Avviso Di Accertamento Legato A Conti O Redditi In Portogallo: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché il Fisco ti contesta conti correnti o redditi detenuti in Portogallo?
Con gli accordi internazionali di cooperazione fiscale e lo scambio automatico di informazioni, l’Agenzia delle Entrate può accedere ai dati relativi a conti, investimenti e immobili posseduti all’estero. Se non dichiarati correttamente, possono scattare accertamenti con richiesta di imposte, sanzioni e interessi.

Quando scattano le contestazioni
– Se non hai dichiarato conti correnti, depositi o investimenti detenuti in Portogallo
– Se non hai compilato il quadro RW per il monitoraggio fiscale
– Se non hai dichiarato redditi da affitti, dividendi, plusvalenze o altri proventi prodotti in Portogallo
– Se i trasferimenti bancari da e verso il Portogallo non risultano compatibili con i redditi dichiarati in Italia

Cosa rischia il contribuente
– Recupero delle imposte su redditi non dichiarati
– Sanzioni dal 3% al 15% degli importi non monitorati (più alte in caso di violazioni gravi)
– Applicazione di interessi di mora che fanno crescere il debito complessivo
– Possibile contestazione del reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione se superate le soglie penali
– Avvio di procedure cautelari come pignoramenti o sequestri sui beni

Come difendersi da un avviso di accertamento legato al Portogallo
– Verificare la correttezza dei dati trasmessi dalle autorità fiscali estere all’Agenzia delle Entrate
– Dimostrare che i fondi provengono da redditi già tassati o non imponibili in Italia
– Produrre estratti conto, contratti e documenti bancari che giustifichino la provenienza legittima delle somme
– Contestare presunzioni arbitrarie, errori di calcolo o dati incompleti
– Dimostrare la buona fede in caso di omissioni dovute a incertezza normativa
– Utilizzare strumenti come il ravvedimento operoso o dichiarazioni integrative per regolarizzare la posizione
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria nei termini di legge

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della pretesa fiscale
– La riduzione delle sanzioni tramite la dimostrazione della buona fede o con definizioni agevolate
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e procedure esecutive collegate all’atto
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di chiudere la posizione pagando solo quanto realmente dovuto

Attenzione: anche se il Portogallo non è un paradiso fiscale, il Fisco italiano controlla con attenzione i redditi esteri non dichiarati. Le contestazioni possono nascere da presunzioni o errori nei dati ricevuti e vanno contestate con prove concrete.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale, contenzioso tributario e difesa da accertamenti fiscali – ti spiega come affrontare un avviso di accertamento legato a conti o redditi in Portogallo e quali strategie usare per difenderti.

Hai ricevuto un avviso di accertamento per redditi o conti in Portogallo?
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Introduzione

Il crescente fenomeno di contribuenti italiani con conti bancari, investimenti o redditi prodotti in Portogallo ha attirato l’attenzione del Fisco italiano. L’Agenzia delle Entrate, grazie agli strumenti di cooperazione internazionale e allo scambio automatico di informazioni, dispone oggi di liste mirate di contribuenti “a rischio” che hanno attività o redditi all’estero non dichiarati. Ne consegue un aumento degli avvisi di accertamento rivolti a chi detiene conti correnti, immobili, pensioni o altri redditi in Portogallo. Questi accertamenti mirano sia a recuperare le imposte italiane eventualmente evase, sia a contestare residenze estere fittizie utilizzate per sottrarsi al fisco italiano.

Ricevere un avviso di accertamento legato a conti o redditi in Portogallo può generare notevoli preoccupazioni. Tuttavia, è fondamentale sapere che esistono strumenti di difesa e strategie – sia precontenziose (prima di arrivare in giudizio) sia contenziose – che il contribuente può attuare per tutelare i propri diritti. In questa guida, aggiornata a luglio 2025, forniremo un quadro normativo avanzato di riferimento, corredato dalle più recenti pronunce giurisprudenziali e da fonti autorevoli, per aiutare avvocati, privati cittadini e imprenditori a orientarsi in questa materia complessa.

Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, dal punto di vista del contribuente (debitore). Illustreremo i principi normativi italiani rilevanti (dalla residenza fiscale al monitoraggio dei capitali esteri), le regole della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo, e le forme di cooperazione tra le amministrazioni fiscali dei due Paesi. Esamineremo poi come affrontare un avviso di accertamento: termini, procedure, sanzioni e possibili vizi da eccepire. Saranno presentate le strategie difensive precontenziose (ad esempio ravvedimento operoso, istanze di interpello o di autotutela, accertamento con adesione, ecc.) e le opzioni in sede contenziosa (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, ex Commissioni Tributarie).

Infine, la guida include tabelle riepilogative, casi pratici di simulazione (in contesto italiano) e una sezione di Domande & Risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è fornire al contribuente (o al suo difensore) gli strumenti per difendersi efficacemente da un accertamento fiscale in Italia relativo a beni o redditi detenuti in Portogallo, assicurando il rispetto dei propri diritti e l’applicazione corretta delle norme.


In breve: chi ha conti o redditi in Portogallo e riceve un accertamento dal Fisco italiano deve verificare anzitutto se è effettivamente soggetto alla fiscalità italiana (in base alle regole sulla residenza fiscale e alla Convenzione Italia-Portogallo), poi valutare quali redditi o attività estere non sono stati dichiarati o tassati correttamente in Italia. Da lì occorre predisporre una strategia: si va dalla regolarizzazione spontanea (se ancora possibile) alla difesa nel merito (es. dimostrando la residenza estera reale o l’assenza di evasione), fino agli strumenti deflattivi del contenzioso o al ricorso in giudizio. Nelle sezioni seguenti analizziamo ciascuno di questi aspetti in dettaglio.

Normativa italiana di riferimento: residenza fiscale e tassazione estera

Per comprendere come l’Italia tassa i redditi esteri (inclusi quelli prodotti in Portogallo) e quali obblighi dichiarativi gravano sui contribuenti, occorre partire dai principi generali della normativa domestica.

1. Principio della tassazione mondiale e residenza fiscale – Il sistema tributario italiano adotta il criterio della “worldwide taxation”: chi è fiscalmente residente in Italia viene tassato sull’universo dei redditi ovunque prodotti (principio del worldwide income). Questo è sancito dall’art. 3, comma 1 del TUIR (D.P.R. 917/1986), secondo cui l’IRPEF si applica sul reddito complessivo del contribuente residente, comprendendo tutti i redditi posseduti, indipendentemente da dove siano prodotti. Dunque, un soggetto residente in Italia deve dichiarare anche redditi generati in Portogallo (stipendi, pensioni, canoni di affitto, interessi, ecc.), salvo eccezioni previste da accordi internazionali.

La qualifica di residente fiscale in Italia segue i criteri dell’art. 2, comma 2 TUIR. Dopo la recente riforma attuata col D.Lgs. 209/2023, tali criteri sono stati parzialmente modificati. Attualmente, è considerata residente in Italia la persona che, per più di 183 giorni nell’anno (anche non consecutivi), soddisfa anche uno solo dei seguenti requisiti:

  • Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente (per la maggior parte dell’anno) – criterio formale.
  • Domicilio in Italia ai sensi del Codice Civile – inteso ora (dal 2024) come luogo in cui la persona ha il centro delle proprie relazioni personali e familiari (in linea col concetto di centro degli interessi vitali).
  • Residenza civile in Italia – intesa come dimora abituale (art. 43, co.2 c.c.).
  • Presenza fisica in Italia – per più di 183 giorni l’anno, anche frazionati (criterio introdotto dal 2024).

Questi criteri sono alternativi: basta il verificarsi di uno solo per più di metà anno perché il soggetto sia considerato residente ai fini fiscali. Fino al 2023 la giurisprudenza italiana considerava l’iscrizione anagrafica in Italia come presunzione assoluta di residenza fiscale (non ammessa prova contraria). La riforma del 2023 ha invece attenuato questo aspetto: dal 1° gennaio 2024 l’iscrizione in anagrafe è presunzione solo relativa, superabile con prova contraria da parte del contribuente. Ciò significa che un soggetto formalmente iscritto in Italia può dimostrare di essere in realtà residente all’estero, provando ad esempio di non avere in Italia né dimora né famiglia né interessi economici prevalenti in quel periodo.

Esempio: se un cittadino si trasferisce stabilmente in Portogallo e iscrive all’AIRE, ma per errore resta anche qualche mese nei registri italiani, oggi può fornire elementi (casa e famiglia in Portogallo, lavoro e interessi in Portogallo, ecc.) per vincere la presunzione e risultare non residente fiscalmente in Italia. Fino al 2023, invece, la sua iscrizione anagrafica italiana lo avrebbe reso residente fiscale ipso iure.

2. Iscrizione AIRE e residenza estera – Un cittadino italiano che si trasferisce fuori dall’Italia per più di 12 mesi ha l’obbligo di cancellarsi dall’anagrafe residente e iscriversi all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) entro 90 giorni. L’iscrizione all’AIRE è condizione necessaria (anche se non da sola sufficiente) per essere considerato non residente in Italia. L’assenza di iscrizione AIRE, viceversa, comporta che il soggetto rimane nei registri italiani e quindi, salvo prova contraria, sarà trattato come residente fiscale italiano. La legge n. 470/1988 disciplina l’AIRE, e di recente (Legge di Bilancio 2023 e 2024) sono state introdotte sanzioni amministrative per la mancata iscrizione: dal 2024 chi omette di iscriversi all’AIRE nei termini può essere multato da 200 a 1.000 euro per ogni anno di ritardo (ridotti a 20€ se il ritardo è inferiore a 90 giorni e ci si regolarizza spontaneamente). Inoltre, le Pubbliche Amministrazioni – italiane e straniere – sono tenute a comunicare ai Comuni italiani eventuali evidenze di residenza di fatto all’estero di cittadini italiani, affinché il Comune possa cancellarli d’ufficio e iscriverli all’AIRE. Questo rafforza i controlli incrociati sulla reale residenza.

In sintesi, per il nostro tema: un contribuente è soggetto all’IRPEF italiana sui redditi (anche esteri) se risulta fiscalmente residente in Italia secondo i criteri di cui sopra. Se invece è non residente in Italia (ad esempio perché effettivamente residente in Portogallo), pagherà in Italia solo le imposte eventualmente dovute sui redditi prodotti in Italia (cd. “fonte interna”), mentre i redditi prodotti in Portogallo non saranno tassati dall’Italia (ma solo dal Portogallo) salvo diverse previsioni dei trattati.

3. Convenzione tra Italia e Portogallo contro le doppie imposizioni – Italia e Portogallo sono legati dalla Convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito firmata nel 1980 (ratificata in Italia con L. 29/11/1980 n. 844). Questa Convenzione – conforme al modello OCSE – stabilisce criteri per risolvere i conflitti di residenza e per ripartire la potestà impositiva sui vari tipi di reddito tra i due Stati. In caso di doppia residenza (una persona considerata residente da entrambe le legislazioni interne), l’art. 4 della Convenzione prevede le tie-breaker rules: in primis conta il luogo di abitazione permanente, poi il centro degli interessi vitali (relazioni personali ed economiche), quindi il luogo di soggiorno abituale e infine la cittadinanza, per determinare un unico Stato di residenza convenzionale.

Per ogni categoria di reddito, la Convenzione stabilisce chi può tassare. I punti salienti, semplificando, sono:

  • Redditi immobiliari (art. 6): tassabili nello Stato dove l’immobile è situato. Ciò significa che un immobile sito in Portogallo può essere tassato dal Portogallo (ad esempio sugli affitti o plusvalenze), indipendentemente dalla residenza del proprietario. Il residente italiano proprietario dovrà comunque dichiarare in Italia quel reddito estero, beneficiando di un credito per l’eventuale imposta pagata in Portogallo.
  • Redditi di lavoro dipendente (art. 15): in generale, tassati dove si svolge l’attività lavorativa. Esempio: uno stipendio percepito per lavoro prestato fisicamente in Portogallo è di regola imponibile in Portogallo (salvo brevi periodi). Tuttavia, se il percettore è residente fiscale in Italia, l’Italia tasserà comunque tale reddito mondiale, concedendo credito d’imposta per le imposte pagate in Portogallo.
  • Pensioni private (art. 18): regola particolare del trattato Italia–Portogallo. Le pensioni di natura privata (ad esempio pensioni INPS non pubbliche, trattamenti integrativi, ecc.) sono tassate esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario. Ciò implica che un pensionato residente in Portogallo ha diritto all’esenzione da tassazione in Italia sulla sua pensione privata italiana, essendo tale reddito tassabile solo in Portogallo (anche se quest’ultimo, grazie al regime dei Residenti Non Abituali in vigore fino al 2023, applicava aliquote molto basse, come vedremo). Viceversa, se il pensionato è residente in Italia e percepisce una pensione dal Portogallo, la tassazione spetta solo all’Italia (residenza) e non al Portogallo.
  • Pensioni pubbliche (art. 19): trattate diversamente. Le pensioni pagate da uno Stato o ente pubblico (es. pensione pubblica italiana) normalmente sono imponibili solo nello Stato erogante, salvo il pensionato non abbia anche cittadinanza e residenza nell’altro Stato (in tal caso valgono regole diverse). Ad esempio, una pensione ex dipendente pubblico italiano pagata a un residente in Portogallo rimane imponibile in Italia (indipendentemente dalla residenza).
  • Interessi e dividendi (artt. 11 e 10): possono essere tassati in entrambi gli Stati. Il Portogallo (Stato della fonte) può applicare una ritenuta alla fonte su interessi o dividendi pagati a un residente italiano, ma in misura non superiore a un certo limite (tipicamente 10%). L’Italia, dal canto suo, tasserà quegli interessi/dividendi nel reddito del residente italiano, concedendo un credito per l’eventuale imposta pagata in Portogallo.
  • Altri redditi da capitale (capital gain, ecc.): la convenzione riserva allo Stato di residenza la tassazione dei capital gain in generale, eccetto immobili (già visti) e partecipazioni qualificate in società immobiliari. Quindi la plusvalenza da vendita di un bene mobile (per es. azioni) fatta da un residente italiano è tassata in Italia anche se il bene era in Portogallo, mentre la plusvalenza su immobile in Portogallo è tassata solo dal Portogallo (ma comunque da dichiarare anche in Italia con credito).

In pratica, la Convenzione evita la doppia imposizione attraverso il meccanismo del credito d’imposta estero (tax credit) in Italia o tramite l’esenzione nel caso in cui uno dei due Stati rinunci alla tassazione. Ad esempio, per le pensioni private: l’Italia rinuncia a tassare se il beneficiario è residente in Portogallo (esenzione totale in Italia), per gli stipendi invece entrambi tassano ma l’Italia darà credito delle imposte versate in Portogallo.

È importante sottolineare che, secondo la Cassazione (ordinanza n. 3343/2023), ai fini di far valere i benefici della Convenzione non è necessario provare che il reddito estero sia stato effettivamente tassato all’estero: è sufficiente dimostrare di essere fiscalmente residente nell’altro Stato, quindi soggetto “astrattamente” alla potestà impositiva di tale Stato. Questo principio tutela, ad esempio, i pensionati italiani in Portogallo nel periodo in cui vigeva il regime di esenzione/aliquota ridotta: anche se di fatto pagavano zero o il 10% in Portogallo sulla pensione, l’Italia non può tassarli comunque, poiché la pensione era astrattamente imponibile in Portogallo. La Corte ha infatti chiarito che conta l’assoggettamento astratto al potere fiscale estero, non l’effettiva doppia tassazione.

4. Obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) – Oltre a dover dichiarare i redditi esteri, un contribuente residente in Italia ha l’obbligo di monitorare gli investimenti e attività finanziarie detenute all’estero. Tale obbligo è previsto dal D.L. 167/1990 (convertito in L. 227/1990) e si sostanzia nella compilazione del Quadro RW della dichiarazione annuale dei redditi. Nel quadro RW vanno indicati:

  • i conti correnti e depositi esteri;
  • le partecipazioni in società estere;
  • gli immobili situati all’estero;
  • ogni altra attività finanziaria detenuta all’estero (ad es. portafogli di investimento, polizze estere, metalli preziosi detenuti fuori Italia, criptovalute su exchange esteri, ecc.),

indipendentemente dal fatto che producano o meno un reddito imponibile. L’RW infatti ha finalità di monitoraggio patrimoniale, non reddituale. Come chiarito dalla Cassazione, l’omessa compilazione del quadro RW è considerata un’omissione sostanziale e non meramente formale, in quanto impedisce al Fisco di conoscere elementi potenzialmente rilevanti per la tassazione. La Suprema Corte (sent. n. 28077/2024) ha ribadito che l’omessa indicazione di investimenti esteri non dichiarati arreca un vulnus all’attività di controllo, a prescindere dal fatto che da tali attività derivassero o meno redditi imponibili. Pertanto, le sanzioni RW si applicano anche se il contribuente non ha evaso imposte (ad esempio, conto estero infruttifero): non sono mere sanzioni formali, ma colpiscono un inadempimento sostanziale del dovere di monitoraggio.

Le sanzioni amministrative per l’omessa/infedele compilazione del quadro RW sono stabilite dall’art. 5 D.L. 167/1990. Attualmente (Paesi white list, come il Portogallo): sanzione dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (valore del conto o dell’investimento estero) per ogni anno di violazione. Se l’attività estera è detenuta in un Paese considerato paradiso fiscale (black list), la sanzione è raddoppiata (dal 6% al 30%). Il Portogallo, essendo UE e giurisdizione cooperativa, non è black list, quindi si applica la sanzione ordinaria 3-15%. Tali percentuali si applicano per ogni anno non dichiarato e l’Agenzia le applica di norma nel minimo edittale (3%) salvo circostanze aggravanti. Ad esempio, se un contribuente ha avuto su un conto in Portogallo giacenze di €100.000 mai dichiarati per 3 anni, potrebbe essere sanzionato con circa €3.000 per ciascun anno (il 3% di 100k), quindi €9.000 totali, più eventuali interessi.

