Contestazioni Su Esterovestizione: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunta esterovestizione societaria?
L’esterovestizione si verifica quando una società risulta formalmente residente all’estero ma, secondo il Fisco italiano, la sede effettiva di direzione e gestione si trova in Italia. In questi casi, l’Agenzia delle Entrate considera la società fiscalmente residente in Italia e pretende il pagamento delle imposte sui redditi prodotti in tutto il mondo. Difendersi è possibile, ma servono prove concrete e una strategia legale mirata.

Quando il Fisco contesta l’esterovestizione
– Quando la maggior parte degli amministratori risiede in Italia
– Quando le decisioni strategiche della società vengono prese stabilmente nel territorio italiano
– Quando i contratti più rilevanti vengono gestiti da uffici o personale in Italia
– Quando i flussi finanziari dimostrano che la gestione effettiva avviene in Italia
– Quando la sede estera è solo formale, priva di uffici, dipendenti o strutture operative reali

Conseguenze di una contestazione per esterovestizione
– Riqualificazione della residenza fiscale in Italia
– Tassazione integrale dei redditi societari da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Applicazione di sanzioni e interessi molto elevati
– Possibili contestazioni per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione
– Rischio di indagini penali nei casi più gravi

Come difendersi da una contestazione di esterovestizione
– Dimostrare con documenti e prove la reale operatività della società all’estero (uffici, personale, contratti, attività economiche)
– Produrre verbali societari, delibere e documentazione che attestino la gestione all’estero
– Contestare presunzioni non fondate o generiche del Fisco italiano
– Far valere convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con il Paese estero di residenza dichiarata
– Dimostrare che la società ha una struttura stabile e indipendente fuori dall’Italia
– Presentare memorie difensive nel contraddittorio preventivo e, se necessario, ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento della riqualificazione della residenza fiscale
– L’eliminazione o riduzione delle imposte e delle sanzioni richieste
– La sospensione di cartelle e azioni esecutive
– La tutela del patrimonio societario e personale degli amministratori e soci
– La certezza giuridica sulla residenza fiscale della società

Attenzione: l’esterovestizione è una delle contestazioni più frequenti in materia di fiscalità internazionale e spesso si basa su presunzioni. La chiave per difendersi è dimostrare la sostanza economica e operativa della sede estera con prove chiare e inconfutabili.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario internazionale e difesa del contribuente – ti spiega cosa fare se ricevi contestazioni su presunta esterovestizione e come proteggere la tua società.

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Introduzione

Cos’è l’esterovestizione: si parla di esterovestizione quando un soggetto (società o persona fisica) formalmente trasferisce la residenza fiscale all’estero con l’unico scopo di sottrarsi al regime fiscale italiano. In pratica, si crea “fittiziamente” una sede estera (spesso in giurisdizioni a fiscalità ridotta) pur continuando a operare sostanzialmente in Italia. Nel caso di persone giuridiche l’esterovestizione è “la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale”. Per le persone fisiche, invece, l’esterovestizione si verifica quando il contribuente “risulta formalmente residente all’estero, ma il Fisco ritiene che la sua vita e i suoi interessi economici siano ancora in Italia”. In entrambi i casi l’amministrazione finanziaria può contestare la residenza dichiarata ed accertare la residenza fiscale in Italia, con conseguenti imposte, sanzioni e interessi (più avanti elenchiamo anche le ripercussioni penali).

