Impugnazione Atti dell’Agenzia delle Entrate: Guida Pratica Aggiornata

Hai ricevuto un atto dall’Agenzia delle Entrate e vuoi sapere come impugnarlo?
Cartelle, avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione e altri provvedimenti fiscali possono contenere errori di merito o di forma. Impugnarli nei termini di legge è fondamentale per evitare che diventino definitivi e portino a pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive.

Quali atti dell’Agenzia delle Entrate possono essere impugnati
– Avvisi di accertamento per imposte dirette e indirette
– Avvisi di liquidazione per imposta di registro, successioni o donazioni
– Cartelle esattoriali e intimazioni di pagamento
– Atti di recupero di crediti di imposta
– Provvedimenti di irrogazione sanzioni
– Rifiuti di rimborso o dinieghi di agevolazioni fiscali

Termini per impugnare un atto fiscale
– In generale, il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto
– Se non viene notificato, vale il termine lungo: 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza o dal deposito dell’atto
– I termini sono sospesi nel mese di agosto (dal 1° al 31) e in altre ipotesi previste dalla legge
– Anche un solo giorno di ritardo comporta l’inammissibilità del ricorso

Come si presenta un ricorso contro l’Agenzia delle Entrate
– Il ricorso va depositato presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente per territorio
– Deve contenere i dati del contribuente e dell’atto impugnato, i motivi di contestazione, la richiesta al giudice
– Va firmato da un avvocato abilitato, salvo importi di valore molto basso per i quali non è obbligatoria l’assistenza tecnica
– È possibile chiedere anche la sospensione cautelare per bloccare gli effetti immediati dell’atto (es. cartella o pignoramento)

Quali motivi si possono far valere
– Vizi formali: errori di notifica, mancanza di motivazione, irregolarità procedurali
– Vizi sostanziali: calcoli errati, imponibili inesistenti, somme prescritte o già pagate
– Violazione di norme di legge o principi comunitari
– Infondatezza della pretesa tributaria nel merito

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’atto impugnato
– La riduzione di imposte, sanzioni e interessi richiesti
– La sospensione delle procedure esecutive in corso
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– Il riconoscimento di crediti d’imposta o agevolazioni negati

Attenzione: non tutti gli atti fiscali sono immediatamente impugnabili, ma in molti casi è possibile contestarli indirettamente quando producono effetti concreti. Una valutazione preventiva con un avvocato tributarista è indispensabile per capire la strada giusta da seguire.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega come funziona l’impugnazione degli atti dell’Agenzia delle Entrate, quali termini rispettare e quali strategie adottare per proteggerti.

Hai ricevuto un atto dall’Agenzia delle Entrate e vuoi impugnarlo?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la legittimità dell’atto, predisporremo il ricorso e ti assisteremo in ogni fase della difesa.

Introduzione

La guida illustra in modo approfondito le modalità di impugnazione degli atti dell’Agenzia delle Entrate – dal punto di vista del contribuente/debitore – aggiornando al luglio 2025 gli aspetti normativi e giurisprudenziali più recenti. Si considerano in particolare: avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione, provvedimenti sanzionatori, ruoli e cartelle di pagamento, intimazioni di pagamento e atti esecutivi (iscrizioni ipotecarie, fermi, pignoramenti), nonché i dinieghi di autotutela e altri atti (ad es. rifiuto di restituzione, rigetto di agevolazioni). Viene dato risalto anche alle novità sul processo tributario telematico (PTT), illustrando gli effetti pratici delle modifiche normative e i profili critici emersi. Dove opportuno, si riportano massime e principi tratti da recenti pronunce della Corte di Cassazione e della giurisprudenza tributaria (con riferimenti normativi e casi concreti), nonché tabelle sinottiche e Q&A per facilitare la consultazione.

Quadro normativo generale e atti impugnabili

L’impugnazione degli atti tributari è regolata dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (c.d. Codice del Processo Tributario, CPT). L’art. 19 elenca tassativamente gli atti impugnabili dal contribuente e l’oggetto del ricorso. In particolare, il comma 1 stabilisce che “il ricorso può essere proposto avverso” – tra gli altri – l’avviso di accertamento, l’avviso di liquidazione, i provvedimenti che irrogano sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento, l’avviso di mora, l’iscrizione ipotecaria (ai sensi del DPR 602/1973), il fermo amministrativo di beni mobili registrati, gli atti catastali agevolativi, nonché il rifiuto (espresso o tacito) della restituzione di tributi o delle istanze di autotutela (comma g, g-bis, g-ter). Altri atti espressamente elencati sono il diniego o la revoca di agevolazioni e il rigetto di domande di definizione agevolata (lett. h), nonché il rigetto dell’istanza di procedura amichevole internazionale (lett. h-bis). Infine, sono impugnabili “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità”. In sostanza, l’elenco degli atti impugnabili è tassativo, benché l’art. 19 lett. i) lasci aperta la possibilità di forme speciali previste da leggi specifiche.

Il comma 3 dell’art. 19 precisa che ciascun atto impugnabile può essere contestato solo per i propri vizi e che, se un atto autonomamente impugnabile non è stato notificato al contribuente, questo può essere impugnato “unitamente” all’atto successivo che ha invece la notifica. In altri termini, non notificare un avviso o un provvedimento non preclude al contribuente di far valere quel vizio d’atto quando impugni il successivo atto notificato, purché lo faccia con il primo ricorso utile. Ad esempio, se un contribuente non ha ricevuto un primo avviso di accertamento ma riceve poi una cartella di pagamento derivante da quell’accertamento, potrà impugnare la cartella citando anche il vizio di mancata notifica del precedente avviso. In ogni caso, solo gli atti espressamente indicati dall’art. 19 sono autonomamente impugnabili; tutti gli altri atti (ad es. semplici comunicazioni, riscontri istruttori, solleciti di pagamento non formali) non lo sono singolarmente, salvo che non abbiano effetto sostanziale deciso dalla legge.