Oltre alla sanzione “proporzionale”, l’omissione RW comporta anche conseguenze presuntive: la normativa (art. 12 D.L. 78/2009) prevedeva che gli investimenti esteri non dichiarati fossero considerati, salvo prova contraria, frutto di redditi evasi sottratti a tassazione in Italia. Questa presunzione legale (a lungo limitata ai Paesi black list) consentiva al Fisco di imputare fittiziamente un reddito al patrimonio estero non monitorato. Ad esempio, un capitale non dichiarato all’estero poteva far presumere un reddito non dichiarato corrispondente al capitale esportato. La Cassazione ha tuttavia inquadrato tale presunzione come relativa (il contribuente può provare l’origine lecita e già tassata di quei capitali). In ogni caso, con l’avvento dello scambio automatico di informazioni (vedi oltre), il Fisco tende oggi a utilizzare dati concreti anziché presunzioni generalizzate.

5. IVIE e IVAFE – Collegati al monitoraggio fiscale vi sono due tributi patrimoniali che i residenti italiani devono versare sulle attività estere: l’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero) e l’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere). Si tratta di imposte annuali introdotte dal 2012:

  • IVIE: aliquota dello 0,76% sul valore degli immobili detenuti all’estero, calcolata come l’IMU per gli immobili italiani (con possibilità di scomputare eventuali imposte patrimoniali estere, ad es. la IMI portoghese – Imposto Municipal sobre Imóveis – pagata sullo stesso immobile, fino a concorrenza). Ad esempio, una casa in Portogallo valore €200.000 comporta IVIE €1.520 annui, da dichiarare in RW (quadro RM o FC). Se in Portogallo si paga un’imposta immobiliare comunale di €1.000, in Italia si versa la differenza (€520).
  • IVAFE: aliquota dello 0,2% sul valore di conti correnti e prodotti finanziari esteri (simile all’imposta di bollo sui conti italiani). Per i conti correnti esteri l’IVAFE è fissa a €34,20 annui se la giacenza media supera €5.000 (come l’imposta di bollo italiana sui conti). Su investimenti (es. portafogli titoli esteri) è lo 0,2% del valore.

La mancata dichiarazione e pagamento di IVIE/IVAFE viene contestata in sede di accertamento con le ordinarie sanzioni da omesso versamento (30% di ogni imposta non pagata, riducibile se ci si ravvede). È frequente che un avviso di accertamento per attività estere non dichiarate contenga quindi: recupero dell’IVIE/IVAFE dovuta per gli anni accertati, la relativa sanzione del 30% su ciascun importo, oltre alla sanzione del 3-15% per l’omesso monitoraggio RW.

Da questo quadro normativo emerge chiaramente che il contribuente residente in Italia deve sia dichiarare i redditi prodotti in Portogallo, sia dichiarare l’esistenza di conti e patrimoni detenuti in Portogallo. L’omissione di tali obblighi può dare luogo a pretese fiscali italiane consistenti in imposte evase, interessi e pesanti sanzioni. D’altra parte, se il contribuente non è residente in Italia (ad esempio si è trasferito stabilmente in Portogallo), i soli redditi tassabili in Italia sarebbero quelli di fonte italiana; e grazie alla Convenzione Italia-Portogallo, molti redditi – come le pensioni private – risulterebbero esenti in Italia. Dunque, la residenza fiscale effettiva del soggetto è il perno attorno a cui ruota la legittimità di un accertamento su redditi esteri: tant’è che spesso il Fisco, prima ancora di contestare il reddito estero, contesta la residenza estera come “fittizia”, per poter tassare l’intero reddito mondiale.

Cooperazione internazionale e controlli incrociati Italia–Portogallo

Un avviso di accertamento su conti o redditi in Portogallo è quasi sempre il frutto di attività di cooperazione fiscale internazionale. Negli ultimi anni, gli strumenti di scambio di informazioni tra amministrazioni tributarie si sono moltiplicati e rafforzati, rendendo assai difficile occultare al Fisco italiano patrimoni o proventi all’estero. Di seguito, riepiloghiamo i principali canali di cooperazione tra Italia e Portogallo che il contribuente deve conoscere.

1. Scambio automatico di informazioni (CRS – Common Reporting Standard) – Dal 2017 è operativo tra i Paesi UE (e molte altre giurisdizioni aderenti all’OCSE) lo scambio finanziario automatico CRS, introdotto in ambito UE dalla direttiva 2014/107/UE (DAC2) e recepito in Italia col D.Lgs. 29/2014. In base a tale sistema, le istituzioni finanziarie (banche, intermediari) di ciascuno Stato membro comunicano annualmente alla propria autorità fiscale i dati dei conti detenuti da non residenti, e queste informazioni sono scambiate automaticamente con gli Stati di residenza dei titolari. Ciò significa che ogni anno il Portogallo invia all’Italia (e viceversa) l’elenco dei conti intestati a residenti fiscali italiani presso banche portoghesi, con indicazione del saldo di fine anno, saldo medio e altri dettagli. Analogamente, l’Italia trasmette al Portogallo i dati dei conti detenuti in Italia da residenti portoghesi.

Lo scambio automatico non richiede alcuna richiesta specifica: avviene per legge. Dunque, se un contribuente era formalmente residente in Italia nel 2022 ma aveva aperto un conto in Portogallo, i dati di quel conto (identificativo, saldo, interessi maturati) sono già noti all’Agenzia delle Entrate italiana. Il Common Reporting Standard copre conti correnti, depositi, custodie titoli, polizze finanziarie e prodotti analoghi. Non include invece informazioni su beni immobili (per quelli ci sono altri meccanismi, ad es. registri immobiliari esteri accessibili su richiesta).

Oltre allo scambio CRS, dal 2020 è stato ampliato anche allo scambio di informazioni sui conti finanziari detenuti tramite entità passive (trust, società offshore) e nel 2024 è in arrivo l’estensione ai dati sulle cripto-attività (Crypto-Asset Reporting Framework). In sostanza, la trasparenza internazionale è ora lo standard: le possibilità di mantenere nascosto un conto all’estero sono assai ridotte.

2. Scambio di informazioni su richiesta e spontaneo – Al di là del flusso automatico, le autorità fiscali possono attivare scambi puntuali di informazioni. L’Italia e il Portogallo, in quanto membri UE, applicano la direttiva 2011/16/UE (DAC1) sulla cooperazione amministrativa: un ufficio dell’Agenzia Entrate italiana può richiedere all’omologa autorità portoghese specifici dati su un contribuente (es. copia di documenti bancari, informazioni su redditi dichiarati in Portogallo, ecc.), ottenendoli in tempi relativamente brevi. Allo stesso modo il Portogallo può chiedere dati all’Italia. Questo strumento viene usato nelle verifiche complesse, ad esempio per confermare se un soggetto che si proclama residente in Portogallo abbia realmente presentato dichiarazioni fiscali lì e quali redditi vi abbia dichiarato.

Lo scambio spontaneo è invece l’invio non richiesto di informazioni ritenute utili: ad esempio, se il Portogallo scopre che un cittadino italiano ha aperto una società in Portogallo con capitali non giustificati, potrebbe segnalare spontaneamente all’Italia tali elementi.

Va notato che il segreto bancario non è più un ostacolo: le norme UE obbligano gli Stati a fornire le informazioni anche se detenute da banche o intermediari finanziari. In altri termini, il Portogallo non può rifiutare informazioni adducendo il segreto bancario. Anche paesi extra-UE aderenti alla convenzione OCSE (es. Svizzera) oggi scambiano automaticamente i dati bancari.

3. Direttive DAC6 e DAC7 – Recenti sviluppi hanno introdotto ulteriori flussi: la DAC6 (recepita col D.Lgs. 100/2020) prevede lo scambio di informazioni sui meccanismi di pianificazione fiscale potenzialmente aggressivi (meccanismi transfrontalieri segnalati da consulenti e intermediari). Se, ad esempio, un contribuente italiano avesse utilizzato una struttura in Portogallo per abbattere la propria base imponibile, i consulenti coinvolti potrebbero aver dovuto notificare lo schema alle autorità (che lo scambiano con gli altri Stati interessati). La DAC7 (in vigore dal 2023, attuazione in corso) introdurrà lo scambio di informazioni su piattaforme digitali, utile per identificare redditi da affitti brevi, e-commerce etc. Anche questa cooperazione potrebbe far emergere redditi percepiti in Portogallo (ad esempio affitti di immobili in Portogallo tramite Airbnb da parte di soggetti italiani).

4. Archivio dei Rapporti Finanziari & altre banche dati – Sul versante interno, l’Agenzia delle Entrate dispone dell’Archivio dei Rapporti Finanziari, una maxi-banca dati dove confluiscono tutti i movimenti e saldi dei conti bancari italiani. Incrociando queste informazioni con quelle estere, il Fisco può ricostruire trasferimenti di denaro tra Italia e Portogallo (bonifici in uscita verso conti portoghesi o in entrata). Inoltre, l’Agenzia utilizza dati provenienti dall’Anagrafe nazionale della popolazione, dai registri immobiliari esteri consultabili (es. grazie a cooperazione notarile), dai registri dell’AIRE, dai dati doganali (movimenti di denaro contante), e persino incroci con i social network o con le utenze (telefono, energia) per individuare presenze sul territorio. La Direttiva per i controlli 2025 dell’Agenzia sottolinea proprio un approccio integrato: non limitarsi alla verifica formale delle dichiarazioni, ma controllare la coerenza tra i redditi dichiarati e le ricchezze detenute all’estero.

Questa direttiva ha introdotto liste di contribuenti a rischio per il triennio 2019-2021, da trasmettere agli uffici locali, basate su informazioni da cooperazione internazionale. In particolare, i profili selezionati includono: persone con redditi di lavoro o pensioni estere non dichiarati in Italia, detentori di asset finanziari all’estero non indicati in RW, e possessori di immobili esteri non dichiarati. Appare evidente come queste categorie riflettano proprio i casi di Italia–Portogallo (pensionati trasferiti, lavoratori expat, seconde case in Algarve, conti in banche portoghesi, ecc.).

5. Assistenza al recupero crediti tributari (Regolamento UE 1189/2011) – Un ulteriore aspetto di cooperazione è l’assistenza tra Stati per la riscossione coattiva delle imposte. Se un contribuente italiano trasferisce la residenza (anche reale) in Portogallo e lascia debiti fiscali in Italia, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può richiedere all’omologa autorità portoghese di procedere alla riscossione in loco. In base alle direttive UE, un debito tributario italiano può essere riscosso in Portogallo come se fosse un’imposta portoghese (e viceversa). Ciò significa che anche trasferirsi all’estero non mette al riparo dall’esecuzione forzata: il Ministero delle Finanze portoghese potrà notificare atti esecutivi al contribuente in base alla richiesta italiana e attivare pignoramenti sui beni localizzati in Portogallo, conformemente alla normativa locale. Per il contribuente ciò implica che, in caso di cartelle esattoriali italiane non pagate e trasferimento in Portogallo, potrebbe ricevere ingiunzioni di pagamento dall’autorità portoghese. Allo stesso modo, chi spera di svuotare i conti italiani spostando fondi su conti portoghesi, deve considerare che quei fondi possono essere individuati e congelati tramite cooperazione.

In sintesi, la cooperazione tra Italia e Portogallo in materia fiscale è oggi estremamente efficiente. L’Agenzia delle Entrate dispone dei mezzi per scoprire patrimoni e redditi esteri non dichiarati (CRS, scambio dati) e per perseguire sia l’evasione (accertamenti mirati) sia la riscossione internazionale. Questo contesto spiega perché stiamo assistendo a numerosi avvisi di accertamento verso contribuenti con legami finanziari col Portogallo. Il contribuente deve dunque sapere che il Fisco “sa” (o può facilmente sapere) di conti correnti in Portogallo, di case al mare in Algarve, di pensioni pagate dall’INPS su IBAN portoghesi, ecc. e si sta attrezzando per colpire chi non è in regola. A fronte di ciò, diventa cruciale poter contestare efficacemente gli accertamenti facendo valere diritti convenzionali, documentando la propria residenza estera effettiva o regolarizzando tempestivamente le posizioni irregolari.

Avviso di accertamento per attività in Portogallo: caratteristiche e termini

Un avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente un’imposta dovuta in più (o un’infrazione) rispetto a quanto dichiarato, indicando le maggiori imposte accertate, le sanzioni e gli interessi. Nel caso di conti o redditi esteri non dichiarati, l’avviso tipicamente accerta maggiori IRPEF (più addizionali) sui redditi non dichiarati e/o imposte patrimoniali (IVIE/IVAFE) non versate, oltre alle relative sanzioni amministrative.

Vediamo le peculiarità di questi accertamenti “esteri”:

1. Presupposti e contenuto dell’atto – L’avviso deve indicare i presupposti della pretesa: ad esempio “avendo riscontrato che il contribuente, pur risultando residente in Italia nel 20XX, non ha dichiarato redditi di fonte estera (conto corrente n. … presso Banco X in Portogallo, saldo €…, da cui sono derivati interessi imponibili €…)” oppure “non ha compilato il quadro RW per attività estere”. In molti casi, l’atto conterrà un riferimento allo scambio di informazioni da cui è emerso l’asset estero (es. “in base ai dati ricevuti dall’Amministrazione fiscale portoghese ai sensi della Direttiva 2011/16/UE…”). Deve inoltre indicare anno d’imposta accertato, imposte e sanzioni dovute e la motivazione (cioè le ragioni giuridiche e i calcoli alla base).

2. Procedura di emissione e contraddittorio – Un’importante novità, in vigore dal 2024, è l’introduzione del contraddittorio preventivo generalizzato per gli accertamenti tributari. Il D.Lgs. 219/2023 ha inserito nello Statuto del contribuente (L. 212/2000) l’art. 6-bis che prevede: tutti gli atti impugnabili innanzi ai giudici tributari devono essere preceduti, a pena di nullità, da un contraddittorio effettivo, tranne alcune eccezioni (accertamenti automatizzati, controlli formali, casi di urgenza per rischio per la riscossione). In pratica, per gli avvisi di accertamento “ordinari” – come quelli su redditi esteri non dichiarati – dal 30 aprile 2024 l’ufficio deve prima notificare al contribuente uno schema di atto o invito a comparire, con almeno 60 giorni per presentare osservazioni o richiedere accesso agli atti. Inoltre, deve contestualmente invitare a presentare istanza di accertamento con adesione entro 30 giorni. Solo dopo aver esaminato le controdeduzioni del contribuente (rispondendo ai suoi rilievi) e trascorso il termine, l’ufficio potrà emanare l’avviso definitivo. L’adozione di un avviso senza attendere i 60 giorni o senza il preventivo contraddittorio ne comporta l’annullabilità. Questa procedura mira a evitare contestazioni “a sorpresa” e favorire un confronto preliminare.

Nota: Fino al 2023 il contraddittorio preventivo era obbligatorio solo in alcuni casi (es. per tributi “armonizzati” come IVA o per i residenti in paradisi fiscali). Oggi è la regola generale. Quindi, ipotizzando che a giugno 2025 un contribuente riceva un avviso di accertamento su redditi esteri 2019, probabilmente in primavera 2025 aveva già ricevuto una comunicazione di avvio del procedimento con la bozza di accertamento, a cui poteva replicare. Se ciò non è avvenuto, potrebbe costituire un vizio procedurale dell’avviso stesso da far valere (salvo i casi di esclusione). Va però detto che molti accertamenti su estero scaturiscono da questionari e inviti al contraddittorio già inviati negli anni precedenti: è prassi, infatti, che l’Agenzia prima invii una lettera di compliance o un questionario al contribuente chiedendo spiegazioni su determinate attività estere segnalate. Spesso chi non risponde o non regolarizza entro il termine si vede poi notificare l’avviso.

3. Termini di notifica – I termini di decadenza entro cui l’Agenzia può notificare un avviso di accertamento sono in generale (dopo le modifiche del D.Lgs. 193/2016):

  • Dichiarazione presentata (ma infedele): entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione. Esempio: redditi 2019 dichiarazione presentata nel 2020 -> accertamento notificabile fino al 31/12/2025.
  • Dichiarazione omessa: entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Esempio: redditi 2019 dichiarazione omessa -> accertabile fino al 31/12/2027.

Nel caso di redditi esteri non dichiarati, se il contribuente ha comunque presentato la dichiarazione dei redditi (magari omettendo solo quel reddito estero), si configura dichiarazione infedele con termine di 5 anni. Se invece ha totalmente omesso di presentare dichiarazione (caso estremo, ad esempio si era iscritto all’AIRE e non ha presentato nulla in Italia ma poi il Fisco lo considera residente lo stesso), il termine diventa 7 anni.

In passato (fino al 2015) vigevano termini raddoppiati per investimenti in Paesi black list (8 anni in caso di infedele, 10 in caso di omessa). Tale raddoppio “automatico” è stato abolito, anche perché molti paradisi fiscali sono usciti dalla black list grazie ad accordi di scambio. Oggi il raddoppio dei termini si ha solo in caso di violazioni penalmente rilevanti (in presenza di denuncia all’autorità giudiziaria per reati tributari, i termini raddoppiano). Ad esempio, se l’occultamento di redditi esteri configurasse reato (omessa dichiarazione oltre soglia, vedi oltre), e viene presentata denuncia, i termini passerebbero a 10 e 14 anni rispettivamente. Tuttavia, per la gran parte degli accertamenti su estero non si ricorre al raddoppio penale perché spesso le imposte evase non superano le soglie di punibilità o la denuncia viene presentata comunque entro i termini ordinari.

4. Anni accertati e prescrizione – Il Fisco tende ad accertare più annualità insieme quando emerge una posizione estera non dichiarata. Ad esempio, se dalle informazioni CRS risultano conti in Portogallo dal 2017 al 2021 non dichiarati, l’ufficio emetterà avvisi distinti (uno per anno) ma spesso notificati contestualmente. Non è raro ricevere, in un unico plico, 5 avvisi (2017-2021) se tutti ancora accertabili. Occorre quindi verificare per ciascun anno se il termine era ancora aperto. Alla data odierna (2025), sono accertabili in linea generale gli anni 2019 e seguenti (dichiarazione infedele) o 2017 e seguenti (omessa dichiarazione). Anni precedenti sarebbero decaduti, a meno di raddoppio per reato.

