La tua impresa di facchinaggio ha debiti e rischia di non riuscire più a far fronte ai pagamenti?
Cartelle esattoriali, insoluti verso fornitori, contributi previdenziali arretrati e finanziamenti non saldati possono mettere in pericolo la continuità aziendale. Intervenire subito, con una strategia legale mirata, è essenziale per difendere l’attività e il patrimonio personale dell’imprenditore.
Quando un’impresa di facchinaggio può trovarsi in crisi debitoria
– Quando ha accumulato debiti fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate, INPS o INAIL
– Quando i mancati pagamenti dei clienti hanno generato insoluti e difficoltà di liquidità
– Quando le rate di leasing, mutui o finanziamenti non sono più sostenibili
– Quando i costi di gestione (personale, mezzi, carburante) superano stabilmente gli incassi
– Quando spese impreviste o contratti persi aggravano una situazione già precaria
Cosa può accadere se i debiti non vengono gestiti
– Pignoramento dei conti correnti aziendali e personali
– Pignoramento presso terzi di crediti dovuti dai clienti
– Iscrizione di ipoteche su immobili dell’azienda o del titolare
– Blocco della possibilità di partecipare a gare d’appalto o ottenere nuovi contratti
– Rischio di chiusura forzata o di procedure concorsuali
Come difendersi e agire legalmente
– Far verificare da un avvocato la legittimità dei debiti e individuare eventuali importi prescritti o contestabili
– Negoziare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per evitare ulteriori interessi e penali
– Richiedere la rateizzazione dei debiti fiscali e previdenziali o aderire a rottamazioni e definizioni agevolate
– Valutare procedure come la composizione negoziata della crisi o il concordato preventivo per ristrutturare l’esposizione
– Proteggere beni aziendali e personali con strumenti giuridici legittimi
– Impugnare nei termini cartelle e atti esecutivi con vizi formali o sostanziali
Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti e altre azioni esecutive
– La riduzione dell’esposizione debitoria tramite accordi o procedure giudiziarie
– La tutela dei beni aziendali e del patrimonio personale
– Il mantenimento della continuità aziendale e dei rapporti con clienti e committenti
– Un piano di risanamento che permetta di proseguire l’attività senza blocchi operativi
Attenzione: aspettare troppo a intervenire significa ridurre le possibilità di salvataggio dell’impresa e aumentare il rischio di responsabilità personali dell’imprenditore, specie se si aggrava il dissesto.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, ristrutturazione del debito e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se la tua impresa di facchinaggio ha debiti e come costruire una strategia per salvarla.
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Introduzione
Un’impresa di facchinaggio – tipicamente una piccola azienda che offre servizi di movimentazione merci, logistica o traslochi – può trovarsi in difficoltà finanziaria a causa di eventi avversi. Si pensi al caso di un imprenditore che, a causa del fallimento di alcuni clienti committenti, della crisi dovuta alla pandemia e di problemi personali, accumula debiti verso banche, fornitori e il Fisco, non riuscendo più a far fronte regolarmente ai propri impegni. Dal punto di vista del debitore (titolare o amministratore dell’impresa indebitata), è fondamentale conoscere quali strumenti l’ordinamento italiano offre per difendersi dai debiti, ossia per gestire la crisi, evitare (quando possibile) azioni esecutive dei creditori e cercare di ottenere un risanamento o un esdebitamento (cancellazione dei debiti residui).
Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, esamina in modo approfondito e con linguaggio giuridico ma divulgativo le soluzioni legali per un’impresa di facchinaggio sovraindebitata, con riferimenti normativi (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII – D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) e giurisprudenziali recenti. Verranno trattati in particolare:
- Tipologie di debiti e relative tutele: debiti fiscali, previdenziali, bancari, commerciali, verso dipendenti ecc., con i privilegi e le conseguenze specifiche di ciascuno in caso di insolvenza dell’impresa.
- Rischi per l’impresa e per l’imprenditore in caso di insolvenza non gestita: dalle azioni esecutive individuali (pignoramenti, ipoteche, fermi amministrativi) alle istanze di fallimento (liquidazione giudiziale) promosse dai creditori, fino alle possibili responsabilità personali e penali degli amministratori.
- Strumenti stragiudiziali (negoziali) per la gestione della crisi: accordi privati di saldo e stralcio con i creditori, piani attestati di risanamento e la nuova procedura di composizione negoziata della crisi introdotta nel 2021 (ora parte del CCII).
- Procedure concorsuali e di sovraindebitamento: le soluzioni giudiziali previste dal CCII per regolare la crisi d’impresa, distinguendo tra imprese assoggettabili a fallimento (procedure ordinarie come concordato preventivo, liquidazione giudiziale ex fallimento, accordi di ristrutturazione dei debiti) e debitori non fallibili (procedure di sovraindebitamento destinate a piccoli imprenditori, professionisti e consumatori: concordato minore, piano di ristrutturazione del consumatore ed liquidazione controllata). Vedremo i requisiti di accesso, l’iter procedurale, il ruolo dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e le tutele offerte (come il blocco delle azioni esecutive durante la procedura).
- Esdebitazione e “fresh start” del debitore insolvente: come funziona la liberazione dai debiti residui per l’imprenditore meritevole, sia nelle procedure ordinarie sia in quelle da sovraindebitamento, con attenzione alle novità introdotte dal Codice della Crisi (es. l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII, la c.d. esdebitazione a costo zero per il debitore persona fisica privo di patrimonio). Si citeranno le sentenze più recenti della Corte di Cassazione in materia (2023-2025) che hanno rafforzato il principio del favor debitoris nel concedere l’esdebitazione.
- Tabelle riepilogative per confrontare le diverse procedure (soggetti ammessi, maggioranze richieste, effetti sui debiti, vantaggi e svantaggi) e i diversi tipi di credito (privilegi, trattamenti nei piani, percentuali di soddisfazione tipiche).
- Esempi pratici e simulazioni di casi risolti: verranno illustrati scenari realistici (es. piccola ditta individuale di facchinaggio con soli debiti fiscali; SRL di facchinaggio con dipendenti e debiti bancari/fiscali; ecc.) e come ciascuno potrebbe essere affrontato con gli strumenti disponibili.
- Domande frequenti (FAQ) con risposte chiare su dubbi comuni: ad esempio cosa rischia l’imprenditore se non paga i debiti, se è possibile evitare il fallimento, come vengono trattati i debiti tributari e contributivi nel concordato, se si può continuare l’attività durante la procedura, quante volte si può accedere ai benefici, ecc.
L’obiettivo è fornire una guida completa dal punto di vista del debitore (sia esso un imprenditore individuale, il legale rappresentante di una società, o un ex imprenditore) per capire cosa fare per difendersi in presenza di debiti onerosi. Tutte le informazioni sono basate sulla normativa italiana vigente (aggiornata 2025) e su autorevoli fonti istituzionali e giurisprudenziali, citate nel testo e raccolte in una sezione finale. Procederemo dapprima a mappare i debiti e le conseguenze legali, quindi esamineremo le possibili soluzioni step by step, dalle trattative stragiudiziali fino alle procedure concorsuali, evidenziandone i pro e contro per il debitore.
Importante: ogni situazione di crisi ha le sue peculiarità; questa guida offre una panoramica generale e non sostituisce il consiglio di un professionista. Tuttavia, conoscere in anticipo diritti, doveri e opportunità può mettere l’imprenditore in grado di agire tempestivamente, evitando errori comuni (come procrastinare fino all’irreparabile) e sfruttando al meglio gli strumenti di legge per uscire dall’indebitamento e salvare l’impresa o, quantomeno, ripartire da zero in caso di fallimento. Nei paragrafi seguenti, analizziamo in dettaglio tutti questi aspetti.
Tipologie di debiti aziendali e relative conseguenze
Una corretta strategia di difesa passa innanzitutto dall’analisi dei debiti dell’impresa, poiché non tutti i crediti sono uguali: alcune categorie di creditori godono di privilegi o tutele particolari, e alcune esposizioni debitorie possono comportare conseguenze più gravi di altre in caso di inadempimento. Di seguito esaminiamo le principali tipologie di debito che tipicamente gravano su un’impresa di facchinaggio e cosa accade se tali debiti non vengono onorati.
Debiti tributari (Erario) e verso gli enti pubblici
I debiti fiscali includono imposte e tributi dovuti all’Erario (ad es. IVA, IRES/IRPEF, IRAP) nonché tasse locali e sanzioni amministrative. Questi debiti sono spesso tra i più gravosi, perché la loro riscossione è affidata ad un ente pubblico (oggi Agenzia delle Entrate Riscossione, ex Equitalia) che ha poteri coercitivi particolarmente efficaci. In caso di mancato pagamento, dopo gli avvisi di accertamento e l’iscrizione a ruolo, viene notificata una cartella esattoriale; decorsi i termini senza adempimento né impugnazione, il creditore pubblico può attivare procedure esecutive senza bisogno di un ulteriore giudizio. Le azioni tipiche includono: iscrizione di ipoteca su immobili, fermo amministrativo di veicoli aziendali, pignoramento di conti correnti, macchinari o altri beni, fino alla possibilità di espropriazione immobiliare. I crediti erariali godono di privilegio generale o speciale sui beni del debitore (ad es. l’IVA è credito privilegiato) e, in caso di procedura concorsuale, sono classificati tra i crediti prededucibili o privilegiati a seconda della natura. Ciò significa che, nel riparto fallimentare o liquidatorio, lo Stato verrà soddisfatto prima dei creditori chirografari (senza privilegio).
Come difendersi da un debito fiscale? In primo luogo, valutare se si può accedere a strumenti di definizione agevolata. Negli ultimi anni vi sono state varie “rottamazioni” delle cartelle esattoriali e piani di rateizzazione straordinaria che consentono di pagare il debito fiscale in forma dilazionata (spesso senza sanzioni e interessi di mora). Ad esempio, un’impresa in temporanea difficoltà può chiedere all’ADER una rateazione fino a 72 o 120 rate mensili, ottenendo la sospensione delle azioni esecutive purché rispetti i pagamenti concordati. In alcuni casi normativi eccezionali, piccoli debiti fiscali anteriori sono stati persino cancellati d’ufficio (si pensi allo stralcio dei debiti fino a 1.000€ affidati all’agente della riscossione entro il 2015, disposto dalla L. 197/2022). È importante dunque informarsi sulle misure vigenti al 2025 in materia di pace fiscale.
Se la situazione debitoria fiscale è però di entità tale da non poter essere risolta con una semplice dilazione, diviene necessario ricorrere ai procedimenti concorsuali (si veda oltre) per congelare le azioni esecutive e trattare il debito fiscale in modo organico. Nel concordato preventivo o minore, ad esempio, è previsto lo strumento della transazione fiscale, per includere il Fisco in un accordo di ristrutturazione dei debiti: l’azienda debitrice propone un pagamento parziale delle imposte (o una dilazione più lunga), e l’agenzia fiscale può accettare o rifiutare. Oggi la legge consente anche un cram-down fiscale, ovvero l’omologazione forzosa del piano nonostante il voto contrario dell’Erario, se il suo voto è determinante ma la proposta assicura al Fisco una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in caso di liquidazione. Questo significa che, in presenza di un piano ragionevole, il Tribunale può disattendere il diniego dell’Agenzia Entrate e approvare ugualmente l’accordo, tutelando così il debitore meritevole e l’equità verso gli altri creditori.
Attenzione: taluni debiti verso lo Stato presentano anche profili di responsabilità personali. Ad esempio, l’omesso versamento di IVA o di ritenute previdenziali oltre soglie di punibilità può integrare reati tributari. Inoltre, l’amministratore che non versa i contributi INPS dei dipendenti o l’IVA dichiarata rischia denunce penali. Pertanto, nella gestione di una crisi con debiti erariali, è opportuno prevedere con i professionisti eventuali azioni correttive (come il pagamento prioritario di quelle ritenute e contributi dovuti) per evitare conseguenze penali, oppure valutare le cause di non punibilità (es. crisi di liquidità non imputabile a dolo).
Debiti verso enti previdenziali e assicurativi (INPS, INAIL)
Affini ai debiti fiscali sono i debiti verso gli enti previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL), ad esempio contributi obbligatori non versati per i dipendenti o per il titolare (gestione artigiani/commercianti), premi assicurativi, sanzioni civili per omesso versamento. La riscossione di tali somme è anch’essa affidata ad Agenzia Entrate Riscossione, con meccanismi simili alle imposte (cartelle, pignoramenti, etc.). Anche i contributi previdenziali vantano privilegio generale sui mobili del debitore e ipoteca sugli immobili, quindi in caso di procedura concorsuale vengono soddisfatti con priorità sugli altri crediti chirografari. Non sono esclusi dall’esdebitazione: oggi è pacifico che anche i debiti verso INPS o INAIL possano essere oggetto di falcidia in un concordato o di esdebitazione finale, purché il debitore sia meritevole.
Le strategie difensive sono analoghe a quelle per i debiti fiscali: si può chiedere una rateazione amministrativa all’INPS (che di regola concede dilazioni fino a 24 mesi, salvo casi particolari) oppure ricomprendere tali crediti in un piano concordatario. Anche qui la transazione dei contributi è possibile e dal 2021 è ammessa l’omologazione forzata (cram-down) se l’ente previdenziale dissenziente otterrebbe comunque almeno quanto in liquidazione. È importante inoltre sapere che il mancato versamento di contributi trattenuti ai lavoratori (es. quota dipendente) oltre soglie modeste costituisce reato. Dunque, il debitore dovrebbe considerare di pagare almeno tali parti o quantomeno segnalarle chiaramente nel piano di crisi, per evidenziare la buona fede e ridurre il rischio di sanzioni penali.