La normativa prevede che gli atti impugnati contengano l’indicazione del termine di proposizione del ricorso e della Commissione Tributaria competente. Di regola, il termine per impugnare è di sessanta giorni dalla notifica dell’atto (art. 21 c.1). L’avviso di accertamento e ogni altro atto elencato in art. 19 lett. a-h vanno dunque impugnati entro 60 giorni dalla data in cui il contribuente ne ha avuto formale conoscenza. La notificazione della cartella di pagamento equivale anche a notificazione del relativo ruolo (art. 21 c.1). Per contro, in caso di diniego tacito di restituzione o autotutela (art. 19, comma 1 lett. g e g-bis), il ricorso può essere proposto dal novantesimo giorno successivo alla domanda, in ogni caso fino a quando il diritto non si prescriva. In altre parole, se l’Agenzia non si pronuncia entro i termini di legge su una richiesta di restituzione o su un’istanza di autotutela presentata in tempo utile, il contribuente può impugnare il silenzio-rifiuto oltre 90 giorni dal deposito dell’istanza (ma comunque entro i termini di prescrizione del diritto).

L’oggetto del ricorso è il decreto di annullamento dell’atto impugnato o la rideterminazione del tributo contestato, e il giudizio tributario è di merito (non un mero riesame formale). In altre parole, il contribuente chiede che l’atto impositivo venga annullato o rideterminato, anche materialmente, in base a nuove valutazioni di fatto e di diritto; il giudice tributario non si limita a un controllo formale ma può valutare la correttezza sostanziale della pretesa fiscale, sempre nei limiti delle censure del ricorso e del petitum delle parti. Va ricordato inoltre che, per gli avvisi di accertamento e liquidazione, il contribuente ha diritto a ricevere una motivazione completa e chiara dell’atto notificato (cfr. art. 7 dello Statuto del contribuente, L. 212/2000), e un vizio nella motivazione può costituire valido motivo di ricorso.

Atti impositivi: avvisi di accertamento, liquidazione e sanzioni

Gli avvisi di accertamento (IRPEF, IVA, IRES, IRAP, imposte indirette, ecc.) e gli avvisi di liquidazione sono i provvedimenti impositivi con cui l’Agenzia notificano al contribuente l’accertamento di maggiori imposte o la liquidazione dei tributi non dichiarati. Essi sono espressamente impugnabili ex art. 19 lett. a-b del CPT. L’impugnazione può fondarsi sia su vizi formali (ad esempio carenze di motivazione, difetti di competenza, errori di calcolo) che su vizi sostanziali (riconoscimento di spese non dedotte, contestazione di scelte interpretative, ecc.). In sede di ricorso, il contribuente dovrà dimostrare l’illegittimità dell’atto; il giudice tributario potrà anche ricalcolare l’imponibile o l’imposta, se necessario, sempre nei limiti delle censure mosse (cfr. Cass. n. 23714/2019, n. 22400/2014). La strategia difensiva è spesso focalizzata sulla mancata prova di elementi fondamentali: ad esempio, la mancata regolare notifica dell’avviso (cfr. infra), violazioni del contraddittorio interno o prescrizioni del diritto tributario.

Negli ultimi anni la giurisprudenza di legittimità ha posto molta attenzione alla regolarità delle notifiche degli atti impositivi. In tema fiscale, la notifica all’estero o in caso di irreperibilità deve seguire regole rigorose (DPR 600/1973, art. 60). La Cassazione, confermando orientamenti precedenti, ha ribadito che la semplice annotazione “sconosciuto” o “irreperibile” sulla relata di notifica, senza indicare con precisione le ricerche compiute dal messo notificatore, non è sufficiente a validare la procedura. In particolare, con ordinanza n. 14990 del 4 giugno 2025 la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente annullando la decisione della Commissione Tributaria Regionale: il giudice di merito aveva ritenuto valida la notifica effettuata con il rito degli irreperibili (tramite deposito in casa comunale e successivo avviso) ma la Cassazione ha sottolineato che il messo non aveva certificato quali ricerche diligenti fossero state svolte per rintracciare il destinatario. Di conseguenza, la Corte di legittimità ha ritenuto nulla l’intera notifica dell’avviso di accertamento, in quanto priva del necessario diligenza e tracciabilità secondo il DPR 600/1973, art. 60(1)(e). In sintesi: in caso di irreperibilità il notificatore deve descrivere in maniera puntuale (ad es. sopralluoghi, ricerche anagrafiche, contatti telefonici, ecc.) gli accertamenti effettuati; la loro mancanza o genericità (per esempio “irreperibile” senza dettagli) rende la notifica invalida sin dall’origine.

Un altro profilo cruciale è la prova della notifica. La giurisprudenza impone che il contribuente possa contestare la validità dell’avviso mediante tutti gli strumenti di prova offerti dal contenzioso tributario (quali documentale, testimoniale, presunzioni, perizie, ecc.). Ad esempio, se l’atto non è stato materialmente notificato o non è correttamente registrato in giudizio, il giudice deve annullarlo. La Cassazione del 2025 ha, infine, precisato che in un giudizio tributario l’organo giudicante non può spaziare oltre le motivazioni dell’atto impugnato né accogliere motivi “in fraudem legis”; si tratta infatti di un giudizio di merito delimitato da quanto dichiarato dall’Amministrazione nel suo atto e dai motivi esposti nel ricorso.