Normativa di riferimento

  • Residenza fiscale delle società: ai sensi dell’art.73 del TUIR (DPR 917/1986) una società è considerata fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, ha nel territorio nazionale la sede legale, oppure la sede di direzione effettiva o l’oggetto principale (criteri alternativi). Con la riforma del 2023 (DLgs. 209/2023) sono stati precisati e ampliati tali criteri. Oggi sono tre i criteri alternativi: (i) sede legale (luogo indicato nell’atto costitutivo o statuto); (ii) sede di direzione effettiva – definita come il luogo in cui avviene in maniera continua e coordinata l’assunzione delle decisioni strategiche dell’impresa; (iii) gestione operativa in via principale – introdotta dal 2024: se gran parte della normale attività (produzione, amministrazione ordinaria, operatività quotidiana) si svolge in Italia. In sostanza basta che ricada uno dei tre criteri per essere residenti in Italia. Ad esempio, come chiarito dalla Cassazione, “una società con sede legale a Londra ma di fatto amministrata dall’Italia sarà considerata residente in Italia”. In caso di doppia residenza (due Stati rivendicano la residenza), entrano in gioco le convenzioni contro le doppie imposizioni (tie‑breaker rules) basate sul modello OCSE o sulle procedure amichevoli tra Stati (Mutual Agreement Procedure).
  • Residenza fiscale delle persone fisiche: l’art.2 del TUIR individua i criteri di collegamento per i soggetti (naturalmente residenti o meno). Fino al 2023 i principali criteri erano l’iscrizione nelle anagrafi italiane (AIRE), il domicilio civilistico e la residenza effettiva (oltre i 183 giorni). La riforma dal 1°/1/2024 (art.1 DLgs. 209/2023) ha ridefinito tali presupposti. Ora l’iscrizione all’AIRE costituisce solo una presunzione relativa (iuris tantum) di residenza all’estero, superabile con prova contraria. Sono stati introdotti distintamente tre criteri alternativi di residenza: (i) domicilio nel senso civilistico reinterpretato come luogo dei rapporti personali e familiari prevalenti; (ii) presenza fisica sul territorio nazionale per la maggior parte dell’anno (>183 giorni, conteggiando frazioni di giorno); (iii) centro degli interessi vitali (corrispondente al domicilio o abitudini affettive quando i primi due non risolvono). In pratica, se si vive stabilmente oltre metà anno in Italia, o la famiglia e gli interessi personali sono qui, si è residenti fiscali italiani. Va inoltre tenuto conto che eventuali trattati internazionali (Doppia Imposizione) hanno regole tie-breaker analoghe per le persone fisiche.
  • Presunzioni antielusive: l’art.73, comma 5-bis del TUIR (introdotto nel 2006 e modificato nel tempo) stabilisce una presunzione relativa di residenza in Italia per le società “esterovestite” (holding fittizie). In sintesi, se una società formalmente estera è controllata da italiani e ha funzioni di holding (partecipazioni in Italia), si presume che essa abbia il “centro dei propri affari e interessi” in Italia, spostando a carico del contribuente l’onere di dimostrare il contrario (residenza effettiva all’estero). Similmente, per le persone fisiche era prevista (art.2, comma 2-bis TUIR) una presunzione di residenza italiana quando si trasferiscono in paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list). Questa norma è stata sostanzialmente superata dalle modifiche normative ed è oggi mitigata dalle regole convenzionali: la Cassazione n. 35284/2023 ha infatti stabilito che anche chi si sposta in un paradiso fiscale può far valere i criteri “tie-breaker” delle convenzioni internazionali, superando la presunzione interna.
  • Adempimenti formali: chi intende trasferirsi all’estero deve prestare attenzione alle comunicazioni obbligatorie: la cancellazione dalle liste anagrafiche italiane e l’iscrizione all’AIRE entro i termini di legge (art. 13 DPR 223/1989). Dal 1°/1/2024 la L. 213/2023 ha introdotto sanzioni amministrative (da €200 a €1.000 annui) per chi omette tali adempimenti. Sebbene l’assenza di cancellazione non precluda a priori il rientro fiscale in Italia, oggi la sua rilevanza è solo relativa: l’iscrizione all’anagrafe italiana non basta più a confermare automaticamente la residenza fiscale, se il contribuente dimostra con prove oggettive di aver vissuto e operato effettivamente all’estero.
  • Normativa comunitaria e convenzionale: l’esterovestizione tocca anche principi UE di libera circolazione. La Cassazione ha rilevato che la lotta all’esterovestizione “trova fondamento nel diritto tributario europeo” e nel “dovere costituzionale di partecipare alla spesa pubblica”, estendendo il principio generale alla sottrazione di imposte indirette. In linea con la giurisprudenza europea (ad es. Cadbury Schweppes), la mera convenienza fiscale non impedisce di godere della libertà di stabilimento, ma crea obblighi di prova sul carattere genuino dell’insediamento estero. Il trasferimento all’estero deve avere un’effettiva organizzazione operativa: se lo “stabilimento” risulta puramente artificiale e gestito dall’Italia, l’Unione Europea lo considera abuso di stabilimento.