Inoltre, se l’accertamento viene preceduto da un PVC (processo verbale Guardia di Finanza) o da un invito ex art. 5-ter D.Lgs. 218/97, vi sono proroghe di 60-90 giorni sui termini di notifica. Sono dettagli tecnici che un difensore deve controllare: un avviso notificato fuori termine è nullo.

5. Sanzioni in avviso di accertamento – L’avviso ingloba quasi sempre le sanzioni amministrative per le violazioni riscontrate. In materia di redditi esteri, le sanzioni tipiche sono di due tipi:

  • Sanzione per infedele dichiarazione (art. 1, D.Lgs. 471/1997): applicabile se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi ma ha omesso dei redditi. Fino al 2023, tale sanzione andava dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (con minimo €250) e veniva aumentata di 1/3 se i redditi non dichiarati erano prodotti all’estero (portando il range effettivo al 120%-240% dell’imposta evasa). Dal 2024, per effetto del D.Lgs. 87/2024 di riforma fiscale, la disciplina è cambiata in senso migliorativo: la sanzione per infedele dichiarazione è ora fissa al 70% della maggior imposta dovuta (minimo €150), e l’aggravante per estero è abolita. In pratica, non c’è più un trattamento più severo per i redditi esteri: l’omessa dichiarazione di un reddito estero viene sanzionata come quella di un reddito domestico. Ad esempio, se emergono €10.000 di IRPEF evasa su redditi portoghesi, la sanzione sarà €7.000 (70%), mentre fino all’anno prima sarebbe stata minimo €9.000 (90%, aumentabile a 120%). Le nuove sanzioni più miti si applicano retroattivamente ai fatti non definitivi (favor rei), quindi anche a contenziosi pendenti per anni passati in cui erano state irrogate sanzioni più alte è possibile ottenere la riduzione.
  • Sanzione per omessa dichiarazione (art. 1, co.1, D.Lgs. 471/97): se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione annuale. Era dal 120% al 240% dell’imposta evasa (minimo €250), ora con la riforma 2024 dovrebbe anch’essa subire rimodulazioni (in bozza si prevedeva 100% fisso, ma il dato va confermato dalle norme vigenti). In ogni caso, se un soggetto era AIRE e non presentava nulla credendosi esente, e poi l’Agenzia lo considera residente, formalmente può contestargli dichiarazione omessa per quegli anni, con sanzioni elevate. Va detto che spesso l’ufficio preferisce contestare l’infedele (dichiarazione presentata in cui magari c’era solo da barrare una casella) piuttosto che l’omessa, più grave, specie se c’è buona fede.
  • Sanzione quadro RW: come già detto, 3-15% (o 6-30%). Questa si cumula con le precedenti. Quindi, un caso tipico: contribuente residente che non dichiara €5.000 di interessi da conto estero (evasione IRPEF di circa €1.300) e non compila RW su conto da €100.000. In accertamento avrà: IRPEF €1.300 + interessi, sanzione infedele ~€910 (70% di 1.300), sanzione RW ~€3.000 (3% di 100k).

Le sanzioni sono ovviamente definite in via provvisoria nell’avviso: il contribuente può ottenere riduzioni pagando entro certi termini o aderendo (vedi sezione difesa). Inoltre, il giudice tributario può ridurre le sanzioni o annullarle se il tributo viene annullato.

6. Profili penali – L’omessa dichiarazione di redditi esteri può integrare reato ai sensi del D.Lgs. 74/2000 qualora l’imposta evasa superi le soglie di punibilità. In particolare, omessa dichiarazione (art. 5) scatta se l’imposta evasa supera €50.000 per periodo d’imposta; dichiarazione infedele (art. 4) se l’imposta evasa supera €100.000 e i redditi non dichiarati eccedono il 10% del totale o comunque €2 milioni. Ad esempio, chi nascondeva ingenti redditi finanziari esteri potrebbe ricadere in dichiarazione infedele penalmente rilevante. La conseguenza è l’apertura di un procedimento penale parallelo, con possibili sequestri. Il processo penale è indipendente da quello tributario, ma esistono cause di non punibilità se il contribuente paga integralmente il debito tributario (imposte, sanzioni, interessi) prima del giudizio penale di primo grado. Pertanto, a volte la strategia difensiva considera anche la posizione penale: ad esempio, utilizzare il ravvedimento operoso o definizioni agevolate per scendere sotto soglia e evitare il penale. In questa guida però ci focalizziamo sugli strumenti di difesa nel procedimento tributario; è bene tuttavia che il contribuente sappia che evadere imponibili esteri può portare non solo multe ma anche conseguenze penali se di importo rilevante.

Strategie difensive pre-contenziose: come muoversi prima del ricorso

Di fronte a un avviso di accertamento relativo a conti o redditi in Portogallo, la difesa può articolarsi su più fronti. Una volta compresa la pretesa (tipologia di redditi non dichiarati, residenza contestata, importi, anni), occorre valutare sia motivi di merito (es. non dovevo pagare perché ero residente altrove, o perché quel reddito era esente) sia motivi procedurali/formali (vizi dell’atto, termini, difetti di motivazione, mancato contraddittorio, ecc.). Prima di giungere in tribunale, però, esistono strumenti per definire o ridurre la controversia. Vediamo le opzioni principali pre-contenziose dal punto di vista del contribuente.

1. Ravvedimento operoso – È l’istituto che consente al contribuente di regolarizzare spontaneamente una violazione, beneficiando di forti riduzioni di sanzioni, purché la violazione non sia già stata accertata o il contribuente non abbia già avuto formale conoscenza di controlli in corso. Nel contesto estero, il ravvedimento può consistere nel presentare dichiarazioni integrative dei periodi passati inserendo i redditi esteri dimenticati e/o compilando il quadro RW mancante, versando le imposte dovute con sanzioni ridotte. I termini per ravvedersi ordinariamente sono ampi: finché l’avviso di accertamento non è notificato, è tecnicamente possibile ravvedersi (anche se, ricevuto magari un questionario o sapendo di un’indagine in corso, il ravvedimento potrebbe non essere accettato come “spontaneo”).

Le riduzioni della sanzione variano in base al tempo: ad esempio, regolarizzare entro 90 giorni comporta sanzione ridotta a 1/9 del minimo; entro 1 anno a 1/8; entro 2 anni 1/7; oltre 2 anni 1/6. Quindi, se ad esempio un contribuente nel 2023 si rende conto di non aver dichiarato un reddito estero del 2019, può fare ravvedimento con sanzione infedele ridotta a 1/7 del 90% (circa 12,86%). Inoltre, la riforma fiscale 2023-2024 ha introdotto un ulteriore premio: se ci si ravvede prima di qualunque attività istruttoria o accesso e comunque entro i termini di accertamento, la sanzione infedele scende al 50% (invece che 70%), e su quella si applica la riduzione del ravvedimento. In pratica, ravvedersi tempestivamente conviene molto. Nel caso illustrato: sanzione base 70% -> ridotta al 50% (premio) -> poi a 1/6 (diciamo ravvedimento tardivo) -> viene circa 5,83% dell’imposta.

Il ravvedimento copre anche il quadro RW: qui la sanzione minima è 3%, ridotta (in assenza di imposta dovuta) a 1/6 = 0,5% per anno se oltre 2 anni. Quindi sanzioni molto contenute. Spesso, prima di partire con accertamenti, l’Agenzia invia lettere di compliance invitando a ravvedersi: aderire spontaneamente conviene perché evita il 90% di sanzione. Se avete ricevuto una segnalazione del 2022 su conti in Portogallo 2018-19, potevate ravvedervi nel 2023 pagando poco; ignorando la lettera, nel 2025 arriva l’accertamento con sanzioni piene.

Nota: nel 2023 c’è stata una finestra di ravvedimento speciale (Legge 197/2022) per regolarizzare violazioni fino al 2021 con sanzioni ridotte a 1/18 del minimo. Tuttavia, tale procedura escludeva il quadro RW (non “sanabile” in via speciale) e richiedeva versamenti entro ottobre 2023. Ormai è scaduta, salvo proroghe dell’ultimo minuto (il termine per 2021 è slittato a maggio 2024). Chi ne ha approfittato ha potuto chiudere le omissioni passate a costi irrisori; chi non l’ha fatto può comunque usare il ravvedimento ordinario, che rimane sempre aperto (senza scadenza, se l’ufficio non ha ancora contestato).

In definitiva, prima regola difensiva: se il contribuente si accorge di avere conti o redditi esteri non dichiarati e non ha ancora ricevuto un avviso, valuti seriamente il ravvedimento operoso per ridurre al minimo le conseguenze. Una regolarizzazione spontanea elimina il rischio penale e abbatte sanzioni, e in genere viene vista positivamente anche dai giudici tributari in caso di contenzioso residuo.

2. Interpello e disclosure preventiva – In alcuni casi il contribuente può giocare d’anticipo chiedendo chiarimenti all’Agenzia: ad esempio un interpello ordinario (art. 11 L.212/2000) per sapere se un certo reddito estero sia imponibile in Italia o esente per convenzione. Questo strumento serve prima che la dichiarazione sia presentata, o comunque prima di eventuale accertamento, e consente di ottenere una risposta ufficiale. Ad esempio, pensionati incerti se applicare il trattato possono presentare interpello per conferma. Se l’Agenzia risponde in senso favorevole al contribuente, poi non può accertarlo su quella questione (tutela dell’affidamento).

Esiste anche la procedura di collaborative compliance o cooperative compliance (D.Lgs. 128/2015) per grandi contribuenti, che consente un dialogo costante con il fisco ma riguarda imprese molto grandi. Per privati, lo strumento resta l’interpello o la consulenza giuridica.

3. Autotutela e adesione prima del ricorso – Una volta notificato l’avviso di accertamento, il contribuente ha due strade: aderire o impugnare. Prima di decidere, però, può utilizzare strumenti deflattivi:

  • Istanza in autotutela: segnalare direttamente all’ufficio eventuali errori palesi nell’atto (es. persona omonima, doppia imposizione evidente, calcoli sbagliati). L’autotutela è una richiesta all’ente impositore di annullare o correggere l’atto, ma non sospende i termini di ricorso. Spesso non produce effetto immediato (l’ufficio difficilmente annulla l’atto che ha appena emesso, a meno di errori oggettivi). Tuttavia, può servire per avviare un dialogo informale.
  • Accertamento con adesione: è lo strumento principe per definire bonariamente la pretesa. Consiste nel presentare (entro il termine di ricorso, quindi 60 giorni dalla notifica) un’istanza di adesione, in seguito alla quale l’ufficio convoca il contribuente per un contraddittorio e può giungere a un accordo di mediazione sull’imponibile e sulle sanzioni (le sanzioni in adesione sono ridotte a 1/3 del minimo per legge). Durante il contraddittorio, il contribuente può portare documenti e argomentazioni: ad esempio, può convincere l’ufficio che la residenza era effettivamente estera e quindi i redditi esteri non erano imponibili, oppure può far correggere il quantum o ottenere l’applicazione dei crediti d’imposta esteri spettanti. Se si raggiunge un accordo, si firma un atto di adesione con la definizione (imposte e sanzioni ridotte); il contribuente paga (anche ratealmente) e l’accertamento si chiude lì, non impugnabile. Se non si raggiunge accordo, il contribuente può comunque impugnare in giudizio; intanto l’istanza di adesione ha il vantaggio di estendere di +90 giorni il termine per ricorrere (dando più tempo per preparare la difesa). Attenzione: come visto sopra, dal 2024 l’invito all’adesione è spesso contenuto già nella fase di contraddittorio preventivo. Se il contribuente presenta istanza di adesione entro 30 giorni dalla bozza di atto, l’ufficio fisserà l’incontro prima di emettere l’avviso definitivo. In tal caso, se l’accordo non si trova, l’avviso verrà emanato e bisognerà poi decidere se pagarlo (con sconto sanzioni 1/3, vedi acquiescenza) o litigare.
  • Acquiescenza (definizione agevolata): è la scelta di non impugnare l’avviso e pagare quanto richiesto entro 60 giorni dalla notifica, beneficiando di uno sconto sulle sanzioni ad 1/3. In pratica, se uno riconosce le proprie omissioni, può evitare il contenzioso e pagare il dovuto con le sanzioni ridotte a un terzo. Ad esempio, sanzione infedele 90% si riduce a 30%. Questo istituto è alternativo al ricorso: pagando, l’atto diviene definitivo (non più impugnabile). È utile quando l’avviso è corretto e magari l’ufficio ha già applicato sanzioni minime: l’ulteriore riduzione 1/3 può rendere conveniente chiudere subito (anche qui è ammessa rateazione fino a 8 rate trimestrali se importo elevato). Da valutare però con attenzione: fare acquiescenza significa rinunciare a ogni contestazione, perciò va scelta solo se non vi sono fondati motivi di difesa o vizi.
  • Mediazione tributaria: per gli atti di valore contestato fino a €50.000 (elevato a €100.000 dal 2023), prima di andare in giudizio è obbligatorio presentare un reclamo-mediazione all’ufficio, con eventuale proposta di conciliazione. Questo vale anche per accertamenti su redditi esteri. Spesso coincide con la fase di adesione se non conclusa. In ogni caso, entro 60 giorni dal ricorso l’Agenzia può accogliere il reclamo (annullare o ridurre l’atto) o proporre mediazione. Se si conclude, si applica la sanzione ridotta al 35% (invece di 40-50% in giudiziale). Dal 2023 la mediazione può essere chiesta fino a 100k e non è più obbligatorio il reclamo, ma è fortemente consigliato tentare la conciliazione.

Riassumendo, prima del processo il contribuente dovrebbe:

  • Analizzare se c’è spazio per un ravvedimento operoso, se l’accertamento non è ancora notificato o se è agli inizi (es. ha ricevuto solo un invito).
  • Una volta notificato l’avviso: valutare adesione per negoziare (estende i termini e può evitare giudizio con sanzioni ridotte).
  • Se la pretesa è palesemente errata, invocare subito l’autotutela (senza aspettarsi troppo, ma segnalando la questione).
  • Considerare la acquiescenza se si riconosce il dovuto e si vuole chiudere sfruttando lo sconto sanzioni.
  • In parallelo, preparare eventualmente un reclamo/mediazione in caso di ricorso, per tentare un accordo col fisco prima dell’udienza.

4. Pagamento e riscossione durante la difesa – Un punto delicato: l’avviso di accertamento, se non impugnato entro 60 giorni, diventa definitivo e dopo 30 giorni ulteriori è iscritto a ruolo (cartella). Se impugnato, invece, la riscossione è sospesa parzialmente: la legge prevede che nel corso del processo di primo grado sia dovuto intanto un terzo delle imposte accertate, ma solo dopo 60 giorni dalla notifica (quindi al 61° giorno, se non c’è ricorso, scatta l’obbligo integrale; se c’è ricorso, scatta comunque 1/3 salvo sospensiva). Molti contribuenti ignorano questo meccanismo e non pagano nulla: in tal caso, l’Agente della riscossione può iniziare azioni per 1/3 del debito anche pendente giudizio, a meno che il contribuente non chieda e ottenga una sospensione giudiziale dall’organo competente. È quindi fondamentale, se si fa ricorso e l’importo è elevato, presentare istanza di sospensione al giudice tributario, evidenziando il pericolo di un danno grave e la fondatezza del ricorso stesso. Se concessa, la riscossione è bloccata fino alla sentenza.

Nel caso specifico di soggetti trasferiti all’estero (Portogallo), va considerato che la notifica dell’avviso viene fatta all’ultimo domicilio fiscale noto (se uno è AIRE, spesso l’ufficio notifica presso il Comune di iscrizione AIRE o tramite pec). Se la notifica non va a buon fine, può essere fatta per via ordinaria in Portogallo tramite raccomandata internazionale. I termini per impugnare per chi risiede all’estero sono di 120 giorni (anziché 60) dalla notifica. Inoltre, la riscossione all’estero segue le procedure di mutua assistenza: un eventuale mancato pagamento potrebbe portare l’Agenzia a richiederne il recupero tramite l’autorità portoghese. I tempi sono lunghi, ma possibili.

