Ex Socio Impresa Di Manutenzione Caldaie Con Debiti: Come Difendersi

Sei un ex socio di un’impresa di manutenzione caldaie e ti ritrovi con debiti da pagare?
Anche dopo essere uscito dalla società, i creditori possono chiederti il pagamento di debiti maturati durante il periodo in cui eri socio. La responsabilità varia a seconda della forma giuridica dell’impresa e delle garanzie prestate. Conoscere i tuoi diritti e le possibili strategie legali è fondamentale per proteggere il tuo patrimonio.

Quando un ex socio può trovarsi a rispondere dei debiti dell’impresa
– Quando era socio di una società di persone (SNC o SAS) e risponde in solido per i debiti contratti durante la partecipazione
– Quando ha prestato fideiussioni o garanzie personali per finanziamenti, forniture o leasing dell’azienda
– Quando il recesso o la cessione delle quote non è stato formalizzato correttamente
– Quando restano in sospeso debiti fiscali o contributivi maturati prima dell’uscita dalla società
– Quando contenziosi o cause avviate durante la gestione si concludono con condanne al pagamento

Cosa può accadere a un ex socio con debiti dell’impresa
– Pignoramento di conti correnti, stipendio o pensione
– Iscrizione di ipoteche su immobili di proprietà
– Segnalazione come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie
– Incremento del debito per interessi, sanzioni e spese legali
– Azioni esecutive avviate anche anni dopo l’uscita dalla società, se relative a obbligazioni pregresse

Come difendersi legalmente
– Far verificare da un avvocato la legittimità della pretesa e la propria reale responsabilità
– Dimostrare, con documenti societari e contabili, la data di uscita e la non imputabilità di debiti successivi
– Contestare fideiussioni o garanzie se non valide o se decadute
– Eccepire prescrizione o decadenza, quando applicabili
– Negoziare con i creditori piani di rientro o accordi transattivi per ridurre l’importo dovuto
– In caso di forte indebitamento, valutare la procedura di sovraindebitamento per liberarsi legalmente dai debiti

Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale
– L’esclusione dalla responsabilità per debiti contratti dopo l’uscita dalla società
– La riduzione del debito complessivo tramite accordi o procedure giudiziarie
– La sospensione di pignoramenti e altre azioni esecutive
– La protezione del patrimonio personale e familiare
– La chiusura definitiva delle posizioni debitorie

Attenzione: uscire formalmente da una società non sempre significa essere automaticamente liberati dai debiti. Serve una verifica approfondita della posizione e, se necessario, un’azione legale tempestiva per evitare di pagare somme non dovute.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti societari, tutela degli ex soci e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se sei un ex socio di un’impresa di manutenzione caldaie con debiti e come proteggerti legalmente.

Hai ricevuto richieste di pagamento per debiti di una società da cui sei uscito?
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Introduzione

Essere un ex socio di un’impresa di manutenzione caldaie che ha accumulato debiti può diventare motivo di grande preoccupazione. Ci si chiede se, pur avendo lasciato la società, si possa essere chiamati a rispondere di debiti fiscali, cartelle esattoriali, obbligazioni bancarie o fatture non pagate ai fornitori. La risposta dipende da molti fattori: la forma giuridica della società (società di persone come S.n.c. o S.a.s., oppure società di capitali come S.r.l.), il tipo di debito (tributario, previdenziale, commerciale, bancario), l’esistenza di garanzie personali prestate e gli atti compiuti dai creditori (ingiunzioni, pignoramenti, ecc.). In questa guida – aggiornata a luglio 2025 e arricchita con riferimenti normativi e giurisprudenza recente – analizzeremo dettagliatamente come difendersi dalle pretese dei creditori quando ci si trova nella posizione di ex socio debitore.

Struttura della guida: Inizieremo delineando le diverse tipologie di società e come varia la responsabilità dei soci (attuali ed ex) in base alla forma giuridica. Successivamente distingueremo le situazioni in base al tipo di debito: debiti tributari (verso Fisco e Agenzia Entrate Riscossione), debiti contributivi (verso enti come INPS e INAIL), debiti verso fornitori e altri creditori privati, debiti bancari o finanziari (ad es. mutui, fideiussioni). Per ciascuna categoria vedremo quali strumenti di difesa ha l’ex socio (dall’opposizione a decreto ingiuntivo all’opposizione all’esecuzione o all’impugnazione di cartelle), incluse le tutele particolari (come il limite di escussione dei beni personali o l’impignorabilità di certi beni). Dedicheremo poi spazio alle procedure di sovraindebitamento (le nuove procedure introdotte dal Codice della crisi per debitori non fallibili), che rappresentano l’ultima risorsa per chi si trova schiacciato da debiti insostenibili. Troverete inoltre tabelle riepilogative per una consultazione rapida dei principi chiave, una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi frequenti, nonché alcune simulazioni pratiche di casi reali in ambito italiano, con le soluzioni applicate.

Nota bene: Tutte le indicazioni fornite riguardano il diritto italiano. Le norme citate (Codice Civile, leggi speciali) e le sentenze menzionate sono quelle vigenti o pronunciate in Italia. Le situazioni ipotizzate assumono che l’attività di manutenzione caldaie in questione sia svolta in Italia e soggetta alla legge italiana. Nella sezione finale sono elencate tutte le fonti normative e giurisprudenziali utilizzate, per consentire eventuali approfondimenti.

Passiamo ora ad esaminare il quadro normativo di riferimento, ossia come funziona la responsabilità patrimoniale dei soci (e degli ex soci) nelle varie forme societarie, perché è da questo che discende l’obbligo (o meno) di pagare i debiti sociali.

Tipologie di società e responsabilità dei soci

Prima di entrare nel merito dei debiti, è fondamentale capire come varia la responsabilità dei soci a seconda della forma societaria. La posizione di un ex socio infatti dipende in larga misura dal tipo di società di cui faceva parte. In particolare, distinguiamo due macro-categorie:

  • Società di persone – ad esempio società in nome collettivo (S.n.c.), società in accomandita semplice (S.a.s.) o società semplice (S.s.); caratterizzate dall’elemento personale e dalla responsabilità illimitata dei soci (salvo eccezioni per gli accomandanti).
  • Società di capitali – ad esempio società a responsabilità limitata (S.r.l.), società per azioni (S.p.A.), società in accomandita per azioni (S.a.p.a.), cooperative; caratterizzate da autonomia patrimoniale perfetta e responsabilità limitata dei soci al capitale conferito.

Esamineremo ciascuna tipologia, evidenziando il regime di responsabilità dei soci durante la vita sociale e il trattamento dell’ex socio dopo la sua uscita.

Società di persone (S.n.c., S.a.s., S.s.)

Nelle società di persone vige in generale il principio della responsabilità personale illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali, con un’importante tutela di carattere sussidiario in loro favore. Ciò significa che i creditori sociali possono rivalersi sul patrimonio personale di ciascun socio, e per l’intero importo del debito sociale, ma solo se il patrimonio della società risulta insufficiente a soddisfare il credito (c.d. beneficio di preventiva escussione). In pratica, l’art. 2304 c.c. stabilisce che i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dai singoli soci finché non abbiano escusso (cioè tentato senza successo di soddisfarsi sui) i beni della società. Questo beneficio opera soprattutto in sede esecutiva (quando si tratta di recuperare coattivamente il credito), ma non impedisce al creditore di agire in giudizio e ottenere un titolo esecutivo (sentenza o decreto ingiuntivo) anche nei confronti dei soci, prima di escutere la società. In altri termini, il creditore può citarvi in causa (o ingiungervi il pagamento) insieme alla società, e ottenere un provvedimento di condanna anche a vostro carico; tuttavia, per procedere a pignorare i vostri beni personali, dovrà prima aver infruttuosamente tentato con i beni sociali. Il patrimonio della società resta dunque il primo fondo di garanzia per i creditori, mentre la responsabilità dei soci opera come tutela ulteriore in via sussidiaria.