In pratica, il contribuente deve presentare ricorso dettagliato, indicando l’atto impugnato (con tutti i riferimenti), esponendo chiaramente i motivi di fatto e diritto (ad es. contestazione della rettifica contabile, parametro di riferimento errato, omissioni, ecc.) e allegando tutte le prove (dichiarazioni, documenti contabili, perizie, testimonianze, ecc.). Il difensore è tenuto a sottoscrivere il ricorso e a depositare l’originale in Commissione entro 30 giorni (cfr. oltre). L’Ufficio impugnato, a sua volta, potrà resistere con controricorso illustrando le proprie ragioni, depositando motivazioni integrative e documenti entro i termini di legge.

Atti della riscossione e richiesta di pagamenti

Cartella di pagamento e ruolo esattoriale.

Il ruolo esattoriale è l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (o l’ex Equitalia) chiede il pagamento forzoso di tributi, sanzioni e interessi scaduti. La cartella di pagamento è il documento recapitato al contribuente, contenente l’invito a pagare (dando atto della pretesa erariale) e la diffida ad adempiere entro un termine breve, pena l’avvio delle procedure esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche). Secondo l’art. 19 lett. d) del CPT, il contribuente può impugnare direttamente cartella e ruolo. Tradizionalmente l’impugnazione della cartella di pagamento ha lo stesso termine di 60 giorni, ma si discute se esso inizi dalla notifica della cartella stessa o dal ruolo (poiché in realtà il ruolo è già pregresso); la legge prevede che la notifica della cartella equivale a quella del ruolo.

In sede di impugnazione della cartella, in genere il contribuente deve far valere i vizi che già si riferivano agli atti antecedenti (avvisi di accertamento, rettifiche) e quelli propri della cartella (difetti formali, errore nell’indicazione delle somme, ecc.). Se l’avviso di accertamento sulla base del quale è stata iscritta a ruolo la cartella è divenuto definitivo (ad es. perché non impugnato nei termini), di norma non si può discutere nuovamente il merito di quell’avviso in giudizio tributario. Tuttavia, come evidenziato sopra (art. 19 comma 3), se l’avviso stesso non è mai stato validamente notificato al contribuente, esso può essere fatto valere unitamente alla cartella nel medesimo ricorso. In sintesi, l’avvenuta prescrizione o annullamento di pagamenti tributari pregresse può essere rilevata in giudizio tributario solo se il contribuente ha impugnato opportunamente il primo atto valido di notifica della pretesa (la cartella o altro), altrimenti l’Agenzia vedrà consolidato il credito.

Intimazione di pagamento.

L’intimazione di pagamento (art. 50 DPR 602/1973) è un avviso formale con cui l’ente di riscossione invita il contribuente a saldare il debito prima di avviare le esecuzioni forzate. Recentemente la Cassazione (sent. n. 6436/2025, Sez. trib.) ha chiarito che l’intimazione di pagamento è sempre impugnabile davanti alla Commissione tributaria, essendo assimilabile ad un avviso di mora (già previsto dall’art. 19, lett. e) del CPT). In particolare, la Suprema Corte ha affermato che l’intimazione di pagamento “non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione”. Ciò significa che, se il contribuente intende eccepire situazioni estintive del debito (come la prescrizione tributaria) o qualunque vizio relativo al ruolo sottostante, deve impugnare anche l’intimazione di pagamento, altrimenti tali eccezioni saranno precluse. In altri termini, la mancata impugnazione dell’intimazione comporta l’inefficacia di qualsiasi causa di estinzione anteriore: il debito si consolida e non si possono far valere motivi di annullamento o prescrizione precedenti. La Cassazione ha quindi sancito che, a prescindere dalla denominazione, vanno considerati alla stregua di avvisi di mora gli atti che invitano al pagamento prima dell’esecuzione. Questo principio supera orientamenti precedenti e rafforza la tesi che ogni sollecito formale di pagamento ante pignoramento dev’essere impugnato autonomamente per tutelare il contribuente.

Atti esecutivi: ipoteca e fermo.

Gli atti di riscossione coattiva (art. 19 lett. e-bis, e-ter) comprendono altresì l’iscrizione di ipoteca sugli immobili (ex art. 77 DPR 602/1973) e il fermo amministrativo di beni mobili registrati (art. 86 DPR 602/1973). Tali atti sono impugnabili autonomamente (e spesso lo sono in combinazione con la cartella). In tal caso il ricorso si basa non solo sui vizi del ruolo/cartella, ma anche sulla illegittimità specifica della misura cautelare (ad es. carenze nell’iscrizione, violazione di termini, mancata notifica delle somme, difetti di motivazione, ecc.). È opportuno ricordare che le formalità di esecuzione debbono rispettare i principi di proporzionalità e diligenza: ad esempio, l’ipoteca deve essere limitata all’imponibile controverso, non eccedere l’importo dovuto, e deve seguire l’eventuale contenzioso pendente. Se il contribuente ha già impugnato l’avviso o la cartella su cui si fonda l’iscrizione ipotecaria, in genere non può riproporre le stesse questioni ma può verificare l’anteriorità dei pagamenti o eventuali cause estintive sopravvenute.

