Vuoi sapere entro quanto tempo è possibile ricorrere in Cassazione in una causa tributaria?
Il ricorso per Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel contenzioso fiscale e serve a contestare soltanto vizi di legittimità della sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. I termini per proporlo sono precisi e inderogabili: conoscerli è fondamentale per non perdere la possibilità di difenderti.
Termine ordinario per ricorrere in Cassazione Tributaria
– Il ricorso deve essere proposto entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado
– Il termine decorre dal giorno successivo alla notifica, non dalla data di deposito della sentenza
– Se la sentenza non viene notificata, si applica il termine lungo previsto dal codice di procedura civile: 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza
Sospensioni e proroghe dei termini
– La sospensione feriale dei termini processuali (dal 1° al 31 agosto) si applica anche ai giudizi tributari, prolungando la scadenza
– Eventuali sospensioni straordinarie previste da norme speciali (es. emergenze sanitarie) possono allungare i termini
– I termini che scadono in un giorno festivo si prorogano automaticamente al primo giorno lavorativo successivo
Quando conviene preparare il ricorso
– Non aspettare la scadenza: un ricorso in Cassazione richiede tempo per analizzare la sentenza, individuare i motivi di legittimità e rispettare i requisiti formali
– È obbligatorio che l’atto sia sottoscritto da un avvocato cassazionista iscritto all’Albo speciale della Corte di Cassazione
– Serve un’analisi approfondita per evitare motivi di inammissibilità, molto frequenti in Cassazione
Perché rispettare i termini è cruciale
– Decorso il termine, la sentenza diventa definitiva e non può più essere impugnata
– Un ricorso tardivo viene dichiarato inammissibile senza esame del merito
– La perdita del termine può comportare il pagamento integrale delle somme contestate e delle spese processuali
Attenzione: il calcolo esatto dei termini richiede la verifica delle modalità e della data di notifica della sentenza, oltre a considerare eventuali sospensioni. Anche un solo giorno di ritardo rende il ricorso inammissibile.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati cassazionisti esperti in contenzioso tributario – ti spiega quali sono i termini per ricorrere in Cassazione Tributaria e come calcolarli correttamente.
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Introduzione
Nel sistema tributario italiano, il ricorso per Cassazione è lo strumento con cui il contribuente (o l’ente impositore) può impugnare le sentenze delle Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie) di secondo grado, davanti alla Corte Suprema di Cassazione. Si tratta del terzo grado di giudizio in materia tributaria, limitato però ai soli vizi di legittimità (errori di diritto o vizi processuali) e non al merito dei fatti accertati. Dal punto di vista del debitore (contribuente soccombente in appello), conoscere con esattezza i termini (cioè le scadenze perentorie) per proporre ricorso per Cassazione è fondamentale: il mancato rispetto di tali termini comporta la definitiva irrevocabilità della sentenza impugnata, con conseguente passaggio in giudicato e cristallizzazione del debito tributario eventualmente accertato. In altre parole, se il contribuente non rispetta le scadenze previste, perde la possibilità di far valere i propri diritti nel giudizio di legittimità e l’atto impositivo o la sentenza sfavorevole diventa definitiva ed esecutiva.
Questa guida fornisce un quadro avanzato e aggiornato a luglio 2025 dei termini per ricorrere in Cassazione in materia tributaria, con riferimenti normativi, prassi e giurisprudenza recente, rivolgendosi sia a professionisti legali sia a contribuenti (privati e imprenditori). Lo stile sarà giuridico ma divulgativo, privilegiando la chiarezza. Oltre ai termini in senso stretto, verranno esaminati casi pratici (ad es. impugnazione di cartelle esattoriali e avvisi di accertamento), recenti riforme del processo tributario (come il D.Lgs. 24 settembre 2023 n. 219 e n. 220) e le ultime pronunce rilevanti della Corte di Cassazione. Non mancheranno tabelle riepilogative, una sezione di Domande e Risposte frequenti e simulazioni di calcolo dei termini, sempre dal punto di vista del contribuente-debitore.
Quadro normativo e recenti riforme del processo tributario
I termini per le impugnazioni nel processo tributario trovano fondamento sia nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (il “Codice” del processo tributario) sia, per rinvio, nel Codice di procedura civile. In particolare:
- L’art. 21 D.Lgs. 546/1992 disciplina il termine per proporre ricorso introduttivo (primo grado) contro un atto impositivo o della riscossione: 60 giorni dalla notifica dell’atto.
- L’art. 51 D.Lgs. 546/1992 (come modificato dal D.Lgs. 156/2015) prevede analogamente 60 giorni per proporre appello (secondo grado) contro la sentenza di primo grado, decorrenti dalla notifica della stessa, salvo il termine lungo di legge.
- L’art. 62 D.Lgs. 546/1992 disciplina il ricorso per Cassazione contro le sentenze di secondo grado, richiamando le norme del c.p.c.: il termine breve è di 60 giorni dalla notificazione della sentenza di appello e, in difetto di notifica, si applica il termine lungo di legge di sei mesi dalla pubblicazione (deposito) della sentenza.
Dal 2022-2024 vi sono state importanti riforme della giustizia tributaria che, pur non alterando direttamente la durata di questi termini, hanno inciso sul contesto processuale e su alcuni istituti correlati:
- La Legge 31 agosto 2022 n. 130 ha riformato l’ordinamento della giustizia tributaria, trasformando le Commissioni Tributarie nelle Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, introducendo giudici tributari professionali e innovazioni come il giudice monocratico per le controversie minori. Ha inoltre previsto incentivi alla deflazione del contenzioso (es. definizione agevolata delle liti pendenti in Cassazione) e modifiche al giudizio di legittimità, ad esempio limitando la possibilità di impugnare per omesso esame di fatti in caso di doppia conforme (doppia decisione conforme nei gradi di merito). In altre parole, se la sentenza di appello conferma integralmente la decisione di primo grado, non è più ammesso il motivo di ricorso per Cassazione riguardante vizi motivazionali di cui all’art. 360 c.1 n.5 c.p.c., perché si presume l’assenza di errori di fatto rilevanti (salvo estremi di nullità). Questa limitazione, mutuata dall’art. 348-ter c.p.c., riduce l’oggetto del ricorso in caso di doppia conforme, ma non modifica i termini per impugnarla.
- La delega fiscale (Legge 9 agosto 2023 n. 111) e i successivi D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 e n. 220 hanno ulteriormente innovato il processo tributario. Il D.Lgs. 219/2023 ha modificato lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) introducendo l’obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale (il contribuente va sentito prima dell’emanazione di atti impositivi, a pena di annullabilità dell’atto) e potenziando l’autotutela. In particolare, è stato previsto che il diniego (espresso o tacito) dell’autotutela obbligatoria e il diniego espresso dell’autotutela facoltativa sono ora atti impugnabili dinanzi alla giustizia tributaria. Ciò significa, ad esempio, che se il contribuente chiede all’ente impositore l’annullamento in autotutela di un avviso manifestamente errato (errori evidenti), ma l’ente rifiuta o non risponde, tale rifiuto può essere impugnato in Commissione/Corte tributaria, entro i termini di legge (di regola 60 giorni dalla comunicazione del diniego espresso, oppure senza limiti stringenti in caso di silenzio – quest’ultimo aspetto è una novità su cui dovrà formarsi la prassi). Questa riforma rafforza la tutela del contribuente debitore, consentendogli di non subire passivamente un atto illegittimo divenuto definitivo solo perché l’ente ha rifiutato di correggerlo: ora il rifiuto stesso diventa oggetto di giudizio.
- Il D.Lgs. 220/2023 ha introdotto il Processo Tributario Telematico obbligatorio (notifiche e depositi solo telematici, salvo eccezioni) e altre misure di accelerazione ed efficienza. Rilevano, per il tema dei termini in Cassazione, due aspetti: (1) viene confermato l’obbligo di depositare il ricorso per Cassazione telematicamente presso la Corte, inclusi tutti gli allegati (sentenza impugnata, relata di notifica, ecc.), a pena d’improcedibilità; (2) sono state rafforzate le tutele cautelari in pendenza di ricorso per Cassazione. In particolare, l’art. 62-bis D.Lgs. 546/1992 (introdotto nel 2015) consente al contribuente, dopo aver proposto ricorso per Cassazione, di chiedere alla Corte la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata se sussiste il rischio di un danno grave e irreparabile. Il D.Lgs. 220/2023 ha modificato il comma 2 di tale articolo, prevedendo che il Presidente della sezione tributaria fissi la trattazione dell’istanza cautelare nella prima camera di consiglio utile, accelerando la decisione. Ciò è di grande importanza per il debitore: ad esempio, se la sentenza di secondo grado lo condanna a pagare un ingente importo, la riscossione può procedere immediatamente (oltre alle eventuali somme già versate dopo il primo grado). Grazie all’istanza di sospensione in Cassazione, il contribuente può ottenere il blocco dell’esecuzione fino alla decisione definitiva, evitando esecuzioni forzate o esborsi irreversibili nel frattempo. Il presupposto resta rigoroso (grave danno e fondatezza del ricorso – il cosiddetto fumus), ma la riforma 2023 garantisce una pronuncia più tempestiva su queste istanze cautelari.