Debiti bancari e finanziari (mutui, fidi e leasing)
Molte imprese di facchinaggio ricorrono a finanziamenti bancari per l’acquisto di furgoni, macchinari o per liquidità di esercizio. Tra questi debiti troviamo mutui ipotecari, affidamenti in conto corrente, leasing su veicoli o attrezzature e finanziamenti a breve termine (come anticipo fatture). Questi creditori sono spesso garantiti: la banca può avere un’ipoteca su un immobile aziendale o una riserva di proprietà sul bene oggetto di leasing; in altri casi vi sono fideiussioni personali dei soci o dell’imprenditore a garanzia dei debiti bancari.
In caso di insolvenza, le banche tendono ad agire tempestivamente: un mutuo non pagato comporta la decadenza dal beneficio del termine e l’intera esposizione diviene esigibile; l’istituto di credito può notificare un decreto ingiuntivo ed avviare un’esecuzione forzata sull’immobile ipotecato (es. pignoramento e vendita all’asta di un capannone o di un immobile dato in garanzia). Per i leasing, il mancato pagamento di solito porta alla risoluzione del contratto e alla rivendica del bene (es. il camion in leasing viene ritirato), oltre all’addebito della differenza tra debito residuo e valore ricavato dalla vendita. Le fideiussioni complicano ulteriormente la posizione del debitore: se i soci o terzi hanno garantito personalmente, la banca potrà agire anche sul patrimonio personale dei garanti (case, stipendi, conti personali) in caso di default della società.
Come difendersi? Una strada iniziale è negoziare con la banca una ristrutturazione del debito: ad esempio, ottenere una moratoria delle rate, un allungamento del piano di ammortamento (riducendo l’importo delle rate) o una riduzione del tasso. In situazioni di crisi diffusa, il sistema bancario talvolta aderisce a accordi collettivi (come le moratorie ABI) che sospendono i pagamenti per un certo periodo. Se l’impresa ha ancora prospettive di ripresa, può presentare un piano di risanamento attestato (ai sensi dell’art. 56 CCII) alle banche: in sostanza un accordo extragiudiziale, asseverato da un esperto, in cui si dimostra che ristrutturando i debiti (ad es. consolidandoli in un nuovo finanziamento sostenibile) l’azienda tornerà solvibile. Le banche spesso aderiscono se il piano è credibile, perché preferiscono recuperare almeno in parte il credito evitando il lungo iter fallimentare.
In caso di insuccesso delle trattative, rimangono le procedure concorsuali. Nel concordato preventivo o minore, i crediti bancari ipotecari sono considerati privilegiati per la parte coperta dal valore di garanzia; il piano di concordato può prevedere di pagare integralmente tali crediti privilegiati (magari dilazionando la vendita del bene o con nuovi finanziamenti in ingresso) oppure, se il valore del bene è inferiore al debito, pagare almeno il valore di stima del bene (falcidia del creditore ipotecario). Le somme eccedenti diventano chirografarie (senza garanzia) e possono essere stralciate parzialmente. I crediti chirografari (es. fidi non garantiti) possono essere soddisfatti in percentuale ridotta secondo la disponibilità del piano. In concordato minore vige la regola del miglior soddisfacimento rispetto alla liquidazione: bisogna offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero vendendo tutto, ma non c’è una percentuale minima legale.
Importante: un’impresa indebitata con banche deve anche considerare l’effetto delle garanzie personali. Se la società entra in procedura concorsuale (concordato o liquidazione) e ottiene l’esdebitazione, ciò non libera i garanti terzi (salvo accordi specifici): la banca potrà rivalersi sul fideiussore. Dunque l’imprenditore che abbia garantito in proprio i debiti aziendali potrebbe dover affrontare a sua volta azioni esecutive personali. In tal caso, anche il garante potrà valutare strumenti come il piano del consumatore o la liquidazione controllata personali per liberarsi da quei debiti (si veda oltre la sezione sull’esdebitazione personale).
Debiti verso fornitori e altri crediti commerciali
Le imprese di facchinaggio possono accumulare debiti verso fornitori di servizi e materiali (es. forniture di carburante, noleggio mezzi, consulenze), verso il locatore del magazzino o capannone (canoni di affitto non pagati), oppure verso partner commerciali. Questi creditori commerciali sono normalmente chirografari, cioè privi di cause legittime di prelazione (a meno che non abbiano, ad esempio, un privilegio speciale per aver fornito beni destinati a un’opera, caso raro nel facchinaggio). Se l’impresa non paga, i fornitori possono agire in giudizio ottenendo un decreto ingiuntivo per le fatture non saldate, seguito – in mancanza di opposizione e pagamento – da atti di pignoramento sui beni aziendali o sui crediti (ad esempio presso i clienti dell’impresa debitrice). Un creditore commerciale non pagato può anche presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) qualora l’impresa sia soggettabile a fallimento e il debito superi le soglie di legge. Infatti, un creditore o più creditori possono chiedere al Tribunale che l’impresa insolvente sia dichiarata fallita: basta dimostrare l’insolvenza (es. mancati pagamenti) e superare i limiti dimensionali previsti per l’imprenditore minore (attivo annuo > €300.000, ricavi > €200.000 o debiti > €500.000). In caso di accoglimento dell’istanza, l’azienda verrebbe sottoposta a liquidazione giudiziale con nomina di un curatore, perdendo la disponibilità del patrimonio. Questo scenario va evitato se possibile, perché il fallimento è una procedura liquidatoria che di norma comporta la cessazione dell’attività e può comportare responsabilità personali per gli amministratori (per esempio se emergono pagamenti preferenziali a taluni creditori o distrazione di beni, il curatore può promuovere azioni di responsabilità).
Per difendersi dai debiti commerciali conviene giocare d’anticipo: negoziare piani di rientro con i fornitori prima che questi perdano la pazienza. Molti fornitori preferiscono concordare un pagamento dilazionato (magari garantito da effetti cambiari o da un piccolo acconto immediato) piuttosto che intraprendere costose azioni legali il cui esito potrebbe essere incerto (specie se sanno che l’impresa ha molti altri debiti). Un accordo saldo e stralcio – ad esempio pagare il 50% del dovuto in più tranche, a fronte di rinuncia al restante – può risultare conveniente sia per l’impresa debitrice sia per il fornitore, che evita il rischio di incassare zero in caso di fallimento dell’azienda cliente.
Se la situazione generale è compromessa, i debiti fornitori potranno essere anch’essi affrontati nell’ambito di un concordato preventivo o minore: tipicamente ai creditori chirografari (fornitori, locatori, professionisti non pagati) viene proposto il pagamento parziale del loro credito (es. “percentuale concordataria” del 20-30%) a saldo e stralcio, da attuarsi con le risorse generate dal piano (continuazione dell’attività o liquidazione di beni non essenziali). In alternativa, se l’impresa non è più salvabile come attività, si potrebbe avviare direttamente una liquidazione controllata (procedura concorsuale liquidatoria per i soggetti non fallibili) o una liquidazione giudiziale (fallimento) per i soggetti maggiori: in tal caso i fornitori chirografari probabilmente riceveranno solo un dividendo proporzionale sul ricavato della vendita dei beni aziendali (spesso modesto). Tuttavia, come vedremo, la contropartita della liquidazione concorsuale per l’imprenditore onesto è la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione), così che i fornitori non potranno più agire contro il debitore una volta chiusa la procedura.
Debiti verso dipendenti e collaboratori
Un’impresa di facchinaggio fa spesso affidamento su lavoratori dipendenti o soci lavoratori (nelle cooperative di facchinaggio). I debiti verso dipendenti includono stipendi non pagati, TFR (trattamento di fine rapporto) maturato, straordinari o indennità. Tali crediti godono di un privilegio generale mobiliare molto elevato e in parte di un privilegio speciale sugli immobili dell’impresa (per le ultime mensilità e TFR, entro determinati massimali). In caso di procedura concorsuale, i lavoratori dipendenti vengono soddisfatti prima di gran parte degli altri creditori. Inoltre, esiste il Fondo di Garanzia INPS che – se l’azienda viene dichiarata insolvente (fallimento o liquidazione concorsuale) – interviene a pagare ai lavoratori i salari degli ultimi mesi e il TFR, nei limiti di legge, surrogandosi poi nelle loro ragioni sul riparto fallimentare. Pertanto, dal punto di vista del dipendente, il fallimento del datore di lavoro attiva una tutela (il Fondo) che in molti casi gli consente di recuperare almeno in parte le sue spettanze.
Dal punto di vista dell’imprenditore, però, il debito verso i dipendenti è molto delicato: i lavoratori possono chiedere ingiunzioni e pignorare i conti aziendali, ma soprattutto un mancato pagamento continuativo dei salari può portare a vertenze sindacali, ispezioni del lavoro e decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi (il giudice può emettere un’ingiunzione provvisoria per crediti di lavoro). Inoltre, la presenza di dipendenti impone obblighi: se l’azienda cessa l’attività o entra in procedura, va considerata la gestione dei rapporti di lavoro (licenziamenti collettivi, pagamento di quanto dovuto, ecc.).
Per difendersi e responsabilmente gestire la situazione, l’imprenditore dovrebbe comunicare con trasparenza ai lavoratori la crisi in atto. Se possibile, cercare accordi individuali (ad esempio ridurre temporaneamente l’orario o differire il pagamento di alcune voci) o utilizzare ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni, FIS) per alleggerire il costo del lavoro durante la crisi. Nell’ambito di un piano di ristrutturazione, il trattamento dei crediti dei dipendenti è peculiare: di norma vanno pagati integralmente, essendo privilegiati (salvo la parte eventualmente eccedente i privilegi, che comunque raramente esiste). Pertanto, un concordato dovrà prevedere il pagamento completo degli stipendi arretrati magari nei primi riparti. Se l’impresa prosegue l’attività, è essenziale assicurare il pagamento regolare delle retribuzioni correnti, anche perché dipendenti non pagati difficilmente continueranno a lavorare (e senza forza lavoro il piano di risanamento fallirebbe). Se invece l’azienda non può più proseguire e si avvia a liquidazione, i dipendenti verranno licenziati ma potranno accedere al Fondo di Garanzia INPS come detto; l’imprenditore in bona fede potrebbe persino valutare di attivare la procedura concorsuale in tempi rapidi proprio per permettere ai lavoratori di ottenere l’intervento del Fondo (cosa che non accadrebbe se l’azienda non viene dichiarata insolvente formalmente).
Altre passività: debiti fiscali locali, multe, regresso di coobbligati, ecc.
Infine, vi sono altre possibili categorie di debito: tributi locali (come TARI, IMU al Comune), utenze non pagate, eventuali multe o sanzioni (ad es. sanzioni per violazioni amministrative), o debiti verso soci (finanziamenti soci da restituire) e garanzie prestate. In generale, in un contesto di insolvenza, la maggior parte di questi crediti sarà trattata come chirografa (senza privilegio particolare), eccetto eventuali multe pecuniarie per reati che, in passato, non erano esdebitabili – ma la normativa attuale tende a esdebitare tutti i debiti concorsuali, salvo obblighi di mantenimento e poche eccezioni (per le sanzioni penali pecuniarie vi è dibattito, ma trattandosi di impresa di solito non rileva).
Un caso particolare è il regresso di coobbligati o fideiussori: se, ad esempio, un socio ha pagato personalmente un debito bancario dell’impresa su cui aveva garanzia, questi subentra come creditore della società (surroga). Tali crediti in surroga sono chirografari e, se la società si ristruttura o liquida, il socio recupererà pro-quota come gli altri creditori chirografi (quasi nulla, in genere). È bene dunque che i soci-coobbligati si coordinino nella strategia di risanamento: spesso conviene considerare unitariamente la posizione della società e dei soci garanti, magari con un accordo che preveda anche la liberazione delle garanzie personali.
In sintesi, tutti i tipi di debito possono essere affrontati con gli strumenti concorsuali giusti, ma la priorità e il trattamento varieranno: i debiti con privilegio (Erario, INPS, dipendenti, banche garantite) avranno precedenza nei pagamenti, mentre i chirografari potranno subire decurtazioni più significative. Di seguito, dopo aver visto i rischi concreti delle azioni dei creditori, esamineremo le possibili soluzioni negoziali e concorsuali a disposizione dell’impresa indebitata.
Rischi dell’inerzia: azioni esecutive, fallimento e responsabilità
Prima di passare alle soluzioni, è opportuno ribadire cosa accade se l’impresa non prende iniziative e lascia che siano i creditori ad agire. L’inerzia infatti può portare a esiti estremamente negativi per il debitore:
- Pignoramenti e perdite patrimoniali: come visto, i creditori (fisco, banche, fornitori, ecc.) possono aggredire singoli beni. Un pignoramento immobiliare o mobiliare condotto a termine porta alla vendita all’asta dei beni aziendali a valori spesso bassi, con il rischio di perdere cespiti fondamentali (mezzi, sede operativa) e vedere il proprio patrimonio dissipato senza risolvere davvero la posizione debitoria (spesso restano debiti residui se il ricavato non copre tutto).