Giurisprudenza recente

La giurisprudenza tributaria italiana ha chiarito molti aspetti dell’esterovestizione. Alcuni orientamenti chiave sono:

  • Non è abuso del diritto, ma fenomeno fiscale: con la sent. n. 34723/2022 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’esterovestizione non rientra nelle fattispecie di abuso del diritto fiscale (che richiederebbero indagini sulle finalità elusorie), bensì si qualifica come fenomeno di evasione. È sufficiente accertare la presenza di uno dei criteri di collegamento di art.73, comma 3 TUIR, per considerare fiscalmente residente la società nel territorio italiano. Ciò prescinde dall’aver perseguito fini esclusivamente fiscali: basta che formalmente manchi un vero spostamento della gestione.
  • Applicabilità oltre l’IRES: la Cass. 3386/2024 ha affermato che i principi contro l’esterovestizione valgono non solo per le imposte sui redditi, ma anche per le imposte indirette (come l’imposta di registro). Nel caso di un conferimento di immobili italiani a favore di una SRL londinese, la Cassazione ha ritenuto che, se la società estera operava di fatto dall’Italia, si doveva applicare l’imposta proporzionale (anziché quella fissa agevolata) proprio perché “il contrasto del fenomeno dell’esterovestizione societaria assume valenza di principio generale… applicabile non soltanto alle imposte sui redditi… ma anche alle imposte indirette”. In altre parole, i criteri di art.73 TUIR sono «norme di derivazione UE e OCSE» applicabili trasversalmente.
  • Criterio della direzione effettiva: in più sentenze (tra cui Cass. 23150/2022 e Cass. 3386/2024) i giudici hanno valorizzato il concetto di place of effective management. L’art.73 TUIR (comma 3) definisce per legge la “sede di direzione effettiva” come il luogo in cui avviene «la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso». La Cassazione ha confermato che tale criterio internazionale si applica anche alle società UE che formalmente trasferiscono la residenza. Ad esempio, secondo un orientamento recente, se una SRL slovacca interamente controllata da italiani realizzava tutti gli affari in Italia, anche un suo trasferimento in altro Stato UE può costituire “abuso della libertà di stabilimento” se finalizzato a un vantaggio fiscale illegittimo.
  • Casi di persona fisica: anche la Cassazione si è pronunciata sulla residenza delle persone. Un esempio rilevante è la sent. n. 35284/2023 (sul modello congiunto Italia-Emirati) che ha confermato che, per chi si trasferisce in un “paradiso fiscale”, la presunzione di residenza italiana può essere superata applicando i criteri bilaterali (tie-breaker) della convenzione contro le doppie imposizioni. Ciò significa che un contribuente che dimostra tramite i criteri convenzionali di avere il centro degli interessi vitali all’estero può evitare di essere considerato residente in Italia, nonostante sia andato in un Paese a fiscalità privilegiata.
  • Residenza certificata vs prova di fatto: la giurisprudenza ha messo in guardia sul valore del certificato di residenza estera. La Corte di Cassazione ha chiarito che un certificato straniero vale poco se tutti gli indizi (domicilio effettivo, attività economica, famiglia, conti) rimandano all’Italia. In un caso recente la CTR aveva accolto il contribuente basandosi solo sul certificato estero, ma la Cassazione ha annullato, ricordando che “il certificato di residenza all’estero è solo un elemento formale e marginale” se i fatti concreti indicano la gestione in Italia. Quindi gli elementi di fatto (biglietti di viaggio, spese, utenze, contratti, familiari, ecc.) devono essere valutati congiuntamente.

Strategia difensiva

Dal punto di vista del contribuente (debitore), le difese si basano principalmente sulla documentazione di un vero spostamento all’estero e sulla contestazione delle contestazioni del Fisco. In particolare:

  • Documentazione e prove fattuali: è fondamentale raccogliere e conservare documenti che testimonino la reale attività all’estero. Per le società: contratti di locazione di ufficio all’estero con utenze intestate, fatture estere, verbali di CDA tenuti all’estero, organigrammi con amministratori non tutti in Italia, fatturato estero prevalente, ecc. Per le persone fisiche: contratto di affitto della casa estera, iscrizione alla scuola dei figli all’estero, carte di credito estere, certificazioni di lavoro locale, ecc. Tutti questi elementi aiutano a dimostrare che l’“appartamento reale” (place of effective management) è fuori dall’Italia. Nell’ipotesi opposta, qualsiasi indizio di permanenza in Italia (posti letto in alberghi, partecipazione a riunioni in Italia, contratti italiani, ecc.) rafforza la ricostruzione del Fisco sull’esterovestizione.
  • Onere della prova: come precisato dalla Cassazione, l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di collegamento (ad es. direzione effettiva all’estero) spetta al contribuente una volta sorto il dubbio. In pratica, in caso di accertamento – e non già in via preventiva – il Fisco deve indicare elementi presuntivi (indizi) che fanno pensare all’esterovestizione, poi il contribuente deve confutarli con riscontri concreti. L’azione difensiva consiste dunque nel presentare un quadro probatorio ex post che dimostri l’effettiva residenza in Italia o all’estero secondo i criteri applicabili.
  • Interpello e prassi: l’Agenzia delle Entrate ha più volte chiarito che non è possibile ottenere preventivamente dall’interpello disapplicativo un “nulla osta” sulla residenza fiscale. In diverse risposte ad interpello (es. n. 27/2022 e n.164/2023) l’AE ha ribadito che un interpello in materia di residenza è inammissibile, poiché la determinazione della residenza è un fatto complesso che non può essere cristallizzato in astratto. In sostanza, la linea dell’Amministrazione è: non utilizzare l’interpello per sottrarsi al comma 5‑bis del TUIR. Eventuali istanze di interpello disapplicativo sono respinte: si dovranno sempre fornire le prove in sede di accertamento. Un interpello utile in ambito internazionale potrebbe essere solo quello previsto per grandi investimenti (ruling internazionale), ma è uno strumento raro.
  • Compliance e controlli preventivi: una difesa preventiva consigliata è la pianificazione e compliance. In pratica, adottare criteri di governance reali: affidare parte della gestione a dirigenti o amministratori locali, svolgere riunioni decisionali all’estero, nominare manager esteri di fiducia. Il checklist delle “best practice” include avere un ufficio operativo reale all’estero con personale e utenze locali, coinvolgere fiduciari locali nel CdA, mantenere i libri contabili all’estero e avere bilanci certificati nel paese estero. Questi accorgimenti rendono più solida la posizione difensiva in caso di controllo.
  • Assistenza legale specializzata: vista la complessità della materia e le possibili ripercussioni penali, è raccomandabile farsi assistere da professionisti esperti di fiscalità internazionale nella fase di contraddittorio con l’Agenzia e di eventuale contenzioso. In taluni casi specifici può avere senso valutare accordi preventivi col Fisco o il ricorso a strumenti come l’Advance Pricing Agreement (APA) internazionale o i programmi di compliance collaborativa (voluntary compliance) per grandi imprese, ma con limitazioni. In ogni caso, la strategia difensiva ruota attorno alla raccolta di prove oggettive e al presidio degli adempimenti formali.

Sanzioni fiscali e penali

Le conseguenze di un accertamento per esterovestizione possono essere molto gravose:

  • Effetti fiscali: se una società o persona risulta residente in Italia, il Fisco può recuperare tutte le imposte dovute in base al reddito mondiale. Ad esempio, per una società fittiziamente estera si determina l’IRES sui suoi redditi ovunque prodotti e l’IVA sugli scambi internazionali come se fosse italiana. In generale si applicano le sanzioni ordinarie per violazione dichiarativa (omessa o infedele dichiarazione), oltre agli interessi. La Cassazione ha sottolineato che, se si evidenzia un’esterovestizione, verrà contestata l’omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 d.lgs. 74/2000) per la società formalmente estera, che avrebbe dovuto fare la dichiarazione dei redditi in Italia.
  • Sequestro preventivo: nei casi più gravi (specialmente se si configura il reato di omessa dichiarazione) può scattare il sequestro per equivalente dei beni degli amministratori, come effetto consequenziale della frode fiscale. In sostanza, l’attivo societario e i beni personali dei soggetti coinvolti potrebbero essere vincolati per recuperare le imposte evase.
  • Responsabilità penale: l’esterovestizione può integrare i reati tributari previsti dal d.lgs. 74/2000. In particolare, come detto, si inquadra solitamente nell’omessa dichiarazione di redditi (art.5) e/o nella dichiarazione infedele (art.4) se i redditi non sono dichiarati integralmente. La giurisprudenza penale ha affermato che, quando una società estera controllata da italiani risulta “esterovestita”, l’amministratore di fatto può essere perseguito ai sensi dell’art.5 per aver omesso la dichiarazione reddituale “per la società falsamente estera, che doveva essere… sottoposta al regime tributario italiano”. In questi casi i reati si configurano per il falso nella dichiarazione di imposta sui redditi e, in taluni casi, per l’occultamento contabile.
  • Sanzioni amministrative: oltre alle sanzioni penali, scattano le sanzioni tributarie ex DLgs. 471/1997: per omessa dichiarazione i tassi vanno dal 120% al 240% delle imposte dovute. Se la contestazione è puramente formale (ad es. qualifica di residenza), l’Agenzia potrebbe applicare le sanzioni “ridotte” (120% in primo grado, diminuibili in sede contenziosa). Va ricordato inoltre la sanzione specifica (dal 2024) per omissione di iscrizione AIRE: 200–1.000 € per ogni anno di ritardo. Infine, da segnalare che la legge italiana prevede l’irrilevanza penale dell’elusione o abuso di diritto già riscontrati a fini tributari (art. 10-bis L. 212/2000), ma in caso di esterovestizione il Fisco procede con l’accertamento come se fosse evasione tout court.