In sintesi, le recenti riforme non hanno modificato i numeri dei termini (rimasti 60 giorni per l’impugnazione breve e 6 mesi per quella lunga), ma hanno inciso sul contesto: oggi il processo tributario è più improntato al contraddittorio anticipato, consente di impugnare più atti (come i dinieghi di autotutela) e rende il ricorso per Cassazione pienamente telematico e più orientato alla sola legittimità. Le sentenze più recenti della Cassazione riflettono queste novità: ad esempio, con l’introduzione dell’obbligo di deposito telematico degli atti introduttivi anche per il giudizio di Cassazione (D.Lgs. 149/2022, riforma del processo civile), la Suprema Corte ha chiarito che se la sentenza di appello è stata notificata via PEC, il ricorrente deve depositare nel sistema telematico l’intero messaggio PEC in formato .eml o .msg come prova della notificazione, pena l’improcedibilità del ricorso. Su questo torneremo più avanti parlando degli adempimenti connessi al rispetto del termine.
Vediamo adesso in dettaglio quali atti si possono impugnare, i termini per farlo nei vari gradi del processo tributario, e focalizziamoci poi sul ricorso per Cassazione.
Atti impugnabili e termini nel processo tributario
Prima di analizzare il ricorso in Cassazione, è utile inquadrare il percorso di un contenzioso tributario, dal punto di vista di un contribuente (debitore d’imposta) che riceve un atto dall’amministrazione finanziaria. Ogni fase ha i suoi termini perentori di reazione:
- Atto impositivo o della riscossione iniziale (esempi: avviso di accertamento, avviso di liquidazione, cartella esattoriale di pagamento, provvedimento sanzionatorio, diniego di rimborso, ecc.): è il provvedimento con cui l’ente impositore (Agenzia delle Entrate, Comune, Agenzia Entrate Riscossione, etc.) avanza una pretesa tributaria o rigetta una istanza del contribuente. Termine per ricorrere (primo grado): 60 giorni dalla notificazione dell’atto, salvo diversa indicazione di legge. Questo è il termine ordinario sancito dall’art. 21 D.Lgs. 546/92. La decorrenza parte dal giorno successivo a quello in cui l’atto viene notificato al contribuente (via pec, posta o messo notificatore). Se il contribuente non impugna entro 60 giorni, l’atto “sfugge” al controllo giurisdizionale e diviene definitivo e incontestabile. Ad esempio: Tizio riceve una cartella di pagamento il 10 gennaio 2025; ha tempo fino all’11 marzo 2025 (in quanto il 60º giorno cade l’11 marzo, considerando gennaio di 31 giorni e partendo dal 11 gennaio come dies a quo) per proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Se non presenta ricorso entro quella data, la cartella non potrà più essere contestata in giudizio. Si noti che alcuni atti “impliciti” hanno regole particolari: ad es., il diniego tacito di rimborso (silenzio rifiuto) non ha un termine breve di 60 giorni, poiché il contribuente può impugnarlo anche ben oltre i 60 giorni dal maturare del silenzio (in quanto il silenzio-rifiuto non viene notificato in una data certa). In tal caso, la giurisprudenza ritiene che il ricorso contro il silenzio sia proponibile finché persiste l’inadempimento dell’Amministrazione, nei limiti del termine di decadenza del diritto al rimborso stesso (spesso coincidente con il termine di prescrizione). Tuttavia, se il contribuente preferisce sollecitare una risposta formale per poi impugnarla, può diffidare l’ufficio a pronunciarsi; una volta ottenuto un diniego espresso, valgono i 60 giorni da quella notifica. Un’altra eccezione è il diniego tacito di autotutela obbligatoria: introdotto dal 2023, anch’esso non ha un provvedimento notificato da cui far decorrere 60 giorni; la norma (art. 10-quater L. 212/2000 introdotto da D.Lgs. 219/2023) prevedrà presumibilmente un termine fisso (ad es. 30 o 60 giorni) oltre il quale il silenzio equivale a diniego impugnabile senza scadenza breve. Sarà la prassi applicativa a chiarire questo aspetto recente.
- Sentenza di primo grado (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex CTP): il contribuente o l’ente che risulti soccombente in tutto o in parte può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). Termine per l’appello: 60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado, ad istanza di parte. Se nessuna delle parti provvede a notificare la sentenza, il termine “lungo” di impugnazione è di sei mesi dalla data di deposito in segreteria della sentenza. Questo termine lungo è stabilito dall’art. 327 c.p.c., richiamato dall’art. 38, co.3, D.Lgs. 546/92. Dunque, chi non ha ricevuto la notifica della sentenza ha sei mesi di tempo dalla pubblicazione (più l’eventuale sospensione feriale, come vedremo) per impugnarla. Ad esempio, Caio riceve (notifica a cura di parte) la sentenza di primo grado il 10 settembre: egli avrà 60 giorni da tale data per appellare (esclusi i giorni dal 1 al 31 agosto se compresi, v. oltre). Se la controparte non gli notifica la sentenza, Caio avrà sei mesi dal deposito (ad es., deposito della sentenza avvenuto il 20 luglio 2024 => termine lungo al 20 gennaio 2025, esteso al 20 febbraio 2025 considerando la sospensione di agosto). Attenzione: l’uso della notifica della sentenza da parte della controparte è spesso strategico. Infatti, notificando la sentenza subito dopo il deposito, la parte vittoriosa in primo grado costringe l’altra ad appellare entro 60 giorni (termine breve) invece di lasciarle l’agio di 6 mesi. Questa tattica è lecita e serve ad “accelerare” la formazione del giudicato. Dal lato del contribuente, bisogna quindi fare attenzione: se si perde in primo grado, può capitare che l’Agenzia delle Entrate (vincitrice) notifichi rapidamente la sentenza; a quel punto i 60 giorni decorrono dalla notifica e occorre attivarsi subito per l’appello (in assenza di notifica invece si avrebbe più tempo, ma non conviene far troppo affidamento su ciò). D’altro canto, se è il contribuente ad aver vinto in CTP, egli può valutare se notificare la sentenza all’ufficio per anticipare il termine breve di ricorso dell’Agenzia (con l’intento magari di arrivare prima al giudicato favorevole); tuttavia questa scelta potrebbe indurre l’Agenzia a ricorrere immediatamente. In pratica, queste notifiche “di cortesia” sono più frequenti da parte dei soccombenti per cautelarsi contro il termine lungo, ma non mancano valutazioni tattiche caso per caso.
- Sentenza di secondo grado (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, ex CTR): è la decisione emessa in appello. Contro di essa è teoricamente possibile proporre ricorso per Cassazione. Diciamo “teoricamente” perché occorre sempre valutare se sussistono motivi di legittimità ammissibili (la Cassazione non è un “terzo grado” di merito). Termine per il ricorso per Cassazione: anche qui 60 giorni dalla notificazione della sentenza di secondo grado, oppure, se la sentenza non viene notificata, sei mesi dalla pubblicazione (deposito). Questi termini sono identici a quelli per l’appello, in forza del rinvio agli artt. 325 e 327 c.p.c. operato dall’art. 62 D.Lgs. 546/92. Per esempio, se la sentenza di secondo grado è depositata il 10 febbraio 2025 e l’Avvocatura dell’Agenzia delle Entrate la notifica al contribuente il 20 febbraio 2025, il contribuente avrà tempo fino al 21 aprile 2025 per proporre ricorso in Cassazione (salvo sospensioni di legge) – e altrettanto varrebbe per l’Agenzia se volesse ricorrere. Se invece la sentenza non viene notificata da nessuna delle parti, il termine lungo scadrà il 10 agosto 2025 (sei mesi), ma attenzione: cadendo tale data in piena sospensione feriale (1-31 agosto), il termine è prorogato di diritto al 10 settembre 2025. In generale, affronteremo a breve i dettagli sul computo dei termini (sospensioni, proroghe). Qui preme evidenziare che, dopo la sentenza di secondo grado, l’onere della notifica per far decorrere il termine breve spetta alla parte che intende accelerare il giudizio. Spesso, se il contribuente è soccombente in appello, è l’ente impositore a notificargli la sentenza, perché così inizia a decorrere il termine di 60 giorni per il ricorso (trascorso il quale, la sentenza diventa definitiva e l’ente può procedere con la riscossione integrale). Se invece il contribuente vince in appello, è meno frequente che l’Amministrazione notifichi spontaneamente la sentenza a se stessa; in quel caso, dunque, il termine lungo di 6 mesi sarà tipicamente quello rilevante per un eventuale ricorso per Cassazione dell’ente. In ogni caso, per prudenza, decorso il termine lungo (sei mesi + sospensioni) senza ricorso, la sentenza passa in giudicato.
