Avviso Di Accertamento Per Conti O Redditi A Cipro: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché il Fisco ti contesta conti correnti o redditi detenuti a Cipro?
L’Agenzia delle Entrate, grazie allo scambio automatico di informazioni fiscali con gli altri Stati UE, può ottenere dati su conti bancari, investimenti e immobili intestati a contribuenti italiani in Paesi come Cipro. Se tali attività non vengono dichiarate, l’accertamento fiscale è quasi inevitabile, con richiesta di imposte, sanzioni e interessi.

Quando scattano le contestazioni
– Se non hai dichiarato conti correnti, depositi o investimenti detenuti a Cipro
– Se non hai compilato il quadro RW per il monitoraggio fiscale
– Se non hai dichiarato redditi da affitti, dividendi, plusvalenze o altri proventi generati a Cipro
– Se i trasferimenti bancari da e verso Cipro risultano incoerenti rispetto ai redditi dichiarati in Italia

Cosa rischia il contribuente
– Recupero delle imposte sui redditi non dichiarati
– Sanzioni per omesso monitoraggio dal 3% al 15% degli importi, con aggravio in caso di violazioni gravi
– Interessi di mora che fanno crescere l’esposizione debitoria
– Contestazione del reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione se vengono superate le soglie penali
– Sequestri e altre misure cautelari sul patrimonio in Italia

Come difendersi da un avviso di accertamento legato a Cipro
– Verificare la correttezza dei dati ricevuti dal Fisco italiano attraverso lo scambio informativo internazionale
– Dimostrare che i capitali o i redditi contestati sono già stati tassati o non sono imponibili in Italia
– Fornire estratti conto, contratti e documenti bancari che attestino la provenienza legittima delle somme
– Contestare eventuali errori di calcolo o presunzioni prive di reali riscontri
– Dimostrare la buona fede, soprattutto in caso di omissioni dovute a dubbi normativi
– Regolarizzare la posizione con dichiarazioni integrative o ravvedimento operoso, se possibile
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini di legge

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione delle sanzioni tramite la dimostrazione della buona fede o attraverso strumenti deflattivi
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive collegate
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di chiudere il contenzioso pagando solo quanto effettivamente dovuto

Attenzione: Cipro, pur essendo parte dell’Unione Europea, è spesso considerata dal Fisco italiano un Paese “a rischio” per operazioni di pianificazione fiscale aggressiva. Le contestazioni possono nascere anche da semplici presunzioni, ma possono essere ribaltate con prove concrete.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e contenzioso tributario – ti spiega come affrontare un avviso di accertamento per conti o redditi a Cipro e quali strumenti legali usare per difenderti.

Hai ricevuto un avviso di accertamento per redditi o conti a Cipro?
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Introduzione

In Italia vige il principio della worldwide taxation: i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare tutti i propri redditi ovunque prodotti nel mondo. Allo stesso modo, devono indicare in dichiarazione anche attività finanziarie e conti detenuti all’estero, per il cosiddetto monitoraggio fiscale. Negli ultimi anni molti contribuenti hanno cercato di trasferire residenza o investire all’estero – inclusi Paesi dell’Unione Europea come Cipro, noto per la fiscalità moderata – per ridurre il carico tributario. L’Amministrazione finanziaria italiana, tuttavia, monitora con attenzione queste situazioni e dispone di strumenti normativi e poteri accertativi mirati a contrastare trasferimenti fittizi e occultamento di redditi esteri. Grazie a scambi di informazione internazionali e controlli incrociati, il Fisco individua conti bancari esteri non dichiarati e redditi non tassati in Italia, emettendo al bisogno l’avviso di accertamento per recuperare le imposte evase.

Cosa succede se un contribuente italiano ha un conto in Cipro non dichiarato, o afferma di risiedere a Cipro per pagare meno tasse? In questa guida – dal punto di vista del contribuente (debitore) – esamineremo in dettaglio come difendersi da un avviso di accertamento che contesti redditi o attività finanziarie a Cipro, aggiornando il quadro normativo a luglio 2025. Illustreremo anzitutto la normativa italiana rilevante (criteri di residenza fiscale per persone fisiche e società, obblighi dichiarativi sul patrimonio estero, ecc.), incluse le novità introdotte dal 2024 in materia di residenza. Approfondiremo poi le modalità con cui il Fisco individua redditi esteri non dichiarati (dai questionari dell’Agenzia delle Entrate alle indagini finanziarie e allo scambio automatico di informazioni internazionale) e descriveremo le possibili strategie difensive sia in fase amministrativa (prima e immediatamente dopo la notifica dell’accertamento) sia in fase contenziosa (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria). Ci focalizzeremo su varie tipologie di contribuenti ed entità coinvolte, dalle persone fisiche residenti in Italia con conti esteri, alle società o trust esteri riferibili a soggetti italiani, esaminando anche i casi in cui i redditi esteri siano stati dichiarati ma contestati come elusivi. Verranno citate sentenze recentissime della Corte di Cassazione e i chiarimenti ufficiali dell’Agenzia delle Entrate per evidenziare gli orientamenti attuali su questi temi, con un linguaggio tecnicamente accurato ma di taglio divulgativo. Troverete inoltre tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte (FAQ) e alcune simulazioni pratiche riguardanti contribuenti italiani con conti o redditi a Cipro, per comprendere in concreto come prevenire e affrontare un accertamento fiscale internazionale.

In sintesi: chi detiene patrimoni o produce redditi in paesi a fiscalità più conveniente (come Cipro) deve essere consapevole che il Fisco italiano può accendere un faro su tali attività. Farsi trovare preparati – sia dal punto di vista documentale che legale – è fondamentale per difendersi efficacemente e tutelare i propri diritti di contribuente.

Quadro normativo: residenza fiscale e tassazione dei redditi esteri

Per capire come impostare la difesa, occorre anzitutto delineare il quadro normativo italiano in materia di residenza fiscale e tassazione dei redditi esteri, con particolare riferimento ai rapporti con Cipro. Di seguito analizziamo i criteri per determinare la residenza fiscale delle persone e delle società, il regime fiscale dei trust esteri, gli obblighi dichiarativi sul monitoraggio dei capitali all’estero e gli accordi internazionali rilevanti (come le Convenzioni contro le doppie imposizioni e lo scambio di informazioni).

Residenza fiscale delle persone fisiche: criteri e novità dal 2024

La residenza fiscale di una persona fisica in Italia è definita dall’art. 2 del TUIR (D.P.R. 917/1986). In base ai criteri ordinari, è considerato fiscalmente residente in Italia chi, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni l’anno), soddisfa anche uno solo dei seguenti requisiti alternativi:

  • Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente (AIRE/APR) in Italia per più di 183 giorni nell’anno;
  • Domicilio in Italia ai sensi del codice civile (art. 43 c.c.), inteso come sede principale degli affari e interessi, anche morali e familiari;
  • Residenza (civilistica) in Italia, ossia dimora abituale nel territorio italiano.

In pratica, basta uno di questi elementi per essere considerati residenti ai fini fiscali. Fino al 2023, la mancata iscrizione all’AIRE (ovvero la permanenza nelle anagrafi italiane) comportava quasi automaticamente la residenza fiscale in Italia, senza ammettere prove contrarie: la giurisprudenza riteneva l’iscrizione all’AIRE un passo indispensabile e la sua omissione rendeva il soggetto “ipso iure” residente in Italia. D’altro canto, l’iscrizione all’AIRE da sola non era risolutiva: la Cassazione ha più volte ribadito che essere iscritti all’AIRE non basta se la presenza e gli interessi restano concentrati in Italia.

Novità 2024: a seguito della riforma attuata con il D.Lgs. 29 novembre 2023 n. 209 (delega fiscale 2022), i criteri di collegamento per la residenza delle persone fisiche sono stati parzialmente modificati dal 1° gennaio 2024. In particolare, è stato introdotto un criterio basato sulla presenza fisica: se un soggetto risulta presente in Italia per più di 183 giorni nel corso dell’anno, ciò costituisce ora un indice autonomo di residenza, anche in assenza degli altri criteri. Parallelamente, l’iscrizione nelle anagrafi comunali non è più un criterio assoluto ma una presunzione relativa: per gli anni dal 2024 in poi, essere iscritti all’APR in Italia fa presumere la residenza, ma il contribuente può provare il contrario (pur trattandosi, va detto, di una prova molto difficile in caso di omessa iscrizione all’AIRE). In sostanza, dal 2024 l’elemento della fisica permanenza prevale maggiormente nella valutazione: ad esempio, un cittadino italiano formalmente trasferito a Cipro ma che trascorra oltre metà dell’anno in Italia potrà essere considerato residente fiscale italiano nonostante l’iscrizione AIRE, in virtù della nuova norma. Viceversa, chi dimentica di cancellarsi dall’anagrafe italiana e risulta residente AIRE soltanto tardivamente, dal 2024 ha in teoria uno spiraglio in più per dimostrare di aver vissuto stabilmente all’estero – anche se rimane un onere probatorio gravoso.

Cipro e residenza fiscale: Cipro, pur avendo un regime fiscale agevolato per i nuovi residenti (es. status di non-dom), è un Paese membro dell’UE e non rientra nella categoria degli “Stati a fiscalità privilegiata” secondo la normativa italiana. In particolare, il famoso art. 2, co. 2-bis TUIR – che prevede la presunzione legale di residenza in Italia per i cittadini che si trasferiscono in Stati black list – non si applica a Cipro. La norma del 2000 elenca infatti (via decreto ministeriale) i Paesi considerati “paradisi fiscali” o black list, tra i quali figurano vari micro-Stati e offshore, ma nessun Paese UE. Dunque un trasferimento in un Paese UE come Cipro “non attiva” la presunzione di residenza italiana ex art. 2 co.2-bis TUIR. Ciò non significa però che il Fisco non possa sindacare la situazione: semplicemente, in assenza di presunzione legale l’onere della prova resta a carico dell’Amministrazione finanziaria, che dovrà dimostrare con elementi concreti che il contribuente ha mantenuto il centro degli interessi in Italia. In pratica, per un italiano trasferitosi a Cipro sarà un po’ più agevole difendersi rispetto a chi si trasferisce in un vero tax haven: non vi è inversione dell’onere probatorio, ma occorre comunque essere pronti a mostrare che lo spostamento è sostanziale e genuino. Se infatti un espatrio in Cipro fosse solo formale (es. semplice residenza cartolare, mentre la vita continua in Italia), l’accertamento può arrivare lo stesso, basandosi su prove di fatto raccolte dal Fisco (utenze, famiglia, attività rimaste in Italia, ecc.).

Riassumendo, per le persone fisiche residenti in Italia vige l’obbligo di dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti (art. 3 TUIR). Un cittadino italiano residente a Cipro che riesca a provare di aver trasferito lì il proprio domicilio, la famiglia e gli interessi vitali non sarà tassato in Italia sui redditi esteri grazie all’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni (si veda oltre), ma dovrà comunque prestare attenzione agli obblighi formali (iscrizione AIRE, interruzione dei legami economici con l’Italia) per evitare contestazioni. Se invece l’Agenzia delle Entrate ritiene che il soggetto sia ancora residente in Italia di fatto, potrà recuperare le imposte su tutti i redditi esteri non dichiarati in Italia, con sanzioni elevate e interessi, e nei casi più gravi potrà scattare anche la denuncia penale per omessa o infedele dichiarazione. Le conseguenze economiche di una contestazione di residenza fiscale sono dunque pesantissime: basti pensare che i redditi esteri verrebbero tassati con le aliquote IRPEF italiane (fino al 43%), le sanzioni amministrative vanno dal 90% al 180% dell’imposta evasa (per infedele dichiarazione) o dal 120% al 240% (per omessa dichiarazione), e se il valore dell’imposta evasa supera le soglie penalmente rilevanti (50.000 € per omessa, 100.000 € per infedele) si configura un reato tributario punibile con la reclusione. Inoltre, l’eventuale omessa compilazione del quadro RW per le attività detenute a Cipro comporta sanzioni aggiuntive (vedi più avanti, generalmente 3-15% del valore non dichiarato) e alimenta il sospetto di evasione.

In conclusione, per le persone fisiche è cruciale comprendere che la residenza fiscale “segue la sostanza”. Un trasferimento a Cipro può legittimamente togliere il contribuente dalla tassazione italiana solo se effettivo e documentabile: diversamente, l’Agenzia delle Entrate ha facoltà di accertare la “esterovestizione” della residenza e di tassare retroattivamente i redditi esteri. Nei prossimi capitoli vedremo come il contribuente possa difendersi in tali frangenti, ma prima delineiamo anche le regole per società e altri enti.

Società estere controllate e esterovestizione: residenza fiscale delle società

Il concetto di esterovestizione in ambito societario indica la fittizia localizzazione all’estero di società che in realtà sono gestite e operano dall’Italia, al solo scopo di beneficiare di fiscalità estera più favorevole. La normativa italiana fissa i criteri di residenza fiscale delle società all’art. 73 del TUIR. In base al comma 3 dell’art. 73, una società si considera residente in Italia se ha in Italia: (a) la sede legale, (b) la sede dell’amministrazione, o (c) l’oggetto principale dell’attività. È sufficiente che uno solo di questi criteri sia localizzato in Italia affinché la società sia fiscalmente italiana. Pertanto, ad esempio, una società costituita formalmente a Cipro ma che avesse in Italia la sede dell’amministrazione (luogo dove vengono prese le decisioni e diretta l’attività) sarebbe considerata residente in Italia ai fini tributari, indipendentemente dalle motivazioni elusive eventualmente sottese. La Cassazione ha infatti chiarito che l’accertamento dell’esterovestizione societaria prescinde dall’accertamento di un intento elusivo: è sufficiente applicare i criteri di collegamento di cui all’art. 73 TUIR per stabilire la reale residenza fiscale di una società, senza necessità di provare un abus de droit ulteriore.

Nel corso degli anni, tuttavia, la giurisprudenza ha affinato l’interpretazione di tali criteri per distinguere i casi legittimi di delocalizzazione da quelli fittizi. In particolare, la sede dell’amministrazione (criterio spesso decisivo) va individuata nel luogo in cui si svolge l’attività direttiva prevalente della società. La Cassazione già dagli anni ’90 definisce la sede effettiva come “il luogo in cui la società svolge la sua attività direttiva ed amministrativa, ossia dove vengono adottate le deliberazioni essenziali alla vita sociale”. Dunque non basta che vi siano generiche attività all’estero: conta dove vengono in concreto prese le decisioni gestionali di alto livello.

Nel caso di società controllate da soggetti italiani in Paesi come Cipro, l’Amministrazione finanziaria potrebbe contestarne la residenza italiana se emergono indizi che la gestione effettiva avviene dall’Italia (ad esempio, se gli amministratori o decision-maker operano dall’Italia, o se la società estera non ha una reale struttura operativa in loco). Occorre però distinguere tra il legittimo esercizio di direzione e coordinamento da parte di una capogruppo italiana e la situazione patologica in cui la controllante italiana “muove i fili” della società estera privandola di qualsiasi autonomia. La Cassazione n. 20002/2024 ha chiarito proprio questo punto in relazione a una società controllata in un Paese estero: “la sede dell’amministrazione non può coincidere sic et simpliciter con il luogo in cui viene svolta la direzione e il coordinamento da parte della controllante”, giacché l’esercizio fisiologico del controllo societario non elimina l’indipendenza gestionale della controllata. In altre parole, non basta la normale influenza della casa madre italiana per dichiarare esterovestita la società estera: l’esterovestizione si configura solo se la controllante italiana agisce come un amministratore di fatto della controllata, privandola di reale sostanza economica e imprenditoriale. Questo principio, affermato da Cass. 20002/2024 (in linea con altre pronunce, es. Cass. 1544/2023), tutela le operazioni internazionali genuine: costituire una società a Cipro per seguire il business locale, dotandola di strutture, amministratori sul posto e reale attività, non è illecito di per sé. Viceversa, creare una società cipriota “di comodo” con il solo scopo di schermare utili italiani può portare l’Agenzia a contestarne la residenza in Italia.

Dal 2024 la materia si arricchisce di una novità normativa: il D.Lgs. 209/2023 ha modificato l’art. 73 TUIR introducendo criteri aggiuntivi per la residenza di società ed enti, allo scopo di contrastare incertezze interpretative. In particolare, la riforma ha previsto che, per evitare controversie, la presenza di organizzazione e attività economica effettiva all’estero costituisce elemento a favore del contribuente. La prassi (Assonime, Circ. 15/2023) suggerisce che una società estera con adeguata “sostanza” in loco (uffici, dipendenti, attività commerciale reale) difficilmente potrà essere considerata esterovestita.

È utile ricordare anche le norme CFC (Controlled Foreign Companies) applicabili alle controllate estere a bassa tassazione. Dopo il recepimento della direttiva ATAD, l’art. 167 TUIR prevede che i redditi della controllata estera possano essere imputati per trasparenza al controllante italiano se: (i) l’entità estera sconta una tassazione effettiva inferiore al 50% di quella italiana e (ii) oltre un terzo dei suoi proventi è da passive income o intercompany. Tuttavia, vi è un’esenzione importante per le controllate in Paesi UE: se il contribuente prova che la società estera svolge un’effettiva attività economica nel mercato locale, la norma CFC non si applica (in base al principio di libertà di stabilimento UE, v. caso Cadbury Schweppes). Cipro, pur avendo aliquota societaria standard del 12,5% (circa la metà di quella italiana), è un paese UE cooperativo, quindi un’eventuale applicazione della CFC rule richiederebbe comunque di dimostrare che la società cipriota è solo una “costruzione artificiosa priva di effettiva realtà economica, finalizzata a eludere la normale imposizione”. In sede difensiva, pertanto, un imprenditore italiano che abbia una società a Cipro dovrà evidenziare la substance di quest’ultima (uffici, dipendenti, clienti locali, autonomia gestionale) per confutare sia le contestazioni di esterovestizione sia l’eventuale imputazione per CFC.

Ricapitolando per le società: se l’Agenzia delle Entrate emette avviso di accertamento sostenendo che una società cipriota è in realtà residente in Italia, ciò può avere conseguenze drastiche: i redditi societari esteri verrebbero tassati in Italia (con IRES 24% + eventuale IRAP), le eventuali imposte già pagate a Cipro sarebbero accreditabili solo entro certi limiti, e si applicherebbero sanzioni per omessa dichiarazione dei redditi societari. Non solo: potrebbe configurarsi il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni da parte degli amministratori (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa supera 50.000 €. Tuttavia, come abbiamo visto, la difesa è possibile mostrando che la società estera non era un guscio vuoto, ma un’entità autentica. Inoltre, qualora la contestazione si basi sull’abuso del diritto (art. 10-bis L. 212/2000), va ricordato che le operazioni abusive non costituiscono reato tributario – si applicano solo sanzioni amministrative – e che l’onere di dimostrare l’abusività spetta in primis all’Amministrazione. La Cassazione (Sez. V, sent. n. 4463 dell’11/02/2022) ha infatti affermato che trattandosi di norma antielusiva, spetta al Fisco provare che l’operazione era essenzialmente volta a ottenere un vantaggio fiscale indebito. Questo orientamento può essere invocato dal contribuente per contestare accertamenti basati unicamente su presunzioni, senza evidenze di una costruzione artificiosa.