Domande e risposte (FAQ)

  • D: Una società estera con amministrazione in Italia può essere accusata di esterovestizione se non detiene partecipazioni in Italia?
    R: Sì, è possibile. L’Agenzia ha chiarito che, anche se non scatta la presunzione automatica del comma 5-bis (che richiede partecipazioni italiane), è comunque possibile che la società venga accertata fiscalmente in Italia attraverso i criteri ordinari di art.73 (in particolare la direzione effettiva). In pratica il contribuente non beneficia della presunzione, ma resta valido il concetto che, se di fatto la società è gestita dall’Italia (es. l’amministratore vive qui e prende tutte le decisioni dall’Italia), gli accertatori possono comunque ritenere spostata la residenza in Italia. La differenza è che in questo caso l’onere probatorio non è ribaltato: spetta al Fisco portare elementi indiziari, e al contribuente fornire la prova contraria.
  • D: Posso chiedere un interpello per sapere prima se la mia società estera sarà considerata residente in Italia?
    R: In generale, no. L’Agenzia delle Entrate dichiara inammissibili gli interpelli volti a chiarire anticipatamente la residenza fiscale, perché la residenza dipende da fatti complessi che non si possono cristallizzare preventivamente. Le risposte dell’AE sottolineano che l’interpello disapplicativo può riguardare solo norme che calcolano l’imposta, non norme che stabiliscono il soggetto passivo (come quelle sulla residenza). L’unica via preventiva (in casi eccezionali) è il ruling internazionale per investimenti esteri di grande rilevanza, ma non esiste un “nulla osta” ex ante sull’effettiva residenza. In pratica, l’istante deve valutare in autonomia i fatti e attendere di dare le prove al momento dell’accertamento.
  • D: Un certificato di residenza fiscale rilasciato da un’autorità estera mi protegge dall’accertamento italiano?
    R: No, non automaticamente. Un certificato straniero attesta solo che il paese in questione ti considera fiscalmente residente secondo le sue regole, ma non vincola il Fisco italiano. La Cassazione ha infatti sottolineato che il certificato è un elemento formale (utile in caso di applicazione di convenzione), ma «un certificato di residenza all’estero è solo un elemento formale e marginale» se tutti gli altri indizi dicono che la gestione è in Italia. In altre parole, il contribuente dovrà comunque corroborare il certificato con prove sostanziali (es. atti e spese all’estero) per dimostrare che il centro degli interessi è realmente fuori dall’Italia.
  • D: Se la mia società straniera viene considerata fiscalmente italiana, rischio una doppia tassazione?
    R: L’intento del Fisco italiano sarà quello di tassare i redditi mondiali della società. In teoria, le imposte già pagate all’estero (se dimostrate) possono essere portate in detrazione fino a concorrenza di quelle dovute in Italia sui medesimi redditi. Per esempio, se all’estero è stato pagato €10.000 e l’Italia richiede €15.000 sui medesimi utili, il contribuente dovrebbe versare la differenza (€5.000) come credito d’imposta. Tuttavia, questi meccanismi vanno sempre provati con documentazione (fatture d’imposta estera, certificazioni, ecc.) e, se esiste una convenzione internazionale, si può richiedere una procedura amichevole (MAP) per gestire la doppia imposizione. In pratica, chi effettua esterovestizione paga spesso imposte minime all’estero (in un paradiso fiscale può addirittura non pagarne), per cui l’Italia può rivalersi sulla totalità dei redditi. Chi invece ha versato aliquote comparabili all’estero, deve tenere conto del credito d’imposta per non subire una doppia punizione.
  • D: Quali sono le pratiche consigliate per evitare contestazioni di esterovestizione?
    R: In generale, dare sostanza reale al trasferimento estero. Alcuni consigli concreti: mantenere un assetto operativo effettivo nel paese estero (ufficio locale vero, dipendenti o consulenti locali, utenze e contratti a suo nome); se possibile nominare almeno alcuni amministratori o dirigenti effettivi residenti nel paese estero e non tenere un CdA composto solo da italiani; documentare tutte le decisioni chiave prese all’estero (tenendo verbali delle riunioni internazionali); evitare che la società estera abbia legami eccessivamente stretti con entità italiane (società partecipate in Italia, patrimoni o aziende ancora in capo all’estero in Italia). In sintesi, ogni indicazione – strutturale o comportamentale – deve confermare che le attività e gli interessi sono radicati nel paese estero. Solo così si potrà mostrare che il trasferimento è genuino e non fittizio.