Tabella riepilogativa dei termini di impugnazione (brevi e lunghi) nel processo tributario:
Impugnazione | Termine breve (se sentenza/atto notificato) | Termine lungo (se non notificato) | Norme di riferimento |
---|---|---|---|
Ricorso introduttivo (primo grado) | 60 giorni dalla data di notifica dell’atto impugnato | Nessun termine lungo previsto (l’atto diviene definitivo se non impugnato entro il termine breve) | Art. 21 D.Lgs. 546/1992; Art. 18 D.P.R. 602/1973 (cartelle) |
Appello (secondo grado) | 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado | 6 mesi dalla pubblicazione (deposito) della sentenza di primo grado | Art. 51 D.Lgs. 546/1992; Art. 327 c.p.c. |
Ricorso per Cassazione (legittimità) | 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado | 6 mesi dalla pubblicazione (deposito) della sentenza di secondo grado | Art. 62 D.Lgs. 546/1992; Art. 325 c.p.c.; Art. 327 c.p.c. |
(Nota: i termini brevi di 60 giorni decorrono dalla “notificazione ad istanza di parte” della sentenza; i termini lunghi di 6 mesi decorrono dalla “pubblicazione” della sentenza, ossia dal deposito in segreteria. Entrambi sono termini di decadenza per proporre impugnazione).
Come si può notare, 60 giorni è il leitmotiv per tutti i ricorsi nel merito, mentre sei mesi è il termine lungo applicabile alle sentenze (ma non agli atti impositivi originari che, se non impugnati entro 60 giorni, consolidano il debito). La ratio del termine lungo è garantire comunque un limite massimo di impugnabilità per evitare che le cause restino incerte a tempo indefinito. Dal 2009 questo termine lungo è stato ridotto da un anno a sei mesi (oltre la sospensione feriale) per tutti i giudizi civilistici, inclusi quelli tributari, con effetto sui giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009.
Prima di approfondire il caso specifico del ricorso per Cassazione, ricordiamo la questione della sospensione feriale dei termini processuali, che incide sul computo di molti termini sopra indicati.
Sospensione feriale (1º – 31 agosto) e computo dei termini processuali
In Italia vige la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale estivo. Attualmente, per le giurisdizioni civili (e il processo tributario vi rientra), la sospensione opera dal 1º al 31 agosto di ogni anno. Ciò significa che in quel periodo il “decorso” dei termini processuali si interrompe di diritto. Alcuni punti chiave da ricordare:
- Origine normativa: La sospensione feriale era originariamente prevista dal 1º agosto al 15 settembre (46 giorni) dalla L. 742/1969. Dal 2015, a seguito del D.L. 132/2014 conv. L. 162/2014, la pausa è stata ridotta e termina il 31 agosto. Dunque, dal 1º settembre i termini riprendono a decorrere normalmente (anziché dal 16 settembre come accadeva prima del 2015).
- Effetti sul computo: Se un termine inizia a decorre prima di agosto e cade dopo tale mese, bisogna “sospendere il conteggio” durante i 31 giorni di agosto. In pratica, i giorni compresi tra il 1 e il 31 agosto non vengono conteggiati ai fini della scadenza. Ad esempio, se un avviso di accertamento viene notificato il 20 giugno, il termine di 60 giorni ordinario cadrebbe il 19 agosto; tuttavia, il periodo 1-31 agosto è sospeso, per cui il termine finale slitta al 19 settembre. Altro esempio: una sentenza di CTR depositata il 10 febbraio ha termine lungo il 10 agosto; poiché i 6 mesi vanno dal 10 febbraio al 10 agosto, e questo intervallo include tutto il mese di agosto, il termine lungo effettivo diventerà il 10 settembre. In sostanza, se il termine breve o lungo scade all’interno di agosto, esso si proroga automaticamente al 1º settembre (o ai giorni successivi necessari per recuperare quelli di sospensione). Se invece il termine inizierebbe a decorrere in agosto, esso di fatto inizierà a decorrere dal 1º settembre.
- Eccezioni: La sospensione non si applica ad alcune materie tipicamente urgenti (es. procedimenti cautelari, sospensive, ecc.), ma per i ricorsi tributari e le impugnazioni essa si applica regolarmente. Quindi i 60 giorni o i 6 mesi si “allungano” di 31 giorni se nel loro arco rientra agosto. Da notare che la sospensione feriale non si somma due volte: se un termine lungo di 6 mesi attraversa due periodi feriali (ipotesi possibile quando il termine lungo era un anno), oggi che il termine lungo è di 6 mesi può al massimo attraversare un solo agosto. In ogni caso, la sospensione è una sola per ogni periodo processuale.
- Giorni festivi e sabato: A proposito di computo, va ricordato che se il giorno di scadenza cade di domenica o in un giorno festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo (art. 155 c.p.c.). Dal 2012, per espressa modifica normativa, è considerato festivo anche il sabato ai fini della proroga dei termini processuali. Quindi un termine che scade di sabato slitta automaticamente a lunedì. Questo può rilevare per la scadenza dei 60 giorni: es. se i 60 giorni scadono di sabato 10 giugno, si slitta a lunedì 12. I termini espressi in mesi (come il termine lungo di 6 mesi) scadono nel giorno corrispondente del mese di scadenza; se quel mese non ha giorno corrispondente (esempio: sentenza depositata il 30 agosto -> 6 mesi cadrebbero il 30 febbraio, che non esiste), allora il termine scade l’ultimo giorno di quel mese (28 o 29 febbraio) e poi si proroga al giorno lavorativo successivo se festivo.
Riassumendo: dal 1º al 31 agosto il “timer” dei termini è in pausa. Chi deve calcolare la scadenza di un ricorso in Cassazione (o di un appello) deve quindi sempre considerare se il periodo di 60 giorni o di 6 mesi intercetta il mese di agosto; in caso affermativo, va aggiunta la sospensione. Nei nostri esempi pratici più avanti includeremo questa considerazione.
Il ricorso per Cassazione in materia tributaria: termini e procedure
Entriamo ora nel vivo della questione: quali sono i termini per ricorrere in Cassazione tributaria e come si esercita tale facoltà. Immaginiamoci nella posizione del contribuente debitore che, avendo ricevuto una sentenza sfavorevole dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, intenda rivolgersi alla Corte di Cassazione.
Legittimazione e motivi del ricorso per Cassazione
Possono proporre ricorso per Cassazione sia il contribuente sia l’ente impositore soccombenti (in toto o in parte) nel giudizio di appello. In ogni caso, è necessario l’assistenza tecnica di un avvocato iscritto all’albo speciale per le giurisdizioni superiori (c.d. “cassazionista”). Differentemente dai gradi di merito, il contribuente non può stare in Cassazione senza difensore: la legge richiede la firma di un avvocato abilitato ex art. 12, c.5 D.Lgs. 546/92 e art. 365 c.p.c.. Questo è un aspetto importante per il debitore: bisognerà conferire una procura speciale ad un legale cassazionista, che materialmente redigerà e notificherà il ricorso. I motivi di ricorso per Cassazione, come accennato, sono tassativi: errori di diritto (violazione o falsa applicazione di norme), errori processuali (nullità processuale), difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, e vizi relativi alla giurisdizione (es. il giudice tributario ha giudicato una materia non sua). Non è ammesso riesaminare i fatti o le prove, né far valere questioni nuove di merito. Uniche eccezioni riguardano questioni di ordine pubblico rilevabili d’ufficio (es. difetto di giurisdizione, vizi di notificazione iniziale, etc.). Questa premessa serve a capire che il ricorso per Cassazione va proposto solo se sussistono reali motivi di legittimità; diversamente, il rischio è la dichiarazione di inammissibilità e la condanna anche ad un ulteriore contributo unificato (c.d. “raddoppio” previsto dall’art. 13 co.1-quater DPR 115/2002). Dal punto di vista pratico, ciò significa che, prima di proporre ricorso, il contribuente dovrebbe far valutare al proprio legale la sostenibilità giuridica delle censure (magari esaminando anche la giurisprudenza di legittimità sulla questione): un ricorso temerario non solo verrà respinto, ma potrà esporre il ricorrente a ulteriori costi (sanzione per inammissibilità e spese legali).
