Come Fare Un Ricorso Per Cassazione Nel Processo Tributario

Vuoi sapere come si presenta un ricorso per Cassazione in materia tributaria?
La Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nelle controversie fiscali. Non serve a riesaminare i fatti, ma solo a verificare la corretta applicazione delle norme di diritto da parte delle Corti di Giustizia Tributaria di secondo grado. Per questo motivo è fondamentale conoscere requisiti, termini e modalità per evitare l’inammissibilità del ricorso.

Quando si può ricorrere in Cassazione
– Contro le sentenze delle Corti di Giustizia Tributaria di secondo grado
– Quando si ritiene che la sentenza abbia violato norme di diritto sostanziale o processuale
– Quando vi sono vizi di motivazione della sentenza nei limiti ammessi dalla legge
– Quando ci sono questioni di giurisdizione

Termini per proporre ricorso
– Il termine ordinario è di 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado
– Se la sentenza non viene notificata, vale il termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione
– I termini sono sospesi dal 1° al 31 agosto per la sospensione feriale

Chi può presentare il ricorso
– È necessario un avvocato cassazionista iscritto all’Albo speciale della Corte di Cassazione
– Il contribuente o l’ente impositore non possono presentare da soli l’atto, ma devono farsi assistere da un legale abilitato

Come si redige un ricorso per Cassazione tributaria
– Deve contenere i dati delle parti, l’indicazione della sentenza impugnata e i motivi di ricorso
– I motivi devono riguardare solo questioni di diritto, non i fatti già accertati nei gradi precedenti
– Deve essere depositato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione nei termini previsti
– Va notificato alla controparte secondo le modalità stabilite dal codice di procedura civile

Cosa si può ottenere con il ricorso in Cassazione
– La cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria per un nuovo giudizio
– La cassazione senza rinvio, quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto
– Il consolidamento della sentenza di merito, se il ricorso viene rigettato

Attenzione: i ricorsi in Cassazione sono spesso dichiarati inammissibili per vizi formali o motivi non pertinenti. Per questo è indispensabile che siano redatti da un avvocato specializzato e con esperienza nel contenzioso tributario di legittimità.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati cassazionisti esperti in contenzioso tributario – ti spiega come fare un ricorso per Cassazione nel processo tributario e quali sono i passaggi fondamentali per non commettere errori.

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Introduzione

Nel processo tributario italiano, il ricorso per Cassazione rappresenta il terzo e ultimo grado di giudizio, limitato alle questioni di legittimità e non di merito. In altre parole, la Corte di Cassazione (Sezione Tributaria o, in casi particolari, le Sezioni Unite) non rivede i fatti del caso né rivaluta le prove liberamente, ma verifica soltanto se la sentenza di secondo grado ha applicato correttamente le norme di diritto e rispettato le regole processuali. Dal punto di vista del contribuente-debitore soccombente (cioè che ha perso in appello dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, ex Commissione Tributaria Regionale), il ricorso per Cassazione è l’ultima chance per tentare di ribaltare l’esito sfavorevole, facendo valere eventuali errori di diritto o gravi vizi procedurali commessi dal giudice di merito. Non è però un “terzo round” sul merito: se si è perso sui fatti, difficilmente la Cassazione potrà sovvertire la decisione. Questa guida avanzata – aggiornata a luglio 2025 – spiega passo dopo passo come impostare un ricorso per Cassazione in materia tributaria, con un linguaggio tecnico ma accessibile, adatto sia ad avvocati tributaristi sia a privati contribuenti e imprenditori. Troverete riferimenti alle norme italiane rilevanti, le più recenti sentenze della Corte di Cassazione e novità normative (come la riforma della giustizia tributaria del 2022–2023), oltre a tabelle riepilogative, sezioni di domande e risposte, e simulazioni pratiche basate su casi semplificati, il tutto dal punto di vista del contribuente-debitore.

Perché rivolgersi alla Cassazione? In sintesi, il ricorso per Cassazione serve a far valere che la sentenza di appello tributario (oggi resa dalla Corte di Giustizia Tributaria di 2º grado) è giuridicamente errata – ad esempio perché il giudice ha mal interpretato la legge fiscale applicabile, ha violato norme processuali (come il diritto di difesa o il principio del contraddittorio), oppure ha fornito una motivazione inesistente o illogica su un punto decisivo. La Cassazione svolge un ruolo di nomofilachia (uniformazione dell’interpretazione delle leggi): il suo compito è assicurare che la legge sia applicata in modo uniforme e corretto. Per il contribuente, ottenere un annullamento in Cassazione può significare avere un nuovo giudizio di merito (se il caso viene rinviato a un diverso giudice di secondo grado) e quindi una seconda opportunità di vittoria, oppure – in rari casi – una decisione definitiva a proprio favore se la causa è matura per essere decisa subito.

Attenzione però: il ricorso per Cassazione non sospende automaticamente l’esecutività della sentenza impugnata【30†L1-L9**】. Ciò significa che, in mancanza di provvedimenti sospensivi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può comunque procedere a riscuotere le somme dovute in base alla sentenza di secondo grado, anche mentre il ricorso è pendente. Come vedremo, dal 2022 è stato introdotto uno strumento specifico per chiedere la sospensione della sentenza impugnata (art. 62-bis D.lgs. 546/92), ma essa va richiesta espressamente e concessa solo in presenza di grave e irreparabile danno. Inoltre, proporre ricorso comporta costi non trascurabili (il contributo unificato in Cassazione è elevato, addirittura raddoppiato rispetto all’appello) e rischi di condanna alle spese e sanzioni in caso di insuccesso. Dunque è fondamentale valutare bene la convenienza di rivolgersi alla Cassazione: bisogna avere motivi solidi di legittimità, una chance concreta di far valere un errore giuridico, e tenere conto dell’impatto finanziario. Nella pratica, l’assistenza di un avvocato abilitato al patrocinio in Cassazione è obbligatoria e preziosa per filtrare i motivi validi e redigere un ricorso conforme ai rigorosi requisiti formali richiesti dalla Suprema Corte.

Nei paragrafi che seguono illustreremo in dettaglio quando e come proporre ricorso per Cassazione nel processo tributario, quali sono i motivi di impugnazione ammessi, i termini e le modalità di notifica e deposito, la struttura che deve avere il ricorso (secondo le recenti riforme orientate alla chiarezza e sinteticità degli atti), le peculiarità del rito tributario (ad esempio in tema di rappresentanza dell’ente impositore in Cassazione), gli effetti del ricorso sul debito tributario (pagamenti frazionati, richiesta di sospensione, definizione agevolata delle liti pendenti, ecc.), con riferimenti costanti a normativa e giurisprudenza aggiornata. Seguiranno una sezione di Domande e Risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni e alcune Simulazioni pratiche di casi reali semplificati – uno dal punto di vista di un privato contribuente, uno dal punto di vista di un’impresa – per vedere come i principi esposti si applicano nella realtà concreta.

(N.B.: In questa guida useremo le nuove denominazioni introdotte dalla riforma 2022: Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) e Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Tributaria Regionale). Per brevità chiameremo spesso “CTR” la Commissione/CGT regionale e “Cassazione” la Corte di Cassazione.)

Normativa di Riferimento e Requisiti di Ammissibilità

Il ricorso per Cassazione in materia tributaria è disciplinato in parte dalle norme speciali del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Codice del processo tributario) e, per tutto quanto non espressamente previsto lì, dalle norme del Codice di procedura civile relative al giudizio di legittimità (artt. 360 e seguenti c.p.c.), in virtù del rinvio operato dall’art. 62, comma 2, D.Lgs. 546/92. Dunque, i motivi di ricorso esperibili sono quelli elencati tassativamente nell’art. 360 c.p.c., mentre termini, forme e effetti del ricorso seguono in generale le regole del codice di rito civile, fatte salve alcune peculiarità introdotte dal legislatore tributario.

Ecco le principali fonti normative da tenere presenti:

  • Motivi di impugnazione (art. 360 c.p.c.) – Elenca i cinque motivi tipici su cui può fondarsi il ricorso per Cassazione. Nel contenzioso tributario, ricorrente può essere sia il contribuente sia l’ente impositore (di regola l’Agenzia delle Entrate o Agenzia Entrate-Riscossione), ma entrambi sono vincolati a questi motivi tipici. Li esamineremo in dettaglio nella sezione successiva.
  • Termini per il ricorso (art. 51 D.Lgs. 546/92) – Stabilisce che il termine per impugnare la sentenza tributaria di primo o secondo grado è di 60 giorni dalla notificazione della stessa ad istanza di parte (termine c.d. “breve”), salvo il caso in cui la sentenza non venga notificata. In quest’ultimo caso si applica il termine “lungo” di impugnazione ex art. 327 c.p.c., ossia 6 mesi dalla pubblicazione (deposito) della sentenza. La regola è stata confermata e chiarita dalla riforma del 2022: se nessuna parte notifica la sentenza, il termine di 6 mesi decorre dal deposito della sentenza completa di motivazione presso la segreteria della Corte di Giustizia Tributaria, e non dalla mera lettura del dispositivo in udienza. Questo significa che la semplice comunicazione dell’esito della sentenza senza motivazioni non fa scattare i termini di ricorso – il conteggio parte solo quando la sentenza integrale è pubblicata con motivazione. Il Ministero dell’Economia e Finanze stesso (Telefisco 2024) ha confermato che la data di lettura del dispositivo è irrilevante ai fini dei termini di impugnazione. Inoltre, l’art. 38, c.3, D.Lgs. 546/92 precisa che la regola del termine lungo di 6 mesi non si applica se la parte rimasta contumace in giudizio prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo a causa di una nullità nella notifica del ricorso introduttivo o dell’avviso di udienza.
  • Notifica e deposito del ricorso (artt. 16, 17 D.Lgs. 546/92 e 369 c.p.c.) – Il ricorso per Cassazione va notificato, a pena di inammissibilità, alla controparte entro i termini suddetti. Nel processo tributario telematico attuale, la notifica può avvenire a mezzo PEC (Posta Elettronica Certificata) all’indirizzo digitale risultante dai registri pubblici (es. Reginde per i difensori costituiti o IPA per enti pubblici) oppure tramite ufficiale giudiziario nelle forme tradizionali. Una volta notificato, il ricorso deve essere depositato presso la Cancelleria centrale della Corte di Cassazione entro 20 giorni dall’ultima notificazione effettuata, allegando gli atti richiesti (tra cui copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notifica della stessa, se fu notificata, nonché gli eventuali documenti su cui si fonda il ricorso – v. art. 369, co. 2 c.p.c.). Dal 1° gennaio 2023 è obbligatorio il deposito telematico degli atti del giudizio di Cassazione civile, compresi i ricorsi, tramite il Portale del Processo Telematico, con firma digitale del difensore. Attenzione: la mancanza della firma digitale sul ricorso notificato via PEC è causa di nullità dell’atto, equivalente alla mancanza di sottoscrizione su un atto cartaceo. Parimenti, occorre assicurarsi che la notifica PEC sia effettuata all’indirizzo corretto e che vada a buon fine; la Suprema Corte ha affrontato ad esempio il caso di casella PEC piena del destinatario, stabilendo che la notifica non può dirsi perfezionata se il destinatario non adotta misure per rendere la casella capiente. In caso di problemi nella notifica telematica, il rimedio è ripeterla tempestivamente (entro il termine, se pendente, o il prima possibile se scaduto per evitare decadenze, invocando eventualmente la scusabilità dell’errore tecnico).
  • Patrocinio e procura speciale – Nel giudizio tributario in Cassazione è obbligatorio il patrocinio di un avvocato iscritto nell’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori (art. 12, c.5 D.Lgs. 546/92 richiamando l’art. 365 c.p.c.). Dunque, il ricorso va redatto e sottoscritto da un avvocato cassazionista (salvo il caso in cui la parte sia essa stessa un avvocato abilitato al patrocinio in Cassazione e agisca in proprio). La procura alle liti “speciale” per il ricorso va rilasciata su atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure in calce o a margine del ricorso stesso (ma dopo la formazione della sentenza impugnata, altrimenti non è valida per il ricorso per Cassazione). La procura speciale deve conferire espressamente il potere di proporre ricorso per Cassazione avverso la data sentenza, ed essere autenticata dal difensore stesso o altro soggetto abilitato. Nel processo tributario telematico, la procura può essere apposta su documento analogico e poi scansionata e firmata digitalmente, oppure rilasciata come documento informatico con firma digitale del contribuente e controfirmata digitalmente dall’avvocato.
  • Specificità e autosufficienza del ricorso – Un elemento cruciale (sviluppato per via giurisprudenziale e ora recepito anche nelle norme di rito riformate) è il cosiddetto principio di autosufficienza del ricorso. Significa che il ricorso per Cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi fattuali e processuali necessari a consentire alla Corte di valutare i motivi dedotti, senza dover integrare informazioni da altre fonti del fascicolo. In pratica, il ricorrente deve: riassumere i fatti salienti della causa e l’iter delle decisioni di merito; individuare con precisione gli atti e documenti su cui si fonda ogni motivo di ricorso, trascrivendone i passaggi essenziali o almeno indicandone puntualmente il contenuto e la collocazione nei fascicoli di merito; e specificare il “come” e il “dove” l’asserito errore risulta, ovvero in quale parte della sentenza impugnata si ravvisa la violazione di legge o il vizio denunciato. Il nuovo art. 366 c.p.c. riformato nel 2022 sottolinea espressamente l’obbligo di chiarezza e sinteticità espositiva, richiedendo un’esposizione chiara dei fatti e dei motivi di ricorso, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, nonché l’individuazione specifica degli atti e documenti rilevanti per ciascun motivo. Il Protocollo d’intesa Cassazione-Avvocatura-Stato-CNF 2023 ha ribadito queste regole redazionali, confermando che il principio di autosufficienza non impone di trascrivere integralmente tutti gli atti richiamati, ma richiede comunque che nel ricorso si indichino puntualmente i documenti e gli atti su cui esso si fonda, specificando dove (in quale sede processuale e in quale punto) tali elementi sono rinvenibili. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza della Sez. Tributaria (n. 2655/2025), ha chiarito che il principio di autosufficienza – da interpretarsi alla luce dei principi CEDU espressi nella sentenza Succi c. Italia (CEDU, 28/10/2021) – non è rispettato se il motivo di ricorso non indica specificamente i documenti o atti su cui si fonda, non ne riassume il contenuto o non ne trascrive i passaggi essenziali, e non fornisce riferimenti precisi alla fase di merito in cui tali atti sono stati prodotti. In sostanza, un ricorso generico o “criptico”, che costringa i giudici di legittimità a svolgere essi stessi un’opera di ricerca degli elementi fattuali, verrà dichiarato inammissibile. Più oltre vedremo esempi di come articolare correttamente i motivi per evitare questa sanzione processuale.
  • Peculiarità della difesa erariale in Cassazione – Un aspetto peculiare del processo tributario è la rappresentanza e difesa dell’ente impositore. L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia Entrate-Riscossione possono essere difese in Cassazione dall’Avvocatura Generale dello Stato, in base al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (legge sull’Avvocatura dello Stato) e ad apposite convenzioni con le Agenzie fiscali. In alternativa, in certi casi le Agenzie possono avvalersi di avvocati del libero foro (professionisti esterni). Tuttavia, la giurisprudenza più recente ha ribadito che il ricorso a legali esterni è solo una “ipotesi residuale”, subordinata al rispetto di specifiche condizioni formali: serve una delibera motivata dell’ente che autorizzi l’avvalimento di un avvocato del libero foro, in presenza delle situazioni eccezionali previste (conflitto d’interessi con l’Avvocatura dello Stato, indisponibilità dell’Avvocatura ad assumere il patrocinio, o altre ipotesi contemplate dalla convenzione tra Agenzia e Avvocatura). In mancanza di tale delibera o fuori dai casi consentiti, la procura al difensore privato è nulla e il ricorso (o controricorso) presentato dall’Agenzia tramite detto avvocato deve essere dichiarato inammissibile. Ad esempio, la Cassazione ha annullato la costituzione in giudizio di Agenzia Entrate-Riscossione rappresentata da un avvocato del libero foro, perché non risultava la preventiva deliberazione ex art. 43, co. 4, R.D. 1611/1933 che avrebbe dovuto autorizzare la deroga al patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato. Dal punto di vista pratico per il contribuente ricorrente, questo significa che occorre notificare il ricorso alla corretta controparte: se in appello l’Agenzia delle Entrate si è costituita tramite propri funzionari o avvocati del libero foro domiciliati presso l’Avvocatura dello Stato, di norma la notifica del ricorso per Cassazione andrà effettuata presso tale domicilio eletto (spesso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato competente). Se invece l’Agenzia era assistita dall’Avvocatura dello Stato in appello, la notifica andrà fatta presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma (art. 11 R.D. 1611/1933). In caso di notifica errata (ad esempio all’ufficio periferico dell’Agenzia anziché all’Avvocatura quando necessaria), si può incorrere in una invalidità insanabile della notifica del ricorso. È sempre consigliabile verificare le modalità di costituzione dell’ente nel grado precedente e gli atti di delega per individuare correttamente il soggetto cui notificare.

Dopo aver inquadrato le fonti normative principali, nei paragrafi successivi analizzeremo nel merito come predisporre il ricorso: i motivi tassativi invocabili, la struttura dell’atto, il procedimento in Cassazione e gli esiti possibili, senza tralasciare gli aspetti relativi a termini, notifiche e pagamento delle somme in pendenza di giudizio.

Motivi di Ricorso per Cassazione: Cosa Puoi Contestare

Come accennato, la Cassazione non giudica nuovamente il merito della controversia fiscale, ma controlla la legittimità della sentenza impugnata. Pertanto, non tutte le doglianze sono ammissibili: si possono far valere solo i motivi di ricorso previsti dall’art. 360 c.p.c. Di seguito elenchiamo tali motivi tassativi, spiegando cosa significano in concreto nel processo tributario:

  • Motivi attinenti alla giurisdizione – Si denuncia che il giudice che ha emesso la sentenza impugnata non aveva giurisdizione sulla materia. È un motivo piuttosto raro in ambito tributario: ad esempio potrebbe invocarsi se una Commissione tributaria avesse giudicato una controversia che apparteneva invece alla giurisdizione di un giudice ordinario o amministrativo (ipotesi limite, data la chiara ripartizione delle materie tributarie). La Cassazione a Sezioni Unite è competente a risolvere questioni di giurisdizione. Se, poniamo, una controversia riguardante un’entrata patrimoniale non tributaria fosse erroneamente trattata dal giudice tributario, si potrebbe ricorrere per difetto di giurisdizione.
  • Violazione delle norme sulla competenza – Anche questo motivo (art. 360 n.2 c.p.c.) è di scarsa applicazione nel tributario, poiché la competenza per materia spetta esclusivamente alle Corti tributarie. Potrebbe teoricamente riguardare problemi di competenza territoriale (ad es. se una causa era radicata nella regione sbagliata) o ipotesi particolari. In genere, le questioni di competenza territoriale devono però essere eccepite e risolte nei gradi di merito; in Cassazione residuano solo casi di competenza funzionale.
  • Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – È il motivo più frequente (art. 360 n.3 c.p.c.). Consiste nel denunciare un errore di diritto commesso dal giudice di merito, cioè l’aver applicato una norma giuridica in maniera errata oppure non averne applicata una che invece andava applicata, ovvero averne dato un’interpretazione sbagliata. Rientrano qui sia le norme di diritto sostanziale (es. leggi tributarie: DPR 917/86 TUIR, DPR 633/72 IVA, ecc., o norme civilistiche rilevanti ai fini tributari) sia le norme di diritto processuale. Alcuni esempi tipici: la CTR ha erroneamente ritenuto tassabile un certo reddito che per legge era esente; oppure ha applicato con effetto retroattivo una norma entrata in vigore dopo i fatti; oppure ancora ha negato un diritto al rimborso per decadenza quando la richiesta era tempestiva per legge. In questi casi il ricorso per Cassazione evidenzierà la corretta interpretazione della norma violata e spiegherà perché la sentenza impugnata l’ha disattesa. Attenzione: rientra nella “violazione di norme di diritto” anche l’error in iudicando su norme processuali (per es. aver deciso malgrado un vizio di notifica, o aver ammesso un appello in realtà inammissibile per tardività, ecc.), distinto però dal n.4 (che attiene a nullità processuali più radicali). Non sono deducibili invece in Cassazione violazioni di meri atti amministrativi (circolari, prassi): ad esempio, lamentare la violazione di una circolare dell’Agenzia non integra motivo di ricorso, poiché le circolari non sono fonti del diritto e il giudice non vi è vincolato. Ci si può però dolere che il giudice abbia applicato male un regolamento o una direttiva comunitaria, in quanto fonti normative.
  • Nullità della sentenza o del procedimento – Questo motivo (art. 360 n.4 c.p.c.) riguarda i vizi radicali del processo o della sentenza impugnata, cioè quelle violazioni che rendono nulla la decisione. Ad esempio: violazione del contraddittorio (una parte non è stata messa in condizione di difendersi), omessa pronuncia (il giudice d’appello non si è pronunciato su un motivo di appello o su un’eccezione di merito, lasciando quindi una domanda o eccezione senza risposta), violazione del divieto di ultra petita (il giudice ha deciso oltre i limiti delle richieste delle parti), mancanza della sottoscrizione del giudice, ecc. Nell’ambito tributario, un caso frequente è l’omessa pronuncia su motivi di appello: se la CTR si è “dimenticata” di decidere su un motivo di gravame del contribuente (ad es. non ha affrontato una specifica eccezione di nullità dell’atto impositivo), la sentenza è nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevabile ex art. 360 n.4. Attenzione però: la giurisprudenza precisa che l’omessa pronuncia rileva solo per questioni di merito, non se il giudice (implicitamente) rigetta un’eccezione processuale perché superata dalla decisione sul merito. Altre ipotesi: motivazione apparente o incomprensibile al punto da rendere nulla la sentenza (error in procedendo per difetto assoluto di motivazione). Ad esempio, se la sentenza di appello si limitasse a frasi generiche senza spiegare le ragioni della decisione, si potrebbe denunciarne la nullità ai sensi dell’art. 360 n.4 c.p.c. per mancanza di motivazione, qualificandola come violazione dell’art. 132, co.2 n.4 c.p.c. e 36 D.Lgs. 546/92. Le Sezioni Unite hanno chiarito che la motivazione è “apparente” e la sentenza è nulla quando, pur graficamente esistente, non permette di comprendere l’iter logico che ha portato alla decisione.
  • Vizio di motivazione (omesso esame di un fatto decisivo) – È il motivo di cui al n.5 dell’art. 360 c.p.c., riformulato profondamente nel 2012. Oggi è invocabile solo l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. In sostanza, si può denunciare che la CTR ha completamente omesso di considerare un fatto storico (un fatto specifico, non una questione giuridica) che era stato discusso ed era decisivo per il giudizio. Ad esempio, il giudice di merito ha ignorato del tutto una prova documentale da cui risultava un pagamento già avvenuto, fatto che se considerato avrebbe potuto cambiare l’esito. Oppure non ha valutato un fatto secondario ma decisivo (es: l’esistenza di una sentenza passata in giudicato per un altro anno di imposta sul medesimo rapporto – il c.d. giudicato esterno). Il campo di applicazione di questo motivo è oggi molto ristretto: la Corte di Cassazione non può più sindacare né l’insufficienza né la contraddittorietà della motivazione, ma solo la totale omissione di un elemento fattuale di rilievo. Inoltre, l’omesso esame dev’essere riferito a un fatto storico, non ad argomentazioni o tesi giuridiche. Se, ad esempio, la CTR ha valutato le prove e semplicemente ha dato più peso a quelle dell’Ufficio rispetto a quelle del contribuente, il contribuente non può ricorrere lamentando che la valutazione del fatto sia “errata”: quello è un tipico errore di merito che non rientra nel sindacato di legittimità. Solo se manca del tutto l’esame di una circostanza decisiva (e risulti dal testo della sentenza o dagli atti che quel fatto era stato introdotto e discusso) si potrà usare il n.5. Ad esempio, la CTR conferma un accertamento induttivo senza menzionare minimamente le prove contrarie prodotte dal contribuente: se quelle prove costituiscono fatti decisivi (es. documenti che annullerebbero la pretesa) e sono state ignorate, si integra il vizio di omessa valutazione. Importante: nel ricorso va specificato qual è il fatto decisivo omesso, dove risultava discusso e perché avrebbe potuto cambiare l’esito, altrimenti il motivo sarà dichiarato inammissibile per difetto di specificità.

In concreto, quindi, il ricorrente per Cassazione tributaria può far valere soprattutto i motivi 3), 4) e (in misura ridotta) 5). I primi due motivi (giurisdizione e competenza) sono raramente pertinenti, ma se ve ne sono gli estremi devono essere sollevati (la giurisdizione, in particolare, è rilevabile d’ufficio anche dalla Cassazione). Non è invece ammesso contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di appello, né chiedere una nuova valutazione delle prove. Ad esempio, non si può pretendere che la Cassazione “riapra” la questione se un certo costo fosse effettivamente inerente o documentato: al massimo si potrà sostenere che la CTR ha applicato male la norma sull’onere della prova o ha violato una norma procedurale nel valutare quella prova (ad es. l’ha disattesa senza motivare). Ma non si può introdurre una perizia nuova o documenti nuovi per dimostrare un fatto: questi dovevano emergere prima. In definitiva, la Cassazione non è un terzo grado sul merito: occorre rassegnarsi sul fatto che ciò che è accertato come “fatto” in sentenza, resta tale, salvo il limitato spiraglio dell’omesso esame di fatti decisivi. Invece, la Cassazione può ben correggere errori giuridici anche con effetto sul “merito sostanziale”: ad esempio, può stabilire che un certo reddito non era imponibile per legge e quindi cassare la sentenza che lo aveva ritenuto tassabile – in tal caso incide sul merito perché modifica la regola giuridica da applicare a quei fatti.

Riassumendo i limiti: la Cassazione verifica che la legge sostanziale e processuale sia stata applicata correttamente. Non ricalcola le imposte, non determina essa l’importo dovuto (salvo casi eccezionali di decisione nel merito ex art. 384 c.p.c.), ma se riscontra un errore di diritto, cassa la sentenza impugnata. Di regola rinvia gli atti ad un giudice di merito (anche a una diversa sezione di quella stessa Corte di Giustizia Tributaria) perché riesamini la questione alla luce dei principi stabiliti. Solo eccezionalmente la Cassazione decide essa stessa la causa in modo definitivo, ai sensi dell’art. 384, comma 2 c.p.c., quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto e la questione di merito può essere decisa sulla base degli elementi già acquisiti. Ad esempio, se la Cassazione accerta che la pretesa fiscale è integralmente prescritta e i fatti relativi a decorrenza e sospensione dei termini di prescrizione sono già pacifici, potrà cassare senza rinvio annullando l’atto impugnato; oppure, al contrario, se ritiene inammissibile il ricorso introduttivo del contribuente perché tardivo, potrà chiudere definitivamente la causa confermando il dovuto. In tutti gli altri casi, la parola torna ai giudici di merito, i quali dovranno conformarsi alla “regola di diritto” dettata dalla Cassazione (art. 384, co.1 c.p.c.).

Procedura: Dal Ricorso alla Decisione

Vediamo ora come si svolge il giudizio di Cassazione una volta depositato il ricorso, e quali atti possono/devono compiere le parti:

  • Iscrizione a ruolo e controricorso: Presentato il ricorso (in via telematica), la Cancelleria della Cassazione lo iscrive a ruolo assegnando un numero di RG (registro generale). La parte contro cui è proposto (es. l’Agenzia Entrate, se è il contribuente ad aver ricorso) ha 40 giorni dalla notifica del ricorso per depositare un controricorso in Cassazione, con il quale può a sua volta argomentare contro i motivi di ricorso e proporre eventualmente ricorso incidentale (ad esempio, se anche l’Agenzia ha motivi da far valere sulla sentenza, li presenta come ricorso incidentale, sottoposto agli stessi termini e requisiti formali). Il controricorso deve rispettare in quanto applicabili le stesse regole di forma del ricorso (va redatto con motivi specifici e autosufficienti, notificato e depositato in via telematica con firma digitale etc.). Se l’intimato non deposita controricorso, il processo di Cassazione procede ugualmente in sua assenza (in contumacia della parte intimata).
  • Fase preliminare – filtro di ammissibilità: La riforma del 2022 ha confermato e potenziato strumenti di filtro dei ricorsi manifestamente infondati o inammissibili. In particolare, l’art. 380-bis c.p.c. prevede un procedimento accelerato (camera di consiglio filtro) in cui la Corte, su proposta del relatore, può dichiarare con ordinanza l’inammissibilità o infondatezza manifesta del ricorso senza arrivare alla discussione approfondita. Inoltre, il Presidente della sezione può emettere una sorta di “proposta di definizione” (art. 380-bis.1 c.p.c.) indicando sinteticamente le ragioni per cui il ricorso appare improcedibile, inammissibile o manifestamente infondato; se il ricorrente non insiste depositando apposita istanza di trattazione entro 40 giorni, il processo si estingue. Questo meccanismo, introdotto dalla riforma Cartabia, mira a scoraggiare i ricorsi dilatori: se la parte insiste nonostante la proposta di rigetto e poi perde, rischia anche una condanna aggravata ex art. 96 c.p.c. (lite temeraria) qualora la proposta fosse chiara e motivata. Per questo, se si riceve una proposta di inammissibilità, è bene valutare seriamente – col proprio avvocato – la fondatezza residua del ricorso prima di insistere.
  • Fissazione dell’udienza (o adunanza) e decisione: Se il ricorso supera il filtro iniziale, viene fissata la trattazione. La regola generale (modificata nel 2022) è che tutti i ricorsi siano decisi in camera di consiglio non partecipata, salvo che una parte faccia tempestiva richiesta di discussione orale (entro 25 giorni prima dell’adunanza) e la Corte la ritenga opportuna, oppure che il Collegio disponga d’ufficio la trattazione in pubblica udienza per cause di particolare rilevanza (art. 375 c.p.c. come modificato). Nel settore tributario, le cause vengono in prevalenza decise in camera di consiglio. Ciò significa che, alla data fissata, il Collegio (tipicamente tre o cinque magistrati a seconda se sezione semplice o Sezioni Unite) deciderà sul ricorso sulla base degli atti e delle memorie. Le parti possono depositare memorie illustrative (facoltative) fino a 5 giorni prima della camera di consiglio (art. 380-bis c.p.c.) per sintetizzare repliche o aggiornare la Corte su eventuali sopravvenienze giurisprudenziali. Se invece è disposta la pubblica udienza, vi sarà un’udienza formale innanzi al Collegio, nella quale i difensori possono discutere oralmente la causa, e dopo la quale i giudici decidono in camera di consiglio. La pubblica udienza è oggi riservata principalmente a casi complessi, a questioni di diritto nuove o di particolare importanza, o quando opportuno dare un segnale nomofilattico solenne. La riforma ha unificato i riti camerali, eliminando differenze tra camera ex art. 380-bis e 380-bis.1. In ogni caso, sia in camera di consiglio “filtro” che in decisione, viene redatta una ordinanza (se in camera) oppure una sentenza (se dopo pubblica udienza o se decide le Sezioni Unite) con cui la Corte di Cassazione statuisce sul ricorso.
  • Possibili esiti: La Corte potrà: dichiarare il ricorso inammissibile (ad esempio per vizi formali, tardività, mancanza dei requisiti di autosufficienza); dichiararlo improcedibile (ad es. se il ricorrente non ha depositato atti fondamentali come la sentenza impugnata notificata, rendendo impossibile procedere); rigettarlo nel merito (quando lo esamina e lo ritiene infondato); oppure accoglierlo in tutto o in parte. In caso di accoglimento, la sentenza impugnata viene cassata. Se l’accoglimento riguarda motivi tali da non richiedere ulteriori accertamenti (ad es. puro diritto e la causa è “matura”), la Cassazione può chiudere definitivamente la controversia (cassazione senza rinvio), emettendo essa stessa la decisione sul caso. Più spesso, invece, la Cassazione cassa con rinvio ad altro giudice: generalmente rinvia ad una Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado diversa (ad es. se la sentenza cassata era della CGT Lazio, rinvia ad altra sezione della CGT Lazio o ad altra CGT regionale, come stabilirà nell’ordinanza), oppure – se il motivo accolto è difetto di giurisdizione – rinvia al giudice ritenuto competente (es. Commissione diversa, TAR, ecc.). Il giudice di rinvio dovrà uniformarsi ai principi espressi dalla Cassazione sul punto di diritto accolto. In caso di rigetto del ricorso, la sentenza di merito impugnata diventa definitiva a tutti gli effetti (passa in giudicato) e, nel processo tributario, ciò significa che la pretesa fiscale ivi consacrata diviene definitivamente dovuta.
  • Strumenti post-sentenza: Avverso la decisione della Cassazione, di regola, non vi sono mezzi ordinari di impugnazione (non esiste un “quarto grado”). È tuttavia teoricamente ammesso proporre revocazione della sentenza di Cassazione per i motivi eccezionali di cui all’art. 391-bis c.p.c. (ad es. errore di fatto manifesto, o nei casi di sentenza “su documenti falsi” ecc. ex art. 395 n. 1, 2, 3, 6 c.p.c.). Si tratta di ipotesi estremamente residuali, che non costituiscono un ulteriore grado sul merito ma solo un correttivo per errori macroscopici o vizi formali gravissimi della pronuncia di Cassazione. Inoltre, in materia tributaria, se dopo la Cassazione con rinvio il nuovo giudice decide, le parti potrebbero tornare in Cassazione contro la sentenza di rinvio (c.d. ricorso di secondo grado in Cassazione). Infine, esiste l’eventualità – rarissima – del rinvio pregiudiziale alla Cassazione: dal 2023 i giudici di merito possono, se si presenta una questione di diritto nuova, complessa e di particolare importanza, sottoporla direttamente alla Cassazione perché si pronunci in via preventiva (art. 363-bis c.p.c.). Nel processo tributario questa novità non ha ancora avuto applicazioni note, ma è prevista.

Effetti del Ricorso sul Debito Tributario e Strumenti Cautelari

Una domanda cruciale per il contribuente soccombente in appello è: devo pagare le imposte mentre aspetto la Cassazione? Come già evidenziato, il ricorso per Cassazione non sospende di diritto l’esecutività della sentenza impugnata. Ciò va coordinato con la disciplina speciale del pagamento frazionato dei tributi in pendenza di giudizio (art. 68 D.Lgs. 546/92). In base a tale disciplina:

  • Dopo la sentenza di primo grado sfavorevole, il contribuente deve versare, entro 60 giorni, un importo pari a 2/3 del tributo che rimane contestato (al netto di quanto eventualmente già pagato prima). Prima del 2023 si parlava di pagamento di 1/3 dopo l’atto impugnato e un ulteriore 1/3 dopo la CTP se il contribuente perdeva; con la riforma e le modifiche del 2015 rimane un meccanismo simile: in sostanza, dopo il primo grado, l’Erario può riscuotere fino a 2/3 del tributo. Le sanzioni amministrative diventano esigibili dopo almeno una sentenza sfavorevole.
  • Dopo la sentenza di secondo grado sfavorevole (cioè se il contribuente perde anche in appello), l’ammontare residuo del tributo diviene integralmente esigibile. In pratica l’Agenzia Entrate-Riscossione può procedere per riscuotere il saldo rimanente (fino al 100% del dovuto) sulla base della sentenza di secondo grado. Dunque, salvo interventi sospensivi, dopo la CTR il contribuente dovrebbe pagare tutto quanto stabilito da quella sentenza, al netto di quanto già versato (tipicamente, avendo già pagato 2/3, dovrà aggiungere l’ultimo terzo e interessi).
  • Se però il contribuente propone ricorso per Cassazione, è stata introdotta dal 2022 una facoltà prima non prevista in modo esplicito: egli può chiedere al giudice di appello (la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado che ha emesso la sentenza) di sospendere in via cautelare l’esecutività di quella sentenza. Il nuovo art. 62-bis D.Lgs. 546/92 prevede infatti che la parte che ha proposto ricorso per Cassazione può chiedere alla stessa Corte di secondo grado di sospendere, in tutto o in parte, l’efficacia esecutiva della sua sentenza, qualora dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irreparabile e il ricorso appaia supportato da fondati motivi. Questa è una novità fondamentale: prima del 2022 non esisteva un analogo potere di sospensione dopo l’appello (ci si affidava solo alla “cautela” dell’ente impositore o a sporadiche pronunce creative). Ora invece è codificata la tutela cautelare in pendenza di Cassazione, col vantaggio di evitare che il contribuente sia costretto a pagare tutto per poi magari vedersi dare ragione dopo anni (quando sarebbe difficile riavere indietro il denaro). In pratica, bisogna presentare un’istanza motivata di sospensione alla Corte di Giustizia Tributaria che ha emesso la sentenza impugnata, la quale fisserà la trattazione (entro 30 giorni) e deciderà con ordinanza motivata. Se sussiste sia il pericolo di un danno grave (ad es. rischio di fallimento dell’azienda, o di perdita della casa) sia un fumus boni iuris (motivi di ricorso non pretestuosi), la Corte potrà sospendere l’esecutività della propria sentenza fino all’esito del giudizio di Cassazione, eventualmente condizionando la sospensione a una garanzia (cauzione, polizza fideiussoria) o al pagamento di una parte delle somme. Ad esempio, Tizio è condannato in appello a pagare €100.000; propone ricorso in Cassazione e contestualmente chiede alla CGT regionale di sospendere la sua sentenza, dimostrando che pagare ora €100.000 gli causerebbe la chiusura dell’attività. La Corte potrebbe concedere la sospensione totale, oppure parziale (es. Tizio paga intanto €30.000 e per il resto attende). Se la sospensione viene negata, oppure se il contribuente non la chiede, l’Agenzia può legittimamente procedere alla riscossione di tutto il dovuto, pur con la possibilità di doverlo restituire in caso di successiva vittoria del contribuente in Cassazione.
  • Situazioni particolari dopo la Cassazione: Se la Cassazione cassa con rinvio, la causa torna ad un giudice di merito e nel frattempo cosa accade alle somme? L’art. 68 cit. (come modificato dal D.Lgs. 156/2015) prevede che, se la sentenza di secondo grado viene cassata e la causa è rinviata, permane l’obbligo di versare l’importo che risultava dovuto pendente il giudizio di primo grado. In altri termini, si torna alla situazione di provvisoria esecutorietà dopo la CTP: se il contribuente aveva perso in primo grado, deve aver versato (o deve versare ora) fino a 2/3; se in primo grado aveva vinto, non deve pagare nulla fino all’esito del nuovo giudizio di rinvio. Ad esempio: in primo grado contribuente perde (€90.000 di tributo, versa 2/3 = €60.000), in secondo grado vince (annulla tutto, gli avrebbero dovuto restituire i €60.000) ma la Cassazione annulla quella vittoria e rinvia – si torna allo scenario post-primo grado, cioè i €60.000 restano dovuti (e se gli erano stati restituiti, l’ufficio li richiederà di nuovo); solo dopo il nuovo giudizio si saprà il destino definitivo. Se poi, dopo la cassazione con rinvio, il contribuente non riassume la causa entro il termine (oggi 6 mesi), la controversia si estingue e l’atto originario diventa definitivo: in tal caso scatta l’obbligo di pagare tutto l’importo inizialmente contestato (è come se il contribuente avesse rinunciato, e il debito fiscale torna pienamente dovuto).
  • Se la Cassazione rigetta il ricorso del contribuente, la partita si chiude: la sentenza di appello sfavorevole diventa definitiva e l’ente potrà riscuotere o trattenere tutte le somme risultanti (in realtà, come visto, le aveva già pretese quasi interamente: in genere restano solo eventuali interessi di mora maturati nel frattempo). Se invece la Cassazione accoglie il ricorso del contribuente senza rinvio – ad esempio dichiarando illegittimo l’atto impositivo – allora il contribuente risulta vittorioso in via definitiva e ha diritto alla restituzione di tutti i pagamenti eseguiti in corso di causa, con interessi, oltre all’annullamento delle sanzioni amministrative eventualmente pagate.
  • Definizione agevolata delle liti pendenti: Un ultimo aspetto da considerare, dal punto di vista del debitore, è la possibilità di chiudere anticipatamente la controversia fiscale in Cassazione attraverso misure straordinarie di definizione agevolata previste dal legislatore. Negli ultimi anni, infatti, vi sono stati provvedimenti di “pace fiscale” che consentivano ai contribuenti di definire le liti tributarie pendenti versando un importo ridotto. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha introdotto la definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti al 1° gennaio 2023 contro l’Agenzia delle Entrate, con pagamento di percentuali variabili a seconda degli esiti nei gradi precedenti (es. 5% se il contribuente aveva già vinto nei primi due gradi, 20% se aveva vinto in uno e perso in un altro, 100% se aveva perso in entrambi). Anche la L. 130/2022 (riforma processo tributario) all’art. 5 prevedeva la possibilità di definire le liti pendenti in Cassazione con il pagamento di un importo ridotto. Queste finestre di condono liti sono a tempo: ad esempio, quella del 2023 richiedeva domanda entro il 30/6/2023. Dunque, un contribuente che perde in appello deve stare attento se il legislatore apre uno “scivolo” per chiudere la lite pagando meno (anziché affrontare la Cassazione incerta e costosa). In questa ottica, chi ha perso in tutti i gradi otterrà sconti modesti (paga quasi intero il tributo, risparmiando però sanzioni e interessi futuri), mentre chi ha avuto esiti alterni può risparmiare somme significative definendo la lite. Ad esempio, se la controversia è di €50.000 e il contribuente ha perso in CTP ma vinto in CTR, potrebbe definire pagando il 40% del valore (supponiamo) invece di rischiare Cassazione. Insomma, vale la pena informarsi sulle eventuali misure agevolative vigenti all’atto di valutare il ricorso per Cassazione, poiché potrebbero offrire una soluzione più conveniente e immediata.
  • Rateizzazione del debito: se il debito emerge come dovuto (perché non sospeso né definito), il contribuente può comunque chiedere la rateizzazione delle somme iscritte a ruolo secondo le regole ordinarie (attualmente, fino a 72 rate mensili o 120 in casi di grave difficoltà, con soglie di importo che nel 2023 sono state elevate). La pendenza del ricorso per Cassazione non preclude la dilazione, anzi spesso chi ricorre e deve pagare lo fa rateizzando per attenuare l’impatto finanziario in attesa dell’esito. Va ricordato però che chiedere la rateizzazione implica la rinuncia a eccepire eventuali vizi di notifica della cartella e comporta l’obbligo di pagare tutte le rate per evitare decadenza.