Impugnazione del diniego di autotutela e altri atti finali

L’art. 19, comma 1 lett. g-bis e g-ter include espressamente tra gli atti impugnabili il diniego (espresso o tacito) di istanza di autotutela che rientri nei casi previsti dall’art. 10-quater e 10-quinquies della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente). L’autotutela tributaria è l’istituto per cui l’Amministrazione può o deve correggere d’ufficio errori o illegittimità nei propri atti. L’art. 10-quater impone infatti all’Agenzia delle Entrate di esercitare obbligatoriamente il potere di autotutela non appena rilevi illegittimità nei presupposti di legge dell’avviso di accertamento (ad es. doppia imposizione, pagamenti già avvenuti, errori materiali). L’art. 10-quinquies, invece, disciplina l’autotutela facoltativa su istanza del contribuente, presupponendo che l’Amministrazione possa sanare errori (ad es. aliquote applicate in modo non previsto, omissioni, ecc.) se il contribuente ne fa richiesta entro i termini di legge. Quando il contribuente presenta una istanza di autotutela (rectius: di rimborso o di cancellazione del tributo) e l’Agenzia la respinge o non risponde nei termini, quel diniego può essere impugnato in giudizio tributario. Il termine per proporre il ricorso decorre dall’atto espresso o dal silenzio (dopo 90 giorni dalla domanda) e, come per altri ricorsi, è di 60 giorni dalla notifica del diniego espresso (o dal compimento del termine del silenzio).

Sul piano pratico, il rilievo del diniego di autotutela in giudizio implica che il giudice verifichi esclusivamente i vizi del diniego stesso (ad es. eccesso di potere, difetto di istruttoria, violazione di legge nello svolgimento del procedimento) e non entri nel merito della pretesa originaria. Se l’atto di accertamento originario non è più impugnabile per altri motivi, si discute solo se il diniego di autotutela sia illegittimo. A questo proposito, la Corte di Cassazione del 25 gennaio 2024 (ordinanza n. 2437) ha ricordato che il sindacato giurisdizionale sul diniego di autotutela può riguardare “soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto” (art. 10 dello Statuto) e non estendere il giudice oltre il perimetro della pretesa gravata dal diniego. In altri termini, il diniego di autotutela non si presta a un giudizio di merito sul tributo stesso, bensì a un controllo di legittimità della decisione amministrativa.

Sono inoltre impugnabili altri atti finali dell’Amministrazione contemplati dal comma h: ad es. il diniego o la revoca di specifiche agevolazioni (ad esempio il rifiuto di concedere esenzioni locali o tributarie), nonché il rigetto delle domande di definizione agevolata delle pendenze tributarie (sanatorie, condoni, rottamazioni). Il comma h-bis aggiunge anche il rinvio alla decisione di rigetto di istanze di accordi pacificatori internazionali (procedure amichevoli UE contro la doppia imposizione). In tali casi, il giudizio si svolge secondo le norme generali del contenzioso tributario, valutando le ragioni che hanno portato all’esito negativo dell’istanza del contribuente.

Termini, forme e competenze del ricorso

Il ricorso tributario si introduce con atto notificato. L’art. 20 del CPT dispone che il contribuente deve notificare il ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente entro il termine di 60 giorni. La notifica avviene mediante raccomandata AR in plico semplice, inviando all’Agenzia delle Entrate (generalmente nella sede che ha emesso l’atto) una copia del ricorso con ricevuta. Ai sensi dell’art. 20 c.2, il momento di proposizione del ricorso è costituito dalla spedizione della raccomandata. In alternativa, dal 2020 il ricorso si deposita telematicamente attraverso il sistema “Registrazione Giudizi Tributari” (Re.GiTrib) utilizzando Posta Elettronica Certificata (PEC) e firma digitale. Anche nel caso di deposito telematico, valgono i termini e i requisiti formali previsti dalla legge.

Il ricorso, come visto, deve essere redatto in forma scritta ed essere sottoscritto dal difensore (artt. 18-19-22 CPT). Dal D.Lgs. 546/92 in poi si richiede sempre un difensore abilitato per i ricorsi davanti alle commissioni tributaria. Il ricorso deve contenere: l’indicazione delle commissioni adite (da quella di primo e secondo grado competenti) e delle parti in causa (ricorrente e Avvocatura dello Stato per l’Agenzia), la nomea dell’ufficio notificato, l’atto impugnato con data e caratteristiche, l’esposizione sintetica dei fatti, i motivi di diritto e le conclusioni richieste al giudice (petitum), nonché il valore della causa. Tutte queste indicazioni sono tassative: ai sensi dell’art. 18 c.2, l’assenza o l’incertezza di elementi essenziali (es. ufficio, atto, difensore, ecc.) rende il ricorso inammissibile. Il ricorso è sottoscritto con firma digitale o inserendo la clausola di conformità, come richiesto dal rito telematico.

Entro 30 giorni dalla spedizione del ricorso, il ricorrente deve costituirsi in giudizio depositando in segreteria la copia completa del ricorso notificato, insieme alla nota di iscrizione a ruolo. La nota di iscrizione contiene l’indicazione dei dati processuali (composizione delle parti, atto impugnato, valore della causa, ecc.). Contestualmente si depositano le prove documentali (documenti contabili, copia del ricorso, ricevute di notifiche e depositi, eventuali perizie, ecc.). In alternativa, se il ricorso è già iscritto tramite PEC, il difensore può produrre l’atto tramite la piattaforma telematica che gestisce anche il deposito del ricorso. Il mancato deposito del ricorso in Commissione entro 30 giorni determina l’inammissibilità dello stesso, salvo che il giudice consenta di sanare l’omissione per gravi motivi.

Terminata l’istruttoria documentale, la Commissione tributaria provinciale fissa l’udienza pubblica per la discussione orale. L’Agenzia delle Entrate, tramite Avvocatura dello Stato, può costituirsi per confutare i motivi di ricorso. Alla data dell’udienza, se l’ufficio non è costituito, il ricorso può essere deciso comunque ex parte. Dopo la discussione viene emessa la sentenza di primo grado. Se una parte è soccombente, può proporre appello alla Commissione tributaria regionale entro 60 giorni (termine da ultimo centrato sulla notifica della sentenza stessa). L’appello riapre il giudizio secondo le stesse regole sostanziali, con possibile riutilizzo delle stesse prove e integrazione di ulteriori motivi di diritto e di fatto attinenti all’originario petitum.