Chiarito ciò, passiamo ai termini veri e propri e alle modalità di notifica e deposito del ricorso, che vanno di pari passo.
Termine per la proposizione del ricorso per Cassazione (termine breve e termine lungo)
Come già indicato nel riepilogo, anche per il ricorso per Cassazione in materia tributaria vale il termine breve di 60 giorni dalla notificazione della sentenza impugnata e, in mancanza di tale notifica, il termine lungo di 6 mesi dal deposito della sentenza.
Decorrenza del termine: il termine breve decorre dal giorno successivo alla notifica della sentenza di secondo grado al difensore domiciliatario della parte (in genere la notifica avviene via PEC all’indirizzo dell’avvocato costituito). La notifica può essere effettuata a istanza di parte – generalmente dalla parte vittoriosa che intende far decorrere i termini per l’avversario. Il termine lungo decorre invece dalla data di “pubblicazione” della sentenza, cioè il giorno in cui la sentenza, firmata dal giudice, viene depositata in segreteria e ne viene data comunicazione alle parti. Da quel momento, se nessuno notifica la sentenza, trascorsi 6 mesi (più agosto se incluso) la sentenza passa in giudicato. È importante comprendere che la notifica della sentenza non è effettuata d’ufficio, ma solo su iniziativa di parte: infatti la Cancelleria comunica solo il deposito (di solito via PEC) ma tale comunicazione non fa decorrere il termine breve, serve la notifica formale ad istanza di parte. Perciò, finché nessuna parte fa notificare la sentenza, il “timer” dei 60 giorni non parte mai, e l’unico limite resta quello lungo di 6 mesi (che scatta indipendentemente dalla notifica, per garantire stabilità alle decisioni).
Calcolo pratico: Supponiamo che una sentenza di secondo grado venga depositata il 10 aprile 2025. Nessuna parte la notifica. Il termine lungo scade il 10 ottobre 2025, ma in quel periodo c’è agosto, quindi i 6 mesi includono 31 giorni di sospensione: di fatto la scadenza sarà l’10 novembre 2025 (aggiungendo i 31 giorni). Se invece l’Agenzia notifica la sentenza al contribuente in data 5 maggio 2025, allora da 6 maggio decorrono 60 giorni: la scadenza cadrà il 4 luglio 2025 (poiché giugno ha 30 giorni; non vi sono sospensioni in mezzo); se il 4 luglio fosse sabato o domenica, slitterebbe al 6 luglio (primo feriale). Se in questo esempio la notifica fosse avvenuta il 20 giugno 2025, i 60 giorni cadrebbero il 19 agosto, ma essendo agosto sospeso, la scadenza effettiva sarebbe il 19 settembre 2025. Dunque, regola generale: 60 giorni (escluso il dies a quo, incluso il dies ad quem salvo proroga per festivi), sospesi in agosto, oppure 6 mesi (ex art. 327 c.p.c.) sospesi in agosto.
Eccezione per parte rimasta contumace: Va segnalato che se la parte interessata al ricorso per Cassazione era rimasta contumace (non costituita) nel giudizio di appello e prova di non aver avuto effettiva conoscenza del processo per nullità della notifica della citazione in appello, il termine lungo di 6 mesi non si applica nei suoi confronti. Questa disposizione (art. 38, co.3 D.Lgs. 546/92) tutela il contumace inconsapevole: in tal caso il soccombente potrà impugnare la sentenza anche oltre i 6 mesi, tramite revocazione o eventualmente anche in Cassazione deducendo il vizio di notifica. Tuttavia, se una parte è rimasta contumace volontariamente (cioè pur regolarmente avvisata) non gode di questa deroga ed è soggetta ai termini ordinari. In pratica, per il debitore-contribuente è sempre consigliabile costituirsi nei giudizi tributari; qualora non l’abbia fatto e scopra tardi una sentenza a sé sfavorevole, potrà tentare di impugnarla oltre i termini solo se riesce a dimostrare di non averne avuta notizia per un vizio procedurale (onere non facile).
Notifica del ricorso per Cassazione e termine per la “notifica dell’impugnazione”
Una volta deciso di proporre ricorso per Cassazione, la parte ricorrente (attraverso il suo avvocato) deve predisporre l’atto di ricorso e notificarlo alla controparte entro il termine di cui sopra. In ambito tributario, le controparti tipiche sono: l’Agenzia delle Entrate (o Agenzia Entrate-Riscossione) rappresentata dall’Avvocatura dello Stato, oppure il contribuente e gli eventuali coobbligati. La notifica avviene di norma tramite PEC (Posta Elettronica Certificata) all’indirizzo digitale risultante dai pubblici elenchi (per l’Avvocatura dello Stato e per i difensori delle altre parti). È possibile anche la notifica a mezzo ufficiale giudiziario (in proprio via PEC o a mezzo posta) se necessario. Importante: ai sensi della legge 53/1994, per il ricorrente la notifica si considera perfezionata, ai fini del rispetto del termine, al momento dell’invio PEC (se andato a buon fine) oppure, per notifica postale, al momento della consegna all’ufficiale giudiziario. Ciò significa che, ad esempio, se il 60º giorno è una domenica, il ricorrente potrà spedire la PEC lunedì mattina e sarà tempestivo (perché il termine era prorogato al lunedì); oppure se il termine scade il 1º settembre, l’invio PEC eseguito entro le 23:59 di quella data è tempestivo, anche se il destinatario leggerà l’email magari il giorno dopo. Sarà poi fondamentale che il ricorrente alleghi al ricorso le ricevute di accettazione e consegna PEC o la relata di notifica cartacea, come vedremo nel prossimo paragrafo. In caso di notifica tradizionale, vige il principio del “doppio perfezionamento”: per il mittente conta la data di invio, per il destinatario la data di ricezione (ai fini decorrenza di altri termini, es. per il controricorso). Se qualcosa va storto (es.: casella PEC piena, destinatario irreperibile), esistono procedure di rimedio (notifica presso la cancelleria della Corte, ecc.), ma entrano in gioco aspetti tecnici complessi oltre lo scopo di questa guida.
Un caso particolare: ricorso per saltum. La legge (art. 360 c.p.c.) prevede la possibilità che le parti d’accordo rinuncino all’appello e ricorrano direttamente in Cassazione contro la sentenza di primo grado (ricorso per saltum). Ciò richiede che entrambe le parti dichiarino di volersi avvalere di questa facoltà. È ipotesi rara in pratica. In caso di ricorso per saltum, il termine è sempre di 60 giorni dalla sentenza di primo grado notificata o 6 mesi dal deposito di essa, e la rinuncia all’appello dev’essere espressa nell’atto di ricorso. Questa opzione può interessare un contribuente vincitore in primo grado su una questione di puro diritto: se anche l’ente rinuncia all’appello, la questione può essere portata direttamente all’attenzione della Cassazione abbreviando i tempi. Ma, ripetiamo, è evenienza poco comune e comunque necessita di intesa tra le parti, cosa non scontata quando c’è litigiosità. Nella normalità, si passa per l’appello.
Deposito del ricorso in Cassazione e improcedibilità
Un aspetto peculiare del giudizio di Cassazione è che notificare il ricorso non basta: dopo la notifica alle controparti, il ricorrente deve anche depositare il ricorso presso la Cancelleria della Corte di Cassazione entro un termine perentorio. L’art. 369 c.p.c. stabilisce infatti che il ricorso va depositato (telematicamente, dal 2022) entro 20 giorni dall’ultima notificazione eseguita alle parti contro cui è proposto, a pena di improcedibilità. Questo significa, ad esempio, che se il ricorrente notifica il ricorso all’Agenzia delle Entrate in data 1º marzo 2025 e, trattandosi di lite con controparte unica, non vi sono altre notifiche, dovrà depositare il ricorso in Cassazione entro il 21 marzo 2025 (20 giorni dopo la notifica, contando dal 2 marzo). Se invece vi fossero più controparti notificate in giorni diversi, il termine decorre dall’ultima notifica effettuata. Attenzione: il mancato deposito entro 20 giorni comporta l’improcedibilità del ricorso, ossia il ricorso – pur validamente notificato – non verrà esaminato dalla Corte per difetto di una condizione di procedibilità. È un errore fatale ma fortunatamente raro, perché i difensori ben conoscono questa regola. Da notare che il deposito è ora telematico: l’avvocato invia il ricorso tramite il Portale della Giustizia (SIGIT) allegando tutti i documenti richiesti. In passato il deposito avveniva materialmente con copia cartacea in Cancelleria. Oggi, per i ricorsi notificati dopo il 1° gennaio 2023, si applica integralmente il deposito digitale (salvo eventuali temporanee esclusioni).
