Controlli Dichiarazione Redditi: Come Difendersi

Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per controlli sulla dichiarazione dei redditi?
Il Fisco effettua verifiche automatiche e formali sulle dichiarazioni presentate dai contribuenti. Se emergono incongruenze, errori o redditi non dichiarati, possono arrivare avvisi bonari, lettere di compliance o veri e propri accertamenti. Sapere come difendersi è fondamentale per evitare sanzioni e richieste ingiustificate.

Quali controlli vengono fatti sulla dichiarazione dei redditi
Controllo automatico: verifica dei dati dichiarati e dei versamenti effettuati, con segnalazione di differenze
Controllo formale: richiesta di documenti a supporto delle spese detratte o dedotte (es. spese mediche, interessi mutuo, spese scolastiche)
Accertamento sostanziale: verifica della coerenza tra redditi dichiarati, movimenti bancari, spese e patrimonio del contribuente
Controlli incrociati: confronto tra dati forniti dal contribuente e quelli comunicati da terzi (banche, datori di lavoro, enti previdenziali)

Cosa può accadere dopo i controlli
– Ricezione di un avviso bonario con richiesta di pagamento per differenze riscontrate
– Notifica di un avviso di accertamento con recupero di imposte, sanzioni e interessi
– Blocco di rimborsi fiscali in attesa di chiarimenti
– Avvio di accertamenti più approfonditi con rischio di contestazioni penali in caso di presunte omissioni gravi

Come difendersi
– Verificare attentamente la comunicazione ricevuta e i dati contestati
– Presentare entro i termini la documentazione giustificativa (scontrini, fatture, ricevute, contratti)
– Dimostrare la correttezza delle spese detratte o dedotte e la congruità dei redditi dichiarati
– Contestare eventuali errori materiali o duplicazioni nei dati utilizzati dal Fisco
– Valutare con un avvocato tributarista la possibilità di ricorso se le richieste risultano illegittime
– Usufruire di istituti deflattivi come il ravvedimento operoso o l’accertamento con adesione per ridurre sanzioni

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della pretesa fiscale
– La riduzione delle sanzioni attraverso istituti agevolativi
– La sospensione di cartelle e azioni esecutive in caso di ricorso
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La chiusura della posizione con il pagamento solo di quanto realmente dovuto

Attenzione: molti controlli sulla dichiarazione dei redditi si basano su errori formali o dati incompleti. Spesso basta fornire la documentazione corretta per evitare di pagare somme non dovute.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega come funzionano i controlli sulla dichiarazione dei redditi e quali strumenti hai per difenderti.

Hai ricevuto un avviso di controllo sulla tua dichiarazione dei redditi?
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Introduzione

Affrontare un controllo fiscale sulla dichiarazione dei redditi può essere complesso e stressante, ma con la giusta preparazione e conoscenza dei propri diritti è possibile difendersi efficacemente. In Italia l’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, spesso coadiuvata dalla Guardia di Finanza) dispone di vari strumenti per verificare la corretzza delle dichiarazioni dei contribuenti e contrastare evasioni o irregolarità. Questi controlli possono scattare per diversi motivi: incoerenze nei dati dichiarati, scostamenti tra redditi dichiarati e spese sostenute, segnalazioni provenienti da banche dati, punteggi di affidabilità fiscale bassi, ecc.

In questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamineremo tutti i tipi di controlli sulla dichiarazione dei redditi previsti dall’ordinamento italiano e, soprattutto, come difendersi da ciascuno di essi. Adotteremo un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro e divulgativo, adatto sia ai professionisti legali e fiscali (avvocati tributaristi, commercialisti) sia ai privati cittadini e imprenditori interessati a tutelare i propri diritti. Il punto di vista sarà quello del debitore-contribuente, ovvero di colui che subisce il controllo e potenzialmente un accertamento fiscale, al fine di capire quali sono le tutele (giudiziali e stragiudiziali) a sua disposizione.

Nel corso della trattazione forniremo riferimenti alla normativa italiana vigente (leggi, decreti, Statuto del Contribuente) e alle più recenti sentenze della giurisprudenza tributaria, così da contestualizzare le possibili strategie difensive con il supporto delle fonti più autorevoli. Troverete inoltre tabelle riepilogative per schematizzare i punti chiave (come le scadenze e le sanzioni nei diversi casi) e una sezione di Domande e Risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi pratici più comuni. In fondo alla guida è presente un elenco di fonti utilizzate, incluse circolari ufficiali e pronunce giurisprudenziali citate.

L’obiettivo è offrire una guida completa (oltre 10.000 parole) che possa servire come riferimento avanzato su “Controlli Dichiarazione Redditi: come difendersi”, aggiornata con le novità normative fino al 2025.

Tipologie di Controlli sulla Dichiarazione dei Redditi

I controlli sulle dichiarazioni dei redditi effettuati dall’Agenzia delle Entrate si distinguono in varie tipologie, dai controlli automatici e formali su tutti i contribuenti, fino ai controlli sostanziali o ispettivi più approfonditi, mirati ai casi di evasione parziale o totale. È fondamentale conoscere la natura di ciascun controllo, perché da essa dipendono le procedure seguite dal Fisco e i margini di intervento e difesa riconosciuti al contribuente.

Possiamo classificare i controlli fiscali sulle dichiarazioni dei redditi in queste principali categorie:

  • Controlli automatizzati (o liquidazioni automatiche) – previsti dall’art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 (per le imposte dirette) e dall’art. 54-bis del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA). Si tratta di verifiche informatiche massive su tutte le dichiarazioni presentate, effettuate incrociando i dati dichiarati con quelli risultanti all’Anagrafe tributaria e controllando eventuali errori materiali o di calcolo.
  • Controlli formali – disciplinati dall’art. 36-ter del D.P.R. 600/1973, riguardano solo alcune dichiarazioni selezionate in base a criteri di rischio. In questo tipo di controllo l’Agenzia verifica la corrispondenza tra i dati dichiarati e la relativa documentazione giustificativa (ricevute, fatture, scontrini per oneri deducibili/detraibili, certificazioni di sostituti d’imposta, ecc.), nonché la coerenza con i dati comunicati da terzi (ad esempio banche, assicurazioni, enti previdenziali).
  • Liquidazioni delle imposte con tassazione separata – riguardano redditi particolari (es. TFR e indennità equiparate, arretrati di lavoro dipendente, plusvalenze a tassazione separata) per cui la legge prevede una tassazione “separata” rispetto al resto del reddito. In questi casi l’Agenzia ricalcola l’imposta dovuta su tali redditi una volta ricevuta la dichiarazione, tenendo conto degli acconti già versati: se emerge un importo a debito, viene inviata al contribuente una comunicazione di pagamento (senza sanzioni, in quanto non si tratta di un errore ma di una liquidazione definitiva).
  • Verifiche fiscali e controlli sostanziali – sono i controlli più incisivi, svolti con attività istruttorie ad hoc per accertare evasioni di base imponibile non rilevabili dai semplici controlli automatizzati. Si concretizzano in accessi, ispezioni e verifiche presso il contribuente (es. accesso in azienda o presso la sede del professionista per esaminare le scritture contabili), nell’invio di questionari o nella convocazione del contribuente in ufficio per esibire documenti e instaurare il contraddittorio. Sulla base di questi approfondimenti l’Ufficio può quindi emettere un formale avviso di accertamento, con cui contesta al contribuente una maggiore imposta dovuta rispetto al dichiarato.

Approfondiamo ora ciascuna tipologia di controllo, così da comprenderne il funzionamento e le implicazioni dal punto di vista del contribuente.

Controlli automatizzati (liquidazione ex art. 36-bis DPR 600/1973)

Il controllo automatizzato è il primo livello di verifica a cui viene sottoposta ogni dichiarazione dei redditi una volta presentata. Si tratta di un controllo meramente cartolare, effettuato attraverso procedure informatiche che incrociano i dati della dichiarazione con quelli già noti al Fisco e verificano la correttezza formale dei calcoli effettuati dal contribuente. In particolare, tramite l’art. 36-bis DPR 600/1973 l’Agenzia delle Entrate può:

  • correggere errori aritmetici e di calcolo nella determinazione dei redditi, delle imposte, dei contributi e dei premi dichiarati;
  • controllare la corrispondenza con i versamenti risultanti dalle deleghe di pagamento (modelli F24) per verificare se quanto dichiarato è stato effettivamente versato come acconto o saldo;
  • verificare la congruenza tra i dati dichiarati e quelli presenti nell’Anagrafe tributaria (ad esempio controllando le certificazioni uniche dei sostituti d’imposta, le dichiarazioni dei sostituti, i versamenti di ritenute, etc.);
  • liquidare eventuali rimborsi spettanti sulla base della dichiarazione.

Il controllo automatizzato non introduce nuovi elementi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente: serve unicamente a stanare difformità immediatamente riscontrabili dalle dichiarazioni stesse o dalle banche dati, senza bisogno di esercitare poteri istruttori ulteriori. Ad esempio, rientra nel 36-bis la rettifica di un errore materiale (come un’addizione sbagliata di deduzioni) o il rilievo di un’imposta dichiarata ma non versata. Non è invece consentito, in sede di 36-bis, compiere valutazioni giuridiche complesse o disconoscere un beneficio fiscale sulla base di un’interpretazione normativa: in tali casi l’Ufficio deve emettere un avviso di accertamento motivato, non potendo limitarsi alla sola cartella da controllo automatizzato. La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che la liquidazione automatizzata ha natura eccezionale e può riguardare solo errori materiali o di calcolo “rilevabili ictu oculi” dalle dichiarazioni, mentre questioni che richiedono un’istruttoria o una valutazione giuridica vanno affrontate con gli strumenti accertativi ordinari. Di conseguenza, emettere direttamente una cartella di pagamento ex art. 36-bis per recuperare – ad esempio – un credito d’imposta contestato nella sua spettanza giuridica, senza previo avviso motivato, è illegittimo (in simili situazioni la cartella può essere annullata dal giudice tributario su ricorso del contribuente).

Dal controllo automatizzato possono emergere principalmente due situazioni:

  • Irregolarità a sfavore del contribuente: ossia imposte o importi a debito non versati, errori di calcolo che li hanno fatti risultare inferiori al dovuto, crediti d’imposta utilizzati in eccesso, ecc. In tal caso l’Agenzia predispone una comunicazione di irregolarità (detta anche avviso bonario) in cui sono indicate le maggiori somme dovute (imposta, interessi e sanzioni ridotte). Questa comunicazione viene inviata prima di iscrivere a ruolo le somme, offrendo al contribuente la possibilità di correggere la posizione o pagare spontaneamente con sanzioni ridotte (vedremo nel dettaglio più avanti i contenuti dell’avviso bonario e come gestirlo).
  • Errori a favore del contribuente: può accadere che dal 36-bis emergano anche errori in cui il contribuente ha versato più del dovuto (ad esempio, duplicazione di versamenti). In tali casi l’Agenzia procede a correggere l’errore e ad erogare il rimborso spettante, informandone il contribuente.

È importante sottolineare che il controllo automatizzato viene effettuato su tutte le dichiarazioni, generalmente entro l’anno successivo a quello di presentazione (per i modelli presentati entro i termini ordinari). L’esito viene comunicato al contribuente tramite invio postale (raccomandata A/R) o, sempre più spesso, mediante canali telematici: ad esempio, le comunicazioni di irregolarità sono rese disponibili nell’area riservata del portale Fisconline, sezione “L’Agenzia scrive” del cassetto fiscale, con avviso via email o via app IO per le persone fisiche. Dal 20 novembre 2024 è attivo un servizio web dedicato proprio alla consultazione e gestione degli esiti dei controlli automatici (art. 36-bis DPR 600/73 e 54-bis DPR 633/72) dal proprio cassetto fiscale online.

