black list è considerato comunque residente in Italia, salvo prova contraria. Si tratta quindi di una presunzione legale relativa (inversione dell’onere della prova a carico del contribuente) pensata per contrastare l’esterovestizione (fittizio trasferimento all’estero per scopi elusivi). Chi si sposta in un paradiso fiscale deve dunque prepararsi a dimostrare con solidi elementi la reale effettività del trasferimento, altrimenti l’Agenzia potrà continuare a tassare in Italia i suoi redditi esteri.

Va sottolineato che Malta non rientra attualmente nella lista dei Paesi a fiscalità privilegiata per le persone fisiche, dato che è Stato membro UE e il suo regime fiscale (sebbene agevolato in certi casi) non è classificato come “paradiso fiscale” dall’Italia. Pertanto la presunzione ex art. 2 co.2-bis TUIR non si applica automaticamente ai trasferimenti verso Malta (a differenza di quanto avverrebbe per un espatrio, ad es., a Monaco o Dubai). Tuttavia, in concreto, il Fisco italiano può comunque guardare con sospetto ai trasferimenti in Malta qualora il regime goduto sia di bassa tassazione e potrebbe tentare contestazioni analoghe, basandosi sui criteri ordinari (domicilio, interessi vitali, ecc.) se ravvisa elementi di residenza di fatto in Italia. Dal 2024, peraltro, anche la presunzione relativa per Paesi black list è stata confermata (ma resa coerente col nuovo impianto di presunzioni relative). In ogni caso, in assenza di black list, il caso Malta rientra nelle regole generali: l’onere probatorio ricadrà principalmente sull’Amministrazione, salvo il peso di indizi forti.

Il ruolo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (tie-breaker rules)

Oltre ai criteri interni italiani, è decisivo considerare quanto stabilisce la Convenzione Italia–Malta contro le doppie imposizioni (ratificata con L. 5 novembre 1990 n. 329). Le convenzioni internazionali, basate sul Modello OCSE, prevedono specifiche tie-breaker rules per risolvere eventuali conflitti di doppia residenza fiscale. Come ricordato anche dall’art. 169 della Costituzione e ribadito dalla Cassazione, le norme pattizie delle Convenzioni hanno rango di legge e prevalgono sulle disposizioni interne in caso di contrasto.

In caso un soggetto sia considerato residente in due Stati secondo le rispettive normative interne, la Convenzione Italia-Malta (art. 4) stabilisce una gerarchia di criteri per attribuire la residenza fiscale ad uno solo dei due. I criteri, in ordine, sono sostanzialmente i seguenti:

  1. Abitazione permanente disponibile in uno solo dei due Stati.
  2. Centro degli interessi vitali (legami personali ed economici più stretti).
  3. Luogo di soggiorno abituale.
  4. Cittadinanza (criterio residuale).
  5. Accordo amichevole tra le autorità competenti (come extrema ratio).

Ad esempio, se un contribuente ha una casa a Malta e la sua famiglia e vita quotidiana lì, mentre in Italia ha solo una vecchia residenza anagrafica, i criteri convenzionali darebbero prevalenza a Malta come Stato di residenza fiscale effettiva (abitazione permanente e interessi vitali a Malta). Queste tie-breaker rules convenzionali prevalgono sulle presunzioni interne: lo ha riconosciuto espressamente la Cassazione con una sentenza epocale (Cass. n. 29463/2024). In quel caso, riguardante un pensionato italiano trasferito nel Regno Unito ma non iscritto all’AIRE, la Suprema Corte ha affermato che i criteri convenzionali (centro degli interessi, etc.) devono prevalere sul dato formale anagrafico, permettendo al contribuente di provare la residenza estera nonostante la mancata cancellazione dall’anagrafe italiana. Di conseguenza, è stato riconosciuto il diritto al rimborso delle ritenute IRPEF subite in Italia sulla pensione, dato che la Convenzione attribuiva al Regno Unito la potestà impositiva esclusiva su quel reddito.

Allo stesso modo, la Cassazione (sent. n. 24205/2024) ha “disapplicato” l’art. 165 co. 8 TUIR, che negherebbe il credito d’imposta estero se il relativo reddito non è stato indicato in dichiarazione in Italia, proprio in virtù del primato delle Convenzioni. In sostanza, i trattati internazionali prevalgono: il contribuente non può essere penalizzato per non aver dichiarato in Italia un reddito che la Convenzione assegnava in tassazione esclusiva all’estero – né gli si può negare il credito per le imposte pagate a Malta (o altro Stato) in virtù di un cavillo formale.

Conclusione: per difendersi efficacemente, chi riceve un accertamento e ritiene di essere effettivamente residente a Malta (secondo i criteri di fatto) dovrà invocare le tie-breaker rules della Convenzione e produrre quante più prove possibili a sostegno (contratti di casa a Malta, bollette, iscrizione AIRE, certificato di residenza fiscale maltese, movimentazioni di ingresso/uscita, legami familiari, ecc.). Le modifiche normative dal 2024, rendendo relativa la presunzione anagrafica, vanno nella stessa direzione: contano i fatti sostanziali più che le formalità. Anche l’Agenzia delle Entrate nella circolare 20/E/2024 ha ammesso che le presunzioni interne cedono di fronte alle regole convenzionali. Dunque oggi c’è più spazio per far valere la residenza estera effettiva, purché la si dimostri in modo rigoroso.

Obblighi dichiarativi su attività estere: redditi, quadro RW e IVAFE

Se un soggetto è (o viene considerato) fiscalmente residente in Italia, scatta l’obbligo di dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti e di monitorare gli investimenti esteri. Molte contestazioni contenute negli avvisi di accertamento relativi a conti o redditi esteri riguardano proprio omissioni dichiarative. Vediamo gli obblighi in capo ai residenti e le relative sanzioni in sintesi.

Dichiarazione dei redditi esteri e crediti d’imposta

Un residente italiano deve includere nella dichiarazione annuale (Modello Redditi o 730) anche i redditi prodotti all’estero: stipendi, compensi professionali, pensioni percepite all’estero, redditi d’impresa o utili societari esteri distribuiti, interessi e dividendi da investimenti fuori d’Italia, plusvalenze finanziarie realizzate all’estero, ecc.. Se tali redditi non vengono dichiarati, l’Agenzia delle Entrate – una volta accertata la residenza fiscale in Italia per l’anno in questione – recupererà le imposte italiane (IRPEF/IRES) su quegli importi, applicando le aliquote ordinarie come se fossero redditi italiani. Ad esempio, un avviso di accertamento potrebbe contestare: “Nel 2023 hai percepito €100.000 di dividendi da una società maltese non dichiarati: vengono tassati in Italia agli scaglioni IRPEF con sanzione per dichiarazione infedele”. Analogamente, interessi bancari su conti maltesi o affitti di immobili a Malta, se il beneficiario è residente in Italia, vanno dichiarati qui (salvo applicare i crediti d’imposta per evitare doppia tassazione quando previsti dalla Convenzione).

Evitare la doppia imposizione: la Convenzione Italia-Malta prevede tipicamente, per ogni categoria di reddito, quale Stato ha il potere di tassare e come evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte. Se un reddito estero è tassabile anche in Italia (come accade per i dividendi o gli interessi esteri, ad esempio), il residente italiano ha diritto a un credito per le imposte pagate all’estero su quel reddito, fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa (art. 24 Convenzione; art. 165 TUIR). In pratica, l’Italia riconosce a scomputo le imposte pagate a Malta (o trattenute alla fonte). Tuttavia, in passato l’Agenzia negava tale credito se il reddito non era stato originariamente dichiarato dal contribuente (art. 165 co.8 TUIR). La Cassazione nel 2024 – come anticipato – ha chiarito che il credito spetta comunque perché prevalgono le norme convenzionali. Ciò significa che, se anche un contribuente viene “scoperto” ex post con redditi esteri non dichiarati, quantomeno non dovrà pagarci sopra due volte le tasse: potrà far valere le imposte già pagate a Malta (presentando documentazione dei versamenti effettuati in Malta).

Ovviamente, per usufruire di tali tutele, è preferibile dichiarare spontaneamente i redditi esteri fin dall’inizio, indicando anche il credito d’imposta spettante. In caso di omissione, il recupero a posteriori può risultare complicato (bisogna magari chiedere rimborso a Malta se si finisce per pagare anche in Italia, oppure attivare procedure amichevoli MAP tra Stati). Ma il principio è chiaro: giuridicamente non è lecito il “doppio prelievo” integrale sul medesimo reddito, e i trattati offrono gli strumenti per evitarlo.

Monitoraggio fiscale: Quadro RW e imposta sugli investimenti esteri (IVAFE)

Oltre a dichiarare i redditi, i residenti fiscali in Italia hanno l’obbligo di monitorare le attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero. Questo obbligo si adempie compilando il Quadro RW nella dichiarazione dei redditi. In Quadro RW vanno indicati, a fine di ogni anno, gli investimenti esteri e le attività finanziarie estere possedute, ad esempio: conti correnti e depositi bancari esteri, partecipazioni in società estere, obbligazioni o titoli esteri, immobili all’estero, metalli preziosi detenuti all’estero, criptovalute in wallet esteri, ecc.. Lo scopo è duplice: da un lato il monitoraggio antievasione (previsto dal D.L. 167/1990) per conoscere gli asset esteri dei residenti; dall’altro, calcolare le imposte patrimoniali estere dovute, ossia l’IVAFE e l’IVIE.

  • IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere): è un’imposta patrimoniale dovuta dai residenti italiani che detengono attività finanziarie all’estero, simile all’imposta di bollo sui conti/titoli nazionali. In particolare, per i conti correnti e libretti di risparmio esteri l’IVAFE è fissa (€.34,20 annui) se la giacenza media supera €5.000; per le altre attività finanziarie estere (es. depositi titoli, partecipazioni) è pari al 2‰ (0,2%) annuo del loro valore. Anche le cripto-attività detenute all’estero dal 2023 sono soggette a IVAFE allo 0,2% del loro valore di mercato al 31/12, salvo esenzioni per piccoli importi. L’IVAFE va indicata in Quadro RW e versata con il modello F24 ogni anno. La mancata indicazione e pagamento dell’IVAFE comporta sanzioni e interessi, analogamente a qualunque imposta non versata.
  • IVIE (Imposta sul valore degli immobili esteri): è l’equivalente dell’IMU per gli immobili detenuti all’estero, con aliquota 0,76% del valore, salvo crediti per eventuali patrimoniali estere pagate. Nel contesto Malta (dove l’imposizione immobiliare esiste), un italiano proprietario di casa a Malta deve dichiararla in RW e pagare IVIE (deducendo eventualmente l’immposta maltese simile, se prevista dalla convenzione).

Sanzioni per omesso monitoraggio (Quadro RW): la mancata compilazione del quadro RW (o l’indicazione infedele/incompleta) non è un reato ma costituisce un’infrazione amministrativa sostanziale. La Cassazione con sent. n. 28077/2024 ha ribadito che l’omessa dichiarazione di attività finanziarie estere non è una mera violazione formale ma ostacola l’attività di controllo fiscale, giustificando sanzioni rilevanti. Le sanzioni previste dall’art. 5 D.L. 167/1990 (richiamato nel TUIR) sono pari al 3% – 15% degli importi non dichiarati (valore dell’attività estera non monitorata) per anno, raddoppiate (6% – 30%) se l’attività è in un paese considerato non collaborativo (black list). Malta, essendo paese collaborativo, rientra nel range 3%-15%. Ad esempio, un conto maltese con saldo medio €100.000 non dichiarato per 2 anni espone a una sanzione teorica dal 6% al 30% del valore complessivo (€6.000 – €30.000), tipicamente applicata nel minimo se il contribuente collabora (quindi ~€6.000). Queste sanzioni RW si sommano a quelle sui redditi eventualmente evasi.

Va anche ricordato che, ai sensi dell’art. 4 co. 2 D.L. 167/90, andrebbero monitorati anche i trasferimenti da e verso l’estero che hanno interessato le attività estere. In pratica, grosse movimentazioni su conti esteri dovrebbero essere evidenziate. La violazione di tale obbligo sui trasferimenti può portare a sanzioni dal 5% al 25% degli importi non segnalati. Tuttavia, questa previsione ha perso centralità dopo l’introduzione del CRS.

Riassumendo le sanzioni amministrative principali in caso di omessa dichiarazione di redditi esteri e omesso monitoraggio fiscale (con Malta paese collaborativo):

Violazione fiscale (contribuente residente)Sanzione amministrativa prevista
Omessa dichiarazione dei redditi (dich. non presentata)120% – 240% dell’imposta dovuta (minimo €250)
Dichiarazione infedele (redditi esteri non dichiarati in dichiarazione presentata)90% – 180% dell’imposta dovuta
Omessa/infedele compilazione Quadro RW (paese white list, es. Malta)3% – 15% del valore non dichiarato per anno
Omessa/infedele compilazione Quadro RW (paese black list)6% – 30% del valore non dichiarato per anno

Nota: Le sanzioni su imposte evase (120-240%, 90-180%) possono essere ridotte tramite definizione agevolata: ad esempio con accertamento con adesione si paga 1/3 della sanzione minima. Anche il ravvedimento operoso riduce le sanzioni in proporzione alla tempestività. Le sanzioni RW invece non beneficiano della riduzione a 1/3 in adesione (non sono “sanzioni tributarie” su imposta) ma possono essere ridotte via ravvedimento operoso (ad es. ridotte a 1/8 se si regolarizza spontaneamente prima di notifica accertamento).