Nel giudizio di appello, la procedura è analoga: deposito del ricorso di appello nella CTP di appello (CTR), costituzione in 30 giorni, discussione. Le motivazioni di appello devono essere attinenti ai fatti dedotti in primo grado e ai motivi di ricorso originali (l’appello non può essere strumentale per introdurre questioni nuove non mosse in primo grado). Dopo l’udienza in CTR, se una parte resiste, si giunge a sentenza d’appello. Contro la decisione di appello è ammesso ricorso per cassazione dinanzi alla Corte di Cassazione (sezione tributaria) per i soli motivi tassativamente previsti dall’art. 360 c.p.c. (violazione di legge, omessa pronuncia su questione rilevante, resistenza alla prova documentale, motivazione carente su punti decisivi). Il ricorso per cassazione non deve essere notificato alla controparte né depositato in segreteria (da ultimo modifiche legislative hanno semplificato l’iter), ma deve essere presentato direttamente alla Suprema Corte entro 6 mesi dalla notificazione della sentenza impugnata.

Importante: l’inosservanza di termini e formalità è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso. In sede di PTT, ad es. la Corte di Cassazione ha ribadito recentemente che la violazione delle regole telematiche (come il formato dei files) non invalida il ricorso se non viene intimato un termine di regolarizzazione dal giudice. Ciò vuol dire che, a differenza del processo civile ordinario, nel processo tributario telematico il deposito in formato diverso da quello richiesto (ad es. PDF invece che EML) può essere sanato dal giudice senza decadenza, se lo ritiene opportuno. Solo un difetto insanabile (mancanza del ricorso o degli atti essenziali) comporta l’inammissibilità «ex officio» in ogni grado. Va sempre controllato che il contributo unificato sia stato versato (se dovuto) e che il fascicolo elettronico contenga tutti i documenti formali, pena possibili conseguenze negative al processo.

Processo tributario telematico (PTT) e criticità operative

Dal 2020 il processo tributario si svolge prevalentemente in via telematica (D.L. 23/2020 conv. L. 40/2020). Ciò implica che ogni atto del giudizio (notifiche, ricorsi, memorie, prove documentali, decreti, sentenze) viene prodotto e depositato esclusivamente per via elettronica. Il contribuente e l’Agenzia utilizzano la Posta Elettronica Certificata (PEC) per le notifiche e il fascicolo processuale è gestito telematicamente dal sistema di Giustizia Tributaria (PCT, poi divenuto PTT). I vantaggi sono la velocità di trasmissione e l’abbattimento dei costi postali, ma sono emerse alcune criticità applicative.

Una fonte di controversie riguarda il formato degli atti e la loro validità formale. In passato alcuni giudici tributari hanno applicato erroneamente regole di processo civile (L. 53/1994) per dichiarare inammissibili ricorsi telematici non conformi (ad es. depositati in PDF anziché EML, o viceversa). Più d’uno ha motivato la decisione facendo richiamo a Cass. civ. n. 16189/2023 (civile) sugli obblighi di notifica nel processo civile, ritenendo dunque invalido l’atto tributario. La problematica è stata recentemente discussa (cd. “sentenze a sorpresa”), e chiaramente risolta dalla prassi: il PTT è regolato da norme specifiche di diritto tributario, non da quelle civili o amministrative. In particolare, l’art. 16-bis, comma 4-bis del D.Lgs. 546/1992 (introdotto nel processo tributario) stabilisce che la violazione delle regole tecniche del PTT non comporta invalidità del deposito, a meno che il giudice non fissi un termine per porre rimedio. La circolare n. 1/E del 2019 dell’Agenzia e la prassi ministeriale hanno chiarito che nel PTT i documenti possono essere depositati in formato PDF o EML indifferentemente, senza automatismi di inammissibilità. Di conseguenza, le pronunce locali di qualche CTP che hanno escluso ricorsi basandosi sulla legge 53/1994 sono errate: secondo l’interpretazione corretta, il giudice tributario deve applicare l’art. 16-bis c.4-bis CPT e, se rileva un vizio formale del deposito (es. formato o timbratura digitale), deve concedere un breve termine per la regolarizzazione. Solo in caso di mancata ottemperanza all’ingiunzione di regolarizzare il deposito, il ricorso può divenire inammissibile.

Un altro nodo operativo riguarda l’attestazione di conformità dei documenti allegati. Secondo la versione originaria del CPT, il difensore doveva attestare che le copie digitali depositate corrispondessero agli originali cartacei in suo possesso. Ciò creava problemi pratici (ad es. quando il cliente forniva solo copie) e rischi di inutilizzabilità dei documenti depositati. Per superare questa rigidità, il decreto correttivo n. 81/2025 (in vigore dal 13 giugno 2025) ha modificato l’art. 25-bis, introducendo il comma 5-bis: ad oggi basta attestare la conformità della copia informatica al documento analogico detenuto (anche fotocopia o copia digitale ricevuta dal cliente), senza obbligo di presentare l’originale. In pratica, il professionista può depositare nei sistemi telematici una scansione o copia ricevuta da terzi, autocertificando che corrisponde all’originale cartaceo in suo possesso. Questo ha reso più snello il processo: ora il giudice tiene conto di tutti gli atti documentali presenti nel fascicolo telematico, purché corredati dalla dichiarazione di conformità al documento analogo del difensore.