In sintesi, il contribuente potrebbe accorgersi di un controllo automatizzato in corso quando riceve un avviso bonario dall’Agenzia. Come vedremo, è fondamentale non ignorare tale comunicazione: se si ritiene corretta la pretesa, pagando tempestivamente si ottiene una consistente riduzione della sanzione (ordinariamente al 10%); se invece la si ritiene infondata, è possibile fornire chiarimenti o segnalare errori all’Ufficio, evitando che l’irregolarità si trasformi in una cartella esattoriale.

Controlli formali (verifica ex art. 36-ter DPR 600/1973)

Oltre ai controlli automatici, la legge prevede un livello successivo di controllo: il controllo formale della dichiarazione dei redditi, disciplinato dall’art. 36-ter del DPR 600/1973. Questo controllo è selettivo: viene infatti effettuato su un numero limitato di dichiarazioni, individuate centralmente dall’Agenzia delle Entrate in base a specifici criteri di rischio ed elementi di irregolarità potenziale.

In cosa consiste il controllo formale? Essenzialmente, l’Ufficio verifica che quanto indicato in dichiarazione trovi riscontro nella relativa documentazione che il contribuente è obbligato a conservare. Ad esempio, se sono stati dichiarati oneri detraibili (spese mediche, interessi su mutui, spese per ristrutturazioni edilizie, contributi previdenziali, ecc.), il Fisco può chiedere di esibire le ricevute e i documenti che giustificano tali detrazioni. Analogamente, potrà controllare che i dati dichiarati combacino con quelli comunicati da soggetti terzi: ad esempio confrontando gli importi dei bonifici per ristrutturazioni comunicati dalle banche con quanto portato in detrazione dal contribuente, o verificando che i redditi da pensione dichiarati coincidano con le CU rilasciate dall’ente pensionistico.

Il procedimento tipico del controllo formale è il seguente:

  1. L’Agenzia comunica al contribuente l’inizio del controllo formale, di solito mediante l’invio di un invito a comparire o a trasmettere documenti. In questa comunicazione sono elencati i documenti che il contribuente deve esibire o inviare, e spesso viene fissato un termine (o appuntamento) entro cui fornire il tutto. È possibile adempiere anche per via telematica (PEC o upload tramite cassetto fiscale) se indicato.
  2. Il contribuente trasmette la documentazione richiesta e gli eventuali chiarimenti. In alcuni casi può avvenire un colloquio diretto con i funzionari per spiegare determinate posizioni.
  3. L’Ufficio esamina i documenti: se tutto risulta regolare, il controllo si chiude senza rettifiche; se invece emergono difformità o inesattezze, l’Agenzia procede a ricalcolare l’imposta dovuta correggendo gli errori riscontrati. Ad esempio, se risultasse indebita una detrazione (poniamo, per spese non documentate o non spettanti), l’Ufficio eliminerà quella detrazione dalla dichiarazione e ricalcolerà l’IRPEF conseguente.
  4. Anche in tal caso, prima di iscrivere a ruolo le somme, il contribuente riceve una comunicazione degli esiti del controllo formale. In essa sono indicati i maggiori tributi dovuti, gli interessi e le sanzioni, che in caso di definizione bonaria sono ridotte a 2/3 della sanzione ordinaria (quindi al 20% anziché 30%, trattandosi di imposta non versata). Il contribuente ha facoltà di pagare le somme (beneficiando della sanzione ridotta) oppure di fornire ulteriori chiarimenti se ritiene gli addebiti infondati.

Una particolarità del controllo formale è che l’Agenzia può effettuare anche rettifiche a favore del contribuente. Ad esempio, se dovesse emergere che il contribuente non ha usufruito in dichiarazione di un dato deducibile/detraibile pur avendone titolo (magari per dimenticanza), l’Ufficio potrebbe segnalarglielo e procedere a riconoscere il beneficio non fruito. Di norma comunque, il controllo formale è focalizzato a recuperare imposte dovute e non versate a causa di errori del contribuente.

È importante evidenziare che il contribuente è tenuto per legge a conservare la documentazione rilevante (scontrini, ricevute, fatture, quietanze) fino al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (termine di decadenza dell’accertamento, di cui diremo oltre). In caso di controllo formale, la mancata esibizione di un documento richiesto legittima l’Ufficio a disconoscere il relativo onere o credito in dichiarazione.

Dal punto di vista difensivo, il controllo formale offre al contribuente la possibilità di interloquire direttamente con l’ufficio prima che venga formata una pretesa definitiva:

  • Presentando i documenti richiesti in modo completo e ordinato, si possono chiarire eventuali dubbi ed evitare contestazioni (ad esempio, se un importo non torna a causa di un mero errore materiale, mostrando i documenti si potrà convincere l’ufficio a non fare rettifiche).
  • Se l’esito comunicato dall’ufficio contiene ancora qualche rilievo con cui non si è d’accordo, si può replicare per iscritto o chiedere un ulteriore incontro. Talvolta l’Ufficio, a fronte di nuovi elementi probatori, può rettificare in autotutela la comunicazione stessa (annullando o riducendo l’addebito prima che diventi cartella).
  • In ogni caso, come per il controllo automatizzato, anche per il 36-ter la comunicazione di irregolarità costituisce un invito a definire bonariamente: pagando entro i termini, la sanzione è ridotta (20%). Se invece non si paga né si forniscono motivazioni convincenti, l’iter proseguirà con l’iscrizione a ruolo e la notifica di una cartella esattoriale.

Tempistiche: il controllo formale avviene solitamente entro il secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (art. 2, c.8-bis DPR 597/73 come modificato). Ad esempio, per una dichiarazione dei redditi 2023 presentata nel 2024, il controllo formale può essere effettuato indicativamente entro il 2026. Ciò non toglie che l’eventuale cartella derivante dal controllo formale possa poi essere notificata nei termini di decadenza dell’accertamento (vedremo questi termini più avanti).

Liquidazione delle imposte a tassazione separata

Alcuni redditi godono di un regime particolare detto “tassazione separata”, previsto per attenuare l’impatto fiscale di redditi percepiti in modo concentrato ma riferiti ad anni precedenti (esempio tipico: il TFR – trattamento di fine rapporto). In concreto, per questi redditi il contribuente non liquida da sé l’imposta nella dichiarazione annuale; indica però l’ammontare percepito e l’eventuale imposta pagata in acconto (spesso tramite ritenuta). Sarà poi l’Agenzia delle Entrate, con calma, a liquidare l’imposta definitiva applicando un’aliquota media calcolata sul reddito di quei specifici anni.

Esempi di redditi a tassazione separata:

  • Indennità di fine rapporto e altre indennità equipollenti (es. indennità di fine collaborazione coordinata);
  • Arretrati di lavoro dipendente o pensione riferiti ad anni precedenti (soggetti a tassazione separata se percepiti tardivamente per cause non dipendenti dalla volontà del percettore);
  • Alcune plusvalenze o somme assoggettate a tassazione separata per disposizione di legge.

Il contribuente indica tali redditi nel quadro RM del Modello Redditi (o nel quadro D del 730) e il sostituto d’imposta comunica quanto già trattenuto a titolo di acconto (ad esempio sul TFR). L’Agenzia ricalcola l’imposta dovuta in base all’aliquota media di tassazione e determina se c’è un saldo a debito o a credito. Se risulta ulteriore imposta da versare, invia direttamente al contribuente una comunicazione di pagamento, generalmente a mezzo raccomandata A/R. Non si tratta di un avviso bonario in senso stretto legato a irregolarità, bensì di una liquidazione d’imposta: infatti per queste somme non sono applicate sanzioni né interessi, purché il pagamento avvenga nei termini indicati (di norma 30 giorni dal ricevimento). Se invece dal ricalcolo emerge un rimborso a favore (perché magari le ritenute subite superano il dovuto), questo verrà erogato dall’Agenzia.

È bene non confondere queste comunicazioni di liquidazione con quelle derivanti dai controlli delle dichiarazioni: possono arrivare separatamente e riguardare solo il conguaglio su redditi a tassazione separata. In ogni caso, anche per esse vale la regola di rispettare i termini di pagamento per evitare iscrizioni a ruolo.

Verifiche fiscali sostanziali e accertamenti

Quando parliamo di verifiche fiscali in senso ampio, ci riferiamo a tutte quelle attività con cui l’Amministrazione finanziaria indaga in profondità la posizione fiscale di un contribuente, andando oltre i meri riscontri formali sui dati dichiarati. Questi controlli “sostanziali” sono finalizzati a scoprire basi imponibili non dichiarate (redditi occultati, ricavi non contabilizzati, ecc.) e in genere prendono forma in accessi, ispezioni e verifiche sul campo oppure in indagini finanziarie e richieste di informazioni.

Di solito, l’Agenzia delle Entrate pianifica annualmente un certo numero di verifiche sostanziali, individuando i contribuenti da sottoporre a controllo attraverso attività di analisi del rischio. Alcuni elementi che possono far scattare un accertamento approfondito:

  • Incongruenze rilevanti nei dati dichiarati, ad esempio ricavi dichiarati molto inferiori a quelli attesi in base ad indici di settore o ad altre annualità;
  • Perdite fiscali ripetute o crediti IVA strutturali anomali;
  • Segnalazioni specifiche (es. dall’UIF per movimenti finanziari sospetti, da altre Autorità, da controlli incrociati con banche dati estere, ecc.);
  • Basso punteggio negli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) per più anni consecutivi, o non adeguamento agli ISA senza giustificato motivo;
  • Scostamento tra tenore di vita/spese e reddito dichiarato (si veda oltre l’accertamento sintetico);
  • Mancata risposta a lettere di compliance: l’Agenzia spesso invia lettere “gentili” segnalando anomalie (ad esempio redditi esteri non dichiarati risultanti dallo scambio di informazioni). Se il contribuente ignora questi inviti, può essere messo in lista per un controllo formale o un accertamento vero e proprio.

Vediamo le principali forme che può assumere l’attività accertativa sostanziale:

Accessi, ispezioni e verifiche presso il contribuente – Sono i classici controlli in loco, in cui funzionari dell’Agenzia delle Entrate (o militari della Guardia di Finanza, che ha poteri di polizia tributaria) si recano presso la sede del contribuente (azienda, ufficio, oppure abitazione se è anche sede di lavoro) per esaminare la contabilità, i documenti e tutto quanto rilevante. L’accesso può avvenire senza preavviso e, nel caso di locali adibiti esclusivamente ad uso aziendale o professionale, non richiede autorizzazione dell’autorità giudiziaria (è sufficiente il provvedimento autorizzativo interno dell’Agenzia o l’ordine di servizio della Guardia di Finanza). Se invece l’accesso riguarda locali promiscui (ad esempio un’abitazione), occorre un decreto motivato del Procuratore della Repubblica. Durante la verifica, i funzionari possono sequestrare documenti (rilasciandone copia), richiedere informazioni al contribuente o ai dipendenti, e in generale svolgere ogni attività istruttoria prevista dalla legge (perquisizioni, riscontri di magazzino, ecc., entro i limiti e garanzie di legge).

Diritti del contribuente in sede di verifica:

  • La verifica deve svolgersi durante l’orario di lavoro e con modalità rispettose dell’attività aziendale o professionale.
  • In base allo Statuto del Contribuente (L. 212/2000), la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non può superare 30 giorni lavorativi (15 per imprese minori) prorogabili in casi complessi. Inoltre il contribuente ha diritto a essere informato delle ragioni della verifica e, a fine accesso, di ottenere copia del Processo Verbale di Constatazione (PVC).
  • Processo Verbale di Constatazione (PVC): è l’atto conclusivo della verifica sul campo, dove sono riportati i rilievi mossi (es: ricavi non contabilizzati per €X, costi ritenuti indeducibili per €Y, ecc.). Non è di per sé un atto impositivo, ma pone le basi per l’accertamento. Ai sensi dell’art. 12 c.7 dello Statuto Contribuente, dopo la notifica del PVC il contribuente ha 60 giorni di tempo per presentare osservazioni e richieste all’ufficio, le quali devono essere valutate prima di emettere l’eventuale avviso di accertamento.
  • Eccezione: in casi di particolare urgenza (ad es. imminente scadenza del termine di decadenza), l’ufficio può emettere l’avviso di accertamento prima dei 60 giorni dal PVC, ma deve darne specifica motivazione di urgenza nell’atto.