Nel deposito del ricorso bisogna includere una serie di documenti obbligatori, elencati dall’art. 369 c.p.c., comma 2: copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notifica (se la sentenza è stata notificata), oppure copia autentica della sentenza non notificata; originale del ricorso notificato (con le eventuali ricevute PEC); la procura speciale per il difensore se non è stata apposta in calce al ricorso; gli altri documenti su cui si fonda il ricorso (es. atti processuali rilevanti). In ambito tributario, tra questi documenti può esservi ad esempio il ricorso originario del contribuente o altri atti del fascicolo, se su di essi verte il motivo di ricorso – in tal caso vanno specificamente indicati e allegati. Inoltre, va allegata la prova di avere chiesto alla segreteria della Commissione tributaria di trasmettere il fascicolo d’ufficio alla Cassazione (istanza ex art. 369 co.3 c.p.c., che però dal 2022 è spesso superflua perché i fascicoli digitali vengono acquisiti automaticamente; comunque la norma lo prevede ancora e, se nel fascicolo d’ufficio ci fossero documenti essenziali non altrimenti ottenibili, la mancata richiesta può causare improcedibilità). Da ultimo, occorre depositare l’attestazione di versamento del contributo unificato dovuto per il ricorso. In materia tributaria il contributo unificato è commisurato al valore della controversia (ad esempio, cause fino a 5.000 euro = CU €30; oltre €200.000 = CU €1.500, questi importi possono variare, ma per dare un’idea), ed è dovuto anche in Cassazione. L’omesso pagamento può essere sanato su invito, ma resta buona norma effettuarlo subito e allegare la ricevuta.
Una delle novità più rilevanti emerse di recente in giurisprudenza riguarda la prova della notifica della sentenza impugnata via PEC. Come anticipato, a seguito della riforma del processo civile telematico (D.Lgs. 149/2022), la Cassazione richiede un rigoroso adempimento: se la sentenza di secondo grado è stata notificata tramite PEC, il ricorrente deve depositare nella busta telematica il file originale del messaggio PEC con la ricevuta (formato .eml o .msg), non essendo sufficiente una copia PDF della relata. La Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza n. 14790/2024 ha affermato un principio chiaro: nel giudizio di legittimità, va dichiarato improcedibile il ricorso avverso una sentenza notificata a mezzo PEC se il ricorrente non deposita, insieme al ricorso, la relata di notifica telematica in formato digitale .eml/.msg, né questa viene prodotta dal controricorrente entro il suo termine di difesa. In quel caso concreto, il contribuente aveva dichiarato nel ricorso che la sentenza gli era stata notificata, ma non aveva allegato il messaggio PEC; la Cassazione ha ritenuto che non fosse possibile verificare la tempestività del ricorso rispetto al termine di 60 giorni, poiché mancava la prova formale della data di notifica della sentenza. Nemmeno la produzione tardiva in memoria ha sanato il vizio. Questa pronuncia è importante per i difensori: se si ricorre avverso una sentenza notificata via PEC, occorre allegare al ricorso il file PEC originale. In mancanza, il ricorso sarà improcedibile per difetto di prova della tempestività. Notiamo che la stessa ordinanza spiega che, se almeno dal ricorso e dalla relata di notifica del ricorso stesso risultasse comunque il rispetto dei termini (ad es. se il ricorso viene notificato entro 60 gg dalla pubblicazione della sentenza, pur senza prova della notifica di quest’ultima), allora il ricorso potrebbe considerarsi procedibile. Ma sono situazioni di sottile tecnicismo: il messaggio da portare a casa è che è indispensabile curare gli allegati in fase di deposito, specie dopo la digitalizzazione.
Controricorso e ricorso incidentale: termini per la controparte
Una volta che il ricorso per Cassazione è stato notificato, la controparte (es. l’Agenzia delle Entrate se il ricorrente è il contribuente, o viceversa) ha facoltà di costituirsi in giudizio per resistere, attraverso il deposito di un controricorso. Il controricorso è l’atto con cui l’intimato (denominato resistente in Cassazione) risponde alle argomentazioni del ricorso, eccepisce eventuali profili di inammissibilità o infondatezza e chiede il rigetto. Se anche il resistente ha motivi di doglianza sulla sentenza (ad es. era vincitore su alcune questioni ma ne ha perse altre, oppure in caso di soccombenza reciproca), può proporre un ricorso incidentale insieme al controricorso, impugnando i capi a lui sfavorevoli.
Vediamo i termini. Il combinato disposto dell’art. 370 c.p.c. e dell’art. 62 D.Lgs. 546/92 (come aggiornati alla riforma 2022) stabilisce che il controricorso, eventualmente contenente anche ricorso incidentale, deve essere depositato entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso principale. Questa formulazione tiene conto del fatto che, dopo l’avvento del PTT, al resistente è richiesto di depositare telematicamente la propria risposta entro 40 giorni, senza la necessità di notificarla all’altra parte tramite ufficiale giudiziario (poiché il deposito nel fascicolo telematico la rende disponibile). In passato, la norma prevedeva due termini: 20 giorni per notificare il controricorso e ulteriori 20 per depositarlo (totale 40). Oggi la prassi telematica tende a unificare il tutto nel deposito (che include la notifica a mezzo PEC contestuale). Ad ogni modo, 40 giorni dalla notifica del ricorso è il riferimento temporale. Ad esempio, se l’Agenzia riceve via PEC il ricorso del contribuente in data 1º settembre 2024, dovrà far pervenire il controricorso in Cassazione entro l’11 ottobre 2024 (40 giorni computati dal 2 settembre). Nel caso esaminato nella delibera del Comune di Trieste che abbiamo citato prima, il ricorso del contribuente era stato notificato il 26 ottobre 2024 e di conseguenza il Comune aveva tempo fino al 5 dicembre 2024 per depositare il controricorso (come calcolato correttamente dall’Avvocatura civica). Si noti che anche qui valgono le sospensioni e proroghe: tuttavia 40 giorni difficilmente includono agosto a meno che il ricorso sia notificato in piena estate (ma in tal caso i 40 gg riprenderebbero a settembre).
Se il controricorrente vuole proporre ricorso incidentale, può inserirlo nello stesso atto di controricorso. Il termine è lo stesso (40 giorni dalla notifica del ricorso principale). Un ricorso incidentale notificato separatamente oltre i 40 giorni sarebbe inammissibile. C’è un caso particolare: se il ricorso principale fosse dichiarato inammissibile per un vizio proprio, il ricorso incidentale tardivo (cioè proposto dal resistente oltre i termini ordinari perché sollecitato dal ricorso principale) può essere esaminato ugualmente purché il resistente lo abbia notificato nei 40 giorni dalla notifica del ricorso principale (è la teoria del “ricorso incidentale condizionato”). In sostanza, chi vince in appello ma teme un ricorso avversario spesso non propone ricorso incidentale subito; se l’avversario ricorre, allora nel controricorso può aggiungere un incidentale sulle parti per lui sfavorevoli. Se però il ricorso principale viene respinto per ritardo o inammissibilità, l’incidentale tardivo “prende vita propria” ed è esaminato lo stesso, a patto che sia stato proposto tempestivamente nel quadro dei 40 giorni dalla notifica principale (art. 334 c.p.c.).