Trust esteri (Cipro) e tassazione per i beneficiari italiani

Un altro strumento spesso utilizzato per gestire patrimoni transnazionali è il trust estero. Cipro, avendo tradizione di common law, consente l’istituzione di trust e offre regimi fiscali vantaggiosi per trust con beneficiari non ciprioti. Dal punto di vista italiano, la disciplina fiscale dei trust è complessa e recentemente chiarita dalla Circolare Agenzia Entrate n. 34/E del 20/10/2022, che ha raccolto gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. In sintesi, occorre distinguere tra:

  • Trust “trasparenti”: quelli in cui i beneficiari di reddito sono identificati nell’atto istitutivo. In tal caso, i redditi del trust (se estero) sono imputati per trasparenza ai beneficiari residenti in Italia, come redditi da capitale, a prescindere dall’effettiva distribuzione.
  • Trust “opachi”: quelli in cui i beneficiari non hanno diritto certo ai redditi (es. trust discrezionale). Qui i redditi accumulati dal trust non sono tassati immediatamente in capo ai beneficiari. Tuttavia, se il trust è estero e non soggetto a tassazione congrua nel suo Stato, l’Italia impone una tassazione al momento della distribuzione ai beneficiari residenti (art. 44 co.1 TUIR, lett. g-sexies). In pratica, il beneficiario italiano che riceve una ripartizione di utili da un trust opaco estero non adeguatamente tassato deve dichiararla come reddito di capitale per l’intero importo ricevuto, salvo poter distinguere la parte di capitale già tassato.

Un punto fondamentale è la determinazione della residenza fiscale del trust. L’art. 73 TUIR, oltre alle società, si applica anche a trust e altri enti. Secondo la Circolare 34/E/2022, un trust è considerato residente in Italia se ha qui sede legale (ad es. il trustee è un residente) oppure se ha in Italia l’oggetto principale (patrimoni situati principalmente in Italia). È stato precisato che per oggetto principale si intende l’attività effettivamente esercitata o la localizzazione prevalente dei beni: ad esempio, un trust proprietario di soli immobili siti in Italia sarà considerato residente in Italia. Se invece il patrimonio è mobiliare e sparso in più giurisdizioni, conta dove è gestito in concreto il trust. Questo è rilevante perché un trust formalmente istituito a Cipro potrebbe comunque essere qualificato residente in Italia se, per ipotesi, tutti i beni (es. partecipazioni in società italiane) e l’attività di gestione fanno capo all’Italia.

Nel contesto della nostra guida, immaginiamo un trust costituito a Cipro da un contribuente italiano, con trustee cipriota e beneficiari gli stessi familiari del disponente (residenti in Italia). Quali sono i possibili profili di accertamento? Ve ne sono almeno due:

  1. Contestazione di interposizione: Il Fisco potrebbe ritenere il trust “fittizio” o interposto, cioè inesistente ai fini fiscali, imputando tutti i redditi direttamente al disponente o ai beneficiari in Italia. Ciò avviene se il trust è un mero schermo e il disponente continua di fatto a gestire e disporre dei beni (trust sham). La Cassazione fin dal 2015 (sent. n. 25478/2015) e in numerose pronunce successive ha affermato che quando il trust è privo di sostanza – ad esempio il disponente è anche trustee o mantiene pieni poteri – l’Amministrazione finanziaria può disconoscerlo e tassare i redditi come se il trust non esistesse. In tale scenario, eventuali redditi prodotti dal trust (interessi, dividendi, plusvalenze su investimenti a Cipro) verrebbero recuperati a tassazione in capo al beneficiario/disponente italiano per gli anni non dichiarati, con sanzioni per infedele o omessa dichiarazione.
  2. Applicazione della “regola di imponibilità”: Anche se il trust viene riconosciuto come soggetto autonomo, se esso è non residente in Italia e beneficia di un regime fiscale di favore (tassazione nulla o molto bassa), l’Italia considera privilegiata tale giurisdizione ai fini del trattamento dei redditi distribuiti. Cipro è UE, ma occorre fare attenzione: la nozione di “Stato a fiscalità privilegiata” per i trust rimanda ai criteri dell’art. 47-bis TUIR, che escludono in generale gli Stati UE/SEE cooperativi. Tuttavia, la stessa Circolare 34/E ha chiarito che se un trust, pur essendo formalmente stabilito in UE, beneficia di un regime fiscale di esenzione tipico dei paradisi fiscali, allora le distribuzioni ai beneficiari italiani restano comunque imponibili. È il caso dei trust offshore a Cipro: ad esempio, se Cipro non tassa i redditi di un trust istituito per beneficiari non residenti (Cyprus International Trust), il trust di fatto risulta non tassato e dunque fiscalmente privilegiato agli occhi del Fisco italiano. In tal caso, scatta la tassazione integrale in Italia delle somme distribuite al beneficiario residente.

In sostanza, un beneficiario italiano di un trust cipriota opaco che riceve una somma dovrà probabilmente dichiararla per intero come reddito di capitale, a meno che non riesca a dimostrare che il trust ha già scontato imposte estere analoghe a quelle italiane (circostanza poco comune nei trust di Commonwealth con esenzioni per non-resident). Al contrario, se il trust fosse trasparente e i redditi esteri fossero già stati dichiarati anno per anno dai beneficiari, un avviso di accertamento potrebbe arrivare solo se l’Agenzia contesta la qualificazione del trust (ad esempio sostenendo che era opaco e andava tassato solo a distribuzione, o viceversa): questioni tecniche complesse che esulano in parte da questa trattazione generale.

Per difendersi da eventuali contestazioni relative a un trust estero, il contribuente deve: (a) dimostrare la reale autonomia del trust (esibendo l’atto istitutivo, l’operato indipendente del trustee, verbali, contabilità separata, ecc.), così da respingere accuse di interposizione; (b) in caso di distribuzioni tassate, verificare la corretta determinazione della quota imponibile distinguendo eventualmente la parte di capitale non tassabile (il Fisco talora tende a tassare tutta la somma, ma la giurisprudenza ha riconosciuto che le somme distribuite possono includere patrimonio già tassato o già appartenente al disponente, non imponibile nuovamente). Va segnalato che, per evitare doppie imposizioni sul medesimo patrimonio, il legislatore italiano non applica imposte successorie o donative ai trasferimenti a trust o da trust se questi vengono già attratti a tassazione diretta (principio di alternatività tra imposta sulle successioni e tassazione reddituale in caso di trust interposti).

In sintesi, i trust esteri possono destare sospetti se utilizzati per finalità elusive. Cipro rientra tra le giurisdizioni utilizzate per trust internazionali, ma la difesa è possibile ponendo l’accento sulla legittimità dello strumento: un trust validamente costituito, con regole rispettate e separazione patrimoniale effettiva, non è di per sé illecito. Il contribuente dovrà però essere pronto a giustificare la provenienza dei fondi conferiti (per evitare che il Fisco li consideri redditi sottratti a tassazione) e a fornire all’Agenzia la documentazione sul funzionamento del trust. La recente prassi dell’Agenzia (Risp. interpello n. 145/2025) conferma un approccio rigoroso: occorre trasparenza sulle strutture fiduciarie estere per non incorrere in pesanti riqualificazioni fiscali.

Obblighi di monitoraggio fiscale: quadro RW, IVIE/IVAFE e sanzioni

Oltre agli obblighi di dichiarare i redditi esteri, l’ordinamento italiano impone ai residenti di dichiarare al Fisco le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. Questo adempimento avviene mediante il Quadro RW della dichiarazione dei redditi, previsto dal D.L. 167/1990 (conv. L. 227/1990) e successive modifiche. In pratica, chiunque sia residente fiscale in Italia e detenga conto correnti, investimenti, partecipazioni, immobili o altre attività fuori dall’Italia deve riportarli annualmente nel Quadro RW, sia per finalità di monitoraggio sia per calcolare le imposte patrimoniali estere dovute (IVIE/IVAFE).

IVAFE e IVIE: sono imposte patrimoniali introdotte dal 2012. L’IVAFE si applica sul valore delle attività finanziarie estere (es. conti, depositi, azioni) e ammonta allo 0,2% annuo sul valore, ad eccezione dei conti correnti esteri per i quali è dovuta in misura fissa (€34,20 annui) se la giacenza media supera €5.000. L’IVIE si applica sugli immobili esteri nella misura dello 0,76% annuo del valore (con crediti d’imposta per eventuali imposte patrimoniali pagate all’estero, ad esempio l’IBI in Spagna, ecc.). Cipro attualmente non prevede imposte patrimoniali significative su conti o immobili, dunque un residente italiano con casa o conto a Cipro dovrà tipicamente versare IVIE/IVAFE in Italia. La ratio di queste imposte è parificare il carico fiscale dei beni esteri a quelli italiani (es. l’IVAFE corrisponde all’imposta di bollo che colpisce i conti italiani).

La mancata compilazione del Quadro RW è sanzionata severamente dal citato D.L. 167/90 (art. 5). Dopo le modifiche del 2013, le sanzioni amministrative sono diversificate a seconda che l’attività estera sia detenuta in un Paese collaborativo (white list) o in un paradiso fiscale (black list). In particolare, le sanzioni sono pari al 3% – 15% dell’ammontare non dichiarato, per ogni anno, se l’attività è in Paese non black list. Se invece l’attività estera era in un Paese black list (non cooperativo), la sanzione raddoppia al 6% – 30%. Poiché Cipro è un paese white list (UE), l’omessa dichiarazione di un conto o investimento a Cipro comporta dunque una sanzione dal 3 al 15% dell’importo non dichiarato (per ciascun anno di violazione). Ad esempio, un conto di 100.000 € a Cipro tenuto nascosto per 3 anni espone, solo per quadro RW, a potenziali sanzioni fino a 45.000 € (15% × 3 anni).

Ma le conseguenze non finiscono qui. La legge prevede infatti una presunzione in caso di omesso monitoraggio: salvo prova contraria, il denaro o i beni non dichiarati in RW si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione in Italia. Si tratta di una presunzione relativa, inserita proprio nell’art. 5 D.L. 167/90, in base alla quale il Fisco può ritenere che le somme su un conto estero non dichiarato derivino da redditi non dichiarati, potendo così procedere a tassarli e sanzionarli come evasione. In altre parole, l’omissione del quadro RW inverte l’onere della prova circa la provenienza di quei fondi: sarà il contribuente, eventualmente in sede di contraddittorio o contenzioso, a dover dimostrare che quel capitale ha origini lecite e già tassate (ad esempio, che deriva da risparmi su redditi già dichiarati, eredità, vendita di beni tassata all’epoca, ecc.). Se non lo prova, l’Agenzia potrà imporre la tassazione di quelle somme come redditi evasi (in genere qualificati come redditi diversi imponibili nell’anno di scoperta). Questa presunzione è un’arma molto incisiva in mano al Fisco italiano per colpire i patrimoni nascosti all’estero.

Va evidenziato che la violazione del quadro RW ha natura formale-amministrativa: non integra di per sé un reato penale. Non esiste infatti una fattispecie penale specifica per il mancato monitoraggio fiscale. Tuttavia, come detto, dal conto estero non dichiarato può emergere il reato di omessa o infedele dichiarazione se i redditi corrispondenti superano le soglie di punibilità. Per esempio, se su quel conto a Cipro confluiscono interessi o altri redditi non dichiarati oltre €50.000 di imposte evase l’anno, scatterà il reato di omessa dichiarazione ex D.Lgs. 74/2000. In aggiunta, l’ordinamento prevede misure patrimoniali come la confisca per equivalente in sede amministrativa per chi detiene attività estere non dichiarate, nei casi più gravi a tutela del credito erariale.

In sintesi sugli obblighi dichiarativi: un contribuente italiano con conti o investimenti a Cipro deve diligentemente dichiararli nel Quadro RW ogni anno, oltre a riportarne gli eventuali redditi in dichiarazione. La mancata compilazione del RW, se scoperta, comporta sanzioni significative (3-15% annuo del valore) e alimenta automaticamente la contestazione di evasione sui relativi importi. È bene sapere che l’Agenzia delle Entrate, grazie al regime di trasparenza fiscale internazionale (CRS e accordi UE), possiede ormai tutti i mezzi per individuare i conti esteri non dichiarati. Dal 2017, infatti, esiste uno scambio automatico di informazioni finanziarie per cui le autorità cipriote comunicano ogni anno all’Italia i saldi e gli interessi dei conti detenuti da residenti italiani. Affidarsi a stratagemmi per schermare le attività estere è estremamente rischioso, perché se (o meglio, quando) il conto viene alla luce, il recupero a posteriori sarà molto più costoso: si perderanno i benefici di eventuali sanatorie o ravvedimenti e si subiranno le sanzioni in misura piena.

Ricordiamo infine che, qualora il contribuente si renda conto dell’omissione prima di essere formalmente sotto accertamento, è possibile rimediare mediante dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso. Ad esempio, se si riceve dall’Agenzia una lettera di compliance (comunicazione bonaria che segnala l’anomalia, ad es. un conto estero risultante da CRS), conviene aderire presentando le dichiarazioni integrative per gli anni scoperti e versando le imposte dovute con sanzioni ridotte da ravvedimento. In tal modo si eviterebbe l’avviso di accertamento e si chiuderebbe la posizione in via collaborativa. Se invece si ignora la lettera, l’Agenzia emetterà l’avviso e a quel punto non sarà più ammesso il ravvedimento: si dovrà pagare l’intera sanzione ed eventualmente impugnare l’atto. In questa guida presupponiamo che si sia già giunti alla fase dell’avviso di accertamento; tuttavia, è importante sapere che agire tempestivamente prima (in sede di compliance o ravvedimento) è sempre la strategia migliore per minimizzare costi e rischi.

Accordi internazionali: doppie imposizioni e scambio di informazioni

Nel contesto di redditi e conti esteri, giocano un ruolo cruciale gli accordi internazionali stipulati dall’Italia, in particolare: le Convenzioni contro le doppie imposizioni e gli accordi di scambio informativo (sia su richiesta che automatici).

Trattato Italia–Cipro sulle doppie imposizioni: Italia e Cipro sono legate da una Convenzione per evitare le doppie imposizioni (CDI) firmata a Nicosia il 24/4/1974 e ratificata con L. 564/1982, in vigore dal 1983. Tale trattato (con protocollo aggiuntivo 2009) disciplina la ripartizione della potestà impositiva sui vari redditi tra i due Stati e contiene l’articolo 4 sul “tie-breaker rule” per la residenza in caso di doppia residenza. In base a tale articolo, se una persona fisica fosse considerata residente di entrambe le nazioni secondo le rispettive leggi interne, la controversia si risolve attribuendo la residenza fiscale esclusiva al Paese in cui l’individuo ha l’abitazione permanente e i legami personali ed economici più stretti (centro degli interessi vitali). Se ciò non fosse risolutivo, si guarda al soggiorno abituale, alla cittadinanza, ecc. In altre parole, la Convenzione impedisce che una stessa persona sia considerata residente di entrambi gli Stati simultaneamente: viene stabilito un solo Stato di residenza ai fini fiscali e l’altro Stato, pur potendo tassare alcuni redditi fonte, deve generalmente accordare un credito d’imposta o esentare per evitare doppia tassazione.

Questo aspetto può offrire una difesa potente contro un accertamento italiano: se il contribuente riesce a qualificarsi come residente di Cipro ai sensi del Trattato, l’Italia deve riconoscere la residenza cipriota e non può tassare i redditi esteri (potrà semmai tassare solo quelli prodotti in Italia, come previsto dal Trattato per i non residenti). La Cassazione nel 2023 ha confermato che la presunzione di residenza italiana (nel caso Emirati Arabi) cede di fronte ai criteri convenzionali: in quella vicenda la persona, pur trasferita in un Paese black list, risultava residente solo negli Emirati secondo la Convenzione e la Cassazione ha annullato l’accertamento italiano perché incompatibile col Trattato. Pertanto, in sede difensiva va sempre invocata l’eventuale Convenzione internazionale: se l’Agenzia delle Entrate ha ignorato il Trattato, l’atto impositivo è illegittimo per violazione di legge internazionale. Bisogna però dimostrare di rientrare nei parametri della Convenzione: ad esempio, nel caso di un trasferimento a Cipro, serve provare di essere assoggettati a tassazione “illimitata” a Cipro (concetto di liable to tax, anche se in concreto – per via di agevolazioni come il regime non-dom – si pagano poche imposte). Su questo punto la giurisprudenza ha chiarito che conta l’astratta assoggettabilità a tassazione generale nell’altro Stato, non l’aver pagato effettivamente imposte: dunque anche chi va in un Paese a bassa fiscalità può essere considerato ivi residente ex Trattato, a patto di soddisfarne i criteri formali e sostanziali. Nel caso di Cipro, la persona deve risultare residente ai fini interni ciprioti (iscrizione al registro degli abitanti e superamento di eventuali test di presenza locali) e non essere considerata residente in Italia dai criteri convenzionali. Se ciò è dimostrato, l’accertamento italiano dovrà cadere perché in violazione della Convenzione.

Oltre al tie-break sulla residenza, la Convenzione Italia-Cipro prevede la ripartizione delle categorie di reddito (artt. 6–21 del modello OCSE). Ad esempio, i dividendi pagati da società cipriote a un residente italiano sono tassabili in Italia ma con credito per l’eventuale ritenuta subita a Cipro (in realtà Cipro in base alla direttiva madre-figlia UE non applica ritenute sui dividendi verso l’Italia, quindi saranno tassati solo in Italia al 26% se percepiti da persona fisica). Gli interessi da Cipro a residente italiano sono imponibili in Italia con credito d’imposta per eventuali ritenute cipriote (la CDI limita la ritenuta cipriota al 10%, ma Cipro spesso esenta gli interessi pagati all’estero). I canoni idem (limite 10% in fonte). I redditi d’impresa seguono la regola della stabile organizzazione (se l’italiano non ha PE a Cipro non viene tassato lì). I redditi immobiliari sono tassati sia in Cipro (dove è sito l’immobile) sia in Italia con credito. Questi dettagli diventano importanti se l’accertamento richiede di rideterminare le imposte dovute: il contribuente potrà opporre che alcune imposte le ha già pagate a Cipro su certi redditi, esibendo la documentazione, e ottenere il relativo credito di imposta in sede di autotutela o giudiziale (come da art. 165 TUIR e art. 23 CDI).

Scambio di informazioni: sul fronte della cooperazione, Italia e Cipro sono parte sia di accordi bilaterali (il Protocollo 2009 alla CDI ha esteso lo scambio informazioni su richiesta) sia soprattutto degli schemi multilaterali OCSE/EU. Dal 2017 entrambi aderiscono al CRS (Common Reporting Standard): ciò significa che ogni anno le autorità finanziarie cipriote inviano all’Agenzia delle Entrate i dati di conti correnti, depositi e altri investimenti finanziari intestati a soggetti fiscalmente residenti in Italia. Tali dati includono saldo di fine anno, saldo medio, interessi, dividendi e altri proventi. Parallelamente, dal 2015 è in vigore tra Italia e Cipro lo scambio automatico di informazioni country-by-country sui rulings fiscali e (per le multinazionali) sui dati contabili aggregati, in attuazione delle direttive DAC UE. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate può sempre attivare uno scambio di informazioni “on request” con l’Autorità fiscale cipriota per ottenere dati specifici (ad es. l’estratto conto dettagliato di un dato periodo, o documenti relativi a una società/trust locale). Cipro essendo UE e aderente all’Ocse non oppone segreto bancario in materia fiscale.

Questa rete di accordi fa sì che nascondere redditi o conti a Cipro sia estremamente difficile e, in caso di accertamento, il contribuente dovrà dare risposte sostanziali. Nel capitolo seguente vedremo infatti come l’Agenzia possa aver acquisito le informazioni e quali passi compie prima di emettere l’avviso, per poi concentrarci sulle strategie difensive da adottare in risposta.

Accertamenti fiscali su conti e redditi esteri: controlli e procedure

Vediamo ora come si arriva concretamente a un avviso di accertamento per redditi o conti esteri (nel nostro caso, a Cipro) e cosa esso comporta. Analizzeremo le fasi di controllo che precedono l’emissione dell’atto – questionari, verifiche finanziarie, indagini – e poi la struttura dell’avviso di accertamento, i termini entro cui può essere notificato e le contestazioni tipiche che vengono sollevate in materia di estero. Comprendere il percorso seguito dal Fisco è importante per individuare eventuali vizi di procedura e predisporre le controdeduzioni.