Questionari e inviti – L’Agenzia può procedere in modo meno invasivo rispetto all’accesso diretto, inviando per posta o PEC un questionario al contribuente (ex art. 32 DPR 600/73) con una serie di domande e richieste di documenti, per chiarire determinati aspetti della dichiarazione. Oppure può emettere un invito a comparire presso l’ufficio (art. 5-ter D.Lgs. 218/1997, v. infra) per instaurare un contraddittorio prima di emettere un accertamento. Questi strumenti sono utilizzati spesso quando si hanno segnalazioni specifiche: ad esempio, l’ufficio può chiedere conto di determinate movimentazioni bancarie, oppure invitare il contribuente a giustificare perché i suoi ricavi sono inferiori agli standard.

Rispondere ai questionari è obbligatorio e la mancata risposta può costare sanzioni (fino a € 2.065) oltre a permettere all’ufficio di presumere come non giustificati i dati non chiariti. Anche per l’invito a comparire, la mancata adesione non impedisce all’ufficio di procedere ma fa perdere al contribuente un’occasione di chiarimento nonché la possibilità di ottenere alcune agevolazioni (ad esempio, definendo in adesione a seguito di invito si hanno sanzioni ridotte).

Accertamento “a tavolino” – Si definisce così l’accertamento compiuto dall’ufficio senza un previo accesso in azienda, basandosi sui dati disponibili (dichiarazioni, informazioni da altre banche dati, risposte a questionari). Anche in questi casi oggi è spesso previsto un contraddittorio preventivo obbligatorio: in base all’art. 5-ter D.Lgs. 218/97, introdotto nel 2020, per molti accertamenti l’ufficio deve notificare un invito al contraddittorio e attendere 60 giorni prima di emettere l’atto, così da consentire al contribuente di fornire elementi difensivi. Sono esclusi dall’obbligo ad esempio gli accertamenti parziali (ex art. 41-bis DPR 600/73) e pochi altri casi. Se l’invito non è obbligatorio, il contribuente potrà comunque attivare l’accertamento con adesione dopo la notifica dell’avviso per ottenere un confronto (vedremo questo strumento più avanti).

Accertamento parziale – Previsto dall’art. 41-bis DPR 600/73, consente all’ufficio di accertare singoli redditi non dichiarati (o imposte non versate) in via separata e senza attendere la fine del periodo d’imposta. È spesso utilizzato quando emergono elementi chiari e specifici di evasione, ad esempio attraverso l’anagrafe dei conti o segnalazioni: l’ufficio può emettere subito un avviso parziale limitato a quell’aspetto (ad es., redditi esteri non dichiarati per €X). L’accertamento parziale non preclude ulteriori accertamenti sul medesimo periodo d’imposta per altri elementi. Anche se la legge non richiede espressamente il contraddittorio preventivo qui, in pratica l’ufficio talora invia comunque un questionario o invito, specie se l’elemento da accertare necessita chiarimenti.

Accertamento sintetico – Redditometro – L’“accertamento sintetico” (art. 38 DPR 600/73) è una forma di accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche basata non sulle scritture contabili ma sui segnali di capacità di spesa. In pratica, il Fisco può determinare induttivamente il reddito di un contribuente in base alle spese sostenute nel periodo d’imposta e alla crescita patrimoniale, se queste risultano sproporzionate rispetto al reddito dichiarato. Lo strumento conosciuto come “redditometro” è appunto un insieme di indicatori di spesa (possesso di beni, tenore di vita, investimenti, ecc.) che consentono di stimare un reddito presunto.

Va detto che il redditometro classico è stato oggetto di sospensioni e revisioni negli ultimi anni: il nuovo redditometro introdotto con DM 16/09/2015 non ha mai trovato piena applicazione ed è stato sottoposto a ulteriori correttivi, tanto che nel 2024 il MEF ne ha sospeso l’utilizzo per ulteriori approfondimenti. Nel frattempo l’Agenzia adotta un approccio più mirato: se individua incongruenze macroscopiche (ad es. un contribuente che dichiara 20.000 € annui ma acquista immobili di lusso e auto costose), può attivare un accertamento sintetico “mirato” basato sulle singole spese effettivamente rilevate. L’accertamento sintetico richiede comunque che:

  • La differenza tra reddito dichiarato e reddito accertabile sinteticamente superi il 20% per almeno due anni consecutivi.
  • Sia instaurato obbligatoriamente il contraddittorio con il contribuente, invitandolo a fornire spiegazioni sulle spese: se questi dimostra che le spese sono state finanziate con redditi di anni precedenti (risparmi) o altri proventi non imponibili (donazioni, vincite esenti, ecc.), l’accertamento deve tenere conto di ciò.

In caso di esito negativo, verrà emesso un avviso di accertamento sintetico, con il quale l’ufficio ridetermina il reddito complessivo e richiede la maggiore imposta su tale base, oltre sanzioni e interessi.

Indagini finanziarie – Un potente strumento a disposizione del Fisco nelle verifiche approfondite sono le indagini finanziarie (art. 32 DPR 600/73 e art. 51 DPR 633/72 per l’IVA). L’ufficio, con l’autorizzazione del Direttore regionale, può richiedere alle banche e intermediari finanziari l’elenco dei movimenti e saldi dei conti correnti e rapporti finanziari intestati al contribuente (e anche a suoi familiari o prestanome sospetti). I dati bancari vengono analizzati: per legge, i versamenti non giustificati vengono presunti come ricavi o redditi non dichiarati, e i prelievi non giustificati (per imprese e lavoratori autonomi) come impieghi per fini extra-contabili, salvo prova contraria fornita dal contribuente (è la cosiddetta “presunzione bancaria”). Dal 2018, la presunzione sui versamenti si applica anche alle persone fisiche non titolari di partita IVA, non solo agli imprenditori, in virtù di una modifica normativa intervenuta con il DL 193/2016 (Cassazione ha confermato la legittimità di tale estensione per i controlli dal 2018 in poi). Ciò significa che, ad esempio, se un privato cittadino riceve sul conto ingenti somme non spiegate, l’Agenzia può presumere che fossero redditi sottratti a tassazione (donazioni e altre causali lecite andranno documentate per superare la presunzione).

Altri strumenti – Ci sarebbero ulteriori tipologie di accertamento (come l’accertamento induttivo puro ex art. 39 c.2 DPR 600/73, applicato quando manca la contabilità o è inattendibile, che consente al Fisco di ricostruire il reddito con qualsiasi mezzo, anche percentuali di ricarico, consumi di materie prime, ecc.). Tuttavia, per un privato o piccolo imprenditore, i casi più frequenti di accertamento sono quelli illustrati sopra. Per le imprese di maggiori dimensioni, esiste anche la possibilità di aderire a regimi di adempimento collaborativo o cooperative compliance, che però esulano dall’ambito di questa guida (riservata appunto al punto di vista del contribuente sottoposto a controlli e non alle strategie di prevenzione per le grandi aziende).

Riassumendo, i controlli sostanziali culminano quasi sempre nell’emanazione di un avviso di accertamento, atto formale con cui l’ente impositore contesta al contribuente una certa maggiore imposta (oltre interessi e sanzioni) rispetto a quanto dichiarato, riportando i presupposti di fatto e le norme applicate. Nell’avviso viene indicato il dettaglio delle maggiori somme dovute e le motivazioni (ad esempio: “ricavi non dichiarati accertati a seguito di verifica…”, oppure “redditi diversi da plusvalenza immobiliare non dichiarati”, ecc.).

L’avviso di accertamento è un atto impugnabile dal contribuente dinanzi al giudice tributario, ma come vedremo conviene spesso, prima di arrivare al ricorso, valutare le possibilità di definizione agevolata (acquiescenza, adesione) per ridurre sanzioni o trovare un accordo.

Prima di passare agli strumenti di difesa, esaminiamo nel prossimo paragrafo cosa succede dopo un controllo: quali comunicazioni il contribuente riceve, entro quali termini deve attivarsi e quali sanzioni sono previste.

Comunicazioni e Avvisi a seguito dei controlli

Quando dal controllo fiscale – sia esso automatico, formale o sostanziale – emergono delle irregolarità o comunque delle somme dovute, l’Agenzia delle Entrate adotta un iter procedurale che prevede in genere l’invio di comunicazioni preventive al contribuente, prima di passare alla riscossione coattiva. È fondamentale conoscere questi passaggi per potersi difendere o regolarizzare tempestivamente la propria posizione. Vediamo i principali atti che il contribuente può ricevere:

Invito per errori formali

Se vengono riscontrati errori meramente formali nella dichiarazione (che non incidono sul calcolo dell’imposta, ad esempio un codice fiscale errato, omissioni di dati anagrafici, ecc.), l’Agenzia invia un invito a correggere tali errori entro 30 giorni, senza applicazione di sanzioni. Si tratta di casistiche relativamente rare e di poca gravità: basta fornire la correzione richiesta (spesso tramite comunicazione scritta) e la questione si chiude lì.

Comunicazione di irregolarità da controllo automatico (“avviso bonario”)

Come già anticipato, è la comunicazione ex art. 36-bis, inviata a seguito di un controllo automatizzato che abbia riscontrato un’imposta o importo a debito per il contribuente. Questo avviso contiene il dettaglio delle difformità (es: “Risulta non versato il saldo IRPEF per € X”, oppure “Utilizzo di credito d’imposta non spettante € Y”) e indica le somme dovute comprensive di interessi e sanzioni ridotte ad 1/3 (quindi sanzione del 10% invece del 30% previsto per omesso versamento). Fino al 2024 il contribuente aveva 30 giorni di tempo dal ricevimento per pagare o segnalare errori; una recente modifica normativa (D.Lgs. 5 agosto 2024 n. 108) ha esteso questo termine a 60 giorni per le comunicazioni elaborate dal 1° gennaio 2025 in poi. Dunque, per gli avvisi bonari ricevuti a partire dal 2025, c’è il doppio del tempo per reagire senza perdere i benefici.

Comunicazione degli esiti del controllo formale

Anche questa (ex art. 36-ter) viene inviata prima di iscrivere a ruolo eventuali differenze riscontrate nel controllo documentale. In genere arriva al contribuente dopo che questi ha eventualmente interagito con l’ufficio inviando i documenti. L’avviso riporta le voci di spesa non riconosciute o i redditi rettificati e liquida le maggiori imposte dovute, con sanzione ridotta a 2/3 (20%) in caso di pagamento entro 30 giorni. Anche qui, dal 2025 il termine per pagare è stato esteso a 60 giorni (analogamente all’avviso bonario da 36-bis) grazie al citato D.Lgs. 108/2024.

Comunicazione di liquidazione delle imposte a tassazione separata

Come spiegato, è la lettera con cui si richiede il pagamento di imposte dovute su TFR, arretrati e altri redditi a tassazione separata. Non prevede sanzioni né riduzioni, trattandosi di semplice conguaglio d’imposta (importo dovuto = imposta calcolata – acconti/ritenute già versati). Il termine di pagamento rimane di 30 giorni (non portato a 60 dal 2025, in quanto la modifica normativa ha riguardato il D.Lgs. 462/97 che disciplina i soli esiti da controlli automatici e formali, non le liquidazioni da tassazione separata).