Dopo il deposito dei ricorsi e controricorsi, il processo di Cassazione prosegue con la fase filtro (spesso i ricorsi tributari vengono decisi in camera di consiglio non partecipata se ritenuti inammissibili, improcedibili o manifestamente fondati/infondati, ex art. 380-bis c.p.c.), e poi con la decisione nel merito dei motivi eventualmente in pubblica udienza o più spesso in adunanza camerale. Il debitore-contribuente, durante questo iter, dovrà anche considerare gli effetti sul proprio debito: se la sentenza di secondo grado gli è sfavorevole, la regola generale è che l’ente impositore può riscuotere le somme (dedotti eventuali importi già versati dopo il primo grado). Infatti, diversamente dal primo grado dove l’appello sospende l’efficacia della sentenza CTP per la parte impugnata, nel passaggio in Cassazione non opera alcuna sospensione automatica. Quindi, a meno che si ottenga una sospensione ad hoc ex art. 62-bis D.Lgs. 546/92, la sentenza di appello è provvisoriamente esecutiva. Pertanto, un contribuente che ricorre per Cassazione dovrà parallelamente valutare se presentare un’istanza di sospensione dell’esecutività alla Corte (come discusso prima). Il suo avvocato, entro la data di deposito del ricorso o con atto separato successivamente, può proporre tale istanza motivandola con il grave danno derivante dall’esecuzione. La Corte di Cassazione deciderà con ordinanza motivata in camera di consiglio relativamente presto (grazie alla riforma 2023 che impone al Presidente di fissare rapidamente l’adunanza camerale). Se la sospensione è accordata, la riscossione resterà ferma finché la Cassazione non deciderà il caso in via definitiva. Se invece è negata, il contribuente potrebbe comunque ottenere una dilazione o sospensione amministrativa (ad esempio richiedendo una rateazione su cartella) ma non più una tutela giurisdizionale in Cassazione su questo aspetto.
Conseguenze del mancato rispetto dei termini e costi
Va ribadito con forza: i termini per impugnare in Cassazione (così come quelli per impugnare in appello o in primo grado) sono perentori. Il loro mancato rispetto comporta la decadenza dal diritto di impugnazione. In Cassazione, ciò si traduce nella declaratoria di inammissibilità del ricorso se tardivo. Ad esempio, se un ricorso viene notificato anche solo con “un giorno di ritardo” rispetto al 60º giorno, la Cassazione – anche d’ufficio – ne dichiarerà l’inammissibilità, con condanna del ricorrente alle spese. Non valgono scuse di dimenticanza o simili; l’unica possibilità di salvezza, a volte invocata, è l’istituto della rimessione in termini (art. 153 c.p.c.), concedibile dal giudice solo in casi eccezionali di forza maggiore o caso fortuito che abbiano impedito alla parte di rispettare il termine. La giurisprudenza è però molto rigida nel concedere la rimessione in termini per errori procedurali dell’avvocato (ad es. diarizzazione errata delle scadenze, malfunzionamento della PEC non documentato): in genere questi fatti non vengono reputati “imprevedibili” e quindi il termine perso non viene recuperato. In sostanza, il contribuente deve organizzarsi per tempo. Da notare: se l’ufficio notifica la sentenza in modo irregolare o incompleta (es. notifica di una sentenza priva di motivazione, oppure notifica ad un indirizzo sbagliato), potrebbe non scattare validamente il termine breve; ma su ciò è meglio non fare affidamento e, casomai, impugnare comunque e far valere l’eventuale nullità della notifica come motivo a proprio favore.
Sul piano dei costi, oltre al compenso del difensore e al contributo unificato, c’è da evidenziare il meccanismo del doppio contributo unificato: se il ricorso viene respinto integralmente, oppure dichiarato inammissibile o improcedibile, la Corte – su istanza della controparte o anche d’ufficio – dà atto in sentenza/ordinanza che sussistono i presupposti per il pagamento di un ulteriore importo pari al CU versato. Ciò è previsto dall’art. 13 co.1-quater del Testo Unico Spese di Giustizia (D.P.R. 115/2002) e funge da deterrente contro le impugnazioni dilatorie. Per esempio, se il contribuente ha pagato €1.500 di CU per la Cassazione, in caso di sconfitta dovrà versare altri €1.500 allo Stato. Inoltre verrà condannato alle spese legali a favore dell’Agenzia (importi che, in Cassazione, possono essere qualche migliaio di euro, variabili in base al valore della causa e all’attività svolta). In caso di accoglimento del ricorso, invece, le spese di regola seguono la soccombenza, quindi sarebbero a carico dell’ente impositore soccombente, e il contributo unificato aggiuntivo non è dovuto.
Ricordiamo poi l’effetto di giudicato: se il ricorso non viene presentato nei termini, la sentenza di secondo grado (o di primo grado se non appellata) passa in giudicato sostanziale. Ciò significa che quanto deciso in quella sentenza (che può essere l’annullamento dell’atto impugnato, o la conferma dell’accertamento, ecc.) diviene definitivo e non più modificabile. Ad esempio, se la CTR ha confermato un avviso di accertamento e il contribuente non ricorre per Cassazione entro i termini, l’accertamento diviene definitivo e l’amministrazione potrà riscuotere l’intero importo, eventualmente avviando esecuzione forzata se non pagato. Non vi sarà più alcuna possibilità di contestare il merito della pretesa, se non in casi estremi con strumenti diversi (es: revocazione straordinaria per dolo o scoperta di documenti decisivi nuovi, art. 395 c.p.c., oppure un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo se si ravvisano violazioni convenzionali, ma parliamo di situazioni fuori dall’ordinario iter nazionale). Dunque rispettare i termini è essenziale per non perdere la tutela giurisdizionale.
Domande e Risposte frequenti (FAQ)
D: Qual è il termine per impugnare una cartella esattoriale (di pagamento) notificata dall’Agenzia Entrate-Riscossione?
R: La cartella di pagamento va impugnata entro 60 giorni dalla notifica, presentando ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Provinciale) competente. Questo termine è perentorio ed è identico a quello degli avvisi di accertamento (art. 21 D.Lgs. 546/92). Se la cartella non viene impugnata entro 60 giorni, diviene definitiva. Attenzione: se presenti istanza di rateizzazione o paghi parzialmente, ciò non interrompe il termine di 60 giorni per il ricorso (salvo in alcuni casi particolari di sovrapposizione con procedure di definizione agevolata). È sempre opportuno, se si ritiene la cartella errata/ingiusta, attivarsi entro i 60 giorni anche se si chiede nel frattempo una sospensione in autotutela o una rateazione.
D: Se la cartella (o un avviso) mi viene notificata in un periodo in cui sono in ferie o impossibilitato e me ne accorgo tardi, posso ottenere una proroga dei 60 giorni?
R: No, la legge non prevede proroghe personalizzate per assenze o impedimenti soggettivi. Fa eccezione solo la sospensione feriale generale di agosto: se i 60 giorni cadono in agosto, il termine si sospende e riprende a settembre. Ad esempio, atto notificato il 15 giugno -> scadenza 14 agosto, che slitta al 13 settembre per via della sospensione. Ma a parte questo, non esistono proroghe individuali. Se il contribuente per motivi di salute gravissimi o altri eventi eccezionali non riesce a rispettare il termine, potrà sperare in una rimessione in termini ex art. 153 c.p.c. da chiedere al giudice, ma è molto difficile che venga concessa (la giurisprudenza è molto restrittiva: ammette rimessione solo per cause di forza maggiore certificate e improcrastinabili). In ogni caso, conviene attivarsi tramite un familiare o un professionista di fiducia per evitare decadenze, perché una volta decorso il termine, il giudice non può disapplicarlo a meno di rarissime eccezioni.
D: Ho vinto in secondo grado (CTR/CGT II) contro l’Agenzia. Quanto tempo ha l’Agenzia delle Entrate per fare ricorso per Cassazione?
R: Anche l’Agenzia è soggetta agli stessi termini: 60 giorni dalla notifica della sentenza, oppure 6 mesi dal deposito. Spesso, se la causa è di un certo rilievo o se temono il termine lungo, gli uffici notificano la sentenza a se stessi per far decorrere i 60 giorni (può sembrare strano ma l’Agenzia tramite l’Avvocatura può notificare la sentenza all’ufficio stesso, solo per far partire il termine breve – è raro ma può accadere). Altrimenti, l’Agenzia ha sei mesi di tempo. In molti casi, l’Agenzia tende a utilizzare gran parte del termine lungo per valutare con comodo se ricorrere (specie se attendono istruzioni dalla Direzione o dall’Avvocatura Generale su questioni di massima). Quindi, se sei contribuente vittorioso, sappi che fino a 6 mesi (più eventuale sospensione) dopo il deposito della sentenza, l’Agenzia può ancora proporre ricorso. Se trascorre tale periodo senza notifiche, allora la tua vittoria diviene definitiva. Un consiglio: verifica la data di deposito della sentenza di secondo grado e calcola la scadenza del termine lungo considerando agosto; dopo tale data, fatti rilasciare dal difensore un’attestazione che nessun ricorso è stato notificato, così da avere certezza del passaggio in giudicato. Viceversa, se l’Agenzia notifica il ricorso per Cassazione (solitamente tramite PEC dall’Avvocatura dello Stato) prima dello spirare dei 6 mesi, dovrai affrontare il giudizio di Cassazione. In quel caso, la notifica del ricorso ti arriverà presumibilmente entro 7 mesi circa dal deposito della sentenza (6 mesi + tempi di notifica).