Esempio di contestazioni tipiche su redditi e conti maltesi non dichiarati

Per capire come questi obblighi si traducono in accertamento pratico, immaginiamo un caso: Tizio, cittadino italiano residente (fiscalmente) in Italia, possiede dal 2018 un conto corrente a Malta su cui nel 2021 aveva un saldo medio di €200.000 e ha percepito €5.000 di interessi bancari. Non ha mai indicato questo conto nel quadro RW né i relativi interessi come redditi di capitale nella sua dichiarazione in Italia. Tramite lo scambio automatico CRS, l’Agenzia delle Entrate riceve dalle autorità maltesi i dati finanziari di Tizio (essendo egli risultato residente in Italia per il 2021), scoprendo l’esistenza del conto e degli interessi. Nel 2023 gli invia quindi un avviso di accertamento contestando:

  • Imposta evasa sugli interessi esteri: gli €5.000 di interessi non dichiarati sono tassati al 26% (aliquota sui redditi di capitale) = €1.300 di IRPEF dovuta, con sanzione 90% = €1.170 (essendo dichiarazione infedele).
  • Violazione monitoraggio: omessa indicazione del conto estero per l’anno 2021, sanzione al 3% del valore non dichiarato = 3% di €200.000 = €6.000.
  • IVAFE non versata: imposta dovuta sul conto estero (€34,20) per il 2021 non versata; trattandosi di piccolo importo, viene applicata la sanzione per omesso versamento (30% dell’imposta, quindi circa €10) più interessi.

Tizio, di fronte a tale avviso, avrebbe poche possibilità di contestare nel merito (i fatti sono documentati). La sua linea difensiva potrebbe consistere nel richiedere l’adesione per ottenere il taglio delle sanzioni (pagando 1/3 di €1.170 e magari ottenendo la riduzione della sanzione RW se mostra cooperazione) ed evitare sviluppi penali. Infatti, fortunatamente in questo esempio l’imposta evasa è modesta (€1.300) e non supera la soglia penale di €50.000, quindi non c’è reato (vedi più avanti i dettagli sui reati tributari). Tizio potrà regolarizzare il passato pagando il dovuto e le sanzioni ridotte, e in futuro dichiarare correttamente sia gli interessi (fruendo del credito per eventuali ritenute maltesi sugli interessi, se applicate) sia il valore del conto in RW versando l’IVAFE relativa. Questo esempio illustra come un avviso di accertamento su conti esteri non dichiarati tipicamente cumuli recupero imposta + sanzione imposta evasa + sanzione monitoraggio.

Contestazioni tipiche dell’Agenzia delle Entrate in caso di conti/redditi a Malta

Quando l’Amministrazione finanziaria italiana procede con accertamenti legati a rapporti esteri, in particolare con Malta, le contestazioni inserite nell’avviso possono essere plurime. Riassumiamo i principali filoni di rilievo che ci si può aspettare in un avviso di accertamento “Malta”:

1. Contestazione della residenza fiscale (esterovestizione personale): se il contribuente ha trasferito la residenza in Malta, l’Agenzia potrebbe ritenere che si tratti di un trasferimento fittizio finalizzato a eludere il Fisco italiano. In tal caso contesterà che il contribuente era in realtà ancora residente fiscale in Italia negli anni X, Y, Z, sulla base di indizi quali: famiglia rimasta in Italia, domicilio e interessi in Italia, presenza fisica frequente in Italia, mancata prova di un effettivo radicamento a Malta, etc. Come visto, fino al 2023 bastava l’iscrizione anagrafica in Italia per presumere ciò; ora serve una valutazione più fattuale. Ma il Fisco conduce indagini (talora con questionari o accessi) per raccogliere elementi: bollette e utenze attive in Italia a nome del contribuente, utilizzo di carte di credito in Italia, social network che lo localizzano spesso in Italia, segnalazioni dell’AIRE tardiva, ecc. Se l’Agenzia presume la residenza italiana, l’avviso riqualificherà tutti i redditi esteri come imponibili in Italia (vedi punto seguente) e applicherà le sanzioni per omessa dichiarazione. L’onere di difesa per il contribuente sarà provare la sua effettiva vita all’estero (contratti di affitto, ricevute, certificati di residenza maltese, ingressi/uscite).

2. Omessa dichiarazione di redditi esteri imponibili in Italia: questa è una conseguenza del punto 1. Se un soggetto doveva considerarsi residente in Italia, avrebbe dovuto dichiarare tutti i suoi redditi esteri. L’avviso dunque recupera le imposte italiane sui redditi prodotti a Malta e non dichiarati in Italia. Come già accennato, tra i redditi tipicamente contestati troviamo: stipendi o compensi di lavoro svolto a Malta, pensioni erogate da enti italiani ma percepite mentre il soggetto era all’estero, dividendi e interessi generati da investimenti a Malta, utili di società maltesi distribuiti al socio italiano, plusvalenze finanziarie su conti maltesi (es. trading), eventuali affitti o altri redditi immobiliari su proprietà a Malta, e così via. Tutto ciò – se la persona è residente in Italia – è soggetto a IRPEF o relative imposte. Nell’avviso si troverà quindi un ricalcolo dell’IRPEF dovuta (o addizionali regionali/comunali se applicabili) su tali somme, oltre alle sanzioni per infedele/omessa dichiarazione. Esempio inserito nell’avviso: “Redditi 2020: non hai dichiarato €50.000 di stipendio percepito a Malta – recupero IRPEF €X + sanzione 120% per omessa dichiarazione”. Da notare che l’Agenzia, in questi casi, applica le aliquote progressive italiane ai redditi esteri: ciò può portare a differenze significative rispetto alla tassazione subita a Malta (ad es., Malta tassa alcune categorie al 15% o con meccanismi particolari, mentre l’IRPEF italiana può arrivare al 43%). Come detto, il contribuente dovrà poi chiedere credito per quanto già pagato in Malta, ma intanto l’accertamento esige l’importo pieno (credi e rimborsi sono partita separata).

Oltre ai redditi non dichiarati, qui rientra anche la contestazione dell’omessa presentazione della dichiarazione annuale (se il soggetto, ritenendosi estero, non ha proprio presentato Unico/730). L’atto d’accertamento in tal caso verte su omessa dichiarazione con recupero di tutte le imposte dovute e sanzione base 120%.

3. Violazione degli obblighi di monitoraggio (Quadro RW non compilato): un filone parallelo riguarda le attività patrimoniali estere non dichiarate. Se il contribuente risultava residente in Italia, avrebbe dovuto ogni anno dichiarare in RW i suoi conti, investimenti e immobili esteri (a fini antievasione e IVIE/IVAFE). Se non lo ha fatto, l’Agenzia nel medesimo avviso contesterà l’omessa compilazione del quadro RW per gli anni X, Y, Z e applicherà le relative sanzioni del 3%-15% (raddoppiate se l’attività fosse stata in Paese black list, il che però non è il caso di Malta).

Ad esempio, se l’avviso riguarda un conto bancario maltese non dichiarato, l’atto specificherà importo a fine anno di quel conto e calcolerà la sanzione (3% per ciascun anno non dichiarato). Nell’esempio di Tizio sopra, €200.000 non dichiarati → €6.000 di sanzione per l’anno 2021. Oppure, se il soggetto aveva partecipazioni in una società maltese e non le ha indicate in RW, analoga sanzione sul valore delle quote.

Queste violazioni RW sono contestate indipendentemente dal fatto che le attività estere producessero redditi o meno. Anche un conto estero a zero interessi va dichiarato, altrimenti la sanzione RW scatta comunque. L’Agenzia spesso rileva tali omissioni grazie allo scambio automatico di informazioni finanziarie (Common Reporting Standard – CRS): banche e intermediari maltesi comunicano annualmente all’Autorità fiscale maltese i dati dei conti intestati a soggetti esteri (saldo, interessi, dividendi, ecc.), e Malta li trasmette all’Italia per i soggetti che risultano residenti italiani. Se invece il soggetto risulta (per Malta) residente lì, i dati non vengono scambiati; ma “nel dubbio” l’Italia può comunque ottenere informazioni tramite richieste mirate o attraverso l’analisi di flussi bancari transfrontalieri. In sintesi, oggi è difficile occultare conti esteri: Malta, in particolare, aderisce pienamente ai protocolli di trasparenza e non offre segretezza bancaria.

4. Utilizzo di società maltesi o strutture estere (esterovestizione societaria, interposizione): molti contribuenti che operano su scala internazionale possono aver costituito a Malta società, holding, trust o altre entità per usufruire di benefici fiscali locali. Un caso classico è l’imprenditore italiano che apre una Ltd maltese che beneficia del famoso meccanismo di tax refund agli azionisti esteri (che di fatto riduce l’aliquota societaria effettiva a circa il 5%). Oppure la creazione di trust/fiduciarie maltesi dove far confluire asset. L’Agenzia delle Entrate può guardare con sospetto a queste strutture, ipotizzando che siano meri schermi formali per celare redditi che in realtà andrebbero tassati in Italia. Le contestazioni tipiche in tal senso sono:

  • Esterovestizione della società estera: ai sensi dell’art. 73 TUIR, se una società estera è di fatto amministrata in Italia, può essere considerata fiscalmente residente in Italia. L’Agenzia potrebbe sostenere che la sede di direzione effettiva della Maltese Ltd era in Italia (perché le decisioni venivano prese dal socio italiano sul territorio italiano), trasformando così la società in soggetto residente italiano. Ciò comporterebbe che i suoi utili andavano tassati in Italia (IRES) e non con il regime maltese. Presunzione anti-abuso: esisteva (e dal 2024 è divenuta anch’essa relativa) una presunzione di residenza in Italia per società localizzate in Stati a fiscalità privilegiata e controllate da italiani. Malta però non è formalmente nella black list società, quindi si procede caso per caso tramite prove.
  • Interposizione fittizia della società estera: in alternativa all’esterovestizione, il Fisco potrebbe contestare che la società maltese era interposta tra il contribuente e i redditi, ossia che i redditi prodotti “da” quella società in realtà erano redditi personali del contribuente italiano. Ad esempio, se un consulente italiano svolge in Italia la propria attività ma fattura i clienti tramite la sua società maltese, il Fisco potrebbe sostenere che ciò configura interposizione: i compensi sono reddito di lavoro autonomo del consulente in Italia, non veri utili esteri. Oppure, in ambito di trust maltesi, sostenere che il trust era fittizio e i redditi in trust erano redditi del disponente. La Cassazione 2025 n.9096 ha ribadito che per i trust esteri conta la titolarità effettiva dei redditi: se il disponente è anche beneficiario ed ha poteri di controllo, il trust è sham (simulato) e i redditi vanno imputati a lui. Nel caso di un trust maltese con partecipazioni societarie familiari, la Cassazione ha confermato la finalità elusiva e imposto al disponente gli obblighi dichiarativi sui redditi del trust.
  • Applicazione delle norme CFC (Controlled Foreign Companies): qualora la società maltese abbia pagato imposte effettive molto basse (meno del 50% di quelle italiane) e sia controllata dal contribuente residente, l’Agenzia può invocare la normativa CFC (art. 167 TUIR, conforme alla direttiva ATAD) per imputare al socio residente gli utili non distribuiti della società estera. Malta, pur non essendo black list, può rientrare in CFC test se la tax refund porta l’aliquota effettiva sotto la soglia (es. 5%). Tuttavia, nelle more dell’accertamento spesso l’Agenzia preferisce contestare l’esterovestizione piuttosto che applicare direttamente il regime CFC, perché quest’ultimo richiede certe condizioni (attività passive preponderanti, assenza di organizzazione economica effettiva all’estero) mentre l’esterovestizione punta sul substance over form. Sta di fatto che un contribuente potrebbe vedersi contestare che “La società X Ltd (Malta) è priva di sostanza economica e funge da schermo: i relativi utili €… vanno tassati in capo al socio italiano ai sensi dell’art. 167 TUIR”. Una contestazione CFC comporta tassazione immediata in capo al socio con aliquota IRPEF/IRES a seconda dei casi, con eventuale credito per la corporate tax pagata a Malta.

In tutti questi scenari societari/trust, l’avviso di accertamento può essere molto complesso perché colpisce sia la persona fisica che la struttura estera. Ad esempio, come vedremo in un caso pratico, all’imprenditore Luigi sono stati contestati sia la residenza personale in Italia sia l’esterovestizione della società maltese, con recupero a lui degli utili societari. Le contestazioni relative alle società estere richiedono all’Agenzia robusti elementi probatori: verbali di riunione svolte in Italia, dimostrazione che le decisioni venivano prese dal contribuente in Italia, mancanza di uffici e personale a Malta, coincidenza del business con quello precedente in Italia, ecc.. Dal lato del contribuente, difendersi significa dimostrare il contrario: provare che la società maltese aveva una sostanza economica reale a Malta (uffici, dipendenti, attività locale), che il management decisionale avveniva effettivamente lì e che il contribuente non la gestiva dalla sua residenza in Italia. Nel caso di trust, occorre dimostrare che il trust era genuino (disponente non beneficiario unico, vero trustee indipendente, etc.) per evitare la qualificazione di interposizione.