Processo Verbale di Constatazione (PVC)

Dopo una verifica sul campo, come detto, viene consegnato il PVC. Questo, però, non richiede alcun pagamento immediato: il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni. In alcuni casi, qualora intenda definire subito la questione, può presentare una proposta di adesione ai contenuti del PVC entro 30 giorni (è una sorta di “accordo” sulle risultanze del PVC, che consente di saltare l’avviso di accertamento e pagare con sanzioni ridotte ad 1/6; ne parliamo nel par. sulle deflazioni del contenzioso).

Invito al contraddittorio preventivo (art. 5-ter D.Lgs. 218/1997)

È l’atto con cui l’ufficio, nei casi richiesti dalla legge, invita formalmente il contribuente a discutere prima di emanare un accertamento. Viene notificato con un elenco delle possibili maggiori imposte contestate. Se il contribuente partecipa, si può giungere ad un accordo in sede amministrativa (specie se l’ufficio riduce almeno in parte le sue pretese). Se non si partecipa o non si raggiunge intesa, dopo 60 giorni l’ufficio può emettere l’avviso. Da notare che durante questi 60 giorni il termine di decadenza per l’accertamento resta sospeso (cioè si “aggiungono” 120 giorni al termine ultimo di emissione dell’atto, per compensare l’attesa del contraddittorio). L’invito al contraddittorio spesso contiene già una sorta di prospetto di accertamento con imposte e sanzioni: se il contribuente accetta integralmente il contenuto dell’invito, può perfezionare un accordo versando quanto dovuto con sanzioni ridotte ad 1/3 (simile all’adesione). In caso contrario, come detto, si va avanti.

Avviso di accertamento

È l’atto impositivo vero e proprio, con cui l’Agenzia (o l’ente locale, nel caso di tributi locali) accerta un maggior tributo. Dal 1° ottobre 2011 gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate sono divenuti “esecutivi” (per effetto dell’art. 29 DL 78/2010): ciò significa che trascorsi i termini per impugnarli o pagarli (60 giorni dalla notifica) senza che il contribuente abbia agito, l’avviso vale già come titolo per la riscossione coattiva, senza bisogno di passare per la cartella esattoriale. In pratica, se non si paga né ricorre, dopo 60 giorni l’importo viene affidato all’Agente della Riscossione che potrà attivare procedure esecutive (fermo amministrativo, pignoramenti, ecc.) previa notifica di una sorta di sollecito (la “presa in carico” o intimazione). Se il contribuente propone ricorso, invece, la riscossione è automaticamente sospesa limitatamente al 50% delle imposte accertate (oggi innalzata ai 2/3 per le nuove controversie) fino alla sentenza di primo grado. Sull’altro 50% si forma comunque un ruolo provvisorio: in pratica, potrebbe essere richiesto il pagamento di metà imposta anche in pendenza di giudizio, salvo il potere della Commissione tributaria di disporre la sospensione totale su istanza di parte. Questo meccanismo è stato pensato per bilanciare la tutela erariale con il diritto di difesa del contribuente.

Cartella di pagamento (ruolo esattoriale)

La cartella esattoriale emessa dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) interviene ancora in due principali circostanze:

  1. Per riscuotere le somme derivanti da controlli automatizzati e formali, qualora il contribuente non abbia pagato l’avviso bonario entro i 30 (o 60) giorni. In tal caso, scaduto quel termine l’importo viene iscritto a ruolo e dopo circa 6 mesi/l’anno viene notificata la cartella con le somme dovute, questa volta con sanzione intera (30%) e interessi di mora. La cartella è direttamente esecutiva (se non pagata entro 60 giorni).
  2. Per riscuotere somme da accertamenti non esecutivi (es. avvisi di liquidazione, atti di recupero crediti d’imposta, o vecchi avvisi di accertamento pre-2011) oppure sanzioni irrogate con atto separato. Ad esempio, se viene contestata una violazione formale con atto di sola sanzione, in mancanza di pagamento volontario si iscrive a ruolo la sanzione e viene notificata cartella.

Abbiamo dunque una molteplicità di possibili atti. È utile schematizzare i principali termini e sanzioni ridotte previsti per la definizione bonaria in ciascun caso, ipotizzando che l’atto venga emesso entro il 2024 o dal 2025 in poi (considerando le novità intervenute):

Tipo di comunicazione/avvisoTermine per pagamentoSanzione in caso di definizione nei termini
Invito a regolarizzare errori formali (non incidenti sul tributo)30 giorni dal ricevimentoNessuna (errore formale non sanzionabile)
Comunicazione irregolarità controllo automatico – fino al 202430 giorni dall’ultima comunicazione ricevuta10% dell’imposta (sanzione ordinaria 30% ridotta a 1/3)
Comunicazione irregolarità controllo automaticodal 202560 giorni dal ricevimento<sup>1</sup>10% dell’imposta (riduzione a 1/3 confermata)
Comunicazione esito liquidazione tassazione separata30 giorni dal ricevimentoNessuna sanzione né interessi (trattasi di conguaglio)
Comunicazione irregolarità controllo formale – fino al 202430 giorni dal ricevimento della comunicazione20% dell’imposta (sanzione ordinaria 30% ridotta a 2/3)
Comunicazione irregolarità controllo formaledal 202560 giorni dal ricevimento<sup>1</sup>20% dell’imposta (riduzione a 2/3 confermata)
Avviso bonario recapitato a intermediario (730 tramite CAF)90 giorni dalla data di disponibilità al CAF10% o 20% a seconda che sia da 36-bis o 36-ter (come sopra)
Avviso di accertamento – pagamento con acquiescenza60 giorni dalla notificaSanzioni ridotte ad 1/6 (circa 16,67% del minimo)
Avviso di accertamento – pagamento sole sanzioni (art.17 D.Lgs. 472/97)60 giorni dalla notificaSanzioni ridotte a 1/3 (33,3% delle irrogate) (atto impugnabile solo sulle imposte)
Accertamento con adesione (concordato in Ufficio)20 giorni dalla sottoscrizione dell’atto di adesione (prima rata)Sanzioni ridotte a 1/3 (33,3% del minimo edittale)
Conciliazione giudiziale in primo grado (in corso di causa)Termini fissati dal giudice nell’accordoSanzioni ridotte al 40% del minimo (riduzione 60%)
Conciliazione giudiziale in appelloTermini fissati dal giudice nell’accordoSanzioni ridotte al 50% del minimo (riduzione 50%)

Come si vede dalla tabella, il legislatore incentiva fortemente la definizione bonaria nella fase amministrativa, attraverso la riduzione delle sanzioni in misura crescente quanto più precoce è l’adesione del contribuente:

  • In sede di avviso bonario, pagare subito comporta sanzioni pari a 1/3 o 2/3 del minimo (10% o 20%);
  • In sede di accertamento notificato, aderire senza ricorrere (acquiescenza) riduce le sanzioni a 1/6;
  • In sede di contenzioso, trovare un accordo in primo grado riduce le sanzioni al 40%.

Nel prossimo capitolo vedremo nel dettaglio come difendersi o definire questi atti, analizzando tutti i mezzi di tutela stragiudiziale (cioè prima o al posto del ricorso in Commissione tributaria) e quelli giudiziali, con i relativi pro e contro per il contribuente.

Termini di decadenza per i controlli e gli accertamenti

Un aspetto cruciale da tenere presente, quando si è oggetto di controlli fiscali, è il rispetto dei termini di decadenza entro cui l’Amministrazione finanziaria può notificare un avviso di accertamento o una cartella derivante da controlli formali/automatici. Decorso inutilmente il termine previsto dalla legge, il contribuente non può più essere accertato per quell’anno d’imposta, e ogni atto emesso tardivamente è nullo perché “decaduto”.

Accertamenti sulle imposte sui redditi (IRPEF, IRES) e IVA

La disciplina generale è stata modificata dalla legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015). Occorre distinguere:

  • Fino all’anno d’imposta 2015: il termine di notifica dell’avviso di accertamento era:
    • Quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, in caso di dichiarazione presentata (es: dichiarazione 2015 presentata nel 2016, accertabile fino al 31/12/2020);
    • Quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata, in caso di omessa dichiarazione (es: anno d’imposta 2015 dichiarazione non presentata, accertabile fino al 31/12/2021).
    • Era inoltre previsto il raddoppio dei termini in presenza di violazioni penalmente rilevanti (reati tributari): in tal caso i termini diventavano otto anni (dich. presentata) o dieci anni (dich. omessa). Questo raddoppio si applicava indipendentemente dall’esito del procedimento penale, ma la giurisprudenza ne aveva negli anni delimitato l’applicazione ai casi in cui la denuncia penale fosse stata effettivamente presentata entro la scadenza ordinaria dei termini di accertamento; in caso contrario, niente raddoppio.
  • Dall’anno d’imposta 2016 in avanti: con la riforma del 2016, è stato eliminato il raddoppio generalizzato dei termini (sebbene resti in alcuni casi specifici) e contestualmente prorogato di un anno il termine ordinario:
    • Quinto anno successivo a quello di presentazione, se la dichiarazione è stata presentata (es: 2016 dichiarazione presentata nel 2017, accertabile fino al 31/12/2022);
    • Settimo anno successivo a quello in cui andava presentata, se omessa (es: 2016 dichiarazione omessa, accertabile fino al 31/12/2024).
    • Il raddoppio dei termini per reato tributario è stato formalmente abolito per i periodi d’imposta dal 2016 in poi. Tuttavia, permane una sorta di “raddoppio tecnico” in quanto, se l’ufficio trasmette la notizia di reato entro il termine ordinario (5 o 7 anni), l’avviso di accertamento può essere notificato fino a quello che era il vecchio termine raddoppiato (in pratica 4 anni aggiuntivi). In altre parole, la denuncia penale tempestiva consente di avere più tempo, ma se la violazione penale emerge tardivamente (denuncia oltre il termine ordinario), l’accertamento comunque non può essere notificato oltre i termini standard. Questa interpretazione è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione (sent. n. 26199/2023, citata in Escalar.it).

Per IVA e imposte sui redditi i termini oggi sono uniformati (5 e 7 anni). Va ricordato che eventuali atti interruttivi (es. richiesta di documenti, PVC) non estendono la decadenza, salvo l’effetto sospensivo nel caso di adesione o invito: ad esempio, se un PVC viene notificato a fine anno, l’ufficio può beneficiare dei 60 giorni + 120 di proroga per contraddittorio (art. 5-ter) se applicabile, oltre il 31/12.

Esempi pratici:

  • Dichiarazione redditi 2019 presentata regolarmente: accertabile fino al 31/12/2024.
  • Dichiarazione 2019 omessa: accertabile fino al 31/12/2026.
  • Se vi è reato (es. infedele dichiarazione oltre soglia penale) e la denuncia è inviata prima del 31/12/2024, l’accertamento 2019 potrà essere notificato fino al 31/12/2028; se la denuncia parte nel 2025, non produce effetti sui termini (ormai scaduti al 2024).
  • Per l’anno 2020 (dichiarazione 2021): ordinariamente fino al 31/12/2026, omessa fino al 31/12/2028. Reato denunciato entro fine 2026 -> termine potenziale 31/12/2030.

Controlli automatizzati e formali – termini per la cartella

Le comunicazioni di irregolarità da 36-bis e 36-ter, come visto, preludono all’iscrizione a ruolo se non definite. La cartella di pagamento derivante da tali controlli deve comunque essere notificata entro precisi termini di decadenza fissati dal D.Lgs. 462/1997:

  • Se la dichiarazione è presentata nei termini, la cartella da controllo automatico/formale deve essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione. Ad esempio, per la dichiarazione 2021 presentata nel 2022, l’eventuale cartella di controllo formale/automatico va notificata entro il 31/12/2025.
  • Se la dichiarazione è tardiva (presentata oltre i termini ma entro 90 giorni) o integrativa, i termini possono slittare.
  • Se la dichiarazione è omessa, non essendoci avviso bonario, si procederà direttamente con un avviso di accertamento (entro i termini lunghi visti prima, 5 o 7 anni).