- Blocco dei conti e dell’attività: il pignoramento di conti correnti aziendali o di crediti (es. crediti verso clienti) può paralizzare la liquidità dell’impresa, impedendole di pagare fornitori correnti o stipendi e innescando un effetto a catena che aggrava la crisi.
- Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): uno o più creditori insoddisfatti possono rivolgersi al tribunale chiedendo l’apertura di una procedura concorsuale. Se l’impresa è sopra soglia (non rientra nella definizione di imprenditore minore ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d, CCII) e lo stato di insolvenza risulta conclamato, il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale (nuovo termine che ha sostituito la “dichiarazione di fallimento”). Ciò comporta l’immediata perdita di potere dell’imprenditore sulla gestione: viene nominato un curatore che amministrerà i beni, l’impresa spesso cessa l’attività (salvo esercizio provvisorio disposto dal giudice in rari casi) e si procede a liquidare tutto il patrimonio per pagare i creditori secondo l’ordine legale. L’imprenditore può subire inoltre le restrizioni personali post-fallimento (es. incapacità di esercitare imprese per una certa durata, annotazione come soggetto fallito).
- Azioni revocatorie e responsabilità: il curatore, in caso di fallimento, ha il potere di far annullare gli atti pregiudizievoli compiuti dall’imprenditore prima del fallimento (pagamenti preferenziali a taluni creditori, vendita di beni sotto costo a terzi, ecc.) mediante le azioni revocatorie fallimentari. Inoltre, può promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori se hanno aggravato il dissesto con gestione imprudente o hanno violato i doveri di conservazione del patrimonio sociale. Dunque, l’imprenditore rischia non solo di perdere l’azienda, ma di vedersi chiedere risarcimenti personali per mala gestio.
- Procedimenti penali: alcune condotte in situazione di insolvenza configurano reati fallimentari (ad es. la bancarotta fraudolenta se l’imprenditore ha distratto beni o falsificato le scritture contabili, oppure la bancarotta semplice per avere aggravato la crisi con spese eccessive, ecc.). L’apertura della liquidazione giudiziale porta spesso a indagini penali sul comportamento dei gestori dell’impresa. Anche omissioni fiscali come detto possono portare a procedimenti penali indipendenti. L’inerzia e il disordine aumentano il rischio che gli organi inquirenti ravvisino estremi di reato.
- Nessuna liberazione dai debiti residui: se la liquidazione fallimentare avviene senza che il debitore abbia attivato strumenti di composizione, c’è il rischio che al termine (dopo aver liquidato i beni) restino debiti insoddisfatti. Il beneficio dell’esdebitazione non è automatico (deve essere richiesto e concesso dal tribunale in presenza di certi requisiti) e in passato era negato se il fallito aveva tenuto comportamenti gravemente colposi o dolosi. Oggi la legge è più indulgente verso il debitore onesto, ma se l’imprenditore non collabora o si disinteressa della procedura, difficilmente otterrà la cancellazione dei debiti residui. Di conseguenza, dopo il fallimento potrebbe restare comunque perseguitato dai creditori per la parte non soddisfatta (in particolare, se non ottiene l’esdebitazione, i creditori riacquistano il diritto di agire per la parte non pagata in fallimento).
Alla luce di tutto ciò, appare evidente che non reagire alla crisi e lasciare che i creditori “facciano da sé” è la scelta peggiore. Invece, attivarsi per tempo consente spesso di evitare il fallimento o comunque di gestirlo in modo più ordinato e con esiti meno traumatici. Il legislatore negli ultimi anni ha voluto favorire l’emersione anticipata della crisi: il CCII prevede obblighi di allerta interna per l’imprenditore e gli organi di controllo, e strumenti come la composizione negoziata proprio per intervenire prima che l’insolvenza diventi irreversibile. L’imprenditore dunque ha il dovere (oltre che l’interesse) di attivarsi, pena incorrere in responsabilità. Vediamo quindi quali sono le strategie attive che il debitore può mettere in campo per difendersi dai debiti e riequilibrare la propria posizione.
Soluzioni stragiudiziali: accordi e piani di risanamento
Come primo passo, prima di coinvolgere il tribunale, si dovrebbero esplorare tutte le soluzioni stragiudiziali (ovvero extra-giudiziali, volontarie) per regolare i debiti. Queste soluzioni hanno il vantaggio di evitare la pubblicità e i costi di una procedura concorsuale formale, e di lasciare all’imprenditore maggiore controllo sull’azienda. Tuttavia, richiedono la disponibilità dei creditori a cooperare. Ecco i principali strumenti e approcci stragiudiziali:
Trattative individuali e accordi di “saldo e stralcio”
La via più immediata è negoziare direttamente con ciascun creditore un accordo transattivo. In situazioni di difficoltà, molti creditori (specialmente fornitori commerciali) possono accettare di ridurre il credito pur di incassare subito una parte di esso, piuttosto che rischiare di non vedere nulla in caso di fallimento del debitore. Questo accordo viene detto a saldo e stralcio: ad esempio, il fornitore potrebbe acconsentire a ricevere il 50% del dovuto entro 3 mesi, rinunciando al resto, magari con la minaccia implicita che altrimenti l’azienda aprirà una procedura concorsuale in cui quel fornitore forse prenderebbe anche meno. Per formalizzare il saldo e stralcio si usa spesso uno schema scritto (scrittura privata) in cui il creditore dichiara di ricevere un importo a saldo definitivo e di non avere più nulla a pretendere.
Similmente, se non si arriva a uno stralcio significativo, si può concordare un piano di rientro: pagamento integrale ma rateizzato. Molti creditori privati preferiscono avere un rientro diluito (magari garantito da cambiali o da una clausola risolutiva che in caso di mancato pagamento degli accordi li libera dalla transazione) piuttosto che sobbarcarsi cause e spese legali. È cruciale, comunque, non promettere più di quanto realisticamente l’impresa possa mantenere. Un accordo stragiudiziale non onorato pone il debitore in una situazione peggiore e fa perdere la fiducia residua dei creditori.
Uno svantaggio di procedere con accordi individuali è il rischio di trattamento disomogeneo dei creditori e possibili impugnazioni: se ad esempio pagate integralmente un fornitore “strategico” e nulla gli altri, questi ultimi potrebbero sentirsi discriminati e accelerare azioni legali (oltre al fatto che, in un eventuale fallimento successivo, quel pagamento preferenziale al primo fornitore potrebbe essere revocato dal curatore come atto a favore di un creditore a detrimento degli altri). La legge fallimentare tradizionale puniva i pagamenti preferenziali; il CCII attenua l’approccio punitivo in caso di accordi in composizione negoziata, ma rimane il principio di parità dei creditori. Dunque, gli accordi individuali vanno gestiti con equilibrio e preferibilmente con l’assistenza di un legale, onde evitare che un creditore firmi e un altro faccia saltare tutto presentando istanza di fallimento.
Composizione negoziata della crisi
Dal 2021 l’ordinamento mette a disposizione delle imprese in crisi (anche piccole) un percorso semi-stragiudiziale innovativo: la composizione negoziata (introdotta col D.L. 118/2021 e ora nel CCII). Si tratta di una procedura volontaria e riservata in cui l’imprenditore, tramite una piattaforma online dedicata, chiede la nomina di un esperto indipendente (gestore della crisi) con il compito di aiutare l’imprenditore stesso e i suoi creditori a trovare una soluzione concordata alla crisi. La composizione negoziata non è una procedura concorsuale pubblica: è confidenziale (il mercato non viene informato dell’adesione, salvo eventuali misure protettive richieste) e l’esperto funge da mediatore tra debitore e creditori.
Vantaggi: L’imprenditore mantiene la gestione ordinaria dell’azienda durante la negoziazione; può richiedere al tribunale alcune misure protettive temporanee (ad esempio lo stay delle azioni esecutive per la durata delle trattative) per evitare che un creditore guastI le trattative pignorando i beni. Con l’aiuto dell’esperto, il debitore predispone un piano di risanamento da sottoporre ai creditori (che potrebbe consistere in nuova finanza, cessione di asset non strategici, conversione di crediti in quota, ecc.) e cerca di ottenere l’accordo. Se la negoziazione riesce, si può formalizzare in uno dei seguenti modi:
- un contratto di ristrutturazione sottoscritto da tutti o dai principali creditori (ad esempio una moratoria collettiva, o un accordo di risanamento ad efficacia meramente inter partes);
- un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (si veda sotto) che viene poi omologato dal tribunale per estenderne gli effetti anche ai creditori dissenzienti eventualmente;
- un concordato preventivo semplificato per cessione dei beni, se la negoziazione fallisce ma l’imprenditore vuole comunque evitare il fallimento liquidando il patrimonio sotto controllo del giudice (quest’ultimo è uno strumento speciale previsto dall’art. 25-sexies CCII).
In pratica, la composizione negoziata è un ombrello procedurale sotto cui debitore e creditori cercano di confezionare un piano di salvataggio tailor-made senza l’immediatezza di una procedura concorsuale formale. È indicata quando l’impresa ha prospettive di risanamento (ad es. ordini e mercato per continuare l’attività, ma soffre temporanea crisi di liquidità o debiti pregressi eccessivi) e serve una regia neutrale per convincere i creditori della bontà del piano.
Esempio pratico: una società di facchinaggio colpita da un calo di fatturato e con debiti verso banche e Fisco potrebbe attivare la composizione negoziata, ottenere una moratoria dei pignoramenti, e nel frattempo negoziare con la banca una riduzione del tasso sul mutuo, con il Fisco un pagamento dilazionato dei tributi, magari vendere un immobile non essenziale per fare cassa, il tutto sotto l’egida dell’esperto. Se i creditori aderiscono, l’accordo viene formalizzato e l’impresa esce dalla crisi senza passare per il fallimento. Se non si trova accordo, l’impresa può comunque optare per il concordato semplificato (liquidando i beni residui ai creditori sotto controllo giudiziale, evitando il fallimento classico).
Va sottolineato che la composizione negoziata è volontaria: i creditori non possono essere forzati a concedere stralci o dilazioni (se non poi attraverso un concordato o accordo omologato). Tuttavia, l’esperto redige una relazione finale che può avere peso in sede concorsuale (es. se un creditore ha rifiutato irragionevolmente una proposta migliore di quanto otterrà nel fallimento, il giudice ne terrà conto). Dal 2022, questo strumento ha sostituito le vecchie procedure di allerta previste nella riforma del 2019 (mai entrate in vigore) e rappresenta oggi il canale consigliato per chi voglia tentare un risanamento fuori dal tribunale con un minimo di struttura.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento già presente nella legge fallimentare (art. 67 l.f.) e confermato dal Codice della Crisi (art. 56 CCII). Consiste in un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore con l’ausilio di professionisti, il quale deve avere come risultato il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa. La particolarità è che il piano viene attestato da un professionista indipendente (un esperto iscritto all’albo dei gestori della crisi) che certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Il piano può prevedere accordi con alcuni creditori (ad esempio, le banche finanziano nuova liquidità, alcuni fornitori accettano dilazioni, i soci immettono capitali freschi, etc.).
Questo strumento è interamente stragiudiziale: non richiede omologazione né pubblicità. Il vantaggio principale che offre è la protezione dalle azioni revocatorie: se l’impresa fallisse successivamente, gli atti eseguiti in attuazione del piano attestato (pagamenti fatti, garanzie concesse, ecc.) non potranno essere revocati dal curatore, a patto che il piano sia stato idoneo e comunicato alla Camera di Commercio nei termini di legge. In sostanza, serve a dare tranquillità ai terzi che collaborano al risanamento (es. una banca che concede nuova finanza ed è pagata preferenzialmente può difendere quel pagamento invocando il piano attestato).
Nella pratica, il piano attestato è utile se la crisi è gestibile con il consenso di tutti o quasi i creditori strategici: non coinvolgendo l’autorità giudiziaria, infatti, il piano attestato non vincola i dissenzienti. Quindi basta un creditore importante che rifiuti l’accordo per vanificare l’intera operazione (questo limite è superato invece dagli accordi di ristrutturazione con omologazione, v. infra). Per un’impresa di facchinaggio di piccole dimensioni, un piano attestato potrebbe essere indicato se ci sono pochi creditori concentrati (es. due banche e il Fisco) e tutti sono collaborativi. Se invece c’è una platea ampia di creditori, lo scenario tipicamente richiede un accordo omologato dal tribunale per avere efficacia generale.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione sono un ibrido tra accordo privato e procedura concorsuale: il debitore elabora un accordo con una parte significativa dei creditori e poi chiede al tribunale di omologarlo, rendendolo vincolante anche per eventuali creditori minori non aderenti. Già previsti dalla L. 3/2012 per i soggetti non fallibili e dalla legge fallimentare (art. 182-bis) per le imprese maggiori, oggi sono disciplinati dagli artt. 57 e seguenti CCII in modo unitario.
La caratteristica chiave è che l’accordo deve essere sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (percentuale che il CCII in taluni casi riduce: sono previsti accordi agevolati col 30% dei crediti se certi creditori restano estranei, oppure accordi ad efficacia estesa che vincolano anche alcuni non aderenti della stessa classe). Una volta raccolte le adesioni necessarie, il debitore deposita l’accordo in tribunale assieme a una relazione di un esperto che attesta che il piano è fattibile e che i creditori estranei saranno pagati almeno quanto otterrebbero in un’alternativa liquidatoria. Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo. Da quel momento, l’accordo di ristrutturazione diventa vincolante anche per i creditori che non l’avevano firmato (purché fossero stati informati e inclusi nelle trattative secondo le regole).