In sintesi, dal punto di vista del debitore: fare ricorso per Cassazione non sospende automaticamente la riscossione, ma si può chiedere al giudice tributario di secondo grado la sospensione (introdotta dal 2022) in caso di grave danno. In mancanza di sospensione, bisogna pagare – almeno a titolo provvisorio – quanto dovuto in base alla sentenza sfavorevole. Tuttavia, se poi la Cassazione dà ragione al contribuente, questi avrà diritto al rimborso con interessi di quanto versato in più. Nel frattempo, è possibile rateizzare il debito per alleggerire il carico e valutare se aderire a eventuali sanatorie fiscali per chiudere la lite. Chi ricorre deve anche mettere in conto che se il ricorso verrà rigettato o dichiarato inammissibile, oltre a dover pagare il tributo, potrà essere condannato alle spese legali a favore dell’Agenzia (solitamente qualche migliaio di euro, in base al valore della causa) e subirà l’applicazione del “doppio contributo unificato”: infatti la legge prevede che, quando la Cassazione rigetta integralmente o dichiara inammissibile/improcedibile il ricorso, il ricorrente soccombente debba versare un importo aggiuntivo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso. Ciò significa, ad esempio, che se si era pagato €3.000 di contributo unificato per proporre il ricorso (importo non insolito per liti di medio-alto valore, dato che in Cassazione il contributo è doppio rispetto all’appello), in caso di esito sfavorevole definitivo si dovranno pagare altri €3.000 allo Stato a titolo di sanzione, oltre a perdere quello già versato. Questa regola è un forte deterrente contro i ricorsi pretestuosi o dilatori.

Domande Frequenti (FAQ)

Domanda: Cos’è, in breve, un ricorso per Cassazione nel processo tributario? Chi lo decide e cosa può ottenere il contribuente?
Risposta: È l’impugnazione rivolta alla Corte di Cassazione contro la sentenza di secondo grado resa dalla Corte di Giustizia Tributaria regionale (ex CTR). Si tratta di un giudizio di legittimità: la Cassazione (Sezione V – Tributaria, o Sezioni Unite in casi particolari) controlla solo che la sentenza non abbia violato la legge o commesso vizi gravi di procedimento, senza rimettere in discussione i fatti accertati. Se accoglie il ricorso, la Cassazione cassa (annulla) la sentenza impugnata. Nella maggior parte dei casi invia il caso a un giudice di merito per un nuovo esame conforme ai principi di diritto stabiliti (cosiddetta cassazione con rinvio). In rari casi può decidere definitivamente la causa se non servono ulteriori accertamenti (cassazione senza rinvio). Se invece respinge il ricorso, la sentenza di appello diventa definitiva e il debito fiscale ivi stabilito è dovuto in via definitiva. In sostanza, per il contribuente il ricorso per Cassazione è un ultimo tentativo di far valere errori di diritto commessi a suo danno e ottenere così un nuovo giudizio (o direttamente l’annullamento del tributo, se possibile). Va però usato solo quando vi siano effettivi motivi giuridici validi, poiché non può ottenere un riesame del merito.

Domanda: Quali sono i motivi validi per proporre ricorso per Cassazione? Posso lamentare che la Commissione ha valutato male le prove o non ha creduto ai miei testimoni?
Risposta: No, non si possono impugnare questioni di mero fatto o di valutazione delle prove. I motivi validi sono solo quelli previsti dall’art. 360 c.p.c. e riguardano errori giuridici. In particolare, nel tributario tipicamente: violazione di legge (il giudice ha applicato male una norma tributaria o civile rilevante, oppure ha ignorato una norma applicabile); nullità del procedimento o della sentenza (es. omessa pronuncia su un motivo di appello, violazione del contraddittorio, motivazione inesistente equivalenti a nullità); omesso esame di un fatto decisivo che era stato discusso (il giudice ha completamente ignorato un fatto specifico che poteva cambiare l’esito). Non è ammesso invece lamentare che “la sentenza è ingiusta” nel merito o che “i giudici non hanno dato peso a una testimonianza”: questo purtroppo rientra nel potere di apprezzamento del giudice di merito e non può essere rivisto in Cassazione. L’unico spiraglio in casi simili è se davvero un elemento decisivo è stato totalmente trascurato (omesso esame) o se la motivazione su un punto cruciale manca del tutto. Quindi i motivi vanno calibrati su errori di diritto o nullità, non su un semplice dissenso valutativo sul fatto.

Domanda: Entro quanto tempo si deve fare ricorso per Cassazione e da quando decorre il termine?
Risposta: Il termine ordinario è di 60 giorni dalla notificazione della sentenza di secondo grado (art. 51 D.Lgs. 546/92). Se però la sentenza non viene notificata da nessuna delle parti, vale il cosiddetto termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione (deposito) della sentenza stessa, prorogato di 46 giorni nel periodo feriale (1° agosto – 15 settembre, salvo future modifiche di legge). Attenzione: “deposito della sentenza” significa la data in cui la sentenza completa di motivazione è resa disponibile dalla segreteria, non la data in cui eventualmente il collegio ha letto il dispositivo in udienza. Dunque, se ricevo la notifica della sentenza CTR il 10 ottobre, ho 60 giorni da quella data (circa fino al 9 dicembre) per notificare il ricorso per Cassazione. Se invece nessuno me la notifica, posso fare ricorso entro 6 mesi dal deposito (ad es. sentenza depositata il 20 settembre, termine lungo scade il 20 marzo successivo, prorogato al 6 maggio circa includendo la sospensione feriale). In ogni caso, una volta notificato il ricorso, occorre depositarlo in Cassazione entro 20 giorni dall’ultima notifica. Il rispetto dei termini è essenziale: un ricorso tardivo è inammissibile senza appello.

Domanda: Serve un avvocato particolare per fare il ricorso? Posso farlo da solo?
Risposta: È richiesta assistenza tecnica qualificata: il ricorso va sottoscritto da un avvocato abilitato al patrocinio in Cassazione (iscritto nell’albo speciale Cassazionisti). Non è ammesso il fai-da-te del contribuente, nemmeno se si tratta di un commercialista o altro professionista esperto (i non avvocati non possono patrocinare in Cassazione). L’unica eccezione è il caso di autodifesa per le cause di modico valore, ma nel processo tributario attualmente è consentita solo in primo e secondo grado per controversie sotto €3.000 (art. 12, c.5 D.Lgs. 546/92) – in Cassazione, anche per queste cause, si ritiene necessaria la difesa tecnica di un avvocato cassazionista. Quindi di fatto occorre incaricare un avvocato iscritto all’albo delle giurisdizioni superiori. La procura va rilasciata specificamente per il ricorso per Cassazione, datata dopo la sentenza impugnata, e va allegata all’atto.

Domanda: Come si propone materialmente il ricorso? Cosa devo fare per presentarlo correttamente?
Risposta: Bisogna redigere il ricorso in osservanza dei requisiti di forma (indicazione delle parti, della sentenza impugnata, sommaria esposizione dei fatti, motivi per cui si chiede la cassazione, indicazione specifica di atti/documenti pertinenti, conclusioni con richiesta di decisione, firma e procura). Il tuo avvocato si occuperà di questo. Una volta pronto, il ricorso va notificato alla controparte (di solito tramite PEC all’indirizzo del suo difensore costituito o dell’Avvocatura dello Stato competente) entro i termini. Possono essere necessarie più notifiche se le controparti sono più d’una (es. Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione, se erano entrambe parti). Dopo la notifica, occorre depositare il ricorso in Cassazione entro 20 giorni, attraverso il deposito telematico sul Portale della Giustizia (nel 2025 è obbligatorio il telematico). Al deposito vanno allegate: copie della sentenza impugnata (meglio se con relata di notifica se fu notificata, per provare la tempestività del ricorso), la procura alle liti, e gli altri documenti richiamati nei motivi di ricorso (ad esempio, se citi nel ricorso un particolare documento prodotto nei gradi di merito, devi allegarlo in un fascicolo separato ex art. 369 c.p.c.). Inoltre, devi pagare il contributo unificato previsto per il ricorso (tramite F23/F24 o piattaforma elettronica). Solo dopo il deposito si considera instaurato ufficialmente il giudizio in Cassazione.