Vediamo le caratteristiche specifiche per le diverse forme di società di persone, in particolare S.n.c. e S.a.s., con riguardo al destino dei debiti in capo all’ex socio:

  • S.n.c. (Società in nome collettivo): tutti i soci sono illimitatamente e solidalmente responsabili per i debiti sociali (artt. 2291 e 2298 c.c.). Questo significa che ciascun socio risponde con tutti i propri beni (presenti e futuri, ex art. 2740 c.c.) dell’adempimento delle obbligazioni della società, e il creditore può chiedere a uno qualsiasi dei soci l’intero importo dovuto. Cosa accade se un socio esce dalla società? L’art. 2290 c.c. disciplina la responsabilità del socio uscente: esso prevede che, se il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi (o i suoi eredi) rimane responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno dello scioglimento. In altre parole, l’ex socio di una S.n.c. continua a rispondere dei debiti contratti dalla società fino alla data in cui è uscita (data di efficacia del recesso o della cessione della quota). Per i debiti sorti dopo tale momento, invece, l’ex socio non risponde, in via di principio. Attenzione: lo stesso art. 2290 c.c. precisa che lo scioglimento del rapporto sociale con il socio uscente deve essere reso noto ai terzi con mezzi idonei (tipicamente, tramite l’iscrizione dell’atto di recesso o cessione nel Registro delle Imprese); in mancanza di tale pubblicità, lo scioglimento non è opponibile ai terzi che lo abbiano ignorato senza colpa. Ciò significa che, se non avete iscritto tempestivamente la vostra uscita al Registro delle Imprese, un creditore che abbia contratto con la società ignorando (in buona fede) che voi non eravate più soci, potrebbe ancora considerarvi responsabili. Ad esempio, la Cassazione ha affermato che il socio uscente di una S.n.c. risponde verso i terzi – compresa l’Amministrazione finanziaria – delle obbligazioni sorte fino all’iscrizione della cessione della quota nel Registro Imprese, a meno che il terzo non fosse comunque a conoscenza dell’uscita. Dunque, per un ex socio è cruciale poter provare di aver reso pubblica la propria uscita (esibendo, ad esempio, una visura camerale aggiornata che riporti la data di cessazione) così da evitare responsabilità per debiti successivi. In sintesi, l’ex socio S.n.c. può essere chiamato a pagare i debiti sociali sorti ante-uscita, mentre non è tenuto per quelli post-uscita se la sua cessazione è stata resa conoscibile ai terzi. Inoltre, va ricordato che se la S.n.c. viene dichiarata fallita, il fallimento si estende automaticamente a tutti i soci illimitatamente responsabili, compresi quelli che sono usciti da meno di un anno (art. 147 R.D. 267/1942, ora art. 256 D.Lgs. 14/2019). Ciò significa che, se avete lasciato una S.n.c. ma entro un anno la società fallisce, potreste essere coinvolti nella procedura concorsuale personale (salvo il caso in cui l’uscita, se non pubblicizzata, sia inopponibile e vi considerino ancora soci persino oltre l’anno).
  • S.a.s. (Società in accomandita semplice): in questa forma societaria convivono due categorie di soci:
    • i soci accomandatari, che hanno poteri di gestione e responsabilità illimitata e solidale (del tutto analoga a quella dei soci di S.n.c.);
    • i soci accomandanti, che sono meri conferenti di capitale, esclusi dall’amministrazione, e godono di responsabilità limitata alla quota conferita (non rispondono cioè con il loro patrimonio personale delle obbligazioni sociali).
    Per i soci accomandatari, valgono le stesse regole viste per la S.n.c.: un accomandatario uscente resta obbligato per i debiti sociali sorti fino alla data della sua uscita, se questa è stata resa nota ai terzi. Dovrà quindi pagare, ad esempio, i debiti verso fornitori o fiscali maturati mentre era in carica, anche se la richiesta del creditore emerge dopo, ma non potrà essergli imputato un debito sorto dopo che ha cessato di essere socio (purché il terzo fosse a conoscenza della cessazione, direttamente o tramite idonea pubblicità). Anche per l’accomandatario vige il beneficio di escussione: il creditore dovrà escutere prima il patrimonio sociale, e poi, in caso di incapienza, potrà rivolgersi ai beni personali dell’ex accomandatario. Inoltre, come sopra accennato, se la società fallisce entro un anno dall’uscita, anche l’ex accomandatario può essere dichiarato fallito personalmente (art. 147 l.fall., ora art. 256 CCII). Per i soci accomandanti, la situazione è diversa: essi non assumono mai una responsabilità personale oltre la quota sottoscritta. Durante la vita sociale, il loro rischio è limitato alla perdita del capitale investito e al versamento di eventuali conferimenti ancora dovuti; non possono essere perseguiti dai creditori sociali sul patrimonio personale (a meno che violino il divieto di ingerenza nella gestione, comportandosi di fatto come accomandatari, nel qual caso perdono la limitazione ex artt. 2317 e 2320 c.c.). Dunque, un ex socio accomandante non risponde dei debiti sociali né anteriori né successivi alla sua uscita – semplicemente perché neppure quando era socio poteva essergli chiesto il pagamento personale. Se dovessero arrivargli richieste di pagamento (ad es. lettere di diffida da fornitori o banche), l’ex accomandante potrà opporre di non avere legittimazione passiva, richiamando l’art. 2313 c.c. che esclude la sua responsabilità oltre la quota conferita. Le uniche eccezioni possibili sono: (i) il caso in cui l’ex accomandante avesse interferito nella gestione della società, facendosi di fatto percepire come accomandatario (caso comunque raro ed eccezionale); (ii) l’eventualità che avesse conferimenti non ancora versati al momento dell’uscita – in tal caso potrà comunque essere chiamato a versarli dalla società o dal curatore se la società è insolvente. Al di fuori di ciò, l’ex accomandante è al riparo dalle pretese dei creditori sociali. Anche in caso di scioglimento della società, il codice civile formalmente non prevede per i creditori della S.a.s. un limite di responsabilità legato alle somme ricevute dagli accomandanti, ma stabilisce anzi (art. 2324 c.c.) che durante la liquidazione non si possono ripartire utili ai soci finché non siano pagati i creditori. Di fatto, però, per l’accomandante la situazione post-estinzione ricalca quella dei soci di capitali: potrà essere chiamato a restituire quanto ricevuto in sede di liquidazione, nei limiti di quelle somme, se i creditori sociali sono rimasti insoddisfatti. Questo aspetto lo tratteremo meglio parlando dell’azione ex art. 2495 c.c. applicabile ai soci di capitali e, per analogia, ai soci limitati.
  • S.s. (Società semplice): è la forma più basilare di società di persone (di regola utilizzata per attività non commerciali, es. gestione di beni comuni, agricole, ecc.). Ha anch’essa soci a responsabilità illimitata e solidale (salvo patto interno di limitazione, irrilevante però verso i terzi). Le regole descritte per la S.n.c. (artt. 2290 e 2291 c.c.) si applicano anche alla società semplice, in quanto compatibili, per cui un ex socio di S.s. risponde dei debiti sorti fino alla sua uscita se i terzi non ne erano informati, e non risponde di quelli successivi se la cessazione è opponibile. La S.s. comunque non può fallire, quindi per essa non c’è l’eventualità di estensione del fallimento ai soci (ma, trattandosi di attività tipicamente minori, i soci di S.s. rientrano comunque nella categoria dei debitori “non fallibili” e se sovraindebitati potranno accedere alle procedure ad hoc di cui diremo oltre).