Un aspetto importante è che, a differenza del concordato, non c’è un voto formale di tutti i creditori, ma solo la raccolta di adesioni: di solito l’impresa negozia prima con le banche e con i creditori maggiori per ottenere la soglia del 60%, poi procede al deposito. I creditori non aderenti hanno la possibilità di fare opposizione all’omologazione se ritengono che dall’accordo riceveranno meno di quanto spetterebbe loro in una liquidazione. In assenza di opposizioni (o se queste vengono respinte), l’accordo è omologato e diviene effettivo.
Esempio: supponiamo che una società di logistica e facchinaggio abbia 10 creditori significativi; negozia con 6 di essi (che detengono il 70% del totale crediti) un accordo in base al quale riceveranno il 40% del loro credito in 5 anni. Questi 6 firmano. Gli altri 4 creditori minori non aderiscono. L’azienda deposita l’accordo con firma 70%. Il tribunale verifica che i non aderenti comunque riceveranno almeno il 20% (che sarebbe il presumibile attivo in caso di fallimento, ad esempio) e omologa. Da quel momento anche i 4 creditori estranei sono vincolati: riceveranno il 40% a 5 anni come gli altri (o, se il piano prevede per i non aderenti una % diversa, comunque quella garantita dall’accordo). Non potranno agire esecutivamente né far valere la differenza.
Gli accordi di ristrutturazione possono prevedere anche essi la transazione fiscale per i debiti tributari e contributivi (ma qui serve l’adesione anche dell’ente pubblico, non essendoci cram-down automatico, a meno di fare ricorso all’istituto del cram-down fiscale introdotto dal CCII anche per gli accordi agevolati). Il CCII ha ampliato la flessibilità di questi accordi, prevedendo ad esempio gli accordi ad efficacia estesa: se i creditori finanziari (banche) che rappresentano almeno il 75% di quella categoria aderiscono, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti (purché abbiano trattamento uniforme).
Per un’impresa di medie dimensioni, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento utile quando si ha il consenso della maggioranza dei creditori principali, ma magari qualche minoranza non collaborativa: attraverso l’omologazione, si imbriglia anche quest’ultimi. Rispetto al concordato, l’accordo è più rapido (non necessita di voto di tutti né di classi di creditori) e spesso viene preferito quando c’è un numero limitato di stakeholder da mettere d’accordo (es. solo banche e fisco). Per una piccola impresa di facchinaggio, però, l’accordo di ristrutturazione potrebbe non essere applicabile se non raggiunge le soglie dimensionali di fallibilità – in tal caso, l’equivalente sarebbe il concordato minore di cui diremo, perché nel sovraindebitamento il CCII ha di fatto sostituito l’accordo con il concordato minore.
Nota: la normativa in evoluzione ha introdotto anche il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO, art. 64-bis CCII) – uno strumento pensato dal recepimento della direttiva UE 2019/1023, che consente al debitore di proporre un piano anche senza il 60% di accordo, sottoponendolo direttamente all’omologazione, con suddivisione dei creditori in classi e possibilità di cram-down giudiziale tra classi. È uno strumento più sofisticato e adatto a imprese medio-grandi con struttura del debito complessa. Nel contesto di una piccola impresa di facchinaggio è meno probabile da utilizzare, ma segnaliamo la sua esistenza come ulteriore opzione per evitare la liquidazione giudiziale, in casi in cui serva imporre una ristrutturazione anche senza il consenso maggioritario iniziale.
Riassumendo le opzioni extragiudiziali: negoziazione privata, composizione negoziata, piano attestato, accordo di ristrutturazione – queste sono tutte strade che mirano a evitare il fallimento attraverso il consenso, totale o parziale, dei creditori. Laddove però tali strade non siano percorribili o non abbiano successo, occorre ricorrere alle procedure concorsuali vere e proprie, nelle quali l’autorità giudiziaria interviene per imporre soluzioni o liquidare il patrimonio con regole predeterminate. Analizzeremo ora tali procedure, distinguendo tra quelle minori (sovraindebitamento) e maggiori (concordato preventivo/fallimento), evidenziando come possono essere sfruttate a vantaggio del debitore meritevole.
Procedure di sovraindebitamento (per piccoli imprenditori e privati)
La legge italiana distingue a seconda della dimensione e natura dell’impresa in crisi. Le imprese di facchinaggio spesso rientrano tra i debitori non fallibili, ossia quei debitori esclusi dalle ordinarie procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo) perché di dimensioni ridotte o perché persone fisiche non imprenditrici. Tali soggetti possono accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinate oggi dagli artt. 65-83 CCII (che nel 2022 hanno sostituito la previgente Legge 3/2012, la cosiddetta “legge salva suicidi”).
Secondo l’art. 2, comma 1, lett. c) CCII, per sovraindebitamento si intende lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, professionista, imprenditore minore, imprenditore agricolo, start-up innovativa o di ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale. L’imprenditore minore è definito dalla legge (art. 2, lett. d) CCII) come colui che nei tre esercizi precedenti non ha superato congiuntamente certi parametri: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi annui ≤ €200.000 e debiti ≤ €500.000. Se l’impresa di facchinaggio rientra in questi limiti, non può essere dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), ma potrà invece utilizzare le procedure di sovraindebitamento descritte qui. Anche l’imprenditore individuale cessato che non ha fatto dichiarare fallimento entro un anno dalla cessazione rientra tra i non fallibili e quindi è ammesso al sovraindebitamento.
Le procedure attualmente previste sono tre:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – riservato alle persone fisiche consumatrici (debiti non derivanti da attività d’impresa). Nel contesto di un’azienda di facchinaggio, questo strumento potrebbe riguardare il titolare come persona fisica per eventuali debiti personali o da garante che non siano attinenti all’attività imprenditoriale.
- Concordato minore – l’equivalente del concordato preventivo ma per i debitori sovraindebitati (diversi dal consumatore). È la procedura di composizione negoziale rivolta, ad esempio, all’imprenditore minore o al professionista.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato – l’equivalente del fallimento per i non fallibili, ossia una procedura liquidatoria giudiziale su richiesta del debitore. Da questa procedura deriva poi l’esdebitazione finale, e vi è anche la variante dell’esdebitazione del debitore incapiente (vedremo infra).
Di seguito analizziamo in dettaglio quelle più rilevanti per la nostra ipotesi (un’impresa di facchinaggio di piccole dimensioni, quindi non fallibile).
Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi)
Il concordato minore è stato introdotto con il Codice della Crisi in vigore dal 15 luglio 2022, sostituendo il precedente “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012. Si tratta di una procedura concorsuale giudiziale in cui il debitore sovraindebitato propone ai creditori un piano per ristrutturare i debiti, anche in forma parziale e dilazionata, cercando l’approvazione di una maggioranza di essi e l’omologazione (approvazione) da parte del Tribunale. In parole semplici, è l’equivalente del concordato preventivo per chi non può fallire: consente di evitare la liquidazione integrale dell’attivo offrendo ai creditori una soluzione concordata e, al debitore, di continuare eventualmente l’attività.
Soggetti ammessi: possono accedere al concordato minore gli imprenditori minori, i professionisti, gli enti non commerciali e in generale tutti i debitori sovraindebitati non consumatori. Il consumatore invece ha l’altro strumento (piano del consumatore). Dunque, una ditta individuale di facchinaggio sovraindebitata, o una società di persone o cooperativa sotto soglia, rientra nel concordato minore, non nel piano del consumatore.
Presupposti: il debitore dev’essere in stato di crisi o insolvenza (incapace di pagare regolarmente i debiti). Inoltre deve essere meritevole, concetto che nel CCII è definito in negativo: non devono risultare atti in frode ai creditori e non ci deve essere dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento. La meritevolezza dunque richiede che il sovraindebitamento non sia frutto di mala fede o frode (ad es. avere fatto nuovi debiti sapendo di non poterli pagare, o dissipato risorse in modo gravemente imprudente). Va detto che la riforma ha attenuato il rigore: in passato bastava anche colpa lieve per escludere l’accesso, oggi solo colpa grave o dolo. Il giudice valuterà questi aspetti anche grazie alla relazione dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che deve accompagnare la domanda e che descrive cause dell’indebitamento, comportamento del debitore, completezza della documentazione.
Procedura: il debitore (con l’ausilio obbligatorio di un OCC) elabora un piano contenente la descrizione della situazione economica, l’elenco dei creditori e la proposta di soddisfacimento degli stessi. Il piano può prevedere le soluzioni più varie: ristrutturazione aziendale con pagamento parziale dei debiti col prosieguo dell’attività, oppure liquidazione di alcuni beni mantenendo altri per continuare l’impresa, oppure ancora intervento di un terzo (un investitore, o un familiare) che apporta risorse per pagare i creditori. A differenza del concordato preventivo, qui l’obiettivo dichiarato è spesso la continuazione dell’attività in forma ridotta e il risanamento, ma è ammesso anche un concordato minore liquidatorio (pur “minore”, può liquidare il patrimonio se non c’è modo di proseguire).
Il ricorso si deposita in tribunale. Se la documentazione è completa e i requisiti formali sono soddisfatti, il tribunale apre la procedura con decreto. Da quel momento, su istanza del debitore, scattano le misure protettive: nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata o proseguita dai creditori chirografari anteriori, né si possono acquisire nuove ipoteche o pegni su beni del debitore. Questo “blocco” tutela il patrimonio durante la fase di raccolta del voto.
Votazione dei creditori: Il giudice nomina un gestore della crisi (di solito coincidente con l’OCC che ha redatto la relazione) che assiste alla procedura e raccoglie le adesioni dei creditori. Diversamente dal concordato preventivo, non c’è adunanza fisica; il giudice fissa un termine (max 30 giorni prorogabile) entro cui i creditori possono comunicare via PEC l’adesione o il rifiuto alla proposta. Non tutti i creditori votano: non votano i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca se vengono soddisfatti integralmente secondo la proposta (poiché non hanno interesse a votare – hanno il 100%). Se invece si propone a un privilegiato un pagamento parziale del suo credito (falcidia), allora quel creditore è ammesso al voto per la parte decurtata. I creditori chirografari votano tutti, salvo i piccoli crediti sotto €500 (per snellire). Nel concordato minore non sono previste classi obbligatorie (si possono creare classi di creditori con posizione giuridica omogenea, ma non è indispensabile se la situazione è semplice).
Per l’approvazione serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto, cioè >50% in valore. Se la maggioranza aderisce, il concordato è considerato approvato.
Omologazione: a seguito dell’approvazione, il debitore chiede al Tribunale di omologare l’accordo. Il tribunale verifica che tutto sia regolare, che i creditori dissenzienti (se ce ne sono) ricevano almeno quanto otterrebbero nella liquidazione alternativa (best interest test), e decide. Se ci sono opposizioni (es. un creditore dice “prendo troppo poco rispetto al fallimento”), il giudice le valuta; però è possibile omologare anche in presenza di contestazioni se i parametri di legge sono rispettati. Elemento chiave aggiornato: nel concordato minore, così come nel preventivo, vale la regola del cram-down fiscale/previdenziale: se il Fisco o un ente previdenziale ha votato no ma il suo voto è determinante per la maggioranza, il tribunale può omologare ugualmente il concordato se ritiene che la proposta verso quell’ente pubblico non sia inferiore al fair value di liquidazione. Ad esempio, se Agenzia Entrate ha il 30% dei crediti e vota contro, facendo mancare la maggioranza, ma il piano le offre il 20% che è in linea con quanto prenderebbe in liquidazione, il tribunale può ignorare il suo dissenso e omologare comunque il concordato (cram-down). Questo meccanismo introdotto di recente evita che il veto del fisco blocchi soluzioni vantaggiose per tutti.
Con l’omologazione, il concordato minore diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche per eventuali dissenzienti o non votanti). Viene nominato un liquidatore giudiziale se il piano prevede vendite di beni, oppure l’OCC/gestore monitora l’esecuzione del piano negli anni previsti.
Effetti per il debitore: durante l’esecuzione del concordato minore, il debitore può continuare l’attività se il piano lo prevede (spesso sotto la sorveglianza dell’OCC). Egli deve attenersi alle condizioni omologate; i nuovi debiti eventualmente contratti durante l’esecuzione sono prededucibili (hanno priorità assoluta). Se il debitore adempie al piano, alla fine ottiene l’esdebitazione automatica per i debiti residui chirografari non soddisfatti (effetto fresh start concordatario). Infatti, l’omologazione del concordato, una volta eseguito, libera il debitore dai debiti concorsuali residui (effetti esdebitatori del concordato). Invece, se il debitore non rispetta gli impegni e il concordato fallisce, i creditori possono riprendere le azioni o chiedere la conversione in liquidazione controllata.
Vantaggi del concordato minore: consente di salvare l’azienda se c’è un nucleo economico sano, eliminando parte dei debiti (stralcio) e dilazionando il resto. Evita gli stigma del fallimento e consente anche a un imprenditore piccolo di accedere al principio della seconda opportunità. A differenza dell’accordo stragiudiziale, vincola tutti i creditori (anche quelli che non hanno collaborato) una volta omologato, dando certezza al risanamento.