Attività preliminari del Fisco: come individua conti e redditi esteri

Gli accertamenti in materia di estero nascono quasi sempre da segnalazioni automatiche o da controlli mirati del Fisco. Nel caso di conti a Cipro, la scintilla iniziale può essere:

  • Scambio automatico CRS: L’Agenzia delle Entrate riceve annualmente un elenco di contribuenti italiani con conti in Cipro, con indicazione dei saldi e interessi. Questi dati vengono incrociati con le dichiarazioni dei redditi: se un soggetto non ha compilato RW o non ha dichiarato interessi da quel conto, scatta un alert. Spesso l’Agenzia invia una lettera di compliance invitando il contribuente a regolarizzare. In mancanza di riscontro, può partire l’accertamento.
  • Questionario o richiesta informazioni: In altri casi, soprattutto per verificare la residenza, l’ufficio invia un questionario al contribuente, ai sensi dell’art. 32 DPR 600/73, chiedendo di fornire dettagli su eventuali attività estere, trasferimenti, residenza, famiglia, ecc. Ad esempio, può arrivare un questionario che chiede: “indichi i conti correnti detenuti all’estero negli ultimi 5 anni, con saldi e movimenti”, oppure “descriva l’eventuale trasferimento di residenza a Cipro specificando data espatrio, iscrizione AIRE, luogo di lavoro estero, familiari a carico e loro residenza, patrimonio detenuto all’estero”. È fondamentale rispondere con accuratezza e tempestività a tali questionari: ignorarli o rispondere in modo evasivo espone a un irrigidimento dell’Ufficio. Anzi, allegare già documenti chiave (es. certificato di residenza cipriota, bollette, contratti esteri) può dimostrare collaborazione e buona fede. Il termine di solito è 30 giorni (prorogabili); la risposta va inviata preferibilmente via PEC o raccomandata, conservando ricevuta.
  • Indagini finanziarie e movimenti transfrontalieri: L’Agenzia può attivare indagini bancarie (art. 32 DPR 600/73) chiedendo alle banche italiane i movimenti su conti del contribuente. Se emergono bonifici verso Cipro non giustificati, o prelievi di contante poi versati su conti ciprioti (spesso noti tramite collaborazione internazionale), ciò fornisce prova di trasferimenti esteri non dichiarati. Dal 2019, esiste una tracciatura sistematica dei trasferimenti da/verso l’estero superiore a €15.000 comunicati all’Anagrafe dei Rapporti Finanziari: questi dati vengono usati per individuare esportazioni di capitali non coerenti col profilo reddituale dichiarato.
  • Verifiche della Guardia di Finanza (GdF): Nei casi complessi, la GdF può condurre una verifica fiscale sul contribuente, anche recandosi presso il domicilio italiano per reperire elementi (ad es. cercare copie di estratti conto esteri, o verificare se un’abitazione dichiarata sfitta è invece abitata, sintomo di presenza in Italia). Nel caso di sospetta falsa residenza estera, la GdF spesso pedina il soggetto o analizza celle telefoniche e passaggi doganali per quantificare i giorni di presenza in Italia. Anche i consumi (bollette, Telepass, carte di credito) possono rivelare presenze in Italia. Tutti questi elementi vengono poi trasmessi all’Agenzia procedente.
  • Cooperazione internazionale su richiesta: Laddove servano informazioni puntuali, l’Agenzia delle Entrate può chiedere all’autorità cipriota (Tax Department) documentazione: ad es. copia dei contratti di conto corrente, lo statement analitico di un conto, l’atto di costituzione di una società a Cipro, ecc. Cipro risponde in base alla convenzione OCSE e alle direttive UE, fornendo quanto richiesto. Se ad esempio l’Agenzia italiana scopre (da CRS) che esiste un conto a Cipro non dichiarato, potrebbe chiedere a Cipro i movimenti per vedere da dove arrivavano i fondi o a chi sono stati girati. Oppure, se un contribuente si dichiara residente a Cipro ma non ha presentato la tax return cipriota, questa informazione può essere ottenuta via autorità estera e usata contro di lui (dimostrando che non risulta un vero residente all’estero).

In base all’esito di queste indagini preliminari, l’Ufficio decide se procedere con l’emissione dell’avviso di accertamento. Prima però, in alcune circostanze, è tenuto a invitare il contribuente al contraddittorio preventivo: ad esempio, per gli accertamenti “a tavolino” su materie complesse l’art. 5-ter D.Lgs. 218/1997 richiede di notificare un avviso di chiusura indagini e concedere 60 giorni per controdedurre. Ciò avviene di solito in accertamenti da indagini finanziarie o in contestazioni di residenza estera fittizia condotte dalla Direzione Regionale. Se questo contraddittorio obbligatorio non venisse svolto quando previsto, l’accertamento sarebbe nullo per violazione del diritto di difesa (principio sancito anche a livello UE).

Va detto che l’Agenzia, specie in ambito internazionale, spesso instaura un dialogo con il contribuente prima di emettere l’atto: tramite questionari, inviti a comparire, telefonate dei funzionari per chiarimenti. Dal canto suo, il contribuente (o il suo legale) può presentare memorie difensive spontanee in questa fase pre-contenziosa, allegando documenti giustificativi. Ogni informazione fornita può persuadere l’ufficio a non procedere oppure a limitare le contestazioni. È dunque strategicamente opportuno giocare d’anticipo quando possibile, fornendo al Fisco le evidenze a sostegno della propria posizione già in risposta ai questionari o negli incontri, così da tentare di evitare l’accertamento o ridurne la portata.

Contenuto dell’avviso di accertamento: cosa viene contestato e calcolato

L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente una maggiore imposta, motivando le ragioni e quantificando imposte, sanzioni e interessi. Nel caso di redditi/conti esteri, l’avviso tipicamente conterrà:

  • Riferimenti alle annualità e violazioni: ad esempio “Accertamento IRPEF 2019 per redditi esteri non dichiarati”, oppure “Accertamento IVAFE 2020 per attività estere non monitorate”. Saranno elencati gli anni d’imposta oggetto di rettifica.
  • Motivazione fattuale: l’atto deve spiegare i fatti accertati. Ad esempio: “dalle informazioni CRS risulta che il contribuente deteneva presso Bank of Cyprus il conto n. XXX, saldo €250.000 al 31/12, non dichiarato in RW. Si presume che tale somma costituisca redditi sottratti a tassazione. Inoltre, sono stati percepiti interessi attivi per €5.000 non dichiarati. Il contribuente risulta iscritto AIRE dal 2018 ma ha mantenuto il domicilio in Italia (famiglia residente, frequenti rientri): pertanto è considerato residente fiscale in Italia ai sensi art. 2 TUIR, con conseguente obbligo dichiarativo sui predetti redditi esteri”. Una motivazione del genere segnala tutte le basi legali e fattuali: centro interessi in Italia nonostante AIRE, omessa dichiarazione di investimenti esteri, presunzione reddituale sui capitali non dichiarati. La legge (art. 42 DPR 600/73) richiede che l’avviso esponga in modo chiaro le ragioni dell’imposizione, a pena di nullità: se l’atto non spiegasse perché l’Agenzia ritiene il contribuente residente o perché quei soldi sono reddito, sarebbe nullo per carenza di motivazione. Negli accertamenti internazionali solitamente la motivazione è assai dettagliata.
  • Quadro normativo: l’avviso richiama le norme violate (es. art. 2 TUIR per residenza, art. 4 co.1 D.L. 167/90 per quadro RW, art. 32 DPR 600/73 per presunzione sui conti, art. 5 TUIR per omessa dichiarazione redditi esteri, art. 41 DPR 600 per potere di accertamento d’ufficio, ecc.) e le Convenzioni applicabili. Ad esempio potrebbe citare la Convenzione Italia-Cipro per affermare che il contribuente non ha fornito prova della residenza estera e che comunque, essendo cittadino italiano con famiglia in Italia, si qualifica residente in Italia anche ai fini convenzionali (valutazione che però poi spetterà eventualmente al giudice confermare o smentire).
  • Ricalcolo dei redditi e imposte: l’atto quantifica il maggior reddito imponibile. Poniamo che Tizio non abbia dichiarato €10.000 di interessi dal conto cipriota: l’accertamento aggiungerà €10.000 al reddito imponibile IRPEF di quell’anno, calcolando la relativa IRPEF (aliquota marginale) più eventuali addizionali. Se invece il caso è di capitale non giustificato, l’Agenzia potrebbe addirittura considerare €250.000 (l’ammontare del conto) come reddito dell’anno X, magari qualificandolo “reddito diverso di fonte estera non dichiarato”. Questa è la situazione più critica, in cui il Fisco tasta terreno per vedere se il contribuente riesce a dimostrare la provenienza.
  • Sanzioni amministrative: l’avviso include le sanzioni tributarie. Esse, come visto, sono:
    • Infedele dichiarazione (art. 1 D.Lgs. 471/97): 90% del maggior tributo dovuto (minimo) fino a 180% (massimo). Si applica se c’era dichiarazione ma con redditi esteri omessi/indicati in misura inferiore.
    • Omessa dichiarazione (art. 1 D.Lgs. 471/97): 120% fino a 240% dell’imposta evasa, se il contribuente non aveva presentato affatto la dichiarazione dei redditi (tipico caso di finto espatriato che dal 2018 in poi non presenta più dichiarazioni in Italia pensando di essere estero).
    • Omessa compilazione quadro RW (art. 5 D.L. 167/90): 3-15% annuo valore non dichiarato (qui spesso prendono l’anno con valore più alto, o applicano per ciascun anno se ravvisano continuità). Per coerenza l’ufficio potrebbe applicare il minimo edittale (3% per paese white list) se il contribuente non ha altri precedenti e magari ha collaborato in parte.
    • Altre sanzioni: es. se c’è IVAFE non pagata, sanzione 30% dell’imposta non versata. Oppure sanzioni fisse se non ha risposto ai questionari (250 € per mancata risposta).
    L’avviso può anche prevedere la riduzione di 1/3 delle sanzioni se il contribuente non fa ricorso e paga entro 60 giorni (beneficio ex art. 15 D.Lgs. 218/97), per incentivare la definizione in acquiescenza.
  • Interessi di mora: calcolati sulle imposte evase, dal giorno in cui erano dovute (generalmente dal termine saldo imposte di quell’anno) fino alla data di notifica dell’avviso. Il tasso di interesse è stabilito annualmente (intorno all’4% nel 2025). Non sono interessi punitivi ma compensativi del ritardo.
  • Avvertenze e termini: l’atto informa il contribuente che può presentare ricorso entro 60 giorni alla Commissione (ora Corte) Tributaria, oppure richiedere accertamento con adesione entro lo stesso termine (con sospensione di 90 giorni del termine ricorso). Indica inoltre che, in caso di mancata impugnazione, le somme vanno pagate entro 60 giorni (con sanzioni ridotte di 1/3 in acquiescenza). Viene riportato anche che, in caso di ricorso, è dovuto intanto il pagamento di 1/3 delle imposte accertate (come previsto dall’art. 15 DPR 602/73) a titolo provvisorio.

Uno degli aspetti critici da verificare subito, per chi riceve un avviso del genere, è se l’atto è stato notificato nei termini di decadenza previsti. In generale, gli accertamenti imposte dirette devono essere notificati entro il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o entro il 7° anno se la dichiarazione era omessa). Ad esempio, per l’anno d’imposta 2018 (dichiarazione Redditi 2019 presentata) il termine è il 31/12/2024; se la dichiarazione 2019 non fu presentata affatto, il termine per il 2018 è il 31/12/2025.

In passato (fino ai periodi d’imposta 2015) esisteva il raddoppio dei termini per gli imponibili esteri non dichiarati in paesi black list, che portava a 10 anni il termine di accertamento in caso di infedele (e 14 per omessa). Questa norma però è stata abrogata per i periodi dal 2016 in avanti. Dunque per gli anni più recenti valgono i termini “brevi” ordinari. È bene controllare se l’Agenzia, magari facendo leva sul vecchio raddoppio, abbia emesso accertamenti oltre il quinquennio: se così fosse e la norma non risulta applicabile (ad es. per Cipro, paese white list, o per anno successivo al 2016), si può eccepire la decadenza dell’azione accertativa. Ad esempio, un avviso notificato nel 2025 per l’anno d’imposta 2017 (dichiarazione 2018 omessa) sarebbe fuori termine, poiché 2017+7 = 2024. Questa è una delle prime verifiche difensive da fare: se l’atto è tardivo va fatto annullare dal giudice perché emesso oltre i limiti di legge.

Altro aspetto procedurale: se l’atto riguarda più annualità, ciascuna con propria motivazione, bisogna valutare se sono state rispettate le garanzie procedurali per ogni anno (ad es. invito al contraddittorio se richiesto, menzione del PVC GdF se c’è stato, ecc.).

Contestazioni tipiche e calcolo delle imposte evase

Nel caso di conti o redditi a Cipro, le contestazioni tipiche che ci si può trovare nell’avviso di accertamento sono:

  • Redditi di capitale esteri non dichiarati: es. interessi su conto corrente cipriota, dividendi da partecipazioni in società cipriota, plusvalenze su vendita di azioni estere. Questi redditi, se il contribuente è residente, andavano dichiarati (Quadro RL/RM o RT a seconda) e tassati al 26% (per interessi/dividendi post-2018) o all’aliquota marginale (per plusvalenze qualificate fino al 2018, poi 26%). L’accertamento recupera l’imposta non versata (26% di quell’importo, o diverso se periodo anteriore a certe riforme) e sanzione 90-180% su tale imposta.
  • Imposta patrimoniale IVAFE non versata: se il contribuente non ha dichiarato il conto, non ha pagato l’IVAFE 0,2%. La somma è spesso piccola (es. su €100k conto, IVAFE = €200 annui), ma l’atto la includerà con sanzione 30%. A volte l’IVAFE viene aggiunta giusto per completezza, ma non è l’importo preponderante.
  • Omessa dichiarazione di attività estere (RW): come già descritto, sanzione 3-15% annuo. L’avviso potrebbe indicare: “applicata sanzione di €X pari al 3% del valore non dichiarato di €Y per l’anno…”. Talvolta, per snellezza, l’Ufficio applica solo l’anno più recente o quello di maggiore importo, valutando la continuazione come unica violazione. Se invece li applica per tutti gli anni, è argomento di richiesta di cumulo giuridico in sede di difesa (le sanzioni formali andrebbero cumulate e non sommate in modo semplice, essendo stessa indole).
  • Redditi diversi da capitali occultati: questa è la parte più insidiosa. Come detto, l’Agenzia può presumere che il capitale sul conto provenga da redditi non dichiarati. A volte formalizza ciò ricostruendo “per differenza” i flussi: ad esempio, se il saldo iniziale di un conto era 0 e dopo due anni è 500.000 €, e nel frattempo non risultano bonifici dal conto italiano ma solo versamenti in contanti, l’ufficio potrebbe imputare 500.000 € come reddito non dichiarato suddiviso in due anni. La qualifica può essere “reddito diverso di fonte estera ex art. 67 TUIR” (categoria residuale). Questo consente di tassarlo con aliquota IRPEF progressiva intera. In mancanza di indicazioni più specifiche, gli uffici a volte incardinano tali somme come “redditi di fonte estera non determinabili appartenenti alla categoria dei redditi diversi”. Ciò può apparire arbitrario, ma dal loro punto di vista la presunzione lo consente. Sta poi al contribuente dimostrare eventuali duplicazioni o errori in tale imputazione.
  • Residenza fiscale fittizia: se pertinente, l’atto contesterà formalmente che il soggetto era residente in Italia nonostante la formale iscrizione AIRE, adducendo gli elementi (es. “moglie e figli in Italia, casa disponibile, soggiorni per 200 giorni…”). Questa parte serve a legittimare il recupero di tutti i redditi esteri. Spesso viene citata giurisprudenza a sostegno (Cassazione, ecc.) e si evidenzia l’art. 4 della Convenzione: ad esempio, “si fa presente che in base all’art. 4 della Convenzione Italia-Cipro, la persona ha l’abitazione permanente in Italia dove risiede il suo nucleo familiare e possiede immobili, pertanto risulta residente in Italia ai fini convenzionali”. Se l’Ufficio omettesse completamente di considerare la Convenzione in un caso del genere, offrirebbe un punto debole su cui il contribuente potrà far leva.
  • Imposte già pagate a Cipro: un accertamento ben fatto terrà conto di eventuali imposte estere già assolte. Ad esempio, se una società cipriota ha distribuito un dividendo di €100.000, in Cipro non c’è ritenuta, ma se ci fosse stata (supponiamo 5%), l’Italia dovrebbe riconoscere credito. L’atto allora direbbe: imposta lorda dovuta €26.000, credito per ritenuta estera €5.000, imposta netta accertata €21.000. Se questo non appare, il difensore dovrà farlo presente in ricorso, documentando le tasse pagate all’estero (Cipro ha ad es. una “Defence Tax” su interessi/dividendi per residenti, ma per non residenti spesso zero).

Una volta compreso cosa viene contestato, il contribuente deve quantificare la pretesa totale: somma delle imposte e somma delle sanzioni, più interessi (indicati di solito a parte). Spesso gli avvisi riportano un prospetto riepilogativo finale con “Totale imposta”, “Totale sanzioni” e “Totale dovuto se acquiescenza (2/3 delle sanzioni)”. Ad esempio, l’atto potrebbe concludersi con: Imposte €50.000, Sanzioni (100%) €50.000, Totale €100.000, Importo da pagare in caso di definizione agevolata (sanz. ridotte a 1/3) €66.667.

Termini di notifica e decorrenza: retroattività e prescrizione

Abbiamo accennato ai termini di decadenza dell’accertamento (5 o 7 anni). È utile aggiungere che, se l’accertamento riguarda violazioni continuative (es. omessa dichiarazione conti per più anni), ciascun anno fa storia a sé per la decadenza. Il Fisco a volte emette avvisi separati per anno, altre volte un unico avviso multi-periodo: in tal caso, l’avviso deve comunque rispettare i termini per ogni anno in esso contenuto (se un anno era decaduto, l’atto è nullo in parte qua).

Per quanto riguarda gli aspetti penali, la notifica dell’accertamento non coincide con i termini di prescrizione del reato: quelli penali (6 anni per omessa, 8 per infedele, salvo interruzioni) decorrono dalla commissione (anno di presentazione/omissione della dichiarazione) e seguono regole proprie. Tuttavia, un accertamento fiscale definitivo può costituire prova nel parallelo procedimento penale, e viceversa la pendenza di indagini penali su reati fiscali consente al Fisco di sospendere i termini di accertamento (fino a esito del procedimento) per i medesimi fatti – ma questo esula dall’argomento principale, salvo notare che se un reato viene archiviato, eventuali atti impositivi potrebbero divenire tardivi se erano stati sospesi troppo a lungo.

Retroattività di nuove norme: un tema sollevato da contribuenti riguarda le novità normative del 2024 (nuovi criteri di residenza) e se possano influire sugli accertamenti di anni precedenti ancora pendenti. La risposta è no: la Cassazione n. 19843/2024 ha chiarito che le nuove norme sulla residenza introdotte dal 2024 non hanno effetto retroattivo e non possono riespandere la difesa per annualità pregresse. Quindi, se l’accertamento riguarda ad es. il 2022, si applicano i vecchi criteri (iscrizione AIRE con valenza assoluta, ecc.). Questo va tenuto a mente: eventuali argomenti difensivi basati sulla riforma 2024 valgono solo per gli anni da lì in avanti.

Conclusione su accertamento: l’avviso di accertamento è un atto complesso, che in materia estera cumula aspetti reddituali, patrimoniali e sanzionatori. È il risultato di un percorso istruttorio spesso lungo. Dal punto di vista del contribuente che lo riceve, il suo arrivo segna l’apertura ufficiale del contendibile: da qui in poi scatteranno i termini per reagire e le opportunità per ridurre il danno. Nel prossimo capitolo affronteremo proprio le strategie di difesa, distinguendo tra fase amministrativa (prima del processo) e fase del contenzioso vero e proprio, indicando gli strumenti a disposizione per far valere le proprie ragioni e, se possibile, chiudere la vicenda con il minor esborso possibile.

