Sei un liquidatore e vuoi sapere qual è la tua responsabilità per i debiti tributari della società?
Il ruolo del liquidatore non è solo quello di chiudere i conti e ripartire il patrimonio residuo tra i soci: la legge gli attribuisce anche precisi doveri fiscali. In alcuni casi, il liquidatore può essere chiamato a rispondere personalmente dei debiti tributari della società, se non ha rispettato gli obblighi previsti.
Quando il liquidatore può essere responsabile dei debiti fiscali
– Quando non provvede al pagamento delle imposte dovute con le risorse disponibili della società
– Quando ripartisce il patrimonio tra i soci senza aver prima soddisfatto i creditori tributari
– Quando non presenta le dichiarazioni fiscali obbligatorie durante la liquidazione
– Quando non tiene la contabilità o non conserva la documentazione necessaria
– Quando adotta comportamenti che aggravano il debito della società
Quando invece non risponde personalmente
– Se dimostra di aver agito correttamente e di aver utilizzato tutte le risorse disponibili per pagare i debiti fiscali
– Se i beni sociali erano insufficienti a coprire le imposte e questo è documentato nella liquidazione
– Se ha rispettato l’ordine delle priorità nei pagamenti (creditori privilegiati prima dei soci)
– Se ha presentato in modo regolare le dichiarazioni fiscali e comunicato la chiusura ai fini tributari
Quali obblighi fiscali ha il liquidatore
– Presentare le dichiarazioni fiscali per i periodi di liquidazione
– Pagare imposte, sanzioni e interessi con il patrimonio della società
– Predisporre il bilancio finale di liquidazione e conservarne la documentazione
– Garantire la corretta destinazione delle risorse prima di distribuire eventuali utili o residui ai soci
Come può difendersi il liquidatore in caso di contestazioni
– Dimostrando di aver agito con diligenza e secondo legge
– Documentando i pagamenti effettuati e l’insufficienza del patrimonio sociale
– Contestando richieste di responsabilità che si basano su presunzioni o su errori formali
– Impugnando gli atti notificati dall’Agenzia delle Entrate o dall’agente della riscossione entro i termini di legge
Cosa rischia un liquidatore inadempiente
– L’azione di responsabilità personale per i debiti fiscali non pagati
– La possibilità di pignoramenti sui beni personali
– La responsabilità civile e penale in caso di comportamenti dolosi o gravemente negligenti
Attenzione: la responsabilità del liquidatore non è automatica, ma scatta solo quando si dimostra che ha violato i propri doveri. Una corretta gestione della fase di liquidazione e una difesa legale tempestiva sono fondamentali per evitare conseguenze personali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e responsabilità societaria – ti spiega qual è la responsabilità del liquidatore per i debiti fiscali e come tutelarti in caso di contestazioni.
Se sei un liquidatore e hai ricevuto contestazioni per debiti tributari della società, cosa puoi fare?
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Introduzione
Aggiornamento Luglio 2025: La responsabilità del liquidatore per i debiti tributari di una società è un tema complesso che intreccia diritto civile, tributario e penale. In questa guida approfondita (oltre 10.000 parole) esamineremo in chiave avanzata quando e come il liquidatore di una società può essere chiamato a rispondere in prima persona dei debiti fiscali della società che sta liquidando. Ci focalizzeremo sulla normativa italiana vigente (codice civile, leggi tributarie speciali) aggiornata al 2025, tenendo conto delle più recenti riforme normative (come il nuovo Testo Unico sulla Riscossione entrato in vigore nel 2025) e delle sentenze di Cassazione più autorevoli (incluse pronunce di Sezioni Unite del 2023 e 2025).
L’approccio sarà dal punto di vista del debitore (liquidatore, ex amministratori o soci chiamati a pagare): forniremo consigli pratici su come adempiere correttamente agli obblighi fiscali in sede di liquidazione, per evitare responsabilità personali. Il taglio è rivolto sia a professionisti legali (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e privati coinvolti in procedure di liquidazione, con un linguaggio giuridico accurato ma chiaro e divulgativo.
Lungo la guida troverete: tabelle riepilogative che schematizzano obblighi e responsabilità nelle varie situazioni, sezioni FAQ (Domande & Risposte) per chiarire i dubbi più frequenti, ed esempi pratici (simulazioni di casi reali italiani) per illustrare l’applicazione concreta delle norme. In fondo, una sezione Fonti elenca tutte le norme e sentenze citate, per consentire ulteriori approfondimenti.
In sintesi: capire la responsabilità del liquidatore per i debiti tributari è fondamentale per evitare passi falsi nella gestione della fase liquidatoria. Un errore nell’ordine di pagamento dei debiti sociali può comportare per il liquidatore conseguenze economiche personali (obbligo di pagare imposte non versate dalla società) e persino responsabilità penali in caso di omissioni dolose. Iniziamo delineando il quadro normativo generale e i principi di base in materia, per poi approfondire gli aspetti civili, penali e procedurali specifici.
Quadro Normativo Generale
Affrontare il tema richiede di identificare le principali fonti normative e i principi giuridici di riferimento:
- Codice Civile: disciplina lo scioglimento e la liquidazione delle società (artt. 2484-2496 c.c. per le società di capitali; artt. 2272-2312 c.c. per le società di persone), e prevede la responsabilità residuale dei soci e liquidatori dopo l’estinzione della società. In particolare l’art. 2495 c.c. stabilisce che, estinta la società, i creditori sociali non soddisfatti possono agire verso i soci (nei limiti di quanto da essi riscosso in liquidazione) e verso i liquidatori (se il mancato pagamento dei debiti è dovuto a colpa di questi ultimi). Norma analoga vale per le società di persone (art. 2312 c.c.). Queste disposizioni civili generali delineano una responsabilità per colpa del liquidatore verso i creditori insoddisfatti, distinta dalla mera obbligazione sociale.
- Normativa tributaria speciale: la disposizione chiave è l’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), oggi trasfuso nell’art. 117 del D.Lgs. 24 marzo 2025 n. 33 (nuovo Testo Unico Riscossione). Tale norma prevede una particolare forma di responsabilità “per fatto proprio” a carico di liquidatori, amministratori e soci in presenza di debiti tributari societari non pagati. In sostanza, il liquidatore è obbligato per legge a utilizzare le attività della liquidazione per pagare le imposte dovute (per il periodo di liquidazione e per quelli precedenti); se non lo fa, scatta una sua responsabilità personale e autonoma per il pagamento di quei tributi, a certe condizioni che vedremo in dettaglio. Questa norma fiscale integra e, in parte, deroga alla disciplina civilistica, ponendo condizioni specifiche a tutela del credito erariale.
- Leggi fiscali sostanziali: varie disposizioni definiscono come si determinano e si riscuotono i debiti tributari durante la liquidazione. Ad esempio, il TUIR (D.P.R. 917/1986) prevede regole per il reddito delle società in liquidazione (es. art. 182 TUIR sul periodo d’imposta finale della liquidazione); il D.P.R. 633/1972 (IVA) impone al liquidatore di continuare a liquidare e versare l’IVA dovuta sulle operazioni fatte in liquidazione; il D.Lgs. 446/1997 (IRAP) e il D.Lgs. 241/1997 (versamenti unificati) restano applicabili durante la liquidazione, così come le norme su ritenute fiscali e contributi (il liquidatore funge ancora da sostituto d’imposta se paga stipendi o compensi). Inoltre, il D.Lgs. 472/1997 (sanzioni amministrative tributarie) all’art. 8 stabilisce il principio della personalità delle sanzioni: le multe tributarie sono a carico solo dell’ente che ha violato (non si trasferiscono a soci o liquidatori dopo la chiusura). Queste leggi definiscono quali debiti tributari gravano sulla società anche durante la liquidazione e con quali regole vanno accertati e riscossi.
- Diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza: il nuovo Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022) ha riformato le procedure concorsuali (fallimento, concordato, liquidazione coatta). Esso prevede, tra l’altro, che una società già cancellata dal Registro Imprese possa essere dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento) entro 1 anno dalla cancellazione, se l’insolvenza preesisteva alla cancellazione (art. 40 c.3 CCII). Ciò significa che gli amministratori/liquidatori hanno l’obbligo di non cancellare la società in stato d’insolvenza evitando la procedura concorsuale, pena possibili responsabilità (azioni di responsabilità per aggravamento del dissesto, o persino incriminazioni per bancarotta fraudolenta se vengono occultati beni). Questo contesto concorsuale incide indirettamente sulla responsabilità del liquidatore per i debiti tributari: se la società è insolvente, il liquidatore dovrebbe attivare gli strumenti concorsuali (es. concordato o fallimento) anziché procedere a una liquidazione ordinaria distribuendo attivo ai soci, altrimenti rischia conseguenze civili e penali ulteriori.
- Norme penali tributarie: il D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 sanziona vari reati fiscali che possono coinvolgere il liquidatore. In particolare, i reati di omesso versamento di imposte dovute: omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis) ed omesso versamento IVA (art. 10-ter), che si configurano se non vengono versate, rispettivamente, ritenute per un importo superiore a €150.000 annui o IVA per oltre €250.000 annui. Il liquidatore in carica al momento della scadenza del versamento può esserne responsabile penale se agisce con dolo (anche solo dolo eventuale, ad esempio accettando il rischio che le imposte non vengano pagate). Altri reati rilevanti sono la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), che punisce chi, al fine di evadere il pagamento di imposte proprie o altrui, compie atti fraudolenti su beni (es. occultamento di beni sociali, distrazione di attivo) per rendersi insolvibile verso il Fisco. Inoltre, se durante la liquidazione il liquidatore omette le dichiarazioni fiscali dovute (art. 5) o ne presenta di infedeli (art. 4) con imposta evasa oltre soglie rilevanti, potrebbe risponderne. Queste norme penali si intrecciano con la posizione del liquidatore: capiremo quando il liquidatore o l’amministratore possono essere penalmente responsabili, ad esempio se non versano l’IVA dovuta e la loro condotta non è giustificata da cause di forza maggiore.
- Giurisprudenza recente: la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha negli ultimi anni chiarito molti dubbi applicativi. Ad esempio, le Sezioni Unite civili con sent. Cass. SS.UU. n. 32790/2023 hanno stabilito che l’Agenzia delle Entrate può emettere direttamente un avviso di accertamento nei confronti del liquidatore ex art. 36 DPR 602/73 (ora art. 117 TU) anche se le imposte non sono state prima iscritte a ruolo a carico della società estinta. Ciò discende dalla natura stessa di questa azione: non è una mera estensione del debito tributario societario, ma un’obbligazione civile autonoma del liquidatore, per cui non serve il titolo esecutivo contro la società (come vedremo meglio più avanti). Le Sezioni Unite con sent. n. 3625/2025 hanno affrontato i limiti di responsabilità dei soci per i debiti tributari di società estinte, chiarendo che il Fisco può agire contro i soci anche oltre le somme risultanti dal bilancio finale di liquidazione (ad es. per beni o attivi trasferiti ai soci fuori bilancio), purché provi l’esistenza di tali attribuzioni ai soci. Sul fronte penale, diverse sentenze (Cass. pen. nn. 8995/2018, 20188/2021, 4904/2023, 13134/2025, ecc.) hanno delineato quando la “crisi di liquidità” dell’azienda possa (o, più spesso, non possa) escludere la punibilità del liquidatore per omesso versamento – anticipando che la giurisprudenza è molto rigorosa nel richiedere la prova di cause di forza maggiore non imputabili, non essendo sufficiente la generica difficoltà finanziaria. Tutte queste pronunce saranno citate nel corso della guida e raccolte in fondo, fornendo il quadro di come le norme vengono applicate in concreto al 2025.
Di seguito, sintetizziamo alcuni principi generali emersi da questo quadro normativo, che guideranno l’analisi nei prossimi capitoli:
- Continuità delle obbligazioni tributarie durante la liquidazione: lo scioglimento della società e l’apertura della liquidazione non estinguono automaticamente i debiti tributari della società. Durante la liquidazione, la società resta un soggetto passivo d’imposta tenuto a continuare a rispettare i propri obblighi fiscali correnti: ad esempio deve presentare le dichiarazioni fiscali relative al periodo di liquidazione, liquidare e versare l’IVA sulle vendite di beni liquidati, versare le ritenute come sostituto d’imposta se corrisponde retribuzioni o compensi, ecc. Solo al termine, con la cancellazione dal Registro delle Imprese, la società cessa di esistere giuridicamente. Inoltre, la normativa prevede una sorta di “sopravvivenza fiscale” dell’ente estinto: per cinque anni dopo la cancellazione la società si considera ancora esistente agli occhi del Fisco ai fini della notifica di accertamenti e cartelle. Questa previsione (introdotta dall’art. 28, co. 4, D.Lgs. 175/2014) è stata confermata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 142/2020) come legittima. Significa che, anche dopo l’estinzione formale, l’Amministrazione finanziaria ha 5 anni di tempo per accertare imposte dovute dalla ex-società o per iscriverle a ruolo, notificando gli atti presso la sede dell’ex società. I debiti tributari dunque non si dissolvono con la società: se non vengono pagati integralmente durante la liquidazione, “sopravvivono” e possono essere fatti valere nei confronti di altri soggetti (liquidatore, soci, garanti della società, etc.) nei modi che vedremo.
- Parità di trattamento dei creditori e privilegi fiscali: un principio cardine nelle liquidazioni è la par condicio creditorum, per cui i creditori devono essere soddisfatti secondo il loro grado di priorità (graduazione dei crediti) e proporzionalmente tra loro senza preferenze indebite. Il Codice Civile (art. 2741 c.c.) e le leggi concorsuali impongono al liquidatore di rispettare i diritti di prelazione: alcuni crediti godono di privilegi speciali o generali che li posizionano davanti ad altri nel pagamento. Ad esempio, i crediti per retribuzioni dei dipendenti hanno privilegio generale mobiliare di grado elevato (art. 2751-bis c.c.), così come i crediti per contributi INPS e alcune imposte hanno privilegi generali (art. 2752 c.c.). I crediti garantiti da pegno o ipoteca su specifici beni hanno prelazione su quei beni (es.: la banca con ipoteca su immobile della società verrà soddisfatta con preferenza sul ricavato di quell’immobile). I crediti tributari come IVA, imposte sui redditi, IRAP, hanno di regola privilegio generale sui beni mobili del debitore, di grado inferiore rispetto ad alcuni crediti come le retribuzioni e le spese di giustizia, ma superiore rispetto ai crediti chirografari (non privilegiati). In pratica, nelle operazioni di liquidazione il Fisco va soddisfatto prima dei creditori chirografari e dopo eventuali crediti con privilegio superiore (es. stipendi arretrati dei dipendenti). Questo principio è cruciale perché la legge fa dipendere la responsabilità personale del liquidatore proprio dal rispetto o meno dell’ordine dei pagamenti. In breve: se il liquidatore paga creditori subordinati (o distribuisce attivo ai soci) prima di aver pagato le imposte dovute (e senza che vi fossero crediti di rango anteriore al Fisco da dover soddisfare), egli potrà esserne ritenuto personalmente responsabile. Viceversa, se l’attivo sociale è insufficiente a pagare tutte le imposte ma il liquidatore lo ha destinato integralmente ai creditori che precedono il Fisco (o eventualmente al Fisco stesso, pro quota, se vi sono creditori di pari grado) seguendo rigorosamente i gradi di privilegio, allora non sarà responsabile per la parte di debiti tributari rimasta insoddisfatta, a condizione che abbia rispettato l’ordine legale dei pagamenti. Questo equilibrio tra ordine dei privilegi e responsabilità personale sarà approfondito in seguito, perché è il fulcro della norma di responsabilità ex art. 36 DPR 602/73.