5. Documentazione e prove a supporto – Una robusta difesa precontenziosa (ed eventuale conteniziosa) richiede di raccogliere tutti i documenti utili:

  • Se viene contestata la residenza fiscale in Italia, preparare: certificato di residenza fiscale in Portogallo (modello fornito dalle Finanças), contratto di affitto o atto di acquisto della casa in Portogallo, bollette e utenze a nome proprio in Portogallo, iscrizione al servizio sanitario portoghese, eventuale contratto di lavoro in PT, attestati di iscrizione dei figli a scuola in Portogallo, biglietti aerei e timbri di passaporto, iscrizione a circoli locali, qualsiasi prova di permanenza prevalente lì. E al contempo, mostrare l’assenza o marginalità di legami in Italia (casa venduta o affittata a terzi, famiglia non residente, ecc.). In altre parole, dimostrare il centro di vita spostato all’estero. Se disponibile, allegare anche copia della comunicazione AIRE e ricevuta (per dimostrare la buona fede e la regolarità formale ove fatta).
  • Se si contesta l’imponibilità di un reddito (es. pensione, stipendio, dividendi) invocando la Convenzione: produrre il certificato di residenza estera per l’anno in questione, che di solito è rilasciato dall’autorità fiscale portoghese. Questo certificato è fondamentale: la Cassazione (v. Cass. 30779/2023) ha statuito che esso è sufficiente a provare il diritto ai benefici convenzionali, senza dover dimostrare che il reddito è stato tassato anche all’estero. Quindi allegarlo mette il giudice (o già l’ufficio in adesione) di fronte all’evidenza che quell’anno eri “liable to tax” in Portogallo e quindi, ad esempio, la pensione italiana doveva essere esente in Italia.
  • Se vengono accertati redditi finanziari non dichiarati (es. interessi su conto estero): procurarsi gli estratti conto completi, per verificare se effettivamente c’erano interessi attivi, e se magari già tassati alla fonte in Portogallo (spesso gli interessi bancari in Portogallo scontano un’imposta definitiva locale). Se sì, evidenziarlo per chiedere almeno il credito d’imposta corrispondente. È importante sapere che, come recentemente affermato dalla Cassazione, non si perde il diritto al credito per le imposte pagate all’estero nemmeno se non le si era indicate in dichiarazione: la detrazione va riconosciuta perché l’Italia ha un obbligo internazionale incondizionato di evitare doppia tassazione. Quindi, anche in corso di accertamento o contenzioso, se l’ufficio non ha già concesso il credito unilaterale ex art. 165 TUIR, il contribuente deve pretenderlo. Ad esempio, se €100 di interessi erano già stati tassati 28€ in Portogallo, l’IRPEF italiana (che sarebbe 26€ al 26%) non va pretesa (o va pretesa solo per differenza). Un recente arresto della Cassazione (ord. n. 10642/2025) ha infatti cassato l’idea che l’omessa indicazione del credito in dichiarazione comportasse decadenza dal diritto: anche se non chiesto prima, il credito va riconosciuto in fase di accertamento.
  • Se l’accertamento riguarda attività finanziarie non giustificate (capitali all’estero), preparare evidenze sull’origine dei fondi: ad esempio, documentare che il denaro depositato sul conto portoghese proviene da redditi già tassati in Italia (si possono mostrare bonifici da conti italiani già noti, vendite di beni tassate, risparmi leciti). Ciò per contrastare eventuali insinuazioni di evasione pregressa. Nella fase amministrativa, fornire queste prove può convincere l’ufficio a ridurre la pretesa o limitarsi alla sanzione RW senza altro.
  • In generale, studiare la motivazione dell’accertamento per individuare possibili errori: se ad esempio l’ufficio ha contato due volte lo stesso conto (magari cointestato e considerato per intero a ciascuno dei cointestatari, quando invece andrebbe suddiviso: c’è giurisprudenza sul punto che in RW ciascun cointestatario deve indicare l’intero importo ma la sanzione non va duplicata). Oppure errori di calcolo nelle imposte. Questi aspetti vanno segnalati.

6. Vizi formali dell’atto – Un accertamento può essere annullabile anche per ragioni formali/procedurali, che il contribuente esperto (o il suo avvocato) deve considerare. Ad esempio:

  • Mancato contraddittorio preventivo (per atti dopo 2024): come detto, se l’ufficio non ha inviato lo schema di accertamento e l’invito a controdedurre, l’atto è viziato. Questo vizio va fatto valere in ricorso, richiamando l’art. 6-bis Statuto contribuente e la nullità conseguente.
  • Motivazione insufficiente: l’avviso deve spiegare le ragioni e gli elementi su cui si fonda. Se si limita a dire “da informazioni estere risultano redditi non dichiarati” senza allegare o indicare i documenti, potrebbe violare l’art. 7 L.212/2000. Tuttavia, in materia di dati esteri spesso l’Agenzia allega un prospetto (ad esempio i saldi comunicati dal CRS). Se non l’ha fatto, il contribuente può eccepire che non è messo in grado di comprendere la pretesa.
  • Notifica irregolare: se l’atto non è stato notificato secondo le regole (ad esempio notificato a un indirizzo errato, o a mezzo pec non valida), si può eccepirne la nullità della notifica. Però attenzione: se comunque si viene a conoscenza dell’atto e si impugna, la notifica irregolare è sanata.
  • Decadenza dei termini: come già accennato, se l’avviso è notificato fuori termine, è nullo. Questo raramente sfugge all’ufficio, ma casi borderline (differenze di residenza, notifiche tardive spacciate come consegnate prima, ecc.) possono capitare.
  • Errore sul soggetto passivo: ad esempio, contestazione a persona deceduta (invece che agli eredi), oppure a soggetto non residente per periodo non considerato. Se Tizio era residente in Portogallo nel 2019 secondo accordo di residenza reciproco (certificato), l’Italia non poteva pretendere IRPEF 2019 – questo più che vizio formale è vizio di merito, ma può portare all’annullamento totale.

Molti di questi aspetti saranno approfonditi in sede di contenzioso (vedi sezione successiva). La difesa precontenziosa comunque può giovarsene per indurre l’ufficio a più miti consigli in adesione. Ad esempio, far presente all’ufficio che Cassazione ha recentemente dato ragione ai pensionati all’estero (citare le sentenze chiave) o che la convenzione prevale, potrebbe convincerlo ad annullare in autotutela o in adesione l’imposta su quella pensione, limitandosi magari a sanzionare la mancata dichiarazione formale (caso non infrequente).

In sintesi, prima di andare in giudizio il contribuente ha la possibilità (e convenienza) di:

  • Correggere spontaneamente ciò che può (ravvedimento).
  • Parlare con l’ufficio (adesione) per spiegare le proprie ragioni e magari ottenere un accordo, facendo leva su documenti e giurisprudenza favorevole.
  • Ridurre il danno con acquiescenza se riconosce l’errore.
  • Preparare il terreno raccogliendo prove e segnalando eventuali vizi sin da subito.

Se queste vie non risolvono (magari l’ufficio è inflessibile o la pretesa è infondata ma non si accorda), resta la strada del ricorso alle Commissioni/Gradi di Giustizia Tributaria, di cui ora parleremo, per ottenere da un giudice l’annullamento (anche parziale) dell’accertamento.

Difesa in giudizio (contenzioso tributario) e giurisprudenza rilevante

Qualora non sia stato possibile (o conveniente) definire l’accertamento in via precontenziosa, il contribuente può presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale) competente, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (120 giorni se risiede all’estero). Il ricorso dà avvio al contenzioso, in cui il contribuente – di norma assistito da un difensore abilitato – potrà far valere dinanzi ai giudici tutte le proprie eccezioni e difese, sia di merito che procedurali.

Nel contesto di accertamenti legati a conti o redditi in Portogallo, emergono prevalentemente due macro-temi di merito su cui si impernia la difesa:

  • La contestazione della residenza fiscale in Italia del contribuente (ovvero la rivendicazione della residenza estera effettiva).
  • La contestazione della imponibilità in Italia dei redditi esteri in base alla Convenzione contro le doppie imposizioni (o comunque la rideterminazione del dovuto tenendo conto di crediti d’imposta, esenzioni convenzionali, ecc.).

A ciò si aggiungono eventuali eccezioni procedurali (nullità per difetto di contraddittorio, prescrizione, difetti di motivazione, ecc.), che vanno sollevate in ricorso per non essere precluse.

Illustreremo qui i principali orientamenti giurisprudenziali aggiornati che possono sorreggere la difesa del contribuente su questi fronti, facendo riferimento a sentenze recenti della Corte di Cassazione e ad eventuali pronunce di merito rilevanti.

Residenza fiscale e trasferimenti in Portogallo: la difesa del contribuente

Se l’Agenzia delle Entrate contesta che il contribuente fosse in realtà residente in Italia nonostante la permanenza in Portogallo (tipicamente: soggetto iscritto AIRE in Portogallo ma ritenuto avere ancora interessi e legami in Italia, oppure persona che dichiarava residenza PT senza formalizzarla regolarmente), occorre impostare la difesa sulla base di elementi fattuali e normativa civil-fiscale:

  • Si deve ricordare che dal 2024 la presunzione di residenza per iscrizione anagrafica è relativa e superabile. Anche prima, la Cassazione aveva in alcune pronunce aperto a considerare prove contrarie. Ad esempio Cass. n. 16634/2018 sosteneva (vecchio orientamento) la prevalenza del dato anagrafico; ma ora, per i casi dal 2024, c’è un appiglio normativo per sostenere che l’iscrizione anagrafica italiana (o la mancata iscrizione AIRE) non è automatica prova di residenza, se il contribuente dimostra domicilio e residenza all’estero. Viceversa, l’iscrizione AIRE di per sé non garantisce lo status di non residente se i fatti indicano il contrario (domicilio in Italia): su ciò la giurisprudenza è costante.
  • La linea difensiva sarà quindi provare che nel periodo contestato il contribuente aveva dimora abituale e domicilio in Portogallo. La Cassazione ha più volte affermato che, ai fini fiscali, contano domicilio e residenza effettivi, e che elementi come le relazioni familiari, pur rilevanti, vanno valutati nel contesto globale. In una pronuncia spesso citata (Cass. n. 6501/2015) si evidenzia che i legami affettivi in Italia non bastano da soli a dichiarare la residenza italiana, se il centro di vita è altrove.
  • Un elemento chiave è il centro degli interessi vitali: concetto mutuato dalle convenzioni, ora recepito in parte nella nuova definizione di domicilio dal 2024. Se si dimostra che in Portogallo il soggetto aveva la sua abitazione principale, magari una famiglia, e svolgeva lì la sua attività (lavorativa o la vita da pensionato con iscrizione a servizi locali), questo indica il centro vitale in Portogallo. La Circolare 304/E/1997 dell’allora Ministero (ancora citata) forniva indicazioni su come accertare la residenza estera, indicando che la semplice iscrizione AIRE non è determinante e che si possono usare tutti i mezzi di prova per verificare domicilio e residenza. Tale approccio è ancora valido: il giudice tributario valuterà in concreto, con onere della prova a carico prevalentemente del contribuente (soprattutto se era iscritto AIRE, allora l’onere è suo provare la residenza estera; se non era AIRE, era anagraficamente in Italia e l’onere è ancora più stringente per lui).
  • Paesi Black list: il Portogallo non è paradiso fiscale, quindi non si applica la presunzione di cui all’art. 2 co.2-bis TUIR (quella dice “se ti trasferisci in un black list sei considerato ancora residente in Italia salvo prova contraria”). Quindi il contribuente non subisce quel particolare aggravio probatorio. Diverso sarebbe stato trasferirsi in uno zero tax tipo Monaco: lì la legge presume residenza fittizia. In Portogallo no, per cui è un normale accertamento fattuale.
  • La Cassazione negli anni recenti ha emesso pronunce in materia di residenza contestata, ad esempio su italiani in Portogallo: Cass. n. 21684/2023 riguarda proprio un caso di pensionato italiano residente in Portogallo (ne parleremo anche lato pensione). Da quanto emerso, la Corte ha riconosciuto il diritto al rimborso delle imposte italiane, implicitamente confermando la validità della residenza estera attestata (quindi ha ritenuto valida la residenza fiscale in Portogallo). Cass. n. 1883/2023 (in ambito esterovestizione societaria, ma con riflessi anche sulle persone) ha affermato che la contestazione di residenza fittizia deve basarsi su elementi concreti e che la presenza di familiari in Italia va valutata insieme ad altri fattori e non è di per sé decisiva – in linea col principio citato del 2015 sopra.
  • Importante anche Cass. n. 24246/2020 (riguardo un expat in Portogallo), che evidenzia come la disponibilità di un’abitazione in Italia e frequenti rientri possano far presumere mantenuta la residenza italiana se il contribuente non prova che la permanenza all’estero era preponderante. Insomma, si tratta sempre di questioni fattuali sottili.

In giudizio, quindi, il contribuente deve fornire quanti più elementi possibili sulla sua effettiva vita in Portogallo e, se possibile, evidenziare eventuali contraddizioni o debolezze della tesi dell’ufficio. Ad esempio: l’Agenzia spesso porta come prova il fatto che il contribuente ha ancora familiari in Italia o proprietà immobiliari. La difesa può replicare che ciò di per sé non implica domicilio, specie se tali immobili sono dati in locazione o non usati da lui, e se i familiari (es. moglie) erano rimasti solo temporaneamente per motivi contingenti. Vi sono sentenze in cui la Cassazione ha ritenuto che moglie e figli rimasti in Italia siano un indizio forte di centro familiare in Italia, ma non sempre decisivo soprattutto con la nuova nozione di domicilio più incentrata su affetti (che paradossalmente rende ora più rilevante la famiglia: qui bisognerà vedere evoluzione giurisprudenziale post-2024).

Un’ultima risorsa è la Procedura amichevole (MAP) prevista dalla Convenzione (art. 25): se due Stati si contendono la residenza di un contribuente, quest’ultimo può chiedere alle autorità competenti di accordarsi. In un contenzioso Italia-Portogallo, il contribuente può attivare questa procedura (di solito entro determinati termini dall’accertamento) per evitare doppia tassazione. Se il caso è meritevole, Italia e Portogallo possono concordare dove considerarlo residente per quegli anni. Il MAP però non sospende il processo nazionale, e non sempre viene attivato. È una carta possibile se proprio l’interpretazione di residenza convenzionale fosse controversa.

In conclusione su questo punto: la giurisprudenza attuale offre appigli al contribuente per difendere la propria residenza estera, a patto di presentare prove dettagliate e coerenti. Se il contribuente riesce a convincere il giudice che la sua residenza fiscale era davvero in Portogallo (cioè che ha trasferito là il centro dei suoi interessi personali ed economici), l’intero accertamento su redditi esteri cade, perché l’Italia non aveva potestà su di essi. Questo ovviamente non toglie l’obbligo del monitoraggio (un non residente non compila RW, quindi in quel caso non c’è neanche sanzione RW perché quell’obbligo vige solo per residenti). Saranno invece dovute eventualmente solo imposte su redditi italiani, se accertate.

Redditi esteri (pensioni, lavoro, investimenti): esenzione, credito e rimedi giurisprudenziali

Se la residenza fiscale in Italia non è in discussione (ovvero il contribuente era effettivamente residente in Italia, oppure non riesce a provare il contrario ed è considerato tale), la difesa si concentra sul trattamento dei redditi esteri accertati. Qui la parola chiave è doppia imposizione: il contribuente deve evitare di essere tassato due volte sugli stessi redditi e far valere i benefici della Convenzione Italia–Portogallo.

Vediamo le situazioni tipiche:

a) Pensioni italiane percepite da residenti in Portogallo – Questo caso è esploso negli ultimi anni per via dei pensionati trasferiti in Portogallo attirati dal regime fiscale favorevole (NHR). Come spiegato, le pensioni private dovrebbero essere tassate solo nello Stato di residenza (Portogallo). Molti pensionati hanno ottenuto l’esenzione in Italia presentando all’INPS il certificato di residenza estera: in tal modo l’INPS non applica la ritenuta IRPEF sulla pensione. Chi invece non ha fatto in tempo, si è visto trattenere IRPEF che poi ha chiesto a rimborso. L’Agenzia delle Entrate talora ha opposto resistenza, sostenendo che se il Portogallo non tassava effettivamente (aliquota 0% fino al 2019), l’Italia poteva tassare. La Cassazione ha smentito questa tesi: più pronunce (Cass. n. 3343/2023, Cass. n. 21684/2023, Cass. n. 10308/2024) hanno dato ragione ai pensionati, affermando che è sufficiente che il reddito sia astrattamente imponibile in Portogallo per escludere l’imposizione in Italia. In pratica, l’Italia non può appellarsi al fatto che il Portogallo applichi zero aliquota: la Convenzione va rispettata. Quindi, in giudizio si può citare ad esempio Cass. 21684/2023 (caso di pensione italiana a residente in Portogallo) dove la Corte ha confermato il diritto al rimborso in Italia indipendentemente dal trattamento fiscale portoghese, sancendo il principio della tassabilità “astratta” all’estero come criterio. Anche Cass. 30779/2023 (caso simile con Svizzera) e Cass. 10308/2024 (pensione italiana in Turchia) vanno nella medesima direzione.

Pertanto, un pensionato che riceve un avviso per omessa dichiarazione della sua pensione italiana, nonostante fosse residente in Portogallo e iscritto AIRE, può opporre che quel reddito non doveva proprio essere dichiarato in Italia ex art. 18 Convenzione. E chiedere l’annullamento integrale dell’imposta e sanzioni su di esso. Le commissioni tributarie si stanno adeguando a questo orientamento pro contribuente. È importante allegare il certificato di residenza fiscale portoghese per l’anno in questione (come prova convenzionale). Se l’avviso riguarda più anni, attenzione: nel 2020 Italia e Portogallo hanno negoziato un Protocollo modificativo della Convenzione proprio sulle pensioni per porre fine all’anomalia “no tax”. Questo protocollo, entrato in vigore dal 1° gennaio 2023, prevede che l’Italia possa tassare le pensioni pagate a residenti in Portogallo (superando la regola esclusiva). Quindi per gli anni dal 2023 in poi la situazione normativa cambia: il Portogallo ha comunque nel frattempo introdotto dal 2020 un’aliquota 10% sulle nuove pensioni estere NHR, e dal 2024 pare abbia abolito il regime NHR per pensionati (quindi tornando a tassarle a regime normale). In ogni caso, per gli anni fino al 2022, la difesa del pensionato è solida alla luce delle pronunce citate.

b) Redditi di lavoro dipendente o autonomo svolto in Portogallo – Un lavoratore che, pur essendo formalmente residente in Italia, ha lavorato in Portogallo (magari perché inviato da una società italiana, oppure lavoratore “nomade digitale” che presta attività da remoto in Portogallo) potrebbe subire accertamento se non ha dichiarato quel reddito in Italia. In questo caso, la Convenzione (art. 15) dà tassazione primaria al Paese in cui il lavoro è svolto, ma l’Italia, essendo Paese di residenza, tasserebbe comunque salvo eccezione (regola dei 183 giorni, se applicabile, ma normalmente se uno passa più di metà anno in Portogallo lavorando, non è più residente in Italia, oppure se rimane residente in Italia e ha brevi periodi <183gg in Portogallo alle dipendenze di datore italiano, la convenzione esenta quell’altro Stato; sono scenari da esaminare caso per caso). In giudizio, se la residenza fiscale è italiana, il contribuente non può negare l’imponibilità in Italia del reddito di lavoro estero: deve dichiararlo e poi chiedere credito per le imposte pagate in Portogallo. Quindi la difesa sarà volta a evitare duplicazioni: assicurarsi che l’Agenzia applichi il credito d’imposta estero. Può capitare infatti che l’ufficio accerti l’intero reddito come non dichiarato e applichi IRPEF piena, ignorando le imposte estere già pagate. Ebbene, in linea di principio l’ufficio dovrebbe già in sede di accertamento riconoscere il credito (il Modello Redditi prevede il quadro CE apposito). Se non l’ha fatto, come dicevamo sopra, si deve ottenere almeno in contenzioso. La Cassazione 2025 (ord. 10642) è un asso nella manica: ha stabilito che l’omessa indicazione del credito in dichiarazione non fa perdere il diritto, data la superiore obbligazione internazionale di evitare la doppia tassazione. In pratica, il giudice deve calcolare il credito spettante e sottrarlo dall’imposta. Molti giudici già lo facevano; ora c’è un chiaro avallo di legittimità. Quindi il lavoratore italiano che aveva pagato, poniamo, €5.000 di imposte in Portogallo sul suo stipendio e in Italia gliene chiedono €8.000, dovrà al massimo pagare €3.000 (differenza), salvo casi in cui la convenzione esenti tutto.