Domanda: Quanto costa il ricorso per Cassazione (contributo unificato) per le cause tributarie?
Risposta: Il contributo unificato in materia tributaria dipende dal valore della controversia, secondo scaglioni fissati dal DPR 115/2002 (Testo spese di giustizia) specifici per le liti tributarie. Ad esempio (valori indicativi aggiornati al 2025): per controversie fino a circa €3.000 il contributo è €30; da €3.001 a €6.000 è €60; fino a €15.000 circa è €120; fino a €30.000 è €250; fino a €60.000 è €500; oltre €60.000 sale a €1.500; oltre €200.000 raggiunge €3.000 (questi importi includono già il raddoppio introdotto in Cassazione). Attenzione: per il giudizio di Cassazione il contributo unificato è doppio rispetto a quello del grado precedente. Quindi, ad esempio, se in appello avevi pagato €500 di contributo, per il ricorso in Cassazione ne dovrai pagare €1.000. Se la causa vale più di €200.000, il contributo sale a €3.000 (essendo doppio di €1.500 previsto per l’appello in quello scaglione). Inoltre, come detto, se perdi il ricorso, la Corte può disporre la corresponsione di un ulteriore importo pari al contributo versato, a titolo di sanzione (c.d. “doppio contributo”). Naturalmente, a questi costi vanno aggiunti gli onorari dell’avvocato per la predisposizione del ricorso e l’eventuale difesa in Cassazione, e le spese vive (esigue in verità in Cassazione, trattandosi di notifiche a mezzo PEC e contributo già menzionato). Se la causa viene vinta, generalmente la controparte (il Fisco) viene condannata a rifondere le spese legali e il contributo unificato pagato dal contribuente; se invece viene persa, può esserci la condanna del contribuente alle spese in favore dell’ente (di solito liquidate secondo parametri forensi).

Domanda: Quanto tempo ci vuole per avere una decisione dalla Cassazione?
Risposta: I tempi possono variare. Storicamente i ricorsi tributari in Cassazione impiegavano anche 2–3 anni prima di essere decisi. Negli ultimi tempi, grazie anche ai meccanismi di filtro e alla trattazione in camera di consiglio, molti ricorsi vengono decisi in circa 1 anno – 1 anno e mezzo dal deposito. Tuttavia, ricorsi più complessi che vanno a pubblica udienza o alle Sezioni Unite possono richiedere più tempo (anche 2 anni o più). In media comunque, nel 2025 la pendenza media dei ricorsi tributari è intorno ai 12-18 mesi. Va considerato che se la Cassazione cassa con rinvio, bisognerà attendere poi il nuovo giudizio di merito e quella sentenza potrà essere a sua volta oggetto di ricorso: quindi il percorso completo potrebbe allungarsi. Se invece la Cassazione definisce tutto (rigetto o accoglimento definitivo), la vicenda processuale termina con la pubblicazione dell’ordinanza/sentenza di Cassazione. La pubblicazione avviene di solito qualche settimana dopo la camera di consiglio o l’udienza. Quindi in definitiva: almeno un anno è da mettere in conto per la pronuncia, ma può essere di più a seconda dei casi. Nel frattempo, come visto, salvo sospensione l’ente può procedere a riscuotere le somme.

Domanda: Cosa succede se vinco il ricorso per Cassazione? Recupero i soldi che ho pagato nel frattempo?
Risposta: Se la Cassazione accoglie il tuo ricorso e, ad esempio, annulla l’atto impositivo (o porta comunque a rideterminare il dovuto in tuo favore), hai diritto alla restituzione di quanto pagato in eccedenza. Ad esempio, se dopo il primo grado avevi versato 2/3 del tributo e poi la Cassazione ti dà ragione eliminando la pretesa, l’Agenzia dovrà rimborsarti quei soldi, con gli interessi legali maturati. Occorre in genere presentare un’istanza di rimborso all’ufficio locale allegando la sentenza di Cassazione definitiva, e l’Erario provvederà (spesso non immediatamente, ma nel giro di mesi). Se invece la Cassazione cassa con rinvio, e nel frattempo tu avevi pagato in base alla sentenza d’appello poi annullata, la somma provvisoriamente rimane dovuta nei limiti della sentenza di primo grado (come spiegato, si torna alla situazione post-CTP). Quindi non ti rimborsano subito, ma dovrai aspettare l’esito del rinvio: se vincerai là, allora avrai diritto al rimborso, se perderai dovrai eventualmente pagare la differenza. In pratica, la Cassazione dà diritto a rimborso solo quando chiude definitivamente la lite a favore del contribuente. Ricorda anche che se c’è voluto un ricorso per Cassazione per farti dare ragione, spesso la pronuncia riconoscerà anche il tuo diritto alle spese legali: l’ente sarà condannato a rifonderti le spese di tutti i gradi o di quelli in cui eri rimasto soccombente (salvo compensazioni decise caso per caso). Dunque, oltre ai tributi, potrai recuperare i costi sostenuti (contributo unificato, parcelle, ecc.) nei limiti di quanto liquidato dal giudice.

Domanda: Se perdo in Cassazione, c’è qualcos’altro che posso fare?
Risposta: In linea di massima no, la Cassazione è il capolinea del contenzioso tributario ordinario. Se il tuo ricorso viene rigettato o dichiarato inammissibile, la sentenza sfavorevole diviene definitiva e il debito fiscale è ormai confermato. Non ci sono ulteriori appelli. Le uniche possibilità, molto teoriche, sono: (a) chiedere la revocazione della sentenza di Cassazione se ritieni che sia affetta da un errore di fatto evidente (ad esempio, la Cassazione ha basato la decisione su un documento che in realtà non esiste o non riguarda la causa) oppure se dopo la sentenza si è scoperto un documento decisivo prima ignoto, ecc. Si tratta di ipotesi rarissime e difficili, regolamentate dall’art. 391-bis c.p.c., con termine 30 giorni dalla scoperta dell’errore. (b) Ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – solo se ritieni che nel procedimento siano stati violati i tuoi diritti fondamentali (ad es. non hai avuto un equo processo, violazione dell’art. 6 CEDU). Ma la Corte EDU non è un quarto grado di merito: può solo eventualmente condannare lo Stato a un indennizzo per violazione di diritti, non annulla la cartella. (c) Transazione fiscale o procedure da sovraindebitamento – se il debito fiscale è enorme e tu sei in dissesto, potresti valutare strumenti come un piano di ristrutturazione del debito o accordo col Fisco in sede concorsuale. Ma sono al di fuori del processo tributario. In pratica, se perdi in Cassazione, l’unica cosa da fare è prendere atto del giudicato e provvedere al pagamento (o completare eventuali rate in corso). Vale la pena ricordare che, a volte, lo Stato indice sanatorie di cartelle esattoriali (rottamazioni) o saldo e stralcio di ruoli: se hai ancora debiti residui potresti sfruttare questi strumenti, ma riguardano la riscossione, non l’ulteriore contestazione della pretesa. In definitiva, la migliore strategia se si rischia di perdere in Cassazione è prevenire: magari valutare prima una definizione agevolata o un accordo transattivo se disponibili, perché dopo sarà troppo tardi.

Domanda: Quali sono le novità più recenti nella procedura di Cassazione tributaria di cui dovrei essere a conoscenza nel 2025?
Risposta: Riassumiamo i punti chiave delle riforme 2022–2023 che toccano il giudizio di Cassazione in materia tributaria:

  • È stata istituita una Sezione Tributaria dedicata in Cassazione (anche se di fatto la Sez. V già lo era, ora è consolidata per trattare le liti fiscali).
  • Il Processo Civile Telematico è divenuto obbligatorio anche in Cassazione: ricorsi, controricorsi e memorie si depositano online; ciò comporta attenzione a firmare digitalmente gli atti e a notificare via PEC correttamente.
  • Il nuovo art. 366 c.p.c. impone ricorsi più brevi e chiari, con esposizione dei fatti essenziali e motivi ben circoscritti. Non è più tollerata la prolissità: c’è anche un Protocollo Cassazione 2023 che fornisce linee guida su lunghezza e struttura degli atti (indicativamente un ricorso tributario dovrebbe stare entro 30 pagine, salvo casi eccezionali, e usare un linguaggio sintetico).
  • Il principio di autosufficienza del ricorso è stato mitigato nei suoi eccessi: la Cassazione e il Protocollo 2023, in ossequio alla CEDU, riconoscono che non serve copiare ogni documento, ma devi comunque indicare con precisione gli elementi su cui ti basi. Si tende a evitare formalismi eccessivi che comprimano il diritto di difesa, ma resta che un ricorso generico o incomprensibile sarà dichiarato inammissibile.
  • È stato introdotto l’art. 62-bis D.Lgs. 546/92, che – come spiegato – consente la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata in Cassazione, colmando un vuoto storico. Questo dà più protezione al contribuente in buona fede che ha un ricorso credibile ma rischia il dissesto pagando subito.
  • La L. 130/2022 ha previsto (art. 5) la definizione agevolata delle liti pendenti in Cassazione al 15 luglio 2022: i contribuenti potevano chiudere pagando dal 5% al 20% se avevano avuto almeno una vittoria in merito. Questa misura, scaduta, fa parte delle varie “pacificazioni” fiscali recenti. La L. 197/2022 (Bilancio 2023) ne ha introdotta un’altra per le liti pendenti al 1/1/2023, con termini scaduti a giugno 2023. Bisogna tenere d’occhio se nel 2024–2025 ne verranno varate altre (al luglio 2025 non risultano nuove liti pendenti definizioni, ma mai dire mai).
  • La Corte Costituzionale con sentenza n. 36/2025 è intervenuta su un aspetto del processo tributario di merito (produzione di nuovi documenti in appello), dichiarando illegittima una restrizione introdotta nel 2022. Questo riguarda l’appello, ma indirettamente interessa il contribuente perché ripristina maggiori facoltà difensive in secondo grado – il che potrebbe riflettersi in meno errori da correggere in Cassazione.
  • Infine, la riforma ha previsto (ancora non attuato pienamente) la creazione di un Testo Unico della Giustizia Tributaria e ulteriori interventi di digitalizzazione e professionalizzazione dei giudici tributari. Al luglio 2025 il nuovo “Codice di giustizia tributaria” è ancora in forma di D.Lgs. 546/92 novellato, ma si parla di raccogliere tutto in un TU. Ad ogni modo, dal 2023 i giudici tributari di merito sono a tempo pieno e reclutati tramite concorso, il che nel medio termine dovrebbe aumentare la qualità delle sentenze di merito e (si spera) ridurre il contenzioso in Cassazione.