- Responsabilità “per fatto proprio” (autonoma) di liquidatori e soci: la responsabilità che esamineremo non è una semplice estensione automatica dei debiti sociali a liquidatori o soci, ma una forma di responsabilità civile autonoma, che la legge fa sorgere a carico di tali persone al ricorrere di determinati presupposti (essenzialmente, una mala gestio del liquidatore nel pagamento dei debiti sociali). La Cassazione la definisce un’obbligazione ex lege “di natura civilistica” fondata su un fatto illecito proprio del liquidatore. In pratica, il liquidatore non subentra come coobbligato generale in tutti i debiti fiscali della società, ma diventa debitore verso l’Erario a titolo proprio in conseguenza di un suo comportamento scorretto: aver destinato le risorse della liquidazione ad altri scopi (pagare creditori postergati o distribuire ai soci) prima di aver pagato le imposte dovute, causando così il mancato pagamento di queste ultime. Analogamente, i soci rispondono solo entro certi limiti, legati a quanto hanno indebitamente ricevuto in sede di liquidazione (ad esempio, dividendi o restituzioni di capitale ricevuti mentre c’erano imposte impagate). Questa distinzione è importante: il Fisco, per escutere liquidatori o soci, deve seguire una procedura specifica (un atto di accertamento motivato ex art. 36 DPR 602/73, notificato individualmente) e dimostrare le condizioni previste dalla legge per la loro responsabilità. Non si tratta quindi di rendere liquidatori e soci automaticamente obbligati in solido per tutti i debiti fiscali sociali, ma di colpirli entro certi limiti e a certe condizioni di legge. Vedremo in dettaglio queste condizioni (onere della prova a carico di chi, importi limitati all’attivo distratto, ecc.) nelle sezioni successive.
- Differenze in base al tipo di ente: le regole fin qui accennate valgono principalmente per le società di capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.a.) e, in parte, per enti collettivi con personalità giuridica (es. associazioni riconosciute, fondazioni). In tali enti vige infatti l’autonomia patrimoniale perfetta: soci e associati non rispondono di regola dei debiti dell’ente oltre il conferimento sottoscritto. Pertanto, norme come l’art. 36 DPR 602/73 (art. 117 TU 2025) e l’art. 2495 c.c. delineano eccezioni a questo principio, individuando quando – in deroga – il liquidatore e i soci devono pagare di tasca propria i debiti tributari dell’ente. Diverso è il caso delle società di persone (S.n.c., S.a.s.): qui i soci hanno responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c.), per tutta la vita della società. Ciò significa che il Fisco, se la società di persone non paga i tributi, può già di suo chiedere il pagamento direttamente ai soci (illimitatamente responsabili) senza bisogno di invocare l’art. 36 DPR 602/73. In caso di società di persone estinta, l’art. 2312 c.c. conferma che i creditori possono agire contro i soci rimanenti; l’art. 36 DPR 602/73 si applica eventualmente solo in situazioni particolari (ad es. soci accomandanti di S.a.s. che di regola non erano obbligati, se hanno ricevuto assegnazioni indebite). Imprenditore individuale: per le ditte individuali, non esiste separazione patrimoniale – tutti i debiti tributari dell’impresa individuale sono direttamente debiti personali dell’imprenditore. Dunque il liquidatore (che coincide con l’imprenditore stesso) non ha un “ombrello” societario: risponde comunque con tutto il suo patrimonio, salvo eventuali esdebitazioni ottenibili tramite procedure come il fallimento personale o la composizione della crisi da sovraindebitamento. Enti non commerciali: se hanno personalità giuridica (associazioni riconosciute, fondazioni) seguono regole simili alle società di capitali (il liquidatore nominato può rispondere ex art. 36 DPR 602/73 in caso di debiti tributari dell’ente). Se invece l’ente non ha personalità giuridica (es. associazioni non riconosciute, comitati), allora opera l’art. 38 c.c.: delle obbligazioni dell’ente rispondono solidalmente anche le persone che hanno agito in nome e per conto dell’ente. In pratica, nel caso di un’associazione non riconosciuta, i suoi amministratori (e il liquidatore in fase di scioglimento) già rispondono personalmente verso i creditori per le obbligazioni sociali non soddisfatte, anche in assenza di norme speciali. Ciò significa che, per gli enti privi di personalità, il Fisco può far valere la responsabilità civile generale degli amministratori (art. 38 c.c.) e non necessita di un meccanismo ad hoc come l’art. 36 DPR 602/73. In questa guida distingueremo, quando serve, le varie casistiche in base al tipo di soggetto giuridico, sottolineando dove le norme generali si applicano in modo diverso.
Nei capitoli successivi analizzeremo in dettaglio questi aspetti. In particolare, esamineremo dapprima gli obblighi del liquidatore nella fase di liquidazione (per evitare in radice di incorrere in responsabilità); quindi approfondiremo la responsabilità civile “tributaria” del liquidatore (art. 36 DPR 602/73 e art. 2495 c.c.), la responsabilità dei soci e amministratori connessa, i profili penali rilevanti e i rapporti con il Fisco in sede di riscossione ed esecuzione forzata. Infine, proporremo alcune Domande & Risposte frequenti e tabelle riepilogative per fissare i punti chiave emersi.
Obblighi del Liquidatore durante la Liquidazione
Prima di parlare di responsabilità, è bene chiarire cosa ci si aspetta dal liquidatore in termini di adempimenti tributari. Se il liquidatore adempie correttamente ai suoi doveri, la società potrà estinguersi pagando i tributi dovuti e senza strascichi per lui. Viceversa, le omissioni o irregolarità aprono la strada alle azioni di responsabilità. Ecco dunque gli obblighi fiscali principali del liquidatore:
1. Comunicazione dell’inizio liquidazione al Fisco: quando la società entra in liquidazione, va comunicato all’Agenzia delle Entrate (attraverso modello AA7/AA9) lo stato di liquidazione e il nominativo del liquidatore. Ciò aggiorna la posizione fiscale e fa sì che eventuali atti vengano notificati correttamente al liquidatore. Inoltre, per le società di capitali, il liquidatore deve pubblicare la sua nomina nel Registro delle Imprese (art. 2487-bis c.c.) e questa informazione è rilevante anche per il Fisco.
2. Tenuta delle scritture contabili e adempimenti dichiarativi: il liquidatore subentra agli amministratori nella gestione e amministrazione del patrimonio sociale finalizzata al pagamento dei debiti e al saldo ai soci. Egli deve quindi continuare a tenere le scritture contabili obbligatorie fino alla chiusura della liquidazione. Inoltre, deve predisporre e presentare le dichiarazioni fiscali relative al periodo di liquidazione. Ad esempio:
- Dichiarazione IVA: va presentata l’ultima dichiarazione IVA per le operazioni effettuate durante la liquidazione fino alla data di cessazione attività (e occorre chiudere la partita IVA).
- Dichiarazione dei Redditi e IRAP: il liquidatore presenterà la dichiarazione finale della società (periodo dall’inizio dell’esercizio fino alla data di fine liquidazione). Il TUIR prevede che il periodo d’imposta termini con la liquidazione.
- Modello 770 sostituto d’imposta: se durante la liquidazione si sono pagati compensi con ritenute (es. TFR ai dipendenti, compensi ai professionisti, dividendi ai soci), bisognerà presentarne la dichiarazione annuale e certificare le ritenute versate.
3. Versamento dei tributi correnti: la società in liquidazione deve continuare a versare le imposte dovute sulle operazioni che eventualmente compie. Esempio: se il liquidatore vende beni sociali, dovrà applicare l’IVA (salvo esenzione) e versarla nelle liquidazioni periodiche; se paga stipendi arretrati ai dipendenti o compensi ai professionisti, dovrà trattenere e versare le relative ritenute IRPEF; se realizza redditi imponibili durante la liquidazione (ad es. interessi attivi, plusvalenze da cessione beni), dovrà versare gli acconti o saldo IRES/IRAP come dovuto. L’apertura della liquidazione non sospende gli obblighi tributari: il liquidatore deve farsi carico di tutti gli adempimenti e pagamenti fiscali fino alla chiusura.
4. Pagamento dei debiti tributari pregressi secondo i privilegi: il compito più delicato del liquidatore è pagare i debiti della società rispettando l’ordine delle cause di prelazione. In particolare, per i debiti tributari (ad es. cartelle esattoriali già notificate, avvisi di accertamento definitivi, rateazioni pendenti, ecc.), il liquidatore deve tener conto dei privilegi del Fisco. La regola generale (che approfondiremo dopo) è che prima di distribuire qualunque attivo ai soci, egli deve aver soddisfatto tutti i crediti di grado superiore o pari a quello del Fisco, e comunque aver pagato per quanto possibile le imposte dovute con le attività realizzate. In pratica il liquidatore dovrebbe:
- Verificare l’elenco dei debiti fiscali esistenti (richiedendo all’occorrenza un estratto conto al concessionario della riscossione o all’AdE).
- Accantonare le somme necessarie a pagare le imposte dovute, tenendo conto che il Fisco ha privilegio generale sui mobili (grado inferiore solo a pochi crediti come stipendi). Se la società ha anche debiti chirografari, questi non vanno pagati finché non sono state saldate (o accantonate) le imposte dovute.
- Se l’attivo è insufficiente a pagare integralmente tutti i creditori privilegiati, pagare i privilegiati di grado superiore per intero e ripartire proporzionalmente l’attivo tra i crediti di pari grado (compresi quelli tributari) in proporzione al loro importo. Ad esempio, se restano €50.000 di IVA e €50.000 di un altro credito di pari privilegio e ho €50.000 disponibili, pagherò metà IVA e metà altro creditore, lasciando entrambe a metà insoddisfatte (in tal caso non sarà responsabilità del liquidatore, essendosi comportato correttamente).
- Solo una volta saldati tutti i debiti privilegiati (per quanto consentito dall’attivo) e i chirografari, se residua qualcosa, questo potrà essere distribuito ai soci.
5. Certificato di regolarità fiscale prima della cancellazione (facoltativo ma prudente): la legge consente di richiedere all’Agenzia delle Entrate un certificato sullo stato dei debiti tributari in capo alla società, al fine di conoscere se esistono carichi pendenti. In particolare, l’art. 14 D.Lgs. 472/1997 prevede che il liquidatore, prima di distribuire ai soci l’attivo residuo, possa richiedere agli enti creditori (Agenzia Entrate, INPS, ecc.) un certificato attestante l’inesistenza di pretese fiscali o contributive. Questo certificato, se rilasciato con esito negativo (nessun debito), tutela il liquidatore perché dimostra di aver fatto verificare eventuali debiti non noti. Se invece risultano debiti o accertamenti pendenti, il liquidatore ne deve tenere conto (accantonando somme) prima di distribuire. Anche l’art. 11-bis del DPR 602/1973 (come modificato dal 2014) consente, in caso di liquidazione, di chiedere un “Estratto dei ruoli” per verificare cartelle esattoriali pendenti. In pratica è consigliabile ottenere questi riscontri prima di chiudere la liquidazione: se emergono debiti fiscali potenziali (ad es. una verifica fiscale non ancora sfociata in avviso di accertamento), il liquidatore prudente potrebbe accantonare delle somme o attendere la definizione, per non rischiare di distribuire ai soci e poi vedersi contestare un debito. Infatti, come vedremo, una delle difese del liquidatore in sede di contestazione ex art. 36 DPR 602/73 è provare di non essere stato a conoscenza di debiti erariali (ad esempio perché non ancora definiti) e di aver operato senza colpa; tuttavia, la giurisprudenza tende a esigere un certo grado di diligenza nella verifica dello stato passivo fiscale prima di chiudere.
6. Bilancio finale di liquidazione e piano di riparto: al termine, il liquidatore redige il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto tra i soci (art. 2492 c.c.). In tale bilancio, dovrebbero risultare pagati (o accantonati) tutti i debiti sociali. I soci approvano il bilancio e il liquidatore, decorsi 90 giorni, può distribuire l’eventuale attivo finale secondo il piano di riparto. Attenzione: se il liquidatore indica nel bilancio finale che ci sono debiti (fiscali o altri) non pagati perché l’attivo non li copriva, i soci che approvano quel bilancio accettano che non riceveranno nulla (o riceveranno meno). Tuttavia, i creditori insoddisfatti (incluso il Fisco) potranno comunque agire dopo la cancellazione: contro i soci (entro i limiti delle somme ricevute) e contro il liquidatore (se imputano a colpa sua il mancato pagamento). Dunque, è interesse del liquidatore redigere un bilancio veritiero e fornire ai creditori le informazioni: se un creditore (ad es. Agenzia Entrate) non viene pagato e vede che nel bilancio finale risultano distribuiti €X ai soci, sarà altamente incentivato ad attivare l’azione di responsabilità ex art. 36.
In sintesi, il miglior modo per un liquidatore di evitare responsabilità personali è: pagare tutte le imposte dovute (compatibilmente con l’attivo disponibile e i gradi di privilegio), non distribuire nulla ai soci finché vi sono debiti erariali pendenti o potenziali, e documentare di aver agito con diligenza (anche richiedendo certificati fiscali). Purtroppo, non sempre ciò è possibile – ad esempio se l’attivo non basta o se emergono debiti fiscali dopo la chiusura – ed è in questi frangenti che opera la normativa sulla responsabilità che trattiamo ora.
La Responsabilità Civile del Liquidatore per i Debiti Tributari (art. 36 DPR 602/73)
Premessa terminologica: per “responsabilità civile del liquidatore” qui intendiamo l’obbligo legale, stabilito dalla norma tributaria, di pagare con denaro proprio i debiti tributari originariamente della società, al ricorrere di certe condizioni. Si tratta di un’obbligazione ex lege a carico del liquidatore, che sorge indipendentemente da una sentenza civile di risarcimento danni. È quindi diversa dall’azione di responsabilità ordinaria per mala gestione (art. 2489 e 2495 c.c.), anche se i presupposti possono essere simili (colpa del liquidatore nel non pagare i debiti).