In tutte le società di persone, un aspetto importante da tenere presente è la natura “interna” o “esterna” di eventuali accordi limitativi di responsabilità. Ad esempio, nelle S.n.c. i soci potrebbero accordarsi internamente che uno di essi sopporti solo certi debiti: ma verso i creditori questo patto non ha effetti, poiché verso i terzi il vincolo di solidarietà rimane pieno (salvo poi i conti interni tra soci). Anche un patto con cui l’acquirente della quota sociale si accolla tutti i debiti pregressi libera solo internamente il venditore: i creditori potranno sempre rivolgersi al cedente per i debiti sorti fino alla cessione, essendo quella un’obbligazione unitaria della società di cui il cedente rimane coobbligato solidale.

Riassumendo – ex socio di società di persone: se siete stati soci illimitatamente responsabili (S.n.c. o accomandatario di S.a.s.), dovrete verificare la data in cui è sorto ogni debito contestato. Se è un debito anteriore o contemporaneo alla vostra uscita, potreste doverne rispondere (salvo rivalervi poi sugli altri soci per la vostra parte). Se è un debito successivo alla vostra uscita, potrete sollevare l’eccezione di difetto di legittimazione: “non sono tenuto, perché il debito è sorto quando non ero più socio”. Questa difesa sarà efficace solo se la vostra cessazione era conoscibile ai terzi (iscritta nel Registro Imprese, o nota al creditore in altro modo); in caso contrario il terzo potrà opporre che ha fatto affidamento sulla vostra apparenza di socio e considerare inopponibile la vostra uscita. Inoltre, se siete usciti di recente da una società di persone in crisi, attenzione alla dichiarazione di fallimento: entro l’anno, il curatore può chiederne l’estensione a voi, ex socio, e non basterà aver ceduto le quote per evitarlo.

Di seguito, una tabella riepilogativa delle varie figure societarie e della responsabilità del socio durante e dopo la partecipazione:

Tabella riepilogativa – Responsabilità dell’ex socio per tipo di società

Tipo di societàResponsabilità del socio durante la societàResponsabilità personale del socio uscenteNote
S.n.c. (società di persone)Illimitata e solidale per tutti i soci. Beneficio di escussione (creditore deve prima escutere la società).Risponde dei debiti sorti fino al giorno dell’uscita (se l’uscita è comunicata/opponibile ai terzi). Non risponde dei debiti successivi (salvo che l’uscita non sia opponibile perché non pubblicizzata).Ex socio liberato per i debiti post-uscita se la cessazione è opponibile ai terzi. Il fallimento della società si estende al socio uscente se la società fallisce entro 1 anno dalla sua uscita (art. 147 l.fall. / art. 256 CCII).
S.a.s. accomandatarioIllimitata e solidale (come S.n.c.).Come S.n.c.: responsabile per i debiti sorti fino all’uscita (se opponibile ai terzi); non per quelli successivi.Stesse regole delle S.n.c. (art. 2290 c.c. applicabile per rinvio dell’art. 2318 c.c.). Estensione di fallimento possibile entro 1 anno dall’uscita.
S.a.s. accomandanteLimitata al capitale conferito (nessuna escussione personale).Nessuna responsabilità personale per debiti sociali, né pre né post uscita (salvo perdita di qualità per ingerenza gestionale).Se l’accomandante non aveva versato interamente la quota, può essere chiamato a versarla anche dopo l’uscita (obbligo di conferimento). In caso di liquidazione della società, risponde eventualmente solo nei limiti di quanto ricevuto in sede di riparto finale.
S.r.l. / S.p.A. (società di capitali)Nessuna responsabilità personale del socio per i debiti sociali (autonomia patrimoniale perfetta).In generale nessuna: il socio uscente non risponde dei debiti della società (ancora esistente) sia anteriori sia successivi alla sua uscita. Eccezioni: (i) conferimenti non versati (resta obbligato a versarli); (ii) se la società si estingue lasciando debiti, i creditori agiscono contro gli ex soci entro i limiti delle somme ricevute in liquidazione (art. 2495 c.c.); (iii) socio unico di S.r.l. che omette la pubblicità: risponde illimitatamente dei debiti contratti nel periodo di unipersonalità non pubblicizzata.Il socio unico di S.r.l. deve depositare nel Registro Imprese la dichiarazione di unipersonalità e di cessazione della stessa: se omette, perde la limitazione per i debiti di quel periodo. Dopo la cancellazione della società, i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci, ciascuno nei limiti di quanto questi hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione (art. 2495 c.c.). La Cassazione ha chiarito che senza attivo distribuito il socio non paga nulla; occorre però atto formale del Fisco o del creditore verso il socio con l’indicazione di tali importi.
S.a.p.a. accomandatario (socio di S.a.p.a. con responsabilità illimitata)Illimitata e solidale (oltre ad essere amministratore di diritto).Come S.n.c.: risponde dei debiti fino all’uscita (se opponibile); non per quelli successivi.Equiparato ai soci illimitati di società di persone. L’eventuale fallimento della società si estende agli accomandatari (anche se usciti da <1 anno).
S.a.p.a. accomandante (socio di S.a.p.a. con responsabilità limitata)Come azionista di S.p.A.: responsabilità limitata al capitale sottoscritto.Nessuna responsabilità personale verso i creditori sociali, salvo chiamata ex art. 2495 c.c. dopo la liquidazione (nei limiti dell’attivo ricevuto).All’accomandante di S.a.p.a. si applica la disciplina analoga a quella dei soci di S.p.A./S.r.l. Unico rischio personale è dover completare i versamenti dovuti o restituire eventuali attivi ricevuti se i creditori non sono stati soddisfatti.
Cooperativa (a responsabilità limitata)Modello S.p.A.: socio non risponde oltre la quota sottoscritta.Nessuna responsabilità personale, salvo conferimenti non liberati e art. 2495 c.c. (limite alle somme ricevute allo scioglimento).La maggior parte delle cooperative prevede responsabilità limitata dei soci (come in S.r.l./S.p.A.). Se però fosse cooperativa a responsabilità illimitata (ormai rara), i soci rispondono come in S.n.c.; l’ex socio di cooperativa illimitata segue le regole di un ex socio di S.n.c. per i debiti ante-uscita.

Ruolo e posizione del socio: amministratore, garante, ecc.