In sintesi, il ricorso per Cassazione nel 2025 è uno strumento ancor più tecnico e “filtro” di prima: occorre rispettare requisiti formali stringenti e focalizzarsi su autentici errori di diritto. Il contribuente deve esserne consapevole e affidarsi a professionisti competenti. D’altra parte, ci sono nuove tutele (sospensione 62-bis) e opportunità di chiusura anticipata (definizioni agevolate) che prima non c’erano. Il panorama è quindi più complesso ma anche più garantista per chi ha ragione. Nel prossimo capitolo presentiamo due casi pratici simulati – uno di un privato e uno di un’impresa – per illustrare come questi principi si applicano nella realtà.

Simulazioni Pratiche

Simulazione 1 – Il caso di Mario (contribuente privato)
Situazione: Mario, persona fisica, riceve un avviso di accertamento per IRPEF 2018 in cui l’Agenzia delle Entrate contesta redditi non dichiarati per €50.000 (derivanti da alcune vendite online che il Fisco ritiene attività abituale d’impresa). Mario impugna l’avviso sostenendo che non era un’attività d’impresa ma vendite occasionali di beni propri. In primo grado la Corte di Giustizia Tributaria (CGT) provinciale gli dà torto: considera le vendite come reddito d’impresa, tassabile. Mario fa appello e in secondo grado la CGT regionale conferma la decisione, ritenendo le prove di Mario insufficienti. A questo punto Mario, avendo perso su tutta la linea, chiede al suo avvocato tributarista se abbia senso ricorrere in Cassazione.
Valutazione: L’avvocato spiega a Mario che la questione è fortemente di merito: i giudici di merito hanno qualificato le sue vendite online come attività d’impresa (quindi reddito tassabile). Hanno basato la decisione su fatti: numero di transazioni, continuità, ecc. Mario vorrebbe obiettare che hanno “valutato male” la sua situazione, ma in Cassazione non si può ridiscutere la valutazione dei fatti. Bisogna individuare un eventuale errore di diritto commesso dalla CTR. L’avvocato esamina la sentenza di appello e nota che, effettivamente, la CTR ha citato male una norma: ha richiamato l’art. 55 TUIR (redditi d’impresa) ma ha ignorato l’art. 67, comma 1, lett. i) TUIR, che prevede che le attività commerciali occasionali producono redditi diversi (non d’impresa). Se la CTR avesse qualificato le vendite come occasionali, la tassazione sarebbe stata diversa (forse nulla, dati i limiti). Tuttavia, la qualificazione come “occasionale” o “abituale” è un giudizio di fatto, insindacabile salvo motivazione illogica. La motivazione c’è, anche se stringata, e non appare inesistente. L’avvocato dice a Mario che non vede forti motivi di legittimità: la CTR non pare aver violato legge, semmai ha interpretato i fatti contro di lui. L’unico appiglio è lamentare l’omesso esame di un fatto: Mario aveva prodotto i suoi feedback di vendita che mostravano intervalli lunghi tra una vendita e l’altra, ma la CTR non li menziona affatto. Potrebbe quindi dedurre un ricorso ex art. 360 n.5 c.p.c. per omesso esame del fatto che le transazioni erano sporadiche (fatto decisivo, a suo dire). È un motivo borderline, perché la CTR implicitamente potrebbe aver valutato la frequenza dalle prove dell’ufficio. Comunque, si può tentare. Mario chiede i rischi: l’avvocato lo avverte che, essendo soccombente in entrambi i gradi, il contributo unificato per Cassazione sarà elevato (€1.500) e che se perde pagherà probabilmente altre €3.000 di spese all’Agenzia, più il raddoppio del contributo (altri €1.500). Mario ha però un grosso problema: la CTR gli ha addebitato imposte per €20.000 più sanzioni €6.000 e interessi. Dopo la sentenza, è arrivata una cartella di pagamento per circa €28.000 (essendo due terzi del totale, perché sul resto c’è sospensione sanzioni fino a Cassazione). Mario non ha liquidità per pagare e teme pignoramenti. L’avvocato gli consiglia subito di chiedere una rateizzazione della cartella (72 rate) per evitare aggressioni. Inoltre, propone di presentare un’istanza di sospensione ex art. 62-bis alla CGT regionale: Mario è un lavoratore dipendente, dover pagare €28.000 subito gli sarebbe impossibile se non vendendo la casa. Argomentano il grave danno e depositano istanza di sospensione entro 30 giorni dalla notifica della cartella. La CGT regionale, sentite le parti, accoglie la sospensione: in considerazione dell’importo elevato rispetto al reddito di Mario e del fatto che si prospetta un motivo di ricorso non pretestuoso (omesso esame di un fatto), sospende l’esecutività della sentenza fino all’esito della Cassazione. Ciò significa che Mario, momentaneamente, non deve più pagare le rate (oltre a quelle eventualmente versate) e l’Agenzia non può procedere a fermo amministrativo o ipoteca.
Esito: L’avvocato predispone il ricorso, articolando un motivo principale: violazione di legge in combinato disposto con vizio motivazionale, sostenendo che la CTR ha qualificato come impresa ciò che per legge andava qualificato come reddito diverso occasionale, e in subordine ha omesso di considerare la “occasionalità” come fatto decisivo (provata dall’esiguo numero di vendite). Cerca di rispettare l’autosufficienza, trascrivendo nel ricorso i dati salienti (numero vendite/anno, copie dei documenti prodotti). Dopo circa 14 mesi, la Cassazione decide in camera di consiglio: purtroppo per Mario, rigetta il ricorso ritenendo che la CTR abbia fatto un apprezzamento di fatto insindacabile e che il motivo sul fatto decisivo sia infondato (le vendite erano comunque 50 in un anno, abbastanza per abitualità). La Cassazione rigetta dunque il ricorso di Mario. La sospensione accordata viene meno (non appena depositata l’ordinanza di Cassazione). Mario deve quindi saldare il debito: fortunatamente, la rateizzazione ottenuta riprende efficacia, quindi continuerà a pagare a rate, ma ora senza speranza di ulteriori riduzioni. Inoltre, la Cassazione lo condanna a rifondere €2.500 di spese all’Agenzia e dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, il che significa che Mario perde anche i €1.500 di contributo versato all’inizio e deve versarne altri €1.500 allo Stato. In definitiva Mario, purtroppo, ha perso la sua battaglia. L’avvocato osserva che forse sarebbe stato meglio valutare una definizione agevolata se fosse stata disponibile: nel suo caso, avendo perso nei due gradi, avrebbe pagato il 90% del tributo e intere sanzioni, non un grande sconto. Forse non c’era molto da fare. Mario incassa la sconfitta e completa il pagamento delle somme dovute secondo il piano rateale, evitando conseguenze più gravi. La sua esperienza evidenzia che la Cassazione non è una panacea e che se le chance di vittoria sul diritto sono scarse, conviene talvolta accettare la sconfitta o cercare un compromesso (rate, saldo parziale) invece di prolungare il contenzioso.