Contenuto della norma (art. 36 DPR 602/1973, ora art. 117 D.Lgs. 33/2025)
L’art. 36 del DPR 602/73 – oggi riprodotto quasi identico nell’art. 117 del Testo Unico sulla Riscossione – così dispone al comma 1:
«I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES) che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.»
In parole più semplici:
- Il liquidatore ha l’obbligo di pagare, con le risorse ricavate dalla liquidazione, le imposte dovute dalla società (sia quelle maturate durante la liquidazione, sia quelle pregresse non ancora pagate).
- Se il liquidatore non paga le imposte dovute e nel frattempo assegna beni ai soci oppure paga altri creditori di grado inferiore al Fisco tali per cui il Fisco rimane insoddisfatto, allora il liquidatore ne risponde di tasca propria.
- Tuttavia, il liquidatore ha una possibile esimente: egli non risponde se prova:
- di aver pagato i crediti tributari prima di assegnare beni ai soci, oppure
- di aver pagato prima altri crediti con privilegio superiore a quello dei tributi (e che quindi avevano la precedenza).
- La responsabilità personale è limitata all’importo delle imposte che avrebbero potuto essere pagate con le attività della liquidazione, se il liquidatore avesse rispettato correttamente l’ordine dei privilegi. In altre parole, se una certa somma dell’attivo è stata distratta a favore di soci o creditori chirografari mentre c’erano imposte impagate, il liquidatore al massimo deve coprire quell’ammontare (non oltre).
Il comma 2 della norma estende questa disciplina agli amministratori in carica al momento dello scioglimento, se non è stato nominato alcun liquidatore. Ciò copre il caso in cui, ad esempio, una società si scioglie senza formale liquidazione (tipico per le società di persone che estinguono direttamente i debiti) o non nomina i liquidatori: gli amministratori finali rispondono in tal caso analogamente.
Il comma 3 riguarda i soci o associati: «I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori, o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante la liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al comma 1 nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile». Quindi, se i soci hanno preso denaro o beni dalla società:
- nei 2 anni prima della liquidazione (es. distribuzioni di utili o acconti su riserve fatte dagli amministratori) oppure
- durante la liquidazione (assegnazioni fatte dal liquidatore),
essi sono tenuti a pagare i debiti tributari della società nei limiti del valore di quanto ricevuto. Questa responsabilità dei soci è una sorta di garanzia per il Fisco: impedisce che gli amministratori/liquidatori svuotino la società a favore dei soci lasciando il Fisco a bocca asciutta. Va notato che i soci rispondono solo entro il valore dell’attivo ricevuto (“salvo maggiori responsabilità ex codice civile”, il che significa che se c’è stata frode o altro, potrebbero comunque essere citati per danni oltre tale limite, ma ciò esula dall’art. 36). Una novità introdotta dal 2014 (oggi nel comma 3 dell’art. 117 TU) è che il valore di quanto ricevuto si presume proporzionale alla quota di capitale del socio, salvo prova contraria. Questo per facilitare il Fisco nella prova: ad esempio, se c’è stato un ammanco di €100.000 e ci sono due soci al 50%, si presume abbiano avuto €50.000 ciascuno a meno che dimostrino diversamente.
Il comma 4, novità anch’esso degli ultimi anni, estende le responsabilità anche agli amministratori che, nei due anni precedenti la liquidazione, hanno compiuto operazioni liquidatorie o occultato beni sociali. Questa previsione mira a colpire i casi di liquidazione “di fatto” o attività distrattive pre-liquidazione: ad esempio, amministratori che negli ultimi tempi prima dello scioglimento vendono beni sotto costo, o ripartiscono riserve ai soci sapendo dei debiti fiscali, o nascondono cespiti in contabilità. In tali casi, pur se quei soggetti magari non sono liquidatori formali, la legge li assimila ai fini di responsabilità.
Infine, il comma 5 precisa che la responsabilità è accertata dall’ufficio con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 DPR 600/1973. Ciò significa che è l’Agenzia delle Entrate (ufficio accertatore) a emettere un avviso di accertamento specifico nei confronti del liquidatore (o socio) in questione, con cui contesta la sua responsabilità ex lege e gli richiede il pagamento delle imposte. Questo atto va motivato, cioè deve spiegare quali imposte della società sono rimaste impagate e perché si ritiene integrato il presupposto (assegnazione di beni ai soci o pagamento di crediti inferiore in danno del Fisco). La notifica segue le regole ordinarie degli atti fiscali (art. 60 DPR 600/73).
Il comma 6 aggiunge che contro tale avviso il liquidatore può fare ricorso in Commissione Tributaria (ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria) secondo le norme del contenzioso tributario. Dunque, la controversia sulla responsabilità del liquidatore si svolge davanti al giudice tributario, non quello civile, confermando la natura “mista” di questa azione (è una obbligazione civile ma accessoria a un tributo, quindi giurisdizione tributaria). Viene inoltre richiamato l’art. 118, co.1, del TU (che stabilisce che, in generale, il ricorso non sospende la riscossione a meno che l’ufficio conceda sospensione). Su questo aspetto torneremo nella parte dedicata ai rapporti con AdER.
Riassumendo i presupposti chiave: la responsabilità personale del liquidatore scatta se due condizioni sono entrambe presenti:
- Imposte dovute dalla società non pagate con le attività della liquidazione (cioè alla fine della liquidazione risulta un debito tributario insoddisfatto);
- Condotta “di danno” del liquidatore: aver distratto attivo dalla sua destinazione prioritaria al pagamento delle imposte, ossia:
- aver assegnato beni ai soci prima di soddisfare il Fisco, oppure
- aver pagato creditori di grado inferiore al Fisco (cioè chirografari o comunque posposti) lasciando insolute le imposte, oppure (caso meno ovvio)
- aver pagato creditori di pari grado non proporzionalmente, privilegiandoli sul Fisco.
Se queste condizioni ricorrono, il liquidatore risponde in proprio dell’importo di imposte che a causa di ciò non è stato pagato (nei limiti dell’attivo mal distribuito). Se invece:
- non c’erano affatto attivi liquidabili (azienda insolvente senza beni) – nulla poteva pagare, quindi in assenza di condotte distrattive non vi è responsabilità;
- il liquidatore ha usato tutto l’attivo per pagare creditori con privilegio pari o superiore al Fisco (es. stipendi, oppure lo stesso Fisco parzialmente) e nulla è andato a soci o creditori inferiori – allora, per quanto ci sia debito tributario residuo, non c’è responsabilità (perché ha agito correttamente).
Natura giuridica: obbligazione tributaria o civile? (Conseguenze procedurali)
La giurisprudenza ha a lungo discusso se questa del liquidatore sia una responsabilità tributaria in senso stretto (cioè un’estensione del debito d’imposta) oppure una obbligazione civile risarcitoria. Oggi prevale la tesi che si tratti di un’obbligazione ex lege di natura civilistica (cosiddetta responsabilità per “fatto proprio” del liquidatore). Le Sezioni Unite 2023 hanno chiarito che:
- Il debito tributario originario resta in capo alla società ed è solo il presupposto fattuale della responsabilità del liquidatore. In altre parole, perché il liquidatore paghi, deve esserci a monte un’imposta dovuta dalla società e rimasta insoluta; ma il liquidatore non è coobbligato in solido su quel debito, risponde su un titolo diverso (violazione dei suoi doveri di liquidazione).
- La condotta del liquidatore che genera responsabilità non ha natura tributaria: non è una violazione di un obbligo d’imposta (non è un “fatto indice di capacità contributiva”), bensì riguarda l’adempimento di obblighi propri civilistici del liquidatore nella distribuzione dell’attivo. Quindi l’inadempimento è verso un dovere civile (corretta gestione dell’attivo) e la sanzione è di dover rispondere col patrimonio personale.
- Conseguenza: l’azione contro il liquidatore non richiede le stesse formalità dell’azione contro il contribuente originario. Ad esempio, non serve che il debito fiscale sia stato prima iscritti a ruolo a carico della società o notificato ad essa. È legittimo un accertamento notificato direttamente al liquidatore anche dopo che la società è estinta, per escutere la sua obbligazione propria (come confermato da Cass. SS.UU. 32790/2023). Il liquidatore in quel caso può contestare sia l’esistenza del presupposto (ad es. può difendersi eccependo che l’imposta non era dovuta dalla società, o che lui ha pagato i tributi in ordine corretto) sia la sussistenza della sua responsabilità, il tutto davanti al giudice tributario.
- Altro corollario: la responsabilità ex art. 36 è sussidiaria e non solidale. “Sussidiaria” significa che è finalizzata a intervenire quando il debito della società non è recuperabile su quest’ultima (tipicamente perché estinta o priva di beni). Non a caso, la notifica dell’atto al liquidatore spesso avviene a seguito della cancellazione societaria. Non è “solidale” nel senso che il Fisco non può pretendere due volte l’intero importo (una dalla società e una dal liquidatore): il debito societario è presupposto, ma se il liquidatore paga, estingue il relativo debito d’imposta (viceversa, se il Fisco incassa qualcosa dalla società – ad es. un pignoramento su residui – la pretesa verso il liquidatore si riduce di conseguenza).
Onere della prova e accertamento della responsabilità
La norma – dicendo “se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari…” – sembra porre in capo al liquidatore l’onere di dimostrare di aver rispettato gli obblighi, come condizione per andare esente da responsabilità. In effetti la Cassazione ha interpretato la disposizione nel senso che, una volta constatato che vi sono imposte impagate e che vi è stata distribuzione di attivo altrove, spetta al liquidatore dimostrare che ciò è avvenuto legittimamente (perché c’erano crediti più privilegiati da pagare, o perché quei beni non sarebbero comunque serviti a pagare il Fisco). Questo significa che in giudizio (Corte di Giustizia Tributaria):
- L’Ufficio fiscale deve provare: l’esistenza del debito tributario della società non pagato e l’assegnazione di beni ai soci o pagamento preferenziale che il liquidatore ha effettuato lasciando scoperte le imposte. In pratica, dovrà indicare ad es. “imposta X anno Y non pagata per €…; liquidatore ha distribuito €… ai soci come da bilancio finale”, oppure “liquidatore ha pagato il fornitore Alfa (€…) non privilegiato mentre c’era IVA da pagare”.
- Il Liquidatore, per evitar la responsabilità, deve provare uno dei fatti esimenti: che prima di fare quelle assegnazioni ha pagato tutte le imposte dovute (il che confuterebbe la premessa) oppure che le somme distratte servivano a pagare creditori di grado superiore al Fisco (es. aveva un pignoramento ipotecario di una banca, quindi l’incasso è andato tutto alla banca ipotecaria, ecco perché non sono state pagate le imposte).
In assenza di prova liberatoria, la legge considera il liquidatore responsabile fino a concorrenza delle somme che avrebbe dovuto destinare al Fisco. La Cassazione (sent. Cass. 21953/2007) ha precisato che l’importo dovuto dal liquidatore non può eccedere ciò che sarebbe rimasto al Fisco se il liquidatore avesse operato correttamente. Ad esempio: se il liquidatore ha distribuito €100.000 ai soci e lasciato €80.000 di imposte impagate, risponderà per €80.000 (le imposte), non per 100; se invece ha distribuito €100.000 e le imposte impagate erano €150.000, risponderà per €100.000 (massimo il valore dell’attivo distratto, perché oltre quell’importo comunque non c’erano beni in cassa).
Caso particolare – Debiti non ancora accertati alla data della liquidazione: spesso accade che, al momento di chiudere la liquidazione, la società non abbia formalmente debiti tributari iscritti (nessuna cartella, nessun avviso), ma successivamente l’Agenzia delle Entrate effettui un controllo su periodi passati e accerti imposte evase. In tal caso, il liquidatore come può aver colpevolmente distribuito risorse se non sapeva del debito? La giurisprudenza recente tende a dire che ciò non esime automaticamente il liquidatore: se il debito fiscale riguarda periodi anteriori e trovava capienza nell’attivo distribuito, il liquidatore può essere chiamato a rispondere comunque, a meno che dimostri che non vi fossero segnali o obblighi di prudenza che gli imponessero di accantonare somme. Ad esempio, Cassazione ha ritenuto legittimo un avviso ex art. 36 notificato al liquidatore anche se l’imposta non era stata ancora iscritta a ruolo prima della cancellazione. Naturalmente, il liquidatore in sede contenziosa potrà difendersi sostenendo che il debito d’imposta era “inesistente” o non conoscibile: se davvero l’accertamento fiscale è infondato, verrà annullato e così cadrà anche la pretesa verso il liquidatore. Se invece l’accertamento era fondato (es. evasione IVA scoperta dopo), il liquidatore potrebbe essere ritenuto responsabile se ha chiuso frettolosamente la società distribuendo attivo. È una situazione di confine in cui molto dipende dalle circostanze concrete: c’era magari un PVC (processo verbale di constatazione) notificato prima della chiusura? Oppure il liquidatore ignorava del tutto il rischio? In generale, per cautela, i liquidatori dovrebbero aspettare la scadenza dei termini di accertamento o ottenere una liberatoria prima di distribuire tutto il patrimonio.
Sintesi operativa: per evitare la responsabilità ex art. 36, il liquidatore dovrebbe potersi difendere così: “Ho pagato le imposte dovute con l’attivo che avevo; il mancato pagamento di una parte è dipeso solo dall’insufficienza di attivo, dopo aver comunque soddisfatto prima i creditori privilegiati come la legge comanda”. Se può dimostrare questo (con bilanci, quietanze, stati di riparto, ecc.), non sarà condannato a pagare nulla di tasca sua. Se invece il Fisco dimostra che alcune disponibilità sono andate a soggetti non prioritari (soci o creditori chirografari) privando l’Erario di risorse, allora il liquidatore dovrà pagare per quell’errore di allocazione.
Rapporti con l’azione di responsabilità civilistica (art. 2495 c.c.)
Abbiamo visto che anche l’art. 2495 c.c. prevede, dopo la cancellazione, una responsabilità dei liquidatori verso i creditori insoddisfatti “se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”. Questa è un’azione di natura risarcitoria ordinaria: il creditore deve dimostrare la colpa del liquidatore e il danno subito (credito rimasto impagato). Qual è il rapporto tra questa e l’azione ex art. 36 DPR 602/73?