Atti relativi a crediti d’imposta e altri casi particolari

Alcune tipologie di atti hanno termini ad hoc (non li approfondiamo troppo qui):

  • Atti di recupero crediti indebitamente utilizzati in compensazione: termini dell’art. 27 DL 185/2008 (entro 31/12 dell’ottavo anno successivo).
  • Atti di irrogazione sanzioni: di norma seguono i termini del tributo cui si riferiscono.
  • Tributi locali (es. IMU, TARI): hanno termini propri (in genere 5 anni per accertare omessi versamenti, salvo frodi).

È sempre buona prassi, quando si riceve un avviso, controllare la data di notifica e confrontarla con l’anno d’imposta cui si riferisce l’atto per vedere se il termine era rispettato. Una notifica tardiva costituisce motivo di nullità dell’atto accertativo che il contribuente può far valere in ricorso.

Occorre però fare attenzione: se l’atto è stato spedito prima dello spirare del termine (fa fede la data di invio raccomandata) ed è arrivato dopo, la notifica è comunque tempestiva. Inoltre vi sono sospensioni straordinarie dei termini in anni particolari (es. emergenza Covid) da considerare, che hanno prorogato alcune scadenze.

Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a controllo

Il contribuente, pur trovandosi nella posizione di “parte debole” di fronte al potere di controllo del Fisco, è tutt’altro che privo di tutele. L’ordinamento tributario italiano, specialmente a partire dallo Statuto dei diritti del contribuente (Legge 212/2000), riconosce una serie di garanzie procedurali e diritti che servono ad assicurare trasparenza, contraddittorio e correttezza nell’azione di verifica e accertamento. Conoscerli è il primo passo per difendersi efficacemente. Ecco i principali:

  • Chiarezza e motivazione degli atti: ogni avviso di accertamento o atto dell’Agenzia deve essere motivato, recando l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato (art. 7 L. 212/2000). Inoltre, devono essere allegati o riprodotti nel corpo dell’atto tutti i documenti richiamati nella motivazione, in modo che il contribuente possa agevolmente conoscerli. Ad esempio, se l’accertamento si fonda su un PVC della Guardia di Finanza o su dati bancari, tali documenti devono essere allegati (o già noti al contribuente, come sua documentazione) pena la possibile nullità dell’atto per difetto di motivazione.
  • Conoscenza dell’inizio delle verifiche: fuori dai casi di controlli a tavolino, quando parte una verifica in azienda il contribuente dev’essere informato dell’oggetto del controllo e dell’ambito (art. 12 L.212/2000). Durante la verifica, ha diritto all’assistenza di un professionista di fiducia.
  • Durata delle verifiche in loco: come accennato, lo Statuto limita a 30 giorni prorogabili (15+15 per i soggetti minori) la permanenza continuativa dei verificatori presso la sede del contribuente, salvi casi eccezionali. Questo per evitare “ispezioni infinite” che paralizzino l’attività economica. Inoltre il contribuente deve essere messo nelle condizioni di proseguire la propria attività durante i controlli (salvo casi di sequestro documenti, ecc.).
  • Diritto al contraddittorio endoprocedimentale: è forse la garanzia più significativa e dibattuta. Consiste nel diritto del contribuente a essere ascoltato prima che venga emanato un provvedimento impositivo nei suoi confronti, in modo da poter far valere le proprie ragioni. Nel nostro ordinamento, questo principio ha trovato attuazione frammentaria: per le verifiche in loco, è sancito dall’art. 12 c.7 Statuto (60 giorni per osservazioni post-PVC); per gli accertamenti a tavolino, è stato introdotto dal 2020 in via generale (invito obbligatorio art.5-ter D.Lgs.218/97) ma con varie eccezioni. La Corte di Cassazione, recependo anche orientamenti della Corte di Giustizia UE, ha progressivamente rafforzato l’obbligo di contraddittorio: in materia di IVA e tributi “armonizzati”, già dal 2015 si è affermato che il contraddittorio preventivo dev’essere sempre garantito, pena la nullità dell’atto. Per le imposte dirette (non armonizzate), un precedente orientamento (Cass. SS.UU. 24823/2015) negava un obbligo generale, ma le Sezioni semplici più recenti hanno effettuato una svolta: ad esempio Cass. 29990/2022 ha sancito che la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale comporta in ogni caso la invalidità dell’atto, purché il contribuente, impugnandolo, indichi anche le ragioni difensive che avrebbe potuto far valere se fosse stato ascoltato. In altre pronunce del 2024, la Cassazione ha ribadito che anche negli accertamenti a tavolino l’Amministrazione è tenuta a garantire un contraddittorio preventivo, a meno che ricorrano specifiche ragioni d’urgenza motivate. Dunque, il diritto al contraddittorio sta assumendo carattere generale: il contribuente può eccepire la nullità di un accertamento emesso senza invito al contraddittorio quando previsto, o senza attenderne l’esito, soprattutto se riesce a dimostrare in giudizio che quella interlocuzione avrebbe potuto portare a un risultato diverso (ad esempio fornendo in sede di ricorso le prove che avrebbe presentato all’ufficio).
  • Principio di cooperazione e buona fede: sancito dall’art. 10 dello Statuto, impone all’Amministrazione un comportamento leale verso il contribuente. Ad esempio, se un contribuente chiede chiarimenti o interpella l’ufficio su una questione fiscale, la risposta (o mancata risposta) vincola l’operato futuro del Fisco su quell’argomento. In generale il contribuente non dovrebbe subire sanzioni se ha seguito indicazioni ufficiali poi risultate inesatte.
  • Divieto di duplicazione dei controlli: per evitare accanimenti, l’art. 12, c. 5 Statuto stabilisce che, salvo casi particolari, non può essere effettuato più di un controllo sullo stesso periodo d’imposta per la stessa imposta. Se ad esempio un’azienda ha già subito una verifica dalla Guardia di Finanza sull’IVA 2022, l’Agenzia Entrate non può a sua volta riesaminare IVA 2022, a meno che sopravvengano elementi ignoti prima. Ci sono eccezioni (ad es. frodi particolari, adesione a programmi di tutoraggio, ecc.), ma in generale il contribuente può opporsi a richieste duplicative ricordando questo principio.
  • Tutela della privacy e segretezza delle informazioni: i funzionari che effettuano controlli sono tenuti al segreto d’ufficio. I dati raccolti possono essere usati solo per fini istituzionali. Il contribuente ha diritto inoltre che nelle comunicazioni non vengano divulgate informazioni riservate oltre il necessario (si pensi all’invio di atti a soggetti terzi per errore – potrebbe configurare violazione di privacy). In caso di abusi, esistono rimedi sia interni (segnalazioni al Garante Privacy) sia davanti al giudice (eccezione di inutilizzabilità di prove acquisite in violazione di diritti fondamentali, anche se non sempre accolta in ambito tributario).
  • Diritto di difesa e di farsi assistere: in ogni fase il contribuente può farsi assistere da un professionista di fiducia (avvocato, commercialista, tributarista). Durante le verifiche, può delegare la presenza al proprio consulente; agli inviti in ufficio può presentarsi con il difensore; in sede di contraddittorio scritto, il difensore può presentare memorie e osservazioni. Inoltre, se la questione è complessa, si ha diritto a chiedere proroghe ragionevoli per rispondere (ad es. se i documenti da raccogliere sono molti).

Questi diritti non sempre vengono automaticamente rispettati: sta alla consapevolezza del contribuente (e del suo difensore) farli valere. Ad esempio, se un accertamento viene notificato senza aver prima inviato l’invito obbligatorio, occorre eccepirlo per invalidarlo; se in un PVC i verificatori hanno interpretato male un fatto, occorre sfruttare i 60 giorni per mandare memorie e documenti chiarificatori, e così via.

Vediamo ora come il contribuente può passare all’azione per difendersi dai vari atti che abbiamo elencato, sfruttando sia le procedure deflative (accordi, pagamenti agevolati) sia il contenzioso vero e proprio.

Strumenti di difesa stragiudiziale (fase pre-contenziosa)

Quando arriva una comunicazione o un avviso del Fisco, la prima valutazione da fare è: siamo realmente in torto oppure no? Cioè, l’ufficio ha ragione nel chiederci queste somme oppure riteniamo di avere elementi validi per contestare la pretesa? In base a ciò, e tenendo conto anche dell’entità delle somme e dei costi/benefici di una causa, il contribuente può scegliere tra diverse strade. In questa sezione analizziamo gli strumenti di “difesa” o definizione che si possono attivare prima di (o in alternativa a) presentare ricorso al giudice tributario. L’obiettivo di questi strumenti è spesso quello di ridurre le sanzioni ed evitare il contenzioso, trovando un accordo con l’Amministrazione o mostrando spontaneamente la correttezza del proprio operato.

Ravvedimento operoso (correzione spontanea prima del controllo)

Un caso particolare di “difesa preventiva” è il ravvedimento operoso, disciplinato dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997. Si tratta in realtà di uno strumento a disposizione del contribuente prima che il Fisco si faccia avanti con un controllo formale: consente di correggere spontaneamente errori o omissioni in dichiarazione o nei versamenti, pagando il dovuto con sanzioni ridotte (via via più basse quanto più tempestivo è il ravvedimento) e interessi legali. Ad esempio, se ci si accorge di non aver versato un’imposta o di aver dimenticato di dichiarare qualcosa, si può presentare una dichiarazione integrativa e versare quanto dovuto con sanzione ridotta (anche al 1/10 del minimo, 3%, se entro 90 giorni, oppure 1/8 se entro un anno, ecc. – aliquote modificate dalla riforma 2023-2024). Importante: il ravvedimento è possibile solo finché non sia iniziato un controllo sul medesimo oggetto. Se arriva già un avviso bonario su quella imposta, non si può più ravvedere ma bisogna utilizzare le regole dell’avviso bonario.

Dunque, il ravvedimento operoso è un ottimo strumento per sanare proattivamente eventuali sviste ed evitare sanzioni piene o controlli futuri. Non rientra però strettamente nei “rimedi” contro un atto di controllo già avviato, se non nella misura in cui:

  • Si riceve una lettera di compliance (non un atto formale) che segnala un’anomalia: in tal caso spesso la stessa Agenzia invita ad effettuare ravvedimento entro una data per evitare guai peggiori.
  • Oppure, dopo il 90° giorno da un avviso bonario non pagato, in alcuni casi la legge consente ancora il pagamento con sanzione ridotta (ma si tratta di definizioni agevolate straordinarie, non del ravvedimento ordinario).

Autotutela amministrativa

L’autotutela è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di correggere spontaneamente i propri atti qualora risultino errati o illegittimi. Il contribuente che riceve un atto ritenuto palesemente infondato (ad esempio perché frutto di un errore dell’ufficio, un caso di doppia imposizione, o perché emergono documenti nuovi risolutivi) può presentare un’istanza di autotutela all’ente impositore, chiedendone l’annullamento (totale o parziale).

Caratteristiche dell’autotutela:

  • È una procedura facoltativa e discrezionale: l’ufficio può accogliere l’istanza, ma non è obbligato. Non esiste un “diritto soggettivo” all’annullamento in autotutela.
  • Non sospende i termini di impugnazione: se l’atto ricevuto è impugnabile (es. avviso di accertamento), il contribuente deve comunque valutare di fare ricorso entro 60 giorni, perché se attende l’esito dell’autotutela e questo è negativo (o l’ufficio non risponde affatto), rischia di far passare i termini e perdere la possibilità di ricorrere. In pratica, l’autotutela va usata per tentare una soluzione bonaria, ma senza affidarsi ciecamente se i termini stringono.
  • Può essere attivata in qualsiasi momento, anche dopo scaduti i termini di ricorso (ad esempio, se emerge un errore a favore del contribuente a distanza di anni, l’ufficio può annullare in autotutela l’atto illegittimo, anche se definitivo). Tuttavia, dopo che un atto è divenuto definitivo l’Agenzia è più restia ad annullarlo, salvo errori macroscopici o richiesta del giudice (es. nell’ambito di liti in Cassazione con annullamento suggerito).
  • Una particolare forma è l’autotutela “doverosa” in caso di errore di duplicazione: per legge (art. 2-quater DL 564/94) se il contribuente segnala che un avviso bonario o cartella deriva dal medesimo fatto già oggetto di altro atto, l’ufficio deve annullarlo in autotutela entro un certo termine.