5. Altre violazioni specifiche: a margine, un avviso di accertamento può includere ulteriori contestazioni correlate. Ad esempio: omesso versamento di IVAFE/IVIE (se dall’esame emerge che, pur dichiarando il bene in RW, non è stata versata l’imposta patrimoniale relativa – di solito però l’omissione RW e l’omesso IVAFE coincidono, come visto); violazioni IVA (se il soggetto operava con partita IVA italiana e ha omesso fatturazioni/versamenti in relazione a operazioni con l’estero); oppure recupero di eventuali crediti d’imposta o incentivi fruiti indebitamente prima del trasferimento (casi particolari). Questi aspetti tendono a essere secondari rispetto al nucleo “residenza e redditi esteri”, ma vanno valutati caso per caso nell’atto.

Cooperazione Italia-Malta: scambio di informazioni e riscossione

I rapporti tra l’Italia e Malta in ambito fiscale sono oggi improntati a piena collaborazione. Questo significa che un contribuente non può contare sul “segreto” o sull’inaccessibilità di dati finanziari una volta che sia sotto la lente del Fisco italiano.

Scambio automatico di informazioni (CRS): come anticipato, dal 2017 in poi è attivo lo scambio automatico Common Reporting Standard, recepito a livello UE con la Direttiva DAC2. Malta partecipa a questo circuito. Ogni anno, le banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie maltesi inviano all’autorità fiscale maltese i dati dei conti detenuti da soggetti esteri (non residenti in Malta); Malta trasmette tali dati all’Italia se il titolare risulta residente fiscale in Italia. I dati includono: saldo di conto, interessi maturati, dividendi incassati, valori di riscatto di polizze assicurative, ecc.. Dunque l’Agenzia Entrate italiana riceve questi elenchi e può facilmente verificare se il contribuente li ha dichiarati. Se un italiano si è iscritto all’AIRE a Malta e le autorità maltesi lo considerano residente maltese, i suoi dati bancari saranno inviati a Malta e non all’Italia. Ciò però non garantisce immunità: se l’Italia disputa quella residenza (ritenendolo in realtà residente italiano), potrà richiedere informazioni specifiche ex articolo 26 del trattato o tramite scambio su richiesta previsto dalle direttive UE. Inoltre, altre fonti di informazione possono tradire l’esistenza di asset maltesi: ad esempio i registri pubblici (registro immobiliare maltese, registro delle imprese – dove una partecipazione di un italiano può emergere e venire segnalata), oppure segnalazioni per operazioni sospette (se un soggetto bonifica soldi dall’Italia a Malta, la UIF/Guardia di Finanza possono intercettarlo).

Indagini finanziarie e Guardia di Finanza: in caso di controlli approfonditi, la Guardia di Finanza (GdF) italiana ha facoltà – previa autorizzazione – di attivare indagini finanziarie anche sui conti esteri di un contribuente. Ciò avviene attraverso rogatorie o canali di cooperazione internazionale di polizia tributaria. Ad esempio, la GdF può ottenere gli estratti conto maltesi se vi sono sospetti di evasione rilevante. Questi dati poi alimentano le presunzioni di redditi non dichiarati (es. bonifici in entrata su un conto maltese possono far presumere incassi da redditi esteri sottratti a tassazione).

Assistenza nella riscossione (mutua assistenza UE): un punto spesso ignorato ma cruciale: se alla fine del contenzioso il contribuente risulta debitore di imposte e sanzioni, il Fisco italiano può attivare la Direttiva UE 2010/24 sull’assistenza alla riscossione dei crediti tributari. Malta (come Stato membro) è tenuta, su richiesta italiana, a riscuotere coattivamente sul suo territorio le somme dovute dall’individuo, quasi fossero crediti propri. Quindi, se Tizio perde la causa e non paga, l’Italia può chiedere alle autorità maltesi di procedere al pignoramento dei suoi beni a Malta (conto bancario, stipendio, immobile) per soddisfare il debito. Per questo rifugiarsi a Malta non mette al riparo dalla riscossione: esiste cooperazione, sebbene i tempi e le modalità possano essere lunghe. Anche senza arrivare a ciò, va segnalato che recentemente l’Italia ha introdotto misure estreme anti-evasione: per debiti oltre €50.000 iscritti a ruolo e non pagati, in teoria può essere disposta la sospensione del passaporto o la proibizione di espatrio. Misure simili non sono comuni e sarebbero difficili da applicare ad un soggetto già residente estero, ma denotano l’inasprimento degli strumenti di pressione.

Sintesi: oggi i “paradisi bancari” sono finiti – e Malta, in particolare, non offre opacità finanziaria. I contribuenti devono presumere che l’Italia possa venire a conoscenza dei conti e redditi detenuti a Malta se essi mantengono legami fiscali con l’Italia. Questa consapevolezza deve spingere a tenere comportamenti trasparenti (dichiarare e, se necessario, regolarizzare prima di essere scoperti). Nel 2023, il legislatore italiano ha persino previsto un potenziamento dei controlli sugli iscritti AIRE: la Legge di Bilancio 2023 (art. 1 co. 144 L.197/2022) ha aumentato le sanzioni per omessa iscrizione AIRE e finanziato attività di intelligence per individuare chi finge l’espatrio (es. incrociando dati di utenze, locazioni, scuola dei figli, ecc.). Dunque, l’Agenzia Entrate nel 2024-2025 sta intensificando i controlli sugli italiani all’estero, come confermano direttive interne e la Circolare 20/E/2024 citata. I contribuenti onesti, che hanno trasferito davvero la loro vita fuori, non hanno troppo da temere (devono solo rispondere ai questionari mostrando le prove); i “furbetti” che hanno lasciato famiglia e interessi in Italia devono invece essere consapevoli dell’alto rischio di essere pizzicati e farebbero meglio a regolarizzare spontaneamente la propria posizione (ad esempio rientrando e aderendo a regimi fiscali di rientro agevolati, ove possibile).

Strategie difensive: come agire di fronte a un accertamento

Passiamo ora alla parte operativa: cosa può (e deve) fare il contribuente che riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate riguardante conti o redditi esteri (nel nostro caso, a Malta)? Le possibili strategie difensive si articolano su due piani: la fase pre-contenziosa (prima che la controversia approdi in Commissione Tributaria) e la fase contenziosa vera e propria (ricorso e gradi di giudizio). Inoltre, occorre valutare il profilo penale in caso di omesse dichiarazioni rilevanti.

Vediamo i vari passi, ricordando che ogni caso concreto va tarato sulla base delle specifiche contestazioni e delle prove a disposizione.

Fase pre-contenziosa: confronto con l’Ufficio e regolarizzazione

  1. Analisi critica dell’atto: appena ricevuto l’accertamento, è fondamentale leggerlo attentamente e magari farsi assistere da un tributarista. Bisogna capire cosa viene contestato esattamente, quali anni d’imposta, quali importi, su quali basi (es. è allegato un PVC della Guardia di Finanza? Sono citati dati bancari acquisiti via CRS? Si fa riferimento a questionari non risposti?). Capire se ci sono errori materiali nell’atto (es. scambio di persona, importi doppi conteggiati) oppure vizi formali (motivazione carente, notifica viziata). Errori palesi potrebbero suggerire un’istanza in autotutela.
  2. Istanze di autotutela: se l’accertamento contiene errori oggettivi e documentabili (ad esempio: il contribuente era iscritto AIRE e l’ufficio non lo sapeva; oppure viene tassato un reddito già tassato in Italia, duplicando imposta), si può presentare subito un’istanza di autotutela all’ufficio chiedendo l’annullamento o la rettifica dell’atto. L’autotutela è un rimedio amministrativo volontario: l’ufficio non è obbligato a rispondere né a sospendere i termini. In genere si usa se l’errore è manifesto e la controparte potrebbe riconoscerlo. Spesso, però, negli accertamenti su estero l’Agenzia è convinta della propria tesi, quindi l’autotutela raramente risolve tutto – ma tentar non nuoce, specie se si hanno documenti risolutivi da esibire.
  3. Compliance spontanea (ravvedimento operoso): se il contribuente non ha ancora ricevuto formale avviso di accertamento ma solo una lettera di compliance o sospetta di essere nel mirino (es. ha ricevuto un questionario), può valutare il ravvedimento operoso, ossia dichiarare tardivamente quanto omesso e pagare sanzioni ridotte. Tuttavia, una volta notificato l’avviso, il ravvedimento “pieno” non è più ammesso. Si può al più fare una definizione agevolata delle sanzioni pagando entro 60 giorni (c.d. acquiescenza) con sanzioni ridotte a 1/3 – ma ciò comporta accettare integralmente l’accertamento e rinunciare al ricorso. Dunque, nella fase pre-contenziosa post notifica, lo strumento principale è l’adesione, non il ravvedimento.
  4. Accertamento con adesione: disciplinato dal D.Lgs. 218/1997, è la procedura cardine per trovare un accordo con l’ufficio prima del contenzioso. Dopo la notifica dell’avviso, il contribuente ha 60 giorni per fare ricorso, ma può presentare istanza di accertamento con adesione e aprire un dialogo con l’Ufficio. L’istanza sospende i termini per impugnare per 90 giorni. Nella sede di adesione, si ha il vantaggio che le sanzioni amministrative sono ridotte ad 1/3 del minimo previsto. Inoltre è un confronto meno formale: si possono portare nuovi documenti, spiegare situazioni complesse direttamente al funzionario e magari convincerlo a rivedere almeno in parte la pretesa. Se si raggiunge un accordo, si firma un atto di adesione con l’ufficio e si paga (in unica soluzione entro 20 giorni o a rate trimestrali fino a 8 rate). L’adesione chiude definitivamente la questione per quegli anni (diventa tutto definitivo, niente ricorso). Quando conviene l’adesione? In generale, quando l’accertamento non è del tutto infondato e c’è margine per negoziare una riduzione. Nel contesto delle residenze estere, ad esempio, se il contribuente sa di avere punti deboli (famiglia in Italia, presenza significativa in Italia), potrebbe in adesione cercare un compromesso: magari riconoscere la residenza per un anno ma non per un altro, oppure ottenere la riduzione delle sanzioni invocando la buona fede. Nell’esempio di Luigi (residenza dubbia con famiglia in Italia) vedremo che l’adesione è stata la via più conveniente per lui. Con l’adesione si accetta di pagare qualcosa anche se si ritiene di avere ragione, ma si elimina il rischio di una causa lunga e di sanzioni piene. È bene tentarla se il caso è “grigio”. Se invece il contribuente è convinto di avere ragione piena (es. come Maria o Giuseppe nei casi pratici sotto, che erano effettivamente residenti esteri), può comunque usare l’adesione come occasione per spiegare all’ufficio la propria posizione e magari ottenere un annullamento in autotutela durante il contraddittorio. Qualora l’ufficio resti fermo, allora niente accordo e si passerà al ricorso (senza aver pregiudicato diritti, poiché presentare l’istanza non obbliga poi a firmare nulla). Vantaggi dell’adesione: sanzioni ridotte (1/3), sospensione termini, definizione immediata e rateazione. Svantaggi: se si firma, niente appello; talvolta l’ufficio è poco disposto a concessioni, quindi si rischia di perdere tempo. Ad ogni modo, tentare l’adesione è quasi sempre consigliabile, perché offre uno sconto sanzioni e una chance di dialogo.
  5. Valutazione profili penali: fin da subito, occorre considerare se i fatti contestati superano le soglie di punibilità penale (D.Lgs. 74/2000). Nel nostro tema, i reati possibili sono:
    • Omessa dichiarazione (art.5): scatta se l’imposta evasa > €50.000 per anno. Pena 2–5 anni reclusione. Ad esempio, se per tre anni il soggetto non ha dichiarato redditi esteri evadendo €60k all’anno di IRPEF, vi sono 3 reati di omessa dichiarazione.
    • Dichiarazione infedele (art.4): scatta se imposta evasa > €100.000 e contemporaneamente i redditi non dichiarati superano il 10% del reddito totale dichiarato oppure comunque eccedono €2 milioni. Pena 2–4.5 anni.
    • Altri reati: in ipotesi molto gravi potrebbe configurarsi anche il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art.10) se il contribuente aveva obblighi contabili e li ha sottratti per impedire ricostruzioni (tipico per imprese). Oppure autoriciclaggio se i proventi evasi sono stati reimmessi in circuiti finanziari. Ma queste sono situazioni limite.
    Se l’accertamento evidenzia che tali soglie penali sono state superate, l’Agenzia trasmetterà notizia alla Procura della Repubblica. Spesso ciò avviene contestualmente o poco dopo la notifica dell’accertamento. È importante quindi, nella fase pre-contenziosa, muoversi anche per attenuare eventuali conseguenze penali. Il D.Lgs. 74/2000 prevede infatti una causa di non punibilità se il contribuente paga integralmente tributi, sanzioni e interessi prima dell’apertura del dibattimento nel processo penale. Ciò significa che, se c’è rischio penale, conviene:
    • Definire quanto prima la posizione col Fisco (tramite adesione o anche in corso di giudizio, con conciliazione) e pagare tutto il dovuto.
    • Così, quando eventualmente la Procura chiamerà in giudizio, poter dimostrare di aver già estinto il debito tributario ed evitare la condanna (il reato viene dichiarato estinto per intervenuto pagamento integrale).
    Nell’esempio di Luigi, aveva imposte evase ben superiori a €50k/anno, quindi a rischio penale; definendo l’adesione e pagando, ha potuto invocare questa causa estintiva.