Tabelle riepilogative

Criterio di collegamento (società)Prima del 2024Dal 2024 (DLgs.209/2023)
Sede legaleSede risultante dall’atto costitutivo o statuto (criterio formale)Invariato: ancora sufficiente la sede legale in Italia per prevalenza annua.
Sede di direzione effettiva“Sede dell’amministrazione” (tradizionalmente)Definita come luogo dove si assumono continuamente decisioni strategiche (place of effective management).
Oggetto principale / Gestione ordinariaOggetto principale dell’attività (approssimativo)Gestione operativa in via principale: attività d’impresa quotidiana svolta prevalentemente in Italia.
Effetti fiscali dell’accertamentoSe accertata, tassazione retroattiva dei redditi globali (IRES/Iva)Stesso: redditi di tutte le attività imputati all’Italia.
Trasferimento reale (genuino)Trasferimento fittizio (di comodo)
Iscrizione anagrafica: cancellazione AIRE tempestiva, bollettee conti all’estero intestati al contribuente.Iscrizione: tardiva o assente; permanenza iscritti in Italia.
Abitazione: casa principale all’estero con contratto regolare e bollette locali.Abitazione: casa di proprietà in Italia ancora utilizzata.
Presenza fisica: maggior parte dell’anno (≥183 gg) all’estero (anche frazionati).Presenza: numerosi mesi in Italia (figli ancora a scuola in Italia, vacanze prolungate).
Interessi economici: attività lavorativa/impresa prevalente nel paese estero; conti e investimenti lì; famiglia trasferita con il contribuente.Interessi economici: affari, cariche o titoli ancora in Italia; conti/finanziamenti italiani; famiglia rimasta in Italia.
Documenti: fatture, licenze, dichiarazioni fiscali estere coerenti con attività svolta all’estero.Documenti: contratti o ricevute in Italia incompatibili con residenza estera dichiarata.

Fonti

  • DPR 917/1986 (TUIR), art. 2 (criteri di residenza persone fisiche) e art. 73 (residenza società).
  • DLgs. 209/2023 (modifica criteri residenza fiscale dal 1.1.2024).
  • Cass. civ., Sez. Trib., n. 34723/2022 (definizione dell’esterovestizione come semplice inadempimento, non abuso del diritto).
  • Cass. civ., Sez. Trib., n. 3386/2024 (esterovestizione valida anche ai fini dell’imposta di registro).
  • Cass. civ., Sez. V, n. 23150/2022 (criterio di direzione effettiva, place of effective management).
  • Cass. civ., Sez. V, n. 35284/2023 (residente in paradiso fiscale: prevalgono criteri convenzionali).
  • Cass. civ. (ordinanze 5066 e 5075/2023) e giurisprudenza UE – commento in MorriRossetti (2023).
  • Circolari e risposte interpello Agenzia Entrate (es. circ. 20/E/2024, interp. nn. 27/2022, 164/2023).
  • Ministero dell’Economia, Relazione Illustrativa alla riforma fiscale 2023; documenti parlamentari (DLgs. 209/2023).
  • Giurisprudenza UE: Cass. 3386/2024 richiama Corte UE Cadbury-Schweppes (C-196/04).
  • Fonti normative aggiuntive citate nelle sezioni precedenti.

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Conclusione
Una contestazione per esterovestizione può avere conseguenze pesanti, ma può essere respinta con argomentazioni giuridiche e prove concrete.
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