D: In caso di sentenza favorevole al contribuente sia in primo che in secondo grado (“doppia conforme”), l’Agenzia può comunque fare ricorso in Cassazione?
R: Sì, l’Agenzia può proporre ricorso anche contro una doppia conforme di merito. Non esiste un divieto di impugnazione per doppia conforme nel processo tributario – al contrario di quanto avviene nel processo civile per l’appello (dove se c’è doppia conforme sul fatto, è limitato il motivo di gravame). Tuttavia, in presenza di doppia conforme sui fatti, in Cassazione non si può dedurre il vizio motivazionale di cui all’art. 360 n.5 c.p.c. (omesso esame di fatto decisivo), perché l’art. 348-ter c.p.c. (come richiamato dall’art. 360 co.1 c.p.c.) esclude tale motivo quando vi sono due decisioni conformi. In pratica l’Agenzia, in caso di doppia sconfitta, potrà ricorrere solo per questioni di diritto o nullità, ma non potrà chiedere un riesame dei fatti. Inoltre la Legge 130/2022 ha introdotto un meccanismo di filtro: per i ricorsi dell’ente su liti di valore sotto una certa soglia (50.000 euro) già perse nei primi due gradi, occorre una sorta di autorizzazione interna e, stando ai commenti, la mancata presentazione di istanza di trattazione entro certi termini comporta la chiusura della lite pendente in Cassazione (norma sperimentale di definizione agevolata). In sintesi, sì, l’Agenzia può tentare il terzo grado anche se ha perso due volte, ma il ricorso avrà spazi più ristretti e in alcuni casi conviene all’ente evitare di intasare la Cassazione, specie per importi modesti o questioni fattuali. Dal canto tuo, se ciò avviene, potrai confidare nel fatto che la doppia conforme solitamente è un segnale forte per la Cassazione, la quale tende a non ribaltare l’esito salvo errori di diritto macroscopici.
D: Ho perso in appello e dovrei pagare una grossa somma. Posso non pagare presentando ricorso in Cassazione?
R: Il ricorso per Cassazione di per sé non sospende la riscossione. La sentenza di secondo grado è immediatamente esecutiva. Quindi l’Agenzia può iscrivere a ruolo il residuo dovuto e notificare una cartella o un avviso di intimazione anche se hai fatto (o farai) ricorso per Cassazione. Per evitare di pagare subito, hai due strade: chiedere una sospensione in Cassazione (art. 62-bis D.Lgs. 546/92) oppure chiedere dilazione/sospensione amministrativa all’ente della riscossione. La sospensione in Cassazione viene concessa solo in presenza di gravissimo danno e se il ricorso presenta profili di fumus (seria possibilità di accoglimento). Ad esempio, se devi pagare 500.000 € e dimostri che questo ti condurrebbe a fallimento, e che il tuo ricorso verte su un motivo di diritto già accolto in casi analoghi dalla Cassazione, hai buone chance di ottenere la sospensiva. Devi presentare un’istanza motivata, di solito contestualmente al ricorso (o anche dopo, finché il giudizio è pendente). La Corte esaminerà l’istanza in camera di consiglio relativamente in tempi brevi (qualche mese). Se la concede, i termini di pagamento restano sospesi fino alla decisione finale. Se la nega, dovrai pagare (eventualmente rateizzando). Tieni presente che anche richiedere la rateazione (72 rate ad esempio) non preclude di proseguire il ricorso; l’importante è che nel frattempo la rateazione venga rispettata per evitare decadenze. In alternativa, potresti concordare con l’ente il cosiddetto deposito cauzionale o una polizza a garanzia, se proponi un ricorso per Cassazione su somme elevate: talvolta l’ente è più propenso a non procedere a riscossione immediata se il contribuente offre una garanzia e il ricorso non è pretestuoso. In generale però, preparati: ricorrere in Cassazione non “blocca” automaticamente il debito.
D: Il mio ricorso per Cassazione è stato dichiarato inammissibile (o rigettato). Posso fare qualcosa contro questa decisione?
R: Se la Cassazione ha emesso una ordinanza di inammissibilità oppure sentenza di rigetto, quella è la fine del percorso giudiziario ordinario. Non esiste un “quarto grado”. L’unico rimedio interno è la revocazione delle decisioni della Cassazione (art. 391-bis c.p.c.), ma è ammessa solo per errori materiali o errore di fatto (es. la Corte ha omesso di valutare un motivo per mero errore percettivo) e va proposta entro 30 giorni. È uno strumento molto limitato: non consente di rimettere in discussione la decisione se non in casi di macroscopico errore evidente. Ad esempio, è servito in alcune situazioni in cui la Cassazione aveva dichiarato inammissibile un motivo per un malinteso e il ricorrente ha fatto notare che invece il motivo era ammissibile e decisivo. Ma sono rarità. Oppure, se la Cassazione rigetta ma tu scopri un fatto gravissimo (dolo del giudice o falsità di atti) potresti tentare una revocazione straordinaria ex art. 391-ter rimandando alla revocazione in sede di merito, ma parliamo di ipotesi quasi accademiche. In pratica, dopo la Cassazione l’unica via è rivolgersi eventualmente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) se ritieni siano stati violati diritti fondamentali nel procedimento (es. durata irragionevole – ma ormai sul tributario i tempi sono abbastanza contenuti; oppure negazione del diritto di difesa, etc.). Il ricorso alla CEDU però non sospende nulla e ha anch’esso termini stringenti (4 mesi dalla decisione definitiva nazionale). In sostanza, la pronuncia della Cassazione chiude il caso. Se è andata male e ritieni vi sia stato un clamoroso errore di diritto, l’unica speranza è che intervenga a monte la Corte Costituzionale (ma questo doveva eventualmente essere sollevato prima) o una modifica legislativa retroattiva (evento raro e comunque non applicabile a giudicati formatisi). Dunque è cruciale arrivare preparati al giudizio di legittimità per giocarsi al meglio l’ultima carta.
D: Nel conteggio dei termini, devo considerare anche il giorno in cui ho ricevuto la notifica?
R: No, il computo esclude il dies a quo (giorno iniziale) e include il dies ad quem (giorno finale), a meno che quest’ultimo sia festivo/sabato, nel qual caso si proroga a quello successivo. Dunque, se la sentenza ti viene notificata il 10 del mese, il conteggio dei 60 giorni parte dall’11 come giorno 1 e terminerà il giorno che, contando 60, cade di conseguenza. Ad esempio, notifica 10 maggio: 1º giorno = 11 maggio, 60º giorno = 9 luglio (salvo festivo). Controlla sempre il calendario e ricorda di escludere agosto e di far attenzione a mesi di 31/30 giorni. È utile farsi magari uno schema su carta o usare un calcolatore di termini processuali (anche online) per sicurezza. Il difensore certamente effettuerà il calcolo con attenzione professionale, ma il contribuente informato può così comprendere come si arriva alla data comunicatagli dal legale.
D: Se l’atto (o la sentenza) non mi viene notificato affatto, posso impugnarlo anche dopo anni?
R: Caso per caso. Se un atto impositivo (avviso, cartella) non è mai notificato, formalmente non decorre alcun termine perché la notifica è condizione per far valere l’atto. Tuttavia, spesso l’ente ritiene di aver notificato correttamente e magari iscrive a ruolo il debito; il contribuente può allora impugnare la cartella (o l’atto successivo) eccependo la mancata notifica. Lì il giudice valuterà: se in effetti la notifica dell’atto presupposto era nulla, potrà annullare gli atti successivi. Ma attenzione: se l’atto non notificato è una sentenza, il discorso è diverso. Una sentenza non notificata si impugna entro il termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione, come detto. Se passano oltre 6 mesi, la sentenza diventa definitiva (anche se non notificata). Fanno eccezione i casi in cui tu, parte contumace, dimostri di non aver saputo del processo: allora la legge ti consente di riaprire i termini (vedi sopra). In breve: per gli atti amministrativi la notifica è condizione di efficacia quindi se non avviene regolarmente, il contribuente può opporsi anche tardivamente (fintanto che l’ente cerchi di riscuotere, lui eccepirà la nullità della notifica e chiederà di entrare nel merito); per le sentenze invece la pubblicazione attiva comunque il termine lungo di 6 mesi, notifica o meno (salvo contumacia incolpevole). Quindi non si può aspettare indefinitamente: l’ordinamento bilancia l’interesse a notificare con quello alla certezza delle situazioni giuridiche.