La giurisprudenza prevalente ritiene che coesistano entrambe. L’art. 36 è una norma speciale per i crediti tributari, che:
- rende più agevole per l’Erario l’azione (basta dimostrare gli elementi oggettivi, senza dover provare in senso stretto la “colpa” del liquidatore, e con inversione dell’onere della prova);
- consente la riscossione mediante gli strumenti tributari (accertamento, iscrizione a ruolo) invece che dover fare una causa civile per risarcimento.
Tuttavia, ciò non toglie che l’Agenzia Entrate-Riscossione potrebbe anche agire ex art. 2495 c.c., ad esempio insinuandosi in un eventuale fallimento personale del liquidatore come creditore chirografario per danni, oppure promuovendo un’azione civile se per assurdo non avesse fatto in tempo quella fiscale. In pratica però il Fisco utilizza l’art. 36 perché è molto più efficace e pensato apposta.
Da notare: l’art. 2495 c.c. richiede la colpa del liquidatore. Ma la colpa, in questo contesto, coincide sostanzialmente con la violazione dell’ordine dei pagamenti (quindi con gli stessi presupposti di cui sopra). Dunque le due azioni, sebbene formalmente distinte, tendono a sovrapporsi nei loro presupposti fattuali. Un liquidatore che abbia colposamente pregiudicato un creditore sociale, avrà anche violato l’art. 36 se quel creditore è il Fisco.
Importante: L’azione ex art. 2495 c.c. deve essere esercitata entro 1 anno dalla cancellazione, notificando l’atto al liquidatore presso l’ultima sede sociale (art. 2495 ultimo comma). L’azione ex art. 36 DPR 602/73, invece, segue i termini degli accertamenti tributari (in genere entro il 5° anno successivo al periodo d’imposta, o più se frode). Di fatto, il Fisco ha dunque più tempo e più libertà di manovra con l’art. 36. La Corte di Cassazione ha escluso che l’art. 2495 (introdotto nel 2003) abbia tacitamente abrogato l’art. 36 DPR 602/73; semmai, quest’ultimo è stato novellato nel 2014 per coordinarsi (es. introducendo il riferimento alle responsabilità maggiori da codice civile e la presunzione sulle somme assegnate ai soci).
Esempi pratici di applicazione
Per chiarire, consideriamo qualche scenario tipico:
- Esempio 1: attivo insufficiente e niente distribuzione ai soci. S.r.l. in liquidazione con attivo di €50.000, debito IVA €80.000, nessun altro creditore privilegiato, chirografari per €20.000. Il liquidatore usa i €50.000 per pagare parzialmente l’IVA (soddisfacendo il Fisco al 62,5%) e non paga i chirografari né ovviamente distribuisce nulla ai soci. Risultato: la società viene cancellata con €30.000 di IVA rimasta impagata e chirografari insoddisfatti. Responsabilità liquidatore? No, perché ha rispettato l’ordine: ha pagato quanto poteva al Fisco, non ha favorito nessuno a scapito delle imposte. Il Fisco potrà eventualmente rivalersi sui soci ex art. 2495 c.c. se questi avessero ricevuto somme dal bilancio finale (qui no, zero distribuzione), ma non sul liquidatore (salvo voler provare colpa generica, che sarebbe difficile data la condotta corretta).
- Esempio 2: distribuzione indebita ai soci. S.r.l. in liquidazione con attivo €100.000; debito IVA €40.000; altri debiti (chirografari) €20.000. Il liquidatore paga i €20.000 di debiti chirografari e poi distribuisce €80.000 ai soci, dimenticandosi del debito IVA che magari non era stato ancora cartellato. Dopo la cancellazione, AdE notifica accertamento per IVA €40.000 non versata. Responsabilità? Sì, evidente. Il liquidatore ha assegnato €80k ai soci prima di pagare €40k di IVA dovuta – aveva fondi sufficienti (100k) per farlo e non l’ha fatto. Sarà chiamato a pagare €40.000 di tasca propria. I soci in questo caso hanno ricevuto €80k complessivi: anche loro sono responsabili in solido fino a €80k (ma il Fisco chiederà prima al liquidatore tutta l’IVA, e ai soci eventualmente se il liquidatore non paga o se mancasse parte).
- Esempio 3: pagamento di un chirografario pretermittendo il Fisco. S.r.l. ha €50.000 in banca; debito IVA €30.000; un debito verso fornitore X (chirografo) €50.000. Il liquidatore paga interamente il fornitore X (50k) e così azzera la cassa, lasciando l’IVA non pagata. Responsabilità? Sì. Ha favorito un creditore privo di privilegio rispetto al Fisco. Avrebbe dovuto semmai pagare il fornitore proporzionalmente assieme all’Erario: in proporzione 50-30 forse ~62% a X e ~38% al Fisco. Avendo dato tutto a X, il danno erariale è €30k non pagati. Dovrà risponderne lui con proprie risorse.
- Esempio 4: pagamento di un privilegiato di grado superiore. S.r.l. con €100.000; debito IVA €80.000; debito per stipendi arretrati dipendenti €50.000 (privilegio superiore al tributo). Il liquidatore paga tutti i €50.000 ai dipendenti (per legge vengono prima dell’IVA) e usa i restanti €50.000 per pagare parte dell’IVA (lasciando €30.000 IVA scoperti). Nessuna distribuzione ai soci ovviamente. Responsabilità? No. Il mancato pagamento dell’IVA (€30k) è dipeso dal fatto che c’erano crediti di rango superiore (stipendi) che hanno assorbito attivo. Il liquidatore ha soddisfatto crediti di ordine superiore prima del Fisco, come dovuto; residuando attivo insufficiente, non è colpa sua. Non risponde del debito IVA residuo (lo Stato semmai attiverà gli strumenti concorsuali o dovrà rinunciare alla parte scoperta).
- **Esempio 5: società cancellata, successivo accertamento. S.r.l. chiude nel 2023. Bilancio finale: attivo distribuito ai soci €200.000 dopo aver pagato tutti i debiti noti; nessun debito erariale risultante (certificato regolare). Nel 2024 spunta un avviso di accertamento per IRES anni passati: €70.000 di imposte evase che ovviamente non furono pagate. La società essendo estinta non può essere destinataria, quindi AdE notifica direttamente ai soci un avviso ex art. 36 per €70.000, sostenendo che hanno avuto €200k e dunque nei limiti di 70k devono pagare. Responsabilità soci? Sì in linea di principio, ma condizionata: i soci possono contestare che quelle somme distribuite non erano utili occulti ma frutto di bilancio regolare e che nessun attivo “in più” rispetto al bilancio poteva pagare quell’IRES (in altri termini, potrebbero dire che la ripartizione era legittima in base alle conoscenze di allora). Le Sezioni Unite 2025 hanno chiarito che l’Agenzia deve provare l’interesse ad agire verso i soci, cioè provare che essi hanno effettivamente incassato qualcosa su cui il Fisco poteva soddisfarsi. I soci, se non hanno incassato nulla (ad es. se la liquidazione si chiuse a zero per loro), non possono essere perseguiti solo perché soci. Nel nostro esempio però hanno incassato €200k complessivi, quindi l’interesse ad agire c’è. I soci potranno eventualmente rivalersi sul liquidatore (se ha taciuto loro l’ipotesi di quell’accertamento), ma dal punto di vista del Fisco, recupererà da qualcuno quei €70k (liquidatore o soci). In un caso del genere, se il liquidatore aveva agito in buona fede (debito completamente ignoto), potrebbe non essere responsabile ex art. 36 (perché non c’è stata una sua colpa palese); il peso ricade sui soci ex comma 3, secondo la Cassazione.
Come si vede, la norma copre vari scenari cercando di evitare che il Fisco rimanga l’unico creditore sacrificato.
Nel prossimo paragrafo tratteremo più specificamente la posizione dei soci e degli ex amministratori, per poi passare ai profili penali.
Responsabilità di Soci ed ex Amministratori per i Debiti Tributari (soggetti diversi dal liquidatore)
Oltre al liquidatore, anche altri soggetti possono essere chiamati a rispondere dei debiti fiscali non assolti dalla società, in base all’art. 36 DPR 602/73 (art. 117 TU 2025) e alle norme civilistiche:
Soci (ex art. 36, co. 3 DPR 602/73): come visto, i soci di società di capitali (o associati di enti) sono responsabili in proprio del pagamento delle imposte dovute dalla società nei limiti del valore dei beni o denaro ricevuti dai medesimi:
- nelle assegnazioni effettuate durante la liquidazione dal liquidatore;
- oppure in quelle effettuate nei due esercizi antecedenti lo stato di liquidazione, da parte degli amministratori.
Questa norma colpisce tipicamente le distribuzioni di utili, riserve o rimborsi di capitale fatti poco prima del dissesto oppure le ripartizioni finali effettuate in liquidazione. Il limite di importo per ciascun socio è quanto ha ricevuto (salvo se per vie civilistiche gli si contesta di più). Esempio: se un socio ha avuto €50.000 di dividendi un anno prima della liquidazione e restano debiti fiscali scoperti, l’Agenzia può chiedergli fino a €50.000.
Le Sezioni Unite 2025 (sent. n. 3625/2025) hanno chiarito alcuni aspetti cruciali:
- L’azione verso i soci presuppone che i soci abbiano effettivamente ottenuto un qualche beneficio economico dalla società (condizione dell’interesse ad agire). Se un socio non ha riscosso nulla in liquidazione né prima, non vi è ragione per procedere contro di lui. Spetta all’Agenzia provare tale presupposto se contestato (ad esempio, esibendo il bilancio finale che mostra somme distribuite, o evidenziando utili prelevati).
- Tale “beneficio” non è limitato alle sole somme risultanti dal bilancio finale di liquidazione. Le SU hanno affermato che anche eventuali trasferimenti di beni o diritti ai soci fuori bilancio (es: ritiro di beni sociali senza contabilizzazione) o il realizzo di garanzie prestato dai soci possono configurare utilità su cui basare l’azione. In altre parole, l’art. 2495 c.c. menziona solo le somme risultanti dal piano di riparto, ma per i debiti tributari si adotta un criterio più sostanziale: conta qualsiasi arricchimento ricevuto dai soci in connessione con lo scioglimento.
- Non è necessario che i soci risultino aver riscosso qualcosa dal bilancio finale, quindi, purché si dimostri che in realtà hanno ottenuto beni (magari occultati in bilancio). Questo per evitare che una furbizia contabile (non far risultare assegnazioni) impedisca l’azione.
- In ogni caso, il socio può difendersi provando di non aver ricevuto nulla o che quanto ricevuto è inferiore a quanto preteso. La presunzione introdotta nel 2014 aiuta l’Agenzia: se non si sa esattamente quanto, si presume in base alle quote societarie. Ma il socio può dare prova contraria (es. mostrando che la distribuzione andò solo ad alcuni soci e non a lui).
Esempio: Socio A 40%, Socio B 60%. Viene contestato ai soci di pagare €100k di imposte. Se non vi sono evidenze su chi prese cosa, si presume A 40k e B 60k. Se A dimostra di non aver preso nulla mentre B prese tutto, A può sottrarsi e B sarebbe tenuto per 100k (comunque non oltre i 100k totali dovuti).
Parallelamente, l’art. 2495 c.c. (civilistico) prevede responsabilità dei soci fino alle somme da loro riscosse in base al bilancio finale. Quindi anche senza art. 36, un qualsiasi creditore insoddisfatto può chiedere ai soci la restituzione di quanto ricevuto in liquidazione, come soddisfazione del proprio credito. Per i crediti tributari, l’art. 36 amplia un po’ il raggio (come visto, include 2 anni prima e operazioni extra-bilancio).
Da notare che i soci di società di persone illimitatamente responsabili (snc, accomandatari di sas) rispondono ben oltre i limiti di quanto riscosso: rispondono in toto dei debiti sociali non pagati (anche tributari). Questo discende dal codice civile (art. 2291 e 2312 c.c.) e non necessita art. 36. Infatti, le pronunce citano spesso che “la cancellazione di una società di capitali dal registro imprese configura un fenomeno successorio, ma le sanzioni tributarie non si trasmettono ai soci o liquidatore, mentre i debiti sì entro certi limiti”; per società di persone, essendo i soci già coobbligati originari per il tributo (es. IRAP o ritenute di una SNC), l’Agente della riscossione può iscrivere a ruolo i soci direttamente (dopo escussione della società) anche senza art. 36. Per questo l’art. 36 è usato soprattutto in contesto di società di capitali.
Ex Amministratori (art. 36, co. 2 e co. 4): se la società si scioglie senza liquidatore, gli amministratori cessati alla data di scioglimento rispondono come se fossero liquidatori. Inoltre, il comma 4 colpisce amministratori che abbiano compiuto operazioni di liquidazione o occultamento beni negli ultimi due anni prima della liquidazione. In tal caso, questi amministratori possono essere ritenuti responsabili in solido con il liquidatore. Ad esempio, se l’amministratore Tizio un anno prima di liquidare vende macchinari sottocosto a un terzo, di fatto sottraendo attivo alla società, e poi Caio (liquidatore) distribuisce quel poco che resta ai soci lasciando debiti fiscali, l’Agenzia potrebbe chiamare in causa anche Tizio in base al comma 4, perché ha cooperato nel pregiudicare il Fisco.
In pratica, comma 4 evita che un amministratore esca di scena prima della liquidazione dopo aver fatto il “danno” e la responsabilità ricada solo sul liquidatore finale. Esempio reale: Cassazione ha ritenuto colpevole di omesso versamento IVA un amministratore subentrato, ma ha anche sottolineato che se il precedente rappresentante avesse preordinato la manovra, potrebbe risponderne in concorso. Traslando al civile, se un precedente amministratore ha occultato attivo, il Fisco può includerlo nell’accertamento come corresponsabile.
Sanzioni amministrative: qui giova ribadire quanto accennato: le sanzioni tributarie (multe, soprattasse) a carico della società non passano a soci o liquidatori, per espressa previsione di legge (art. 8 D.Lgs. 472/97) e confermato da Cassazione. Quindi, se la società aveva cartelle con sanzioni, il Fisco può chiedere a liquidatore/soci solo gli importi di imposta e interessi, non le penalità. Ad esempio, se c’era una cartella di €10.000 di cui 5.000 imposta e 5.000 sanzioni, ex art. 36 può chiedere al liquidatore max 5.000 (imposta). Le sanzioni restano a carico dell’ente estinto e sono inesigibili (non trasmissibili agli eredi né ai soci). Ciò deriva dal principio di personalità: le multe “muoiono” con il soggetto giuridico che ha violato la norma.
Riassumendo:
- Il liquidatore può dover pagare le imposte non versate se ha sbagliato la gestione dell’attivo.
- I soci possono dover restituire quanto ricevuto se c’erano imposte non pagate (hanno in sostanza preso soldi “altrui”, del Fisco).