Fase contenziosa: ricorso in Commissione Tributaria e gradi di giudizio

Se non si arriva a un accordo in fase pre-contenziosa, o se si ritiene l’accertamento totalmente infondato, la via è presentare ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado (oggi rinominata Corte di Giustizia Tributaria di I grado). Ecco i punti principali della fase contenziosa:

  • Termini e procedure iniziali: il ricorso va notificato all’Agenzia delle Entrate entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o entro 150 giorni se è stata fatta istanza di adesione senza accordo). Per importi in contestazione fino a €50.000 è obbligatorio esperire prima un tentativo di mediazione tributaria (presentando il ricorso che vale anche come istanza di mediazione): in tale sede l’Agenzia può proporre una conciliazione. Se non si concilia entro 90 giorni, il ricorso prosegue in Commissione. Il contribuente può chiedere, nel ricorso, la sospensione dell’atto se il pagamento immediato gli causerebbe un danno grave (la sospensione è discrezionale del giudice).
  • Onere della prova: nei contenziosi su redditi esteri, la ripartizione dell’onere probatorio è cruciale. Se il Fisco contesta la residenza in Italia basandosi su presunzioni (es. iscrizione anagrafica, famiglia in Italia), siamo nell’ambito di presunzioni legali relative o semplici. Il contribuente dovrà fornire prova contraria che la residenza era effettivamente all’estero (documenti sul centro di interessi a Malta, testimonianze, certificazioni). La Cassazione ha recentemente orientato a valutare la sostanza oltre la forma: già prima della riforma 2024 alcune sentenze avevano ammesso prova contraria anche se mancava l’iscrizione AIRE. Ora che l’iscrizione è presunzione relativa per legge, il giudice dovrà appurare in concreto la situazione. Dunque il contribuente in giudizio deve allegare quanti più elementi fattuali possibile (contratti, bollette, conti spesa, presenza fisica, iscrizioni club locali, qualsiasi cosa provi che viveva a Malta). Se invece l’accertamento è focalizzato su redditi non dichiarati, l’onere iniziale spetta al Fisco di provare l’esistenza di quei redditi. Tipicamente lo farà esibendo i dati bancari esteri acquisiti, oppure ricostruzioni finanziarie. Una volta provata l’esistenza del reddito estero, l’onere passa al contribuente di giustificarlo (ad esempio: quell’entrata sul conto maltese era denaro già tassato, oppure un prestito, etc., per evitare la riqualificazione a reddito imponibile). Nel caso di società estere interposte, il Fisco dovrà portare indizi concordanti dell’interposizione (es. comunicazioni dal PC in Italia, testimonianze), dopodiché il contribuente dovrà dimostrare l’autonomia effettiva della struttura.
  • Svolgimento del processo tributario: il ricorso introduttivo elenca i motivi di impugnazione (es.: errata applicazione art. 2 TUIR; violazione Convenzione; carenza di motivazione; errato calcolo imposte; etc.). L’Agenzia resisterà con memoria entro 60 giorni dal deposito del ricorso. Seguirà l’udienza (spesso scritta, ma in casi complessi meglio chiedere pubblica udienza per spiegare). In giudizio il contribuente può depositare memorie aggiuntive fino a 5 giorni prima, documenti fino a 20 giorni prima. Può anche essere proposta conciliazione giudiziale: è un accordo in corso di processo che riduce le sanzioni a 1/3 (come l’adesione) e chiude la lite. Spesso conviene se emergono spiragli di accordo con l’ufficio durante il processo.
  • Sentenza di I grado: la Corte Tributaria di primo grado emetterà sentenza che può accogliere totalmente il ricorso (annullando l’accertamento), accoglierlo parzialmente (rideterminando il dovuto) o respingerlo. Se il contribuente vince, ha diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato in pendenza di giudizio (ad esempio il 1/3 versato per sospendere l’esecuzione) entro 90 giorni. Se perde (soccombenza totale o parziale), dovrà valutare se appellare in secondo grado entro 60 giorni. Dal 2023, le corti di appello tributarie sono denominate Corti di Giustizia Tributaria di II grado.
  • Appello (II grado): l’appello è un nuovo giudizio sul merito, ma circoscritto ai motivi di impugnazione indicati. Anche in appello si possono chiedere sospensioni dell’esecutività se la sentenza di primo grado ha dato torto e l’ufficio inizia la riscossione (anche se la riscossione di solito rimane sospesa ex lege per 6 mesi post-sentenza di I grado). In appello le dinamiche sono simili al primo grado, con depositi memorie, udienza, ecc. Se la sentenza di appello conferma l’accertamento, l’Agenzia potrà procedere a riscuotere quanto dovuto salvo ulteriore ricorso.
  • Ricorso per Cassazione: dopo l’appello, rimane la Corte di Cassazione (Sezione Tributaria) come giudice di legittimità. In Cassazione si possono impugnare solo vizi di diritto (violazione di legge, vizio di motivazione grave), non il merito. Nel contesto in esame, motivi di ricorso in Cassazione potrebbero essere: errata interpretazione della Convenzione o delle norme TUIR, omessa valutazione di prove decisive, difetto assoluto di motivazione della sentenza d’appello, ecc. La Cassazione decide senza entrare nei fatti (salvo casi di accertamento per insufficienza motivazionale). Se la Cassazione accoglie, rinvia a un nuovo giudice di appello; se rigetta, la questione diventa definitiva.

In sintesi, la procedura completa può essere lunga (anche 5-7 anni fino alla Cassazione). Nel frattempo, il contribuente può subire la riscossione parziale (di regola, dopo la sentenza di primo grado, l’Erario può riscuotere 1/3 delle imposte contestate, e dopo la sentenza di secondo grado può riscuotere il restante, salvo sospensioni). Questo fa sì che spesso, valutando costi/benefici, convenga trovare un accordo prima o durante il contenzioso, a meno che la materia di principio in gioco non sia di importanza tale da giustificare l’attesa.

Nel nostro tema, va evidenziato che negli ultimi anni la giurisprudenza di merito (Commissioni Tributarie) si è mostrata talora equilibrata e persino favorevole ai contribuenti su questioni di residenza e doppia imposizione, soprattutto quando l’Agenzia si è arroccata su formalismi (es. “iscrizione AIRE tardiva = evasore”). Ci sono state sentenze di Commissioni che, ancor prima della Cassazione 2024, hanno riconosciuto il primato delle convenzioni e dato ragione ai pensionati esteri o ai lavoratori realmente espatriati. Questo incoraggia a non arrendersi se si hanno buone prove: il giudice tributario può accogliere eccezioni come la prevalenza della Convenzione, la mancanza del contraddittorio (in alcuni casi l’Agenzia avrebbe dovuto inviare un questionario prima di accertare), il difetto di motivazione se l’atto non spiega adeguatamente le ragioni, ecc. Ad esempio, la CTR Lombardia in un caso del 2021 annullò un accertamento perché l’Agenzia ignorava la tie-breaker rule convenzionale e non aveva considerato che il contribuente aveva famiglia all’estero. In definitiva, perseverare nella difesa può premiare, specie se supportati da una strategia legale competente.

Considerazioni sull’assistenza professionale

Data la complessità tecnica di queste materie (incrocio di normative interne, diritto convenzionale, aspetti probatori sofisticati, possibili implicazioni penali), farsi assistere da un avvocato tributarista esperto in fiscalità internazionale è altamente consigliabile. Un professionista potrà:

  • Analizzare oggettivamente la posizione, individuando punti di forza e debolezza, ed evitare che il contribuente commetta ingenuità (es. dichiarazioni improprie all’AdE).
  • Predisporre memorie tecniche, istanze e ricorsi citando la giurisprudenza rilevante che il contribuente da solo magari non conosce (Cassazione, risoluzioni, interpretazioni OCSE).
  • Rappresentare efficacemente il cliente nei colloqui di adesione o in udienza, controbattendo le argomentazioni dell’Agenzia e negoziando soluzioni transattive ottimali.
  • Gestire le scadenze e i formalismi processuali, evitando decadenze e nullità per errori procedurali (purtroppo frequenti nel fai-da-te).
  • Interfacciarsi, se necessario, con consulenti esteri (ad es. un fiscalista maltese per ottenere documenti o attestazioni utili) e con eventuali avvocati penalisti se il caso lo richiede.

Considerando che, se si vince la causa, le spese legali possono essere poste a carico dell’Agenzia soccombente (sia pure in parte) e che spesso un bravo difensore ottiene risparmi ben maggiori del proprio onorario, l’investimento in un’assistenza qualificata è quasi sempre giustificato. Questa guida fornisce gli strumenti conoscitivi; ma sul campo, il supporto professionale può fare la differenza tra una difesa improvvisata e una difesa vincente.

Casi pratici (simulazioni)

Per illustrare concretamente come applicare le norme e le strategie difensive discusse, proponiamo alcuni casi pratici simulati, ispirati a situazioni reali che possono coinvolgere contribuenti italiani con legami a Malta. Ogni caso è seguito dall’analisi di cosa fare in quella circostanza dal punto di vista del contribuente.

Caso 1: Trasferimento effettivo a Malta ma iscrizione AIRE tardiva

Scenario: Maria, cittadina italiana, si trasferisce a Malta per lavoro a marzo 2022. Trova impiego stabile e rimane a vivere a Malta, tuttavia per disorganizzazione non si iscrive subito all’AIRE. Effettua l’iscrizione all’AIRE solo a fine 2023. Nel 2022, credendo di non doverlo fare, Maria non presenta dichiarazione dei redditi in Italia (avendo solo il reddito da lavoro maltese tassato a Malta). A giugno 2025 riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate che la considera residente fiscale in Italia per tutto il 2022, contestandole: (a) omessa dichiarazione dei redditi percepiti (il suo stipendio maltese 2022, €30.000) e (b) omessa compilazione del quadro RW per un conto corrente maltese su cui a fine 2022 aveva €30.000 depositati. L’atto richiede imposte IRPEF per circa €10.000 (aliquota media su €30k) + sanzione 90% = €9.000, e una sanzione RW pari al 3% di €30.000 = €900.

Analisi: La posizione di Maria è solida dal punto di vista sostanziale – lei ha davvero vissuto e lavorato a Malta dal marzo 2022 – ma è indebolita da un errore formale: il ritardo nell’iscrizione AIRE. L’Agenzia basa infatti l’accertamento sul fatto che per il 2022 Maria risultava ufficialmente ancora residente in Italia (non essendo iscritta AIRE fino al 2023). Secondo la legge vigente nel 2022, ciò era sufficiente a presumere la sua residenza fiscale in Italia. L’Agenzia dunque considera imponibile in Italia lo stipendio percepito a Malta e rileva l’omesso monitoraggio del conto estero. Maria però, dal marzo 2022 in poi, ha vissuto esclusivamente a Malta (in Italia è tornata solo 10 giorni per Natale). Il suo caso rientra dunque in quella categoria di contribuenti “virtuosi” ma penalizzati da un formalismo.