Strumenti di difesa del contribuente: fase amministrativa e contenziosa

Di fronte a un avviso di accertamento per redditi/conti esteri, il contribuente ha a disposizione una serie di strumenti per difendersi, alcuni attivabili prima di arrivare davanti al giudice (fase amministrativa), altri nell’ambito del ricorso in Commissione Tributaria (fase contenziosa). In questa sezione illustriamo le principali strategie difensive e accorgimenti, tenendo presente che spesso una combinazione di più strumenti consente l’esito migliore. L’obiettivo del contribuente-debitore è anzitutto sospendere o ridurre la pretesa fiscale ed evitare, ove possibile, l’irrogazione di sanzioni massime o effetti penali.

Difesa in fase pre-contenziosa (amministrativa)

1. Istanza di autotutela: appena ricevuto l’avviso, il contribuente (direttamente o tramite il suo consulente) può presentare una memoria all’ufficio che ha emesso l’atto, evidenziando eventuali errori palesi o fatti nuovi e chiedendo l’annullamento totale o parziale in autotutela. L’autotutela è un potere/dovere dell’amministrazione di correggere i propri errori. Ad esempio, se l’accertamento scaturisce da uno scambio di informazioni errato (magari omonimia, o importi in valuta male interpretati) e il contribuente fornisce la prova documentale dell’errore, l’ufficio può annullare d’ufficio l’atto, senza bisogno di andare in giudizio. Ovviamente, l’autotutela è discrezionale e in presenza di contestazioni sostenibili raramente l’Agenzia rinuncia del tutto alla pretesa. Tuttavia, con una buona documentazione, è possibile ottenere in autotutela sgravio di parti dell’accertamento. Ad esempio, se l’atto ha tassato €100.000 considerandoli redditi non dichiarati, ma il contribuente mostra che €80.000 erano trasferimenti da conti italiani già tassati, l’ufficio ben potrebbe ridurre la pretesa a soli €20.000. Nel 2024 la stessa Agenzia, con circolare n. 21/E, ha incoraggiato un maggiore uso dell’autotutela per evitare contenziosi inutili in presenza di errori evidenti. Dunque vale la pena tentare questa strada, magari segnalando la disponibilità a esibire documenti e chiarire.

2. Accertamento con adesione: è uno strumento molto utile per deflazionare la lite. Consiste in una procedura di negoziazione con l’Ufficio, disciplinata dal D.Lgs. 218/1997, che il contribuente può attivare presentando un’istanza entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso. L’istanza di adesione sospende per 90 giorni il termine per fare ricorso. In questo periodo, l’ufficio convoca il contribuente per un contraddittorio orale, in cui si discute la pretesa e si può pervenire a un accordo sull’ammontare dovuto. I vantaggi dell’adesione:

  • Le sanzioni vengono automaticamente ridotte a 1/3 del minimo (in luogo di 1/2 in caso di soccombenza giudiziale). Quindi, ad es., una sanzione infedele dal 90% si riduce al 30%.
  • Si evita il contenzioso e si può rateizzare il dovuto fino a 8 rate trimestrali (se >€50.000, altrimenti 6 rate).
  • Si può discutere direttamente con chi ha emesso l’atto, portando nuovi elementi che magari non erano stati valutati.

Nel nostro contesto, l’adesione può essere l’occasione per ridurre il quantum. Spesso l’Agenzia è disponibile a rivedere in diminuzione la pretesa su punti discrezionali (ad es. accogliere parzialmente le prove sulla provenienza dei fondi esteri, o riconoscere per buona pace la residenza estera per un anno su due contestati). Ovviamente molto dipende dalla forza delle prove che il contribuente porta: più sono convincenti, più l’ufficio temerà di perdere in giudizio e quindi sarà conciliante. Va però anche considerato che, se l’ufficio ritiene l’atto solido, in adesione potrebbe chiedere al contribuente di rinunciare a qualcosa in cambio di uno sconto sulle sanzioni – cosa che avverrebbe comunque col ricorso, ma con costi e tempi maggiori.

Esempio: Tizio ha accertamento per €200k redditi non dichiarati. Porta prove che la metà sono da risparmi tassati. L’ufficio in adesione potrebbe dire: “Ok, riconosciamo €100k non imponibili, sugli altri €100k applichiamo sanzioni al minimo 1/3”. Così Tizio pagherebbe imposte su 100k più sanzioni 30%, contro l’alternativa di ricorrere e rischiare sanzione 90% su 200k se perdesse. L’adesione formalizzata produce un atto di adesione con gli importi concordati, non impugnabile, da pagare entro 20 giorni (prima rata). Se il contribuente non paga, l’adesione decade e resta valido l’originario avviso (che però a quel punto potrebbe essere fuori tempo per ricorso).

3. Reclamo e mediazione tributaria: se il valore dell’accertamento (imposte + interessi senza sanzioni) non supera €50.000, l’eventuale ricorso introduttivo ha automatica valenza di reclamo/istanza di mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). In pratica, per controversie minori, prima che la causa inizi il contribuente deve formulare un’proposta di mediazione all’Agenzia, tipicamente una richiesta di annullamento parziale. L’ufficio centrale, diverso da quello locale che ha emesso l’atto, valuta la fondatezza e può accogliere in tutto o in parte la proposta entro 90 giorni. Se accoglie parzialmente, formula un accordo con riduzione delle sanzioni al 35% (in mediazione c’è questo ulteriore bonus). Ad esempio, per un piccolo conto estero con imposte evase €10k, l’ufficio potrebbe in sede di mediazione offrire di chiudere a €8k imposte e sanzioni ridotte al 35% (invece del 90-180%). La mediazione è dunque uno strumento da sfruttare nelle cause di minor entità: nel contesto di conti esteri, capita spesso per omesse dichiarazioni di conti con poche decine di migliaia di euro.

4. Sospensione della riscossione: L’avviso di accertamento, trascorsi 60 giorni senza ricorso né pagamento, diventa esecutivo e le somme vengono affidate all’Agente della Riscossione. Ciò significa che, in mancanza di impugnazione, dopo due mesi Equitalia (o chi per essa) può iniziare a riscuotere coattivamente. Se invece si presenta ricorso, la legge prevede una sorta di “sospensione legale” per cui intanto si paga solo 1/3 delle imposte accertate (come accennato) e nulla delle sanzioni fino all’esito di primo grado. Tuttavia, per evitare anche il pagamento di quel 1/3 in pendenza di giudizio – o per evitare esecuzioni forzate in caso di somme elevate – il contribuente può chiedere al giudice tributario una sospensione cautelare dell’atto (art. 47 D.Lgs. 546/92). La sospensione viene concessa in presenza di fumus boni iuris (motivi di ricorso non pretestuosi, con chance di vittoria) e periculum in mora (danno grave e irreparabile se si pagasse subito). Ad esempio, se l’accertamento è per €1 milione e il contribuente dimostra di non avere liquidità né beni facilmente liquidabili, il pagamento provocherebbe la cessazione dell’attività o il fallimento: il giudice può sospendere l’esecuzione fino alla sentenza di primo grado. La sospensiva si richiede con istanza ad hoc nel ricorso e viene decisa di solito in 2-3 mesi dall’istanza. Se accolta, blocca la riscossione dell’intera pretesa (o di parte, a discrezione) fino alla pronuncia in primo grado.

Va notato che, se si avvia un confronto con l’ufficio (adesione/mediazione), conviene non lasciar scadere i 60 giorni senza far nulla, altrimenti l’atto diviene definitivo. Presentando l’istanza di adesione, i 60 gg sono sospesi di 90, dando tempo per l’eventuale accordo. Se poi l’accordo non si trova, occorre presentare ricorso entro il nuovo termine prorogato.

5. Verifica di vizi formali e procedurali: Sempre in fase pre-contenziosa, un buon difensore controllerà se l’accertamento presenta vizi formali (notifica errata, difetto di motivazione, firma non autorizzata) o vizi procedurali (omessa attivazione del contraddittorio obbligatorio, mancato rispetto di termini perentori di garanzia, ecc.). Alcuni esempi: se l’ufficio doveva inviare un questionario e non l’ha fatto violando il diritto al contraddittorio preventivo (in certe materie la Cassazione l’ha ritenuto essenziale), ciò può essere motivo per annullare l’atto. Oppure se l’avviso è firmato da un funzionario privo di delega valida. O ancora, se è privo di sottoscrizione (nullo ex art. 42 DPR 600/73). Questi aspetti vanno evidenziati eventualmente già in sede di adesione o reclamo, per spingere l’ufficio a valutare il rischio di soccombenza.

Riassumendo la fase amministrativa: il contribuente ha l’opportunità di interloquire con l’Agenzia e magari negoziare una soluzione prima di affrontare il giudizio. Spesso conviene sfruttare tali strumenti perché possono portare a risultati più rapidi e certi (un accordo) rispetto all’esito incerto e lontano di una sentenza. Ovviamente se la pretesa è ritenuta totalmente infondata e l’ufficio non sente ragioni, si dovrà passare alla fase contenziosa, di cui ora parliamo.

Difesa in fase contenziosa (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria)

Se non si raggiunge un accordo con l’ufficio, il contribuente deve necessariamente proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (il nuovo nome delle ex Commissioni Tributarie Provinciali) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o dal termine più ampio se sospeso da adesione). La fase contenziosa segue regole processuali precise (D.Lgs. 546/1992 e L. 130/2022 per la riforma).

Predisposizione del ricorso: Il ricorso è un atto scritto, a firma del difensore abilitato (obbligatorio se valore > €3.000), in cui si espongono i motivi di impugnazione. Nei casi di accertamenti su redditi esteri, i motivi tipici saranno, ad esempio:

  • Erronea qualificazione della residenza fiscale: sostenere che il contribuente era residente all’estero e non in Italia, quindi non doveva dichiarare i redditi esteri. Qui si porteranno tutte le prove (contratti di casa a Cipro, iscrizione AIRE, tessera sanitaria cipriota, ecc.) per dimostrare che secondo i criteri di fatto e convenzionali, la residenza era a Cipro.
  • Violazione della Convenzione contro le doppie imposizioni: eccepire che l’atto ignora il Trattato, il quale assegna la tassazione esclusiva a Cipro per quei redditi, e quindi l’avviso è contra legem (si citano anche sentenze Cass. che ribadiscono la prevalenza del Trattato).
  • Mancanza di prova su redditi presunti: contestare la presunzione che i capitali fossero redditi evasI, evidenziando l’assenza di elementi concreti. Si può sostenere che l’art. 32 DPR 600/73, pur dando presunzioni sui movimenti bancari, è stato applicato in modo indiscriminato. Se ad esempio l’ufficio ha trattato come reddito un bonifico di trasferimento da un conto italiano (dunque non nuovo reddito, ma mero spostamento di fondi), ciò va fatto notare con prove.
  • Doppia imposizione economica / credito d’imposta negato: se il Fisco italiano tassa qualcosa già tassato a Cipro (e non riconosce il credito), si chiede al giudice di ridurre l’accertamento accordando il credito ex art. 165 TUIR.
  • Errori di calcolo e vizi formali: qualsiasi errore matematico (numeri sbagliati) va evidenziato. Così come i vizi formali (omessa motivazione sufficiente, vedi prima, o altri).
  • Sproporzione eccessiva delle sanzioni: anche se l’eventuale accertamento nel merito fosse confermato, si può chiedere al giudice la riduzione delle sanzioni per obiettiva incertezza o buona fede. Ad esempio, se la normativa era poco chiara (nel caso di trust le regole sono state confuse per anni), si può invocare l’esimente dell’ignoranza inevitabile. Oppure chiedere il cumulo giuridico se l’ufficio ha sommato sanzioni duplicando fattispecie unitarie.

Onere della prova in giudizio: Un aspetto cruciale nel processo tributario è chi deve provare cosa. E qui vale la pena citare una rilevante innovazione della Legge 130/2022, art. 6, che ha introdotto nell’art. 7 D.Lgs. 546/92 il comma 5-bis: “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. … Il giudice annulla l’atto se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o insufficiente …”. Questo significa che ora è esplicitamente sancito che spetta al Fisco dimostrare in causa la fondatezza della pretesa, altrimenti l’atto va annullato. Nel nostro caso, l’Agenzia dovrà portare prove di ciò che afferma: se sostiene che il soggetto era residente in Italia, dovrà esibire gli elementi raccolti (es. ingressi in Italia, famiglia, consumi, ecc.) e convincere il giudice. Se sostiene che i soldi sul conto sono reddito non dichiarato, dovrà mostrare gli indizi (mancata giustificazione da parte del contribuente, disallineamenti con redditi dichiarati, ecc.). Il contribuente dal canto suo deve provare le esimenti o i fatti contrari: ad esempio, se afferma che quei soldi erano frutto di redditi tassati, deve produrre le dichiarazioni o documenti che lo provino; se afferma di aver avuto il centro interessi a Cipro, deve documentare tutto ciò che supporta tale tesi (contratti abitazione, iscrizioni locali, testimonianze, ecc.). Nel processo tributario non valgono testimonianze orali (sono vietate), quindi tutto deve risultare da documenti. Il giudice valuterà gli elementi portati da entrambe le parti. Se l’Amministrazione non fornisce prova sufficiente e puntuale, il giudice deve annullare l’atto.

Discussione in udienza: Dopo il deposito del ricorso, l’Agenzia resiste con un suo atto di controdeduzioni, e la causa andrà a decisione. Dal 2023 le Corti Tributarie sono composte anche da giudici togati professionali, il che dovrebbe migliorare la qualità delle pronunce. In udienza, il difensore potrà evidenziare al collegio i punti salienti: ad esempio, sottolineare eventuali precedenti di Cassazione favorevoli (oggi i giudici tributari sono tenuti a uniformarsi alla giurisprudenza di legittimità consolidata). A tal proposito, citare sentenze della Corte di Cassazione pertinenti è sempre utile. Ad esempio:

  • Cass. n. 32255/2018: afferma che l’iscrizione AIRE non salva se la vita resta in Italia (a sostegno del Fisco).
  • Cass. n. 14434/2019: afferma che il Fisco deve provare l’intento elusivo nell’esterovestizione (a sostegno contribuente).
  • Cass. n. 25795/2019: sulla non punibilità penale dell’abuso (già visto).
  • Cass. n. 21694/2020: sul trust interposto e tassazione al disponente.
  • Cass. n. 4394/2021: sul riparto onere prova in caso di movimenti finanziari esteri, ecc.
  • Cass. n. 15520/2017: sulla necessità di motivare l’accertamento spiegando perché i documenti del contribuente non sono stati ritenuti idonei (principio di leale collaborazione).

Naturalmente, un elenco potrebbe continuare; l’importante è che il difensore mostri come la situazione concreta del proprio cliente differisca da un mero caso di evasione: evidenziare ad esempio che “non siamo di fronte a capitali occulti di provenienza ignota, ma a risparmi tracciati e legalmente detenuti, come provato dai bonifici prodotti”, oppure “il contribuente ha realmente vissuto e lavorato a Cipro, come risulta dal contratto di lavoro estero, ergo non può essere tassato in Italia in virtù dell’art. 4 della Convenzione”. Questa narrativa, sostenuta da prove, serve a convincere il giudice.

Esito del primo grado: la Corte Tributaria può accogliere in toto il ricorso (annullando l’avviso), accoglierlo parzialmente (annullando solo in parte o rideterminando il dovuto) oppure respingerlo (convalidando l’accertamento). Se il ricorso è accolto (integralmente o parzialmente), l’atto viene annullato e cessano gli effetti (le somme già eventualmente versate vanno restituite). Se invece il ricorso è respinto, il contribuente può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (l’ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Per l’appello vale la regola che bisogna versare, entro 30 giorni dalla notifica di esito primo grado, un importo pari al 2/3 delle maggiori imposte accertate (tenendo conto di quanto già versato come 1/3 eventualmente) per evitare azioni esecutive durante il secondo grado. Anche in appello è possibile chiedere sospensione se il pagamento di 2/3 arrecherebbe grave danno.

Transazione e conciliazione: durante il processo, è possibile chiudere la lite con conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. 546). È simile all’adesione ma avviene davanti al giudice: le parti (Agenzia e contribuente) possono accordarsi per una somma, stendere un verbale e la controversia si chiude con sanzioni ridotte al 40% in primo grado (o 50% in appello). Spesso, se nuove prove emergono in giudizio e l’ufficio comprende che forse ha sopravvalutato la pretesa, si può proporre una conciliazione su importi minori. Ad esempio, se grazie alle prove del contribuente risulta evidente che almeno il 70% dei capitali era lecito, l’Agenzia potrebbe conciliare riconoscendo quell’importo come non tassabile e chiedendo il resto.

Cassazione: in ultima istanza, dopo l’appello, si può ricorrere in Cassazione ma solo per motivi di diritto (non sul merito delle prove). Questo è oltre lo scopo di questa guida, ma vale sapere che esiste quest’ulteriore livello se sussistono questioni giuridiche controverse (es. interpretazione di norme internazionali, vizi di motivazione della sentenza di appello, ecc.). Cassazione su temi di esterovestizione e residenza estera ne sono arrivate molte, segno che spesso le liti arrivano fino in fondo.