- Gli amministratori possono essere coinvolti se non c’è liquidatore formale o se hanno attuato manovre distrattive pre-liquidazione.
- Limiti: mai oltre il beneficio ricevuto (per soci) o oltre il danno arrecato (per liquidatore, commisurato all’attivo “mal utilizzato”). E niente sanzioni amministrative trasferite.
Passiamo ora ai profili penali, perché la vicenda di imposte non pagate in liquidazione può avere risvolti rilevanti anche sul piano penale tributario.
Profili Penali: Reati Tributari del Liquidatore (omessi versamenti e altri illeciti)
La chiusura di una società con debiti tributari può costituire non solo un problema civilistico ma anche un potenziale reato fiscale a carico di chi, dovendo versare tributi, non lo ha fatto. Esaminiamo i principali reati tributari che possono coinvolgere un liquidatore, sottolineando quando egli ne risponde e quali sono le soglie e le possibili cause di non punibilità.
Omesso versamento di ritenute dovute o IVA (Artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000)
Si tratta di due fattispecie di reato omissivo che spesso emergono in contesti di crisi d’impresa:
- Art. 10-bis – Omesso versamento di ritenute dovute o certificate: punisce chi, in qualità di sostituto d’imposta, non versa entro il termine previsto (di solito il 16 del mese successivo) le ritenute fiscali operate su stipendi, compensi, ecc., per un ammontare superiore a €150.000 annui. Esempio: la società trattiene IRPEF ai dipendenti ma non la versa al Fisco. È un reato dolosamente omissivo, consumato al momento della scadenza del versamento (se la soglia è superata). La pena prevista è la reclusione fino a 3 anni (minimo 6 mesi) oltre multa.
- Art. 10-ter – Omesso versamento di IVA: punisce chi non versa l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza (attualmente 16 settembre dell’anno successivo) per un importo superiore a €250.000. Anche questo è reato doloso istantaneo alla scadenza. Pena simile all’art. 10-bis.
Chi è il soggetto attivo? In linea generale, è il legale rappresentante o comunque il soggetto che ha la disponibilità delle risorse finanziarie e l’obbligo di provvedere al versamento. Nel caso di società in bonis è l’amministratore; in caso di società in liquidazione, il compito di versare tributi spetta al liquidatore.
Tuttavia, spesso accade che l’omissione riguardi periodi precedenti alla liquidazione. Ad esempio: l’IVA 2024 non versata a settembre 2025, ma nel frattempo la società a giugno 2025 è andata in liquidazione e l’amministratore ha passato le consegne al liquidatore. Chi risponde? La Cassazione ha chiarito che risponde del reato colui che era in carica al momento della scadenza del termine di versamento. Quindi, se il liquidatore è già in carica alla data di scadenza per versare l’IVA (o le ritenute), spetta a lui farlo e in difetto ne risponde penalmente. Non importa se la dichiarazione IVA l’aveva presentata il precedente amministratore: ciò che conta è che il liquidatore, assumendo l’ufficio, aveva conoscenza (o doveva acquisirla) del debito e la possibilità giuridica di pagarlo. Rifiutandosi di farlo, si espone volontariamente al reato, quantomeno a titolo di dolo eventuale (accetta il rischio delle conseguenze penali). In un caso emblematico (Cass. pen. 20188/2021), fu condannato un liquidatore subentrato che non aveva versato l’IVA dovuta per l’anno precedente, limitandosi a sostenere che “non era affar suo” perché la dichiarazione l’aveva presentata un altro: la Cassazione ha rigettato la difesa, sottolineando che nessuna norma lega l’obbligo penale alla persona che fece la dichiarazione; l’obbligo di versare incombe su chi riveste la carica al momento del termine, e costui deve diligentemente controllare gli ultimi adempimenti fiscali prima di assumere l’incarico.
Diversamente, se il liquidatore subentra dopo la scadenza del termine di versamento, il reato (se configurato) sarebbe già stato commesso dal precedente amministratore. Il liquidatore potrebbe semmai essere chiamato a risponderne solo se si prova un suo concorso nel fatto (ad es. se vi era un accordo fraudolento con il precedente per non pagare). In genere però, se la nomina è successiva al termine, il liquidatore non è autore dell’omissione (per lui potrebbe al limite emergere la responsabilità civile art. 36, ma non penale, perché il reato si è consumato prima del suo arrivo).
Soglia e Calcolo: per ritenute, >150k; per IVA, >250k. Sotto tali soglie non è reato (resta violazione amministrativa). Il superamento soglia si valuta per periodo d’imposta (anno solare). Dunque un liquidatore che non versa ad esempio IVA di competenza dell’ultimo trimestre e annuale, se in totale oltre 250k, commette reato; se era sotto, no. Va anche detto che se il liquidatore versa parzialmente (ad esempio versa 100k su 300k dovuti), la soglia per la parte non versata è ancora superata (200k >250k? No, allora niente reato; se 300k non versati allora sì reato, se 200k no – quindi può essere rilevante un pagamento parziale per scendere sotto soglia).
Dolo: è richiesto il dolo, ossia la consapevolezza di omettere il pagamento. Il dolo può essere eventuale: il liquidatore magari spera di poter pagare in futuro ma deliberatamente non paga sapendo di non averne al momento la disponibilità, accettando il rischio del reato. La giurisprudenza considera generalmente integrato il dolo quando l’imprenditore decide di destinare le risorse ad altro invece che accantonare le imposte.
Esimenti: l’unica scusante ammessa dalla norma penale è la causa di non punibilità introdotta dal 2024 (D.Lgs. 87/2024) nell’art. 13 D.Lgs. 74/2000: se l’omesso pagamento dipende da cause non imputabili al contribuente sopravvenute alla formazione delle ritenute o all’incasso dell’IVA, il fatto non è punibile. Esempio: l’azienda aveva accantonato l’IVA ma un evento esterno (pignoramento straordinario di conti da parte di altro ente, truffa subita, calamità naturale) ha reso impossibile il versamento. Questa è una modifica recente: prima si discuteva in via interpretativa della forza maggiore, ora è codificata. Attenzione: la Cassazione 2025 (sent. n. 13134) ha già avvertito che la crisi di liquidità “ordinaria” dovuta a difficoltà economiche NON basta, bisogna provare eventi davvero non imputabili e imprevedibili. Dunque, il liquidatore/imprenditore che invochi questa causa deve fornire stringenti prove di aver fatto tutto il possibile per pagare e che solo un evento eccezionale gli ha impedito di farlo. In assenza di ciò, la giurisprudenza resta rigida: il rischio d’impresa (calo fatturato, insoluti dei clienti) non esonera dalla punibilità dell’omissione.
Conclusione pratica: un liquidatore che si trova di fronte a imposte non pagate di ammontare penalmente rilevante rischia dunque l’incriminazione. L’unico modo per evitare il processo penale (oltre alla causa di forza maggiore di cui sopra) è utilizzare l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 che prevede la non punibilità (o estinzione reato) se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado paga integralmente il debito tributario, comprensivo di interessi e sanzioni amministrative. In soldoni: se entro il giudizio di primo grado il liquidatore (o chi per lui) versa tutto il dovuto al Fisco, il reato è estinto. Questa norma può incentivare il liquidatore a trovare le risorse per sanare (es. anche attingendo al proprio patrimonio) al fine di evitare la condanna penale. Non sempre ciò è fattibile, ma è un importante strumento deflattivo.
Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (Art. 11 D.Lgs. 74/2000)
Questo reato scatta quando un debitore di imposte (anche non ancora accertate, ma dovute) compie atti fraudolenti per rendere inefficace la riscossione coattiva. La fattispecie tipica riguarda chi occulta o distrae beni al fine di evitare che il Fisco vi possa rivalere. La soglia di rilevanza è di almeno €50.000 di imposte sottratte. La pena va da 6 mesi a 4 anni di reclusione.
In contesto di liquidazione:
- Se il liquidatore trasferisce beni sociali ai soci o a terzi di comodo, con l’intento di non farli trovare dal Fisco (ad esempio vende macchinari sottocosto al cugino, oppure restituisce anticipatamente finanziamenti soci per svuotare le casse, o forma un fondo occulto), questo può integrare art. 11. È frequente il caso di aziende che, prevedendo cartelle esattoriali, tolgono liquidità e asset prima di chiudere.
- Anche il socio o amministratore che preleva beni o li occulta potrebbe rispondere di concorso nel reato.
Un caso peculiare è l’istituzione di trust o fondi patrimoniali con beni societari o personali per schermarli dal Fisco: la Cassazione ha considerato tali atti potenzialmente fraudolenti se fatti quando si hanno debiti tributari rilevanti.
Il liquidatore onesto ovviamente non lo fa. Ma se un liquidatore, invece di pagare l’Agenzia delle Entrate, trasferisce i soldi ai soci (sapendo delle cartelle), potrebbe essere accusato di art. 11, oltre che subire l’azione civile art. 36. Il dolo specifico richiesto è “al fine di sottrarsi al pagamento di imposte o interessi o sanzioni”: occorre cioè provare che l’intento era quello. Ad esempio, se la distrazione di fondi ai soci avviene dopo che è stata notificata una cartella esattoriale, l’intento è piuttosto evidente.
Va detto che l’art. 11 punisce chiunque compie atti simulati o fraudolenti sui propri o altrui beni per sottrarli al fisco. Dunque, se un amministratore/liq. compie atti sui beni sociali, è come “altrui beni” per il Fisco (perché formalmente sono della società, distinta persona). La norma copre questa evenienza.
Esempi tipici in liquidazione:
- Liquidatore cede un immobile della società a prezzo vile a un amico, per evitare che Equitalia ci metta ipoteca: reato art. 11 (atto fraudolento).
- Prima della liquidazione, i soci si fanno restituire conferimenti (magari con false delibere di riduzione capitale) lasciando la cassa vuota: atto simulato/fraudolento se vi sono debiti fiscali.
- Liquidatore distribuisce tutto ai soci occultamente (senza passare da piano di riparto ufficiale): reato.
- Liquidatore non pubblicizza la liquidazione né i beni residui, li fa sparire: reato.
La soglia di €50.000 si riferisce all’ammontare delle imposte non pagate che si tenta di evadere. Quindi se il debito fiscale era minore, penalmente non scatta (restano eventuali profili civilistici).
Altri reati possibili
- Omessa presentazione di dichiarazione fiscale (art. 5 D.Lgs. 74/2000): se il liquidatore omette di presentare la dichiarazione dei redditi o IVA di un’annualità dovuta, e l’imposta evasa supera €50.000, commette reato. Questo potrebbe succedere ad esempio se il liquidatore chiude l’esercizio finale ma non presenta dichiarazione per negligenza o per celare qualcosa. È punito con reclusione 1.5-4 anni.
- Dichiarazione infedele (art. 4): se il liquidatore presenta la dichiarazione finale ma occulta elementi attivi o indica passivi fittizi superando le soglie (imposta evasa > €100.000 e >10% del dichiarato, etc.), anche questo è reato. Improbabile in fase di liquidazione (di solito i bilanci finali riflettono perdite più che utili).
- Reati fallimentari: se la società in realtà doveva fallire (insolvente) e il liquidatore compie distrazioni di beni prima della dichiarazione di fallimento, potrebbe incorrere nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 216 e 223 L.F. / ora codice della crisi). Ad esempio, vendere beni sottocosto o pagare preferenzialmente taluni creditori prima del fallimento può costituire bancarotta preferenziale. Questo però esula dal “tributario” stretto, anche se spesso i beni occultati al fisco implicano anche danno ai creditori generali.
Liquidatore subentrato e reati: un liquidatore nominato dopo gli eventuali illeciti commessi da altri non ne risponde, a meno che vi partecipi. Ad esempio, se il precedente amministratore non ha versato IVA (commettendo reato) e poi passa la mano al liquidatore solo per “far pulito”, quest’ultimo non è autore di quel reato (potrebbe però risponderne l’ex amministratore). Il liquidatore deve comunque collaborare con eventuali autorità: se scopre irregolarità contabili gravi, dovrebbe segnalarle; in caso contrario non ha specifici obblighi di denuncia (a parte reati finanziari).
Crisi di liquidità come difesa: l’abbiamo detto, raramente funziona. La Cassazione richiede di dimostrare di aver tentato ogni strada lecita per reperire le somme (es. vendere beni personali per versare imposte, chiedere dilazioni, ecc.). Solo situazioni tipo un sequestro improvviso dei conti da terzi, o un cataclisma, sono state talora considerate forza maggiore.
Conseguenze penali pratiche
Un liquidatore imputato per omessi versamenti (10-bis/10-ter) rischia in teoria la reclusione; nella prassi, se incensurato e paga (magari in parte) può ottenere pene basse con sospensione condizionale. Ma resta la macchia di un reato fiscale. Per art. 11 (sottrazione) la pena massima 4 anni può portare anche misure più serie (non è solo omissione, è frode). Inoltre, una condanna penale definitiva per reati tributari può comportare:
- Interdittive (temporanea incapacità di contrarre con PA, ecc. per alcuni reati).
- Difficoltà nei rapporti bancari e reputazionali.
Il miglior scenario per il liquidatore è evitare del tutto tali rischi: versare tutto il dovuto, oppure se non possibile, almeno attivarsi dopo (in sede di indagini) per pagare e ottenere cause di non punibilità.
Chiariamo anche che la responsabilità penale è personale: non può “trasferirsi” come i debiti. Quindi se un amministratore ha commesso il reato, il liquidatore non ne risponde solo perché liquidatore. Risponde solo dei reati che lui commette. A volte però le situazioni si sovrappongono: l’ex amministratore imputato per omesso versamento e il liquidatore imputato per sottrazione di beni, ad esempio.
In sintesi, il liquidatore diligente deve:
- Pagare prioritariamente IVA e ritenute tra i debiti, sapendo che oltre certe soglie è penalmente rilevante.
- Se non può pagare, documentare cause di forza maggiore (e magari farle attestare in una relazione).
- Non occultare nulla, anzi agire con trasparenza: comunicare agli enti la situazione di crisi, chiedere dilazioni, ecc. Ciò può essere considerato a suo favore.
- Se eredità un’omissione da altri, valutare di fare un “ravvedimento operoso” straordinario: ad esempio, un liquidatore nominato a giugno 2025 scopre che l’IVA 2024 non è stata versata a marzo: può ancora versarla (con interessi e sanzioni) prima del 30 giugno per evitare che a settembre ci sia il reato. In effetti, il reato scatta il 16 settembre 2025, quindi se il liquidatore versa entro quella data anche tardivamente, evita il reato (pur pagando sanzioni amministrative per tardivo versamento). Dunque il liquidatore che arriva “in tempo” dovrebbe cercare di sanare i mancati versamenti.