Cosa può fare Maria per difendersi:

  • Dimostrare la residenza effettiva a Malta nel 2022: Maria deve raccogliere tutte le prove possibili della sua vita maltese. Ad esempio: contratto di lavoro a Malta (dal marzo 2022), buste paga maltesi, contratto di affitto di un appartamento a Sliema (da aprile 2022), bollette e utenze intestate a lei a Malta, iscrizione al sistema sanitario maltese, eventuale tesseramento locale, ecc.. Inoltre, può chiedere al Commissioner for Revenue maltese un certificato di residenza fiscale per l’anno 2022, attestante che Maria è stata residente in Malta >183 giorni e vi ha pagato le tasse. Può recuperare i tabulati dei suoi ingressi/uscite dai due Paesi: risulterà che da aprile a dicembre 2022 è stata in Italia solo pochi giorni. Tutti questi elementi servono a convincere che di fatto Maria nel 2022 aveva abitazione permanente e centro della vita a Malta.
  • Invocare le tie-breaker rules della Convenzione Italia–Malta: Nel suo ricorso Maria sottolineerà che, pur essendo formalmente iscritta all’anagrafe italiana per buona parte del 2022, in base all’art.4 della Convenzione contro le doppie imposizioni la sua residenza fiscale va attribuita a Malta. Elencherà i criteri: abitazione permanente a Malta (il suo appartamento in affitto), centro degli interessi vitali a Malta (lavoro e quotidianità lì, famiglia non menzionata ma presumiamo sia single), soggiorno abituale nettamente a Malta (circa 270 giorni su 365 lì). Le tie-breaker convergono su Malta. Evidenzierà che la tardiva iscrizione AIRE è stato un mero ritardo burocratico che non cambia la realtà dei fatti. Citerà a supporto la Circolare AdE 20/E/2024 e Cass. 29463/2024 che confermano come le tie-breaker prevalgano sulla presunzione anagrafica.
  • Far valere i crediti d’imposta esteri: Maria può aggiungere, in via subordinata, che in ogni caso il suo stipendio 2022 è già stato tassato a Malta (ipotizziamo con aliquota 15%, dato che Malta per alcuni residenti non domiciliati tassa al 15% i redditi esteri rimessi, ma facciamo conto sia tassato regolarmente). Dunque, se proprio l’Italia la considerasse residente e volesse tassare anche quel reddito, andrebbe riconosciuto un credito per le imposte pagate a Malta in virtù dell’art. 23 della Convenzione e dell’art. 165 TUIR. Maria può citare Cass. 24160/2024 (o 24205/2024) per affermare che tale credito spetta anche se lei non aveva originariamente dichiarato il reddito, prevalendo la convenzione sulla preclusione formale. Questo argomento serve a ridurre comunque l’eventuale prelievo italiano (evitando doppia tassazione).
  • Eccepire la violazione del contraddittorio, se applicabile: Maria nota che prima dell’accertamento non ha ricevuto alcun questionario o invito a comparire. In materia di omessa dichiarazione, la normativa non prevede obbligo di contraddittorio anticipato (come invece sarebbe per accertamenti basati su presunzioni redditometriche), quindi probabilmente questa eccezione non è dirimente. Tuttavia, se l’accertamento fosse derivato da indagini finanziarie o sintetiche, avrebbe dovuto avere un contraddittorio. Nel suo caso, non sembra applicabile, quindi Maria può concentrarsi sul merito.
  • Chiedere l’annullamento o attenuazione delle sanzioni per obiettiva incertezza: Maria può argomentare che vi era incertezza normativa sulla sua residenza, essendo la normativa in evoluzione (il 2022 è stato l’ultimo anno col vecchio regime, poi mutato proprio perché considerato irragionevole). Inoltre, può evidenziare la assenza di intento fraudolento da parte sua: ha fatto l’iscrizione AIRE, seppur tardi, e ha pagato regolarmente le imposte a Malta. Questi elementi potrebbero spingere il giudice a eliminare o quantomeno ridurre le sanzioni, applicando l’art. 6 co.2 D.Lgs. 472/97 (circostanze di buona fede).

Esito atteso: con una documentazione convincente, è probabile che l’accertamento venga annullato in sede di adesione o giudiziale. L’ufficio, di fronte alle prove schiaccianti, potrebbe già in adesione riconoscere la residenza maltese per il 2022 e annullare in autotutela l’atto. In tal caso Maria pagherebbe al più una piccola sanzione amministrativa per il ritardo dell’iscrizione AIRE (sanzione amministrativa introdotta nel 2022, €300 circa) – ma questa è materia anagrafica, non fiscale, e non era oggetto dell’avviso. Se invece si va in Commissione, quasi certamente il giudice tributario le darà ragione, annullando l’avviso in virtù della Convenzione e della prevalenza dei fatti sostanziali. In entrambi i casi, Maria eviterà la doppia tassazione.

Nota: nello scenario remoto in cui anche il giudice di primo grado le desse torto (magari per eccesso di formalismo), Maria potrebbe appellare e nel frattempo, se costretta a pagare, salvaguardare il credito d’imposta. Infatti, se dovesse pagare IRPEF in Italia sul 2022, avrebbe diritto di recuperare le imposte pagate a Malta. Cassazione e persino atti parlamentari (interrogazione On. Porta) confermano che l’art. 165 co.8 TUIR va disapplicato e il credito dev’essere concesso. Quindi almeno eviterebbe di pagarle doppie.

Lezione appresa: Maria capirà l’importanza di aggiornare tempestivamente l’iscrizione AIRE e curare gli aspetti formali quando si espatria. Il suo caso evidenzia che un contribuente sostanzialmente corretto (residente all’estero sul serio) può difendersi con successo se supporta i fatti con evidenze solide.

Caso 2: Imprenditore con società maltese e famiglia in Italia (residenza contestata ed esterovestizione)

Scenario: Luigi è un imprenditore digitale italiano. Nel 2019 decide di trasferire la sede della sua startup a Malta, costituendo una società maltese (Luigi è socio unico della “Malta Ltd”). Luigi stesso si sposta a Malta, ma la moglie e i due figli restano a Milano (i ragazzi continuano la scuola in Italia). Luigi in pratica passa circa 2 settimane al mese a Malta e il resto del tempo in Italia con la famiglia o in viaggio per lavoro. Mantiene la sua villa di proprietà vicino Milano (dove risiedono moglie e figli). Luigi si iscrive all’AIRE nel 2019 e dal 2020 smette di presentare dichiarazioni in Italia, dichiarando invece a Malta un modesto compenso come amministratore della sua società. Nel 2024, dopo alcune indagini, l’Agenzia delle Entrate notifica a Luigi due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2020 e 2021, contestandogli in sintesi:

  • Residenza fiscale in Italia: secondo l’Ufficio, nonostante l’iscrizione AIRE, Luigi di fatto risiedeva con la famiglia a Milano, quindi è da considerare residente in Italia in quegli anni.
  • Esterovestizione della Malta Ltd: l’Agenzia sostiene che la società maltese è gestita e amministrata dall’Italia da Luigi, configurandola come residente in Italia ex art. 73 TUIR (centro di direzione effettiva in Italia). Pertanto, i redditi societari sono in realtà redditi prodotti in Italia.
  • Redditi non dichiarati: vengono imputati a Luigi i proventi della società maltese (€200.000 di utile 2020 e €250.000 nel 2021), riqualificandoli come redditi d’impresa o di lavoro autonomo sottratti a tassazione in Italia.
  • Omessa indicazione della partecipazione estera in RW: Luigi non ha dichiarato in RW la quota 100% nella Malta Ltd; sanzione proposta 3% annuo (l’Ufficio erroneamente nel rilievo parla di “6%” ma poi applica 3% trattandosi di paese UE).

In sostanza, è un accertamento integrato personale-societario su più fronti. Le imposte richieste sono molto elevate: si trattano €450.000 di utili come reddito personale, tassandoli ad aliquote IRPEF (~43% su quasi tutto l’importo) o IRES+IRAP se fosse società, più sanzioni 120% (omessa dichiarazione) ecc. Inoltre, l’ufficio segnala la situazione alla Procura per omessa dichiarazione (due anni oltre soglia).

Analisi: La posizione di Luigi appare debole. Diversamente da Maria, Luigi non ha trasferito realmente il proprio centro vitale a Malta: la famiglia e la casa principale sono rimaste in Italia, il che è un indicatore fortissimo di residenza in Italia. Egli stesso ha trascorso almeno metà del tempo in Italia, se non di più. Anche applicando le tie-breaker, l’abitazione permanente più significativa è in Italia (la villa con famiglia), gli interessi vitali pendono verso l’Italia (affetti lì, e anche parte del business, visto che probabilmente clienti o base operativa parziale è in Italia), il soggiorno abituale è quantomeno condiviso fra due paesi. L’Agenzia ha gioco facile nel sostenere che il trasferimento a Malta è stato solo parziale e strumentale. In parallelo, la società maltese sembra in realtà condotta da Luigi stesso spesso dall’Italia (forse i clienti sono italiani, magari c’è personale in Italia? Non è specificato, ma l’Ufficio rileva elementi di gestione dall’Italia). Quindi l’accusa di esterovestizione appare fondata: Malta Ltd è un’entità di comodo per abbattere il carico fiscale, mentre l’attività economica prosegue in Italia sotto mentite spoglie.

Come può difendersi Luigi: la situazione è complessa e sfavorevole. Luigi ha due battaglie: la residenza personale e l’esterovestizione societaria. Deve valutare se combattere su entrambe o cercare un compromesso, considerando anche il rischio penale. Possibili linee di azione:

  • Difesa (parziale) sulla residenza: Luigi potrebbe tentare di dimostrare che almeno dal 2021 (o 2022) la sua situazione è cambiata – ad esempio, se nel frattempo la famiglia l’avesse raggiunto a Malta, o avesse venduto la villa in Italia. Nel caso concreto non è avvenuto, ma potrebbe provare a sostenere: “Ok, nel 2020 in effetti ero di fatto ancora residente in Italia, ma nel 2021 ho incrementato la presenza a Malta e sto trasferendo il centro d’interessi lì”. Questa strategia è debole senza fatti concreti, ma se Luigi avesse prove di maggiore radicamento a Malta in uno dei due anni, potrebbe puntare a far cadere almeno uno dei periodi. Ad esempio, se nel 2021 la moglie ha iniziato a vivere con lui metà del tempo a Malta, o i figli sono passati a una scuola internazionale, ecc. In assenza di cambiamenti sostanziali, insistere nel negare la residenza italiana risulta poco credibile e potrebbe indisporre il giudice.
  • Applicare la Convenzione ma riconoscere i criteri sfavorevoli: Luigi può comunque invocare le tie-breaker, ma come detto probabilmente queste gli sono sfavorevoli: casa e famiglia in Italia, interessi vitali prevalentemente in Italia. Può provare a contestare qualche dettaglio (ad es. sostenere che il vero “centro economico” era a Malta perché lì c’erano i conti e gli investimenti), ma rischia di non convincere.
  • Strategia di accertamento con adesione: Dato l’alto rischio (imposte su €450k + sanzioni + penale), la mossa più pragmatica per Luigi è cercare un accordo con l’Agenzia in sede di adesione. In adesione potrebbe negoziare ammettendo parzialmente la residenza italiana, magari proponendo un compromesso: riconoscere la residenza (e quindi tassazione) per il 2020, ma sostenere che nel 2021 la situazione era meno chiara (questo però è difficilmente accettabile dall’Ufficio visto che nel 2021 i fatti non paiono migliori). Almeno, Luigi potrebbe ottenere la riduzione delle sanzioni a 1/3 e, aspetto da non trascurare, guadagnare tempo per pagare e evitare la denuncia penale prima che maturi (l’adesione sospende termini e poi il pagamento entro 20 gg evita l’inoltro della notizia di reato, se fatto in tempo utile).
  • Leve negoziali: in adesione Luigi può sottolineare all’Agenzia alcuni punti a suo favore per cercare indulgenza:
    • Che la società a Malta comunque ha dichiarato e pagato imposte a Malta (anche se basse col refund). Può presentare i bilanci e le tax returns maltesi a riprova che non c’era occultamento di reddito tout court, ma un disallineamento sulla residenza. Questo non elimina il dovuto italiano, ma può aiutare a sminuire l’intenzionalità fraudolenta, facendo leva sulla volontà di collaborare e sulle riduzioni sanzioni.
    • Sottolineare eventuali costi deducibili o errori di calcolo dell’ufficio: forse i €200k di utili includono voci non imponibili o costi che in caso di tassazione come reddito personale andrebbero dedotti. Potrebbe trattare su questo per abbassare la base imponibile concordata.
    • Evidenziare il grave rischio penale e la volontà di pagare subito per estinguere il reato, il che per l’Agenzia significa incassare rapidamente. Luigi può far leva su questo: “Facciamo presto un accordo così pago tutto e non metto nei guai né voi né me col penale”. Anche se formalmente l’Agenzia non “tratta” sul penale, sa che un accordo rapido con pagamento integrale è un risultato positivo.
  • Profilo penale: come detto, Luigi rischia due reati di omessa dichiarazione (2020 e 2021) perché l’imposta evasa ogni anno probabilmente supera di molto €50k. Quindi deve assolutamente ridurre la base imponibile e le sanzioni per scendere sotto soglia o comunque pagare prima possibile. Se con l’adesione riesce a riconoscere la residenza per entrambi gli anni e paga l’IRPEF dovuta (diciamo ipoteticamente €90k per anno su €200k al 43% – importi molto elevati) e sanzioni ridotte a 30% circa invece di 90%, potrà poi invocare la non punibilità avendo saldato tutto. È un colpo duro finanziariamente, ma gli evita guai peggiori (carcere).
  • Combattere l’esterovestizione (se decidesse di andare in giudizio): qualora Luigi volesse comunque sostenere la correttezza del suo operato, dovrebbe prepararsi a dimostrare che la Malta Ltd aveva sostanza reale e non era gestita da Milano. Prove utili: ufficio a Malta con contratto di locazione, dipendenti maltesi assunti, contratti con clienti stipulati a Malta, riunioni del CdA svolte a Malta con verbali firmati lì, documentazione che lui era fisicamente a Malta per seguire l’attività spesso. Se esistono elementi del genere, andrebbero portati per contrastare la tesi che “faceva tutto da Milano”. Purtroppo, nel suo caso la presenza della famiglia e probabilmente la centralità di Milano nella sua vita d’affari rendono arduo sostenere una separazione netta. La Cassazione sull’esterovestizione guarda soprattutto agli elementi oggettivi: dove si riunisce il CdA, chi sono gli amministratori (erano locali o prestanome?), l’azienda aveva uffici veri?. Se tutto era “su carta” a Malta ma Luigi prendeva decisioni dall’Italia, la battaglia è in salita.
  • Valutazione finale – combattere o transare: Luigi deve fare un pragmatico cost/benefit: probabilità di vincere bassa, importi altissimi, rischio penale. In tali condizioni, quasi sempre conviene chiudere pagando il dovuto con sanzioni ridotte, per evitare guai peggiori. Ad esempio, se paga IRPEF su 2020 e 2021 con sanzioni a 1/3, avrà comunque un esborso molto elevato (nell’ordine di centinaia di migliaia di euro), ma evita il contenzioso e riduce il rischio penale (pagando prima del dibattimento può fruire della causa di non punibilità). Inoltre, l’Agenzia potrebbe accettare di semplificare le cose tassandolo direttamente su IRPEF senza aprire un parallelo accertamento IRES alla società (magari rinunciando a colpire la società separatamente in cambio della tassazione integrale in capo a lui). Questo eviterebbe doppi contenziosi. Se invece Luigi volesse andare fino in fondo in giudizio, dovrebbe avere qualche asso nella manica (ad esempio, la moglie si è trasferita a Malta nel 2021 per cui quell’anno lo rivendica estero, oppure la società nel 2021 ha assunto una vita più maltese). Potrebbe in tal caso puntare a limitare il danno ad un anno: convincere che dal 2021 è effettivamente expat e pagare solo per il 2020. Ma, come detto, senza un cambio fattuale importante (es. separazione dalla moglie, vendita casa in Italia, ecc.), rischia di perdere su tutta la linea. Nel frattempo accumulerebbe interessi di mora e lascerebbe aperto il fronte penale, con possibili condanne. Non pare saggio.