Sul piano tecnico, il PTT impone il rispetto di standard specifici: gli atti vanno firmati digitalmente, inseriti in fascicoli secondo le modalità previste dalla piattaforma (Re.GiTrib), e inviati con PEC alle cancellerie tributarie (o depositati via portale). Eventuali errori tecnici (formati non accettati, documenti non allegati correttamente, firme scadute) possono provocare interruzioni o rallentamenti. La normativa attribuisce al giudice il potere di invitare alla regolarizzazione entro termini stretti se rileva difformità. Tuttavia, è ormai prassi consolidata che le commissioni debbano favorire il contraddittorio e dare al contribuente la possibilità di rimediare a errori formali anziché dichiarare subito inammissibile il ricorso.

Alcune criticità operative da ricordare: il contribuente deve sempre verificare di aver corrisposto il contributo unificato obbligatorio (importo fisso variabile per fasce di valore della causa) e di aver allegato la ricevuta di pagamento digitale o la marca da bollo virtuale, se dovuti. In caso di mancato assolvimento di questi oneri, la disciplina tributaria consente al giudice di esonerare dal pagamento o di concedere termine breve per effettuare il versamento, con il solito limite che senza ravvedimento l’omissione può comportare l’inammissibilità. Infine, in ragione del PTT, l’ufficio notificante le sentenze tributarie invia anch’essa i provvedimenti tramite PEC agli indirizzi comunicati, e le parti possono quindi consultare il dispositivo e le motivazioni in via telematica (non sempre vengono inviate copie cartacee).

Principali pronunce e orientamenti recenti

Negli ultimi anni la giurisprudenza di legittimità ha chiarito diversi profili su cui ora fanno leva i contribuenti. Si segnalano in particolare:

  • Cassazione Trib. n. 6436/2025 (11 marzo 2025) – come detto, ha stabilito che l’intimazione di pagamento è atto autonomamente impugnabile (art. 19 c.1 lett. e) e la sua impugnazione è necessaria per eccepire la prescrizione (pena la cristallizzazione del debito). La Corte ha superato l’orientamento in base al quale questo atto era facoltativo, ribadendo invece l’assimilazione all’avviso di mora.
  • Cassazione Trib. ord. n. 14990/2025 (4 giugno 2025) – sulla regolarità della notifica degli avvisi. Nel caso concreto, con riferimento a un avviso di accertamento IRPEF, la Corte ha ritenuto invalida la notifica eseguita con il rito dell’irreperibilità assoluta perché il messo notificatore non aveva indicato quali ricerche fossero state compiute. L’ordinanza conferma l’obbligo di dettagliata attestazione del messo notificatore e sancisce che l’apposizione generica di diciture (“sconosciuto”) rende nullo l’atto impositivo per difetto di notificazione valida. Il principio è orientativo per ogni operatore fiscale: la trasparenza nella notifica è essenziale a tutela del diritto di difesa.
  • Cassazione Trib. ord. n. 4702/2025 (22 febbraio 2025) – sul tema della responsabilità aggravata dell’Agenzia. La Corte ha confermato la condanna alle spese aggravate (ex art. 96 c.p.c., comma 3) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate qualora essa persista in giudizio su tesi giuridiche già ritenute infondate da orientamenti giurisprudenziali consolidati. In quel caso, l’Avvocatura dello Stato aveva proposto motivi non condivisibili (basandosi su ragioni aggiuntive e irrilevanti) e la Cassazione ha stigmatizzato l’atteggiamento dell’Ufficio, ribadendo che il giudizio tributario impone rigore nella difesa degli atti impositivi e che, superata una certa soglia di coscienza dell’orientamento consolidato, l’Amministrazione non può ostinarsi capziosamente. Da quest’ordinanza emerge l’ulteriore principio che il giudice tributario decide la controversia nel merito e secondo diritto, riposizionando la pretesa entro le motivazioni valide dell’avviso impugnato.
  • Cassazione Trib. sent. n. 22108/2024 (5 agosto 2024) – su iscrizione ipotecaria e precedenti vizi. Pur non accessibile direttamente in questo contesto, si segnala che le Sezioni tributarie hanno affermato recentemente l’inderogabilità di eccezioni di merito (come prescrizione o errata qualificazione del rapporto sostanziale) già maturate all’atto impugnato: non si può “rinnovare” una contestazione che il contribuente avrebbe potuto sollevare impugnando il primo atto intermedio, se egli ha omesso di farlo. In altre parole, la mancata impugnazione di un avviso rende definitivo il rapporto fiscale sottostante, come confermato dalla Cassazione. Questo principio, affiancato a quello sulla intemazione di pagamento visto sopra, indica che i tasselli del contenzioso tributario (notifica, avviso, ruolo) devono essere tempestivamente contestati se si vogliono far valere vizi di forma o di legittimità pregresse.
  • Cassazione Trib. n. 19780/2025 (17 luglio 2025) – ordinanza sulla definizione agevolata e diniego di autotutela. La Corte si è pronunciata su un diniego di autotutela privo di contenuto impositivo (ossia che non ribadiva alcuna pretesa tributaria effettiva). Ha stabilito che un diniego del genere non rientra negli “atti definibili” ai sensi della legge di bilancio 2023 (legge 197/2022), e di conseguenza la controversia sul diniego non può essere definita con le modalità agevolative previste da quella legge (art. 1 commi 186 e ss. della L. 197/2022). In sostanza, se con un diniego l’Agenzia non contesta realmente la pretesa dell’avviso iniziale, non può sanare quella posizione con le “definizioni e conciliazioni” previste per le cause di contenzioso. Ciò induce a riflettere che, in futuro, i contribuenti dovranno fare attenzione al contenuto del provvedimento di diniego: un diniego in cui l’ufficio esplicitamente ribadisce i motivi dell’accertamento permetterà il ricorso di “definizione agevolata”, mentre un diniego formale (es. “richiesta irricevibile”) potrebbe escluderlo.