In pratica, conviene presentare istanza di autotutela quando:

  • Si riscontra un errore palese di calcolo o di persona (es: l’avviso è intestato a me ma riguardava un omonimo).
  • Si dispone di documenti risolutivi che l’ufficio non aveva visto (es: ho la prova di aver pagato quell’imposta, ma risultava non versata).
  • L’ufficio stesso riconosce magari informalmente l’errore e suggerisce di fare istanza.

Spesso è utile allegare all’istanza un parere pro veritate o comunque riferimenti normativi chiari per convincere l’ufficio. In caso di rigetto, si può anche interpellare il Garante del contribuente (figura istituita in ogni regione che può sollecitare l’autotutela), ma il suo parere non è vincolante.

Accertamento con adesione

L’accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 218/1997) è lo strumento principe per definire in via “negoziale” le imposte dovute, evitando la lite. È una procedura mediante la quale il contribuente e l’ufficio si siedono attorno a un tavolo (fisicamente o anche tramite collegamento telematico ormai) e cercano un accordo sull’ammontare delle imposte accertate. In caso di accordo, si perfeziona appunto l’“adesione” con la firma di un atto che sostituisce l’accertamento originario e prevede sanzioni ridotte ad 1/3.

L’adesione può avvenire in due situazioni:

  • Adesione su iniziativa del contribuente dopo un avviso di accertamento: entro il termine per ricorrere (60 giorni dalla notifica dell’accertamento) il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio che ha emesso l’atto. Questa istanza sospende automaticamente i termini per ricorrere per 90 giorni. L’ufficio dunque convoca il contribuente per un contraddittorio. Durante l’incontro (o più incontri) si discutono i rilievi: il contribuente può portare documenti nuovi, produrre memorie, far valere circostanze attenuanti. L’ufficio, dal canto suo, può rivedere parzialmente le proprie pretese, ad esempio riconoscere qualche costo in più, ridurre un valore accertato, ecc., tenendo conto anche della probabilità di successo in giudizio. Se si arriva ad una convergenza sulle somme, viene redatto un atto di adesione che entrambe le parti sottoscrivono. Da quel momento, il contribuente ha 20 giorni per pagare le somme concordate (o la prima rata). La sanzione applicata è quella prevista nell’avviso ma rideterminata a 1/3 (se ad esempio l’avviso aveva sanzione del 90% del maggior imponibile per infedele dichiarazione, aderendo si paga il 30%). Se invece l’accordo non si trova, dopo i 90 giorni il contribuente può ancora proporre ricorso entro i successivi 30 giorni (in totale 150 giorni dalla notifica dell’accertamento, invece dei 60 originari).
  • Adesione ai verbali di constatazione (PVC): introdotta con DL 218/97 art.5-bis. Se dalla verifica della Guardia di Finanza è scaturito un PVC con rilievi precisi, prima che l’ufficio emetta l’accertamento il contribuente può decidere di accettare subito quanto constatato. Entro 30 giorni dalla notifica del PVC può presentare istanza di adesione su quel PVC. L’ufficio allora convoca e prepara l’atto di adesione rifacendosi integralmente alle conclusioni del PVC (non è ammessa una “trattativa” diversa: o si prende o si lascia il contenuto del verbale). Se si firma l’adesione, la sanzione sulle imposte accertate scende ad 1/6 (16,67%), quindi molto conveniente. È chiaro però che aderire al PVC ha senso se il contribuente condivide pienamente (o è rassegnato su) quelle conclusioni, perché non potrà più contestarle: evita solo la fase successiva e ottiene il forte sconto sanzionatorio. Se invece non aderisce, potrà farlo eventualmente dopo sull’avviso (ma con sanzioni a 1/3).

L’adesione ha vari vantaggi:

  • Sanzioni ridotte (1/3 o 1/6 come visto).
  • Rateizzazione: le somme da adesione si possono rateizzare fino a 8 rate trimestrali (16 rate se importo > 50.000 €). L’importante è che la prima rata sia versata entro 20 giorni dalla firma, altrimenti salta tutto.
  • Definizione parziale: se l’accertamento riguarda più anni o più contestazioni, è possibile trovare accordo su alcune e su altre no, sottoscrivendo l’adesione limitatamente a quei rilievi concordati. Sugli altri si potrà fare ricorso.
  • Nessun obbligo di versare il 1/3 in pendenza di ricorso: definendo in adesione, ovviamente non serve pagare nulla in via provvisoria e non c’è contenzioso.

Di contro:

  • L’adesione implica rinuncia al ricorso per quella parte definita. Diventa un titolo definitivo: se non si pagano le rate, l’ufficio iscrive a ruolo le somme (perdendo il beneficio delle sanzioni ridotte, che tornano intere sull’importo residuo).
  • Se ci si rende conto dopo di avere nuovi elementi difensivi, è troppo tardi: l’accordo è immodificabile.

In generale, conviene tentare l’adesione quando si ravvisa nella pretesa fiscale degli aspetti negoziabili: ad esempio, l’ufficio ha ricostruito ricavi presunti con dati parziali; il contribuente può sostenere che erano meno, e puntare a un accordo a metà strada. Oppure in caso di valutazione di beni (valore di immobili in una compravendita tassata): spesso in adesione l’ufficio accetta un valore intermedio. Se invece l’atto è basato su questioni prettamente giuridiche (es. deducibilità di un certo costo), l’adesione è più difficile perché l’ufficio non ha margine di “contrattare la legge”. In quei casi o si paga con sanzione ridotta (acquiescenza) o si fa ricorso.

Acquiescenza all’accertamento

L’acquiescenza significa sostanzialmente accettare l’accertamento così com’è, senza contestarlo. Può sembrare strano parlare di “difesa” riferito alla resa, ma rientra comunque tra le opzioni da valutare perché la legge premia l’acquiescenza con una forte riduzione delle sanzioni, evitando anche i costi di un contenzioso inutile. Precisamente, l’art. 15, c.2-bis D.Lgs. 218/97 prevede che se il contribuente rinuncia a impugnare l’avviso di accertamento e paga entro 60 giorni, le sanzioni irrogate nell’atto sono ridotte ad 1/6 del minimo edittale. In pratica questa è la misura di sanzione più bassa in assoluto (circa il 16,67%). Ad esempio, per un’infedeltà dichiarativa l’aliquota minima di sanzione è 90%, 1/6 di essa è 15%. Se in avviso magari avevano messo 90%, pagando in acquiescenza si versa solo 15%.

Condizioni per l’acquiescenza:

  • Non aver presentato istanza di adesione (perché se si intraprende quella via, si esce dall’ambito acquiescenza).
  • Pagare tutto l’importo dovuto (imposte, interessi e sanzioni ridotte) entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento. È ammessa anche la rateazione in 8 rate (di cui la prima sempre entro 60 giorni).
  • Non presentare ricorso, ovviamente, e nemmeno reclamo (oggi abolito, ma era implicito).
  • L’acquiescenza può essere parziale per singoli rilievi: la legge consente di pagare alcuni rilievi con 1/6 di sanzione e impugnare gli altri. In tal caso occorre una comunicazione formale all’ufficio indicando a quali parti si intende aderire. Questo può essere utile ad esempio se nell’atto ci sono 3 contestazioni e solo una è errata: si pagano le due corrette (sanzionate 1/6) e si litiga sulla terza.
  • L’acquiescenza non è ammessa se sull’atto è già stato presentato ricorso (anche erroneamente). Bisogna quindi valutare bene prima di fare passi formali.

Quando valutare l’acquiescenza? Sicuramente quando:

  • L’accertamento appare fondato e difficilmente contestabile, oppure quando, pur potendo avere ragione, il costo e il rischio del contenzioso superano il beneficio (tipico caso: piccole somme).
  • L’ufficio non è disponibile a sostanziali riduzioni in adesione, quindi tanto vale prendere lo sconto massimo sulle sanzioni.
  • Si vuole chiudere rapidamente la pendenza per evitare aggravi futuri (es. procedure esecutive).

L’acquiescenza ha come effetto che l’atto diviene definitivo; tuttavia, attenzione: se emergono vizi di illegittimità insanabili dell’atto, una volta pagato non si può più fare nulla (salvo appunto chiedere autotutela, improbabile in tal caso perché è scelta consapevole del contribuente). Quindi bisogna essere molto convinti di aver effettivamente poco margine di difesa.

Reclamo e mediazione tributaria (abolita dal 2024)

Fino al 2023, per le liti di valore non eccedente 50.000 € era obbligatorio presentare un reclamo-mediazione prima del ricorso: bisognava notificare il ricorso all’ufficio che poteva accoglierlo o proporre una mediazione (con riduzione sanzioni al 35% in caso di accordo). Dal 1° gennaio 2024 tale istituto è stato abolito (D.Lgs. 130/2022 attuativo della riforma fiscale, e D.Lgs. 220/2023). Ciò significa che il contribuente, indipendentemente dal valore, può accedere subito al giudice tributario senza formalità preliminari. Rimane comunque possibile per le parti, su base volontaria, raggiungere un accordo transattivo anche fuori dalle procedure formali – ma ciò rientra più propriamente nella conciliazione giudiziale eventualmente.

In definitiva, oggi non è più necessario attendere 90 giorni per la mediazione: il ricorso introduttivo va direttamente alla Corte di Giustizia Tributaria competente. Chi avesse presentato un reclamo a fine 2023 ha seguito la vecchia norma, ma per i ricorsi dal 2024 non vi è più l’inammissibilità in caso di mancata mediazione. Le controversie tributarie di modico valore quindi seguono l’iter processuale ordinario, pur con alcune semplificazioni (es. giudice monocratico fino a 3.000 €).

Altri strumenti deflativi speciali

Oltre alle procedure ordinarie, il legislatore a volte introduce misure straordinarie per definire le pendenze tributarie (es. condoni, rottamazioni delle cartelle, definizione agevolata liti pendenti, etc.). Al 2023-2024 vi sono stati:

  • Rottamazione-quater delle cartelle (stralcio di sanzioni e interessi su ruoli 2000-2017, con pagamento solo del capitale e aggio dilazionato fino 5 anni).
  • Definizione agevolata delle liti tributarie pendenti (Legge di Bilancio 2023, pagamento percentuale del valore della controversia in base al grado e all’esito, per chiudere i contenziosi in corso).
  • Stralcio delle mini-cartelle fino a € 1.000 relative a carichi 2000-2015 (cancellazione automatica).
  • Regolarizzazione errori formali e dichiarazioni integrative speciali (altra parte della “tregua fiscale” 2023).

Non tratteremo nel dettaglio questi istituti poiché esulano dalla gestione ordinaria del contenzioso e sono temporanei. Tuttavia, se si rientra in tali situazioni, può essere opportuno avvalersene quando disponibili. Ad esempio, una cartella esattoriale ricevuta può essere rottamata (se rientra nelle finestre normative), ottenendo sconto totale su sanzioni e interessi. Sono opportunità da valutare con consulenti caso per caso.

Strumenti di difesa in sede giudiziale (ricorso tributario)

Se la fase amministrativa non risolve la controversia in modo soddisfacente – o se il contribuente ritiene da subito di aver ragione e vuole far valere le proprie ragioni – si può ricorrere al giudice tributario. Dal 2023, le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado), a seguito della riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022). Il processo tributario è regolato dal D.Lgs. 546/1992 (riformato da ultimo col D.Lgs. 149/2022).