Esito atteso: nel nostro scenario, Luigi verosimilmente opterà per una definizione in adesione. L’Agenzia potrebbe accettare un accordo in cui Luigi riconosce la residenza italiana per entrambi gli anni (vista la condotta, difficilmente gliene “abboneranno” uno) e paga tutte le imposte, ma con sanzioni ridotte al minimo. In cambio, come detto, l’Agenzia potrebbe non aprire un accertamento separato nei confronti della società maltese (accontentandosi di tassare lui sugli utili, in modo da chiudere la vicenda in modo più semplice). Luigi così versa un importo cospicuo, ma evita il contenzioso lungo e soprattutto riduce moltissimo il rischio penale: pagando integralmente, potrà auspicare l’archiviazione delle indagini o comunque l’estinzione del reato in caso di processo. Inoltre, evita ulteriori sanzioni o aggravi.

Dopo aver sistemato, Luigi dovrà trarre insegnamento: non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, come si suol dire. Se vuole beneficiare del regime maltese, deve spostare anche i legami familiari e personali a Malta; altrimenti, dovrebbe considerare di rientrare fiscalmente in Italia e magari usufruire di regimi speciali per rimpatriati (che offrono sconti d’imposta per chi torna). Il suo caso mostra che mantenere la famiglia in Italia annulla il tentativo di pianificazione fiscale estera – un errore comune tra imprenditori che credono di poter “fare base” a Malta lasciando però moglie e figli a casa: il Fisco guarderà a quei legami e li userà contro di loro.

Caso 3: Pensionato italiano residente a Malta con pensione dall’Italia (doppia imposizione e rimborso)

Scenario: Giuseppe, ex dirigente d’azienda in pensione, si trasferisce a Malta nel 2021 per godersi la pensione al sole mediterraneo. Si iscrive regolarmente all’AIRE nel 2021. Percepisce una pensione privata INPS di circa €40.000 annui (non è una pensione pubblica governativa, ma da lavoro nel settore privato). La Convenzione Italia–Malta prevede che le pensioni private siano tassate solo nello Stato di residenza del contribuente (Malta), mentre le pensioni pubbliche rimangono tassabili nello Stato erogante. Dunque Giuseppe, essendo residente maltese dal 2021, avrebbe diritto a non pagare IRPEF in Italia sulla pensione e far tassare tutto a Malta. Tuttavia, l’INPS all’atto pratico continua ad applicargli la ritenuta IRPEF mensile sulla pensione per tutto il 2021 e 2022, perché evidentemente non ha tempestivamente recepito il cambio di residenza (capita spesso). Nel 2023 Giuseppe presenta dunque istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate per le imposte trattenute indebitamente in Italia su quelle pensioni 2021-22, allegando il certificato di residenza maltese e copia della Convenzione. Invece di rimborsare, l’Agenzia avvia un controllo incrociato e – colpo di scena – contesta a Giuseppe di non aver presentato la dichiarazione dei redditi in Italia per il 2021 e 2022, aprendo un accertamento per omessa dichiarazione (nonostante la pensione fosse già stata tassata alla fonte!). Sostanzialmente, l’Agenzia insinua che per loro Giuseppe era ancora residente in Italia, forse appigliandosi al fatto che la moglie di Giuseppe lo ha raggiunto solo a metà 2021 oppure a qualche ritardo comunicativo. In questo modo nega il rimborso e addirittura pretende di tassare la pensione in Italia, argomentando che “se non dichiari in Italia non puoi avere il credito per eventuali imposte pagate a Malta” (cosa assurda, dato che il trattato dà tassazione esclusiva a Malta, non un credito). In pratica, l’ufficio sembra agire per trattenere le imposte e punire Giuseppe per non aver presentato l’Unico, con un formalismo discutibile.

Analisi: Questo caso è ispirato a situazioni reali di pensionati esteri che hanno dovuto lottare per farsi riconoscere l’esenzione. Qui la legge è chiaramente dalla parte di Giuseppe: la Convenzione dice che la sua pensione privata è tassabile solo a Malta, quindi l’IRPEF italiana prelevata è indebita. Giuseppe risiede a Malta (iscritto AIRE 2021, moglie lo ha raggiunto nel 2022 per cui dal 2022 tutta la famiglia è lì), quindi di fatto ha trasferito la sua vita a Malta. L’Agenzia appare qui in atteggiamento ottuso, probabilmente per non restituire le imposte trattenute: talvolta accade che alcuni uffici usino ogni cavillo per negare rimborsi, “punendo” il contribuente magari per non aver presentato un quadro RW (anche se in questo caso non avrebbe nulla da dichiarare, la pensione è reddito tassato alla fonte, avrebbe potuto fare Unico a zero con credito). Ma è evidente che l’accertamento non ha sostanza giuridica: è un tentativo di forzare la mano.

Come deve difendersi Giuseppe: con determinazione e facendo valere i suoi diritti convenzionali:

  • Ricorso per rimborso + ricorso contro l’accertamento: se l’Agenzia non ha già rigettato formalmente l’istanza di rimborso, Giuseppe dovrebbe presentare un ricorso (in Commissione) per ottenere il rimborso delle ritenute IRPEF 2021-22, unificando se possibile la causa con quella contro l’avviso di accertamento. In ogni caso deve impugnare l’accertamento spiegando che non c’era obbligo dichiarativo in Italia su quelle pensioni, essendo esse non imponibili per l’Italia.
  • Invocare la giurisprudenza favorevole (Cass. 29463/2024): Giuseppe citerà la recente Cassazione che in un caso analogo (pensionato in UK) ha riconosciuto il diritto al rimborso perché la Convenzione attribuiva la tassazione esclusiva all’estero. In quella sentenza la Cassazione ha ribadito che la Convenzione prevale e che la ritenuta italiana non era dovuta, dando così ragione al contribuente. Questo precedente è quasi on point rispetto a Giuseppe.
  • Sottolineare l’iscrizione AIRE e l’effettivo trasferimento: Giuseppe farà presente che era regolarmente iscritto AIRE dal 2021, quindi neanche la presunzione interna di residenza regge, e comunque ora è relativa. Certo, la moglie inizialmente rimase qualche mese in Italia ma poi è venuta; in ogni caso, dalla prospettiva convenzionale, lui aveva sin dal 2021 abitazione permanente a Malta e 183+ giorni lì, soddisfacendo i criteri di residenza maltese. Non c’è alcun elemento serio per dubitare della sua residenza estera.
  • Contestare la richiesta di presentazione dichiarazione in Italia: Giuseppe dovrebbe evidenziare che l’argomento dell’Agenzia (“dovevi presentare la dichiarazione per poter poi chiedere il credito”) è un formalismo contrario ai trattati e già censurato a livello anche politico. Richiamare magari l’interrogazione dell’On. Fabio Porta che definì questa prassi come una doppia imposizione di fatto e ne chiese il superamento.
  • Chiedere annullamento dell’atto e rimborso contestuale: Nel ricorso, Giuseppe chiederà non solo di annullare l’accertamento (che vorrebbe tassare in Italia la pensione già tassata a Malta) ma anche di condannare l’Amministrazione a rimborsargli le ritenute indebitamente subite. Se c’è già un diniego di rimborso impugnato, chiederà la riunione dei procedimenti per trattare tutto insieme.
  • Usare la stessa AdE contro AdE: Giuseppe può allegare paradossalmente la Circolare AdE 20/E/2024 dove la stessa Agenzia ammette che, in presenza di Convenzione, la presunzione anagrafica cede e bisogna applicare i criteri convenzionali. Mostrando questo al funzionario magari già in sede di adesione, potrebbe far rendere conto l’ufficio dell’errore e portarlo a desistere.

Esito atteso: con alta probabilità Giuseppe vincerà la sua battaglia. Possibilmente già in adesione l’ufficio, vedendo la normativa e le prove, annullerà l’atto e procederà a istruire il rimborso dovuto. Se ciò non avvenisse, la Commissione Tributaria quasi sicuramente riconoscerà l’esclusiva potestà impositiva di Malta sulle pensioni di Giuseppe e quindi disporrà il rimborso delle imposte italiane trattenute. Giuseppe otterrà così il suo rimborso (con interessi) e la conferma che non doveva presentare dichiarazioni in Italia per quegli anni.

Insegnamenti: questo caso evidenzia che anche un pensionato, in teoria in una situazione semplice, può dover lottare un po’ contro la burocrazia fiscale per vedere riconosciuti i propri diritti. Ma la legge è dalla sua parte e, insistendo con le dovute ragioni, l’avrà vinta. L’importante è che Giuseppe ha conservato tracce di tutto: iscrizione AIRE, certificato di residenza maltese, scambi di corrispondenza con INPS, ecc., e non si è scoraggiato di fronte all’apparente ostinazione dell’ufficio. Purtroppo talvolta la macchina amministrativa fa resistenza, e sta al contribuente (o al suo difensore) far valere principi di rango superiore (trattati) rispetto a prassi errate. Con la vittoria di Giuseppe, inoltre, sarà chiaro per il futuro che non bisogna presentare dichiarazioni inutili in Italia solo per poi chiedere credito: se un reddito non è tassabile in Italia per convenzione, non dichiararlo non può essere considerato violazione.

Questi esempi coprono situazioni diverse: dal contribuente diligente che deve solo esibire prove (Caso 1), a quello che ha pianificato male l’espatrio e deve limitare i danni magari pagando qualcosa (Caso 2), al caso di applicazione ferrea di un diritto convenzionale nonostante le resistenze del Fisco (Caso 3).

Di seguito, per fissare i concetti chiave, proponiamo una sezione FAQ – Domande e Risposte su quesiti frequenti inerenti gli accertamenti su conti e redditi esteri, dal punto di vista di un contribuente italiano con legami a Malta.

Domande frequenti (FAQ)

D1: Cosa determina la residenza fiscale in Italia per una persona fisica?
R: La residenza fiscale è determinata dall’art. 2 TUIR. Una persona è residente fiscale in Italia se, per più di 183 giorni l’anno, soddisfa almeno uno di questi criteri alternativi: (a) iscrizione nelle anagrafi comunali italiane; (b) domicilio in Italia (dal 2024 inteso come centro prevalente delle relazioni personali e familiari); (c) residenza civilistica in Italia (dimora abituale); (d) (dal 2024) presenza fisica in Italia per oltre metà anno. In passato bastava l’iscrizione anagrafica per considerare residente senza eccezioni (presunzione assoluta); ora è una presunzione relativa superabile con prova contraria. In pratica contano molto i fatti: dove effettivamente la persona vive e lavora, dove ha la famiglia, ecc. Anche se si è iscritti all’AIRE (quindi formalmente non residenti in Italia), il Fisco italiano può comunque contestare la residenza se trova indizi che il centro di vita è rimasto in Italia (es. famiglia e casa in Italia, attività economica qui). Viceversa, anche se uno per errore resta iscritto in Italia, può provare di aver spostato all’estero la residenza di fatto.

D2: L’iscrizione all’AIRE garantisce di non pagare le tasse in Italia?
R: Non automaticamente. L’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) è condizione necessaria per essere considerati non residenti in Italia, ma di per sé non basta a blindare la residenza estera. Serve soprattutto ad evitare la presunzione anagrafica di residenza in Italia (che comunque dal 2024 è relativa). In pratica, se sei iscritto AIRE, parti avvantaggiato: formalmente risulti all’estero, quindi eventuali scambi di informazioni bancarie andranno al paese estero e non all’Italia. Tuttavia, il Fisco può guardare ai fatti concreti: se, ad esempio, la tua famiglia, la casa e il centro degli affari restano in Italia e tu magari trascorri più tempo in Italia che fuori, l’Agenzia potrebbe sostenere che il tuo domicilio è ancora in Italia nonostante l’iscrizione AIRE. In base alla Convenzione, in caso di doppia residenza contesa contano abitazione permanente e famiglia: se questi sono in Italia, rischi che l’Italia ti consideri comunque residente. Quindi l’AIRE aiuta molto (intanto evita multe per mancata iscrizione e ti toglie dalla presunzione automatica), ma non è uno scudo assoluto. Bisogna coerentemente trasferire anche interessi e famiglia all’estero per essere al riparo. Se ciò non è possibile (es. famiglia non trasferibile), la posizione rimane vulnerabile: formalmente dichiari a Malta, ma l’Italia potrebbe recuperare imposte considerandoti ancora residente italiano (con sanzioni). In casi del genere, conviene pianificare con un esperto: ad esempio valutare di rientrare in Italia sfruttando regimi agevolati (impatriati, flat tax pensionati, ecc.) se non puoi realmente spostare la vita fuori.