Se il contribuente invece rivendica che doveva essere considerato non residente (e quindi il reddito estero non tassabile affatto in Italia), si torna al discorso precedente sulla residenza.

Una particolare situazione riguarda chi lavora da remoto dall’estero per datore italiano: complice la pandemia, molti hanno lavorato dal Portogallo in smart working. L’Agenzia Entrate con la Circolare 25/E/2023 ha chiarito che se il dipendente rimane formalmente residente in Italia e iscritto AIRE tardivamente, rischia comunque la residenza in Italia e quindi la tassazione del reddito, anche se la prestazione è svolta fuori confine (in deroga alla regola generale). Questo perché l’art. 15 del trattato prevede che se il datore è italiano e il lavoratore sta <183gg all’estero, la tassazione resta in Italia. Sono dettagli tecnici: in sintesi, un lavoratore deve stare attento ai 183 giorni. Se li supera e il datore non è locale, il trattato è un po’ complicato su chi tassa: ma se supera 183gg, il paese estero (Portogallo) può tassare, e di norma il datore estero se c’è stabile organizzazione in loco. Un terreno spinoso che esula dal caso tipico di questa guida.

c) Redditi da capitale e investimenti (conti, interessi, dividendi) – Per i conti bancari esteri, come visto, spesso l’accertamento riguarda due cose: la mancata indicazione RW e i rendimenti non dichiarati. I rendimenti tipici sono interessi bancari. Ora, gli interessi su conto all’estero: in Italia sarebbero soggetti a imposta sostitutiva del 26%. All’estero, Portogallo ad esempio li tassa con ritenuta del 28% (per non residenti credo 28% pure). Se il contribuente non li ha dichiarati, in avviso l’Agenzia potrebbe calcolare IRPEF ordinaria (perché se persona fisica in dichiarazione dovrebbero entrare nel quadro RL/RM a seconda – come redditi di capitale esteri – soggetti a imposta sostitutiva 26% in dichiarazione o a tassazione progressiva se non opzionata la tassazione separata). In pratica, su interessi da €1.000 ti chiedono €260 di imposta. Se però la banca portoghese ha applicato 28% (€280) alla fonte, nessuna ulteriore imposta è dovuta perché il credito supererebbe l’imposta italiana. Andrebbe chiesto rimborso semmai (ma dubito qualcuno lo faccia per 20€). Comunque, il concetto: verificare le ritenute estere e farle valere. La Cassazione (stessa ord. 10642/2025) ha sottolineato che l’art. 165 TUIR, comma 8, che nega il credito in caso di omessa dichiarazione, deve essere disapplicato quando c’è obbligo convenzionale. Quindi il giudice tributario può disapplicare l’art. 165 c.8 TUIR per contrasto con trattato, come ha fatto nell’ordinanza citata, affermando il diritto al credito anche se non richiesto in Unico.

Un altro aspetto è la presunzione di reddito per i capitali non dichiarati: c’è l’art. 6 D.L. 167/90 che presuppone che, se uno non dichiara un investimento estero produttivo di reddito, i redditi derivanti si presumono pari al 5% annuo del valore dell’investimento, salvo prova contraria. Questa presunzione, modificata nel 2017, è però relativa e smentibile. Ad esempio, se non ho dichiarato di avere €200.000 su un conto, il Fisco potrebbe presumere €10.000 annui di interessi (5%), ma se i tassi erano 0.5% e hai prova (estratto) che hai ricevuto solo €1.000 di interessi, devi portarla e allora solo quelli saranno tassabili. Cassazione e dottrina considerano questa presunzione come un aiuto all’ufficio, ma che cade di fronte a evidenza contraria. Quindi, nel contenzioso, presentare gli estratti conto integrali per mostrare il reddito effettivo è fondamentale (e se era zero, contestare che non c’era base imponibile, l’unica violazione era formale). Da ricordare che la sanzione RW resta comunque.

d) Plusvalenze immobiliari in Portogallo – Se un contribuente italiano vende una casa in Portogallo, la plusvalenza è tassabile in Portogallo (come reddito immobiliare) e anche in Italia se il venditore è residente qui, con credito delle imposte portoghesi (che su plusvalenze immobiliari persone fisiche è 50% tassabile con aliquota progressiva in PT, se la casa non era esente). Poteva essere un caso oggetto di accertamento se non dichiarata la plusvalenza in Italia. Difesa: uguale, rivendicare credito d’imposta per la tassazione portoghese (che è spesso più alta della nostra su capital gain, quindi in Italia residua poco). Oppure se l’immobile era esente (perché detenuto da oltre 5 anni? In Italia se oltre 5 anni la cessione non è imponibile; in Portogallo mi pare 2 anni se reinvesti o prima casa ecc.), far valere che in Italia non era imponibile secondo legge interna (perché se era seconda casa venduta dopo 5 anni dall’acquisto, anche se il Portogallo l’avesse tassata, l’Italia non l’avrebbe comunque tassata per norma interna – su questo c’è a volte confusione, ma è così: la plusvalenza su immobile estero segue stesse regole immobile italiano, quindi esente se detenuto >5 anni). Quindi l’accertamento su plusvalenza potrebbe essere sbagliato in diritto.

e) Società estere, esterovestizione – Esula un po’ dal tema “privati”, ma potrebbe capitare che il Fisco accusi un imprenditore di aver fittiziamente localizzato in Portogallo la propria società (esterovestizione societaria) o di aver costituito una società estera come schermo per propri redditi. In tal caso l’avviso colpirebbe il soggetto con imputazione per trasparenza dei redditi societari (o contestando dividendi occulti ecc.). La difesa qui è molto complessa: si tratterebbe di dimostrare la reale sede di direzione della società all’estero, la sua sostanza economica. Cassazione si è espressa (es. Cass. 1705/2023, 2195/2021) definendo i criteri per l’esterovestizione: la società formalmente all’estero ma amministrata di fatto dall’Italia è considerata residente in Italia. Se viene accertata questa, il contribuente persona fisica potrebbe trovarsi coinvolto come amministratore o socio, con conseguenze (imputazione utili). Non approfondiamo oltre, data la natura assai specialistica, ma ricordiamo solo che anche in Portogallo bisogna avere sostanza: non basta un indirizzo a Madeira… Il contribuente può portare a suo favore eventualmente accordi contro le doppie imposizioni per evitare doppia tassazione sui profitti societari (ma se l’esterovestizione è conclamata, di solito o rinuncia o prova la sostanza).

f) Casi di doppia residenza e conflitti di qualifica – Capita di rado, ma se, ad esempio, il contribuente era residente in entrambi i Paesi secondo le rispettive leggi (es. iscritto AIRE tardivamente, quindi per parte dell’anno risulta in due registri), allora entra in gioco la Convenzione art. 4 per determinare la residenza convenzionale unica. Il giudice tributario italiano può applicare direttamente i criteri convenzionali (casa permanente, interessi vitali, soggiorno abituale, cittadinanza) e decidere che il soggetto era residente dell’uno o dell’altro Stato. Ci sono pronunce (Cass. 7852/2016) in cui la Corte ha effettivamente applicato il tie-breaker a favore del contribuente, esentandolo in Italia. Quindi, la difesa può sostenere che, anche se formalmente residente in Italia per legge interna, comunque per la Convenzione andrebbe considerato residente in Portogallo (se l’altro Stato gli ha rilasciato certificato e soddisfa criteri). Questo argomento è complesso, ma non impossibile da accogliere. Avrebbe l’effetto di evitare doppia tassazione internazionale – però attenzione, i giudici italiani a volte dicono “non sta a noi definire residenza convenzionale, questo è materia di MAP tra stati”; non è unanime. Ma la Cassazione in alcuni casi l’ha fatto.

In generale, la giurisprudenza degli ultimi 2-3 anni è tendenzialmente favorevole ai contribuenti in materia di redditi esteri su due punti chiave:

  • Tutela dal doppio prelievo: riconoscimento crediti d’imposta tardivi, prevalenza delle convenzioni (esenzione pensioni estere), interpretazione sostanzialistica (centro interessi, residenza effettiva, ecc.).
  • Rigore probatorio per il Fisco: la Cassazione chiede all’Erario di dimostrare bene le sue pretese, non bastano elementi indiziari labili (es. serve provare che il soggetto pur AIRE avesse domicilio in Italia con un insieme di indicatori, non uno solo).

Questo non significa che i contribuenti vincono sempre – anzi, in primo grado spesso vincono le tesi fiscali se il contribuente non è ben difeso. Ma con le giuste argomentazioni giuridiche e prove, è possibile ottenere ragione.

Da notare, infine, un aspetto: sanzioni e “buona fede”. Talvolta, i contribuenti invocano l’ignoranza scusabile o l’obiettiva incertezza normativa per annullare le sanzioni. Ad esempio, un pensionato poteva sostenere di essere in buona fede nell’omettere la pensione italiana perché convinto (correttamente) che fosse esente per convenzione. Ci sono state Commissioni che hanno annullato le sanzioni per obiettiva incertezza su casi del genere (specie quando c’era la querelle se l’esenzione valesse anche con Portogallo no tax). La Cassazione però è restrittiva su questo: l’incertezza normativa deve essere grave e inevitabile. Ora che la questione è chiarita dalla giurisprudenza, probabilmente non concederebbero l’esimente. Tuttavia, l’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 472/97 consente di escludere sanzioni se il contribuente prova di aver commesso il fatto per forza maggiore o caso fortuito. In casi di espatrio, raramente applicabile. Comunque, il giudice ha potere di riduzione sanzioni in alcuni casi (valutazione equitativa, soprattutto se l’imposta viene annullata del tutto).

Conclusione della parte contenziosa: difendersi in giudizio contro un avviso su redditi esteri richiede un approccio ben strutturato, unendo argomentazioni giuridiche (Trattato, Cassazioni recenti, Statuto contribuente) e robusta documentazione di supporto. I punti di forza del contribuente nel 2025 sono: le sentenze di Cassazione aggiornate a favore su crediti d’imposta e pensioni estere, la nuova normativa che attenua alcune presunzioni (es. anagrafe non più definitiva, niente aggravante sanzioni estere), e i principi di cooperazione (il Fisco deve cooperare col contribuente: ad esempio il nuovo contraddittorio obbligatorio, ecc., segno di un cambiamento di approccio anche normativo).

Nei prossimi paragrafi applicheremo questi concetti a casi pratici e risponderemo ad alcune FAQ, per chiarire in modo sintetico i dubbi più frequenti.

Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)

Per rendere più concreta la trattazione, presentiamo alcune simulazioni pratiche di situazioni comuni riguardanti conti o redditi in Portogallo e le possibili modalità di difesa. Si tratta di esempi ipotetici basati su casi reali semplificati.

Caso 1: Conto bancario in Portogallo non dichiarato da residente in Italia

Scenario: Il sig. Rossi, residente fiscale in Italia, ha aperto nel 2018 un conto corrente a Lisbona dove ha trasferito progressivamente €200.000. Non ha mai indicato questo conto nel quadro RW né i piccoli interessi maturati (circa €500 l’anno). Nel 2024 riceve dall’Agenzia delle Entrate un avviso di accertamento per gli anni d’imposta 2018-2019-2020, basato sulle informazioni finanziarie pervenute dal Portogallo (scambio CRS). Gli si contestano: omessa dichiarazione di redditi di capitale per €500 annui, con IRPEF evasa ~€130/anno; omessa compilazione quadro RW per saldo conto (mediamente €150.000); imposta IVAFE non versata (0,2% annuo sul saldo, quindi €300/anno). L’ufficio calcola per ciascun anno circa €130 di imposta + €300 IVAFE = €430 di imposte evase, e applica sanzione infedele 90% (€117) + sanzione IVAFE omesso versamento 30% (€90) + sanzione RW 3% del saldo (€4.500 per anno, al 3% di 150k). Totale per anno: circa €5.000 tra imposte e sanzioni, che per 3 anni fanno €15.000 oltre interessi.

Problematiche: Il sig. Rossi non ha evaso grandi imposte (solo €430/anno), ma le sanzioni RW sono enormi e sproporzionate rispetto al danno erariale. Tuttavia, secondo Cassazione non sono sanzioni illegittime, essendo omissioni sostanziali. Rossi ha commesso l’errore non solo formale ma di occultamento potenziale di ricchezza.

Difesa possibile: Per prima cosa, il sig. Rossi potrebbe valutare di definire in adesione cercando di ridurre le sanzioni. In contraddittorio può far presente che il conto aveva provenienza da redditi dichiarati in passato (se può provarlo) e che non c’è stato intento evasivo rilevante, chiedendo magari di applicare la sanzione RW al minimo 3% (già fatto, sembra) e magari invocando circostanze attenuanti per ridurla (purtroppo la legge non prevede attenuanti per RW a parte black list). Più realisticamente, potrebbe chiedere di riqualificare la violazione come non punibile per particolare tenuità (tesi debole) o almeno ottenere la non applicazione di sanzioni duplicative. Ad esempio, se il conto è cointestato con la moglie e l’ufficio ha sanzionato entrambi per l’intero, c’è giurisprudenza che dice che l’importo va ripartito. Rossi può evidenziare che già la moglie ha subito analogo avviso e che la sanzione complessiva eccede il 3%. Potrebbe ottenere uno sgravio parziale.

Se l’adesione non porta frutto, in ricorso Rossi punterà su:

  • Residenza fiscale non contestabile (è pacificamente residente in Italia, nessuna difesa su questo).
  • Credito d’imposta su interessi esteri: se dal rendiconto risultava una ritenuta portoghese su quegli interessi (poniamo 28% di €500 = €140 prelevati in PT), allora non doveva nulla in Italia, anzi avrebbe credito. Quindi chiederà l’annullamento dell’IRPEF (€130) su interessi perché compensata dal credito ex art. 165, citando Cass. 10642/25. Così elimina la parte imposte evase.
  • Sanzione infedele: se cade l’imposta, anche la sanzione infedele associata agli interessi va annullata (nessun maggior tributo dovuto).
  • Sanzione RW: cercherà magari di far leva sulla sproporzione: €4.500 anno per aver omesso di dichiarare un conto che non generava evasione è forse contraria ai principi di proporzionalità comunitari (Corte UE in passato ha cassato sanzioni sproporzionate in casi di mero formalismo). C’è qualche spiraglio? Di recente, la Corte di Giustizia UE (causa C-430/21 del 27/1/2022, caso Spagna Modelo 720) ha giudicato sproporzionate le sanzioni fisse del 150% e forfetarie su mancata dichiarazione di beni esteri in Spagna. L’Italia 3-15% è più bassa, ma qualcuno potrebbe sollevare questione. Rossi potrebbe citarla: dire che €13.500 totali di multa per zero imposte evase viola art. 49 Carta diritti UE. Alcune CTR italiane hanno ridotto sanzioni RW applicando quel principio. Vale tentare.
  • IVAFE e sanzioni: su IVAFE non versata (€300/anno), Rossi può ravvedersi tardivamente ora per ridurre la sanzione 30% a 3,75% (1/8) di 300 = €11 anno. In adesione può proporre almeno di considerare il ravvedimento su IVAFE. Se non fatto prima, in ricorso poco da fare: dovrà pagare IVAFE e 30%. Poca roba in confronto al resto.
  • Contraddittorio preventivo: se l’avviso è stato emesso nel 2024 senza contraddittorio, può eccepire la nullità procedurale. Nel caso datato 2024, era obbligatorio. Se non glielo hanno inviato, quello è un motivo vincente di annullamento totale, rinviando l’ufficio a rifare l’atto.

Esito ipotetico: Il giudice potrebbe accogliere la difesa sul credito d’imposta estero (annullando IRPEF e sanzioni relative). Potrebbe confermare IVAFE con sanzione (che è piccola). Sulle sanzioni RW, se convincerà su sproporzione, magari le riduce; se no, le conferma (3% è il minimo di legge). Rossi si troverebbe comunque a pagare forse 3% per tre anni (€13.500) più un po’ di interessi. Uno scenario realistico è che l’Agenzia stessa, durante il processo, offra una conciliazione riducendo le sanzioni RW a metà (1,5%) per chiudere la lite. Rossi potrebbe aderire. Così pagherebbe ~€6.750 + poco altro. Se ha disponibilità, accetterebbe per chiudere.

Lezione appresa: Dichiarare sempre i conti esteri (RW) anche se infruttiferi, per non incorrere in sanzioni salate. In caso di contestazione, far valere ogni elemento a proprio favore: crediti per tasse pagate fuori, errori dell’ufficio, normative UE sulla proporzionalità delle sanzioni.