Strategie difensive mirate alle contestazioni estere

Facciamo ora un focus su alcune linee difensive specifiche legate ai redditi esteri:

  • Dimostrare la provenienza dei fondi esteri: se il fulcro dell’accertamento è “hai soldi a Cipro che non ci spieghi, quindi li tassiamo”, la miglior difesa è fornire una pista documentale. Ciò può includere: copia di bonifici da conti italiani (a dimostrazione che i soldi erano già tassati in origine), contratti di vendita di immobili o aziende da cui quei capitali provengono, attestazioni di eredità, donazione o vincite. Qualsiasi documento che colleghi i fondi a un evento noto e fiscalmente regolare rompe la presunzione dell’ufficio. Se il contribuente riesce a ricostruire analiticamente afflussi e deflussi del conto estero, evidenziando che nulla proviene da “business in nero”, il giudice molto probabilmente accoglierà queste prove e annullerà (in tutto o in parte) l’accertamento. Importante: le prove vanno organizzate in modo chiaro (magari con tabelle riepilogative allegate al ricorso, vedi oltre) e vanno preferibilmente tradotte se in lingua straniera (i documenti bancari da Cipro possono essere in inglese; una traduzione giurata aiuta la comprensione al giudice).
  • Prova della residenza estera effettiva: se l’accertamento si basa sul contestare la residenza, qui la partita probatoria è più qualitativa. Bisogna convincere il giudice che, al di là delle formalità, la vita del contribuente era davvero a Cipro. Prove efficaci sono: certificato di residenza fiscale emesso dall’autorità cipriota per gli anni in questione; contratto di locazione o acquisto di casa a Cipro con bollette e spese che mostrano utilizzo (meglio se accompagnate da ricevute, utility bills); iscrizione al servizio sanitario cipriota o a assicurazioni mediche lì; buste paga o ricevute di compensi per lavoro svolto a Cipro; iscrizione a club, associazioni locali, eventuale possesso di auto con immatricolazione cipriota; biglietti aerei e timbri sul passaporto a dimostrazione che il soggetto era fisicamente a Cipro per la maggior parte del tempo (quest’ultimo aspetto, ora che non c’è più controllo passaporti in UE, può essere integrato da estratti carta di credito che mostrano spese quotidiane fatte sul territorio cipriota). Tutte queste evidenze, se ben presentate, possono sovvertire le presunzioni avverse. Ad esempio, la Cassazione ha annullato accertamenti a chi, pur trasferito in black list, mostrava bollette e contratti che provavano il centro di interessi all’estero. Il giudice di merito ha piena facoltà di valutare le prove e decidere: se giudica che, in base ai documenti, la persona aveva effettivamente spostato il suo domicilio a Cipro, dichiarerà illegittimo l’accertamento (perché quei redditi esteri non spettavano all’Italia). Attenzione però: se emergono forti legami con l’Italia (es. famiglia rimasta in Italia, aziende controllate in Italia), il Fisco potrebbe convincere il giudice che la residenza era rimasta in patria. La difesa dovrà in tal caso puntualizzare eventuali circostanze attenuanti (es. “sì la moglie era in Italia per lavoro ma il contribuente faceva spola ed era comunque più spesso a Cipro che in Italia, come da registri voli”). Non sempre è facile, e i casi di espatri fittizi con famiglia lasciata indietro sono tra i più ostici da difendere, data la giurisprudenza sfavorevole.
  • Contestare la natura di abuso del diritto: se l’atto accusa il contribuente di aver costruito artifici elusivi (es. costituzione di società a Cipro per abbattere tasse), la difesa deve evidenziare le ragioni economiche che giustificano quelle operazioni. Ad esempio: “la società cipriota è stata costituita per servire clienti del mercato medio-orientale con maggiore efficienza logistico-commerciale, come prova il fatto che ha uffici e personale e fattura per servizi reali; non vi è prova che sia un guscio vuoto”. Oppure: “il trust a Cipro è stato istituito per tutela patrimoniale familiare e non ha comportato alcun risparmio d’imposta, come confermato dal fatto che i redditi generati sono stati tassati in capo ai beneficiari”. La norma sull’abuso (art. 10-bis L. 212/2000) tutela il contribuente se egli dimostra che l’operazione aveva motivi extrafiscali non marginali (gestionali, organizzativi) e che i vantaggi fiscali ottenuti non sono contrari alla ratio delle norme. Nei casi di strutture estere, questo si traduce in: provare che la struttura aveva una funzione operativa reale e non era creata solo per risparmio d’imposta. Se la prova riesce, l’accertamento per abuso va annullato, poiché i vantaggi fiscali leciti non possono essere disconosciuti. Inoltre, come già detto, l’abuso non è sanzionabile penalmente né con sanzioni amministrative oltre il tributo dovuto. Quindi, se si riesce a ricondurre la contestazione nell’alveo dell’elusione (e non dell’evasione), quantomeno si potrebbe ottenere dal giudice l’annullamento delle sanzioni (perché l’abuso comporta solo recupero tributi, sanzione amministrativa al 90% normalmente, ma talora i giudici la disapplicano per incertezza).
  • Documentare il pagamento delle imposte estere: se il contribuente ha già pagato tasse a Cipro su un reddito e ciò non è stato considerato nell’accertamento, è essenziale presentare ricevute, modelli di versamento o certificati dell’autorità cipriota attestanti l’importo pagato e la natura dell’imposta. Il giudice potrà così disporre la spettanza del credito d’imposta ex art. 165 TUIR. Ad esempio, un caso classico: redditi da pensione italiana tassati in Italia mentre il pensionato si era trasferito a Cipro e la Convenzione li assegnava a Cipro (ipotesi di recente accordo per pensionati esteri). Se l’Italia li ha ritassati, il pensionato può chiedere rimborso o sgravio presentando prova di aver pagato l’imposta a Cipro.
  • Eccepire la non imponibilità di componenti patrimoniali: in un trust, ad esempio, se l’accertamento tassa l’intero ammontare distribuito, il difensore potrebbe sostenere che una parte rappresenta capitale originario non tassabile (principio sancito dalla Corte Costituzionale n. 120/2023 sulla tassazione trust). Similmente, se viene tassata come reddito una somma che era un prestito restitutito, va evidenziato che non è reddito ma mera movimentazione patrimoniale.

In sede processuale, oltre a difendere, il contribuente può talvolta offrire soluzioni transattive: per esempio potrebbe dichiararsi disposto a versare una certa imposta ma chiedere la disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza. Questo talvolta induce il giudice a cercare una conciliazione o a decidere equitativamente (entro i margini concessi – in materia tributaria pura non c’è equità, ma nella determinazione di alcune sanzioni o nel riconoscere circostanze attenuanti c’è margine).

Prospettive e conclusione sulla difesa

Affrontare un avviso di accertamento per redditi esteri (nello specifico per conti o redditi a Cipro) richiede un approccio multidisciplinare: conoscenza delle norme interne, padronanza dei trattati internazionali, capacità di analisi contabile dei movimenti finanziari e, non ultimo, competenza nel contenzioso tributario. Dal punto di vista del contribuente, ogni documento e ogni comportamento pregresso possono fare la differenza. Una difesa efficace si prepara spesso prima ancora che l’accertamento arrivi, tenendo in ordine la documentazione, rispondendo ai questionari e magari avvalendosi di strumenti come la voluntary disclosure (che in passato ha permesso a molti di regolarizzare conti esteri evitando guai). Oggi, in assenza di programmi di disclosure aperti, resta fondamentale il ravvedimento operoso anticipato e, se l’accertamento è ormai in corso, la collaborazione qualificata con l’ufficio.

Nel prossimo paragrafo illustreremo alcuni casi concreti (simulazioni) che aiutano a calare questi principi nella realtà quotidiana: vedremo come potrebbe evolvere la situazione di Tizio, Caio & Co. alle prese con problemi di conti e redditi a Cipro, e come le difese teoriche si traducano in esiti pratici.

Esempi pratici

Per comprendere meglio come applicare nella pratica le difese e i principi esposti, analizziamo alcuni casi ipotetici rappresentativi. Queste simulazioni (ambientate con soggetti di fantasia, ma basate su situazioni comuni) illustrano l’interazione tra contribuente e Fisco e l’esito potenziale delle contestazioni. Tutti gli esempi riguardano contribuenti italiani in relazione con Cipro, e verranno esaminati dal punto di vista del contribuente.

Esempio 1: Conto corrente estero non dichiarato

Scenario: Tizio, residente a Milano, detiene dal 2018 un conto corrente a Nicosia (Cipro) su cui ha depositato €300.000 trasferiti negli anni. Tizio non ha mai indicato il conto in Quadro RW né i piccoli interessi maturati (circa €2.000 annui). Nel 2024 riceve una lettera di compliance dall’Agenzia che segnala il conto estero non dichiarato (informazione ricevuta via CRS). Tizio ignora la lettera. Nel luglio 2025 gli viene notificato un avviso di accertamento per gli anni d’imposta 2018-2021, con contestazione di:

  • Omessa dichiarazione del conto estero (€300k) con sanzione RW al 3% annuo (totale sanzioni €36.000, 4 anni).
  • Recupero a tassazione degli interessi non dichiarati (€2k×4= €8k imponibili) con IRPEF dovuta €2k e sanzione infedele 90% (€1.800).
  • Presunzione che il capitale di €300k derivi da redditi sottratti a tassazione: l’ufficio lo qualifica come reddito diverso 2018 per €300k, tassato con aliquota marginale 43% (€129k imposta) più sanzione omessa dichiarazione 120% (€154.8k).
    In totale, l’avviso chiede circa €129k+€2k=€131k imposte, e sanzioni per circa €192.6k, oltre interessi.

Difesa: Tizio si rivolge a un legale. Dalle analisi emerge che i €300k depositati derivano per €200k dalla vendita di un immobile ereditato (venduto nel 2017, importo già esente in Italia) e per €100k da risparmi di redditi dichiarati in Italia fino al 2018. Viene anche alla luce che Tizio nel 2015 aveva fatto rimpatriare temporaneamente quei fondi con lo scudo fiscale (pagando l’aliquota del 5%), poi reinvestiti all’estero. Quindi in sostanza il capitale è frutto di soldi già tassati (o esenti). La difesa:

  • Presenta in autotutela documentazione della provenienza: atto di vendita della casa ereditata e dichiarazioni dei redditi pregresse di Tizio con evidenza di redditi risparmiati. Chiede l’annullamento della parte di €300k come reddito.
  • L’ufficio, di fronte alle prove, annulla in autotutela parzialmente l’atto: elimina l’imponibile di €300k e la relativa imposta/sanzione. Rimane l’omessa dichiarazione RW e gli interessi non dichiarati.
  • Su queste residue contestazioni (RW e interessi), Tizio avvia accertamento con adesione. Durante l’adesione evidenzia che ha ricevuto tardivamente (nel 2025) la lettera di compliance per cui non ha potuto ravvedersi in tempo, e che in fondo i interessi non dichiarati erano modesti e dovuti a ignoranza non dolosa.
  • L’ufficio accetta di applicare sanzioni al minimo: per RW riduce al 3% (che era già il minimo edittale) ma concede l’applicazione per un solo anno (in luogo di 4, considerando l’unitarietà della violazione) = sanzione RW €9.000. Per gli interessi non dichiarati applica sanzione infedele ridotta 1/3 (tramite adesione) = 30% su €2k = €600.
  • Tizio sottoscrive l’adesione: paga l’IRPEF sugli interessi (€2k) più IVAFE arretrata (l’ufficio gliel’ha calcolata per scrupolo: circa €600 totali per i vari anni) e sanzioni €9.600. Somma totale sui €300k: circa €12.200, senza alcuna implicazione penale perché le imposte evase erano sotto soglia e comunque il capitale è risultato di fonte lecita.

Esito: Tizio riesce a regolarizzare la posizione con un esborso relativamente contenuto, evitando il contenzioso. L’importante è stato aver documentato la provenienza dei fondi: questo ha convinto l’Agenzia a non insistere sulla parte più onerosa (presunzione di redditi evasi). Ora Tizio dichiara regolarmente il conto e versa IVAFE annuale. Il caso mostra come, se i capitali esteri hanno origine spiegabile, il contribuente può evitare conseguenze drammatiche presentando le prove giuste (preferibilmente fin dall’autotutela o adesione). Mostra anche che l’omessa dichiarazione RW di per sé è costosa (3% annuo) ma non devastante se affrontata per tempo; diversamente, ignorare gli inviti iniziali avrebbe esposto Tizio a rischiare un atto molto più pesante.

Esempio 2: Trasferimento di residenza a Cipro contestato

Scenario: Caia, imprenditrice digitale, si trasferisce a Limassol (Cipro) nel 2022 aderendo al regime Non-Dom cipriota (che le assicura esenzione sui redditi di fonte estera per 17 anni). Si iscrive all’AIRE e affitta un appartamento a Limassol. Tuttavia, la sua startup continua ad operare anche in Italia e Caia torna spesso a Milano (in totale ~170 giorni nel 2023). La famiglia (marito e figli) l’ha seguita a Cipro. Caia presenta dichiarazione dei redditi in Italia per il 2022 indicando solo alcuni redditi immobiliari italiani, ma omette di dichiarare i dividendi percepiti da una società estera (ritenendoli esenti per via del regime non-dom cipriota e credendo di non doverli dichiarare in Italia perché ormai residente a Cipro). Nel 2024 riceve un questionario dall’Agenzia delle Entrate che chiede dettagli sul trasferimento estero e i redditi. Caia risponde inviando certificato di residenza fiscale cipriota 2022, contratto affitto a Limassol, certificati iscrizione figli a scuola cipriota, e spiega di aver pagato flat tax cipriota (in realtà pari a zero sulle fonti estere). A fine 2024 l’Agenzia notifica un avviso di accertamento per l’anno 2022 contestando che:

  • Caia va considerata ancora residente fiscale in Italia nel 2022 ai sensi art. 2 TUIR, in quanto – pur AIRE – avrebbe trascorso gran parte dell’anno in Italia (l’Agenzia sostiene 200 giorni, includendo anche alcuni viaggi brevi non contati da Caia) e mantenuto interessi economici in Italia (la startup con sede a Milano).
  • Pertanto, recupera a tassazione i dividendi esteri (€50.000) che Caia aveva percepito da una società inglese nel 2022, applicando l’IRPEF al 43% (€21.500 imposta) + sanzione infedele 90% (€19.350).
  • Inoltre, contesta omessa dichiarazione quadro RW per degli investimenti finanziari a Cipro (conto titoli da €100k) con sanzione 3% = €3.000.
  • Non applica raddoppio termini perché 2022 è già entro 5 anni.

Totale richiesto: imposte €21.500, sanzioni ~€22.350, interessi.

Difesa: Caia decide di impugnare l’atto (non essendo l’importo troppo alto, salta l’adesione sperando nell’annullamento completo). I punti di difesa:

  • Caia documenta con estratti passaporto e biglietti che in realtà i giorni in Italia nel 2022 furono 160 (le contestano 200 contando anche la quarantena pre-partenza). Mostra che dopo il trasferimento a gennaio 2022, è rientrata solo episodicamente.
  • Sottolinea che l’intera famiglia e casa erano a Cipro: centro interessi familiari spostato.
  • Invoca la Convenzione Italia-Cipro: secondo il tie-breaker, avendo casa permanente solo a Cipro nel 2022 (in Italia aveva venduto la precedente abitazione) e lì vivendo con la famiglia, andrebbe considerata residente di Cipro. Anche se ha passato alcuni mesi in Italia, il centro vitale di interessi era oramai all’estero (presenta iscrizioni ad associazioni professionali a Cipro, ricevute spese locali).
  • In subordine, argomenta che i dividendi UK sarebbero stati esenti a Cipro e comunque, essendo stati percepiti mentre era effettivamente fuori Italia, quantomeno sarebbe ingiusto sanzionarla; chiede la disapplicazione delle sanzioni per incertezza.
  • Per il quadro RW, evidenzia che era convinta di non doverlo presentare essendosi trasferita (errore scusabile vista la situazione borderline), e chiede almeno riduzione sanzione al minimo.

Il caso va in Commissione. L’Agenzia difende l’atto sostenendo che Caia, pur trasferita, era comunque presente oltre metà anno (portando dati di localizzazione telefonica discutibili) e che la sede affari (startup) era in Italia, quindi criteri art. 4 CDI la farebbero residente in Italia. Inoltre enfatizza che Caia non ha dichiarato volontariamente i redditi esteri, quindi non merita clemenza sanzionatoria.

Sentenza: la Corte di Giustizia Tributaria valuta tutte le prove. Rileva che:

  • Caia ha abitazione permanente solo a Cipro (in Italia viveva in hotel durante le visite di lavoro).
  • La famiglia è a Cipro (forte elemento a favore).
  • I giorni di permanenza, non essendo stato introdotto ancora il criterio 183gg come autonomo (2022 è ante riforma), vanno considerati come elemento di fatto ma non decisivo da solo. La Corte ritiene non provato oltre ogni dubbio che Caia fosse >183 gg in Italia (le prove dell’Agenzia sono contestate).
  • In base alla Convenzione, applica il criterio del center of vital interests: qui i legami personali (famiglia) e abitativi puntano su Cipro, quelli economici sono misti (startup in Italia, ma Caia ha anche attività di consulenza online clienti esteri gestita da Cipro).
  • Propende quindi nel considerare Caia residente in Cipro per il 2022 ai fini convenzionali. Di conseguenza, l’Italia non può tassare i redditi esteri. La Corte annulla l’avviso nella parte reddituale (i €50k dividendi).
  • Riguardo alle sanzioni RW, però, osserva che l’obbligo di monitoraggio per il periodo in cui Caia era ancora iscritta in AIRE (e comunque formalmente residente per legge interna fino a decisione contraria) sussisteva. Tuttavia, essendo stata ritenuta residente di Cipro ex convenzione, la Corte ritiene non dovuta l’IVAFE (perché soggetto non residente in base al giudizio).
  • Dunque annulla anche la sanzione RW, oppure in alternativa potrebbe dichiarare che non dovendo Caia dichiarare nulla in Italia non c’era obbligo RW. (La giurisprudenza su questo è dibattuta: se uno è residente per legge interna ma poi convenzionalmente estero, il monitoraggio è formalmente obbligatorio? Tendenzialmente no, perché se convenzionalmente estero non è considerato fiscalmente residente).
  • La sentenza, in sostanza, dà ragione a Caia sul punto principale della residenza estera genuina e la libera da tassazione italiana 2022.

L’Agenzia non appella (capita se la motivazione del giudice è ben argomentata e il rischio di perdere in appello è alto). Caia quindi esce vittoriosa, avendo evitato €40k di sanzioni/imposte. Ha però dovuto affrontare un contenzioso e anticipare magari 1/3 provvisoriamente (ma ottenendo sospensione, presumiamo, grazie al fatto che aveva dimostrato di non poter pagare cifre elevate senza intaccare la startup).

Considerazioni: questo esempio mostra come un trasferimento in un paese UE come Cipro, se accompagnato da un effettivo spostamento di vita, possa essere difeso con successo. Il trattato è stato decisivo: pur essendo l’Italia propensa a trattenere Caia nel proprio tax net, la Convenzione l’ha “salvata”. È cruciale notare che Caia aveva fatto le mosse giuste (AIRE, portato famiglia, affitto casa): se avesse lasciato coniuge e casa in Italia, probabilmente avrebbe perso. L’esempio evidenzia anche l’importanza di contestare la residenza se ci sono basi, perché accettare passivamente la pretesa avrebbe comportato pagare imposte su redditi che in Cipro erano esenti: un caso di doppia imposizione che il Trattato serve proprio a evitare.

Esempio 3: Società a Cipro ed esterovestizione

Scenario: Sempronio è titolare al 100% di un’azienda in Italia (Sempronio Srl). Nel 2019 costituisce una seconda società a Cipro (Sempronia Ltd) per commercializzare i prodotti nell’Europa dell’Est. Sempronia Ltd ha sede legale a Nicosia, paga imposta societaria 12.5% sugli utili. Ha un piccolo ufficio condiviso e un amministratore locale fiduciario, ma di fatto le decisioni principali sono prese da Sempronio via email dall’Italia. Nel 2020-2021 Sempronia Ltd realizza utili per €500k complessivi, su cui paga tasse a Cipro (~€62k); tali utili non vengono distribuiti. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica incrociata (sull’azienda italiana), nel 2025 contesta che Sempronia Ltd è esterovestita e in realtà fiscalmente residente in Italia. Emette un avviso di accertamento verso Semprione Srl (ritenendo Sempronia una sua emanazione) recuperando a tassazione i €500k come utili non dichiarati in Italia, con IRES 24% (€120k imposta) + IRAP e sanzioni 90% (€108k). In subordine, qualora non fosse accettata la residenza fittizia, applica la norma CFC (art. 167 TUIR) sempre su €500k, imputandoli a Sempronio persona fisica nel 2020-21 (il quale avrebbe dovuto dichiararli come reddito di capitale). Le sanzioni vengono comminate in via principale alla Srl e in via gradata a Sempronio fisico (non cumulativamente, ma come ipotesi alternative).

Difesa: Situazione intricata. Sempronio si vede aggredito su due fronti. Sceglie la strada giudiziaria, facendo ricorso sia per la Srl sia personalmente (i ricorsi eventualmente verranno riuniti). Linea di difesa:

  • Afferma che Sempronia Ltd non è una costruzione artificiosa: è stata creata per servire meglio i mercati esteri, ha effettivamente concluso contratti in vari paesi dove la Srl italiana non era competitiva. Porta documenti: bilanci di Sempronia, contratti con distributori in Polonia e Grecia firmati dall’amministratore cipriota, spese di viaggio del medesimo, qualche fattura di affitto ufficio e impiego di un part-time. Insomma, prova a delineare una sostanza economica estera.
  • Sostiene che il mero fatto che Sempronio sovrintendeva strategicamente non implica residenza in Italia della società: cita Cass. 20002/2024 che distingue direzione e coordinamento fisiologico vs gestione effettiva. Qui, dice, la controllante italiana esercitava un normale controllo di gruppo, ma la gestione operativa in loco era reale (anche se minima).
  • Sul piano CFC, evidenzia che la società cipriota svolge attività economica vera (non è solo detenzione passiva di utili) e dunque, essendo in UE, non doveva essere imputata per trasparenza: chiede l’applicazione dell’esimente dell’attività economica (prova fornita con contratti, dipendenti seppur pochi, ecc.).
  • In via subordinata, chiede quantomeno il riconoscimento del credito d’imposta per le tasse pagate a Cipro (€62k) da imputare sull’eventuale IRES o IRPEF dovuta in Italia.
  • Sulle sanzioni, argomenta che in anni in cui la normativa era in transizione (2019-2020, pre ATAD) era plausibile ritenere la società come entità separata, e dunque eventuali violazioni sarebbero frutto di incertezza non dolosa (cercando di evitare almeno sanzioni penali: qui si rischia l’omessa dichiarazione di redditi esteri >€50k).