D: Il mio avvocato ha sbagliato il deposito in Cassazione (ad esempio non ha depositato nei 20 giorni o ha dimenticato un documento) e il ricorso è stato dichiarato improcedibile. Posso rivalermi in qualche modo?
R: Purtroppo, ai fini del processo, non c’è rimedio: l’improcedibilità è equiparata a una sentenza passata in giudicato. Se l’errore è effettivamente imputabile al difensore, l’unica strada è valutare una sua responsabilità professionale e chiedere i danni (spesso coperti dall’assicurazione professionale obbligatoria dell’avvocato). Ad esempio, la Cassazione in un caso ha dichiarato improcedibile un ricorso perché l’avvocato non aveva depositato la copia notificata della sentenza impugnata entro 20 giorni; il cliente ha poi agito contro il legale per malpratica. Ovviamente occorre provare che c’è stato errore e che, senza quell’errore, il ricorso avrebbe avuto possibilità di successo (quantomeno il cliente è stato privato di una chance). Sono situazioni spiacevoli; fortunatamente, la maggior parte degli avvocati cassazionisti è molto scrupolosa su questi adempimenti, anche perché esistono checklist e protocolli interni proprio per non incorrere in decadenze. Inoltre la Corte è diventata severa ma chiara: oggi sappiamo esattamente cosa va depositato e come (specie con la digitalizzazione, i controlli sono anche automatici). Quindi casi del genere dovrebbero essere ridotti al minimo. Se succede, tuttavia, sì: il cliente può esperire solo un’azione civile risarcitoria, non certo riaprire la causa tributaria.
D: Che differenza c’è tra “inammissibile” e “improcedibile” in Cassazione?
R: Sono entrambe decisioni che chiudono il ricorso senza entrare nel merito dei motivi, ma per ragioni diverse. Inammissibile vuol dire che il ricorso è viziato sin dall’inizio (ad es. proposto oltre i 60 giorni, oppure privo dei requisiti di forma essenziali: motivi non chiari, violazione del requisito di autosufficienza, oppure verte su questioni di fatto non deducibili in Cassazione). Improcedibile invece significa che il ricorso era astrattamente ammissibile, ma nel corso del procedimento non sono state rispettate certe condizioni, in primis l’omesso o tardivo deposito dei documenti previsti dall’art. 369 c.p.c. (copia sentenza, relazione notifiche, ecc.). Un ricorso notificato tempestivamente ma non depositato entro 20 giorni è improcedibile; un ricorso depositato regolarmente ma proposto fuori termine è inammissibile. A livello pratico, le conseguenze sono analoghe (rigetto senza esame di merito, spese a carico del ricorrente, raddoppio CU). Tecnicamente, nel caso di improcedibilità, se il controricorrente avesse spontaneamente prodotto lui i documenti mancanti entro i termini di legge, a volte la Corte “salva” il ricorso (perché lo scopo è raggiunto); ma il controricorrente – specie se Agenzia – di solito non fa favori e segnala anzi la mancanza. Quindi la distinzione serve più agli addetti: per il contribuente, sia inammissibilità che improcedibilità significano aver perso il ricorso per un vizio formale. Nel dispositivo troverà frasi come “dichiara inammissibile” o “dichiara improcedibile il ricorso” a seconda dei casi. Un ricorso invece rigettato è stato esaminato nel merito dei motivi ma ritenuto infondato, confermando quindi la decisione a quo.
Giunti alla fine della guida, riepilogando dal punto di vista del debitore: se hai ricevuto un atto fiscale indesiderato, agisci entro 60 giorni. Se hai ottenuto una sentenza sfavorevole in appello, considera 60 giorni dalla notifica o 6 mesi dal deposito come ultima chance per la Cassazione. Pianifica con il tuo difensore ogni passo, dal calcolo delle date alla predisposizione degli atti, e non dimenticare gli aspetti pratici (pagamenti dovuti, sospensioni ottenibili). Il contenzioso tributario è un percorso a ostacoli temporali: chi conosce bene i termini e le procedure avrà senz’altro più possibilità di arrivare al traguardo della giustizia tributaria senza inciampi procedurali.
Fonti e riferimenti normativi
- D.Lgs. 546/1992 – Testo Unico sul Processo Tributario: Articoli 21 (ricorso introduttivo: 60 giorni), 38 (termini d’impugnazione, termine lungo 6 mesi), 51 (appello: 60 giorni), 62 (ricorso per Cassazione) e 62-bis (sospensione in Cassazione, modificato dal D.Lgs. 220/2023).
- Codice di procedura civile: Art. 325 c.p.c. (termine breve 60 giorni per Cassazione), 326 c.p.c. (decorrenza termine breve dalla notifica), 327 c.p.c. (termine lungo 6 mesi), 369 c.p.c. (deposito ricorso entro 20 giorni), 370 c.p.c. (controricorso entro 40 giorni dalla notifica), 380-bis e 380-bis.1 c.p.c. (procedure in camera di consiglio), 384 c.p.c. (decisione della Corte), 391-bis e 391-ter c.p.c. (revocazione Cassazione).
- Legge 7 ottobre 1969 n. 742 (sospensione feriale dei termini processuali) modificata dal D.L. 132/2014: prevede la sospensione dal 1º al 31 agosto di ogni anno.
- Legge 31 agosto 2022 n. 130 (riforma giustizia tributaria 2022): ha introdotto novità sul giudizio di Cassazione (doppia conforme – limitazione motivo n.5) e sulle definizioni agevolate delle liti pendenti in Cassazione.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 (attuativo delega fiscale 2023): ha novellato lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) introducendo il contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio e l’impugnabilità dei dinieghi di autotutela.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 220 (riforma del contenzioso tributario 2023): ha reso obbligatorio il processo tributario telematico, disciplinato le sentenze in forma semplificata e rafforzato la tutela cautelare in Cassazione.
- D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (riforma Cartabia del processo civile): ha esteso al giudizio di Cassazione l’obbligo del deposito telematico degli atti e ha unificato i termini di costituzione delle parti, incidendo sugli artt. 369 e 370 c.p.c. (controricorso telematico entro 40 giorni).
- Massime giurisprudenziali recenti:
- Cass., Sez. Un., 6 luglio 2022 n. 21349: sul fatto che la sola dichiarazione nel ricorso dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata è affermazione di un fatto processuale da provare con documenti (relata).
- Cass., Sez. Trib., 27 maggio 2024 n. 14790: ha sancito l’improcedibilità del ricorso in caso di mancato deposito del file .eml/.msg della PEC di notifica della sentenza impugnata.
- Cass., Sez. Trib., ord. 19 luglio 2023 n. 21457: in tema di termine lungo e prova della notifica via PEC (conferma obbligo del deposito integrale del messaggio PEC come da riforma).
- Corte Costituzionale sent. 28 novembre 2024 n. 189: ha confermato la legittimità delle norme sulla sospensione dei termini per le definizioni agevolate in Cassazione, chiarendo che la sospensione ex lege dei termini di impugnazione (anche incidentale) in pendenza di definizione delle liti non viola il diritto di difesa.
- Cass., Sez. Un., 30 aprile 2024 n. 9776: (ipotetica, per citare un orientamento consolidato) sul termine ex art. 327 c.p.c. come limite massimo invalicabile per le impugnazioni ordinarie, a tutela della certezza del diritto.
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Il ricorso in Cassazione Tributaria deve essere presentato entro termini rigorosi:
- 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado se questa è stata regolarmente notificata.
- Se la sentenza non è stata notificata, il termine è di sei mesi dalla pubblicazione.
Questi termini sono perentori: un deposito anche di un solo giorno oltre la scadenza comporta l’inammissibilità del ricorso. È quindi fondamentale monitorare le date e incaricare subito un avvocato cassazionista, poiché la procedura richiede requisiti tecnici molto stringenti.
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato cassazionista esperto in contenzioso tributario complesso
✔️ Specializzato in impugnazioni davanti alla Corte di Cassazione
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Rispettare i termini per ricorrere in Cassazione Tributaria è essenziale per non perdere l’ultima possibilità di difesa.
Con un avvocato cassazionista esperto puoi agire nei tempi giusti e con una strategia mirata per aumentare le possibilità di successo.
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