Caso 2: Pensionato trasferito in Portogallo con pensione italiana tassata alla fonte

Scenario: La sig.ra Bianchi, ex dipendente del settore privato, si è trasferita a Faro (Portogallo) nel 2019, iscritta all’AIRE. Ha percepito pensione INPS di €30.000 annui. Fino al 2021 l’INPS le ha trattenuto regolarmente l’IRPEF su queste somme (circa €7.000 annui), poiché non aveva presentato subito il modulo convenzionale per chiedere l’esenzione. Nel 2022, la sig.ra Bianchi presenta domanda di rimborso all’Agenzia delle Entrate per le ritenute IRPEF 2019-2020, sostenendo che in base alla Convenzione la tassazione spettava solo al Portogallo (che però, essendo lei NHR, non ha prelevato nulla per quei primi 10 anni). L’Agenzia, dopo qualche mese, respinge l’istanza di rimborso con provvedimento nel 2023, motivando che “non risulta che la pensione sia stata effettivamente assoggettata a tassazione in Portogallo, condizione necessaria per evitare la doppia imposizione”. Nel 2024 la sig.ra Bianchi riceve anche un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2021, in cui – avendo lei nel frattempo sospeso le ritenute INPS a seguito di certificato di residenza – l’Agenzia le contesta omessa dichiarazione di €30.000 e richiede IRPEF + addizionali per circa €7.000, più sanzione infedele 180% (€12.600, aggravata per reddito estero secondo la norma allora vigente).

Problematiche: Ci sono due fronti: il diniego di rimborso per 2019-20 e l’accertamento per 2021. La posizione è paradossale: per il 2019-20 l’Italia ha incassato imposta e non vuole restituirla; per il 2021, in cui l’Italia non ha incassato nulla (perché la pensione era erogata lorda), ora chiede di incassarla tramite accertamento. Il tutto nonostante la Convenzione attribuisca la tassazione al Portogallo (dove però, grazie al regime NHR in vigore all’epoca, c’era esenzione). La sig.ra Bianchi si trova quindi con imposte richieste dall’Italia per tutti gli anni, vanificando il “vantaggio fiscale” del trasferimento.

Difesa possibile:

  • Per gli anni 2019-2020 (rimborso negato): la sig.ra dovrebbe fare ricorso alla Corte Tributaria contro il provvedimento di diniego, entro 60 gg. In giudizio, argomenterà che l’art. 18 della Convenzione Italia-Portogallo assegna esclusivamente al Portogallo il diritto di tassare le pensioni private. Citerà le pronunce recenti di Cassazione: Cass. 3343/2023 e Cass. 21684/2023, dove in casi identici (pensionati in Portogallo) è stato stabilito che per l’esenzione in Italia è sufficiente l’astratta tassabilità in Portogallo, a prescindere dalla tassazione effettiva. Sottolineerà che lei era residente fiscale in Portogallo (allegherà certificati AIRE e di residenza fiscale rilasciato dalle Finanças portoghesi per quegli anni). La difesa dunque richiede il rimborso integrale dell’IRPEF subita in Italia, più interessi, perché indebitamente trattenuta in violazione del trattato. Con precedenti così netti, ha ottime chance di vincere: già Commissioni Tributarie Regionali (es. CTR Lombardia 2021) avevano dato ragione ai pensionati, e ora c’è la Cassazione a supporto. Se il giudice di primo grado per scrupolo non volesse discostarsi dall’Agenzia, certamente in appello/cassazione la signora avrebbe ragione. Quindi presumiamo esito positivo: rimborso dei €14.000 circa.
  • Per l’anno 2021 (avviso di accertamento): qui la signora deve presentare ricorso contro l’accertamento. La linea è analoga: sostenere che l’Italia non poteva tassare quell’importo in virtù dell’art. 18 Convenzione, essendo lei residente estera convenzionale. Allega certificato di residenza 2021. Richiama Cass. 10308/2024 (pensione Italia a residente in Turchia esente) e Cass. 21684/2023 (pensione in Portogallo). Chiede l’annullamento totale dell’accertamento (sia imposte che sanzioni). In subordine, fa notare che comunque avrebbe diritto al credito d’imposta per eventuali ritenute subite in Portogallo (in realtà 0, ma lo dice per completezza). Ma la sua tesi principale è che nulla era dovuto.
    • Inoltre, eccepisce che la sanzione 180% aggravata è illegittima perché in contrasto col favor rei (nel 2024 la norma è cambiata in 70% senza aggravante, quindi dovrebbe applicarsi la sanzione più mite anche retroattivamente). Quindi, anche se per assurdo fosse dovuta imposta, la sanzione massima applicabile sarebbe il 70%. Quindi già su sanzioni chiede riduzione ex lege.
    • Probabilmente, però, il giudice non arriverà a discutere di sanzione: essendo chiara la spettanza dell’esenzione, annullerà in toto l’imposta e di conseguenza anche la sanzione.

Esito atteso: La sig.ra Bianchi verosimilmente vincerà la causa o già in fase di reclamo l’Ufficio potrebbe desistere. In effetti, l’Agenzia si sta uniformando e spesso non appella più quando il contribuente vince su queste pensioni estere, per non ingolfare la Cassazione visto che la Suprema Corte si è espressa chiaramente. Quindi, la signora dovrebbe riuscire a non pagare nulla per il 2021 e a riavere quanto già versato per gli anni precedenti (magari con un po’ di ritardo, ma con interessi).

Lezione appresa: Per i pensionati che si trasferiscono all’estero, è cruciale seguire le procedure convenzionali (comunicare all’ente erogatore la residenza estera, ottenere certificati, ecc.). Se l’Italia continua a tassare o nega rimborsi, la giurisprudenza è dalla parte del contribuente: vale la pena far valere i propri diritti in Commissione. Anche in ottica futura, con la fine del regime NHR dal 2024, i pensionati italiani in Portogallo pagheranno un po’ di tasse in Portogallo ma comunque non dovranno pagarle due volte: la convenzione e la prassi giurisprudenziale li proteggono dal doppio prelievo.

Caso 3: Imprenditore con residenza contestata (Italia vs Portogallo)

Scenario: Il sig. Verdi, imprenditore digitale, nel 2020 decide di trasferirsi a Madeira (Portogallo) dove apre una società Lda per la sua attività di consulenza online. Si iscrive all’AIRE a fine 2020. Mantiene però in Italia la casa di proprietà dove risiede la moglie e i figli (lui rientra un paio di giorni al mese), e continua ad avere conti bancari in Italia. Nel 2022 l’Agenzia delle Entrate apre una verifica, sospettando che il sig. Verdi abbia simulato la residenza estera solo per fruire di agevolazioni (Madeira ha tax regime di favore). Nel 2023 notifica un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2021 in cui contesta che il sig. Verdi era in realtà residente in Italia (dato che la famiglia e gli interessi economici principali erano qui) e quindi tassa in Italia tutti i redditi da lui prodotti, inclusi i profitti della società estera (riqualificati come reddito d’impresa suo o come dividendi non dichiarati). In particolare, gli attribuisce un reddito imponibile di €200.000 (fatturato della società Madeira) con IRPEF + addizionali di circa €70.000, più sanzione per omessa dichiarazione al 120% (€84.000). Inoltre, contesta omessa compilazione RW per le quote societarie estere e per un conto bancario portoghese (€500.000 sul conto, sanzione 3% = €15.000). Totale richiesto (tra imposte e sanzioni): oltre €170.000.

Problematiche: Questo è un caso complesso di presunta esterovestizione personale e societaria. L’Agenzia qui combina la contestazione di residenza con quella di “schermo societario” (la Lda estera vista come entità interposta). La difesa è difficile perché i legami familiari in Italia sono un fattore a sfavore di Verdi. Lui deve provare di essersi realmente trasferito e che la società a Madeira svolge attività reale lì, non solo fittizia.

Difesa possibile:

  • Sul punto residenza fiscale: il sig. Verdi deve portare evidenze che nel 2021 la sua dimora abituale era a Madeira e lì trascorreva la maggior parte del tempo (biglietti aerei, registrazioni di ingresso/uscita, eventuali utenze a lui intestate a Madeira). Deve spiegare perché la famiglia era rimasta in Italia (es. per far finire l’anno scolastico ai figli, con successivo ricongiungimento? Se la moglie e i figli in realtà non si sono mai trasferiti, è un problema: il “centro degli interessi familiari” rimasto in Italia è un indicatore fortissimo di residenza in Italia). Egli potrebbe argomentare che il concetto di centro degli interessi vitali va ponderato: il suo business e la vita quotidiana erano a Madeira, anche se i familiari risiedevano in Italia temporaneamente. Fornirà certificato di residenza portoghese, e se la Convenzione fosse invocata, i tie-breaker non sono semplici: ha la famiglia in Italia, casa in Italia e Madeira, interessi economici? La società è a Madeira ma i clienti magari in vari paesi (difficile dire dove il centro economico). Soggiorno abituale: se provasse di stare >183gg a Madeira, avrebbe un punto. Se cittadinanza: italiana, quindi tie-breaker finale lo darebbe all’Italia. Non facile, onestamente l’Agenzia pare avere prove forti.
  • Sul punto società estera: deve dimostrare che la Madeira Lda è una vera entità: ha ufficio, dipendenti? O è solo lui col laptop? Se è unipersonale senza struttura, l’ufficio sostiene che la sede di direzione effettiva è in Italia (perché lui fisicamente spesso in Italia, o comunque prende decisioni da ovunque). Verdi potrebbe sostenere che la società è genuinamente portoghese, iscritta alla zona franca di Madeira, e che la legge portoghese prevede tassazione ridotta ma legittima. Dovrebbe mostrare magari contratti stipulati a Madeira, conferenze fatte lì, licenze locali, ecc. La Cassazione dice che per contestare esterovestizione societaria l’onere è sull’Agenzia, ma qui l’Agenzia ha vari indizi (famiglia in Italia, ecc.).
  • Aspetti giuridici da far valere: Verdi può richiamare la Convenzione Italia-Portogallo art. 4 sul tie-breaker di residenza: rivendica che secondo i criteri convenzionali dovrebbe risultare residente in Portogallo (permanenza prevalente lì se riesce a provarla). Se il giudice gli desse ragione sulla residenza convenzionale, tutto l’accertamento salta: i redditi esteri non tassabili e eventuali redditi italiani (non citati nel caso) sarebbero gli unici tassabili.
  • Verdi può anche far leva su eventuali errori procedurali: l’avviso ha rispettato il contraddittorio preventivo? Se no, nullità. Oppure, l’ufficio ha considerato erroneamente come reddito personale di Verdi l’intero fatturato societario: se la società è vera, i redditi sono suoi non suoi personali. Potrebbe eccepire che l’ufficio sta attribuendo a lui redditi di un soggetto giuridico distinto senza base legale (se non c’è un accertamento anti-elusione formale).
  • Sulle sanzioni RW (€15k): Verdi potrebbe dire che se era effettivamente residente estero, non aveva obbligo di RW. Quindi se riesce a ribaltare la residenza, quelle sanzioni cadono.
  • In subordine, chiedere almeno di eliminare l’aggravante estero sulle sanzioni (norma abrogata dal 2024), portando la sanzione omessa dichiarazione al 120% (già così) e infedele al 70% se considerata infedele. Non un gran sollievo, ma qualcosa.

Esito possibile: Questo è un caso borderline. Se Verdi ha prove insufficienti, la Commissione potrebbe confermare l’accertamento. Potrebbe però ridurre la sanzione per favor rei a 70% (nel 2021 la norma aggravante c’era ancora ma fatti non definitivi, quindi la applicano retroattivamente ridotta). Dunque sanzione scenderebbe a €70k invece di 84k. Le imposte €70k restano. Totale sui €140k. Forse il giudice troverà un compromesso: ad esempio, riconoscere che Verdi è almeno residente convenzionale in Portogallo da metà anno (se prove parziali) e quindi ripartire reddito? Non previsto da norma, ma a volte succede che tagliano un po’. In appello magari Verdi se la gioca meglio presentando nuove prove. In Cassazione, se arriva, potrebbe avere fortuna se ci sono vizi procedurali o se il caso rientra in quell’orientamento di non vincolare la residenza anagrafica (post-2024 scenario).

Lezione appresa: Chi si trasferisce all’estero per ragioni fiscali deve farlo in modo genuino, trasferendo realmente il baricentro della propria vita. Mantenere famiglia e affetti in Italia indebolisce molto la posizione. In caso di verifica, il Fisco userà ogni indizio per provare la residenza in Italia e tassare tutto. La difesa deve essere organizzata con anticipo: documentare ossessivamente la permanenza all’estero, tagliare più possibili legami italiani (vendere casa o almeno non tenerla disponibile, portare la famiglia con sé se possibile, ecc.). Senza queste precauzioni, il rischio di perdere la causa è alto.


Questi casi pratici evidenziano come, a seconda delle situazioni, le sorti possano essere diverse: casi (2) in cui il contribuente ha la legge e i giudici dalla sua, casi (3) in cui la posizione è sfavorevole e la difesa complessa. L’importante è agire con tempestività (es. ravvedersi se ancora in tempo come nel caso 1, o reclamare i diritti come nel caso 2) e con competenza, magari affidandosi a professionisti esperti di fiscalità internazionale. Nel prossimo capitolo, in formato domanda & risposta, affronteremo in modo sintetico i quesiti più frequenti su questi temi.

Domande frequenti (FAQ)

D: Sono cittadino italiano, ho trasferito la residenza in Portogallo e mi sono iscritto all’AIRE. L’Agenzia delle Entrate può comunque considerarmi residente fiscale in Italia?
R: Sì, può farlo se dimostra che in realtà non hai cessato i legami con l’Italia. L’iscrizione all’AIRE infatti è condizione necessaria ma non sufficiente per perdere la residenza fiscale italiana. Il Fisco guarderà ai fatti: se hai ancora in Italia la tua abitazione principale, la famiglia, il centro dei tuoi affari e trascorri qui molto tempo, potrebbe sostenere che conservi domicilio o residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 TUIR. In caso di accertamento sulla residenza, spetta a te provare la tua effettiva permanenza all’estero (dimora abituale) e lo spostamento del centro dei tuoi interessi vitali fuori dall’Italia. Elementi come contratti di affitto esteri, bollette, iscrizione a club, attestati di lavoro in Portogallo saranno utili. Se invece lasci in Italia casa e famiglia, preparati a una contestazione – la legge italiana (soprattutto prima del 2024) tendeva a considerarti residente in tal caso, e anche dopo la riforma, la presenza della famiglia in patria è un indizio molto forte. Dunque, puoi difenderti ma devi fornire prove concrete del tuo effettivo trasferimento.

D: Ho un conto corrente bancario in Portogallo; devo indicarlo nella dichiarazione italiana?
R: Sì, se sei fiscalmente residente in Italia devi dichiarare i conti esteri. In particolare va compilato il Quadro RW indicando il saldo e l’importo massimo del conto nell’anno (sono esonerati solo i conti con giacenza media sotto €5.000 e saldo < €15.000 a fine anno, limitatamente al monitoraggio). Anche se il conto non produce interessi, l’obbligo di monitoraggio sussiste. L’omessa indicazione comporta una sanzione tra il 3% e il 15% del saldo non dichiarato. Inoltre, sul conto estero devi pagare l’IVAFE (imposta patrimoniale dello 0,2% sul valore medio, paragonabile al bollo italiano). Se non l’hai versata, l’Agenzia recupererà l’IVAFE con sanzione 30%. Dunque, per evitare sanzioni salate, dichiara sempre i conti esteri in RW (o regolarizzali spontaneamente appena possibile).

D: Il Fisco italiano come viene a sapere che ho un conto o redditi in Portogallo?
R: Oggi esistono vari strumenti. In primis lo scambio automatico di informazioni CRS: le banche portoghesi comunicano al fisco portoghese i dati dei conti intestati a residenti italiani, e questo li trasmette all’Italia ogni anno. Quindi l’Agenzia delle Entrate riceve direttamente saldi e movimenti di conti esteri. Inoltre, c’è cooperazione amministrativa: l’Italia può chiedere dettagli al Portogallo (es. atti di proprietà, redditi dichiarati localmente) e viceversa. Il Fisco incrocia poi questi dati con altre banche dati (anagrafe, catasto, ecc.). Dal 2025 ha predisposto liste di controllo proprio su patrimoni esteri e residenze fittizie. Insomma, molto difficilmente un conto o immobile in Portogallo sfuggirà all’attenzione: l’epoca del segreto bancario è finita. Anche eventuali pensioni o stipendi percepiti in Portogallo vengono segnalati (il Portogallo comunica i redditi pagati a residenti di altri paesi tramite lo scambio DAC1). In più, se hai chiesto l’iscrizione AIRE o hai comunicato all’INPS il cambio residenza per esenzione imposte, ciò allerta l’Agenzia italiana che potresti avere redditi esteri; spesso partono controlli sulle posizioni AIRE per verificarne la fondatezza. Quindi, la fonte principale è lo scambio dati automatico, attivo dal 2017, che di fatto rivela conti correnti, depositi e simili.

D: Sono pensionato residente in Portogallo. Devo dichiarare in Italia la mia pensione INPS?
R: Dipende dal tipo di pensione e dalla tua residenza fiscale effettiva. Se sei realmente residente fiscale in Portogallo (e non in Italia) e la tua pensione è di natura privata (INPS fondo lavoratori dipendenti, gestione separata, ecc.), allora in base alla Convenzione Italia-Portogallo non va tassata in Italia ma solo in Portogallo. Quindi non devi includerla nella dichiarazione italiana. Anzi, puoi chiedere all’INPS l’esenzione alla fonte presentando il certificato di residenza fiscale estera; oppure, se l’INPS ha già trattenuto IRPEF, puoi chiederne il rimborso. La giurisprudenza ha confermato che le pensioni private spettano esclusivamente al fisco portoghese se risiedi là. Fai attenzione però: se la tua residenza fiscale fosse contestata e considerata ancora italiana, allora l’Italia pretenderebbe le imposte sulla pensione (ma in tal caso potresti non essere considerato residente portoghese, quindi la Convenzione non ti aiuterebbe – tutto dipende dall’esito sulla residenza). Nota anche che questa regola vale per pensioni “private”: se percepisci una pensione pubblica (ex dipendente pubblico), la Convenzione prevede tassazione in Italia anche se risiedi in Portogallo. Inoltre, dal 2023 è stato modificato il trattato tra Italia e Portogallo sulle pensioni, ma con effetti per i nuovi residenti – dal 2024 il Portogallo ha eliminato i vecchi benefici “zero tasse”, quindi da ora le pensioni estere vengono tassate almeno al 10% in Portogallo. In ogni caso, per gli anni fino al 2022 la risposta è chiara: se eri residente portoghese, la tua pensione privata non andava dichiarata in Italia (né tassata qui).