Rapporti con l’Agenzia Entrate-Riscossione e Profili Esecutivi
In caso di debiti tributari non pagati e responsabilità in capo a liquidatore o soci, come procede concretamente la riscossione? Analizziamo il ruolo dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER) e gli strumenti esecutivi contro il patrimonio personale di liquidatori/soci.
1. Notifica dell’atto di accertamento al liquidatore/socio: Come detto, la pretesa si forma tramite un atto motivato emesso dall’Agenzia delle Entrate (ufficio accertatore). Questo atto viene notificato all’interessato (liquidatore o socio) e costituisce il titolo del credito erariale nei suoi confronti. Dal momento della notifica, il liquidatore ha 60 giorni per proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria Provinciale). Se propone ricorso, la riscossione è di norma sospesa fino a sentenza (salvo che l’AdE per importi grandi iscriva provvisoriamente a ruolo una parte: può succedere, ma spesso in questi casi attendono l’esito). Se non propone ricorso entro 60 giorni, l’accertamento diventa definitivo.
Va ricordato che, in generale dal 2020, gli avvisi di accertamento fiscali sono “esecutivi” decorsi i 60 giorni: significa che valgono già come titolo per procedere al pignoramento senza ulteriore notifica di cartella. Nel caso del liquidatore, la Sez. Unite 2023 hanno confermato che non è necessaria una previa iscrizione a ruolo del debito societario, quindi l’atto notificato a lui può divenire esecutivo direttamente.
2. Formazione del titolo esecutivo e affidamento ad AdER: Trascorsi i termini (o ottenuta una sentenza favorevole all’AdE in caso di ricorso), l’ufficio può affidare l’importo da riscuotere all’Agente della Riscossione (AdER). Tecnicamente potrebbe anche emettere un ruolo e una cartella di pagamento al liquidatore, ma dopo la riforma 2020-2021 spesso l’accertamento stesso contiene l’intimazione a pagare entro ulteriori 30 giorni dal termine ricorso. In mancanza di pagamento, l’Agente può iniziare esecuzione forzata.
3. Comunicazioni preventive: Prima di agire forzatamente, l’AdER di solito invia:
- una comunicazione di presa in carico (se c’è stato affidamento del carico) o una “intimazione di pagamento” (se è passata molta tempo da titolo a esecuzione), dando altri 5 giorni per pagare.
- in alcuni casi, un preavviso di iscrizione ipotecaria o di fermo amministrativo (obbligatorio per importi sopra certe soglie) per invitare a saldare prima di iscrivere ipoteca su immobili o fermo su veicoli.
4. Misure cautelari: AdER può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore per debiti sopra €20.000. Ad esempio, se il liquidatore ha una casa di proprietà e il debito tributario personale (derivante dalla sua responsabilità) supera 20k, l’Agente può iscrivere ipoteca a garanzia (previa notifica di preavviso 30gg). Non può però procedere a espropriazione della prima casa se il debitore vi risiede anagraficamente e non è di lusso, salvo che il debito superi €120.000 e siano passati 6 mesi dalla notifica di un’intimazione senza che sia stato ottenuto nulla (questo per le cartelle in generale, normativa salva-prima-casa D.L. 69/2013). Quindi il liquidatore, se persona fisica con una sola casa di abitazione, rischia ipoteca ma non la vendita forzata di quell’immobile, a meno di condizioni particolari.
Può essere disposto anche il fermo amministrativo su automezzi di proprietà per debiti sopra €1.000: in tal caso riceverà preavviso e, se non paga, il fermo viene iscritto al PRA bloccando l’utilizzo legale del mezzo.
5. Esecuzione forzata (pignoramenti): AdER può pignorare:
- Conti correnti e depositi bancari/postali intestati al debitore: è molto frequente. Con un atto di pignoramento presso terzi notificato alla banca, blocca le somme (fino a capienza del debito) sul conto. Il destinatario (liquidatore o socio debitore) ne viene informato ex post, di solito.
- Stipendi/pensioni: se il liquidatore percepisce uno stipendio o pensione, AdER può pignorare presso il datore di lavoro fino a 1/10 dello stipendio (se < €2.500), 1/7 (fra €2.500 e 5.000), 1/5 (oltre €5.000). Questo in base all’art. 72-ter DPR 602 modificato.
- Altri crediti verso terzi: ad esempio crediti del liquidatore verso clienti, affittuari, ecc. Nel caso di socio, se questi vanta crediti, possono essere colpiti analogamente.
- Beni mobili: AdER può inviare ufficiale giudiziario a pignorare beni mobili (auto, attrezzature). Di solito preferisce il fermo auto invece di un pignoramento fisico, salvo beni di valore (quadri, ecc.).
- Beni immobili: se il debito supera €120.000 e non è prima casa impignorabile, può procedere con pignoramento immobiliare e successiva esecuzione (vendita all’asta). Questo scenario è possibile se un liquidatore possiede immobili secondari (es. casa vacanza, terreno, etc.) e ha un debito fiscale personale ingente derivato dalla sua responsabilità.
6. Rateazioni e definizioni agevolate: Il liquidatore/socio debitore, una volta ricevuto il carico, ha gli stessi diritti di qualunque contribuente. Può chiedere una rateizzazione del debito a AdER (attualmente fino a 72 rate mensili ordinariamente, estensibili a 120 in casi di grave e comprovata difficoltà). Se ottiene la dilazione, evita pignoramenti finché paga le rate. Inoltre, se il legislatore introduce misure di “pace fiscale” (come condoni, rottamazione delle cartelle, ecc.), anche questi debiti rientrano potenzialmente e il soggetto può aderire. Ad esempio, se è in corso una “definizione agevolata” e il debito del liquidatore era in cartella, egli può chiederne la rottamazione (pagando solo imposte senza sanzioni né interessi di mora). Questo ridurrebbe l’esborso.
7. Concorsi e coordinamento con procedure concorsuali personali: Se il liquidatore debitore si trovasse impossibilitato a pagare somme ingenti, potrebbe valutare egli stesso procedure di sovraindebitamento o fallimento personale (se è un imprenditore). Ad esempio, un liquidatore che fosse anche socio illimitatamente responsabile di più fallimenti potrebbe essere dichiarato fallito in estensione. In tal caso, i debiti tributari passerebbero nel concorso fallimentare e AdER agirebbe come creditore concorsuale, con possibile esdebitazione finale. Sono casi estremi, ma ricordiamo che nel 2020 è stata introdotta l’esdebitazione anche senza utilità: un debitore persona fisica onesto ma incapiente può chiedere di essere esdebitato dai debiti (tra cui quelli tributari, salvo riserve su natura coattiva) se dimostra di non poter pagare nulla. Questo, nel futuro, potrebbe essere uno scenario per liquidatori travolti da debiti non loro (purtroppo l’esdebitazione pubblica non copre debiti derivanti da malafede).
8. Prescrizione della riscossione: i debiti tributari in capo al liquidatore seguono le regole di prescrizione proprie delle cartelle esattoriali (in genere 5 anni per imposte erariali dal momento in cui il ruolo diviene esecutivo). Ciò significa che, ad esempio, se l’accertamento al liquidatore è divenuto definitivo nel 2025 e viene affidato a riscossione, AdER ha 5 anni (rinnovabili da atti interruttivi) per escutere forzosamente. Se lascia passare 5 anni senza intimare/pignorare, potrebbe scattare la prescrizione. Tuttavia, AdER è piuttosto attiva e difficilmente lascia decadere somme rilevanti senza atti.
In generale, dal punto di vista del liquidatore debitore, il rapporto con AdER sarà analogo a quello di un contribuente qualunque con una cartella:
- È bene cercare un accordo (rateazione) se non si può pagare in un’unica soluzione.
- Ignorare le comunicazioni porta a escalation: ipoteche, pignoramenti ecc.
- Se si ritiene ingiusto l’addebito, l’unica via è stata (o è) il ricorso in Commissione tributaria contro l’accertamento originario. Se quella fase è persa o saltata, AdER non può più rimettere in discussione il merito (non è in suo potere annullare debiti, se non in caso di provvedimenti di sgravio dell’ente creditore).
Esempio finale: Caio, liquidatore, viene ritenuto responsabile di €30.000 di IVA non pagata. Riceve avviso, non fa ricorso (o lo perde). Nel 2025 AdER gli notifica una intimazione di pagamento. Caio non paga. AdER nel 2026 gli blocca €5.000 sul conto corrente e iscrive ipoteca sulla sua seconda casa per €30k. Caio chiede una rateazione su restante (€25k) in 72 rate (~€350/mese) e ottiene la sospensione del pignoramento stipendio avviato nel frattempo. Caio paga regolarmente le rate fino al 2032, quando estingue il debito e AdER toglie ipoteca. – In parallelo, i soci della società che avevano ricevuto soldi sono stati chiamati per la parte eccedente (se ad es. il debito era 50k e a Caio liquidatore imputano 30k, i restanti 20k potrebbero essere chiesti pro-quota ai soci). I soci magari ricorrono e provano di non aver preso nulla: se riescono, quell’importo rimane a carico solo di Caio (che però, essendo limitato all’attivo mal distribuito, non pagherà più di 30k se così era dimensionato nell’atto).
Il quadro appare complesso ma, in sintesi, dal punto di vista del liquidatore/socio debitore: una volta che il Fisco ha formato il titolo di responsabilità, ci si trova come debitori verso lo Stato. Occorre quindi gestire quel debito usando strumenti di tutela (ricorso se fondato, o conciliazione in giudizio se l’importo è discutibile) oppure strumenti di pagamento (rateazione, saldo e stralcio se previsto). Ignorare la situazione porta solo aggravio di sanzioni e procedure.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Il liquidatore risponde personalmente di tutti i debiti tributari della società liquidata?
R: No. La responsabilità del liquidatore non è automatica né generale per tutti i debiti fiscali della società. Egli risponde solo se ha violato gli obblighi legali nell’uso dell’attivo della liquidazione. Se la società ha debiti tributari che il liquidatore non è in grado di pagare per insufficienza di attivo, e il liquidatore ha comunque rispettato l’ordine dei privilegi (pagando prima i creditori più garantiti), allora non può essergli imputato il mancato pagamento. Viceversa, risponde limitatamente alle somme che potevano essere destinate al Fisco e che invece egli ha destinato ad altri (creditori postergati o soci). Ad esempio, se l’attivo era zero, il liquidatore non risponde di debiti fiscali rimasti insoddisfatti (non avendo colpa). Se l’attivo era sufficiente a pagare metà delle imposte e lui l’ha usato per altro, risponderà per quella metà.
D: Se la società era indebitata con dipendenti e Fisco, e il liquidatore paga i dipendenti esaurendo le risorse, può essere chiamato a pagare le imposte non versate?
R: In generale no, purché i crediti dei dipendenti avessero un privilegio superiore a quello dei crediti erariali. Nel nostro ordinamento i salari e stipendi hanno privilegio di grado superiore ai tributi. Dunque, se il liquidatore ha usato l’attivo per pagare i dipendenti (che vengono prima) e non è rimasto nulla per il Fisco, ciò è conforme alla legge: il liquidatore non è responsabile per le imposte rimaste impagate, in quanto “ha soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari” (esimente prevista). Ovviamente, se invece avesse pagato fornitori chirografari al posto del Fisco, sarebbe un altro discorso (sarebbe responsabile).
D: La semplice “crisi di liquidità” della società può scusare il liquidatore che non paga l’IVA o le ritenute?
R: Sul piano penale, la mera crisi di liquidità non esclude la punibilità per omesso versamento. La Cassazione ribadisce che le difficoltà finanziarie generiche rientrano nel rischio d’impresa e non sono cause di forza maggiore. Solo situazioni imprevedibili e non imputabili (es. eventi esterni come un mancato pagamento improvviso di un cliente principale, combinato magari a iniziative diligenti del liquidatore per rimediare) potrebbero essere valutate come esimenti, ma servono prove stringenti. Sul piano civile (responsabilità ex art. 36), la crisi di liquidità di per sé non rileva: ciò che conta è come il liquidatore ha distribuito quel poco che c’era. Se c’era poco e l’ha dato tutto a chi doveva avere precedenza (magari parzialmente al Fisco stesso), allora è salvo; se quel poco lo ha dato a qualcuno che non aveva diritto prioritario, allora è in colpa anche se la crisi non era colpa sua.
D: Se il liquidatore viene nominato dopo che l’obbligo di versamento di un’imposta è già scaduto e non pagato, rischia conseguenze penali?
R: In linea di massima no per quel fatto già consumato. Il reato di omesso versamento (ad es. IVA) si perfeziona alla scadenza del termine (es. 16/9 per IVA annuale). Chi diventa liquidatore successivamente non era il soggetto tenuto in quel momento, quindi non è autore del reato. Sarà il precedente amministratore eventualmente perseguibile. Tuttavia, attenzione: se la nomina avviene prima della scadenza e il liquidatore “eredità” una dichiarazione IVA già presentata, diventa lui il soggetto obbligato a onorare quel debito entro la scadenza. Se non lo fa, ne risponde penalmente. Questa distinzione è ben evidenziata dalla Cassazione: “non risponde, in generale, del reato chi ha presentato la dichiarazione ma non era tenuto al pagamento, salvo concorso doloso; specularmente, risponde chi era tenuto al pagamento anche se non aveva presentato la dichiarazione”. Dunque, un liquidatore nominato prima della scadenza deve farsi carico dei versamenti dovuti; nominato dopo, no (ma dovrà comunque gestire civilmente quel debito pregresso).
D: Quali difese ha il liquidatore se riceve un avviso di accertamento in cui gli si chiede di pagare debiti tributari ex art. 36?
R: Può presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (entro 60 giorni) contestando sia l’esistenza e l’ammontare del debito fiscale originario (ad esempio se ritiene che l’imposta non fosse dovuta dalla società o sia prescritta) sia la sussistenza dei presupposti della sua responsabilità. In particolare, può sostenere che:
- non vi è stata alcuna distribuzione ai soci né pagamento preferenziale illecito (quindi manca l’elemento chiave della sua colpa);
- oppure che ciò che è stato assegnato ai soci era dovuto (es. pagamento di crediti privilegiati dei soci stessi? caso raro) o di importo inferiore;
- oppure può eccepire errori procedurali (ad es. l’atto non sufficientemente motivato).