Possibile esito: Il giudice esamina:

  • Se appare convinto che Sempronia abbia un minimo di autonomia (ad es. vede che ha clienti propri esteri, che non era una scatola vuota) e che l’influenza di Sempronio rientrava nell’ordinario coordinamento societario, potrebbe escludere l’esterovestizione. Sposa così la linea di Cass. 1544/2023 citata in Cass. 20002/24: la sede dell’amministrazione non coincide col semplice luogo da cui il socio dirige a livello strategico.
  • Di conseguenza, l’avviso verso la Srl per residenza fittizia verrebbe annullato. Sempronia Ltd rimarrebbe entità estera separata.
  • Resta l’eventuale CFC su Sempronio persona fisica: qui il giudice valuta l’attività economica sostanziale. Data la presenza (anche se minima) di struttura, e l’art. 167 esonera le UE dotate di effettiva attività, potrebbe decidere che non si applica la CFC. Specie considerando che semmai sarebbe toccato al Fisco provare l’assenza di attività sostanziale, e le prove portate dal contribuente hanno confutato l’assunto di “costruzione puramente artificiosa”.
  • Se il giudice è di questo avviso, annullerà anche la ripresa CFC. Quindi Sempronio non dovrà dichiarare nulla.
  • In alternativa, qualora il giudice fosse meno indulgente e ritenesse che in effetti la substance era un po’ scarsina (es. un dipendente fittizio e poco altro), potrebbe confermare la CFC ma annullare l’esterovestizione (riconoscendo comunque che la via penale di dire che era evasione totale è eccessiva, trattandosi semmai di elusione). In tal caso, Sempronio persona fisica dovrebbe assoggettare i €500k come redditi di capitale in Italia nei due anni. Concesso il credito per €62k di imposte pagate a Cipro, pagherebbe la differenza (l’IRPEF su €500k a scaglioni – se tutto in un anno, circa €215k, ma spalmato su 2 anni con progressività; accredito €62k; net circa €153k). Sanzioni in tal caso sarebbero 90% infedele su quell’IRPEF. Tuttavia, il giudice potrebbe considerare che Sempronio si era affidato al consulente locale e magari ridurre le sanzioni per buona fede parziale.
  • In ogni caso, essendo materia antielusiva, non c’è reato (l’accertamento dell’esterovestizione in sé è evasione, ma se il giudice sposta su terreno CFC/abuso, le sanzioni penali cadono).
  • Probabilmente, di fronte all’incertezza, il processo potrebbe chiudersi con conciliazione: l’Agenzia offre a Sempronio di dichiarare ad es. €300k come extra dividendo in Italia (invece di 500k), con sanzioni ridotte al 30-40%. Sempronio, per chiudere, accetta. Così paga, ad es., €300k×24% = €72k imposte (o se persona, tasse relative) meno credito 62k = €10k netti, più sanzioni ridotte (€3k). Un esito molto favorevole per lui. L’Agenzia incassa comunque qualcosa e scongiura una sconfitta completa.

Considerazioni: questo esempio mostra come l’esistenza di sostanza economica in una società estera è la discriminante tra un caso di elusione punibile e un’attività lecita. Sempronio, sebbene abbia agito un po’ al limite (società con presenza minima), è riuscito a portare elementi per difendersi, facendo leva su orientamenti giurisprudenziali che non criminalizzano ogni controllo da parte della capogruppo. Evidenzia l’importanza di allestire le operazioni estere con un minimo di reale operatività: la presenza di veri clienti, amministratori in loco che agiscono, spese locali documentate – tutti dettagli che possono salvare da un’accusa di esterovestizione piena. Rimarca anche il fatto che in ambito UE il contribuente ha frecce al suo arco (Cadbury Schweppes docet) per difendere la scelta di stabilimento all’estero se non è totalmente artificiosa.

Esempio 4: Trust a Cipro con beneficiario italiano

Scenario: Il signor Alfa nel 2015 ha trasferito €2 milioni a un trust costituito a Cipro, con trustee una società locale. Beneficiari del trust sono i suoi due figli (residenti in Italia) al raggiungimento dei 30 anni. Il trust accumula i fondi e li investe in un portafoglio titoli; non paga imposte a Cipro perché qualificato come International Trust esente. Nel 2025 il figlio maggiore compie 30 anni e il trust gli distribuisce €1 milione. Alfa e figli non hanno mai indicato nulla in RW né dichiarato redditi, ritenendo che il trust fosse entità autonoma estera e le distribuzioni “ liberalità” esenti. L’Agenzia delle Entrate viene a conoscenza del trust tramite una segnalazione (scambio info) e notifica nel 2026 un avviso di accertamento al figlio per l’anno 2025, qualificando €1 milione come reddito di capitale ai sensi art. 44 TUIR lett. g-sexies, in quanto distribuzione da trust opaco estero non soggetto a tassazione congrua. Tassazione: IRPEF aliquota massima 43% = €430k imposta, più sanzione infedele 90% = €387k, più interessi. Inoltre, sanzione RW per non aver indicato la posizione trust (3% annuo sul valore max, valore trust €2M, sanz. €60k per 2025). In totale ~€877k più interessi.

Difesa: Il figlio (e Alfa) corrono ai ripari. Alfa sostiene che in realtà il trust era un veicolo per proteggere il patrimonio, ma di fatto egli ne era il gestore di fatto (ha dato direttive al trustee su investimenti ecc.). Questo però peggiora la posizione perché configura interposizione. Consultandosi con avvocati, decidono di non alzare polveroni su interposizione (che porterebbe a tassare Alfa sugli utili 2015-2024 per centinaia di migliaia di redditi capitali). Si concentrano sulla difesa del figlio:

  • Contestano che l’intera somma €1M sia reddito: affermano che in essa è compreso il capitale originariamente conferito dal padre (cioè i €2M iniziali erano patrimonio preesistente). Quindi chiedono di scorporare la quota capitale non tassabile. In assenza di norme chiare, invocano la logica che solo i redditi maturati nel trust (interessi, plusvalenze) dovrebbero essere imponibili, non la mera restituzione del capitale del disponente.
  • Dato che i rendimenti effettivi in 10 anni sono stati di circa €300k, sostengono che al massimo €150k (metà al figlio) potrebbero essere reddito imponibile.
  • In subordine, sollevano la questione che il trust essendo in UE (Cipro) e beneficiando di regime esente, ma comunque essendo un’entità separata, non dovrebbe ricadere nella regola? (Argomento debole, circolare 34/E chiarisce che se anche UE ma esente, la regola si applica).
  • Puntano molto sul fatto che la normativa era ambigua fino a poco fa e sulla buona fede del figlio (che riceve e pensa a una donazione). Chiedono almeno la non applicazione delle sanzioni amministrative (art. 6 comma 2 D.Lgs. 472/97: ignoranza inevitabile).
  • Offrono collaborazione: il figlio è pronto a pagare le imposte sui redditi effettivamente prodotti dal trust, ma non vuole essere tassato sul patrimonio di suo padre che semplicemente transita per trust.
  • Nel frattempo Alfa inizia un procedimento di voluntary disclosure spontanea (se ancora ammessa) per dichiarare l’altro milione destinato al secondo figlio (non ancora scattata l’obbligazione, sperando di mitigare sanzioni su quella parte).

Esito ipotetico: L’Agenzia percepisce il rischio che in giudizio possano ottenere qualcosa sul discorso capitale vs reddito, anche perché c’è stata una recente apertura giurisprudenziale. Decide di conciliare in mediazione:

  • Accetta di tassare solo la parte di reddito generata nel trust. Concordano su €200k imponibile (non hanno i calcoli precisi, ma meglio di niente). IRPEF ~€86k.
  • Sanzioni ridotte al 1/3 per conciliazione = 30% di €86k = €25.8k.
  • Sanzione RW ridotta al minimo €3% e applicata un solo anno = €60k (questo purtroppo rimane sul capitale intero).
  • Totale figlio paga ~€86k+€25.8k+€60k = €171.8k, invece di ~€877k richiesti inizialmente.
  • Si prevede che anche per il secondo figlio faranno simile autoliquidazione, evitando un altro contenzioso.

Considerazioni: Questo esempio evidenzia come i trust esteri possano essere un boomerang se non pianificati con attenzione. La distribuzione ai beneficiari residenti di trust opachi in paradisi fiscali (Cipro qui assimilato a tale per via del regime) viene tassata integralmente. L’unica difesa è sul quantificare cosa è “reddito” in quella distribuzione. Non esiste una formula chiara in legge, quindi si può cercare un compromesso. Inoltre, se il trust appare interposto, il Fisco potrebbe attaccare ancora di più (tassando già Alfa). In questo caso, paradossalmente, il figlio ha optato per difesa quasi ammettendo “non era reddito tutto” piuttosto che “trust valido ma non tassabile”: segno che le normative attuali lasciano poco spazio, specialmente dopo la circ. 34/E che ha chiarito la linea dura. Si nota anche che i beneficiari spesso non sanno di dover dichiarare: l’ignoranza può evitare il penale (non c’è reato di omessa dichiarazione se uno pensava fosse esente per donazione, trattandosi di questione borderline?), ma non toglie le imposte. Anche qui la collaborazione e la proposta ragionevole hanno portato a ridurre il danno via accordo.


Queste simulazioni mostrano la varietà delle situazioni e come, applicando i concetti discussi (onere della prova, trattati, sostanza economica, buona fede, ecc.), si possano modulare gli esiti. Ogni caso ha le sue peculiarità: la difesa del contribuente deve essere cucita su misura, puntando sui punti di forza specifici e riconoscendo i punti deboli dove opportuno (per magari transigere). Nel prossimo capitolo risponderemo ad alcune domande frequenti, per riepilogare i concetti chiave in forma di Q&A.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per avviso di accertamento?
R: È l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente una determinata violazione fiscale, quantificando il maggior imponibile accertato e le imposte, sanzioni e interessi dovuti. Nel contesto estero, può riguardare ad esempio redditi esteri non dichiarati, investimenti non monitorati, residenza fittizia, ecc. Viene notificato generalmente a mezzo PEC o raccomandata ed è immediatamente esecutivo trascorsi 60 giorni (se non impugnato o definito). L’avviso deve motivare le ragioni (fatti e norme) della pretesa; il contribuente ha poi 60 giorni per pagare (con sanzioni ridotte in acquiescenza) o presentare ricorso.

D: Ho ricevuto una richiesta di informazioni sul mio trasferimento all’estero: devo rispondere?
R: Assolutamente sì. Il questionario dell’Agenzia è spesso il primo passo di una verifica. Ignorarlo o rispondere in modo lacunoso può spingere l’ufficio a emettere accertamento in base ai soli dati a sua disposizione, presumendo il peggio. Conviene invece rispondere puntualmente entro il termine indicato (di solito 30 giorni), allegando documenti utili (es. certificato AIRE, contratto di lavoro estero, bollette estere, ecc.). Una risposta completa e collaborativa può talora evitare l’accertamento o indirizzarlo più correttamente. Se il termine è breve e servono più informazioni, è possibile contattare l’ufficio per chiedere una breve proroga motivata.

D: Quali sono le sanzioni per un conto corrente estero non dichiarato?
R: Per l’omessa compilazione del Quadro RW la sanzione amministrativa va dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato (valore del conto o investimento), per ciascun anno. Se il conto è in un Paese black list (non è il caso di Cipro, che è white list), sale al 6%-30%. C’è inoltre una sanzione fissa di €250 se si presenta il RW con ritardo entro 90 giorni. Queste sanzioni sono dovute anche se i redditi del conto fossero esenti o già tassati altrove (perché il monitoraggio è un obbligo a sé). Oltre alle sanzioni RW, attenzione: la legge prevede la presunzione che le somme non dichiarate derivino da redditi evasi, perciò il Fisco potrebbe esigere anche le imposte evase su quegli importi, con relative sanzioni (dal 90% al 180% dell’imposta, a seconda che la dichiarazione fosse infedele o omessa). Infine c’è l’IVAFE: il conto estero sconta imposta dello 0,2% annuo (se >€5.000 di giacenza media) – il mancato versamento comporta sanzione 30% su tale imposta. Non vi sono conseguenze penali solo per il fatto di avere conti non dichiarati (è rilevanza solo amministrativa), salvo che si configuri evasione di imposte > soglia.

D: Come fa il Fisco a scoprire i conti esteri o i redditi a Cipro che non ho dichiarato?
R: Oggi l’Agenzia dispone di potenti strumenti di cooperazione internazionale. In particolare:

  • Lo scambio automatico CRS: ogni anno le autorità di Cipro inviano all’Italia i dati finanziari (saldo, interessi, dividendi) dei conti detenuti da soggetti fiscalmente residenti in Italia. Quindi il Fisco sa dei conti, spesso ancor prima di chiedere.
  • Le indagini finanziarie: l’Agenzia può ottenere da banche italiane traccia di bonifici verso l’estero, e ha accesso ai flussi SWIFT. Se vede uscite di capitali su Cipro non giustificate, approfondisce.
  • Le banche dati: l’Archivio dei rapporti finanziari registra trasferimenti da/per estero sopra €15.000. Inoltre incrociando Anagrafe Tributaria e registri pubblici, può individuare se uno risulta socio di società estere (es. se tale informazione compare in registri di investimenti).
  • Scambio su richiesta: per dettagli, l’Italia può chiedere a Cipro info puntuali: es. estratti conto analitici, elenchi di trust, atti societari. Cipro, essendo UE/Ocse, risponde (non può opporre segreto bancario).
    In sintesi, con il CRS avviato dal 2017 è diventato molto difficile nascondere conti all’estero. Lo testimoniano le tante lettere di compliance e accertamenti partiti in questi anni per conti in Svizzera, San Marino, Montecarlo ma anche in Paesi UE un tempo “dimenticati” (Malta, Cipro, ecc.).

D: Ho trasferito la residenza a Cipro (Paese UE). Posso stare tranquillo che il fisco italiano non mi tassi più?
R: Tranquillo al 100% no. È vero che trasferirsi in un Paese UE come Cipro non fa scattare la presunzione automatica di residenza fittizia (quella vale per black list). Tuttavia l’Italia potrà comunque controllare se il trasferimento è genuino. Se lei ha davvero spostato lì la vita (abitazione, famiglia, lavoro) e in Italia non ha più che interessi minimi, probabilmente non avrà problemi: in caso di controlli, potrà provare la propria situazione e risultare non tassabile in Italia. Se invece mantiene legami significativi con l’Italia (es. casa di proprietà rimasta a disposizione, frequenti permanenze, attività economiche gestite di fatto in Italia), il rischio di accertamento c’è. Il fisco verificherà ad esempio i consumi (utenze, movimenti carte) e la presenza fisica sul territorio. In particolare, dal 2024 il criterio di presenza oltre 183 giorni in Italia è decisivo: se accadesse, anche senza presunzioni, la legge ora direbbe che è residente qui. Inoltre, anche senza superare i 183 giorni, rimane il criterio del centro di interessi vitali: se per ipotesi la famiglia o la principale attività rimangono in Italia, l’Agenzia potrebbe sostenere che la residenza è rimasta italiana (starà poi alla Convenzione dirimere, in base a circostanze). Quindi la risposta è: si può stare ragionevolmente tranquilli solo se il trasferimento a Cipro è effettivo e completo. In caso contrario, meglio adottare cautele: iscriversi all’AIRE subito, limitare la presenza in Italia, non mantenere disponibilità di immobili non affittati, chiudere conti bancari italiani o ridurre i movimenti su essi, ecc., in modo da ridurre gli indizi che il fisco potrebbe utilizzare contro di lei. E ovviamente conservare tutta la documentazione che provi la sua vita a Cipro (bollette, contratti, iscrizioni locali, ecc.) per poterla esibire in caso di controlli.

D: Se sono legalmente residente all’estero (iscritto AIRE) ma il fisco italiano mi considera comunque residente, cosa rischio?
R: In tal caso, l’Agenzia recupererà tutte le imposte italiane sui suoi redditi esteri per gli anni contestati, come se lei fosse sempre stato residente in Italia. Questo può includere:

  • Tassazione IRPEF sui redditi esteri (con aliquote progressive fino al 43%, credito per eventuali imposte pagate all’estero entro i limiti).
  • Sanzioni per omessa o infedele dichiarazione: se lei non ha presentato affatto dichiarazione in Italia, sanzione 120-240% imposte; se l’ha presentata ma omettendo i redditi esteri, 90-180% imposte.
  • Sanzioni monitoraggio: 3-15% annuo sui patrimoni non dichiarati (conti, investimenti), eventualmente raddoppiati se fossero black list.
  • Interessi di mora (circa 3-4% annuo).
  • Penale: se per ciascuna imposta evasa si supera €50k annui (omessa) o €100k (infedele), scatta la denuncia penale. Per espatri fittizi spesso è reato di omessa dichiarazione (in quanti anni >50k evasi). La pena prevista è la reclusione da 2 a 5 anni. Nella pratica, in caso di prima violazione, si finisce spesso per patteggiare con pena sospesa, ma rimane un procedimento penale grave.
    In sintesi, il rischio economico e legale è elevatissimo: si rischia di dover pagare importi enormi (imposte, sanzioni, interessi) magari per più anni, e di avere guai giudiziari. Meglio prevenire tali contestazioni curando la sostanza del trasferimento oppure, se si intravede che la posizione è borderline, valutare programmi di regolarizzazione o rientro dei capitali (in passato vi sono state voluntary disclosure nel 2015-2017, oggi non attive ma potrebbero essercene in futuro) piuttosto che attendere l’accertamento con le sue conseguenze draconiane.

D: Come funziona la Convenzione contro le doppie imposizioni con Cipro? Può proteggermi?
R: La Convenzione (CDI) tra Italia e Cipro serve ad evitare che entrambi i Paesi tassino gli stessi redditi, e contiene criteri per stabilire la residenza fiscale unica in caso di conflitto. Se il contribuente soddisfa le condizioni per essere considerato residente di Cipro ai sensi dell’art. 4 della CDI (abitazione permanente solo a Cipro, centro interessi vitali lì, ecc.), l’Italia deve riconoscerlo e rinunciare alla tassazione mondiale. In altre parole, la Convenzione può far prevalere la residenza cipriota sulla presunzione/norma interna italiana. Tuttavia, deve essere invocata dal contribuente: in sede amministrativa o contenziosa bisogna far presente l’esistenza del Trattato e documentare i requisiti per beneficiarne. L’Agenzia delle Entrate talvolta “ignora” il trattato in prima battuta – il che è un errore – quindi spetta a lei sollevare subito la questione. Ottenere l’applicazione della Convenzione la “protegge” dalla doppia imposizione, ma tenga presente:

  • Deve comunque soddisfare i criteri di residenza a Cipro (es. essere soggetto ivi liable to tax come residente, a nulla rileva che poi Cipro non tassI alcuni redditi).
  • La Convenzione non impedisce all’Italia di tassare i redditi prodotti in Italia anche se lei è residente a Cipro. Ad esempio, un affitto di una casa in Italia rimarrà tassabile in Italia (con credito a Cipro eventualmente).
  • Bisogna essere preparati a dimostrare con fatti la residenza in base ai criteri convenzionali (che come visto coinvolgono aspetti di vita personale ed economica).
    Riassumendo: la CDI è un asso nella manica, ha la prevalenza sulla legge interna, ma va giocato correttamente presentando all’Amministrazione o al giudice gli elementi perché venga applicato.