Presentiamo i punti essenziali del contenzioso tributario:

Ricorso in primo grado (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado)

Il ricorso tributario è l’atto introduttivo con cui il contribuente impugna un avviso di accertamento, una cartella esattoriale o altro atto impugnabile (es. rifiuto di rimborso, provvedimento sanzionatorio) davanti al giudice. Deve essere proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (termine perentorio, salvo sospensioni feriali di agosto).

Procedura:

  • Dal 2019 il processo tributario è telematico: il ricorso si redige in via informatica e si notifica all’ente impositore via PEC (posta elettronica certificata). Occorre poi depositarlo telematicamente presso la segreteria della Corte tributaria entro 30 giorni dalla notifica.
  • Nel ricorso vanno indicati i motivi per cui si ritiene l’atto illegittimo o infondato, con le relative richieste (conclusioni), tipicamente: annullamento totale o parziale dell’atto impugnato.
  • Assistenza tecnica: per controversie di valore superiore a € 3.000 è obbligatorio farsi assistere da un difensore abilitato (avvocato, commercialista, consulente del lavoro per contributi, ecc.). Sotto tale soglia il contribuente può stare in giudizio da solo. Tuttavia, per questioni complesse è sempre consigliabile avere un esperto, data la tecnicità delle norme tributarie.
  • La proposizione del ricorso, come già accennato, sospende la riscossione oltre un certo limite: per gli avvisi di accertamento esecutivi, non può essere iscritta a ruolo una cifra superiore al 50% del tributo in contestazione (elevato ai 2/3 dal 2023) fino alla decisione di primo grado. Il resto è “congelato” in attesa. Se però il contribuente teme un danno grave anche da quella parte riscuotibile (ad es. l’importo è elevato e metterebbe in crisi la sua azienda), può presentare istanza di sospensione giudiziale.
  • Sospensione dell’esecuzione: è una richiesta al giudice di sospendere in via cautelare l’efficacia esecutiva dell’atto impugnato, in attesa del giudizio di merito. Si deve motivare con il periculum (danno grave e irreparabile dal pagamento) e il fumus (motivi di ricorso almeno non infondati). La Corte tributaria fissa una camera di consiglio urgente e decide con ordinanza. Se accoglie, l’ente non potrà procedere a incassare finché la causa non è risolta (o per un termine definito).

Il giudizio di primo grado di solito dura dai 6 ai 24 mesi, a seconda del carico del tribunale e della complessità. La decisione avviene con sentenza pronunciata da un collegio di 3 giudici (o da giudice monocratico per le liti piccole, se previsto). Dal 2023 sono stati introdotti magistrati tributari professionali, per cui ci si attende anche maggiore qualità e terzietà nelle decisioni.

Se il contribuente vince, l’atto viene annullato (in tutto o in parte) e nulla è più dovuto per la parte annullata. Se perde, l’atto diviene definitivo e l’Agenzia potrà riscuotere il residuo (oltre a eventuali spese di giudizio).

Spese di giudizio: in genere chi perde viene condannato alle spese di lite, salvo compensazione in caso di soccombenza reciproca o questione particolarmente nuova. Le spese sono liquidate di solito in base ai parametri forensi, ma per liti di modesto valore spesso i giudici compensano.

Appello in secondo grado

Sia il contribuente sia l’ente impositore possono appellare la sentenza di primo grado se soccombenti, entro 60 giorni dalla notifica della stessa (o 6 mesi se non notificata, per il ricorso incidentale). L’appello si propone alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Tributaria Regionale). Il giudizio di appello ricalca molto quello di primo grado (anche qui, eventuale sospensiva dell’esecutività della sentenza se si chiede). La sentenza d’appello può confermare, riformare o annullare la prima.

Una novità del 2023 è la possibilità di un filtro in appello: le liti sotto € 3.000 non sono appellabili (sentenza di primo grado definitiva), e per quelle fino a € 50.000 l’appello va ammesso con ordinanza motivata se ha probabilità di essere accolto, altrimenti viene dichiarato inammissibile.

Ricorso per Cassazione

Dopo l’appello, l’ultima istanza è la Corte di Cassazione (Sezione Tributaria). Si può ricorrere solo per motivi di diritto (violazione di legge o vizio di motivazione grave). La Cassazione può confermare la decisione di merito oppure cassarla con rinvio (o senza rinvio se decide direttamente la causa qualora non servano ulteriori accertamenti). Andare in Cassazione è un passo delicato e oneroso (servono avvocati cassazionisti, contributo unificato elevato), per cui si intraprende solo se in ballo vi è un principio importante o somme notevoli.

Conciliazione giudiziale

In ogni stadio del processo (primo o secondo grado) le parti possono trovare un accordo transattivo chiamato conciliazione e chiudere la lite. La conciliazione può essere fuori udienza (su proposta delle parti, formalizzata e poi omologata dal giudice) oppure in udienza (dinanzi al collegio che redige verbale di conciliazione). I benefici della conciliazione sono:

Spesso la conciliazione viene utilizzata se in giudizio emergono elementi nuovi o errori dell’ufficio che inducono a un ripensamento. Ad esempio, dopo aver visto le memorie del ricorrente, l’ufficio potrebbe ritenere di “mollare il colpo” su alcuni rilievi: propone allora di annullare una parte dell’atto e il contribuente paga solo il resto (con sanzioni ridotte al 40%). Questo strumento è stato reso più conveniente di recente e va tenuto a mente, perché talvolta conviene giungere ad un accordo piuttosto che attendere l’esito incerto di un processo (specie se si rischia di perdere su tutto).

Naturalmente, se si concilia si rinuncia a portare avanti la causa, quindi deve esserci convinzione reciproca nella soluzione trovata.

Esecutività delle sentenze e rimborsi: se la sentenza finale dà ragione al contribuente, l’Amministrazione è tenuta a restituire quanto eventualmente già pagato in eccedenza, con interessi. Se invece il contribuente esce soccombente, dovrà pagare il dovuto (al netto di quanto eventualmente già versato) più interessi e spese come da sentenza.

Va ricordato che la riscossione delle somme in contestazione era stata sospesa per la parte eccedente il 50% fino al primo grado; dopo la sentenza di primo grado:

  • Se il contribuente ha perso, deve versare 2/3 delle imposte contestate (al netto di quanto già versato) per proseguire l’appello, salvo sospensive.
  • Dopo la sentenza d’appello sfavorevole, l’ente può riscuotere tutto (salvo concili o sospensive in Cassazione), e se poi il contribuente vince in Cassazione l’Agenzia dovrà restituire.

In definitiva, il contenzioso tributario può essere lungo e costoso, quindi prima di intraprenderlo è bene aver valutato tutte le vie brevi di definizione. Tuttavia, è anche un baluardo fondamentale di difesa: di fronte a pretese infondate o vizi di legge, il giudice tributario spesso annulla atti del Fisco, garantendo così il rispetto della legalità.

Domande frequenti (FAQ) su controlli fiscali e difesa del contribuente

D: Quanto tempo dopo aver presentato la dichiarazione dei redditi posso essere sottoposto a controllo?
R: I controlli formali (richiesta di documenti) di solito avvengono entro 2 anni dalla presentazione. Invece l’Agenzia può notificare avvisi di accertamento fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di dichiarazione (se questa è stata presentata). Ad esempio, per i redditi 2020 dichiarati nel 2021, il termine di accertamento è il 31/12/2026. Se la dichiarazione è stata omessa, il termine si estende al settimo anno (nell’esempio, 31/12/2028). Oltre tali termini l’accertamento è decaduto (salvo alcuni casi eccezionali di sospensioni o raddoppio termini in presenza di reati, v. sezione relativa).

D: Ho ricevuto una comunicazione di irregolarità dal controllo automatizzato. Cosa devo fare?
R: Innanzitutto, non ignorarla! Controlla il dettaglio dell’irregolarità segnalata: può essere un versamento mancante, un errore di calcolo, ecc. Se, dopo verifica, riconosci che la correzione del Fisco è esatta, puoi regolarizzare pagando l’importo dovuto entro 30 giorni (o 60 giorni se la comunicazione è del 2025). Pagando entro tale termine, hai diritto alla sanzione ridotta (10% invece che 30%). Puoi usare il modulo F24 precompilato allegato alla comunicazione, anche a rate (fino a 8 rate se l’importo supera € 5.000, oppure fino a 20 rate trimestrali in base alle nuove disposizioni). Se invece ritieni che l’avviso sia sbagliato (ad es. risulta un versamento omesso ma tu lo avevi effettuato), devi attivarti per farlo correggere: puoi recarti o inviare una comunicazione all’ufficio locale dell’Agenzia, oppure utilizzare il servizio online CIVIS (se hai accesso a Fisconline) allegando la prova del pagamento o spiegando l’errore. L’Agenzia, verificati i tuoi documenti, potrà annullare o rettificare l’avviso bonario. In sintesi, verifica – e poi paga o fai correggere. Se non fai nulla entro i termini, dopo quel periodo l’importo sarà iscritto a ruolo e riceverai una cartella con sanzione piena e interessi di mora.

D: Qual è la differenza tra controllo automatico e controllo formale?
R: Il controllo automatico (36-bis) è svolto su tutte le dichiarazioni in modo informatico: verifica la correttezza matematica e incrocia i dati con l’Anagrafe tributaria (per esempio controlla se hai versato quanto dichiarato). Il controllo formale (36-ter) invece riguarda solo alcune dichiarazioni “a rischio” e comporta che l’ufficio ti chieda i documenti per verificare che hai diritto, ad esempio, alle detrazioni dichiarate. In breve, il 36-bis ti segnala differenze riscontrabili automaticamente (p.es. hai dimenticato un versamento); il 36-ter entra nel merito dei documenti (p.es. ti chiede ricevute mediche per confermare la detrazione). Anche le sanzioni ridotte differiscono: 10% per il 36-bis, 20% per il 36-ter in caso di pagamento entro il termine.

D: Sono stato selezionato per un controllo formale sulla mia dichiarazione. Devo preoccuparmi?
R: Non necessariamente: il controllo formale significa che l’Agenzia vuole verificare alcuni dati della tua dichiarazione. Ti verrà richiesto di esibire documenti (per es. scontrini di farmacie, quietanze di bonifici per ristrutturazioni, ricevute d’affitto se hai dedotto canoni, ecc.). Se hai tutto in regola e conforme a quanto dichiarato, il controllo si chiuderà senza conseguenze. Preoccupati piuttosto di fornire tutta la documentazione richiesta nei tempi indicati e in maniera chiara. Se manca qualche documento, prova a recuperarlo (molti enti possono rilasciarne copia). Se ti rendi conto di aver commesso tu un errore (ad esempio hai detratto una spesa non detraibile), puoi segnalarlo, verrà calcolato il dovuto e avrai la sanzione ridotta (20%). In sintesi: rispondi in modo collaborativo e usa il controllo come opportunità per regolarizzare eventuali sviste con sanzioni ridotte.

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate. Posso ancora evitare la cartella/esecuzione forzata?
R: Sì. L’avviso di accertamento è impugnabile entro 60 giorni, quindi se non sei d’accordo puoi contestarlo in giudizio. Inoltre, entro tali 60 giorni hai alcune opzioni deflative:

  • Presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio: così apri una trattativa e i termini per ricorrere si sospendono per 90 giorni. Se trovi un accordo, paghi con sanzioni ridotte a 1/3 e l’accertamento si chiude.
  • Se invece ritieni l’accertamento corretto (o comunque non vuoi fare causa), puoi aderire pagando direttamente: in tal caso c’è l’istituto dell’acquiescenza che ti riduce le sanzioni a 1/6, un bel risparmio. Devi pagare (o almeno iniziare a pagare a rate) entro 60 giorni dalla notifica.
  • Se non trovi accordo e non paghi, puoi comunque impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria. Il ricorso va notificato entro 60 giorni (se hai fatto adesione, entro 150 giorni). Presentando ricorso, l’accertamento non è più riscuotibile immediatamente per intero: l’Agenzia potrà eventualmente chiederti intanto il 50% dell’imposta a titolo provvisorio, ma tu puoi anche chiedere al giudice di sospendere tutto se ci sono gravi ragioni.