In giudizio, il liquidatore può produrre il bilancio finale, il piano di riparto, le quietanze dei pagamenti fatti, per dimostrare come ha impiegato l’attivo. Se emergono aspetti come la mancata prova di assegnazioni ai soci, può ottenere l’annullamento. Il giudice tributario valuterà se l’ufficio ha provato il proprio assunto. Ad esempio, Cass. 30011/2022 ha annullato un avviso a soci proprio perché le sanzioni erano state indebitamente incluse e perché i soci non avevano riscosso nulla (in quell’ordinanza la Cassazione ha ribadito che le sanzioni non si trasferiscono e i soci non “ereditano” automaticamente debiti se non hanno ricevuto somme). In sostanza, il liquidatore deve usare il processo tributario come sede per far valere le sue ragioni. Non esistono “moduli di autotutela” efficaci in questi casi: raramente l’Agenzia Entrate annulla in via amministrativa un avviso del genere senza decisione del giudice, a meno di errori palesi.
D: I soci rispondono anche delle sanzioni e interessi di mora sul debito fiscale?
R: No, per le sanzioni amministrative come detto c’è intrasmissibilità. Gli interessi invece sì, perché sono accessori del tributo. Quindi a un socio/liquidatore possono chiedere imposta + interessi legali/mora maturati (anche dopo cancellazione). Le eventuali sanzioni restano a carico della società defunta e non possono essere pretese. Questo è un punto da controllare: se in un avviso ex art. 36 vengono addebitate sanzioni, è un errore. Le pronunce (es. Cass. 9094/2017, 34273/2022) confermano che sanzioni tributarie non passano a soci/liquidatori, analogamente a come non passano agli eredi.
D: Entro quando il Fisco può far valere la responsabilità del liquidatore o dei soci?
R: L’art. 36 non fissa un termine specifico, quindi valgono i termini ordinari di accertamento del tributo e quelli di decadenza della riscossione. In pratica:
- Se parliamo di imposte dichiarate ma non versate (tipo IVA non versata): l’iscrizione a ruolo sarebbe immediata per la società, e per il liquidatore c’è la “sopravvivenza” 5 anni della società per notifica cartelle. Ma potendo notificare direttamente l’atto al liquidatore, l’Agenzia tende a farlo entro il termine di decadenza dell’iscrizione a ruolo (che per IVA e ritenute è il 31 dicembre del 3° anno successivo alla dichiarazione, prorogato a 5 anni in caso di omesso pagamento di importi dovuti a seguito controllo automatico). Dunque, se una società chiude nel 2025 e non ha versato IVA 2024, AdE ha fino al 31/12/2028 per notificare al liquidatore/soci la pretesa (3 anni dalla scadenza del versamento, secondo termini 36-bis DPR 600/73).
- Se parliamo di imposte sottratte a tassazione scoperte da accertamento (evasione): valgono i termini per accertare (di regola 5 anni dall’anno in cui è stata presentata la dichiarazione, o 7 in caso di omessa dichiarazione). Quindi, se nel 2026 scoprono evasione 2021 di una società liquidata nel 2023, l’avviso ex art. 36 al liquidatore deve essere emesso entro il 2027 (5° anno). In caso di frodi rilevanti, i termini possono essere raddoppiati ma restiamo su ipotesi normali.
- Una volta notificato l’avviso, la riscossione può proseguire per i successivi 5 (o 10 in caso di sospensioni/ruoli) anni con atti interruttivi.
C’è poi il limite civilistico di 1 anno per azione ex 2495, ma l’AdE di solito sfrutta lo strumento fiscale più lungo. La Corte Cost. 142/2020 ha avallato la norma dei “5 anni di sopravvivenza fiscale” proprio per consentire al Fisco di accertare e riscuotere anche dopo la chiusura. Quindi, indicativamente: se dopo 5 anni dalla cancellazione non avete ricevuto nulla, è improbabile (ma non impossibile, in teoria) che spunti qualcosa di nuovo.
D: Il liquidatore può essere liberato dai debiti fiscali residui attraverso la procedura fallimentare della società o altre procedure?
R: Se la società viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) e in quella sede i crediti tributari rimangono in parte insoddisfatti, ciò non estingue la responsabilità del liquidatore per eventuali condotte anteriori. Anzi, potrebbe aggiungere profili di responsabilità verso il curatore. Però, se c’è un fallimento, di solito l’art. 36 viene azionato meno, perché il fallimento stesso gestisce il riparto (il liquidatore cede il passo al curatore). In pratica, se la società era insolvente andava fatta fallire: in tal caso il liquidatore, se ha tardato e aggravato il dissesto, risponde di quel danno (azione di responsabilità fallimentare) e anche di possibili reati di bancarotta. Quindi più che essere liberato, rischia altro. Discorso diverso se il liquidatore persona fisica fallisce (ad esempio perché era socio illimitatamente responsabile e la sua insolvenza personale porta al fallimento): in tal caso i suoi debiti verso il fisco (inclusi quelli derivati da art. 36) confluiscono nel suo fallimento e possono essere poi esdebitati a fine procedura. È una situazione rara ma possibile. Invece, l’adesione a una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (per liquidatori non fallibili) potrebbe portare all’esdebitazione di quei debiti secondo le regole di quel procedimento (che richiede il pagamento almeno parziale dei creditori o la dimostrazione di incapienza, con eventuale esdebitazione del meritevole). Quindi, a livello teorico sì, un debitore persona fisica può liberarsi dei debiti tributari residui attraverso procedure concorsuali personali.
D: Se il liquidatore paga con soldi propri i debiti tributari della società per evitare l’azione di responsabilità, poi può rivalersi su qualcuno?
R: Potenzialmente sì, ma con scarse prospettive in molti casi. I possibili bersagli:
- i soci, per indebito arricchimento: se il liquidatore ha pagato imposte che invece i soci avrebbero dovuto subire come riduzione dell’attivo (ad esempio, per evitare guai paga €50k di IVA e così i soci hanno potuto prendere di più), potrebbe chiederne la restituzione ai soci. Di fatto diventerebbe un creditore della società (ormai estinta) e dei soci successori. Potrebbe usare l’art. 2495 c.c. analogicamente: come un creditore che ha pagato un debito sociale. Ma attenzione, se li ha pagati dopo la cancellazione, la società non c’è più, dovrebbe citarli singolarmente arricchiti. Difficile ma non impossibile: potrebbe sostenere la surrogazione nei diritti dell’Erario o la ripetizione dai soci di quanto indebitamente percepito.
- gli amministratori precedenti, se la situazione debitoria è dovuta a loro inadempienze: ad esempio, se il liquidatore ha dovuto pagare imposte perché l’amministratore precedente non aveva versato acconti o aveva frodato il fisco, il liquidatore potrebbe valersi di un’azione di responsabilità contro di lui per danni (basata sul fatto che la sua malagestio ha causato un danno poi riversatosi sul liquidatore).
- eventuali professionisti che abbiano indotto errore? Ipotesi remota: se un consulente avesse dato parere di distribuire e poi emerge il debito, magari il liquidatore potrebbe tentare un’azione per colpa professionale.
In pratica però, queste rivalse sono complesse, costose e dall’esito incerto. Molto dipende se i soci o ex aministratori hanno beni e se si ravvisa una loro colpa specifica. Spesso il liquidatore che sborsa preferisce considerarlo il prezzo della chiusura. Nulla però vieta di tentare: ad esempio i soci (che hanno beneficiato di distribuzioni) potrebbero essere chiamati in giudizio civile per restituire pro-quota ciò che il liquidatore ha pagato al fisco al loro posto.
Tabelle riepilogative
Di seguito alcune tabelle riassuntive per fissare i punti chiave:
Tabella 1 – Obblighi e responsabilità patrimoniali di liquidatore, amministratori e soci (scenario società di capitali)
Soggetto | Obblighi verso il Fisco | Responsabilità per debiti tributari | Norme di riferimento |
---|---|---|---|
Liquidatore | – Pagare imposte dovute con le attività della liquidazione– Presentare dichiarazioni fiscali durante la liquidazione– Rispettare prelazione dei crediti tributari (prima dei chirografari, dopo crediti più privilegiati) | Sì, se non rispetta gli obblighi:– Risponde in proprio delle imposte non pagate se ha assegnato beni ai soci prima di soddisfare il Fisco o ha pagato creditori inferiori lasciando imposte insolute.– Importo dovuto limitato alle imposte che trovavano capienza (attivo malgestito). | Art. 36 co.1 DPR 602/73Art. 117 co.1 TU 33/2025 (nuovo)Art. 2495 c.c. (colpa) |
Amministratore in carica allo scioglimento (se nessun liquidatore) | – Stessi doveri del liquidatore in assenza di questo (concludere affari pendenti, soddisfare creditori) | Sì, in assenza di liquidatore formale assume egli la responsabilità sui tributi non pagati alle medesime condizioni del liquidatore. | Art. 36 co.2 DPR 602/73 |
Amministratori precedenti (ultimi 2 anni pre-liquidazione) | – Gestione diligente anche in vista possibile liquidazione (non dilapidare attivo) | Sì, possibili corresponsabili se:– Hanno compiuto operazioni di liquidazione di fatto (vendite di beni, pagamenti anticipati) negli ultimi 2 anni pre-liquidazione– Oppure hanno occultato attivo (es. beni non contabilizzati) pregiudicando il pagamento di imposte.In tal caso, estensione responsabilità in solido. | Art. 36 co.4 DPR 602/73(+ possibile concorso in reati tributari es. art.11) |
Soci della società | – Nessun obbligo di pagamento diretto durante la vita sociale (ricevono semmai utili netti di tasse) | Sì, in certi casi limitati:– Se hanno ricevuto denaro o beni sociali negli ultimi 2 esercizi prima della liquidazione, o durante la liquidazione, e ci sono imposte non pagate, ne rispondono fino a concorrenza del valore ricevuto.– Se non hanno ricevuto nulla, non pagano nulla.(Indipendentemente, ex soci rispondono ai creditori anche ex art. 2495 c.c. fino alle somme avute in base al bilancio finale). | Art. 36 co.3 DPR 602/73(presunzione valore pro quota)Art. 2495 c.c. ultimo comma |
Socio illimitatamente responsabile (snc, accomandatario) | – Deve provvedere a pagare i debiti sociali se società non paga (responsabilità ex lege civile solidale) | – Sì, ma non per art. 36 (che è superfluo per lui): risponde comunque illimitatamente di tutti i debiti tributari sociali, anche dopo scioglimento (in proprio).– Non c’è limite di importo se non quanto pagato dai creditori su attivo sociale (beneficio escussione).– Procedura: il Fisco può iscrivergli a ruolo il debito tributario della società in solido. | Art. 2291 c.c., Art. 2312 c.c. (società persone)Art. 36 applicabile solo se assegnazioni a soci limitati (accomandanti) |
Note: le “maggiori responsabilità stabilite dal codice civile” indicate nella norma significano che restano ferme eventuali azioni per danni o responsabilità ulteriori (es. atti di mala fede, reati) a carico di liquidatori/amministratori/soci secondo le regole ordinarie.
Tabella 2 – Reati tributari comuni in liquidazioni societarie
Reato (D.Lgs. 74/2000) | Condotta | Soggetto attivo tipico | Soglia di punibilità | Sanzione penale | Note/Difese |
---|---|---|---|---|---|
Omesso versamento ritenute certificate (art. 10-bis) | Mancato versamento, entro il termine previsto, di ritenute fiscali su redditi (lavoro dip., autonomo) risultanti da certificazioni, per importo > soglia. | Sostituto d’imposta (es. amministratore/liquidatore che non versa ritenute trattenute ai dipendenti, collaboratori). | €150.000 per anno di imposta. | Reclusione 6 mesi – 2 anni. | – Consumazione al momento della scadenza (di regola 16 del mese).– Dolo richiesto (anche eventuale).– Non punibile se l’omissione dipende da cause non imputabili sopravvenute alla corresponsione delle somme (nuovo art. 13 co.3-bis).– Extinguibile se si paga tutto (imposta+interessi+sanzioni) prima del dibattimento (causa di non punibilità per pagamento integrale). |
Omesso versamento IVA (art. 10-ter) | Mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine (di regola 16/09 anno successivo). | Legale rappresentante (amministratore o liquidatore in carica alla scadenza). | €250.000 per anno. | Reclusione 6 mesi – 2 anni. | – Consumazione il 18esimo mese successivo a chiusura periodo IVA (termine di versamento saldo).– Stesse considerazioni di dolo ed esimenti dell’art. 10-bis (vedi sopra). Cassazione molto rigorosa sulla forza maggiore: la crisi finanziaria normale non basta.– Esempio: Liquidatore subentra prima del 16/9 e non versa IVA dichiarata €300k = reato a suo carico; se subentra dopo 16/9, reato a carico ex amministratore, lui no. |
Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11) | Compiere atti simulati o fraudolenti sui propri o altrui beni al fine di evitare il pagamento di imposte o sanzioni. (Es: occultare o distrarre beni prima che il fisco li possa pignorare). | Qualunque debitore d’imposta (amministratore che dispone dei beni sociali, socio che riceve beni occultando la finalità, ecc.). | €50.000 di imposte sottratte (considerate per singola imposta e periodo). | Reclusione 6 mesi – 4 anni. | – Reato di pericolo: basta l’atto fraudolento compiuto con dolo specifico, anche se il debito non è ancora scaduto.– Tipico in liquidazioni “fraudolente” dove si svuota la società a beneficio di soci/terzi lasciando il fisco a mani vuote.– Esempi: vendita sottoprezzo a terzi compiacenti; costituzione di un fondo patrimoniale con i beni aziendali; distruzione di beni registrati per non farli pignorare.– Spesso concomitante a bancarotta fraudolenta se interviene fallimento. |
Omessa dichiarazione (art. 5) | Mancata presentazione di dichiarazione annuale dovuta (IVA, redditi) entro 90 gg dal termine. | Legale rappresentante obbligato a dichiarare. | €50.000 imposta evasa (per dichiarazione) | Reclusione 1.5 – 4 anni. | – Possibile nel contesto liquidatorio se il liquidatore “dimentica” di presentare l’ultima dichiarazione e c’erano imposte dovute consistenti.– Dolo specifico di evadere. Se era semplicemente un errore senza imposta evasa, non c’è reato ma solo sanzione amministrativa per omissione dichiarativa (se zero imposta, sanzione fissa). |
Dichiarazione infedele (art. 4) | Indicare elementi attivi inferiori al vero o passivi fittizi in dichiarazione, superando soglie. | Legale rappresentante. | – €100.000 imposta evasa– e >10% discrepancy (o >2M attivi non dichiarati). | Reclusione 2 – 4.5 anni. (Soglie più alte se IVA > €1,5M). | – Meno probabile in liquidazione, salvo false indicazioni nel bilancio finale rilevanti fiscalmente.– Esempio: liquidatore gonfia costi per ridurre IRES finale, evadendo oltre 100k. |
(Nota: i reati sopra non includono altri meno comuni come emissione di fatture false – che in liquidazione può emergere come stratagemma – o indebite compensazioni.)