D: Ho percepito redditi di lavoro in Portogallo (come dipendente di un’azienda portoghese). Devo pagarci le tasse in Italia?
R: Se nel periodo d’imposta in questione eri residente fiscale in Italia, allora sì: l’Italia tassa i tuoi redditi ovunque prodotti. Dovrai dichiarare lo stipendio estero nel quadro RC o CE e potrai fruire di un credito d’imposta per le imposte che hai pagato in Portogallo su quello stesso reddito. In pratica, eviterai la doppia imposizione: se, ad esempio, il Portogallo ti ha tassato il 20% e l’Italia avrebbe aliquota 30%, in Italia pagherai solo la differenza (10%), grazie al credito. È importante compilare correttamente il modulo per il credito (quadro CE) indicando l’imposta estera definitiva pagata. Se invece in quell’anno non eri più residente in Italia ma residente in Portogallo, allora i redditi di lavoro dipendente svolto in Portogallo non sono imponibili in Italia (perché l’Italia tasserà solo i non residenti sui redditi prodotti in Italia, non su quelli prodotti all’estero). Infine, tieni conto della regola convenzionale: se per ipotesi eri ancora residente Italia ma hai lavorato in Portogallo per un periodo inferiore a 183 giorni e il datore di lavoro non è portoghese (caso di “trasferta”), potrebbe applicarsi l’esenzione in Portogallo e tassazione solo italiana – ma questo esula dal caso classico. Riassumendo: verifica la tua residenza fiscale in quell’anno; se Italia, dichiara i redditi esteri e chiedi credito; se no, tassazione solo locale.

D: Ho venduto un immobile che possedevo in Portogallo con una plusvalenza. L’Italia può tassare anche questa vendita?
R: La Convenzione Italia–Portogallo (art. 13) stabilisce che le plusvalenze immobiliari sono tassabili nel Paese dove l’immobile è situato. Quindi il Portogallo aveva il diritto di tassare la tua plusvalenza. Ma la convenzione non esclude che anche il Paese di residenza fiscale tassi (non è esclusiva). Di conseguenza, se tu eri residente fiscale in Italia nell’anno della vendita, devi dichiarare la plusvalenza anche in Italia, salvo il caso in cui – per la normativa italiana – la plusvalenza sia esente. In Italia infatti la vendita di un immobile detenuto da più di 5 anni non genera plusvalenza imponibile. Ad esempio: hai comprato casa a Lisbona nel 2010 e venduta nel 2021 -> in Italia nessuna tassazione perché trascorsi oltre 5 anni (anche se il Portogallo magari tassa lo stesso, l’Italia no). Se invece l’hai venduta entro 5 anni dall’acquisto, allora sarebbe imponibile anche in Italia (così come lo è in Portogallo). Dovrai dichiararla nel quadro RT e pagarci l’imposta sostitutiva del 26% (o su opzione, farla rientrare nel reddito IRPEF). Potrai però detrarre dall’imposta italiana qualunque imposta patrimoniale/plusvalenza pagata in Portogallo su quella vendita, tramite il credito d’imposta estero. Quindi, in definitiva, l’Italia può tassare la plusvalenza immobiliare estera solo se sei residente italiano e la plusvalenza è imponibile secondo le sue norme. Se la plusvalenza non c’è o è esente per decorrenza di tempo, non dovrai nulla qui. Se è tassabile, dichiari e usi il credito per evitare doppia tassazione. Nota: spesso il Portogallo tassa al 50% la plusvalenza in capo ai residenti. Per i non residenti invece credo applichi il 100% con aliquota fissa (28%). In ogni caso, quell’imposta estera la sottrai dall’italiana. Conviene farsi aiutare da un commercialista per il calcolo, perché le regole differiscono leggermente.

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate ma vivo in Portogallo. Devo pagare subito tutto l’importo richiesto?
R: No, non necessariamente. Intanto, se ritieni l’accertamento errato o ingiusto, hai diritto a fare ricorso entro 60 giorni (estesi a 120 giorni se la notifica ti è pervenuta all’estero) dalla notifica. Presentando ricorso, non devi pagare immediatamente l’intero importo. Per legge, durante il giudizio di primo grado la riscossione è sospesa per i 2/3 delle imposte accertate. Significa che, in pendenza di giudizio, al massimo ti potrebbero chiedere il versamento di 1/3 delle imposte contestate (non delle sanzioni, solo imposte). In pratica Equitalia/AdER potrebbe emettere una cartella per quell’importo parziale dopo 90 giorni dalla notifica dell’atto. Tuttavia, se temi azioni esecutive, puoi anche chiedere al giudice una sospensione totale del pagamento fino a sentenza, motivandola con il fatto che il pagamento ti causerebbe un danno grave e che il ricorso ha fondamento. Spesso per importi elevati i giudici concedono la sospensiva. Dunque, non pagare subito tutto: valuta prima la difesa. Se invece decidi di accettare l’accertamento (perché hai torto o vuoi chiudere), puoi usufruire della definizione agevolata (acquiescenza): pagando entro 60 giorni, avrai le sanzioni ridotte a 1/3. E puoi chiedere la rateazione (fino a 8 rate se importo alto). Quindi hai opzioni. Ricorda anche che, essendo tu in Portogallo, l’Italia può eventualmente attivare le autorità portoghesi per la riscossione forzata del debito tributario (c’è cooperazione anche per la riscossione). Ma questo avviene solo se l’accertamento diventa definitivo e tu non paghi. Nel frattempo, hai tutto il diritto di contestare l’atto e nessuno può esigere il 100% subito. In sintesi: valuterai col tuo consulente se fare ricorso; se sì, pagherai al massimo un terzo (e forse neanche quello con sospensiva); se no, pagherai con sconto sanzioni. Mai ignorare l’atto, questo no – agisci entro i termini appropriati.

D: Che cos’è l’“accertamento con adesione” e conviene chiederlo in caso di redditi esteri non dichiarati?
R: L’accertamento con adesione è una procedura di confronto con l’ufficio che ti consente di raggiungere un accordo transattivo sul contenuto dell’accertamento, evitando il contenzioso. Presentando un’istanza di adesione (entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, o anche dopo un processo verbale), l’Agenzia ti convocherà per discutere la tua situazione. Durante la riunione puoi produrre documenti, chiarimenti e motivazioni. Se si trova un accordo – ad esempio su un imponibile inferiore a quello contestato o sul riconoscimento di alcuni crediti d’imposta – si sottoscrive un verbale di adesione. I vantaggi: le sanzioni vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto e puoi pagare il dovuto in rate trimestrali fino a 8. Inoltre, l’adesione sospende i termini di impugnazione (ti dà più tempo). Conviene soprattutto quando riconosci in parte l’errore ma vuoi ottenere uno sconto sulle sanzioni e magari ridiscutere qualche importo. Ad esempio, se non hai dichiarato redditi esteri, potresti aderire chiedendo che ti venga concesso il credito d’imposta estero (spesso l’ufficio in sede di adesione è disposto ad aggiustare il tiro) e quindi riducendo le imposte dovute, e poi definendo le sanzioni al terzo. Se invece pensi di aver ragione al 100% (es. credi di essere non residente e che l’accertamento sia totalmente infondato), forse l’adesione non porterà a nulla, perché l’ufficio difficilmente rinuncerà all’intera pretesa – in tal caso meglio prepararsi al ricorso. Ma in genere tentare l’adesione non pregiudica i tuoi diritti: al massimo, se non raggiungi un accordo, potrai comunque fare ricorso e far valere tutte le tue ragioni (il contenuto delle discussioni di adesione non può essere usato contro di te in giudizio). Dunque, sì, conviene chiederla per vedere se si può chiudere la questione con un compromesso vantaggioso (riduzione di imposte/sanzioni). Ad esempio, su un avviso per conti esteri non dichiarati, in adesione potresti far presente errori e ottenere uno sgravio parziale, risparmiando tempo e costi del contenzioso. Considera infine che dal 2024 con il nuovo contraddittorio obbligatorio, l’ufficio ti inviterà già prima dell’avviso a formulare osservazioni o adesione. Quindi spesso il momento di “trattare” è anticipato. In ogni caso, l’adesione è uno strumento di definizione bonaria utile da sfruttare se c’è margine per una soluzione intermedia.

D: L’Agenzia delle Entrate mi contesta che la mia società aperta in Portogallo è in realtà residente in Italia (esterovestizione). Cosa comporta e come difendersi?
R: L’esterovestizione di una società significa che il Fisco ritiene la tua società estera come un mero schermo e che la direzione effettiva e l’attività sostanziale siano svolte in Italia. Se la contestazione passa, la conseguenza è che la società viene considerata fiscalmente residente in Italia con tutti i suoi redditi tassati qui. Per te, come azionista o amministratore, questo può comportare vari effetti: gli utili della società potrebbero essere imputati a te (in caso di società interposta) o comunque tassati in capo alla società in Italia, e potresti subire sanzioni per dichiarazione infedele se non hai indicato nella dichiarazione italiana gli investimenti esteri (quote societarie) o i redditi percepiti (dividendi, compensi). La difesa consiste nel dimostrare che la società è realmente indipendente e gestita all’estero. Devi provare che la società ha una sede operativa effettiva in Portogallo, personale o risorse economiche proprie, che le decisioni vengono prese lì (es. verbali del CdA tenuti in Portogallo, contabilità svolta localmente, contratti firmati lì) e che non viene amministrata da persone residenti in Italia. Più la società ha sostanza economica in Portogallo, più è credibile la sua residenza estera. Inoltre, evidenzia il rispetto delle normative locali: se la società ha benefici fiscali a Madeira, mostra che hai rispettato le condizioni (numero di dipendenti, investimento minimo, ecc.). La giurisprudenza (Cassazione) afferma che l’onere iniziale di provare l’esterovestizione sta sull’Agenzia – spesso si basano su indizi come il fatto che l’amministratore è italiano e non c’è struttura fuori. Tu devi confutare questi indizi con fatti: esibisci contratti di affitto di uffici, buste paga di eventuali dipendenti a Madeira, licenze o commesse locali. Se la società è solo una cassetta postale, la difesa è molto ardua. Nei casi peggiori, puoi cercare di transare: ad esempio potresti aderire per far tassare in Italia solo una parte dei redditi (forse quelli attribuibili ad attività svolte effettivamente in Italia) e mantenere all’estero il resto – ma legalmente non c’è una via di mezzo formalizzata, è più negoziale. In parallelo, se la vicenda ha risvolti penali (esterovestizione può implicare omessa dichiarazione o dichiarazione infedele oltre soglie), attento anche a regolarizzare posizione (il ravvedimento e pagamento integrale prima del dibattimento penale può estinguere il reato). In sintesi, la miglior difesa è a monte: dare sostanza reale alle società estere. A posteriori, se contesto, raccogli tutto ciò che prova l’autonomia della società. Se i giudici vedono che c’è sede, staff, e che la scelta estera non era puramente di comodo, potresti spuntarla. Altrimenti, preparati alla riquantificazione delle imposte come se quella società fosse sempre stata italiana (con eventuali doppi livelli di tassazione mitigati dal credito per imposte eventualmente pagate in PT). È una battaglia complessa che richiede supporto legale-tributario esperto.

D: Ho ricevuto una lettera dall’Agenzia in cui mi si chiede di spiegare movimenti finanziari con l’estero (o di compilare RW per investimenti in Portogallo). Cosa dovrei fare?
R: Questa è la cosiddetta compliance o invito a regolarizzare. L’Agenzia, prima di emettere un accertamento, spesso invia lettere bonarie se ha rilevato anomalie. Ad esempio, potrebbe averti scritto: “risultano a suo nome attività finanziarie estere per €X non indicate in dichiarazione” chiedendoti chiarimenti entro 30 giorni. Non ignorare questa lettera. È un’opportunità per sistemare le cose con sanzioni ridotte. Puoi rispondere in due modi:

  • Se ritieni che la segnalazione sia corretta (effettivamente hai omesso di dichiarare qualcosa), puoi procedere a un ravvedimento operoso. In pratica, presenti una dichiarazione integrativa per l’anno in questione aggiungendo i dati mancanti (ad esempio compili il quadro RW), e versi la sanzione ridotta. Spesso la stessa lettera indica come fare e a quali sanzioni ridotte si può accedere (di solito 1/6 del minimo se l’invito è formale). Così ti metti in regola ed eviti l’accertamento vero e proprio.
  • Se invece pensi che i dati siano errati o che tu fossi esonerato (es. perché non residente in quell’anno, o quell’attività non era di tua proprietà esclusiva, ecc.), puoi fornire chiarimenti all’Agenzia. Meglio farlo per iscritto e con documenti. L’Agenzia valuterà. Se la spiegazione convince, chiuderanno la segnalazione senza accertamento. Se non rispondi o la risposta non li convince, quasi certamente procederanno con un avviso formale.

In sostanza, conviene usare questa fase per limitare i danni. Il linguaggio è “soft” ma è un campanello d’allarme: hanno informazioni su di te. Ad esempio, se segnalano un conto in Portogallo non dichiarato e tu effettivamente l’hai, fai subito integrativa e paga la sanzione ridotta (3% ridotto a 0,5% o giù di lì a seconda del ritardo). Se aspetti l’accertamento, pagherai il 3% pieno (o 6% se ritengono black list) e difficilmente potrai avere la riduzione a 1/6. Inoltre, col ravvedimento eviti il contenzioso e anche l’aspetto penale se rilevante, perché dimostri spontanea volontà di sanare. Le domande dell’Agenzia vanno prese seriamente: rispondere evita che presumano il peggio. Perciò, se ricevi una lettera del genere, il consiglio è di rivolgerti subito al tuo commercialista o avvocato tributarista, analizzare cosa viene contestato e predisporre una risposta ravvedendoti se necessario. Ignorare l’avviso, sperando che passi, è la scelta peggiore: dopo 30 (o 60) giorni, l’Agenzia passerà all’atto formale e a quel punto le sanzioni saranno piene e la posizione più rigida.

D: In caso di accertamento su redditi esteri, a chi spetta l’onere della prova?
R: In generale, spetta all’Agenzia delle Entrate provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria. Se ti contesta redditi non dichiarati, deve esibire elementi concreti (ad esempio i dati bancari comunicati dal Portogallo) che mostrino che tu avevi quell’attività redditizia. L’onere passa a te per eventuali esimenti o prove contrarie. Ad esempio, se contestano che sei residente in Italia, l’Agenzia magari porta evidenze di tua presenza sul territorio, casa, famiglia; tu dovrai provare per contro la residenza estera (contratti casa all’estero, ecc.). Oppure se contestano un conto estero con flussi in entrata, l’Agenzia può presumere che siano redditi evasi; tu devi provare che magari erano risparmi già tassati, un lascito ereditario, ecc., per vincere la presunzione. Nel caso di crediti d’imposta esteri, se non li hai indicati in dichiarazione, devi documentare tu l’imposta pagata all’estero per averli in sede di accertamento. Il principio di recente affermato è che l’Italia deve onorare i trattati, quindi il giudice può riconoscerli se emergono, ma dovrai fornire ad es. la prova del pagamento dell’imposta in Portogallo (certificato di tassazione estera). Dunque, in sintesi: l’Agenzia deve provare che c’erano redditi/attività non dichiarati; tu devi provare eventuali circostanze che riducono la pretesa, come la tua diversa residenza, l’esistenza di un credito per tasse pagate altrove, la duplice imposizione, o che l’attività estera non produceva reddito. Se l’accertamento si basa su presunzioni legali (es. presunzione di residenza per anagrafe, presunzione di redditività 5% su capitali), sono relative: sta a te confutarle portando evidenze contrarie. Un esempio: Agenzia mostra che eri iscritto all’anagrafe italiana fino a tutto il 2021, presume tu fossi residente; tu puoi provare che in realtà vivevi stabilmente in Portogallo (contratti, spese mediche, etc.) e chiedere al giudice di considerare la prova contraria. Altro esempio: Agenzia vede €100.000 arrivati sul conto portoghese, presume siano redditi non dichiarati; tu provi che erano trasferimenti da un tuo conto svizzero già tassati con voluntary disclosure, allora contesterai la tassazione perché era capitale non reddito. Insomma, l’onere è condiviso: l’Agenzia deve fornirti basi solide dell’accertamento, tu devi reagire documentando la tua versione. Chi resta inerte di fronte a elementi dell’Ufficio solitamente perde. Meglio quindi preparare un dossier probatorio già in sede di adesione o ricorso, con tutto ciò che avvalora la tua posizione (certificati esteri, documenti bancari, testimonianze se ammesse, etc.).


Abbiamo così affrontato molti aspetti pratici della difesa da accertamenti fiscali in materia di conti e redditi in Portogallo. Nella sezione seguente riportiamo un riepilogo tabellare dei punti chiave e, in chiusura, l’elenco delle fonti normative e giurisprudenziali citate.