Oltre al tipo di società, un elemento chiave è il ruolo concreto che il socio ricopriva nell’impresa, poiché ciò può influire sulla sua esposizione verso i creditori, anche al di là della qualità di socio in sé:

  • Soci che erano anche amministratori o liquidatori: nelle società di persone di regola tutti i soci accomandatari (o tutti i soci nella S.n.c.) hanno poteri gestori; nelle società di capitali invece vi è separazione tra soci e amministratori. Se l’ex socio ricopriva anche ruoli di amministrazione o controllo, potrebbe incorrere in responsabilità ulteriori di natura aquiliana o penale per atti di mala gestio. Ad esempio, un ex amministratore può essere citato in giudizio per responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. (se il patrimonio sociale è stato insufficiente per colpa di una gestione imprudente) o per violazioni tributarie (come il mancato versamento di IVA o ritenute certificate, che può portare a sanzioni amministrative e talvolta penali). Queste responsabilità non derivano dalla mera qualità di socio, ma dal ruolo gestorio e dalla violazione di specifici doveri (es. dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale, doveri fiscali, ecc.). Esempio: se l’Agenzia delle Entrate cita Tizio non in qualità di ex socio ma di ex amministratore, accusandolo di aver sottratto beni sociali per non pagare le imposte (reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, art. 11 D.Lgs. 74/2000), Tizio dovrà difendersi su quel piano (penale), separatamente dalla questione della responsabilità da socio. In questa guida ci concentreremo sulla responsabilità da socio, ma è importante che l’ex socio verifichi la natura della pretesa: se gli atti indicano contestazioni di mala gestio o ruoli gestionali, servirà impostare anche difese specifiche relative a quelle accuse (dimostrando di aver agito correttamente, o contestando l’imputabilità dell’illecito).
  • Soci fideiussori o garanti personali: molto spesso nelle piccole imprese i soci (specie se di controllo) forniscono garanzie personali per ottenere finanziamenti o forniture: pensiamo a fideiussioni bancarie “omnibus” per fidi e mutui, avalli su cambiali, polizze fideiussorie firmate personalmente. È fondamentale capire che l’uscita dalla società non estingue automaticamente queste garanzie. Se avete firmato una fideiussione a favore della banca per un finanziamento alla società, resterete obbligati verso la banca anche dopo aver ceduto le quote, fino a quando il debito garantito non sia estinto o la fideiussione revocata secondo le clausole contrattuali. In tal caso, la banca potrà escutere voi come coobbligati solidali appena la società ritarda o manca un pagamento, indipendentemente dal fatto che non siete più soci. La posizione di ex socio non vi protegge dall’obbligo assunto come garante: la fideiussione è un contratto autonomo. Potrete semmai recedere dalla fideiussione per il futuro (se previsto dal contratto, spesso con preavviso), ma resterete responsabili per tutti gli utilizzi del credito già avvenuti fino alla revoca. Come difendersi se, da ex socio, vi viene chiesto di onorare una garanzia? Purtroppo, dal lato giuridico puro, c’è poco da fare se la garanzia è valida: non potete opporre la cessazione da socio come causa di liberazione. Potete però verificare se il creditore ha aggravato il rischio a vostra insaputa (ad es. aumentando il fido, modificando il tasso o le condizioni, estendendo la durata del debito senza interpellarvi); in tal caso, se ciò è avvenuto senza il vostro consenso, potreste eccepire la liberazione totale o parziale dalla fideiussione per fatto del creditore (art. 1956 c.c. e seguenti, che tutelano il fideiussore quando il creditore altera il rapporto garantito). In pratica, dovreste dimostrare che la banca o il fornitore ha concesso variazioni sostanziali al debitore principale (la società) che vi pregiudicano, e che se lo aveste saputo non avreste acconsentito. Tale difesa non è semplice, ma in alcuni casi (ad esempio fido notevolmente aumentato rispetto a quello garantito originariamente, senza informare i fideiussori) può avere successo. In ogni caso, prevenire è meglio: quando uscite da una società, comunicate formalmente al creditore la vostra cessazione e chiedete la liberazione dalle garanzie per il futuro; se c’è un nuovo socio subentrato, proponete alla banca di sostituire la fideiussione con quella del nuovo socio. La banca non è obbligata ad accettare, ma a volte è disponibile se il subentrante offre pari garanzie. Se invece rimanete incastrati nella fideiussione, l’unica consolazione è che, pagando al creditore, avrete diritto di regresso verso la società (o gli altri soci rimasti) per quanto pagato in eccesso rispetto alla vostra parte. In pratica, potrete rivalervi sugli attuali soci o sulla società stessa per riavere i soldi – tuttavia spesso questo diritto è di difficile realizzo (se la società non ha pagato la banca, probabile che sia insolvente e non vi restituirà nulla; se i nuovi soci fossero solvibili, potreste tentar di far valere accordi interni). Insomma, in caso di garanzie personali la difesa migliore è cercare un accordo transattivo col creditore: negoziare magari un pagamento a saldo e stralcio inferiore in cambio della liberazione completa e di una liberatoria, evitando un lungo contenzioso.

Riassumendo, quando valutate le pretese di un creditore, verificate in quale veste vi vengono richiesti i soldi: come ex socio illimitatamente responsabile? Come ex socio garante? Come ex amministratore? Ciascuna posizione ha difese proprie. Nelle prossime sezioni ci focalizziamo sulla posizione di ex socio in quanto tale di fronte ai diversi tipi di debito.

Debiti tributari: ex socio e Agenzia delle Entrate

I debiti tributari di un’impresa (imposte, tasse, sanzioni amministrative) possono riguardare varie voci: IVA non versata, imposte sui redditi dell’ultimo anno di attività (IRES/IRPEF), IRAP, ritenute non versate, tributi locali, ecc. Quando una società accumula debiti fiscali e non li paga, l’Agenzia delle Entrate e l’ente incaricato della riscossione (Agenzia Entrate – Riscossione, ex Equitalia) cercheranno di recuperarli. Se la società non paga spontaneamente, il Fisco può emanare avvisi di accertamento e successivamente cartelle esattoriali o atti di intimazione. La domanda cruciale qui è: può il Fisco rivalersi sugli ex soci per i debiti tributari della società? La risposta varia in base al tipo di società e alle vicende della società (attiva, estinta, ecc.).

Vediamo i casi principali:

  • Società di persone (S.n.c., S.a.s.) – ex socio illimitatamente responsabile: qui vale quanto già detto per i debiti in generale. Un ex socio di S.n.c. o ex accomandatario di S.a.s. risponde dei debiti fiscali relativi al periodo in cui era in carica, esattamente come per gli altri debiti. Ad esempio, se la società non ha versato l’IVA durante gli anni in cui Tizio era socio, l’Agenzia Entrate Riscossione potrà chiedere il pagamento anche a Tizio, pure se nel frattempo egli è uscito, trattandosi di obbligazioni sorte mentre egli era socio. Viceversa, per i debiti tributari maturati dopo l’uscita, l’ex socio non è responsabile (sempre che la sua uscita fosse regolarmente comunicata): lo stesso art. 2290 c.c. copre le obbligazioni legali sorte fino al giorno dell’uscita, e la giurisprudenza conferma che ciò include anche i debiti verso il Fisco. Ad esempio, la Cassazione ha stabilito che il socio cedente di una S.n.c. risponde verso l’Amministrazione finanziaria delle imposte non pagate fino alla data in cui la cessione di quota è iscritta nel Registro delle Imprese, ma non di quelle successive. Nel caso specifico, un contribuente aveva venduto la quota e produceva un certificato camerale; la Cassazione ha dato ragione all’ex socia, affermando il principio che il socio risponde dei debiti tributari sorti solo fino all’iscrizione della sua uscita, condannando l’Agenzia Entrate alle spese (Cass. civ. 27 marzo 2013 n. 7688). Dunque, se siete ex soci di una società di persone, per difendervi da una cartella o accertamento fiscale dovrete provare la data della vostra uscita e sostenere che il debito in questione si riferisce a periodi successivi. Naturalmente, se il debito fiscale riguarda periodi precedenti la vostra uscita, la difesa sull’estraneità temporale non regge, poiché eravate soci e ne siete coobbligati. In tal caso resta però la tutela del beneficio di escussione: potete eccepire che il Fisco deve escutere prima la società e i suoi beni, e rivolgersi a voi solo in caso di incapienza. Questa eccezione avrà senso soprattutto in sede esecutiva (pignoramento): ad esempio, se l’Agenzia Entrate vuole ipotecare un vostro immobile, potrete opporre che prima va escusso il patrimonio sociale ex art. 2304 c.c. (sempre che la società disponga ancora di qualche attivo aggredibile). C’è però un aspetto importante: se la società è stata cancellata (estinta), non esiste più un patrimonio sociale da escutere, quindi l’escussione preventiva è impossibile da attuare; in tal caso, per alcune pronunce, il socio illimitato diventa immediatamente escutibile per l’intero. Su questo torneremo tra poco parlando di società estinte.
  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.) – ex socio: qui in linea di principio l’ex socio non è personalmente obbligato per i debiti fiscali della società, poiché vige la responsabilità limitata. Dunque, se la società (ancora in attività) ha un debito IVA o IRAP e non paga, l’Agenzia Entrate dovrà rivalersi sulla società stessa (magari con pignoramenti del conto corrente sociale, ipoteche su immobili sociali, ecc.), ma non può chiedere il pagamento al socio con un atto diretto, salvo casi particolari. Ci sono tuttavia casi particolari e norme speciali da considerare:
    1. Ruoli gestionali e sanzioni personali: se l’ex socio era anche amministratore, potrebbe incorrere in responsabilità proprie. Ad esempio, l’ordinamento tributario prevede (D.Lgs. 472/1997, art. 11) che le sanzioni tributarie sono personali, e nel caso di società di capitali rispondono di quelle sanzioni i soggetti che hanno commesso o reso possibile l’infrazione (tipicamente gli amministratori). Questo per dire che, se vi viene contestata una sanzione fiscale (multa per omesso versamento IVA) come coobbligato in solido, potrebbe essere perché eravate rappresentante legale all’epoca; ma come socio di per sé non sareste responsabile. Distinguete quindi se l’atto vi colpisce come ex amministratore (sanzione in solido per violazione tributaria) o come ex socio per il debito principale: nel primo caso la difesa è dimostrare magari che la violazione non è a voi imputabile; nel secondo, si torna alla regola della limitazione di responsabilità sociale.
    2. Obblighi di versamento capitale: il Fisco (così come altri creditori) potrebbe agire indirettamente sugli ex soci di S.r.l./S.p.A. qualora questi non avessero versato tutti i conferimenti dovuti. Infatti, il capitale sociale sottoscritto ma non ancora versato rimane un credito della società verso il socio, che il curatore fallimentare o i creditori sociali (in caso di liquidazione insufficiente) possono escutere. Se siete usciti da una S.r.l. ma non avevate versato il 100% della vostra quota, potreste dover versare il residuo su richiesta della società o, se questa fallisce, del curatore. Il cedente della quota di S.r.l., in particolare, resta responsabile verso la società per i versamenti non ancora effettuati, finché la cessione non sia iscritta e approvata (principio generale art. 2462 c.c.). Nelle S.p.A., il venditore di azioni non liberate resta solidalmente obbligato con l’acquirente per i versamenti dovuti per un biennio (art. 2355 c.c.). Dunque, se l’Agenzia Entrate rileva che la vostra società ha debiti e voi non avevate versato tutto il capitale, potrebbe spingere il liquidatore o curatore ad escutere quella parte di capitale: non è proprio la stessa cosa di rispondere dei debiti sociali, ma di fatto sarete chiamati a iniettare liquidità che andrà ai creditori (tra cui il Fisco).
    3. Soci unici di S.r.l. e pubblicità: come anticipato, un socio unico di S.r.l. che omette di depositare la dichiarazione di unipersonalità può perdere la limitazione di responsabilità. In base all’art. 2462, comma 2 c.c., il socio unico illimitatamente responsabile risponde delle obbligazioni sociali contratte nel periodo in cui l’unipersonalità non è dichiarata. Questa è una norma importante per il Fisco: se, ad esempio, Alfa S.r.l. aveva un unico socio per tutto il 2022 ma non l’ha comunicato, e in quel periodo non ha pagato le imposte, l’Agenzia Entrate potrà pretendere tali imposte anche dal socio unico personalmente, illimitatamente. Se però il socio unico aveva adempiuto agli obblighi pubblicitari (dichiarazione di socio unico all’inizio e dichiarazione di perdita dell’unipersonalità quando entra un altro socio), allora resta protetto dalla responsabilità limitata. Dunque, se siete stati soci unici, controllate di aver fatto depositare quelle dichiarazioni: in caso contrario, preparatevi all’eventualità che i creditori (compreso il Fisco) vi trattino alla stregua di soci illimitati per le obbligazioni contratte in quel periodo.
    4. Società estinte e art. 2495 c.c.: il caso più complesso è quando la società di capitali viene chiusa (cancellata) con debiti fiscali non pagati. In tale situazione intervengono l’art. 2495 c.c. e una norma speciale tributaria, l’art. 36 del DPR 602/1973. L’art. 2495 c.c. stabilisce che, dopo la cancellazione di una società, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci, nei limiti delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. L’art. 36 DPR 602/73, dal canto suo, prevede che i soci di società cessate che hanno ricevuto negli ultimi due periodi d’imposta prima della liquidazione (o durante la liquidazione stessa) beni o denaro dai gestori o liquidatori, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società nei limiti del valore di quei beni, salvo maggiori responsabilità previste dal codice civile. In sostanza, entrambe le norme mirano a evitare che i soci si spartiscano l’attivo della società lasciando il Fisco (e gli altri creditori) a bocca asciutta: se c’è stato un attivo distribuito, i creditori possono chiederne conto ai soci. Come si combinano queste previsioni e cosa dicono le sentenze più recenti? La giurisprudenza, a partire da tre sentenze delle Sezioni Unite del 2013 (Cass. SS.UU. nn. 6070, 6071, 6072/2013), ha affermato che la cancellazione di una società produce un fenomeno successorio in capo ai soci: i debiti insoddisfatti si trasferiscono ai soci, che ne rispondono nei limiti delle somme ricevute o illimitatamente a seconda del regime di responsabilità cui erano soggetti quando la società esisteva. Ciò significa che:
    • per le società di capitali, i soci subentrano nei debiti della società estinta pro quota attivo (massimo entro ciò che hanno riscosso dal bilancio di liquidazione);
    • per le società di persone, i soci (illimitatamente responsabili) subentrano tendenzialmente in modo illimitato (per l’intero), pur se permane la natura sussidiaria e solidale della loro obbligazione.
    Le Sezioni Unite 12 febbraio 2025 n. 3625 hanno fatto ulteriore chiarezza proprio sul versante tributario delle società di capitali estinte. Hanno confermato un orientamento “intermedio”: gli ex soci non sono automaticamente responsabili per i debiti fiscali della società cancellata, ma solo se e nei limiti di ciò che hanno effettivamente ricevuto in sede di liquidazione. Inoltre, l’Amministrazione finanziaria deve compiere passi formali precisi:
    • Deve notificare un avviso di accertamento specifico per ciascun ex socio, non potendo semplicemente proseguire la pretesa contro la società estinta senza coinvolgerli.
    • Deve dimostrare (se contestato) che il socio ha percepito somme o beni in base al bilancio finale di liquidazione. La ricezione di somme non è solo il limite dell’obbligo, ma una condizione dell’interesse ad agire del Fisco contro quel socio. Se il socio non ha ricevuto nulla, non c’è interesse ad agire e la pretesa non può essere avanzata.
    • Hanno chiarito che l’assenza di somme ricevute in bilancio finale non basta da sola a escludere la legittimazione del Fisco, perché potrebbero esserci altre evenienze equivalenti (es. beni sociali non risultanti formalmente a bilancio ma di fatto rimasti ai soci, o escussione di garanzie personali che ha arricchito i soci). Tuttavia, in ogni caso, la verifica di tali presupposti deve essere fatta con un accertamento mirato verso ciascun socio. Non è ammesso che questa verifica avvenga all’interno del vecchio giudizio della società: se la società aveva impugnato un avviso di accertamento e poi si estingue, i soci subentrano processualmente ma il giudice non può semplicemente condannarli senza che sia stato accertato separatamente quanto hanno riscosso.
    In pratica, le Sezioni Unite 2025 hanno rafforzato le garanzie per gli ex soci: niente azione fiscale contro di loro se non c’è un atto individuale motivato e se non viene provato che hanno beneficiato dell’attivo di liquidazione. Hanno anche confermato il principio di equità secondo cui chi non ha ricevuto nulla non deve pagare nulla. Questo è un punto cruciale di difesa: se vi arriva una cartella per debiti di una S.r.l. estinta, verificate se avete ricevuto fondi dalla liquidazione. Se no, potrete eccepire che non vi spetta pagare perché non vi è stato attribuito alcun attivo – concetto riconosciuto espressamente dalla Cassazione. Potrete inoltre contestare l’assenza di un accertamento specifico a vostro nome: spesso l’Agenzia si limita a notificare la cartella al socio, con l’intestazione del debito della società. Se quella cartella non contiene la spiegazione di cosa avete ricevuto e perché dovreste pagare, è impugnabile per difetto di motivazione e violazione dell’art. 36 DPR 602/73. Un esempio tipico: la S.r.l. Alfa chiude nel 2024 con €50.000 di debiti col Fisco non pagati; nel 2025 l’ADER manda al socio Caio una cartella di €50.000. Difesa di Caio: impugna la cartella alla Commissione Tributaria, sostenendo (a) che non ha mai ricevuto alcuna distribuzione (l’attivo era zero), e (b) che la cartella è stata emessa senza previo avviso di accertamento nei suoi confronti, violando la procedura. In casi del genere, la giurisprudenza tributaria spesso dà ragione al socio, annullando la cartella se manca la prova del presupposto (incasso di somme). Va detto che, quando il socio era illimitatamente responsabile (es. accomandatario di S.a.s.), alcune Commissioni hanno ritenuto di poter prescindere dal limite dell’attivo: poiché quel socio rispondeva già illimitatamente, l’art. 2495 c.c. non sarebbe applicabile in riduzione, e il Fisco potrebbe chiedergli tutto comunque. Questa posizione però contrasta con il concetto stesso di liquidazione della società di persone: se resta un debito, il socio illimitato ne risponde sì illimitatamente, ma eventualmente potrà eccepire che nulla gli è stato distribuito (dunque non vi è stata neppure soddisfazione parziale dei soci prima dei creditori). La questione non è del tutto pacifica, ma in generale conviene agli ex soci illimitati fare comunque valere il mancato incasso di attivo come argomento equitativo, pur sapendo che la loro posizione è più debole rispetto a quella dei soci di S.r.l.