D: Ho un conto a Cipro su cui non ho mai percepito interessi (saldo sempre fermo). Se non l’ho dichiarato, possono comunque accusarmi di evasione?
R: In assenza di interessi o altri redditi finanziari, non c’è evasione d’imposta sul reddito (perché nulla era imponibile). Tuttavia, c’è comunque la violazione formale di omesso monitoraggio RW, sanzionata come detto con il 3-15% del saldo. Inoltre, se il saldo è significativo, l’Agenzia potrebbe presumere che quel capitale derivi da redditi in nero. È qui che scatta la presunzione legale relativa ex art. 12 D.L. 78/2009 (richiamato dall’art. 5 D.L. 167/90): i patrimoni esteri non dichiarati si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione. Quindi, pur non avendo interessi, potrebbero dire: “il suo conto da €100.000 deriva da redditi evasi per €100.000, li tassiamo come redditi diversi”. Sta a lei dimostrare il contrario, cioè provare che quei soldi derivano ad esempio da risparmi di redditi dichiarati, o da una successione, o da un trasferimento da altro conto italiano già tassato, ecc. Se fornisce prova convincente, l’Ufficio non procederà oltre la sanzione RW; se non fornisce nulla, potrebbe effettivamente subire un accertamento “analitico-induttivo” sul capitale, in genere qualificato come reddito dell’anno in cui il conto è stato alimentato. Dunque, anche senza redditi di capitale, nascondere il conto è pericoloso: meglio regolarizzare spontaneamente (presentando magari una dichiarazione integrativa RW e pagando il dovuto con ravvedimento, se ancora nei termini) per evitare di dover poi giustificare davanti a pretese ben più gravose.

D: Ho dichiarato i redditi esteri di Cipro, ma l’Agenzia li contesta come elusivi. In cosa differisce dall’evasione e come mi difendo?
R: Se l’Agenzia contesta un comportamento come “elusivo” o abuso del diritto, significa che riconosce che lei ha formalmente rispettato le norme, dichiarando i redditi, ma sostiene che ha organizzato ad arte la situazione per ottenere un indebito vantaggio fiscale contrario alla ratio delle norme. Un esempio: lei costituisce due società, una a Cipro e una in Italia, e fa transitare utili nella società cipriota per tassarli meno, poi li riporta in Italia sotto forma di dividendi quasi esenti – dichiarando tutto ma ottenendo un risparmio. Formalmente regolare, ma potenzialmente abuso. La differenza principale è che nell’elusione non c’è violazione esplicita di legge, quindi non c’è sanzione penale e le sanzioni amministrative si applicano solo sul tributo dovuto, senza aggravanti. La difesa tipica in questi casi è dimostrare che l’operazione aveva ragioni economiche sostanziali oltre al vantaggio fiscale. Ad esempio, provare che la società a Cipro esiste per servire un mercato reale e non solo per risparmio. Se ci riesce, l’accusa di abuso cade. Spetta all’Amministrazione provare l’assenza di sostanza economica e la sola finalità fiscale. Cassazione ha spesso dato ragione al contribuente in mancanza di prove concrete di artificiosità, affermando che uno è libero di scegliere operazioni che minimizzano le tasse se hanno anche sostanza. Quindi, difendersi dall’accusa di abuso significa evidenziare tutto ciò che non è meramente fiscale nelle sue operazioni: business reasons, vantaggi organizzativi, necessità commerciali, etc. Anche documenti preparatori, verbali, consulenze possono essere utili per mostrare che l’operazione aveva una logica di mercato. Se l’accusa è generica e lei porta elementi, ha buone chance di vincere. Tenga presente che in caso di operazioni transfrontaliere, l’onere della prova dell’abuso è in capo al Fisco (L. 212/2000, art. 10-bis) e la Cassazione ha chiesto un esame rigoroso di tutti i fattori prima di dichiarare un abuso. In sintesi, l’evasione è nascondere redditi (e comporta sanzioni pesanti), l’elusione è usare la legge a proprio vantaggio oltre lo spirito (meno infamante e punita solo con il recupero imposte). La difesa nell’elusione è provare che in realtà non era elusione ma scelta legittima nell’ambito della libertà di iniziativa economica.

D: Dopo aver ricevuto l’accertamento, è possibile transare o devo per forza andare in causa?
R: È possibile definire la controversia anche dopo la notifica dell’accertamento, senza arrivare fino in fondo al processo, tramite gli strumenti di definizione agevolata e conciliazione:

  • Accertamento con adesione: come spiegato, può chiederlo entro 60 giorni e tentare un accordo con l’ufficio. Se trova un’intesa, le sanzioni si riducono a 1/3 e si chiude lì (pagando quanto concordato) senza ricorso.
  • Mediazione/reclamo: per importi modestI (< €50k), presentando ricorso si instaura la mediazione: può proporre una riduzione e l’ufficio può accettare transando con sanzioni ridotte al 35%.
  • Conciliazione giudiziale: se la causa è già partita, in qualsiasi grado le parti possono conciliare. Ad esempio, davanti alla Commissione tributaria si può raggiungere un accordo su una certa cifra; il giudice emette un decreto di conciliazione e si paga il dovuto con sanzioni ridotte al 40% (in primo grado) o 50% (in appello).
  • Definizioni agevolate speciali: talvolta il legislatore introduce sanatorie (condoni, rottamazioni) anche per gli atti impugnati. Ad esempio, nel 2023 c’è stata la definizione agevolata delle liti pendenti: pagando solo il tributo ci si liberava del contenzioso. Vale la pena informarsi se la legge di bilancio o altre normative offrono opportunità simili – attualmente (2025) non specifiche per estero, ma mai dire mai.
    Quindi non è obbligatorio andare fino in Cassazione: si può (e spesso conviene) trovare un accordo prima. Ad esempio, se il Fisco capisce che lei ha buone carte in tribunale, potrebbe essere disponibile a un compromesso. Viceversa, se il contribuente ammette qualche errore, può offrirsi di pagare il giusto con sanzioni ridotte. Trovare un’intesa evita i costi e i rischi del processo. Importante: per attivare queste soluzioni serve comunque agire tempestivamente (adesione entro 60 gg, reclamo col ricorso entro 60 gg, ecc.). Non ignori gli atti sperando in condoni miracolosi: meglio iniziare un dialogo subito.

D: Quali prove dovrei raccogliere per difendermi efficacemente in questi casi di estero?
R: Dipende dal tipo di contestazione, ma in generale:

  • Per residenza fiscale: prove di vita all’estero. In primis, iscrizione AIRE (fondamentale, se manca è quasi impossibile vincere per anni pre-2024). Poi bollette, contratti casa, iscrizione famiglia (scuola figli, medici), evidenze di presenza fisica (biglietti aerei, tracciati telefonici, estratti carta di credito che mostrino spese in un paese e non nell’altro). Documenti di lavoro (contratto estero, buste paga estere). Insomma, tutto ciò che dipinge la sua vita quotidiana all’estero e contemporaneamente l’assenza di legami forti in Italia.
  • Per origine dei fondi su conti esteri: documenti bancari (estratti conto che mostrano bonifici da conti italiani o accrediti noti), atti di vendita o di successione se i soldi derivano da lì, copia delle dichiarazioni dei redditi di anni passati per mostrare che ha accumulato risparmi leciti, eventuali certificati di partecipazione a scudi/voluntary (se ha già fatto pacificazione in passato). Spiegazioni dettagliate su afflussi e deflussi. Se il denaro proveniva per esempio da un mutuo o prestito, documentare il contratto di mutuo e il trasferimento sul conto estero.
  • Per società estere: tutto ciò che ne attesta l’operatività genuina. Bilanci, contratti con clienti, fatture, foto degli uffici, contratti di dipendenti o collaboratori, ricevute di spese locali (viaggi, meeting, fiere a nome della società). Verbali del consiglio di amministrazione estero, per provare che le decisioni venivano prese formalmente lì. Se disponibile, pareri di advisor avuti al momento (a dimostrare che ha agito su base di consulenza).
  • Per trust: atto istitutivo, bilanci del trust, rendiconti annuali, documenti che mostrino come e dove sono investiti i beni. Se vuole sostenere che il trust era fittizio, paradossalmente serve mostrare che il disponente ha continuato a gestire (email in cui dava istruzioni al trustee, ad es.). Se invece vuole difendere l’autonomia del trust, evidenziare il rispetto formale delle regole (il trustee decideva, etc.).
  • In ogni caso, corrispondenza con il Fisco: conservi copie di tutto ciò che ha inviato o ricevuto (questionari, risposte, PEC di notifica…). Spesso anche nel contenzioso è utile mostrare di aver comunicato certi fatti già in sede amministrativa (es. “già nel questionario ho indicato la mia residenza estera ma l’ufficio non l’ha considerata”).
    Infine, può essere utile predisporre tabelle riepilogative per aiutare a leggere i dati (il giudice apprezza). Ad esempio, una tabella con giorni in Italia vs giorni all’estero per ciascun mese, oppure una tabella movimenti conto estero con causali, oppure schema societario con percentuali e paesi. Questi riassunti, corredati da rimandi ai documenti probatori, rendono la difesa più chiara e credibile.

D: Se l’Agenzia delle Entrate ha sbagliato i calcoli o le date nell’accertamento, posso farli annullare su questo?
R: Gli errori palesi di calcolo, duplicazione o simili sono ottimi punti da sollevare. Spesso conviene farlo già in autotutela: l’Agenzia può riconoscerli e correggere o annullare in proprio l’atto. Se non lo fa, in giudizio certamente evidenziare errori materiali mina la credibilità dell’atto e può portare all’annullamento totale o parziale. Tuttavia, dipende dall’errore:

  • Se è un errore che incide sulla motivazione (ad es. attribuiscono un reddito all’anno sbagliato, o scambiano lire per euro, o imputano a lei redditi di un altro contribuente confondendo nomi) l’atto può essere annullato perché non adeguatamente motivato o perché si rivolge alla persona sbagliata.
  • Se l’errore è nel quantum ma la violazione in sé sussiste (es. hanno sommato male i movimenti del conto e contestato €110k invece di €100k effettivi), il giudice potrebbe riformare l’atto correggendo l’importo senza annullarlo del tutto. In questi casi si ottiene una riduzione, non la cancellazione.
  • Se vi sono vizi formali seri (mancata firma, notifica inesistente, motivazione carente), sì, quelli rendono nullo l’accertamento indipendentemente dal merito. Ma sono rari perché l’Agenzia sta attenta; comunque sempre controllare (es.: l’atto è firmato dal capo ufficio? C’è la relazione con i fatti? È stato notificato entro i termini?).
    Quindi sì, faccia valere ogni errore o irregolarità: in base a gravità otterrà l’annullamento o almeno una correzione a suo favore. Anche in sede di adesione, far notare errori può metterla in posizione di forza nella trattativa.

D: Ho percepito un reddito estero e l’ho dichiarato in Italia sfruttando una norma di esenzione (es. regime impatriati, o un credito d’imposta particolare). Possono contestarmi qualcosa?
R: Se ha applicato un regime speciale (ad es. l’art. 44 TUIR per esenzione di certi redditi da trust esteri, o l’agevolazione impatriati su redditi di lavoro estero svolto in Italia per rimpatriati) e l’Agenzia ritiene che i requisiti non c’erano, potrebbe contestare la fruizione indebita dell’agevolazione. Non è esattamente estero vs Italia, ma succede: ad esempio, gente che rientra e pretende di non dichiarare metà stipendio perché impatriato, ma poi scopre che non ne aveva diritto; oppure un dividendo estero che dichiara esente perché proveniente da società in white list ma l’Agenzia dice “no, la società era black list, lo dovevi tassare integralmente”. In tali casi, è un contenzioso su interpretazione della norma agevolativa. La difesa sarà provare che la sua interpretazione era corretta (magari citando circolari, prassi a favore). Se l’agevolazione viene negata, si pagheranno le imposte dovute in Italia + sanzioni (a volte ridotte al 30% se si dimostra che c’era incertezza normativa oggettiva). Non è una contestazione di residenza o evasione estera, ma va comunque affrontata portando le ragioni per cui riteneva di aver diritto al beneficio. Fortunatamente, se tutto era dichiarato, non c’è reato, solo recupero imposte.


Conclusione: La materia dei conti e redditi esteri – come quelli detenuti a Cipro – è complessa ma non priva di tutele per il contribuente informato. Conoscere le norme (interne e internazionali), adempiere correttamente agli obblighi formali, e mantenere la documentazione di supporto sono le prime armi di difesa. In caso di accertamento, agire con tempestività, valutare soluzioni conciliative e far valere i propri diritti (anche in giudizio, se necessario) permette spesso di ridurre drasticamente l’impatto delle pretese fiscali. L’importante è non sottovalutare un avviso di accertamento: è un atto serio, che impegna risorse e può avere conseguenze a lungo termine. Ma, come abbiamo visto, esistono molti strumenti per far valere le proprie ragioni e giungere a un esito equo.

Tabelle riepilogative

Di seguito alcune tabelle sintetiche con informazioni chiave relative agli accertamenti su attività estere e relative difese.

Tabella 1 – Principali norme italiane rilevanti (esterovestizione, redditi esteri, monitoraggio):

Riferimento normativoContenuto chiaveApplicazione nei casi esteri
Art. 2 TUIRCriteri di residenza persone fisiche: iscrizione anagrafica, domicilio o residenza (>183 gg). Dal 2024, presenza >183gg come criterio autonomo, iscrizione APR diventa presunzione relativa.Determina se una persona è tassata su base mondiale in Italia. Presunzione residenza fittizia per espatri in black list (art.2 co.2-bis) – non include Cipro.
Art. 73 TUIRCriteri di residenza società/enti: sede legale, amministrazione o oggetto principale in Italia.Base per contestare esterovestizione societaria. Dal 2024 modifiche (D.Lgs. 209/23) introducono criteri per evitare contestazioni su società con attività reale all’estero.
Art. 5 D.L. 167/90 (monitoraggio)Obbligo dichiarativo Quadro RW per attività estere. Sanzioni 3-15% (6-30% black list) per omessa dichiarazione. Presunzione che attività non dichiarate = redditi evasI (introdotta da DL 78/2009).Utilizzato per sanzionare conti esteri non dichiarati e presumere evasione su importi non giustificati. Non prevede reati penali specifici.
Art. 32 DPR 600/73Poteri istruttori dell’Agenzia: questionari, indagini finanziarie; presunzioni su movimenti bancari (versamenti = redditi se non provati).Consente di acquisire dati bancari esteri (anche via scambio info) e presumere reddito da versamenti non giustificati. Il contribuente può vincere la presunzione fornendo prova contraria.
Art. 167 TUIRNorme CFC (Controlled Foreign Companies): imputazione al socio residente dei redditi di società estera controllata a bassa tassazione, salvo esimenti (es. svolgimento di attività economica effettiva in UE).Base per tassare utili di società cipriota direttamente in Italia se considerata mera costruzione artificiosa. Onere sul contribuente di provare sostanza economica per esonero in ambito UE.
Art. 44 TUIRDefinisce categorie di redditi di capitale. Lettera g-sexies: redditi derivanti da distribuzione di trust opachi esteri stabiliti in paradisi fiscali (tassabili in capo al beneficiario residente).Utilizzato per tassare distribuzioni da trust estero ai beneficiari italiani come redditi di capitale (quando il trust non ha già scontato imposte equivalenti all’estero).
Art. 10-bis L. 212/2000Disciplina abuso del diritto/elusione: operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti non sono opponibili al Fisco, che può rideterminare i tributi. Niente sanzioni penali; sanzioni amministrative applicabili ma non penali.Base giuridica per contestare operazioni transfrontaliere elusive (es. routing di redditi attraverso Cipro solo per risparmio fiscale). Onere della prova dell’abuso è a carico dell’Amministrazione; contribuente può difendersi dimostrando valide ragioni extrafiscali.
D.Lgs. 74/2000 (penale)Reati tributari: omessa dichiarazione (art.5) se imposta evasa > €50k; dichiarazione infedele (art.4) se >€100k e >10% reddito dichiarato. Pene 2-5 anni (omessa) e fino a 3 anni (infedele).Negli espatri fittizi spesso contestato art.5 (omessa) se contribuente non presenta dichiarazione in Italia per nulla. Soglie penalI valutate per ciascun anno e imposta (IRPEF, IVAFE ecc. separatamente). Trust/shield/elusione pura non generano reato (mancando elementi soggettivi di frode).

Tabella 2 – Tempi e rimedi nell’accertamento estero:

Fase / TermineCosa succede / Cosa fareRiferimenti normativi o note
Invito o questionario (pre-avviso)L’Agenzia chiede informazioni (es. residenza estera, dati conto). Va risposto entro ~30 gg con documentazione.Art. 32 DPR 600/73 dà potere di invito. Consiglio: rispondere dettagliatamente, eventualmente farsi assistere da professionista per predisporre la risposta.
Notifica Avviso di AccertamentoA mezzo PEC o raccomandata. Contiene motivazioni e conteggi. Da qui decorrono 60 giorni per reagire.Art. 42 DPR 600/73 (motivazione), art.43 (decadenza). Verificare data notifica e termini (5 o 7 anni dall’anno d’imposta).
60 giorni dalla notificaPossibilità di: – Pagare con acquiescenza (riduzione sanzioni a 1/3) – Chiedere accertamento con adesione (sospende termine ricorso + avvia dialogo) – Presentare Ricorso (se valore ≤50k, è anche reclamo).D.Lgs. 218/97 (adesione) Art.15 D.Lgs. 218/97 (acquiescenza: sanzioni 1/3) Art.6 co.3-bis D.Lgs.218: adesione sospende termini 90 gg. Art.17-bis D.Lgs.546/92 (mediazione fiscale).
Adesione (entro 60 gg)Istanza in carta libera all’ufficio accertatore. Incontro/i di contraddittorio. Se accordo: redazione atto con nuovi importi. Pagamento entro 20 gg (rateabile). Sanzioni ridotte 1/3.D.Lgs. 218/97. Se adesione non si perfeziona, si hanno almeno 30 gg dall’ultimo incontro per fare ricorso.
Ricorso (entro 60 gg, o 150 gg se adesione chiesta)Si deposita presso la Corte Tributaria di primo grado e si notifica all’Agenzia. Contiene motivi, istanza sospensione se serve. In automatico, se importo ≤ €50k = reclamo/mediazione.D.Lgs. 546/92 art. 20 (ricorso), 17-bis (mediazione). Pagamento provvisorio 1/3 imposte dovute entro termine ricorso, salvo sospensione (art.15 DPR 602/73).
Fase in Commissione Tributaria – primo gradoLiti ≤ €3k: possibilità di stare senza difensore. Liti > €3k: difensore tecnico necessario (avvocato, commercialista, ecc.). Udienza e sentenza. Possibile richiesta di sospensiva in caso di pericolo grave (decide in 2-6 mesi circa).L. 130/2022 ha riformato i giudici (ora togati + laici). Art.47 D.Lgs.546 (sospensione): serve sia fumus (motivi fondati) sia periculum (danno grave).
Sentenza primo gradoSe favorevole al contribuente: l’accertamento è annullato (totale/parziale). L’Ufficio può appellare entro 6 mesi. Se sfavorevole: contribuente può appellare entro 60 gg. In caso di soccombenza parziale, entrambe le parti possono appellare la parte che le sfavorisce.Le somme iscritte a ruolo a seguito accertamento sono sgravate in caso di vittoria contribuente dopo sentenza definitiva (eventualmente interessi di mora su rimborsi oltre 90 gg). Pagamento in pendenza appello: entro 30 gg da sentenza primo grado, se contribuente soccombente deve versare altro 1/3 (arrivando a 2/3) a titolo provvisorio per proseguire senza azioni esecutive.
Appello (entro 60 gg)Si replica il giudizio in secondo grado presso Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Non è ammessa nuova mediazione ma possibile conciliazione. Sentenza d’appello esecutiva.Art. 49 D.Lgs.546/92: regole appello. Dopo sentenza appello, se ancora soccombente, occorre pagare intero importo (100%) salvo sospensione da Cassazione.
Ricorso in Cassazione (entro 60 gg da appello)Solo per motivi di diritto (vizi legge o motivazione). Non sospende riscossione salvo richiesta specifica e grave/irreparabile danno.Cassazione decide su diritto; se accoglie, rinvia a nuovo giudice di appello o risolve la questione di diritto. Tempi lunghi (anche 2-3 anni).
Conciliazione giudizialePossibile in ogni grado prima della decisione. Se accordo: si chiude la lite. Sanzioni ridotte (40% primo grado, 50% secondo). Rateazione in 20 trimestri se >€50k.Art.48 D.Lgs.546/92. Richiede concordia tra le parti su importi. Il giudice convalida con sentenza breve. Vantaggiosa per ridurre sanzioni e chiudere presto.
Altri strumenti specialiRottamazione cartelle: se l’accertamento è divenuto definitivo e a ruolo, il contribuente può aderire a eventuali “rottamazioni” (pagando imposte senza sanzioni/ interessi). – Voluntary disclosure: non attiva ora (2025), ma se riaperta può sanare spontaneamente attività estere non dichiarate prima di accertamento. – Autotutela post sentenza: in casi eccezionali di errore manifesto, l’Agenzia può rinunciare all’impugnazione o non riscuotere anche se ha vinto, ma è a discrezione e rara.Norme di condono variano di periodo in periodo (es. DL 34/2023 per rottamazione-quater su ruoli 2000-2017, etc.). Voluntary Disclosure disciplinata da L.186/2014 e L. 15/2016 (scadute). Possibile terza edizione in futuro.