Esempio reale: nel 2022 il Tribunale di Milano ha omologato la liquidazione del patrimonio (procedura assimilabile al concordato minore liquidatorio) di un’impresa di pulizie e facchinaggio con €205.000 di debiti, permettendo al titolare di continuare l’attività e prevedendo la sua esdebitazione dopo 4 anni. Questo dimostra come anche una piccola impresa sovraindebitata possa ottenere tutela: nel caso specifico il debitore ha offerto una certa somma mensile per 4 anni ai creditori e, pur non pagando integralmente i debiti, ha ottenuto la cancellazione dei residui una volta decorso il periodo, potendo proseguire il lavoro.
Liquidazione controllata del sovraindebitato
Qualora non vi siano i presupposti per un piano di concordato minore fattibile – ad esempio, quando il livello di insolvenza è tale che non si riesce a proporre ai creditori un pagamento anche parziale accettabile, oppure quando il debitore preferisce liberarsi completamente dei debiti cedendo tutti i beni – rimane la soluzione della liquidazione controllata. Questa procedura, regolata dagli artt. 268-277 CCII, ha preso il posto della “liquidazione del patrimonio” della vecchia legge 3/2012. In sostanza è l’analogo del fallimento (liquidazione giudiziale) per i soggetti sovraindebitati.
Come si avvia: a differenza del fallimento, la liquidazione controllata può essere avviata solo dal debitore stesso (o al limite dagli eredi in caso di debitore deceduto, o dal socio illimitatamente responsabile). I creditori non possono chiedere d’ufficio la liquidazione controllata di un sovraindebitato; se questi non paga, al più faranno esecuzioni singole. Questa è una differenza fondamentale: il debitore non fallibile ha la facoltà (e in un certo senso la responsabilità) di decidere se attivare o meno la procedura liquidatoria concorsuale, nessuno gliela può imporre.
Presupposti: occorre lo stato di insolvenza o sovraindebitamento persistente. Vanno depositati gli stessi documenti di base (elenco beni, creditori, atti degli ultimi anni, stato di famiglia etc.) e la relazione dell’OCC che attesti la completezza e diligenza del debitore. Non serve ottenere consensi dai creditori, perché è una procedura liquidativa non negoziale.
Procedimento: il tribunale, verificati i requisiti, dichiara aperta la liquidazione controllata e nomina un liquidatore (un professionista terzo che svolge il ruolo simile a quello del curatore fallimentare). Da quel momento, il patrimonio del debitore (impresa e/o personale, a seconda se è persona fisica o società) è vincolato alla procedura: il debitore perde l’amministrazione e disponibilità dei beni, che passano al liquidatore. Tutti i creditori anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (sono bloccate ex lege). Il liquidatore predispone l’inventario, individua eventuali atti impugnabili (può esercitare azioni revocatorie su pagamenti o atti dispositivi precedenti alla procedura, in analogia al fallimento, per recuperare asset distratti). I creditori sono invitati a presentare le domande di ammissione al passivo entro un termine (questa fase è simile all’insinuazione al fallimento). Segue l’accertamento del passivo da parte del liquidatore e del giudice delegato, con formazione dello stato passivo dei crediti ammessi e delle eventuali cause di prelazione.
Il liquidatore poi procede a liquidare i beni: vendita di immobili (con autorizzazione del GD), vendita di beni mobili, incasso di crediti, eventuali affitti d’azienda se conveniente. Nel fare ciò, può proseguire temporaneamente l’attività d’impresa se serve a conservare valore (ad esempio completare commesse in corso per vendere meglio l’azienda); ma generalmente la liquidazione segna la cessazione o il rapido smantellamento dell’azienda.
Una volta realizzato il patrimonio, il liquidatore predispone i piani di riparto distribuendo le somme raccolte ai creditori secondo l’ordine dei privilegi (prima le spese di giustizia e procedura, poi lavoratori, fisco, ecc., infine i chirografari). Completata la liquidazione, il liquidatore presenta un rendiconto finale e il tribunale dichiara chiusa la procedura.
Effetti per l’imprenditore: se è un imprenditore individuale, l’apertura della liquidazione controllata non comporta l’incapacità personale né interdizioni (diversamente dal fallimento che comportava alcuni effetti civili per il fallito). L’imprenditore può anche intraprendere nuova attività (salvo che i beni di quella nuova attività potrebbero essere attratti nella procedura se l’attività era la stessa, per evitare abusi). La chiusura della liquidazione non comporta la cancellazione di un’impresa individuale dal registro imprese a differenza delle società, quindi il soggetto potrà proseguire eventualmente come nuovo soggetto economico, ma di fatto i beni precedenti sono stati venduti.
Esdebitazione: l’obiettivo principale per il debitore persona fisica è ottenere, al termine, la cancellazione dei debiti residui. Nel CCII è sancito che, chiusa la liquidazione controllata, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione di diritto trascorsi 3 anni dall’apertura della procedura e in ogni caso alla chiusura. In realtà, la norma prevede sempre un controllo del tribunale (non è proprio automatica, perché va verificato che il debitore meriti il beneficio, ma il CCII parla di “esdebitazione di diritto” per indicare che è la regola, salvo eccezioni). L’esdebitazione ordinaria verrà approfondita più avanti, ma anticipiamo che il debitore meritevole che abbia cooperato durante la liquidazione controllata e non abbia nascosto asset otterrà di norma il decreto di esdebitazione che lo libera da tutti i debiti anteriori rimasti insoddisfatti.
Confronto con il fallimento: la liquidazione controllata assomiglia molto al vecchio fallimento, ma in un contesto di piccola scala e volontario. Non c’è la fase del voto perché non c’è un piano da approvare: si liquida e basta. Il vantaggio per il debitore è che, essendo lui stesso a chiedere la procedura, può scegliere il timing (ad esempio dopo aver provato la composizione negoziata, può rendersi conto che non c’è accordo e allora attiva la liquidazione per evitare singoli pignoramenti disordinati). Inoltre, nella liquidazione controllata non esistono quelle cause ostative all’esdebitazione che prima esistevano in caso di comportamento poco diligente: col CCII è stato eliminato l’obbligo del soddisfacimento parziale dei creditori come requisito. Questo significa che anche se i creditori non ricevono nulla o quasi, il debitore persona fisica può essere liberato dai debiti, purché sia stato onesto e non ci siano stati atti in frode. La Cassazione ha chiarito, anche per i fallimenti pre-riforma, che non esiste una soglia minima di pagamento necessaria per l’esdebitazione e che una soddisfazione anche minima (non simbolica) è sufficiente se tutte le circostanze lo giustificano. In pratica, l’indirizzo attuale è molto orientato a concedere l’esdebitazione al debitore meritevole, in linea con i principi europei del “fresh start”.
Esempio pratico: un ex titolare di impresa artigiana (meccanica) con €154.000 di debiti, privo di beni significativi, ha ottenuto nel 2021 la liquidazione controllata (allora chiamata liquidazione del patrimonio) e successivamente l’esdebitazione completa. Questo per dire che anche chi non ha nulla da offrire ai creditori immediatamente può comunque trovare sollievo: la legge permette di chiudere la partita con i creditori e ripartire, piuttosto che restare perseguitati a vita.
Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII)
Un’innovazione rilevante del Codice della Crisi è l’esdebitazione del debitore incapiente, chiamata anche “esdebitazione a costo zero”. È un istituto che consente alla persona fisica sovraindebitata, priva di ogni bene o reddito liquidabile, di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover neppure liquidare un patrimonio (perché inesistente). In pratica, è destinato a chi non ha nulla da perdere – tipicamente ex imprenditori che hanno già visto espropriati i beni o disoccupati indebitati – e mira a dare comunque una chance di ripartenza.
Requisiti principali: il debitore deve essere persona fisica, meritevole (vale la stessa verifica: assenza di frodi e di colpa grave) e incapiente, ossia non in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in futuro. Ciò significa che non possiede beni prontamente liquidabili, né prevede entrate future significative con cui pagare parzialmente i creditori. È una situazione di sostanziale indigenza economica. Questa procedura è utilizzabile una sola volta in vita per il debitore, perché evidentemente rappresenta una sorta di “grazia” legislativa per casi disperati.
Come funziona: il debitore presenta un’istanza al tribunale (anche in questo caso tramite OCC) chiedendo di essere ammesso al beneficio ex art. 283 CCII. Deve allegare la documentazione sui debiti e sulla propria situazione, dimostrando l’incapienza totale. L’OCC redige una relazione in cui attesta le cause dell’indebitamento, verifica che non ci siano atti in frode (ad es. il debitore non deve aver regalato beni poco prima per poi dire di essere nullatenente) e conferma che il debitore non può offrire nulla ai creditori. Se il tribunale ritiene soddisfatte le condizioni, concede con decreto l’esdebitazione dell’incapiente. Ciò comporta che tutti i debiti anteriori (eccetto quelli eventualmente esclusi per legge, come sempre: mantenimenti, sanzioni penali se applicabile, ecc.) sono inesigibili nei confronti di quel debitore. I creditori non potranno più perseguirlo.
Obbligo quadriennale: c’è però un’importante condizione risolutiva: per i successivi 4 anni dal decreto, se al debitore sopravviene una utilità rilevante (ad esempio un’eredità, una vincita, un incremento reddituale significativo), egli ha l’obbligo di pagarla ai creditori, fino a coprire il 10% dei crediti soddisfacibili. In altri termini, l’esdebitazione è “a prova” per 4 anni: se la situazione del debitore migliora insperatamente entro quel periodo, i creditori potranno ottenere un dividendo tardivo, purché almeno del 10% (sotto quella soglia la legge considera che resta incapiente). L’OCC vigila su questa eventualità nei quattro anni successivi.
Decorso il quadriennio, l’esdebitazione diventa definitiva e i creditori perdono ogni diritto residuo. Se invece emergono utilità e il debitore non le segnala o non adempie all’obbligo di pagamento, il beneficio può essere revocato.
Utilità pratica: questa forma di esdebitazione è pensata, ad esempio, per un piccolo imprenditore individuale che abbia già subito esecuzioni senza successo e non abbia più beni – in passato costui non poteva fallire (perché magari cessato da anni e con debiti personali) e rimaneva tecnicamente debitore a vita. Ora può “azzerare” la propria situazione debitoria tramite il tribunale e ricominciare da zero, senza il fardello di cartelle esattoriali o decreti ingiuntivi pregressi. In contesto di impresa di facchinaggio, potrebbe applicarsi al titolare ex imprenditore che dopo la chiusura dell’attività rimane con debiti verso fornitori e fisco non pagati ma non ha più né beni né un reddito attuale (magari vive con il sostegno di familiari). Ottenere l’esdebitazione da incapiente gli permetterebbe di tornare “pulito” dal punto di vista creditizio e magari cercare lavoro senza l’assillo di pignoramenti sul futuro stipendio.
Rapporto con la liquidazione controllata: Il debitore incapiente può chiedere direttamente l’esdebitazione senza attivare la liquidazione, proprio perché non c’è nulla da liquidare. Se però emergesse che qualcosa c’era, il tribunale rigetterebbe la domanda invitando semmai a procedere con la liquidazione controllata classica. Inoltre, se il debitore ha già fatto una liquidazione concorsuale ed è stato negato l’esdebitazione perché non soddisfaceva il requisito oggettivo di pagamento parziale (caso raro oggi), potrebbe valutare di usare l’istituto dell’art. 283 CCII come “seconda chance”. Tuttavia, va ribadito: una tantum e solo per persone fisiche.
Meritevolezza e controlli: la meritevolezza qui è ancor più centrale, perché concedere il beneficio a costo zero è un gesto forte. Quindi, qualsiasi segno di frode (es. aver nascosto soldi sotto il mattone) lo preclude. La giurisprudenza sta iniziando a interpretare queste norme; è prevedibile un certo rigore nel concederlo, ma l’indirizzo generale del legislatore è chiaro nel dare una seconda opportunità agli insolventi civili onesti.
Procedure concorsuali ordinarie (per imprese soggette a fallimento)
Dopo aver esaminato gli strumenti per i debitori sovraindebitati (tipicamente la dimensione in cui rientra un’impresa di facchinaggio di piccole dimensioni), spendiamo qualche parola sulle procedure ordinarie previste dal CCII per le imprese più grandi o comunque fallibili. Questo perché, in alcuni casi, un’impresa di facchinaggio potrebbe superare i parametri di fallibilità (ad es. se gestisce appalti per grosse aziende logistiche, con decine di dipendenti, fatturati elevati ecc.) o comunque perché il lettore abbia un quadro completo. I nomi tradizionali fallimento e concordato preventivo sono stati mantenuti concettualmente, con alcune novità terminologiche:
- La liquidazione giudiziale è la procedura che sostituisce il fallimento. Viene aperta dal tribunale su istanza di creditori, del debitore o d’ufficio in certi casi, quando un imprenditore commerciale insolvente non è “minore” (supera le soglie). Il suo funzionamento è analogo a quanto descritto per la liquidazione controllata, ma con qualche differenza: ad esempio possono essere dichiarate in liquidazione giudiziale d’ufficio anche le società estinte in precedenza se l’insolvenza emerge entro un anno dall’estinzione.