Riassumendo, per gli ex soci di società di capitali, il Fisco ha uno strumento per inseguirli dopo la chiusura della società, ma con limiti stringenti:

  • Può chiedere agli ex soci solo entro il limite di quanto hanno avuto in liquidazione.
  • Deve provare questi importi e notificare atti formali ai soci.
  • Se un socio non ha ricevuto nulla, il debito sociale rimasto in linea di principio non può essergli addossato.
  • Se la cartella esattoriale arriva senza motivazione specifica (cioè solo con l’importo totale del debito sociale a nome vostro), è impugnabile e di solito annullabile per carenza di motivazione.

Difese pratiche contro pretese fiscali all’ex socio:

  • Verificare la natura del debito e del titolo: se ricevete un avviso o cartella, guardate se siete indicati come coobbligato solidale (es. art. 36 DPR 602/73) o come responsabile d’imposta. Se è una sanzione intestata a voi personalmente, può essere per ruolo gestorio (analizzate caso diverso).
  • Controllare il periodo di riferimento del debito: se è successivo alla vostra uscita, preparate la documentazione (visura camerale, atto di cessione/recesso) e contestate la pretesa perché riferita a periodo in cui eravate fuori (art. 2290 c.c.).
  • Se la società esiste ancora: sottolineate che siete socio di società di capitali (quindi non responsabile personalmente) o ex socio non più coinvolto. Ad esempio: “Ero socio di S.r.l., non ho responsabilità oltre il capitale”. Nel caso di società di persone attiva: “Il creditore (Fisco) deve prima escutere la società e i soci attuali; io sono uscito, il debito è successivo”.
  • Se la società è estinta: chiedete se vi è stato notificato un avviso di accertamento come successore. Se no, eccepite la mancata notifica di un atto presupposto (nullità della cartella perché l’accertamento doveva essere notificato entro un certo termine al socio). Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto nulla una cartella al socio se l’accertamento fu notificato alla società già estinta e non al socio entro l’anno. Inoltre, se non avete ricevuto nulla in liquidazione, dichiaratelo espressamente: “La società è stata liquidata senza attivo distribuito; ai sensi dell’art. 2495 c.c. il Fisco non può esigere da me importi che non ho mai percepito”. Richiamate la sentenza Cass. SU 3625/2025 a supporto.
  • Beneficio prima casa (per esecuzioni): se il Fisco minaccia un pignoramento immobiliare, e l’immobile è prima casa (abitazione principale, non di lusso) e unico immobile di proprietà, ricordate che l’Agente della Riscossione non può ipotecare né espropriare la vostra prima casa per debiti sotto 120.000€. Per debiti fiscali oltre 120.000€, può iscrivere ipoteca e avviare pignoramento, ma solo se non è l’unica casa o non è adibita ad abitazione principale. Questa è una tutela introdotta dal 2013. Se ricadete nella protezione, segnalatelo immediatamente (es. con un’istanza di sospensione dell’esecuzione).
  • Rateizzazione o definizione agevolata: per cartelle esattoriali è spesso possibile chiedere una rateizzazione (fino a 72 o 120 rate) che sospende le azioni esecutive a fronte del pagamento dilazionato. Valutate questa opzione se il debito è effettivamente dovuto e volete evitare pignoramenti. Inoltre, controllate se sono vigenti procedure di “rottamazione” o condono parziale delle cartelle: negli ultimi anni sono state introdotte sanatorie (l’ultima la Rottamazione-quater nel 2023) per stralciare sanzioni e interessi. Se la vostra rientra, aderite per chiudere la posizione con sconti.