Quindi la cartella esattoriale non arriverà prima di questi passi. Anzi, per gli avvisi di accertamento “esecutivi” post-2011, non c’è proprio cartella: l’avviso stesso trascorsi 60 gg diventa titolo esecutivo e l’Agenzia Entrate Riscossione può procedere (comunque ti notificherà una intimazione di pagamento). Conclusione: muoviti entro i 60 giorni scegliendo una delle strade: adesione, acquiescenza o ricorso. Ognuna ha pro e contro, ma tutte evitano l’esecuzione immediata.

D: È vero che se pago subito dopo l’accertamento, oltre allo sconto di sanzioni evito anche il reato tributario?
R: Dipende dal tipo di violazione. Alcuni reati tributari (dichiarazione infedele, omesso versamento di IVA o ritenute) vengono estinti dal pagamento integrale del debito tributario prima del giudizio penale (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Quindi, ad esempio, se eri incorso nel reato di omesso versamento IVA (sopra soglia € 250k), pagando tutto il dovuto più interessi e sanzioni amministrative, non sei più punibile penalmente. Per altri reati come dichiarazione fraudolenta, il pagamento è solo una circostanza attenuante importante. In ogni caso, beneficiare di acquiescenza o adesione (sanzioni ridotte) non pregiudica il ravvedimento in sede penale: l’importante è che tu versi il tributo evaso e gli interessi. Le sanzioni amministrative ridotte valgono comunque come “integrale pagamento” ai fini penali. In sintesi, definire subito l’accertamento e pagare può aiutare moltissimo a chiudere anche eventuali vicende penali (se il PM non ha ancora esercitato l’azione o se la legge prevede la causa di non punibilità).

D: Non posso permettermi di pagare in un’unica soluzione l’importo richiesto: ho diritto a una rateazione?
R: Sì, la rateazione è prevista in quasi tutte le fasi:

  • Per le comunicazioni bonarie da controlli automatici/formali: puoi chiedere fino a 20 rate trimestrali (5 anni) se l’importo supera € 5.000. Se è inferiore, generalmente concedono fino a 8 rate trimestrali. Devi fare richiesta all’Agenzia entro 30 (o 60) giorni dalla comunicazione e pagare la prima rata nei termini.
  • Per gli avvisi di accertamento definiti in adesione o acquiescenza: fino a 8 rate trimestrali (16 se importo > € 50.000) come da D.Lgs. 218/97.
  • Per le cartelle esattoriali: l’Agente della Riscossione concede piani fino a 72 rate mensili (6 anni) se provi una situazione di difficoltà economica, e fino a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata grave difficoltà. Per debiti fino a € 120.000 la dilazione 72 rate è ottenibile con semplice istanza motivata (dal 2022 soglia salita a 120k).

Attenzione però: se dilazioni, devi essere puntuale. Saltare una rata (specie la prima o una successiva per più di 5 giorni) fa decadere la rateazione con iscrizione a ruolo del residuo. Quindi pianifica rate sostenibili.

D: Se ignoro un avviso o una comunicazione, cosa può succedermi concretamente?
R: Ignorare non è mai una buona strategia. Se ignori una comunicazione bonaria, l’Agenzia iscriverà a ruolo il debito e ti arriverà una cartella esattoriale. A quel punto avrai 60 giorni per pagarla; trascorso tale termine, l’Agente della Riscossione potrà attivare misure coercitive: ad esempio, un fermo amministrativo sulla tua auto, un pignoramento del conto corrente, dello stipendio (nei limiti di legge), o un’ipoteca su immobili, fino all’esproprio se il debito è molto alto. Se ignori un avviso di accertamento, dopo 60 giorni quello diventa titolo esecutivo e l’Agente potrà procedere similmente (previa intimazione di pagamento). Inoltre, non avrai usufruito degli sconti sulle sanzioni, e in più dovrai pagare spese aggiuntive (interessi di mora, compensi di riscossione). Quindi ignorare significa innescare la fase di riscossione coattiva, con costi e rischi ben maggiori. Meglio affrontare subito il problema: se il debito è dovuto ma non riesci a pagare, chiedi una dilazione; se non è dovuto, fai valere le tue ragioni col ricorso.

D: L’Agenzia delle Entrate può controllare i miei conti bancari senza avvisarmi?
R: Sì, può farlo nell’ambito di un accertamento formalmente avviato, ma deve ottenere un’autorizzazione interna (del Direttore regionale) prima di chiedere i dati alle banche. Tu in genere lo scoprirai solo a posteriori, quando magari ti contestano movimenti non giustificati. Le banche sono tenute a rispondere entro 60 giorni fornendo l’elenco dei movimenti su tutti i rapporti intestati a te (c/c, depositi titoli, carte di credito, cassette di sicurezza – queste ultime indicando solo se esistono, non il contenuto). L’Agenzia non “preleva” soldi dal conto (non può in questa fase), però esaminerà accrediti e addebiti. Come detto, accrediti non spiegati possono essere considerati ricavi occulti, quindi sta a te poi dimostrare che erano, ad esempio, trasferimenti tra tuoi conti, o prestiti ricevuti, rimborsi, ecc. Il consiglio è: conserva traccia delle causali dei tuoi movimenti importanti (scrivi sempre il motivo nei bonifici, conserva contratti per prestiti tra familiari). Così se dovessero emergere, hai la prova pronta per giustificarli.

D: Che differenza c’è tra avviso di accertamento e cartella esattoriale?
R: L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’ente (di solito Agenzia Entrate) accerta maggiori imposte rispetto a quanto hai dichiarato, spiegandone le ragioni. La cartella esattoriale è invece un atto di ingiunzione emesso dall’Agente della Riscossione per riscuotere somme risultanti da ruoli (essenzialmente è una “bolletta” che intima il pagamento entro 60 giorni). Oggi, dopo la riforma del 2011, gli avvisi di accertamento delle Entrate includono già l’intimazione a pagare, quindi se non li contesti né paghi diventano esecutivi e portano alla riscossione senza passare per la cartella. Le cartelle restano per riscuotere altri crediti: ruoli derivanti da controlli automatici, tasse locali, contributi INPS, sanzioni da violazioni, ecc. Entrambi gli atti sono impugnabili: il ricorso contro una cartella può contestare vizi propri (notifica nulla, prescrizione) o, se non hai mai ricevuto l’atto presupposto (tipo un accertamento), anche il merito del tributo sottostante.

D: Ho vinto il ricorso in primo grado: l’Agenzia può ancora chiedermi soldi?
R: Se hai vinto in primo grado completamente, l’atto è annullato e l’Agenzia deve in teoria adeguarsi. Può però fare appello. Nel frattempo, se avevi versato importi provvisori (es. 1/3 in pendenza), con la vittoria dovrebbero restituirti quelle somme, salvo chiedere al giudice d’appello di sospendere la tua sentenza. Spesso l’Amministrazione aspetta l’appello prima di rimborsare; per ottenere subito puoi fare istanza di ottemperanza trascorsi 90 giorni dalla sentenza. Se vinci anche in appello (o l’Agenzia non appella) la controversia è finita e hai diritto a rimborsi e spese. Se invece la sentenza di primo grado ti è avversa e tu fai appello, devi versare altri 1/6 (così da arrivare ai 2/3 dovuti) salvo chiedere sospensione. Insomma, dopo la vittoria definitiva l’Agenzia paga lei; dopo la sconfitta definitiva paghi tu.

D: In caso di controlli e accertamenti, mi consigliate di farmi seguire da un professionista?
R: Se si tratta solo di una comunicazione bonaria per piccole cose e sai esattamente come regolarizzare, potresti far da te. Ma in generale, appena la questione si complica (richieste documenti particolari, avvisi di accertamento con contestazioni tecniche), è fortemente consigliato affidarsi a un commercialista o avvocato tributarista di fiducia. Un professionista esperto sa valutare la fondatezza della pretesa fiscale, sa interloquire efficacemente con l’ufficio (magari ottenendo un annullamento in autotutela se l’ufficio riconosce l’errore), oppure consigliare se è meglio aderire o fare ricorso, stimando anche le chance di vittoria in giudizio. Inoltre, certi atti richiedono formalità precise (il ricorso, la richiesta di adesione, ecc.): errori procedurali potrebbero costare caro (ad esempio un ricorso tardivo è inammissibile). Considera il costo di un professionista come un investimento: spesso riesce a farti risparmiare più di quanto spendi, sia in termini di imposte non dovute sia di sanzioni ridotte. E ti solleva dallo stress di affrontare da solo la macchina fiscale.


Fonti

Giurisprudenza e Normativa: D.P.R. 29/9/1973 n. 600 (artt. 36-bis, 36-ter, 38, 41-bis); D.P.R. 26/10/1972 n. 633 (art. 54-bis); D.Lgs. 18/12/1997 n. 471 (sanzioni tributarie, art. 13); D.Lgs. 19/6/1997 n. 218 (adesione, acquiescenza, conciliazione); L. 27/7/2000 n. 212 (Statuto del Contribuente); D.Lgs. 31/12/1992 n. 546 (processo tributario); L. 28/12/2015 n. 208 (Stabilità 2016, nuovi termini accertamento dal 2016); D.Lgs. 5/8/2015 n. 128; L. 130/2022 (riforma giustizia trib.); D.Lgs. 156/2015 e D.Lgs. 220/2023 (reclamo/mediazione); D.Lgs. 108/2024 (riscossione, 60 gg avvisi bonari).

Corte di Cassazione – Sez. Trib., sent. 13 ottobre 2022 n. 29990. (Principio: per le imposte non armonizzate la violazione del contraddittorio pre-decisione invalida l’atto se il contribuente indica le difese che avrebbe svolto).

Corte di Cassazione – Sez. Trib., ord. 11 aprile 2024 n. 9759. (Chiarisce che il controllo ex art. 36-bis DPR 600/73 può riguardare solo errori immediatamente riscontrabili; se serve interpretazione/qualificazione giuridica occorre un avviso motivato e contraddittorio).

Hai ricevuto una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate per presunte irregolarità nella tua dichiarazione dei redditi? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere quali tipi di controlli esistono e come difenderti in caso di contestazioni?

I controlli sulla dichiarazione dei redditi possono essere:

  • automatici, per verificare errori di calcolo o dati mancanti;
  • formali, per controllare la documentazione a supporto delle detrazioni e deduzioni;
  • sostanziali, per accertare la reale correttezza dei redditi dichiarati, anche tramite indagini bancarie o controlli incrociati.

Se emergono anomalie, il contribuente può ricevere una comunicazione di irregolarità (avviso bonario) o un vero e proprio avviso di accertamento. In entrambi i casi è possibile difendersi presentando chiarimenti, documenti giustificativi o ricorsi.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la comunicazione ricevuta e verifica la natura del controllo effettuato

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⚖️ Ti assiste nel contraddittorio con il fisco e davanti alla Corte di Giustizia Tributaria

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e difesa da controlli fiscali

✔️ Specializzato in ricorsi contro accertamenti e avvisi bonari

✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia


Conclusione
Un controllo sulla dichiarazione dei redditi non significa automaticamente dover pagare somme ingiuste.
Con una strategia legale mirata puoi chiarire la tua posizione, contestare errori del fisco e ridurre l’impatto economico delle verifiche.

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