Tabella 3 – Differenze chiave: Evasione fiscale vs Elusione (abuso)

AspettoEvasione (es. omessa dichiarazione)Elusione/Abuso (es. esterovestizione “legale”)
ComportamentoViolazione di legge: redditi occultati, dichiarazioni false. Non dichiarare un conto o un reddito estero è evasione.Utilizzo strumentale di norme per ridurre imposta, senza violare letteralmente la legge. Es: trasferire sede società a Cipro solo per risparmiare tasse, pur dichiarando i dividendi in Italia.
IntentoDoloso, diretto a occultare materia imponibile.Pianificazione fiscale aggressiva, sfruttamento “vuoti” normativi. Vantaggio fiscale come scopo essenziale.
Violazione normaSì, c’è violazione palese di obblighi (dichiarare, versare).Formalmente no, rispetto delle norme formali ma contrario alla loro ratio.
Conseguenze penaliPossibili se superate soglie (omessa >€50k, infedele >€100k). Esempio: non dichiarare €1 mln redditi esteri = reato omessa dich..Nessuna sanzione penale: l’abuso del diritto non è reato. Anche la Cassazione penale esclude punibilità per mera elusione.
Sanzioni tributarieAlte: 90-180% imposta evasa (infedele), 120-240% (omessa). Cumulo con sanzioni monitoraggio se applicabili.Di norma 90-180% sul maggior tributo dovuto dopo il ricalcolo (stessa cornice sanzioni “infedele”). Tuttavia, art.10-bis Statuto consente di non applicare sanzioni se condotta motivata da incertezza normativa. In pratica spesso sanzione al 90%.
Onere della provaIn capo al Fisco dimostrare redditi non dichiarati (ad es. tramite dati bancari). Poi al contribuente provare eventuali errori.In capo al Fisco provare che operazione è abusiva (priva sostanza e con vantaggio indebito). Contribuente può difendersi mostrando ragioni economiche reali, ecc.
Difesa del contribuenteProvare che il Fisco ha errato fatto o calcoli; oppure ravvedersi e pagare ridotto; documentare provenienza lecita dei capitali per ribaltare presunzioni.Provare che operazione aveva sostanza economica (es. società estera realmente attiva); che non c’è vantaggio indebito (es. tassazione compensata da funzioni economiche); invocare libertà di stabilimento UE.
EsempioTizio non dichiara interessi su conto estero €10k => evasione di €2.6k imposta.Tizio costituisce società a Cipro con vera attività modesta ma scopo principale ridurre tasse su utili: potenziale abuso se contestato.
Esito tipico accertamentoRecupero integrale imposte evase + sanzioni piene (riducibili se adesione, ecc.). Eventuale processo penale a parte se soglie superate.Disconoscimento dei vantaggi: l’operazione viene “riqualificata” come se non fatta (imposte ricalcolate secondo norme eluse). Sanzioni amministrative applicate sul tributo evitato (spesso ridotte dal giudice per incertezza). Niente penale.

Tabella 4 – Prove ed elementi utili nella difesa di un accertamento estero:

Cosa dimostrare (tesi difensiva)Esempi di prove/documenti da produrre
Residenza fiscale estera effettiva– Iscrizione AIRE (certificato consolato) e data espatrio.- Certificato di residenza fiscale dall’autorità estera (es. attestato centro fiscale cipriota).- Contratto di locazione o acquisto casa all’estero + bollette/utenze a proprio nome.- Iscrizione dei familiari (scuola, medico) nello Stato estero.- Copia permesso di soggiorno (se extra-UE) o registrazione presso comune estero.- Tabella presenze: elenco ingressi/uscite (timbrature passaporto, biglietti, ricevute carta di credito estere vs italiane).- Eventuale iscrizione ad associazioni locali, abbonamenti (palestra, club) che attestano vita quotidiana fuori Italia.
Centro interessi economici all’estero (non in Italia)– Contratto di lavoro dipendente estero o iscrizione a previdenza locale.- Visura di imprese estere possedute/avviate dal contribuente.- Dichiarazioni fiscali presentate nel Paese estero (se obbligato).- Movimenti bancari che mostrano spese correnti nel paese estero (affitto, supermarket, ecc.).- Eventuali contributi/tasse pagati all’estero (es. property tax, council tax, etc.).
Provenienza lecita di capitali su conti esteri– Estratti conto esteri con indicazione origine fondi: es. bonifico da conto italiano, con CRO e banca ordinante (abbinabile a estratto conto italiano che mostra uscita corrispondente).- Documenti giustificativi: atto di vendita immobile (se ricavo poi finito sul conto estero); documento eredità/donazione; contratto di prestito o aumento di capitale, ecc.- Copie di dichiarazioni dei redditi italiane degli anni in cui si sono formati i risparmi trasferiti (mostrando redditi netti compatibili con somme inviate all’estero).- Se disponibile, documentazione di eventuali scudi fiscali o voluntary avvenuti (attestati di regolarizzazione) per quei patrimoni: ciò taglia discussioni sul pregresso (patrimonio già regolarizzato non è più perseguibile, salvo RW omesso dopo).
Sostanza economica di entità estera (società/trust)– Bilanci e libri contabili della società estera (fatture clienti/fornitori, elenco dipendenti).- Contratti stipulati dall’entità con terzi indipendenti (es. contratto di affitto ufficio, contratti con clienti esteri).- Prova che amministratori esteri svolgono funzioni: es. email corrispondenza, note spese viaggi in altri paesi per business.- Certificazioni di terzi: es. lettera di un partner commerciale che attesta la necessità di operare tramite la società estera per ragioni di mercato.- Nel caso di trust: verbali del trustee, rendiconto trust, evidenza che il trust ha investito i beni secondo quanto previsto (distinguendo capitale vs redditi generati).- Spiegazione dettagliata (anche in memo scritto) dei motivi commerciali dell’operazione estera: p.es. tassazione a parte, prossimità a mercati, normative locali favorevoli per il business (non solo fiscali).
Adempimenti formali eseguiti correttamente– Copie delle dichiarazioni dei redditi con Quadro RW compilato (per dimostrare che si era in regola per certe annualità, se contestato in altre).- Comunicazioni inviate all’Agenzia (es. risposta a questionario con ricevuta invio) per far vedere di aver collaborato.- Iscrizione all’AIRE entro 90gg dall’espatrio (ricevuta domanda consolato) per attestare diligenza.- Richieste di Interpello presentate su temi dubbi (se esistenti) o consulenze pro veritate ottenute prima di agire: ad es. parere legale che suggeriva una certa struttura. Questo può provare buona fede e incertezza normativa, utile per evitare sanzioni.

Tabella 5 – Cronologia semplificata: flusso di un tipico accertamento su redditi esteri

AnnoEvento e terminiNote difensive per contribuente
2017Entrata in vigore scambio CRS (Cipro->Italia).(Da qui in poi conti esteri noti al Fisco italiano, se non dichiarati prepararsi a compliance).
2018– Contribuente Tizio trasferisce residenza a Cipro a metà anno, ma non si iscrive AIRE (errore). – A fine 2018 non presenta dichiarazione in Italia.(Mancata AIRE = presunzione resid. ita per 2018. Doveva iscriversi entro 90gg. Adesso raccolga prove vita estera).
2019– Mar 2019: Tizio compare nella lista CRS: ha c/c a Cipro €200k. – Lug 2019: l’Agenzia invia questionario chiedendo chiarimenti su residenza e conto. Tizio non risponde (errore grave).(Rispondere sempre ai questionari! Ormai Fisco insospettito).
2020– Sett 2020: PVC GdF su Tizio (verifica). Constatato: Tizio 210 gg in Italia nel 2018, famiglia in Italia, conto non dichiarato. – Dic 2020: Agenzia invia avviso accertamento per 2018 (omessa dichiarazione redditi esteri €X, sanzioni…).(Poteva tentare adesione entro 60 gg per negoziare). (Termine accertamento 2018 con omessa dich.: 31/12/2025, rispettato).
2021– Gen 2021: Tizio presenta ricorso alla CTP, chiedendo intanto sospensiva (avviso da €300k). – Mar 2021: udienza cautelare, sospensiva concessa (fumus: dubbio su residenza; periculum: importo elevato). – Dic 2021: sentenza CTP annulla accertamento: riconosciuta residenza estera in base a Convenzione (Tizio vittorioso).(Tizio ha prodotto prove forti; vittoria!). (Agenzia deciderà se appellare).
2022– Mar 2022: Agenzia appella sentenza. – Ott 2022: CTR (ora CGT II grado) riforma sentenza: ritiene prove insufficienti, residenza italiana confermata. Ripristina avviso originario.(Capovolgimento: succede se prove considerate non convincenti o vizio procedurale in primo grado). (Ora Tizio deve pagare 2/3 entro 30gg).
2023– Gen 2023: Tizio paga 2/3 per evitare esecuzione (spera in Cassazione). – Feb 2023: ricorre in Cassazione denunciando violazione art.4 Convenzione e vizio motivazione sentenza appello.(Pagare 2/3 ≠ ammissione debito, è obbligo per non subire cartella immediata).
2025– Apr 2025: Cassazione accoglie ricorso di Tizio: la CTR non ha applicato correttamente i criteri convenzionali, cassata sentenza. Rinvia a CGT II grado diversa per nuovo esame.(Sollievo per Tizio, ma non definitivo: nuovo appello). (Nel frattempo cartella sospesa).
2026– Nov 2026: CGT II grado (in rinvio) finalmente decide a favore di Tizio: residenza a Cipro riconosciuta in base a tie-breaker del Trattato; annulla accertamento. – Dic 2026: Agenzia rimborsa a Tizio i 2/3 pagati + interessi.(Fine della vicenda: Tizio confermato non residente 2018, non doveva nulla). (Lunga battaglia, ma vittoriosa).

Nota: i tempi sono indicativi. In pratica un contenzioso può durare diversi anni a seconda del carico di lavoro delle corti. Nel frattempo il contribuente deve gestire i pagamenti provvisori e le eventuali iscrizioni a ruolo.


Come si evince dalle tabelle, la difesa di casi di accertamento internazionale richiede attenzione sia agli aspetti sostanziali (fornire prove, invocare normative) sia a quelli procedurali (rispettare termini, usare gli strumenti deflattivi). Uno sguardo organico alle scadenze e alle possibilità di intervento aiuta il contribuente e i suoi difensori a pianificare la strategia migliore.

Fonti

Cass. civ. Sez. V n. 19843/2024 (depositata 18 luglio 2024) – Principi su residenza fiscale: criteri ante e post riforma 2024, afferma non retroattività nuove norme e prevalenza interessi economici su affettivi in interpretazione art.2 (caso Montecarlo).

Cass. civ. Sez. V n. 20002/2024 (19 luglio 2024) – Esterovestizione società: conferma contestazione residenza società rumena controllata da italiana; ribadisce che “la sede dell’amministrazione non coincide sic et simpliciter col luogo di direzione e coordinamento della controllante”, salvo eterodirezione totale. Riferimento a Cass. 1544/2023 e principio che controllo fisiologico non implica residenza IT.

Cass. civ. Sez. V n. 34723/2022 – In tema esterovestizione: richiede esame articolato dei tre criteri collegamento art.73 TUIR e afferma che Fisco può contestare residenza societaria prescindendo da dimostrazione di finalità elusive specifiche. Conferma orientamento: accertare esterovestizione non richiede prova di abuso del diritto (evasione contestabile in base a criteri oggettivi).

Cass. civ. Sez. V n. 4463/2022 (11 febbraio 2022) – Caso esterovestizione: ha dato ragione a contribuente, qualificando norma anti-elusiva e affermando onere all’Agenzia di provare che scopo preponderante dell’operazione estera era vantaggio fiscale. Paletti netti a favore contribuente in assenza prova abusività.

Cass. civ. Sez. V n. 26538/2022 (08 settembre 2022) – Conferma sussistenza esterovestizione se struttura estera è “puro artificio” privo di effettività economica, citando standard Cadbury Schweppes.

Cass. civ. Sez. V n. 11710/2022 – Ribadisce che contestazione residenza societaria (esterovestizione) può avvenire a prescindere da prova finalità elusiva specifica, in linea con precedenti (menzionata in Cass. 34723/22).

Agenzia Entrate – Circolare 34/E del 20/10/2022 – Linee guida tassazione trust: trust opachi esteri non congruamente tassati => distribuzioni a beneficiari residenti imponibili (art.44 g-sexies). Criterio residenza trust: rileva residenza trustee ma anche oggetto principale (beni in Italia) in base art.73. Precisazione su trust UE: esclusi da imponibilità salvo siano considerati residenti in paradiso per norme interne o convenzioni (cita trust “stabiliti a Cipro” con regime offshore).

Agenzia Entrate – Circolare 27/E del 16/07/2015 – in ambito voluntary disclosure: chiarisce che “i prelevamenti da conti esteri costituiscono variazione del patrimonio all’estero per cui serve dimostrare rientro in Italia o utilizzo”. Quindi onere contribuente spiegare uscite da conti esteri.

Dipartimento Finanze – Convenzione Italia-Cipro 1974 (ratif. L.564/1982) – Art.4 definizione di residente e tie-breaker criteri (dimora permanente, interessi vitali, soggiorno abituale, cittadinanza). Art. 23 e 24 disposizioni eliminazione doppie imposte e non discriminazione.

Cass. civ. Sez. V n. 21694/2020 – Trust interposto: sancisce imputazione redditi al disponente se trust fittizio; onere prova su Fisco di interposizione e su contribuente di contrario. (Rif. consolidata giurisprudenza Cass. nn. 9795/2018, 13142/2011).

Cass. civ. Sez. V n. 32255/2018 – Residenza estera: iscrizione AIRE di per sé non decisiva se emergono elementi di permanenza in Italia (famiglia, affari in Italia). (In linea con Cass. 20714/2013: prevalenza interessi effettivi).

Corte Cass. – Sentenza penale n. 43809/2015 – Esterovestizione penale (lusso Holding Lussemburgo): ribadisce tre concetti – fittizietà struttura estera, mancanza ragioni economicamente apprezzabili, assimilazione a evasione (non elusione) se artificio totale.

Corte Giustizia UE – Caso Cadbury Schweppes C-196/04 (12.09.2006) – Libertà di stabilimento: restrizione anti-abuso giustificata solo contro costruzioni puramente artificiose prive di effettività economica finalizzate a eludere imposte. (Stabilisce test sostanza per CFC in UE).

Corte Giustizia UE – Caso Halifax C-255/02 (21.02.2006) – Abuso del diritto fiscale (IVA): diritto contribuente di scegliere operazioni meno onerose; configurabilità abuso solo se vantaggio fiscale contrario obiettivo norma e operazioni essenzialmente a fine di ottenere quel vantaggio. (Fondamento principio che minimizzazione tasse lecita salvo costruzioni artificiose).

Legge 130/2022 (riforma giustizia tributaria) – Modifica art.7 D.Lgs.546/92 introducendo comma 5-bis: “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni; il giudice annulla l’atto se prova manca, è contraddittoria o insufficiente…”. Importante novità sul riparto onere probatorio a favore contribuente.

L.208/2015 (Stabilità 2016) – Abolizione raddoppio termini per attività estere da periodo imposta 2016 in poi; raddoppio rimasto applicabile fino a 2015 se condizioni (L.208, co.130-132). Vedi riferimento in Cass. 3684/2019.

Cass. civ. Sez. V n. 11279/2019 – In tema credito d’imposta estero: ribadisce che convenzioni attribuiscono credito su imposte pagate all’estero entro limite imposta italiana corrispondente (no credito eccedente). (Rilevante per calcolo in ipotesi doppia imposizione).

ADE – Risposta interpello n. 145/2025 (28 mag 2025) – Caso trust estero: conferma orientamenti circ.34/E/22. (Richiamata in Osservatorio Wealth).

Cass. Sez. V nn. 11709-11710/2022 (26 aprile 2022) – Esterovestizione: onere al Fisco provare che struttura estera priva sostanza e scopo di risparmio tasse (rafforza Cadbury). N.11710/22 in particolare: se società holding lussemburghese svolge attività reale di gestione partecipazioni, non configurabile esterovestizione (cita CTR Lombardia 2013).

Cass. 33434/2018 (21 dic 2018) – Abuso del diritto: ribadisce criteri Halifax (punto 75) e necessità che operazione sia essenzialmente finalizzata a vantaggio fiscale per definirla abusiva.

Cass. 4394/2021 – Necessità contraddittorio endoprocedimentale in accertamenti complessi internazionali: violazione lo rende nullo se incide su diritto difesa (rif. principi CGUE). (Non citata sopra ma rilevante come orientamento).

Cass. 38750/2021 (7 dic 2021) – Conferma accertamento residenza fittizia Montecarlo (principato) per contribuente con famiglia e affari in Italia (presunzione black list art.2 co.2-bis vigente).

Cass. 1558/2014 – Trust: riconduce a disponente redditi di trust interposti, affermando irrilevanza dello schermo formale se disponibilità effettiva rimane al settlor (antenata delle pronunce odierne).

ADE – Circolare 21/E del 07/11/2024 – (citata in guida Monardo) incoraggia uffici a maggiore uso autotutela in caso di errori palesi per evitare contenziosi inutili, anche su residenza.

ADE – Provvedimento 43999/2017 – Attuazione CRS in Italia: elenchi informazioni scambiate e modalità. (Conferma effettività flusso dati).

OCSE – Common Reporting Standard (2014) – Standard internazionale per scambio automatico conti finanziari. Italia e Cipro partecipanti dal 2017.

D.M. 4 maggio 1999 – Elenco Stati a fiscalità privilegiata (black list persone fisiche) – non include Paesi UE come Cipro.

D.M. 21 nov 2001 (e D.M. 30 mar 2015) – Black list societaria (CFC) – Cipro era originariamente incluso fino ad adeguamento scambio info, poi rimosso da white list nel 2010.

Cass. Pen. 10136/2020 – Impatriati vs Esterovestizione: distingue fattispecie penali, utile per confermare che abbattimento base imponibile regimi speciali non integra reato se dichiarato.

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Cipro, pur essendo parte dell’Unione Europea, è considerato dal fisco italiano un Paese a fiscalità agevolata. I redditi e i conti detenuti all’estero devono essere dichiarati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi e assoggettati a tassazione in Italia, salvo l’applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Cipro. La mancata dichiarazione può comportare accertamenti retroattivi, sanzioni molto elevate e interessi. Tuttavia, non tutte le pretese fiscali sono corrette: è possibile dimostrare la legittima provenienza delle somme, l’avvenuta tassazione a Cipro o la loro non imponibilità in Italia.


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Conclusione
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