Tabella 3 – Procedura di riscossione e misure esecutive (post accertamento ex art. 36)
Fase | Descrizione | Riferimenti |
---|---|---|
Accertamento della responsabilità | – Atto motivato notificato a liquidatore/socio dall’Agenzia Entrate.– Contiene importo di imposte (no sanzioni) richiesto in solido. Liquidatore ha 60gg per pagare o ricorrere.– Se ricorre, giudizio avanti Commissione Tributaria (Corte Giust. Trib.)– Se non ricorre (o dopo sentenza definitiva pro Fisco), importo diventa esigibile. | Art. 36 co.5-6 DPR 602/73D.Lgs. 546/92 (processo tributario) |
Titolo esecutivo e affidamento ad AdER | – L’accertamento non pagato diventa esecutivo decorsi i termini.– L’ufficio può iscrivere a ruolo l’importo dovuto dal responsabile e affidarlo ad Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia).– In molti casi l’accertamento stesso vale come titolo (accertamento esecutivo) e dopo 60gg +30gg AdER può agire.– Viene assegnato un “numero di ruolo” e l’importo è ora un debito personale del liquidatore verso AdER. | Art. 29 D.L. 78/2010 (accertamento esecutivo modificato da L.160/2019). |
Notifiche di riscossione | – AdER notifica eventualmente una comunicazione di presa in carico o una cartella di pagamento (in teoria la cartella non sarebbe necessaria se accertamento è esecutivo, ma in prassi a volte viene emessa per creare titolo proprio di riscossione).– Se il debito è da accertamento esecutivo, può inviare direttamente una intimazione di pagamento (art. 50 DPR 602) dando 5gg per pagare prima di esecuzione.– Per importi rilevanti, notifica di preavviso di ipoteca (se >€20k) o preavviso di fermo (se >€1k) con 30gg di tempo per pagare ed evitare tali misure. | DPR 602/73 artt. 50 (intimazione), 77 (ipoteca), 86 (fermo). |
Misure cautelari | – Fermo amministrativo: blocco dei veicoli intestati al debitore. Preavviso con 30gg, se non paga iscrizione fermo al PRA.– Ipoteca: iscrizione ipotecaria su immobili di proprietà del debitore a garanzia del credito. Preavviso 30gg. Non porta a esproprio immediato ma garantisce l’Erario. | (Limiti: no ipoteca se debito < €20k;no ipoteca su “prima casa” se unica casa e residenza del debitore; AdER comunque spesso iscrive ipoteche su altri immobili). |
Pignoramento beni | – Presso terzi (conto corrente, stipendi): AdER può ordinare alla banca di congelare le somme presenti fino a concorrenza debito (dopo 60gg da notifica titolo). Oppure notificare al datore di lavoro un atto di pignoramento di parte dello stipendio (con limiti: 1/10-1/5). Il debitore riceve copia. Se entro 60gg dall’intimazione non si paga, AdER può procedere senza ulteriore avviso al pignoramento.– Mobiliare diretto: ufficiale giudiziario può pignorare beni mobili del debitore (macchinari, auto non registrate al PRA, etc.) e metterli all’asta.– Immobiliare: se debito > €120k e non esistono altri beni aggredibili, AdER può pignorare immobili (salvo abitazione principale esente), trascorsi almeno 30gg da preavviso ipoteca e 6 mesi da intimazione senza pagamento. Segue procedura esecutiva con tribunale. | DPR 602/73 art. 72-bis (conto), 72-ter (stipendi), 76 (limiti espropriazione immobiliare).CPC per modalità vendite. |
Pagamenti a seguito di esecuzione | – Le somme pignorate su conto vengono assegnate al Fisco (dopo 60 gg se il debitore non si oppone o chiede conversione). Idem per stipendio: il datore versa ogni mese la quota a AdER finché ordine revocato.– Se beni mobili/immobili venduti, il ricavato (detratte spese) va in pagamento dei crediti (qui il Fisco spesso è creditore unico o privilegiato, quindi prende tutto fino a concorrenza del suo credito). | Liquidatore/socio perde la proprietà dei beni venduti ed è liberato per la quota di debito soddisfatta. Se rimane scoperto, AdER può reiterare su altri beni (fino a soddisfo totale). |
Sospensioni e accordi | – Il debitore può chiedere rateazione del carico: ottenendola, evita nuove azioni esecutive (quelle in essere possono essere sospese una volta pagata la prima rata, e restano sospese finché rate in regola).– In caso di ricorso pendente, il debitore può chiedere all’AdE (ente impositore) la sospensione amministrativa dell’esecuzione fino a esito causa (l’AdE può concederla o no). In alternativa può chiedere al giudice tributario la sospensione giudiziale cautelare.– Definizioni agevolate: se interviene una legge di “rottamazione” delle cartelle o simili, anche il debito del liquidatore (che di fatto genera una cartella a suo nome) può essere definito secondo quelle norme (pagando solo parte dei dovuti).– Opposizioni: il debitore può fare opposizione all’esecuzione solo per vizi formali o di pignoramento (es. se AdER procede su bene impignorabile). Non può più discutere nel merito del debito tributario in sede civile ordinaria. | Rateazione: art. 19 DPR 602/73 (fino 72 rate, o 120 se grave e comprovata difficoltà).Sospensione amm.: art. 52 D.Lgs. 112/99 (riformato dal 2022, ora nel Testo Unico Riscossione – v. art. 39 DPR 602/73 e art. 43 del D.Lgs 46/1999 per sospensione su ricorso).Definizioni agevolate: normative speciali (es. DL 119/2018, DL 34/2023 etc.). |
Conclusioni
La responsabilità del liquidatore per i debiti tributari, osservata dal punto di vista del debitore (liquidatore stesso o soci coinvolti), è un istituto di salvaguardia per l’Erario che però non opera indiscriminatamente, ma solo in presenza di precise condotte irregolari nella gestione della liquidazione. Un liquidatore attento, che paga i tributi dovuti per quanto possibile e rispetta la graduazione dei crediti, può chiudere la società senza timori di dover rispondere oltre. Viceversa, se nella fretta di chiudere distribuisce attivo ai soci o soddisfa altri creditori a scapito del Fisco, verrà chiamato a rispondere in proprio.
Dal lato dei soci, è essenziale comprendere che incassare attivo da una società in liquidazione mentre vi sono debiti fiscali può esporli a restituire quelle somme al Fisco. I soci di capitali solitamente dormono sonni tranquilli per i debiti sociali, ma l’art. 36 DPR 602/73 ne costituisce un’eccezione importante: il patrimonio sociale non può essere distribuito se ci sono imposte da pagare; se ciò avviene, il Fisco seguirà il denaro e ne chiederà conto.
Si è evidenziato come il legislatore (con la recente riforma del 2025) abbia consolidato queste regole nel Testo Unico sulla Riscossione, segno dell’importanza attribuita alla tutela del credito erariale anche in chiusura di attività. Allo stesso tempo, la giurisprudenza – soprattutto di legittimità – ha affinato l’applicazione pratica, chiarendo i confini della responsabilità:
- di natura civilistica autonoma, accertata in sede tributaria;
- sussidiaria e limitata all’attivo indebitamente destinato altrove;
- esclusa per le sanzioni (che restano alla società);
- compatibile con il generale principio civilistico di cui all’art. 2495 c.c., che anzi viene integrato e rafforzato.
Infine, abbiamo toccato i possibili riflessi penali: questi ricordano al liquidatore che egli non solo potrebbe dover pagare di tasca propria, ma potrebbe anche rispondere penalmente se la scelta di non pagare taluni tributi supera le soglie di rilevanza penale. Ciò costituisce un ulteriore deterrente verso condotte opportunistiche in sede di liquidazione.
Per concludere, dal punto di vista pratico del liquidatore:
- Prima di liquidare, accertarsi di tutti i debiti fiscali e valutare soluzioni (rateazioni, pagamenti parziali) per minimizzare l’esposizione personale.
- Durante la liquidazione, seguire scrupolosamente l’ordine dei privilegi: pagare prima ciò che la legge impone (e il Fisco è tra questi, ai suoi gradi), evitando assolutamente di distribuire utili o capitale se c’è anche solo il dubbio di un debito tributario pendente.
- Dopo la liquidazione, conservare la documentazione (bilanci, quietanze) e, se arriva un’accusa di responsabilità, reagire nei termini con le opportune difese. Spesso, mostrare che non vi fu mala fede e che magari il mancato pagamento fu inevitabile può quantomeno indurre l’Amministrazione (o il giudice) ad una valutazione più equa del caso concreto.
Dal punto di vista di soci e amministratori:
- Evitare di “mettere in tasca” ai soci beni della società in difficoltà fiscale: meglio usarli per sistemare il Fisco, magari trattando un saldo parziale, che rischiare di doverli restituire postumi.
- Gli amministratori non devono pensare di farla franca cedendo il cerino acceso al liquidatore: eventuali loro atti pregiudizievoli restano sotto il radar normativo e giurisprudenziale.
- Le sanzioni tributarie non ricadono su soci/liquidatore: una magra consolazione, perché comunque le imposte (il grosso del debito) sì.
In definitiva, la normativa è equilibrata: consente allo Stato di intervenire erga alios quando l’ente sparisce lasciando debiti fiscali, ma pone condizioni stringenti, a garanzia di chi ha agito correttamente. Liquidare una società richiede dunque non solo capacità contabili, ma anche sensibilità legale per evitare di incorrere nelle maglie di queste responsabilità. Con la conoscenza approfondita di obblighi, rischi e rimedi illustrata in questa guida, professionisti e imprenditori potranno affrontare la liquidazione in modo più consapevole, riducendo il rischio di brutte sorprese future.
Fonti (Normativa e Giurisprudenza)
- Codice Civile: art. 2495 c.c. (Cancellazione della società – responsabilità di soci e liquidatori per debiti sociali insoddisfatti); art. 2312 c.c. (cancellazione società di persone); art. 2741 c.c. (par condicio creditorum, prelazione); art. 2751-bis – 2752 c.c. (privilegi generali per stipendi, contributi, imposte).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602: art. 36 (Responsabilità di liquidatori, amministratori e soci per pagamento imposte in liquidazione). N.B.: abrogato dal D.Lgs. 24 marzo 2025 n. 33 con decorrenza 01/01/2026, confluito nell’art. 117 del Testo Unico seguente.
- D.Lgs. 24 marzo 2025 n. 33: Art. 117 (Testo Unico versamenti e riscossione – “Responsabilità e obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci”). [Nuova formulazione aggiornata dell’art. 36 DPR 602].
- D.Lgs. 74/2000 (Reati tributari): art. 10-bis (Omesso versamento ritenute) e 10-ter (Omesso versamento IVA) – soglie €150k/250k; art. 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte, soglia €50k); art. 5 (Omessa dichiarazione, soglia €50k); art. 13 (Cause di non punibilità – pagamento integrale, e co.3-bis introdotto da D.Lgs. 87/2024 sulle cause non imputabili sopravvenute).
- D.Lgs. 472/1997: art. 8 (Principio di personalità delle sanzioni amministrative tributarie – intrasmissibilità a eredi, soci, ecc.).
- Cass., Sez. Unite Civili, 28/11/2023 n. 32790: conferma natura civilistica autonoma della responsabilità ex art. 36 e afferma che non è necessaria previa iscrizione a ruolo del debito societario: l’accertamento può essere notificato direttamente al liquidatore. Presupposti dell’azione vs liquidatore sono la violazione degli obblighi di liquidazione e il mancato pagamento imposte con attivo disponibile.
- Cass., Sez. Unite Civili, 12/02/2025 n. 3625: sulla responsabilità ex soci per debiti tributari società estinta. Stabilisce che la condizione per agire contro i soci è che abbiano riscosso somme (anche non risultanti formalmente dal bilancio) in base alla liquidazione; onere della prova in capo al Fisco se contestato. Precisa che anche utilità trasferite extra-bilancio o garanzie escusse rilevano. Ribadisce che sanzioni tributarie non si trasferiscono e che i soci rispondono solo fino a concorrenza di quanto ricevuto.
- Cass., Sez. Unite Civili, 26/03/2013 nn. 6070-6072: precedenti SU che già affermavano interpretazione estensiva art. 2495 c.c. rispetto ai soci, cui la SU 2025 ha dato seguito.
- Cass., Sez. V, 17/02/2022 n. 4536: conferma la non retroattività della norma sui 5 anni di sopravvivenza fiscale e che tale termine non si applica a fatti antecedenti il 2014, ma la Corte Cost. ne ha confermato la validità per il futuro.
- Cass., Sez. V, 21/10/2022 n. 30011: intrasmissibilità delle sanzioni tributarie agli ex soci/liquidatori dopo estinzione società. Richiama art. 8 D.Lgs. 472/97 e principio personalistico: i soci sono assimilati agli eredi ai fini delle sanzioni (non ne rispondono).
- Cass., Sez. III Penale, 21/05/2021 n. 20188: “Risponde del reato di omesso versamento IVA, quantomeno dolo eventuale, chi subentra come liquidatore dopo la dichiarazione e prima della scadenza e omette il versamento senza verificare gli adempimenti fiscali”. Esclude che serva coincidenza soggettiva tra dichiarante e obbligato al versamento.
- Cass., Sez. III Penale, 04/04/2025 n. 13134: ribadisce linea rigorosa su crisi di liquidità: non esclude la colpevolezza nell’omesso versamento IVA se non integrata da eventi imprevedibili non imputabili. Conferma validità precedente giurisprudenza nonostante introduzione art. 13 co.3-bis (che comunque richiede prove stringenti delle cause non imputabili).
- Corte Costituzionale, 20/07/2020 n. 142: ha dichiarato non illegittima la norma (art. 28 co.4 D.Lgs 175/2014) che prevede la “sopravvivenza fiscale quinquennale” della società estinta ai fini di accertamento e riscossione.
- Documenti di prassi: Circolare Agenzia Entrate n. 31/E del 30/12/2014 (sul D.Lgs. 175/2014) – chiarisce modifiche art. 36 DPR 602 (presunzione pro-quota per soci, ambito applicativo); Risoluzione AE n. 77/E 2011 (sanzioni non trasmissibili a soci).
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Il liquidatore ha il compito di gestire la fase finale della società, pagando i creditori e ripartendo l’eventuale residuo tra i soci. Se non rispetta l’ordine delle priorità nei pagamenti o non utilizza correttamente le risorse disponibili, può essere ritenuto responsabile in proprio per i debiti tributari non versati. La responsabilità non è automatica: occorre dimostrare che il liquidatore abbia violato i suoi doveri, causando un danno all’Erario.
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Conclusione
Il liquidatore non risponde sempre dei debiti tributari della società: la responsabilità sorge solo in presenza di violazioni specifiche.
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