- Il concordato preventivo rimane l’istituto cardine per evitare la liquidazione giudiziale. È simile al concordato minore ma con discipline più articolate: ad esempio, è obbligatoria la suddivisione dei creditori in classi quando ve ne sono eterogenei, e sono ammesse diverse tipologie (concordato in continuità aziendale vs concordato liquidatorio). Serve il voto delle maggioranze per classe (di regola 2/3 in ciascuna classe, con almeno la maggioranza assoluta sul totale). Il concordato preventivo, a differenza del minore, non richiede la meritevolezza pregressa del debitore come condizione di accesso (il CCII ha eliminato il previgente requisito di fattibilità economica e introdotto invece un obbligo di correttezza durante la procedura). Ciò significa che anche imprenditori che hanno commesso errori gestionali possono proporre concordato, purché il piano sia genuino e trasparente.
- Nel concordato preventivo vi è ampia flessibilità: ad esempio è ammesso il concordato con continuità diretta (l’impresa continua l’attività e paga i creditori col ricavato futuro) o indiretta (si trasferisce l’azienda a un terzo che la proseguirà, e il prezzo viene distribuito ai creditori) oppure concordato liquidatorio (si liquidano tutti i beni ma in forma concordataria e non fallimentare – il CCII ora consente concordati liquidatori solo se assicurano un pagamento di almeno il 20% ai chirografari, salvo eccezioni). Nel concordato minore tale percentuale minima non è richiesta.
- Un aspetto comune al concordato preventivo e minore è la necessità che il piano offra ai creditori una utilità non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale alternativa (principio del “miglior soddisfacimento”). Nel concordato preventivo entrano più spesso in gioco questioni di classi, trattamento differenziato di creditori (ad esempio i fornitori strategici pagati in misura maggiore per non pregiudicare la continuità, ecc.), e la figura del commissario giudiziale che viene nominato dal tribunale per vigilare durante la procedura (nel concordato minore abbiamo il gestore/OCC con ruolo simile).
- Anche nel concordato preventivo aggiornato sono previste le misure protettive automatiche al deposito del ricorso (blocco dei pignoramenti) e le possibilità di cram-down fiscale e previdenziale analoghe a quelle già descritte.
Per completezza, citiamo anche il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): questo è un istituto nato in via transitoria nel 2021 e poi confermato, riservato però al caso in cui l’imprenditore abbia tentato la composizione negoziata senza successo. In tale ipotesi, egli può proporre direttamente un concordato liquidatorio ai creditori senza voto, da omologare giudizialmente (una procedura molto particolare in cui il tribunale valuta la convenienza per i creditori e può omologare anche senza il loro consenso formale). È un rimedio estremo – di fatto mai usato finora se non raramente – per evitare il fallimento quando la negoziazione stragiudiziale fallisce ma c’è comunque una proposta di liquidazione un po’ più vantaggiosa del fallimento. Nel nostro contesto, difficilmente una piccola impresa ricorrerà a ciò, ma esiste come opzione.
In sintesi sulle procedure ordinarie: un’impresa di facchinaggio sopra soglia che si indebiti gravemente dovrà scegliere tra chiedere un concordato preventivo (se vuole evitare la fine liquidatoria e ha una proposta da fare, come cessione dell’azienda a terzi o ristrutturazione dei debiti con continuità) oppure subire/attivare la liquidazione giudiziale. I vantaggi per il debitore nel concordato preventivo sono paragonabili a quelli del concordato minore: mantenere il controllo (in continuità spesso l’organo amministrativo resta in carica sotto sorveglianza), ridurre i debiti e poter proseguire l’attività – se omologa e adempie, la società vede chiudersi la procedura e se è una società continua la propria esistenza ripulita dai debiti concordatari (diversamente dall’idea comune che la società debba sparire; il CCII anzi ammette espressamente l’esdebitazione per società ed enti collettivi in concordato liquidatorio, concetto innovativo perché in passato le società fallite venivano dissolte e stop). Viceversa, la liquidazione giudiziale è una fine ordinata ma definitiva per l’impresa: al termine, se è una società, viene cancellata dal Registro Imprese e cessa di esistere. I soci o l’imprenditore individuale potranno successivamente chiedere l’esdebitazione (con le regole analoghe a quelle dette per la liquidazione controllata).
Dal punto di vista difensivo, il management di un’impresa in crisi deve tenere a mente che attivare per tempo un concordato preventivo può evitare guai peggiori: ad esempio, consente di congelare i pignoramenti, gestire la vendita degli asset a valori migliori (magari tramite esercizio provvisorio), prevenire la dispersione del valore aziendale e soprattutto evitare condotte che possano sfociare in bancarotta fraudolenta. Infatti, la trasparenza in tribunale mette al riparo da sospetti di frode (ogni atto è autorizzato dal giudice, come pagare fornitori essenziali ecc.). Molte volte un concordato preventivo viene scelto dai consigli di amministrazione come forma di protezione anche per sé stessi: meglio attivare una procedura concordataria (che è considerata regolazione della crisi) piuttosto che lasciare accumulare debiti e rischiare poi un fallimento con potenziali accuse. Questa considerazione vale in scala maggiore, ma anche per l’imprenditore minore: chiedere una procedura di sovraindebitamento o liquidazione controllata può prevenire situazioni penalmente rilevanti e dimostrare la buona fede.
Simulazioni pratiche: casi di imprese indebitate e soluzioni adottate
Per rendere più concreti i concetti esposti, immaginiamo alcune situazioni tipo riguardanti un’impresa di facchinaggio indebitata, e vediamo quale percorso potrebbe intraprendere ciascun debitore per difendersi efficacemente.
Caso 1: Ditta individuale di facchinaggio con soli debiti fiscali e contributivi. Mario è un piccolo imprenditore individuale (senza dipendenti) che svolgeva attività di facchinaggio. A causa di un calo di lavoro non è più riuscito a versare IVA e contributi: ha accumulato €50.000 di debiti con Agenzia Entrate Riscossione e €10.000 con l’INPS. Non ha immobili né risparmi; i suoi unici beni sono un furgone vecchio e pochi attrezzi. Dopo aver chiuso l’attività, Mario trova un lavoro dipendente ma i crediti tributari iniziano a pesare: riceve un preavviso di fermo sul furgone e teme il pignoramento del nuovo stipendio. In questo scenario, Mario potrebbe puntare all’esdebitazione del debitore incapiente. Non avendo un patrimonio liquidabile, la liquidazione controllata non avrebbe senso (venderebbe solo il furgone di modesto valore). Mario si rivolge a un OCC, il quale verifica che effettivamente Mario non può offrire nulla ai creditori e che il debito deriva da sfortune senza frode. Viene depositata l’istanza ex art. 283 CCII; il tribunale concede l’esdebitazione a costo zero: i debiti di Mario verso Erario e INPS sono cancellati. Nei successivi 4 anni, Mario sa che se guadagnerà di più dovrà destinare eventuali surplus ai vecchi creditori fino al 10% (nel suo caso, se nei 4 anni vincesse alla lotteria €6.000, dovrebbe pagare i creditori per €6.000, ma se ne vincesse €100.000, dovrebbe pagarne €6.000 comunque – 10% del debito totale di €60.000 – trattenendo il resto). Decorso il quadriennio senza eventi, Mario sarà libero definitivamente. Questo caso mostra come un ex imprenditore onesto, pur completamente incapiente, possa difendersi dai debiti pubblici ripartendo da zero.
Caso 2: SRL di facchinaggio con dipendenti, indebitata verso banca e fornitori, ma con attività in continuità. La Alfa Facchinaggi S.r.l. ha 10 dipendenti e fornisce servizi in appalto a vari magazzini. Dopo alcuni contratti persi e costi imprevisti, la società accumula €80.000 di debiti con fornitori, è esposta per €100.000 su un mutuo bancario (garantito da ipoteca su un piccolo magazzino di proprietà) e deve €30.000 di IVA. L’attività però ha ancora lavoro (contratti attivi) e potrebbe tornare redditizia se alleggerita dai debiti. I fornitori iniziano azioni legali, uno ha già ottenuto un decreto ingiuntivo. La società supera di poco le soglie di fallibilità (ricavi annui €250.000). Cosa fare? I soci convocano un avvocato esperto che suggerisce di avviare subito una composizione negoziata per cercare un accordo: propongono alla banca di non escutere l’ipoteca e di allungare il mutuo, ai fornitori di accettare il 50% a saldo dilazionato in 2 anni, e al Fisco di rateizzare l’IVA. L’esperto nominato nella composizione negoziata aiuta a convincere banca e fornitori, mostrando i dati: se la società va in fallimento, la banca sì esproprierebbe il magazzino ma forse incasserebbe il 60% del credito, i fornitori quasi zero; con il piano proposto la banca ottiene il 100% ma in più tempo, e i fornitori il 50%. Si riesce a ottenere l’adesione di tutti i maggiori creditori tranne uno piccolo fornitore che resta contrario. Si formalizza allora un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 57 CCII: avendo oltre il 60% di crediti aderenti, la società chiede al tribunale l’omologazione. Il giudice omologa l’accordo e lo rende vincolante anche per il piccolo fornitore dissenziente, che riceverà il 50% come gli altri (non potrà fare esecuzioni). Alfa S.r.l. riprende fiato: con l’utile operativo futuro pagherà le rate secondo l’accordo. Difesa vincente: la società ha evitato sia il fallimento sia un concordato, riuscendo in composizione negoziata a risanare la situazione con uno strumento ibrido (accordo omologato). I dipendenti hanno conservato il lavoro; l’imprenditore ha evitato di perdere il magazzino e potrà, se esegue l’accordo, proseguire l’attività e poi essere libero dai vecchi debiti.
Caso 3: Impresa cooperativa di facchinaggio insolvente, senza prospettive di continuazione. La Beta Coop è una cooperativa di facchinaggio con 20 soci-lavoratori, che ha perso i principali appalti. Ha debiti per €200.000 (prevalentemente verso banche e Agenzia Entrate) e non ha più commesse per mantenersi. La cooperativa non è in grado di proporre un piano di concordato fattibile, perché il mercato è saturo e non c’è continuità possibile; inoltre le banche hanno revocato i fidi. In questo caso, la difesa consiste nel gestire in modo ordinato la liquidazione, massimizzando le tutele per i soci e riducendo rischi di responsabilità. Poiché le cooperative in insolvenza sono di regola soggette a liquidazione coatta amministrativa (procedura concorsuale pubblica distinta, gestita dalle autorità vigilanti), Beta Coop potrebbe essere posta in LCA dal Ministero dello Sviluppo Economico. In alternativa, considerato che la LCA spesso è simile a un fallimento ma con iter amministrativo, la cooperativa stessa può valutare di depositare un’istanza di liquidazione giudiziale (fallimento). Può sembrare controintuitivo che il debitore chieda il proprio fallimento, ma in certi casi è la mossa migliore: consente di scegliere il tribunale competente, anticipare i tempi e mostrare collaborazione (il che aiuterà poi i soci eventualmente a difendersi da azioni di responsabilità o a ottenere l’esdebitazione personale se del caso). Beta Coop deposita quindi i bilanci e chiede la liquidazione giudiziale in proprio. Il tribunale la dichiara: nomina un curatore, il quale attiverà il Fondo di garanzia per pagare i soci-lavoratori (che avevano stipendi arretrati), venderà i pochi mezzi della cooperativa e chiuderà la procedura. I debiti verso banche e fisco resteranno in gran parte insoddisfatti; tuttavia, i singoli soci (che non hanno garanzie personali e sono responsabili limitatamente) non ne risponderanno oltre, e Beta Coop cesserà di esistere con la chiusura. Se qualche socio avesse prestato fideiussioni, quell’individuo potrà a sua volta attivare per sé una procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore se il debito è personale, o liquidazione controllata). In questo scenario, l’esito è comunque la liquidazione dell’impresa, ma differisce l’approccio: aver preso l’iniziativa permette di gestire meglio la tutela dei lavoratori e la chiusura in tempi brevi, evitando ad esempio aggravio di interessi o mosse scoordinate dei creditori.
Ogni caso reale presenta peculiarità, ma questi esempi evidenziano che per ogni situazione di indebitamento esiste una via legale da percorrere: talvolta volta alla ristrutturazione e prosecuzione dell’attività, altre volte volta alla liquidazione con liberazione del debitore. L’importante è non subire passivamente, bensì scegliere consapevolmente la strategia più adatta, preferibilmente col supporto di consulenti esperti.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa rischio personalmente come titolare o amministratore se la mia impresa non paga i debiti?
R: Dipende dalla forma giuridica. Se operi come ditta individuale, tu e l’impresa siete la stessa entità: i creditori possono attaccare direttamente i tuoi beni personali (casa, conto corrente, stipendio futuro) in caso di inadempimento. Se hai una società di capitali (es. SRL), la regola generale è che ne risponde solo la società col suo patrimonio; i tuoi beni personali sono protetti, salvo tu abbia fornito garanzie personali (fideiussioni) o ci siano condotte illecite che comportino responsabilità personale (ad es. prelievi indebiti dalla società). Come amministratore, se lasci aggravare la crisi senza intervenire, potresti incorrere in azioni di responsabilità (ti potrebbero accusare di mala gestione ai sensi dell’art. 2476 c.c. o simili). Inoltre, alcuni debiti specifici generano responsabilità: il mancato versamento di IVA o di ritenute può portare a sanzioni amministrative e penali a tuo carico, anche se l’attività è societaria. Infine, in caso di fallimento, potresti subire azioni per bancarotta se hai occultato beni o documenti. In sintesi: il rischio personale varia, ma è presente – e cresce se non adotti misure regolari per gestire la crisi. Per questo è fondamentale attivarsi e tenere una condotta trasparente; ad esempio, accedere a un concordato o liquidazione volontaria può dimostrare la tua buona fede e attenuare molti rischi.