In conclusione, di fronte a un debito fiscale imputato all’ex socio, la linea di difesa sarà: “Verificate prima la società, io come ex socio pago solo se e nei limiti in cui la legge lo consente (uscita non opponibile, somme percepite, ecc.). Altrimenti la pretesa è illegittima.” E se la legge lo consente (es. debito del vostro periodo), concentratevi su soluzioni come rateazione, accordi o eventualmente procedure concorsuali personali se l’importo è insostenibile.

Debiti contributivi e verso enti previdenziali (INPS, INAIL)

I debiti contributivi verso enti come INPS (contributi previdenziali dovuti per i dipendenti o per i soci stessi artigiani/commercianti) e INAIL (premi assicurativi obbligatori) seguono logiche simili a quelle fiscali, trattandosi di crediti di natura pubblica. Anche qui occorre distinguere il tipo di società e la posizione del socio:

  • Società di persone – ex socio illimitatamente responsabile: durante la vita sociale, tutti i soci (accomandatari o S.n.c.) sono obbligati in solido al pagamento dei contributi dovuti dalla società (ad es. contributi dipendenti). Un ex socio risponderà dei debiti contributivi sorti fino alla data di uscita, come per i debiti fiscali. Ad esempio, se la società non ha versato i contributi INPS dei dipendenti per l’anno in cui eravate soci, l’INPS potrà chiedere conto anche a voi. Se invece l’omissione contributiva riguarda periodi successivi alla vostra uscita, potrete opporre che, ai sensi dell’art. 2290 c.c., non ne siete responsabili (sempre condizione che l’uscita fosse conoscibile all’ente). Spesso accade che l’INPS, per lentezza burocratica, continui a considerare socio una persona anche dopo il recesso, se non è stata aggiornata la sua banca dati: in questi casi può capitare che arrivino avvisi di addebito o cartelle per contributi successivi all’uscita. La difesa è presentare all’INPS le prove della cessazione (es. visura camerale con la data di fine qualità di titolare/legale rappresentante) e chiedere l’annullamento dell’addebito perché riferito a periodo in cui non eravate più soci. In linea di principio, ex art. 2290 c.c. l’ex socio non è responsabile dei debiti (contributivi inclusi) sorti dopo la cessazione. Se invece l’INPS pretende contributi arretrati (ad es. gestione separata, o contributi artigiani) relativi a quando eravate soci, allora la difesa dovrà basarsi più sul beneficio di escussione (chiedete che prima si aggredisca la società) o su eventuali vizi formali degli avvisi.
  • Società di capitali – ex socio: in una S.r.l. o S.p.A., i debiti contributivi (come quelli fiscali) sono a carico esclusivo della società, non dei soci. Quindi un ex socio di S.r.l. non può essere destinatario legittimo di un avviso di addebito INPS per contributi non versati dalla società, a meno che non esistano particolari previsioni di legge. Una previsione importante è però la seguente: se parliamo di contributi personali del socio, nelle imprese artigiane o commerciali i soci (anche di S.r.l. in certi casi) devono iscriversi alle gestioni speciali INPS (artigiani/commercianti) e versare contributi su base forfettaria o sul reddito. In una S.r.l. artigiana, ad esempio, il socio lavoratore paga contributi come socio artigiano. Questi contributi sono personali del socio (pur nascendo dall’attività sociale) e l’INPS può inseguirli dal socio anche dopo la cessazione, perché sono dovuti pro quota. Se, poniamo, una S.r.l. di manutenzione caldaie con due soci artigiani non ha pagato i contributi dovuti sui redditi di partecipazione dei soci, l’INPS può emettere avvisi a ciascun socio per la propria parte. In tal caso, l’ex socio dovrà pagare i contributi relativi al periodo in cui era iscritto come artigiano, anche se nel frattempo è uscito (perché il fatto generatore – la sua attività lavorativa da socio – è avvenuto). Tuttavia, l’ex socio non risponde di contributi successivi all’uscita se non era più obbligato (dovrà però assicurarsi che l’INPS abbia registrato la cancellazione della posizione). In generale, per i contributi dipendenti di una S.r.l., l’INPS in caso di insoluto può agire contro i coobbligati previsti per legge: tipicamente nei confronti del datore di lavoro (la società stessa) e degli amministratori in alcuni casi (ad esempio per le ritenute previdenziali non versate, l’amministratore può avere responsabilità penale, ma il socio in sé no). Quindi, se l’INPS notificasse a un ex socio di S.r.l. un avviso per contributi dipendenti non pagati, sarebbe opportuno impugnarlo per difetto di legittimazione, a meno che l’avviso non individui il socio come amministratore obbligato in solido (caso diverso). Anche per l’INAIL, simile discorso: premi assicurativi per dipendenti o per artigiani, dovuti dalla società; il socio illimitato coobbligato, il socio di S.r.l. no.
  • Società cessate e contributi: l’INPS può utilizzare l’art. 2495 c.c. come il Fisco per recuperare contributi da ex soci di società estinte, sempre nei limiti dell’attivo da essi riscosso. Ad esempio, se una S.r.l. si scioglie e il liquidatore distribuisce somme ai soci senza pagare gli ultimi contributi dei dipendenti, l’INPS potrà chiedere ai soci quei contributi, ma non più di quanto incassato in liquidazione. La Cassazione ha avuto modo di confermare che l’art. 2495 c.c. vale anche per i crediti contributivi (equiparati agli altri crediti) e che l’onere di provare le somme riscosse spetta all’ente che procede. Anche qui, se non c’è stata distribuzione di attivo, l’ex socio di S.r.l. può far valere di non aver nulla ricevuto, e quindi di non dover nulla. Per i soci di società di persone, come detto, l’estinzione non li esime dal pagamento integrale dei contributi rimasti, benché si potrebbe discutere se l’INPS debba prima accertare che nulla è rimasto nella società. La giurisprudenza tende a considerare la cancellazione come successione nei debiti pure contributivi, quindi l’ex socio di Snc o accomandatario di Sas erede dei debiti INPS rimasti. Tuttavia, è sempre lecito eccepire la mancata notifica di avvisi personali entro l’anno dalla cessazione (l’INPS deve rispettare gli stessi vincoli di notifica del Fisco in caso di società estinte, v. art. 28 D.lgs. 175/2014 che estende i termini di accertamento di 5 anni, etc.).

Difese pratiche contro pretese INPS/INAIL all’ex socio:

  • Verificare periodo e posizione: controllate se i contributi richiesti riguardano periodi successivi alla vostra uscita. In tal caso, procurate visura e documenti di cessazione e inviateli all’INPS chiedendo l’annullamento in autotutela del debito postumo.
  • Impugnare gli avvisi di addebito: gli atti INPS (es. avviso ex art. 30 D.L. 78/2010 o cartella) vanno impugnati al giudice del lavoro entro 40 giorni (cartella) o 30 (avviso). Nel ricorso, evidenziate che non siete soggetto obbligato: “Difetto di legittimazione passiva: il sottoscritto, ex socio accomandante (o ex socio S.r.l.), non risponde del debito contributivo ai sensi di legge” e citate art. 2313 c.c. per accomandante o art. 2462 c.c. per S.r.l.. Oppure eccepite che il debito è successivo all’uscita ex art. 2290 c.c. (se società di persone).
  • Notifica a società estinta: se l’INPS ha notificato la cartella alla società quando questa era già cessata, l’atto potrebbe essere nullo. La Cass. ha paragonato la posizione a quella tributaria: serve notifica al socio entro un certo termine. Valutate quindi anche questo aspetto procedurale come motivo di ricorso.
  • Escussione preventiva: se siete ex socio Snc e la società esiste ancora con qualche bene, pretendete che l’INPS escuta prima la società (lo potete fare in un’opposizione all’esecuzione, se vi pignorano qualcosa, richiamando l’art. 2304 c.c.).
  • Rateizzazioni e condoni: l’INPS consente piani di dilazione analoghi a quelli fiscali e occasionalmente aderisce a sanatorie (nell’ultima rottamazione, i contributi purtroppo non erano scontati). Se il debito è dovuto e ingente, una rateazione può bloccare l’esecuzione e darvi respiro.