Tabelle riepilogative

Tassazione Italia–Portogallo per tipologia di reddito (principi generali)

Categoria di redditoTassazione in Italia se residente ITA?Tassazione in PortogalloNote Convenzione
Pensioni private (es. INPS fondo lavoratori)Sì (worldwide taxation), ma esente se convenzione applicabile (residente estero)Sì, se residente in PT (NHR 0% fino 2019, 10% dopo)Art. 18: esclusiva al Paese di residenza del beneficiario. Pensionato residente PT: Italia esente.
Pensioni pubbliche (ex dipendenti pubblici)Sì, imponibile in Italia normalmente (fonte italiana)No (salvo beneficiario abbia cittadinanza e residenza PT)Art. 19: tassazione solo Stato pagatore salvo eccezione.
Redditi di lavoro dipendenteSì, se soggetto è residente ITA; se non residente ITA, tassati solo se lavoro prestato in ItaliaSì, se lavoro svolto in PT (tranne brevi periodi <183gg con datore non PT)Art. 15: imponibile dove lavoro esercitato. Credit d’imposta al residente per evitare doppia imposizione.
Compensi da lavoro autonomo/professionaleSì (residente ITA su reddito mondiale)Sì, se attività svolta in PT (o con base fissa in PT)Art. 14: imponibile dove svolta attività se base fissa. (Simile a lavoro dip).
Dividendi da societàSì, tassazione IRPEF 26% (residente dichiara e può optare per credito)Sì, Portogallo applica ritenuta 15% ai non residenti (es.)Art. 10: entrambi gli Stati, fonte max 15%. Italia dà credito su imposta estera.
Interessi (bancari, obbligazionari)Sì, imposta sostitutiva 26% (residente)Sì, ritenuta PT 28% (non residenti)Art. 11: entrambi gli Stati, fonte max 10%. Credito d’imposta spettante.
RoyaltiesSì (residente su reddito ovunque)Sì, ritenuta PT ~15% (non residenti)Art. 12: entrambi, fonte max 12%. Credito al residente.
Canoni di affitto immobiliSì (residente dichiara, con credito per eventuale tassazione estera)Sì, tassazione in PT (immobile sito lì)Art. 6: prevale Stato sito immobile, ma residente Italia dichiara con credito.
Plusvalenze immobiliariSì, se immobile venduto entro 5 anni dall’acquisto (altrimenti esente)Sì, tassazione in PT (norme locali, es. 50% imponibile se residente)Art. 13: tassabile nello Stato del bene; l’altro Stato può tassare secondo propria legge (Italia tassa se residente vende entro 5 anni). Credito d’imposta se doppia tassazione.
Redditi d’impresa (società)Sì, se società residente in Italia (IRES); se persona fisica residente percepisce utili esteri, sì (vedi dividendi)Sì, se società residente in PT (Corporate Tax ~21%); utili distribuiti tassati in PT al socio non residente con ritenuta 15%.Art. 7: utile di impresa tassato dove impresa ha stabile organizzazione. Art. 5: criteri stabile org. (attenzione esterovestizione: se ITA ritiene società estera con direzione in ITA, la considera residente ITA).

Legenda: in tabella si considera il contribuente come residente fiscale italiano, salvo diversamente specificato. Se il contribuente diventa residente fiscale in Portogallo, valgono i principi inversi (tassa Portogallo reddito mondiale con eccezioni da trattati, Italia tassa solo redditi da fonti in Italia). In caso di doppia residenza potenziale, la Convenzione applica i criteri succedanei (abitazione permanente, centro interessi vitali, soggiorno abituale, cittadinanza) per determinare un solo Stato di residenza convenzionale. Il credito d’imposta estero è il meccanismo usuale per evitare la doppia imposizione quando entrambi gli Stati tassano: l’Italia riconosce un credito fino a concorrenza dell’imposta estera definitiva pagata.

Obblighi dichiarativi e sanzioni (sintesi)

Obbligo fiscale (per residente fiscale ITA)DescrizioneSanzione per omissioneNote riduzioni
Dichiarazione dei redditi esteri (Quadri Redditi)Dichiarare in Unico/730 tutti i redditi percepiti all’estero (lavoro, pensioni, interessi, affitti, ecc.).Infedele: 90–180% imposta evasa (min €250). – Omessa: 120–240% imposta (min €250). (Dal 2024: infedele 70% fisso, omessa in revisione).Sanzioni ridotte di 1/3 in acquiescenza (se paghi entro 60 gg). Ravvedimento: riduzioni 1/8 – 1/5 – 1/6 a seconda del tempo. Premio 50% sanzione se integrativa prima controlli. Non più aggravante +1/3 per redditi esteri (abolita).
Monitoraggio attività estere (Quadro RW)Dichiarare investimenti e attività finanziarie detenute all’estero (conti, partecipazioni, immobili, crypto, ecc.).3% – 15% del valore non dichiarato per anno (se Paese white list). 6% – 30% se Paese black list (raddoppio).Ravvedimento: sanzione minima (3% o 6%) ridotta da 1/8 a 1/6 se oltre 2 anni -> es. 3% diventa 0.5%. Se attività cessata prima accertamento, sanzione su ultimo valore noto. Cass. 28077/2024: violazione RW è sostanziale, sanzione legittima anche se nessun reddito evaso.
IVAFE (conto estero)Imposta 0,2% su valore medio annuo di conti correnti e attività finanziarie estere (equipollente bollo).30% dell’imposta non versata (omesso versamento).Ravvedimento: 30% ridotto a 1/15 per mese di ritardo entro 1 anno; dopo 1 anno 30% ridotto a 1/8 fisso (~3.75%). Ravvedimento speciale 2023: possibile definizione 1/18 sanzioni per 2021 e prec. (IVAFE incluso).
IVIE (immobili esteri)Imposta 0,76% su valore immobile estero (credito per imp patrimoniale estera pagata, es IMI).30% dell’imposta non versata.Come IVAFE per riduzioni. NB: Omessa dichiarazione di immobili esteri può comportare anche presunzione di redditi sottratti se black list (5% valore per anno).
Iscrizione AIRE (trasferimento residenza estero)Obbligo iscriversi entro 90 gg dall’espatrio (>12 mesi).€200 – €1.000 per anno di ritardo (dal 2024). Ridotto a €20 se ritardo < 90 gg e spontaneo.Sanzione introdotta L. 197/2022 (L. Bilancio 2023). PA comunicano residenze di fatto estere al Comune (cancellazione d’ufficio possibile).
Quadro RW – dati cripto-attività(Dal 2022) Obbligo monitorare valute virtuali e crypto-asset detenuti su exchange esteri o wallet.3% – 15% come altre attività finanziarie (trattate come attività estere).Molti hanno ignorato in passato; in accertamento valgono stesse regole di sanzione RW. Regime imposta sostitutiva capital gain crypto dal 2023.
Presentazione documenti su richiesta (esteri)Obbligo fornire all’Agenzia documentazione estera richiesta (es. estratti conto, contratti) in accertamento.Sanzione da €2.000 a €21.000 per mancata ottemperanza a richiesta dati esteri (art. 8 co 1 DL 471/97).Introdotta dal 2017 per rafforzare scambio info. Se non rispondi a questionario su dati esteri, oltre a sanzione l’ufficio può presumere contenuto sfavorevole.

Tempistiche e rimedi nel procedimento di accertamento

Fase / TermineDescrizioneDifesa / Effetti
Notifica Avviso di accertamento – termine ordinario31 dicembre del 5° anno successivo a dichiarazione (infedele) 31 dicembre 7° anno successivo se dichiarazione omessa.Se notificato oltre termine, accertamento nullo. Eventuali proroghe: +1 anno se violazione 2020 per Covid; raddoppio termini se reato tributario con denuncia (ma solo per soggetti e anni in questione).
Contraddittorio endo-procedimentale (dal 2024)Obbligo invio avviso di accertamento in bozza + invito a controdedurre almeno 60 gg prima di atto definitivo.Contribuente presenta memorie difensive; l’Ufficio deve valutarle e replicare in motivazione. Se omissione contraddittorio dovuto: atto annullabile per violazione diritto difesa.
Accertamento con adesione – istanza entro 60 gg (30 gg se pre-atto)Richiesta di definizione bonaria; sospende termini ricorso +90 gg. Incontro col Fisco.Se accordo: stesura atto adesione, versamento imposte concordate (sanzioni ridotte 1/3 min.). Se fallisce: riprende decorso termini per ricorso.
Ricorso tributario – 60 gg dalla notifica (120 gg se estero).Impugnazione avanti Corte Giustizia Tributaria I grado. Sospende esecutorietà 2/3 imposte.Entro 30 gg da ricorso, pagamento provvisorio 1/3 imposte (se non si ottiene sospensione). Possibile chiedere sospensiva totale al giudice (in caso di danno grave e fumus boni iuris).
Mediazione/reclamo (atti fino €50k, ora €100k)Procedura obbligatoria ante giudizio (per atti minori): propone soluzione entro 90 gg.Se mediazione accolta: definizione con sanzioni al 35% (o 40% se conciliazione in giudizio). Se non accolta: si procede col ricorso (già introdotto con reclamo).
Sentenza I grado – tempi variabili (6-24 mesi)Decisione su ricorso. Esecutività immediata delle somme in sentenza (se favorevole Fisco).Parte soccombente può appellare entro 60 gg. Pagamento dovuto dopo 30 gg: se contribuente perde, deve versare provvisoriamente quanto stabilito dal giudice (di regola 1/3 imposte se prosegue appello, oltre a 100% sanzioni se non appellate).
Appello (C.G. Tributaria II grado) – 60 gg da sentenzaRiesame della causa in secondo grado.Se contribuente ha pagato dopo I grado e vince in appello, ha diritto a rimborso con interessi.
Corte di Cassazione – 60 gg da sentenza appelloRicorso per soli motivi di diritto, terzo grado.Fase di legittimità. Non sospende esecuzione salvo istanza specifica e gravi motivi.
Riscossione coattiva internazionale – post sentenza definitivaSe somme definitive non pagate, Italia può chiedere a Portogallo di riscuotere come fosse un suo tributo (dir. 2010/24/UE).Contribuente riceverà ingiunzioni dall’autorità portoghese. Possibili pignoramenti su beni/conti in Portogallo. Evitabile con pagamento spontaneo/rateizzazione italica prima.

Nota: tempi e percentuali possono variare con nuove normative. Dal 2023 sono aumentate soglie per mediazione e introdotte nuove regole di processo tributario (giudici professionalizzati, contributo unificato, ecc.) non dettagliate qui. Importante: dal 2022 gli organi si chiamano Corti di Giustizia Tributaria ma la sostanza procedurale rimane simile.

Recenti pronunce giurisprudenziali favorevoli al contribuente (selezione)

  • Cass. 3343/2023 – Residente in Portogallo: pensione privata INPS esente da IRPEF Italia, basta assoggettabilità astratta in Portogallo.
  • Cass. 21684/2023 – Conferma rimborso IRPEF su pensione italiana a residente in Portogallo indipendentemente da tassazione effettiva estera (principio “astratta tassabilità estera”).
  • Cass. 30779/2023 – Certificato di residenza fiscale estero è prova sufficiente per convenzione; non serve prova doppia tassazione effettiva.
  • Cass. 28077/2024 – Omessa compilazione Quadro RW = violazione sostanziale, sanzione 5-25% (ora 3-15%) legittima anche se nessun danno erariale. Non è meramente formale.
  • Cass. 10642/2025Credito d’imposta estero: l’omessa indicazione in dichiarazione non fa decadere dal diritto al credito se c’è obbligo internazionale a evitar doppia imposizione. Il contribuente può far valere il credito anche postumo.
  • Cass. 16634/2018 (vecchio orient.) – Iscrizione anagrafica in Italia costituiva presunzione assoluta di residenza (orientamento superato dalla riforma 2024).
  • Cass. 6501/2015 – Relazioni familiari in Italia non determinano da sole residenza fiscale se altri elementi indicano legami più stretti altrove.
  • Cass. 1883/2023 – Contestazione esterovestizione: onere su Fisco di dimostrare che residenza estera è fittizia; criteri diversificati per persone fisiche vs società.
  • Corte Giust. UE causa C-388/19 “Spagna modello 720” (27-1-2022) – Sanzioni sproporzionate su attività estere (150% imposta) violano diritto UE. – (Rilevante analogicamente per sanzioni RW eccessive; le italiane 3-15% sono più moderate, ma argomento di proporzionalità può essere invocato).

Le pronunce di legittimità indicano una tendenza a tutelare il contribuente su doppia imposizione e riconoscimento di situazioni convenzionali, mentre restano severe su obblighi dichiarativi formali. È fondamentale citare i precedenti più recenti nel proprio caso, poiché i giudici di merito spesso si attengono agli orientamenti della Cassazione soprattutto quando consolidati.

Fonti

  • DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 2 co.2 (residenza fiscale), art. 3 co.1 (worldwide taxation), art. 165 (credito per imposte estere).
  • Convenzione tra Italia e Portogallo per evitare le doppie imposizioni, firmata a Roma il 14/05/1980 (Legge 29/11/1980 n. 844), artt. 4 (residenza), 18 (pensioni private), 19 (pensioni pubbliche), 6, 10-12, 13 ecc.
  • D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (monitoraggio attività estere), conv. L. 227/1990, art. 4 (quadro RW), art. 5 (sanzioni 3-15% / 6-30%), art. 6 (presunzione redditività 5%).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1 (sanzioni dichiarazione infedele 90-180%, omessa 120-240%, +1/3 se estero – prima riforma 2023); art. 8 (sanzione omissione esibizione atti esteri).
  • D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (riforma sanzioni) – modifiche a D.Lgs. 471/97 in vigore dal 2016.
  • D.Lgs. 4 agosto 2022, n. 128 (riforma processo tributario 2022) – istituzione Corti Giustizia Trib., mediazione elevata a €50k.
  • D.Lgs. 7 ottobre 2022, n. 149 – delega riforma giustizia tributaria.
  • Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (L. Bilancio 2023) – commi 174-178 (ravvedimento speciale 1/18 sanzioni, escluso RW); commi 143-147 (sanzioni per omessa iscrizione AIRE dal 2024).
  • D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 192 – attuazione Dir. UE 2018/822 (DAC6, obbligo segnalazione meccanismi transfrontalieri).
  • D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 209 – modifica art. 2 TUIR (residenza fiscale: presunzione anagrafica diventa relativa; introdotto criterio presenza 183gg).
  • D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 218 – recepimento Dir. 2021/514 (DAC7, scambio dati piattaforme digitali) – in corso attuazione.
  • D.Lgs. 13/2024 (delega fiscale) – ha introdotto contraddittorio generalizzato obbligatorio e riformato accertamento con adesione.
  • Provv. Ag. Entrate n. 43999/2021 – protocollo modifica Convenzione Italia-Portogallo (non tassazione pensioni: abolizione dal 2023 – accordo bilaterale).
  • Circolare Agenzia Entrate 25/E del 21/06/2023 – chiarimenti residenza fiscale, smart working estero, ecc. (rapporto disciplina interna & convenzioni).
  • Direttiva annuale controlli 2025 Agenzia Entrate – focus su patrimoni esteri e residenze fittizie (sintesi in Edotto, 8/8/2025).
  • Giurisprudenza:
    • Cass. civ. Sez. V ord. 6501/2015 – Relazioni familiari in Italia non bastano per residenza, serve contesto probatorio unitario.
    • Cass. Sez. V sent. 16634/2018 – Iscrizione Anagrafe Res. costituiva presunzione assoluta (posizione poi superata da modifica legge 2024).
    • Cass. Sez. V sent. 24246/2020 – Residenza estera negata se famiglia e affari restano in Italia (caso in Dubai, presunzione non vinta).
    • Cass. Sez. V ord. 3343/2023 (24/02/2023) – Pensione integrativa INPS a residente in Portogallo: rimborso IRPEF in Italia; sufficiente assoggettabilità astratta a fisco PT.
    • Cass. Sez. V ord. 21684/2023 (20/07/2023) – Pensione privata a residente Portogallo: Italia deve rimborsare imposte; irrilevante regime esenzione in PT.
    • Cass. Sez. V ord. 30779/2023 (20/10/2023) – Certificato di residenza fiscale estero è prova sufficiente per convenzione; basta essere “liable to tax” estero per beneficiare esenzione in Italia.
    • Cass. Sez. V sent. 28077/2024 (30/10/2024) – Omessa compilazione Quadro RW = violazione sostanziale, sanzione 5-25% legittima e non sproporzionata. Conferma natura non formale obbligo RW.
    • Cass. Sez. V ord. 10642/2025 (23/04/2025) – In presenza obbligo internazionale di evitare doppia imposizione, omessa dichiarazione o omessa indicazione redditi esteri non preclude diritto a credito d’imposta estero. (Disapplicato art. 165 co.8 TUIR in tali casi).
    • Cass. Sez. V ord. 24892/2021 – Competenza onere prova su esterovestizione società spetta a AdE, ma una volta forniti indizi (sede fittizia) sta al contribuente dimostrare effettività struttura estera.
    • Cass. SS.UU. sent. 32255/2018 – Esterovestizione società: no abuso del diritto se società effettivamente opera in Stato estero con regime privilegiato; distinguere scelte gestionali.
  • Corte di Giustizia UE, causa C-788/19 (Commissione vs Spagna) – Sanzioni sproporzionate modello 720 (dich. beni esteri) violano libertà di circolazione: multa fissa 150% dichiarata illegittima; Spagna ha dovuto ridurre regime. Confronto con Italia: sanzioni italiane (3-15%) ritenute proporzionate in dottrina, ma comunque principio di proporzionalità applicabile come argomento difesa.
  • Materiale di prassi e dottrina fiscale internazionale:
    • Circolare Min. Finanze 304/E/1997 – Accertamento residenza fiscale di espatriati (usata ancora come riferimento operativo).
    • Circolare Agenzia Entrate 10/E/2015 – Voluntary disclosure internazionale: chiarimenti su monitoraggio, presunzioni, raddoppio termini ecc..
    • Documentazione ufficiale MEF su convenzioni contro doppie imposizioni (sito Dip. Finanze) – scheda Portogallo con modulistica.

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Il Portogallo non è un paradiso fiscale, ma i redditi e i capitali detenuti all’estero devono comunque essere dichiarati nel quadro RW e assoggettati a tassazione in Italia, salvo quanto previsto dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Portogallo. La mancata dichiarazione può comportare accertamenti retroattivi, sanzioni elevate e interessi. Tuttavia, non tutte le contestazioni sono fondate: è possibile dimostrare che i redditi sono già stati tassati in Portogallo o che non rientrano tra quelli imponibili in Italia.


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