D: La mia impresa è piccola, possono comunque dichiararmi fallito (liquidazione giudiziale)?
R: Se la tua impresa rientra nella definizione di imprenditore minore (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k), non è assoggettabile a liquidazione giudiziale su iniziativa dei creditori. Quindi un creditore non può chiederne il fallimento. Potrà solo agire individualmente per il recupero. In tal caso, tu hai la facoltà di utilizzare le procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata) ma nessuno può costringerti in una procedura concorsuale. Tuttavia, attenzione: i parametri vanno considerati congiuntamente e riferiti agli ultimi tre esercizi chiusi; se li superi, anche di poco, potresti ricadere tra i soggetti fallibili. Inoltre, alcune categorie, come società di persone o di capitali, se superano le soglie, possono essere fatte fallire anche dopo la cessazione. Quindi valuta oggettivamente i numeri con un professionista. Se sei sotto soglia, hai un margine in più di controllo: potresti scegliere una liquidazione volontaria piuttosto che subire un attacco frammentato. Se sei sopra soglia, è meglio prevenire: ad esempio proporre tu stesso un concordato preventivo prima che i creditori chiedano il fallimento.
D: I debiti fiscali e contributivi si possono ridurre oppure vanno pagati sempre per intero?
R: Possono essere ridotti attraverso gli strumenti concorsuali. Nelle procedure di sovraindebitamento e nei concordati, le imposte e i contributi possono essere falcidiati (pagati parzialmente) come gli altri debiti, purché l’offerta al Fisco/INPS sia almeno pari a quanto questi otterrebbero liquidando i beni (quindi rispettando i loro privilegi). Ad esempio, se hai €50k di debito IVA ma il tuo patrimonio liquidabile darebbe al Fisco solo €5k, un concordato può legittimamente proporre di pagare €5k (o poco più) al posto di €50k. È necessaria in genere la transazione fiscale, ovvero il coinvolgimento formale dell’ente: devi includere Fisco/INPS nel piano e seguirne le regole (es. allegare il DURC e vari documenti). Oggi la legge consente anche che il giudice imponga il piano nonostante il voto contrario dell’ente se la proposta è equa. Fuori dalle procedure concorsuali, invece, il potere di sconto del Fisco è limitato per legge: può concedere rateizzazioni fino a 6-8 anni, può annullare sanzioni e interessi in alcune definizioni agevolate, ma non può spontaneamente rinunciare al capitale dell’imposta se non nelle formule di “saldo e stralcio” previste dal legislatore in casi eccezionali (come fu per alcuni carichi di persone fisiche in difficoltà nel 2019). Dunque, se vuoi ottenere un taglio del tributo, il veicolo più efficace è un concordato o accordo omologato in tribunale. Nelle procedure di liquidazione concorsuale (fallimento, liquidazione controllata) invece le imposte non “si riducono” per legge ma di fatto prendono quel che c’è (se c’è poco attivo, ricevono poco; il residuo si cancella con esdebitazione). Quindi sì, spesso lo Stato incassa solo una frazione.
D: Durante una procedura di concordato (minore o preventivo) posso continuare a gestire l’azienda? Rischio di perderne la proprietà?
R: Nel concordato preventivo in continuità, l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda sotto la supervisione di un commissario. Nel concordato minore ugualmente il debitore gestisce l’attività, coadiuvato/monitorato dall’OCC, salvo atti straordinari che richiedono autorizzazione del giudice. Non “perdi” formalmente la proprietà: l’azienda resta tua, a meno che il piano non preveda che venga ceduta (ad esempio se il concordato propone la vendita dell’azienda a un competitor: in tal caso l’azienda verrà trasferita secondo il piano). Se il concordato è liquidatorio (cioè prevede di vendere tutti i beni per pagare i creditori), allora ovviamente la proprietà dei beni verrà meno man mano che si vendono: ma è un sacrificio previsto volontariamente per soddisfare i creditori e ottenere lo sdebitamento. Tieni presente che in qualsiasi concordato c’è un rischio: se non rispetti le condizioni o non esegui il piano, il concordato può essere revocato o risolto e a quel punto rischieresti il fallimento. Ma se tutto va secondo piano, puoi conservare l’azienda (o ciò che ne fa parte secondo il piano). Un vantaggio dei concordati minori/preventivi rispetto al fallimento è che si possono prevedere soluzioni “creative”: ad esempio, cedere l’azienda a una newco dei familiari e pagare i creditori col ricavato – i creditori accettano perché magari ottengono subito qualche soldo in più che nel fallimento; tu perdi la proprietà azienda originaria ma la tua famiglia la continua tramite la newco. Oppure, mantenere la proprietà ma dimezzare il debito, continuando a operare. Ogni caso è diverso. In sintesi: il concordato è pensato per salvare il salvabile dell’azienda: se c’è un core business sano, in genere la risposta è sì, continui a gestire e non perdi la proprietà, fatti salvi gli impegni del piano.
D: Quante volte posso ottenere l’esdebitazione?
R: L’esdebitazione ordinaria (post fallimento o liquidazione controllata) può in teoria essere concessa più volte, ma attenzione: il CCII prevede che non può accedere a una nuova procedura concorsuale chi ha già usufruito di esdebitazione nei 5 anni precedenti, e comunque il giudice valuta molto più severamente la meritevolezza di chi è recidivo. L’esdebitazione dell’incapiente invece è una tantum: la legge delega e l’art. 283 CCII dicono chiaramente “solo per una volta”. Quindi quella a costo zero te la giochi una volta sola nella vita. In pratica, l’idea è: se hai avuto sfortuna e sei fallito, ti perdonano i debiti residui e puoi riprovarci; se poi ti risuccede, te li possono perdonare ancora forse, ma se diventa un’abitudine non c’è più il favor debitoris. Le corti guarderebbero con sospetto un terzo tentativo. Quindi, formalmente la legge vieta una seconda esdebitazione incapiente e per quella ordinaria pone limitazioni temporali e di condotta (ad es. se hai fatto frodi no di certo).
D: Cosa succede se ho fornitori o creditori all’estero? Posso includerli in queste procedure italiane?
R: Sì, le procedure concorsuali italiane possono includere tutti i creditori, ovunque essi siano, purché il centro degli interessi principali (COMI) del debitore sia in Italia. Se la tua impresa di facchinaggio è italiana, il COMI è qui, quindi il concordato o la liquidazione aperta in Italia ha effetto anche sui creditori esteri (in ambito UE c’è riconoscimento automatico grazie al Regolamento 848/2015 sulle insolvenze transfrontaliere; fuori UE servono exequatur ma il principio è simile). Quindi puoi e devi ricomprendere i debiti verso fornitori stranieri, e questi avranno pari diritto di voto e trattamento. Attenzione però: se hai molti creditori esteri e pochi in Italia, potrebbe sorgere questione di giurisdizione; ma in un facchinaggio locale improbabile. Quindi sì, in sede di piano elencherai anche, ad esempio, un fornitore tedesco e gli proporrai la stessa percentuale come agli altri. Dopo l’omologazione, anche quel fornitore sarà vincolato dalla falcidia: non potrà venire in Italia a pignorare il dovuto in aperto contrasto col piano omologato. Esistono complessità tecniche (notifiche internazionali, ecc.) ma sono gestibili.
D: Se apro una procedura di sovraindebitamento o concordato, i miei clienti e concorrenti lo verranno a sapere? Ho timore per la reputazione.
R: Le procedure concorsuali (concordati, fallimenti, sovraindebitamento) sono pubbliche: l’apertura viene iscritta nel Registro delle Imprese e i principali atti pure. Inoltre, i creditori e soggetti interessati ne hanno notizia. Pertanto, è probabile che nell’ambiente di mercato la notizia circoli. Tuttavia, i tuoi partner preferirebbero probabilmente che tu ordini la situazione legalmente piuttosto che tu sparisca lasciando debiti. La composizione negoziata, invece, è riservata nella fase iniziale: l’esperto e tu trattate con i creditori, ma non c’è pubblicità a terzi (a meno di misure protettive pubblicate). Se trovi accordi privati, puoi cercare di tenere la crisi “discreta”. Ma se devi ricorrere a omologhe, un po’ di pubblicità legale è inevitabile. Puoi però gestirla proattivamente: ad esempio informando tu i clienti maggiori che stai ristrutturando l’azienda per renderla più solida, e che garantirai l’esecuzione dei contratti (magari chiedendo l’autorizzazione a proseguire i contratti pendenti in concordato). Insomma, la reputazione può subire un colpo nel breve termine, ma se la procedura ti salva, nel medio termine potrai riconquistare fiducia spiegando che hai seguito la legge per risolvere la crisi. Molte grandi aziende sono passate da concordati preventivi e poi sono tornate sul mercato. Per una piccola impresa, certamente la chiacchiera locale c’è, ma meglio qualche chiacchiera che un pignoramento improvviso che blocca tutto. In ogni caso, i registri concorsuali oggi sono digitali e aperti: chi vuole informarsi lo scopre. Tanto vale essere trasparenti.
D: Quali costi comportano queste procedure? E se non posso permettermele?
R: Le procedure concorsuali hanno dei costi professionali e giudiziari: ad esempio, bisogna pagare l’OCC (nei sovraindebitati) o il commissario/curatore (nei concordati/fallimenti), oltre ai propri consulenti (avvocato, commercialista). C’è un contributo unificato per il ricorso modesto, e poi i compensi degli organi che vengono stabiliti dal tribunale a carico dell’attivo della procedura. Nella pratica, se hai qualche attivo, questi costi verranno coperti nel piano (es. prevedi una percentuale per spese prededucibili) o in liquidazione (il liquidatore si paga con i primi fondi ricavati). Se sei totalmente privo di risorse liquidi all’inizio, spesso i professionisti OCC chiedono almeno un fondo spese iniziale (anche qualche centinaio di euro) per avviare. In alcuni luoghi esistono convenzioni con associazioni antiusura o fondi di rotazione che aiutano a coprire i costi iniziali per i casi sociali. In generale però, l’idea è: se c’è patrimonio, i costi si pagheranno da lì; se non c’è proprio nulla, paradossalmente la via è l’esdebitazione incapiente – e lì l’OCC può essere pagato con un fondo statale istituito appositamente (è previsto un Fondo di solidarietà per compensare gli OCC nei casi di esdebitazione incapienti). Quindi non farti scoraggiare dai costi: parla con l’OCC o il gestore, esponi la tua situazione. Il sistema prevede misure per consentire anche ai più deboli l’accesso. Ad esempio, se fai un piano del consumatore e non hai soldi subito, l’OCC può postergare il suo compenso come prededucibile da pagare a fine piano. L’importante è muoversi.
D: Dopo l’esdebitazione, posso tornare ad avere un’attività economica normalmente?
R: Sì. L’esdebitazione cancella i debiti passati e ti libera. L’unico “neo” è che delle tracce rimarranno nelle banche dati (ad es. la Centrale Rischi potrebbe segnalare il concordato o fallimento per un certo periodo). Ma legalmente nulla ti vieta di aprire una nuova società, fare impresa, ottenere un nuovo codice fiscale etc. Se eri un imprenditore individuale, potrai iscriverti di nuovo alla Camera di Commercio e ripartire. Se eri un amministratore di società fallita, attenzione: per la durata della procedura non potevi amministrare altre società senza autorizzazione; ma dopo la chiusura e l’eventuale esdebitazione, quella interdizione cade. Ricorda, però, che se chiederai credito in futuro, le banche valuteranno il tuo track record: un esdebitato può dover ricostruire la propria affidabilità. Nulla ti impedisce di avere successo comunque: la normativa europea e italiana vuole proprio consentire ai falliti onesti di rientrare nel circuito produttivo (principio della second chance). Quindi giuridicamente sì, puoi tornare in affari. Addirittura potresti riacquistare beni che furono della tua vecchia azienda, purché a valori di mercato e con trasparenza. L’unica cautela: se ottieni esdebitazione e ti indebiti di nuovo malamente, la legge e i giudici saranno meno clementi la prossima volta. Ma augurandoti successo, questo non servirà.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative che confrontano i principali strumenti a disposizione e sintetizzano l’ordine di soddisfacimento dei debiti nell’insolvenza.