Tabelle riepilogative

Tabella 1: Sintesi atti impugnabili e termini

Atto impugnabileNormativa di riferimentoTermine di impugnazioneGiudice competente
Avviso di accertamento (tutti i tributi)art. 19 lett. a), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP (provinciale) e CTR (regionale)
Avviso di liquidazioneart. 19 lett. b), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP, CTR
Provvedimento sanzionatorioart. 19 lett. c), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP, CTR
Ruolo / cartella di pagamentoart. 19 lett. d), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notifica (cartella)CTP, CTR
Avviso di moraart. 19 lett. e), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP, CTR
Iscrizione ipotecaria / fermo amministrativoart. 19 lett. e-bis, e-ter, D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notifica del provvedimentoCTP, CTR
Atti catastali (op. agevolate)art. 19 lett. f), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP, CTR
Rifiuto di restituzione di tributiart. 19 lett. g), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notifica (rifiuto espresso)CTP, CTR
Diniego (espresso/tacito) di autotutelaart. 19 lett. g-bis, g-ter, D.Lgs. 546/1992– tacito: dopo 90 gg dalla domanda; espresso: 60 gg dalla notificaCTP, CTR
Diniego agevolazioni/condoni (revoca/rigetto)art. 19 lett. h), D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP, CTR
Rigetto procedura amichevole (MAE)art. 19 lett. h-bis, D.Lgs. 546/199260 giorni dalla notificaCTP, CTR
Altri atti autonomi di leggeart. 19 lett. i), D.Lgs. 546/1992vedi normativa specificaCTP, CTR

Note: “Notificazione” si intende la data in cui il contribuente riceve formalmente l’atto (ufficialmente attestata sulla relata). La Commissione Tributaria Provinciale (o di primo grado) è competente in via ordinaria; in appello si va alla Commissione Tributaria Regionale. La notifica della cartella di pagamento vale anche come notifica del ruolo. Per il diniego tacito (art.19 lett. g/g-bis), il termine decorre dal 90° giorno successivo alla presentazione in tempo della richiesta (art. 21 c.2).

Domande frequenti (Q&A)

  • Chi può presentare ricorso? Il contribuente stesso (persona fisica o giuridica), i suoi eredi o aventi causa, può adire la Commissione tributaria. Se il contribuente è impresa o ente, il ricorso deve essere sottoscritto da un professionista abilitato (avvocato o altro soggetto previsto dall’art. 12 CPT). Anche in assenza di procura scritta, la procura si intende apposta in calce all’atto ove è espressa la volontà di adire il giudice; nei tribunali tributari telematici si deposita copia informatica della procura.
  • Quando decorre il termine per impugnare? Il termine (60 giorni) decorre dal giorno successivo a quello di notificazione dell’atto. Se la notifica è eseguita con raccomandata A/R, il contributo del termine è attestato dalla data sull’avviso di ricevimento. Nel caso di notificazione per irreperibilità (deposito in Comune più avviso), si considera spesso la data del deposito presso il Comune come “notifica” e quindi inizia il termine. In generale, si deve far partire il computo dal primo giorno utile (spesso si conteggia come “giorno 1” quello successivo alla relata). Il termine è perentorio: decorso inutilmente, il ricorso diventa inammissibile.
  • Cosa succede se impugno oltre termine? Il giudice, già in primo grado o alla CTR, solleva d’ufficio l’eccezione di tardività se nota (art. 21 c.1 e art. 22 c.1, 5). In mancanza, la parte avversa può eccepirla. Se accolta, il ricorso è dichiarato inammissibile e la controversia si chiude (salvo casi particolari di rimessione in termini, ad esempio per errori di notifica ad opera dell’Agenzia, che richiedono applicazione dell’art. 331 c.p.c. in forza dell’art. 10 dello Statuto).
  • Posso impugnare l’avviso in assenza di domicili in Italia? Sì, in tal caso la notifica può avvenire tramite deposito in Comune e invio di raccomandata come da rito degli irreperibili. Tuttavia, come visto, anche in tali casi il notificatore deve attenersi a procedure rigorose. La pronuncia Cass. n. 14990/2025 ribadisce che anche l’Agenzia ha l’onere di dimostrare di aver attuato tutte le ricerche necessarie prima di qualificare il contribuente come irreperibile.
  • Cosa succede se ricevo un atto dopo la scadenza dei termini di impugnazione? La Corte di Cassazione ha precisato che il “notificato tardivo” non può pregiudicare il contribuente. Se un avviso o una cartella è arrivato oltre i termini stabiliti per la procedura (a volte per errori della posta), il giudice può ritenere che il contribuente non ne fosse a conoscenza nei termini e applicare il principio della irrimediabilità del vizio, ovvero potrà decidere di non considerare tardivi i termini di difesa (art. 2 D.Lgs. 472/1997, art. 20 Statuto del contribuente), rinviando il momento di partenza del termine stesso al momento della effettiva conoscenza. Ciò è consentito purché il contribuente non abbia colpe nell’accertare la notifica (ad es. non risulta nel fascicolo con altra residenza, non ha concesso deleghe a terzi, ecc.). In sintesi, se la notifica è viziata per fatto dell’ufficio, non scatta automaticamente la decadenza del contribuente, se ben motivato.
  • Il diniego di autotutela è un atto finale impugnabile? Sì, come detto, il diniego espresso o tacito è impugnabile ex art. 19 lett. g-bis/g-ter. Ciò presuppone però che l’istanza di autotutela sia stata tempestivamente proposta. Se l’Agenzia non risponde entro i termini (50 giorni per i rimborsi, 120 gg per gli altri casi dall’art. 10-quater), scatta automaticamente il diniego tacito che può essere impugnato dopo 90 gg. Qualora la doglianza principale sia la illegittimità dell’atto impositivo originario, è possibile che il giudice consideri quest’ultimo come oggetto di giudizio: in effetti, pur se formalmente si impugna il diniego, spesso il ricorso mira a ottenere lo stesso risultato di un ricorso all’avviso: l’annullamento dell’atto tributario.