D3: Sono residente a Malta ma la mia famiglia è rimasta in Italia: dove pago le tasse?
R: È una situazione delicata. Come detto, la famiglia è un fattore chiave. Formalmente, se sei iscritto AIRE a Malta, risulti residente fiscale a Malta. Ma se tua moglie e figli rimangono in Italia e tu trascorri molto tempo in Italia, il Fisco può ritenere che il tuo centro degli interessi vitali (domicilio) sia ancora in Italia. In base alla Convenzione Italia-Malta, in caso di conflitto si guarda prima proprio a abitazione permanente e famiglia: se la casa principale e la famiglia sono in Italia, l’Italia avrà solide argomentazioni per considerarti residente (tie-breaker del centro degli interessi vitali). Ciò significa che rischi di dover pagare le tasse in Italia su tutti i redditi (poi al più chiedere credito per quelle pagate a Malta). Per evitare ciò, dovresti trasferire anche la famiglia a Malta o dimostrare che ormai la tua vita economica e personale è prevalentemente lì. Se non è possibile, sappi che la tua posizione è vulnerabile: formalmente dichiari a Malta, ma l’Italia potrebbe considerarti ancora residente italiano con relative pretese. In una parola, la famiglia incide moltissimo: avere coniuge/figli in Italia è il legame più forte agli occhi del Fisco.

D4: L’Agenzia delle Entrate può controllare i miei conti bancari esteri e altri asset a Malta?
R: Sì. Grazie allo scambio automatico di informazioni (CRS) e alle direttive UE, l’Italia riceve ogni anno dai paesi esteri (compresa Malta) i dati finanziari dei conti detenuti da soggetti che risultano residenti fiscali in Italia. Ciò include saldo del conto, interessi maturati, dividendi, polizze, ecc. Quindi, se hai un conto a Malta e risulti ufficialmente residente in Italia per quell’anno, l’Italia lo saprà e controllerà se hai dichiarato quei capitali/redditi. Se invece sei iscritto AIRE a Malta, come detto i dati bancari andranno a Malta e non all’Italia; però l’Italia può comunque ottenere info su richiesta per specifici contribuenti (cooperazione amministrativa). Inoltre, altri asset come immobili a Malta o partecipazioni possono emergere da fonti pubbliche (registri immobiliari, registro imprese) o tramite scambio spontaneo di informazioni. Insomma, i tempi del segreto bancario sono finiti: Malta in particolare non è un paese opaco finanziariamente. Aggiungiamo che la Guardia di Finanza, se indaga su di te, può ottenere autorizzazione per accedere ai tuoi conti esteri tramite rogatorie o cooperazione internazionale. Dunque i conti esteri sono controllabili. L’Agenzia può usare quei dati come base di accertamento: se vede movimenti esteri sospetti (es. bonifici da/verso l’Italia), li userà come indizi di redditi non dichiarati. Ricorda anche che se sei considerato residente italiano, devi dichiarare ogni anno in RW tutti i conti, investimenti e immobili esteri, altrimenti ci sono sanzioni del 3%-15% degli importi non monitorati.

D5: Quali sanzioni rischio se l’Italia mi considera residente e non ho dichiarato i redditi esteri?
R: Le sanzioni si dividono in amministrative e (eventualmente) penali. Sul piano amministrativo:

  • Se non hai presentato affatto la dichiarazione dei redditi pur dovendolo fare (perché ti considerano residente in Italia), la violazione è l’omessa dichiarazione: sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250.
  • Se hai presentato la dichiarazione ma hai omesso dei redditi esteri (dichiarazione infedele), la sanzione va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta.

In entrambi i casi, se regolarizzi spontaneamente o aderisci, hai riduzioni (adesione riduce a 1/3, acquiescenza entro 60 gg pure 1/3; ravvedimento varia in base al ritardo).

Inoltre ci sono le sanzioni per omesso quadro RW: come detto, 3% di ogni importo non dichiarato per paesi collaborativi come Malta, che sale al 6% se fosse black list (non lo è). Queste sanzioni RW si applicano per ogni anno. Ad esempio, conto da €100k non dichiarato in RW per 2 anni = sanzione base €3k * 2 = €6k (riducibili con adesione/ravvedimento).

Sul piano penale, se l’imposta evasa supera certe soglie si incorre in reati:

  • Omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs.74/2000): scatta se imposta evasa > €50.000 per periodo d’imposta. Pena: reclusione 2–5 anni.
  • Dichiarazione infedele (art.4): scatta se imposta evasa > €100.000 e redditi non dichiarati > 10% del totale o comunque > €2 milioni. Pena: reclusione 2–4 anni e 6 mesi.

Ad esempio, se per 3 anni non hai dichiarato nulla e ogni anno dovevi €60k di tasse, hai 3 reati di omessa dichiarazione (uno per anno). Va detto che pagare integralmente il dovuto (imposte, sanzioni, interessi) prima del dibattimento penale estingue questi reati (norma introdotta nel 2019). Quindi c’è possibilità di evitare la condanna penale pagando tempestivamente il debito tributario. In ogni caso è meglio non arrivarci: conviene regolarizzare prima, anche perché €50k di imposta si raggiungono abbastanza velocemente con redditi alti.

Oltre alle sanzioni pecuniarie, considera anche che se vieni iscritto a ruolo per importi > €50k e rimani inadempiente, potresti – in teoria – subire il blocco del passaporto o il divieto di espatrio ai sensi di norme anti-evasione (sono misure estreme raramente applicate, ma sulla carta possibili). Inoltre potresti essere iscritto nel registro dei debitori e subire pignoramenti internazionali via cooperazione, come detto.

D6: In caso di accertamento, è consigliabile pagare subito o fare ricorso?
R: Dipende dalla fondatezza dell’accertamento e dalla tua situazione finanziaria. Se ritieni l’accertamento totalmente infondato e hai buone prove, fare ricorso è la via da seguire – magari dopo aver tentato un confronto tramite accertamento con adesione. In tal caso, non pagare subito l’intero importo: rischieresti di rinunciare alle riduzioni sanzioni riservate a chi paga entro 60 gg (acquiescenza). Puoi, tuttavia, essere tenuto a pagare circa 1/3 provvisoriamente dopo la notifica, perché è il meccanismo per sospendere la riscossione durante il ricorso (se non paghi 1/3, l’Agente della Riscossione può iniziare comunque a riscuotere quella parte). Se vinci in giudizio, ti restituiranno quanto pagato con interessi. Se perdi, pagherai il resto più interessi.

Se invece l’accertamento è parzialmente corretto e le tue prove non bastano per annullarlo del tutto, valutare una soluzione transattiva conviene: l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale permettono sanzioni ridotte e una chiusura più rapida. Pagando entro 60 gg con acquiescenza hai sanzione ridotta a 1/3, però in quel caso rinunci a impugnare – quindi fallo solo se sei certo di avere torto o se l’importo residuo è trascurabile per te.

Attenzione alla liquidità: se l’importo è grosso e pagare 1/3 subito ti crea difficoltà, puoi chiedere al giudice tributario la sospensione dell’esecutività dell’atto entro 60 gg dal ricorso, dimostrando il danno grave che subiresti pagando subito. Se concessa, non dovrai versare finché almeno il primo grado non decide. La sospensione però non è automatica: va motivata bene e concessa dal giudice.

In generale, se hai anche solo un margine di dubbio sull’atto, spesso conviene ricorrere (o quantomeno non accettare supinamente), perché in giudizio le Commissioni a volte sono più equilibrate e possono disapplicare interpretazioni troppo rigide del Fisco (es. in tema di convenzioni, onere della prova, vizi formali). Considera anche i costi: un contenzioso ha spese legali e tempi lunghi. Se la cifra in ballo è modesta, può convenire pagare e chiudere per pace mentale. Se invece è ingente, di solito conviene lottare almeno per ottenere una riduzione o annullamento parziale.

D7: L’Italia e Malta come gestiscono le doppie imposizioni? Rischio di pagare due volte le tasse?
R: In teoria, grazie alla Convenzione contro le doppie imposizioni, il rischio di doppia tassazione giuridica (lo stesso reddito tassato due volte integralmente) dovrebbe essere scongiurato. In pratica:

  • Se sei effettivamente residente a Malta (tie-breaker convenzionali lo confermano), l’Italia non può tassare i tuoi redditi esteri (es. stipendio maltese, pensione privata) e deve rimborsare eventuali imposte trattenute indebitamente. L’Italia potrà tassare solo eventuali redditi di fonte italiana secondo le regole del trattato (ad es., affitto di una casa in Italia – tassabile in Italia ma con aliquote convenzionali).
  • Se invece sei considerato residente in Italia, allora l’Italia tassa il tuo reddito mondiale, compresi quelli da Malta; però dovrà riconoscerti un credito per le imposte pagate in Malta su quei redditi, in base all’art. 24 della Convenzione (metodo credito d’imposta) e all’art. 165 TUIR. Come discusso, in passato l’Italia negava il credito se il reddito estero non era stato dichiarato in Italia; ora la Cassazione ha chiarito che il credito spetta comunque se il reddito è stato tassato all’estero, perché i trattati prevalgono. Quindi, se proprio ti tocca pagare in Italia, almeno scomparerai quanto già versato a Malta (fino a concorrenza dell’imposta italiana su quel reddito). Potresti dover pagare solo l’eventuale differenza se l’aliquota italiana è più alta di quella maltese.

Nella pratica può capitare una sorta di doppia imposizione temporanea: esempio, tu paghi a Malta durante l’anno e poi l’Italia ti chiede di pagare qui (magari tramite accertamento) e poi devi chiedere rimborso a Malta o credito all’Italia. Ma di norma, seguendo le procedure, uno dei due Stati dovrà restituire o abbuonare. Se ciò non avviene spontaneamente, puoi attivare la Mutual Agreement Procedure (MAP) prevista in Convenzione: le autorità dei due Stati si confronteranno per eliminare la doppia tassazione. Esiste anche a livello UE una procedura di arbitrato per doppie imposizioni transfrontaliere (dir. UE 2017/1852).

In sintesi, non dovresti pagare due volte. Tuttavia, la doppia imposizione può concretizzarsi nel breve termine se l’Italia ti fa un accertamento e l’altro Stato non ne è ancora al corrente: potresti dover sborsare in Italia e poi chiedere rimborso a Malta (o viceversa). Questo può richiedere tempo e contenziosi. Per evitarlo, è meglio:

  • regolare prima la questione della residenza (avere certezza di essere tassato in un solo Stato),
  • usare strumenti come interpello o accordi preventivi se disponibili,
  • e sempre dichiarare i redditi ovunque per poi reclamare i crediti, piuttosto che nasconderli (perché se li nascondi e vieni scoperto, nel frattempo potresti averli pagati da entrambe le parti).

D8: Ho ricevuto un accertamento mentre vivo a Malta: come mi viene notificato l’atto e cosa succede se non lo ritiro?
R: La notifica di atti tributari a residenti all’estero segue regole specifiche. Se hai comunicato all’Agenzia delle Entrate il tuo indirizzo estero (es. tramite consolato o apposito modulo) o hai eletto un domicilio in Italia presso qualcuno, l’avviso dovrebbe esserti notificato lì. Altrimenti, la legge prevede che i cittadini italiani AIRE abbiano domicilio fiscale nel Comune di ultima residenza in Italia. Quindi spesso l’Agenzia notifica presso il Municipio di quel Comune (affiggendo l’atto nell’albo pretorio) oppure all’ultimo indirizzo noto in Italia. Potrebbero anche inviartelo per raccomandata all’estero: in teoria tra Italia e Malta c’è convenzione postale, quindi una raccomandata con ricevuta di ritorno spedita in Malta sarebbe valida. Se tu non ritiri la raccomandata estera o non ti presenti dal console per la notifica, la procedura prevede il deposito presso il Comune italiano di ultima residenza. In poche parole, è facile non accorgersi di una notifica se non hai un recapito curato: possono pubblicarla in Comune in Italia e tu, essendo all’estero, non ne sei al corrente.

Per questo è consigliabile, appena iscritti AIRE, di:

  • comunicare all’Agenzia Entrate un indirizzo estero valido e magari una PEC (se ne hai una; per le persone fisiche non è obbligatoria, ma se gliela fornisci potrebbero inviarti atti via PEC),
  • eventualmente nominare un domiciliatario in Italia (un parente, un professionista) che riceva atti per te,
  • e/o controllare periodicamente presso il tuo vecchio Comune se compaiono atti a tuo nome.