Simulazione 2 – Il caso di Alfa S.r.l. (società e impresa)
Situazione: Alfa S.r.l. è una piccola società di servizi informatici. Nel 2017 ha subito una verifica fiscale e nel 2019 ha ricevuto un avviso di accertamento per IVA, IRES e IRAP, con contestazione di ricavi non dichiarati per €200.000 mediante fatture per operazioni inesistenti. Alfa S.r.l. ha fatto ricorso, sostenendo che le fatture erano invece valide, e in primo grado ha parzialmente vinto: la CGT provinciale ha riconosciuto valide metà delle fatture, riducendo del 50% la pretesa. In appello, però, la CGT regionale ha ribaltato a sfavore di Alfa: ha ritenuto valide tutte le contestazioni dell’Ufficio, praticamente ripristinando l’accertamento integrale (ricavi non dichiarati per €200.000). Questa sentenza di secondo grado viene depositata a novembre 2022. La società Alfa, a questo punto debitrice di circa €80.000 tra imposte, sanzioni e interessi (dopo aver già versato 1/3 dopo il primo grado perso parzialmente), decide con il suo legale tributario di ricorrere in Cassazione.
Valutazione: L’avvocato di Alfa S.r.l. individua alcuni possibili motivi di diritto contro la sentenza di appello: in particolare, la CGT regionale ha motivato in modo contraddittorio su un punto – da un lato afferma che Alfa non ha provato l’effettività di certe operazioni, ma dall’altro lato riconosce che c’erano documenti bancari che le provano, senza però spiegare perché li ritiene non sufficienti. Questa potrebbe essere una motivazione apparente o insufficiente. Inoltre, la società ha eccepito in appello un vizio di notifica dell’atto presupposto (un avviso bonario mai ricevuto), e la CTR non si è pronunciata affatto su questa eccezione processuale. Ciò configura un’omessa pronuncia (motivo di nullità ex art. 360 n.4). Infine, l’avvocato nota che la CTR ha invertito l’onere della prova: ha richiesto ad Alfa di provare l’infondatezza dell’accertamento, mentre in tema di fatture false l’onere spetta al Fisco provare la frode. Questo potrebbe costituire violazione di legge (violazione degli artt. 2697 c.c. e 54 DPR 633/72). Quindi i motivi ipotizzabili sono: (1) omessa pronuncia sull’eccezione di nullità (vizio processuale); (2) violazione di norme sull’onere della prova; (3) motivazione nulla/contraddittoria (in sostanza, error in procedendo). Sembrano motivi abbastanza robusti.
Azione: Nel frattempo, essendo Alfa S.r.l. una società con attività in corso, pagare subito l’importo dopo l’appello sarebbe molto penalizzante per la liquidità (80k euro). D’accordo col legale, Alfa decide di presentare istanza di sospensione ex art. 62-bis alla stessa CGT regionale che ha emesso la sentenza. Si argomenta il danno grave: pagare 80k toglierebbe risorse necessarie a pagare fornitori e stipendi, mettendo a rischio l’azienda. Si sottolinea che la società ha già dato garanzie (è in rateizzazione per la parte dovuta dopo il primo grado, puntualmente pagata) e che il ricorso per Cassazione presenta motivi seri (elencandoli sommariamente). La CGT regionale esamina l’istanza e concede la sospensione parziale: decide che Alfa debba versare intanto metà del dovuto (40k) e sospende l’esecutività per l’eccedenza, in attesa della Cassazione, considerando che un minimo di pretesa va comunque garantito ma riconoscendo il potenziale fondamento di alcuni motivi di ricorso. Alfa versa quei 40k (attingendo a un fido bancario) e ottiene così di congelare il resto.
Ricorso: L’avvocato di Alfa predispone il ricorso per Cassazione con tre motivi dettagliati, citando giurisprudenza di legittimità a supporto: per l’omessa pronuncia richiama Cass. n. XXXX che conferma la nullità in casi simili; per l’onere della prova cita una sentenza di Cass. a Sezioni Unite sulle fatture soggettivamente inesistenti; per la motivazione contraddittoria enfatizza che non si comprende il perché la CTR abbia ignorato le prove bancarie. Il ricorso, lungo 25 pagine, rispetta i canoni di chiarezza (ha paragrafi separati per ogni motivo, con chiari riferimenti agli atti: trascrive il brano della sentenza appellata dove manca la decisione sull’eccezione, ecc.). Viene notificato all’Agenzia delle Entrate (presso l’Avvocatura dello Stato) e all’Agenzia Entrate-Riscossione (che era intervenuta per la riscossione), e depositato regolarmente. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, mentre AER non si costituisce.
Esito: Dopo circa 1 anno e mezzo, la causa viene decisa in camera di consiglio. La Corte di Cassazione esamina i motivi: ritiene fondato il motivo di omessa pronuncia, in quanto la sentenza effettivamente non menziona l’eccezione di nullità sollevata dalla società (relativa all’avviso bonario) ed essa non è implícitamente rigettata altrove. Questo vizio di procedura è sufficiente per cassare la sentenza. La Cassazione accoglie anche (assorbito dal primo) il motivo sull’onere della prova, riconoscendo che la CTR ha impostato male il quadro giuridico. Dichiara invece assorbito quello sulla motivazione. In definitiva, la Corte emette un’ordinanza con cui cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio ad un’altra sezione della CGT di secondo grado (di una regione vicina, per evitare gli stessi giudici) per un nuovo esame. Inoltre, condanna l’Agenzia delle Entrate alle spese di Cassazione (€3.000) in favore di Alfa S.r.l., rilevando che il contribuente ha ragione almeno sui vizi processuali.
Dopo la Cassazione: Grazie a questa vittoria, Alfa S.r.l. torna in gioco: davanti alla nuova CGT di rinvio, potrà far valere di nuovo le sue ragioni sul merito (fatture), e stavolta con qualche carta in più: la Cassazione ha implicitamente affermato che l’onere della prova delle frodi spetta al Fisco e che va esaminata l’eccezione di nullità procedurale. Nel frattempo, la sospensione delle somme resta operativa fino alla decisione di rinvio (l’ordinanza di Cassazione mantiene la sospensione accordata, che tipicamente dura “fino al definitivo giudizio”). Inoltre, l’Ufficio dovrà rifondere le spese di legittimità e, se Alfa alla fine vincerà anche sul merito, dovrà restituire i 40k versati (o usarli in compensazione col dovuto finale se la pretesa verrà solo ridotta).
Analisi: Il caso di Alfa S.r.l. mostra un ricorso per Cassazione ben congegnato, focalizzato su errori di diritto concreti, che ha portato a un risultato utile: non la vittoria finale immediata (poiché c’è un rinvio) ma la rimozione di una sentenza ingiusta e l’apertura di un nuovo round dove le chances di difesa sono migliori. Si nota anche l’importanza della sospensione 62-bis: senza di essa, la società avrebbe dovuto sborsare subito 80k rischiando la crisi di liquidità; grazie alla sospensione, ha congelato metà importo. Per ottenere ciò, è stato cruciale dimostrare alla CGT appello la serietà dei motivi di ricorso (che infatti hanno convinto anche la Cassazione) e il rischio economico concreto. La cooperazione tra ricorso e misure cautelari è stata vincente. Infine, Alfa beneficia della condanna alle spese a suo favore: raramente succedeva in passato (spesso le spese erano compensate in Cassazione), ma la tendenza recente è far pagare le spese all’ente se ha costretto a un ricorso per un suo errore. Alfa dunque vede riconosciute le proprie ragioni e può confidare in una soluzione finale più equa.


Fonti (Normativa, Giurisprudenza e Approfondimenti)

  • Codice di Procedura Civile: Art. 360 (motivi di ricorso per Cassazione); Art. 366 (contenuto del ricorso, come modificato dal D.lgs. 149/2022); Art. 375–380-bis (procedimento in Cassazione, filtro in camera di consiglio); Art. 380-bis.1 (proposta di definizione anticipata); Art. 383–384 (decisione nel merito in caso di rinvio).
  • Codice del Processo Tributario (D.Lgs. 546/1992): Art. 51 (termini di impugnazione delle sentenze tributarie); Art. 38, c.3 (termine lungo di 6 mesi, richiamo art. 327 c.p.c.); Art. 62 (ricorso per Cassazione rinvio alle norme c.p.c.); Art. 62-bis (sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata per Cassazione, introdotto da L. 130/2022); Art. 68 (pagamento provvisorio frazionato dei tributi in pendenza di giudizio, come modif. da D.Lgs. 156/2015).
  • Legge 31 agosto 2022, n. 130: riforma della giustizia tributaria (ha previsto, tra l’altro, giudici tributari professionali, introduzione artt. 4-bis e 5 su conciliazione e definizione liti pendenti, istituzione sezione tributaria Cassazione, art. 62-bis sospensioni).
  • D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (“Riforma Cartabia”): riforma del processo civile che ha inciso sul giudizio di Cassazione (nuovo art. 360 c.p.c. con diversa formulazione n.3,4,6 art.366, introduzione art. 363-bis c.p.c. rinvio pregiudiziale, modifica riti camerali).
  • Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023): commi sulla definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti (percentuali di pagamento in base agli esiti, applicabile ai ricorsi pendenti in Cassazione al 1/1/2023).
  • Giurisprudenza della Corte di Cassazione:
    • Cass., Sez. Un., ord. 28/09/2022 n. 28228: principi sul principio di autosufficienza alla luce della CEDU Succi c. Italia, evitando oneri di trascrizione integrale eccessivi.
    • Cass., Sez. Un., sent. 19/07/2022 n. 22560: ha riformulato il principio di autosufficienza adeguandolo ai parametri CEDU, sancendo che non deve tradursi in oneri sproporzionati.
    • Cass., Sez. V, ord. 04/02/2025 n. 2655: (Sez. Trib.) ha ribadito che il ricorso non è autosufficiente se nei motivi non si indicano specificamente i documenti su cui si fonda e non se ne riportano o riassumono i contenuti essenziali, né si indica dove e quando sono stati prodotti.
    • Cass., Sez. V, ord. 08/01/2024 n. 601: (Sez. Trib.) in tema di difesa erariale, ha affermato che l’avvalimento di avvocati del libero foro da parte di Agenzia Entrate-Riscossione è residuale e subordinato ad apposita delibera motivata; in mancanza, la procura è nulla e l’atto dell’ente (ricorso o controricorso) è inammissibile.
    • Cass., Sez. V, ord. 15/05/2024 n. 13484: (Sez. Trib.) ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un avvocato del libero foro per Agenzia Entrate-Riscossione senza indicazione delle ragioni della deroga all’Avvocatura dello Stato (conferma dell’indirizzo su mandato difensivo nullo se non motivata la scelta del legale esterno).
    • Cass., Sez. V, ord. 24/10/2024 n. 27639: ha ritenuto invalida la procura speciale conferita a avvocati del libero foro in assenza dei presupposti di legge (convenzione e conflitto d’interessi), ribadendo l’obbligatorietà del patrocinio erariale salvo eccezioni.
    • Cass., Sez. V, ord. 23/10/2024 n. 27484: ha statuito che è valida la notifica dell’appello inviata all’indirizzo PEC risultante dal registro pubblico (INI-PEC) del difensore domiciliatario, anche se diverso da quello specificato in atti, confermando la piena efficacia delle notifiche PEC ius receptum.
    • Cass., Sez. Un., sent. 05/11/2024 n. 28452: (SU civili) ha chiarito che in caso di notifica via PEC non perfezionata per casella PEC piena, la notifica è comunque valida se il mittente ha ricevuto la ricevuta di accettazione – viene però imposto al destinatario di mantenere la casella capiente, altrimenti la mancata consegna per cause imputabili al destinatario non inficia la notifica. (Principio generale applicabile anche nel tributario).
    • Cass., Sez. V, ord. 10/11/2023 n. 31327: ha ribadito il principio di autosufficienza ex art. 366, co.1, n.6 c.p.c., come corollario della specificità dei motivi: il ricorso deve indicare chiaramente atti e documenti su cui si fonda, a pena di inammissibilità.
    • Cass., Sez. III, ord. 06/11/2024 n. 28532: (civile) ha evidenziato che il ricorrente deve selezionare i profili rilevanti di fatto e diritto in modo chiaro e sintetico (conforme alle regole redazionali 2023).
    • Cass., Sez. Un., sent. 24/07/2013 n. 17931: precedente importante in materia di motivazione apparente della sentenza (error in procedendo).
    • Cass., Sez. V, ord. 11/07/2022 n. 21945: (Sez. Trib.) ha confermato il divieto di introdurre nuove domande in appello (art. 57 D.Lgs. 546/92) e chiarito che nel ricorso per Cassazione non si possono aggirare tali preclusioni.
    • Cass., Sez. V, sent. 19/09/2024 n. 25204: esempio di decisione di merito corretta in Cassazione: ricorso contribuente accolto su quattro motivi, cassazione con rinvio su accertamento analitico-induttivo IVA (confermando poteri Cassazione su interpretazione norme tributarie).
  • Ministero Economia e Finanze – Telefisco 2024: Chiarimenti ministeriali sulla decorrenza dei termini di impugnazione dal deposito della sentenza e non dalla lettura del dispositivo. Conferma ufficiale dell’interpretazione conforme all’art. 327 c.p.c. nel processo tributario riformato.
  • Agenzia delle Entrate – Portale “Contenzioso e strumenti deflativi” (ultimo agg. Feb 2025): Schede informative “Il ricorso in Cassazione”, “Sospensione della sentenza”, “La riscossione del tributo durante le fasi del ricorso”. (Fonte istituzionale, riepiloga motivi di ricorso, obbligo patrocinio, PTT, ecc., e spiega che il ricorso non sospende gli effetti dell’atto/sentenza, menzionando l’istituto dell’art. 62-bis).

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