Conclusioni

L’impugnazione degli atti dell’Agenzia delle Entrate è un istituto complesso che richiede attenzione sia ai dettagli procedurali sia alle evoluzioni giurisprudenziali. Al contribuente si raccomanda di soprattutto rispettare i termini di legge, raccogliere le prove documentali in tempo, e considerare tutti gli atti collegati (notifiche, intimazioni, ruoli, ecc.) nel tentativo di difesa. Le novità legislative (D.Lgs. 220/2023 e s.m.i.) e le recenti massime della Cassazione (ordinanze del 2025) sottolineano l’importanza di una strategia difensiva articolata, che tenga conto dei rischi di responsabilità aggravata dell’Amministrazione e delle procedure telematiche. Il processo tributario telematico, con le sue regole specifiche, richiede inoltre una certa dimestichezza informatica e una conoscenza aggiornata delle circolari ministeriali (ad es. sulla conformità dei documenti) e della prassi delle commissioni.

L’obiettivo finale dell’impugnazione è sempre quello di tutelare il contribuente e il suo patrimonio, ottenendo l’annullamento o la modifica dell’atto impugnato entro i limiti consentiti dalla legge. Una difesa efficace si fonda su conoscenza puntuale della normativa tributaria (da citare nei motivi di ricorso), delle sentenze più recenti e sulla capacità di usare adeguatamente strumenti come il processo tributario telematico, le prove testimoniali o peritali quando servono, e le possibili conciliazioni all’esito del giudizio (ad es. in Cassazione sono previste modalità di conciliazione delle controversie pendenti).

Fonti normative e giurisprudenziali

  • D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Codice del Processo Tributario), artt. 19-22 (atti impugnabili, proposizione e termini del ricorso).
  • DPR 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 (notificazioni per irreperibilità).
  • DPR 29 settembre 1973, n. 602, artt. 50, 77, 86 (intimazione di pagamento, iscrizioni ipotecarie, fermi amministrativi).
  • L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente), artt. 10-quater e 10-quinquies (potere di autotutela obbligatorio e facoltativo).
  • D.Lgs. 15 ottobre 2024, n. 81 (decreto correttivo contenzioso tributario, in vigore da 13/6/2025) – in particolare, art. 25-bis (modifica attestazione di conformità nel PTT).
  • D.Lgs. 24 aprile 2024, n. 50 (attuazione della riforma del contenzioso tributario ex L. 197/2022), art. 1 commi 186-190 (conciliazione giudiziale e definizione agevolata) – citato in giurisprudenza.
  • Cassazione Civile – Sezione Tributaria, sentenza n. 6436 del 11 marzo 2025 (intimazione di pagamento impugnabile).
  • Cassazione Civile – Sezione Tributaria, ordinanza n. 14990 del 4 giugno 2025 (notifiche per irreperibilità).
  • Cassazione Civile – Sezione Tributaria, ordinanza n. 4702 del 22 febbraio 2025 (responsabilità aggravata dell’Agenzia; giudizio «di merito»).
  • Cassazione Civile – Sezione Tributaria, ordinanza n. 19780 del 17 luglio 2025 (diniego di autotutela e definizione agevolata).
  • Commissioni Tributarie (provinciali e regionali) – massime e provvedimenti degli ultimi anni citati in giurisprudenza.
  • Agenzia delle Entrate – Circolari e Risoluzioni (in particolare, circolare n. 1/E/2019 su PTT) e normativa UE (dir. 2017/1852 sugli accordi amichevoli).

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate e vuoi sapere se puoi impugnarlo? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate e vuoi sapere se puoi impugnarlo?
Vuoi capire quali sono i termini, le procedure e le strategie migliori per difenderti?

L’impugnazione degli atti dell’Agenzia delle Entrate è il principale strumento di difesa del contribuente contro richieste fiscali ritenute ingiuste o illegittime. Possono essere impugnati avvisi di accertamento, cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento e altri provvedimenti che incidono sulla posizione tributaria. Conoscere le regole aggiornate è fondamentale: i termini per il ricorso sono generalmente di 60 giorni dalla notifica, e il mancato rispetto porta alla definitività dell’atto.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Valuta l’atto ricevuto e verifica se rientra tra quelli impugnabili

📌 Controlla la regolarità della notifica e i termini di decadenza previsti dalla legge

✍️ Predispone il ricorso da presentare alla Corte di Giustizia Tributaria competente

⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nel contenzioso, sostenendo le tue ragioni con argomentazioni tecniche e giuridiche

🔁 Ti assiste anche nelle definizioni agevolate e nelle trattative per ridurre l’importo richiesto


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e difesa da atti dell’Agenzia delle Entrate

✔️ Specializzato in impugnazioni, ricorsi e procedure di definizione fiscale

✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia


Conclusione
Impugnare correttamente un atto dell’Agenzia delle Entrate è essenziale per difendere i tuoi diritti e ridurre il rischio di pagamenti indebiti.
Con una strategia legale mirata puoi annullare o ridimensionare la pretesa fiscale e proteggere la tua attività o il tuo patrimonio.

📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa tributaria comincia da qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!