Se un atto viene notificato con affissione o deposito e tu non ne sai nulla, purtroppo la notifica si considera comunque valida trascorso un certo periodo, e i termini per ricorrere decorrono lo stesso. Rischi di scoprirlo molto tardi, magari quando ti arriva una cartella di pagamento. A quel punto le possibilità di difesa si riducono (puoi fare un ricorso tardivo eccependo vizio di notifica, ma se la procedura formale è stata seguita sarà difficile far valere la mancata conoscenza).

In breve: per evitare questo rischio, nomina un domiciliatario di fiducia in Italia oppure mantieni monitorato il tuo ultimo domicilio. Puoi anche chiedere al Comune di notificarti via PEC (non è ufficiale ma alcuni lo fanno, su richiesta). Se proprio scopri tardi che un atto è stato notificato a tua insaputa, appena lo vieni a sapere contatta subito un legale per valutare un ricorso per rimessione in termini o basato su errori di notifica. In ogni caso, non ignorare mai la corrispondenza dall’Italia anche se sei all’estero: aprila, informati e reagisci prontamente.

D9: Cos’è l’accertamento con adesione e mi conviene usarlo nel mio caso?
R: L’accertamento con adesione è una procedura di confronto e possibile accordo tra contribuente e Fisco (disciplinata dal D.Lgs. 218/1997). Quando ricevi un avviso di accertamento, prima di fare ricorso puoi chiedere un incontro all’ufficio emittente per discutere i punti contestati e cercare un’intesa sull’importo da pagare.

I vantaggi principali dell’adesione:

  • Le sanzioni amministrative vengono ridotte a 1/3 di quelle minime di legge. Ad esempio, omessa dichiarazione che prevede minimo 120% → in adesione paghi 40%. Questo spesso dimezza (o più) le sanzioni dell’atto.
  • Ottenere una sospensione dei termini di ricorso: dall’istanza di adesione i 60 giorni per impugnare si congelano per massimo 90 giorni, dandoti più tempo per negoziare e valutare.
  • È un confronto meno formale: puoi portare documenti integrativi, spiegare a voce situazioni complesse al funzionario e magari convincerlo a correggere l’accertamento (es. togliere voci infondate, riconoscere deduzioni).
  • Se si raggiunge l’accordo, firmi e paghi (anche a rate) e la questione è chiusa: l’ufficio non ti farà ulteriori accertamenti su quegli anni e tu rinunci al ricorso.

Gli svantaggi:

  • Firmando l’adesione, rinunci a impugnare l’atto: l’accordo è definitivo. Quindi, se emergessero nuovi elementi dopo, non potrai più far nulla (salvo rarissimi casi di revocazione).
  • Potresti dover concedere qualcosa anche se hai ragione, per transare. Ad esempio, magari sei convinto di non dover nulla, ma in adesione accetti di pagare una parte per chiudere. Devi valutare se vale la pena rispetto a lottare in giudizio.
  • L’adesione richiede che l’ufficio sia disponibile a trattare: talvolta trovi funzionari irremovibili, e allora rischi di perdere tempo.

In generale, conviene tentare l’adesione se: (a) l’accertamento ha margini di trattativa (es. questioni di valore, imponibili da rideterminare, stime discutibili); (b) vuoi ridurre subito sanzioni e chiudere velocemente; (c) il tuo caso non è bianco o nero, ma grigio, per cui un compromesso ti sembra accettabile. Nel contesto “residenza estera”: se sai di avere qualche punto debole (tipo famiglia in Italia, come l’esempio di Luigi), in adesione potresti ottenere uno sconto sulle annualità o sulle sanzioni, evitando il rischio di cause lunghe e magari anche penali. Se invece sei certo di aver ragione (come Maria o Giuseppe negli esempi), puoi comunque usarla per spiegare la situazione e magari far annullare l’atto in autotutela durante il dialogo; ma se l’ufficio non recede, meglio proseguire col ricorso piuttosto che accettare di pagare ciò che non devi.

Ricorda: presentare l’istanza di adesione non ti vincola a firmare poi l’accordo. Se la proposta non ti soddisfa, puoi sempre rifiutare e fare ricorso (i 60 gg ripartono da dove si erano fermati dopo la chiusura della procedura). Quindi tentar non nuoce: puoi aprire il canale negoziale e decidere dopo.

D10: Dopo quanti anni l’Agenzia non può più emettere un accertamento? (Termini di decadenza)
R: I termini sono fissati per legge. Attualmente (dopo le modifiche del 2015) per le imposte sui redditi:

  • Se hai presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno X, il termine ultimo per un accertamento su quell’anno è il 31 dicembre del quinto anno successivo. Esempio: dichiarazione 2020 (redditi 2019) presentata a giugno 2020 → accertabile fino al 31/12/2025.
  • Se non hai presentato la dichiarazione per l’anno X (omissione), il termine si allunga al 31 dicembre del settimo anno successivo. Esempio: redditi 2019, dichiarazione omessa → accertabile fino al 31/12/2026.

Non esiste più la “sospensione biennale per rimborso estero” che c’era un tempo; ora sono termini fissi, prorogabili solo da eventi particolari. Ad esempio, se presenti un’istanza di adesione, i termini si considerano rispettati se l’avviso originario era entro i termini (cioè l’adesione può concludersi anche dopo il quinto anno, basta che l’atto iniziale sia stato notificato in tempo). Oppure, se c’è un reato tributario e la notitia criminis è inviata entro quei termini, scatta il cosiddetto raddoppio dei termini: diventano 8 anni (dichiarazione omessa) o 10 anni (dichiarazione presentata), ma solo se la denuncia penale non è temeraria.

In pratica, a luglio 2025 sono ancora accertabili gli anni dal 2019 in poi (il 2018 se dichiarazione omessa, scade a fine 2025; il 2017 è decaduto del tutto). Attenzione: se eri iscritto AIRE e non hai mai dichiarato nulla pensando di essere all’estero, ma l’Agenzia ritiene che eri residente, considera quell’assenza come omessa dichiarazione e dunque 7 anni. Esempio: eri all’estero 2016-2022 e loro dicono che eri residente → possono farti accertamento 2016 (scadeva fine 2023, se non notificato è andato), 2017 (fine 2024), 2018 (fine 2025), ecc.. Quindi non pensare di essere salvo solo perché sono passati 4-5 anni: controlla sempre i termini in base alla tua situazione. Se temi di essere a rischio per anni ancora accertabili, valuta di regolarizzare subito con ravvedimento prima che parta un accertamento, finché sei in tempo.

D11: È vero che dal 2024 l’Italia farà più controlli sugli iscritti AIRE?
R: In parte . La Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto misure per incentivare i controlli sui cittadini italiani all’estero non iscritti AIRE e su chi viola l’obbligo anagrafico. Ha aumentato le sanzioni per la mancata iscrizione AIRE (€300–€2.000) e ha previsto che le pubbliche amministrazioni (anche estere) segnalino ai Comuni elementi che facciano pensare che un cittadino è residente di fatto all’estero (così il Comune può iscriverlo d’ufficio in AIRE). Inoltre ha stanziato fondi per potenziare le attività di accertamento su queste posizioni. Ciò significa che probabilmente vedremo un’intensificazione dei controlli incrociati: ad esempio, se un italiano risulta titolare di utenze (bollette) attive in Italia ma dichiara di risiedere all’estero, scatteranno verifiche; oppure – come già avviene – utilizzeranno i dati CRS non solo per accertare redditi non dichiarati, ma per identificare chi potrebbe aver simulato l’espatrio (es. soggetti AIRE con conti e spese significative in Italia). Nel 2024 e 2025, l’Agenzia Entrate ha emanato direttive interne (come la citata circolare 20/E/2024) per uniformare la lotta all’esterovestizione di persone e società, segno che il tema è caldo.

Quindi sì, c’è la volontà di “pizzicare” gli expat furbetti. D’altro canto, la normativa dal 2024 è diventata un po’ più favorevole al contribuente (presunzioni relative, riconoscimento tie-breaker) quindi i controlli dovranno essere più accurati e basati sulla sostanza, non solo su formalismi. Possiamo aspettarci più questionari e analisi di rischio: magari ti chiederanno via lettera di dimostrare che sei residente all’estero prima di procedere con un accertamento. Insomma, se hai fatto le cose per bene (trasferimento reale), i controlli non dovrebbero spaventarti: rispondi con trasparenza e documenti. Se invece sai di avere qualche scheletro nell’armadio (es. sei AIRE ma stai quasi sempre in Italia), sappi che la probabilità di controlli è crescente e ti converrebbe regolarizzare la situazione prima di essere colto in fallo.

D12: Mi conviene rivolgermi a un avvocato tributarista per farmi assistere?
R: Assolutamente sì, se sei oggetto di un accertamento di questo tipo. La materia è complessa (incrocio di norme interne, internazionali, prove fattuali) e le implicazioni economiche possono essere pesanti, inclusi aspetti penali. Un professionista esperto può:

  • Analizzare in modo obiettivo la tua posizione e la robustezza delle prove (evitando che tu faccia passi falsi o trascuri elementi utili).
  • Curare la redazione di memorie, istanze, ricorsi in modo tecnicamente corretto, citando la giurisprudenza rilevante (Cassazione, prassi, commentario OCSE) che magari tu non conosci ma che può convincere l’ufficio o il giudice.
  • Rappresentarti nei colloqui di adesione o in giudizio, controbattendo efficacemente alle argomentazioni dell’Agenzia.
  • Gestire le scadenze processuali evitando decadenze ed errori formali (purtroppo molti fai-da-te incappano in vizi procedurali che pregiudicano il ricorso).
  • Negoziare eventuali soluzioni transattive: il Fisco stesso in sede di conciliazione è più propenso a trattare se di fronte ha un legale esperto, perché sa che in giudizio quel legale potrebbe metterlo in difficoltà.
  • Occuparsi del coordinamento con consulenti esteri o per materie collaterali (es. se serve un fiscalista maltese per un documento, o un penalista in caso di risvolti penali).

Considera che le spese di difesa, se vinci, possono esserti in buona parte rimborsate dall’Agenzia (il giudice di solito liquida un rimborso spese a carico di chi perde). E anche in adesione, spesso i benefici economici che un bravo tributarista ottiene (riduzione imponibile o sanzioni) superano il suo onorario. Dunque sì, è opportuno scegliere un professionista con esperienza specifica in fiscalità internazionale delle persone e contenzioso tributario, per affrontare al meglio la situazione.


Fonti

Agenzia delle Entrate – Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024, “Chiarimenti sulla residenza fiscale delle persone fisiche e giuridiche” (estratti).

D.P.R. 917/1986 (TUIR), art. 2 comma 2 e 2-bis – Definizione di residenza fiscale persone fisiche (testo pre e post D.Lgs. 209/2023).

Convenzione Italia–Malta contro le doppie imposizioni (ratifica L. 329/1990), art. 4 – Criteri per risolvere i conflitti di doppia residenza (tie-breaker); art. 18 – Tassazione delle pensioni; art. 23-24 – Crediti per imposte estere.

Corte di Cassazione – sent. n. 16634/2018 e n. 1355/2022 (Sez. Trib.) – Presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia in caso di mancata iscrizione AIRE.

Corte di Cassazione – sent. n. 29463/2024 (Sez. Trib., 14/11/2024) – Prevalenza delle tie-breaker rules convenzionali sulla presunzione anagrafica; caso di pensionato italiano residente UK con diritto a rimborso ritenute italiane.

Corte di Cassazione – sent. n. 24205/2024 (Sez. Trib., 21/08/2024) – Disapplicazione dell’art. 165(8) TUIR: credito d’imposta estero spettante anche se reddito non indicato in dichiarazione (prevalenza convenzione).

Corte di Cassazione – sent. n. 28077/2024 (Sez. V, 30/10/2024) – Omessa compilazione Quadro RW non violazione formale ma sostanziale; confermata proporzionalità sanzioni 5%-25% e distinzione dal caso spagnolo (Modelo 720).

Corte di Cassazione – sent. n. 9096/2025 (Sez. Trib., 07/04/2025) – Trust estero sham: criterio della titolarità effettiva dei redditi; disponente/beneficiario coincide → trust interposto, redditi imputati al disponente (art. 37 co.3 DPR 600/73).

Corte di Cassazione – sent. n. 8269/2025 (Sez. III Pen., 22/03/2025) – Pagamenti in criptovaluta e fiscalità: confermato che pagamenti in bitcoin per cessione di NFT generano reddito imponibile convertito in euro (principio tassabilità cripto).

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Malta, pur essendo parte dell’Unione Europea, è considerata un Paese con regime fiscale agevolato. Per il fisco italiano, i capitali non dichiarati e detenuti a Malta sono presunti come redditi imponibili sottratti a tassazione, salvo prova contraria. L’omessa compilazione del quadro RW e la mancata dichiarazione di redditi esteri possono comportare accertamenti retroattivi, sanzioni molto pesanti e, in alcuni casi, contestazioni penali. Tuttavia, non tutte le pretese dell’Agenzia delle Entrate sono corrette: è possibile dimostrare la provenienza lecita delle somme, l’avvenuta tassazione a Malta o l’assenza dell’obbligo dichiarativo.


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Conclusione
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