Tabella 1 – Differenze tra procedure per debitori non fallibili (sovraindebitamento) e procedure ordinarie
Caratteristica | Sovraindebitamento (es. concordato minore, liquidazione controllata) | Procedure ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) |
---|---|---|
Soggetti ammessi | Consumatori, professionisti, imprenditori minori, agricoltori, enti non fallibili. | Imprenditori commerciali sopra soglia, società commerciali, enti fallibili. |
Chi avvia la procedura | Solo il debitore (volontaria). Creditori non possono chiedere apertura (eccezion fatta per liquidazione controllata solo debitore). | Debitore o creditori (o PM) possono richiedere. Il fallimento è anche d’ufficio su insolvenza accertata. |
Organo di gestione | OCC/gestore nominato (concordato minore) o liquidatore (liquidazione controllata). | Commissario giudiziale (concordato preventivo) o curatore (liquidazione giudiziale). |
Voto dei creditori | Concordato minore: voto per adesione maggioranza >50% crediti. Classi non obbligatorie. Liquidazione controllata: nessun voto, è liquidazione diretta. | Concordato preventivo: voto per classi (maggioranza 2/3 per classe, salvo cram-down interclassi in casi PRO). Fallimento: nessun voto (liquidazione). |
Misure protettive | Automatiche su richiesta all’apertura: sospensione pignoramenti etc.. | Automatiche con ricorso concordato (art. 54 CCII), o con sentenza fallimento (tutto congelato). |
Trattamento Fisco/INPS | Possibile cram-down fiscale nel concordato minore (se Erario dissenziente, giudice può omologare comunque). | Possibile cram-down fiscale in concordato preventivo (art. 80 CCII simile al minore). In fallimento, Fisco privilegiato prende in graduatoria. |
Percentuale minima a chirografari | Nessuna percentuale minima di legge (offerta libera, purché > 0 se possibile). Concordato minore liquidatorio richiede solo miglior soddisfacimento rispetto a liquidazione. | Concordato preventivo liquidatorio: legge richiede ≥20% ai chirografari, salvo esenzioni (art. 84 CCII). In continuità nessuna soglia fissa. |
Esdebitazione | Automatica a fine procedura per persona fisica meritevole (previo controllo tribunale). Disponibile anche immediata per incapiente. Società non più esistenti (liquidate) non rileva. | Persona fisica fallita: esdebitazione su istanza e giudizio di meritevolezza (art. 278-280 CCII). Società: CCII consente esdebitazione anche a enti collettivi in concordato/fallimento chiuso (ma società fallita di solito si estingue). |
Costi e tempi | Procedure tendenzialmente più snelle, debiti minori: concordato minore ~6-12 mesi fino omologa; liquidazione controllata ~2-3 anni. Costi ridotti (OCC spesso con tariffario). | Concordato preventivo può durare 1-2 anni (complessità maggiore); fallimento medio 5-7 anni (dipende dall’attivo da liquidare). Costi maggiori (curatore, spese giustizia, ecc.). |
Tabella 2 – Ordine di pagamento dei crediti in caso di liquidazione (controllata o giudiziale)
Quando si liquida il patrimonio del debitore, i creditori vengono soddisfatti secondo un ordine di privilegio stabilito dalla legge (artt. 2740 e 2777 c.c. e ss., art. 277 CCII). Schema semplificato:
- Crediti prededucibili – Spese di procedura, compensi di curatore/liquidatore/OCC, e nuovi finanziamenti autorizzati durante la procedura. Hanno precedenza assoluta su ogni altro credito.
- Crediti con privilegio speciale – Legati a specifici beni (es. ipoteca su immobile per mutuo, pegno su beni mobili, privilegio speciale del venditore su bene venduto). Pagati dal ricavato di quei beni in via prioritaria.
- Crediti con privilegio generale – Privilegi che insistono su tutto il patrimonio mobiliare (es. lavoratori: stipendi ultimi 2 anni e TFR; Erario: IVA, ritenute; INPS: contributi; professionisti: ultimi 2 anni di compensi, ecc.). Tra di essi l’ordine è stabilito dal Codice Civile (es. lavoratori vengono prima del Fisco).
- Crediti chirografari – Tutti i crediti non privilegiati o la parte residua non coperta da garanzia dei privilegiati (fornitori non privilegiati, banche per la parte di debito oltre il valore dell’ipoteca, privati, risarcimenti, ecc.). Questi ricevono solo dopo che tutti i privilegiati sono stati soddisfatti (integralmente o per quanto possibile) e in proporzione al loro importo (pari passu).
- Crediti postergati – Eventuali crediti che la legge o un accordo subordinano volontariamente ad altri (es. i finanziamenti soci a società sono postergati ai chirografari normali). Questi vengono ultimi, se avanza qualcosa.
N.B.: Nel concordato, l’ordine legale può essere in parte modificato su accordo, ma il principio di base – che un chirografo non riceva più di un privilegiato inferiore soddisfatto in percentuale – va rispettato salvo consenso di quest’ultimo. In ogni caso, i privilegiati non possono essere scalzati senza il loro assenso o valutazione di convenienza equivalente.
Tabella 3 – Confronto sintetico soluzioni per un’impresa in crisi
Soluzione | Quando utilizzarla | Vantaggi per il debitore | Svantaggi/Limitazioni |
---|---|---|---|
Accordo stragiudiziale individuale (saldo e stralcio privato) | Crisi lieve, pochi creditori, rapporto fiduciario con creditori. | Nessuna pubblicità, flessibilità totale dei termini. | Non vincola dissenzienti, rischio revocatorie se poi fallimento. |
Composizione negoziata | Crisi reversibile, pluralità creditori, serve coordinamento neutrale. | Moratoria azioni esecutive, intervento esperto, negoziazione protetta. | Volontaria: nessuna imposizione a creditori, costi OCC. |
Piano attestato di risanamento | Crisi gestibile con consenso quasi totale (es. solo banche). | Protezione da revocatorie, no procedura pubblica. | Creditori dissenzienti non vincolati, richiede attestatore e completa trasparenza dati. |
Accordo di ristrutturazione (60%-majority) | Crisi seria ma si ha supporto della maggioranza (banche, principali creditori). | Vincola anche minoranza dissenziente dopo omologa, tempi relativamente rapidi. | Richiede soglia 60% adesioni; pubblicità (registro imprese) e possibile opposizione creditori estranei. |
Concordato minore | Sovraindebitamento di piccolo imprenditore; possibile risanamento parziale. | Stralcio debiti residui dopo esecuzione piano; continuazione attività; blocco pignoramenti immediato. | Necessita maggioranza creditori >50%; controllo tribunale; deve assicurare almeno valore di liquidazione ai creditori dissenzienti. |
Concordato preventivo | Insolvenza di società/impresa maggiore, ma con prospettiva di salvare azienda (o parte di essa). | Possibilità di salvare azienda o rami, scegliere quali debiti soddisfare in percentuale; stall di azioni individuali; esdebitazione a fine procedura (fresh start per società in continuità). | Procedura complessa, costosa, sotto scrutinio dei creditori (possono non approvare); necessita trasparenza assoluta; soggetta a eventuali opposizioni e giudizio di convenienza tribunale. |
Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Debitore non fallibile insolvente senza possibilità di accordo utile; obiettivo chiudere posizione debitoria. | Debitore persona fisica ottiene esdebitazione dei debiti non pagati; ordine e parità di trattamento tra creditori; lavoratori tutelati dal Fondo. | Perdita totale del patrimonio; cessazione attività; tempi di liquidazione non brevissimi; procedura pubblica concorsuale. |
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Insolvenza irreversibile di impresa fallibile; nessuna altra procedura tentata o concordato fallito. | Simile a liquidazione controllata: libera il debitore individuale dai debiti via esdebitazione (su richiesta); chiude tutte le pretese in un unico contesto legale. | Impatto reputazionale negativo (fallimento è pubblicizzato); costi alti; tempi lunghi; società di norma viene cancellata (fine dell’impresa). |
Esdebitazione incapiente | Persona fisica totalmente priva di beni/rdd, debiti insostenibili, almeno buona fede. | Cancella tutti i debiti senza pagare nulla; rapido (decisione tribunale); offre vera “grazia” al debitore onesto e disperato. | Una tantum nella vita; 4 anni di condotta monitorata (se sopravvengono utilità, vanno ai creditori al 10%); discrezionale del giudice con criteri severi (basta minima utilità futura prevedibile per negarla). |
Le tabelle confermano concetti già esposti, fungendo da promemoria: più la soluzione è consensuale (in alto), più richiede accordo dei creditori ma preserva l’autonomia dell’imprenditore; più è concorsuale/giudiziale (in basso), più garantisce cancellazione dei debiti ma al prezzo di perdere beni e controllo. Ogni impresa in crisi deve collocarsi in questo spettro e scegliere di conseguenza.
Conclusione
Affrontare i debiti di un’impresa di facchinaggio è senza dubbio una sfida complessa, ma l’ordinamento offre numerosi strumenti di difesa che, se conosciuti e applicati correttamente, possono evitare gli esiti più nefasti e offrire una via d’uscita sostenibile. Il punto di vista del debitore deve essere proattivo: informarsi, pianificare e agire tempestivamente sono le chiavi per gestire la situazione. Questa guida ha illustrato come mappare i debiti, quali sono le priorità legali, e quali percorsi (dalla trattativa privata al concordato, fino alla liquidazione ed esdebitazione) sono disponibili, aggiornati alle ultime riforme e pronunce giurisprudenziali.
In particolare, grazie alle riforme culminate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, oggi un imprenditore onesto ma sfortunato può ottenere il fresh start in tempi relativamente rapidi: i giudici di legittimità hanno confermato che l’accesso all’esdebitazione va favorito, non essendo richiesto un pagamento minimo ai creditori se non vi sono risorse. Al contempo, le nuove procedure come il concordato minore e la composizione negoziata forniscono strumenti ad hoc per le piccole realtà, evitando loro di restare schiacciate dalle regole pensate per le grandi insolvenze. Le ultime sentenze della Cassazione (fino al 2025) hanno chiarito punti cruciali – ad esempio, con l’ordinanza n. 14835/2025 si è stabilito che per le procedure iniziate sotto la vecchia legge fallimentare continuano ad applicarsi quelle norme anche se l’esdebitazione si chiede dopo l’entrata in vigore del CCII, evitando incertezze di diritto intertemporale; con la sentenza n. 34150/2024 si è legittimato il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati oltre un anno nei piani di sovraindebitamento, purché compensato dal diritto di voto degli stessi – decisione che concede maggiore flessibilità ai debitori nel formulare proposte sostenibili. Si è quindi delineato un orientamento sempre più permissivo e orientato al risanamento.
Per il titolare di un’impresa indebitata, la lezione principale è: non isolarsi e non restare immobili. Occorre valutare con lucidità la propria condizione: se l’azienda ha prospettive di salvataggio, puntare su un accordo o concordato in continuità; se invece non può sopravvivere, meglio gestire una liquidazione concorsuale ordinata che subire l’erosione disordinata del patrimonio e magari incorrere in guai maggiori. In entrambi i casi, grazie alle procedure di esdebitazione, l’imprenditore stesso può aspirare a tornare in bonis (libero dai debiti) dopo aver adempiuto ai doveri previsti.
Questa guida, con le sue oltre 10.000 parole, mira ad essere un riferimento completo e aggiornato. Si raccomanda comunque, in casi concreti, di farsi assistere da un professionista qualificato (avvocato o commercialista esperto in crisi d’impresa): l’applicazione pratica di questi istituti richiede competenza tecnica, dalla redazione di un piano sostenibile all’interlocuzione con il tribunale e i creditori. Ma con la giusta assistenza e consapevolezza, anche l’imprenditore più oppresso dai debiti può trovare una via per difendersi e ripartire, e questa è la forte scelta di campo del legislatore odierno: privilegiare la composizione della crisi rispetto alla punizione del debitore.
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Art. 2 (Definizioni: sovraindebitamento, imprenditore minore, ecc.).
- Cass., Sez. I civ., 2 luglio 2025 n. 14835 – Ordinanza su disciplina applicabile all’esdebitazione per fallimenti iniziati ante CCII: confermata applicazione della vecchia legge fall. in tali casi.
- Cass., Sez. I civ., 31 maggio 2023 n. 15359 – Sentenza (ordinanza) in tema di esdebitazione: le cause ostative di cui all’art.142 l.fall. sono tassative e da interpretare restrittivamente alla luce del favor debitoris e direttiva UE 2019/1023.
- Cass., Sez. I civ., 23 dicembre 2024 n. 34150 – Sentenza in materia di sovraindebitamento: legittimo prevedere la dilazione ultrannuale dei crediti privilegiati nei piani/accordi ex L.3/2012, purché ai creditori sia riconosciuto diritto di voto (o di esprimersi) sulla proposta.
- Cass., Sez. I civ., 24 ottobre 2024 n. 27562 – Sentenza sul requisito del soddisfacimento parziale dei creditori nell’esdebitazione: confermato che il CCII ha eliminato la necessità di una soglia minima di pagamento; va privilegiata la condotta del debitore e una valutazione sostanziale delle circostanze.
- Tribunale di Milano – Sentenza 10 giugno 2022 (proc. NRG 32/2022, Giud. Carmelo Barbieri) – Sovraindebitamento ex L.3/2012, Liquidazione del patrimonio: omologato piano liquidatorio di impresa di pulizie e facchinaggio con €205.000 debiti; il debitore ha continuato l’attività e otterrà l’esdebitazione decorsi 4 anni.
- Direttiva (UE) 2019/1023 sulla ristrutturazione e insolvenza – Principi recepiti nel CCII (es. seconda opportunità, riduzione requisiti esdebitazione) e citati dalla Cassazione come criterio interpretativo (v. art. 23 direttiva richiamato in Cass.15359/2023).
- Relazione illustrativa al D.Lgs. 83/2022 (correttivo Codice della Crisi) – Chiarimenti sulle modifiche a concordato minore e sovraindebitamento (es. art. 74 CCII, procedure familiari).
- Codice civile e leggi collegate: art. 2477 c.c. (finanziamenti soci postergati, citato in tabella), artt. 2740-2742 c.c. (responsabilità patrimoniale e par condicio), art. 480 c.p.c. mod. L.3/2012 (avviso OCC in precetto).
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Conclusione
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