In generale, le posizioni INPS/INAIL replicano quelle dell’Agenzia Entrate: l’ex socio di società di persone paga i debiti pre-uscita (in solido), quello di società di capitali paga solo se ha incassato attivo (altrimenti no). Con questa chiave, impostate le vostre memorie difensive.

Debiti verso fornitori e altri creditori privati

Passiamo ora ai debiti commerciali e verso creditori privati (fornitori, locatori, professionisti, banche per scoperti non garantiti, ecc.). Questi debiti sono regolati dal diritto civile comune, senza particolari norme speciali come nel caso di Fisco e contributi. Tuttavia, per importi rilevanti, spesso i creditori privati agiscono tramite decreto ingiuntivo o causa ordinaria per ottenere un titolo esecutivo contro la società e, se possibile, contro i soci.

Ecco le coordinate principali:

  • Società di persone (S.n.c., S.a.s.) – ex socio: i fornitori e creditori contrattuali rientrano perfettamente nell’ambito di applicazione dell’art. 2290 c.c. e della responsabilità solidale. Dunque, un ex socio di S.n.c. può essere chiamato a pagare un debito verso un fornitore sorto prima della sua uscita; il fornitore può pretendere l’intero importo da lui, anche se aveva solo una quota minoritaria. Fa fede il momento in cui è sorta l’obbligazione: se un fornitore ha consegnato merce quando eravate ancora soci, quel debito vi riguarda; se la consegna/vendita è avvenuta dopo la vostra cessazione (regolarmente pubblicizzata), in teoria non dovreste risponderne. Dico “in teoria” perché, come visto, se l’uscita non è opponibile ai terzi, il creditore potrebbe eccepire che ignorava la cessazione e considerare tuttora vincolato l’ex socio. Una questione pratica: spesso i contratti di fornitura continuativa o di affitto contengono clausole per cui, in caso di variazioni nella compagine sociale, va data comunicazione al creditore, e magari quest’ultimo può recedere o chiedere garanzie. Se ciò non avviene, il creditore potrà sostenere di aver continuato a fare affidamento sulla compagine originaria. Ingiunzione e opposizione: se un creditore ottiene un decreto ingiuntivo contro la società e i soci (può farlo congiuntamente, dato il vincolo solidale), l’ex socio ingiunto dovrà valutare se opporsi. Come ex socio illimitato, non può contestare l’esistenza del debito sociale (se effettivamente dovuto dalla società), salvo eccepire magari la prescrizione o altre questioni sostanziali sul rapporto. Ma può opporre la cessazione del rapporto sociale se il debito è successivo. Ad esempio, se un fornitore ottiene decreto verso “Alfa SNC e i signori X e Y quali soci” per forniture del 2024, e X era uscito nel 2023, X potrà fare opposizione al decreto ingiuntivo sostenendo che non aveva più legittimazione passiva per quelle forniture post-uscita. Nell’atto di opposizione (entro 40 giorni dalla notifica del decreto), X dovrà provare la data di uscita (allegando l’atto notarile di cessione quota e la visura) e affermare che l’obbligazione è sorta dopo tale data ex art. 2290 c.c., chiedendo la revoca dell’ingiunzione nei suoi confronti. Qualora invece il fornitore abbia emesso fatture quando X era ancora socio, quell’opposizione sarebbe infondata nel merito (non potrà negare la responsabilità), e al più potrà chiedere una dilazione o far valere questioni sul quantum. Ricordiamo che il beneficio di escussione non è un motivo di opposizione al decreto ingiuntivo: il socio illimitato, come chiarito, può essere destinatario del decreto stesso perché la sua obbligazione non è accessoria ma diretta. Il beneficio opera semmai dopo, in sede di esecuzione forzata, dove il socio potrà contestare l’avvio del pignoramento se il creditore non ha tentato prima sulla società (cosa spesso di fatto impossibile da dimostrare: come fa un creditore a provare di aver “escusso” la società? In pratica deve risultare che il patrimonio sociale è insufficiente, tipicamente perché la società non paga e magari è vuota).
  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.) – ex socio: in questo caso, il creditore privato durante la vita della società non può agire contro i soci (non solidalmente responsabili). Quindi, se la società è ancora attiva, al fornitore non resta che aggredire la società stessa o al massimo gli amministratori per responsabilità extracontrattuale in casi estremi (difficili). Se però la società si è sciolta e cancellata con debiti, il creditore può valutare di agire contro gli ex soci ai sensi dell’art. 2495 c.c., come spiegato nella sezione fiscale: potrà citarli in giudizio per ottenere dal giudice una condanna dei soci al pagamento nei limiti delle somme percepite in liquidazione. Spesso, i creditori optano per un decreto ingiuntivo contro i soci, sostenendo la loro qualità di successori a seguito dell’estinzione della società. La Cassazione ha però precisato che, se il decreto ingiuntivo originario era stato emesso contro la società e questa non ha fatto opposizione rendendolo definitivo, tale definitività non si estende automaticamente ai soci illimitati che non abbiano partecipato al giudizio. Ciascun socio ha diritto a far valere le proprie difese personali. In pratica: un fornitore non pagato da una S.r.l. fallita o estinta potrà rivolgersi ai soci, ma dovrà dimostrare quanto costoro hanno incassato all’atto della liquidazione. Se non c’è stata distribuzione, l’azione resta senza esito. Se c’è stata, potrà ingiungere fino a concorrenza di quell’importo. L’ex socio di S.r.l. opporrà in ogni caso che manca un atto specifico e che lui non ha incassato nulla, come visto. Per i soci di S.n.c. illimitatamente responsabili la giurisprudenza è più severa: è stato affermato che il decreto ingiuntivo non opposto dalla società di persone rende incontestabile il debito sociale e questo vincola anche i soci, i quali in sede di opposizione loro propria non possono più contestare l’esistenza del debito, essendo ormai cosa giudicata per la società (resta loro solo le difese personali, come l’estraneità post-uscita). In sostanza: se una Snc riceve ingiunzione e non fa opposizione, l’ex socio non potrà successivamente sollevare eccezioni sul merito del debito, potrà solo dire “non tocca a me perché uscito prima” se è il caso. Questa è una ragione in più per monitorare le vicende della società anche dopo l’uscita: se la società riceve atti giudiziari e non li fronteggia, può riflettersi sui soci.

Pignoramenti e azioni esecutive: una volta che il creditore ha un titolo (sentenza o decreto) contro l’ex socio, può passare al pignoramento dei beni di quest’ultimo. Come difendersi in questa fase? Le possibili azioni sono:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): sostenendo che il titolo non è efficace contro di voi. Ad esempio, se il creditore utilizza contro l’ex socio un decreto ingiuntivo intestato solo alla società, potrete opporvi perché il titolo esecutivo non vi riguarda (manca titolo contro di voi personalmente). Oppure, se il credito si è prescritto dopo la formazione del titolo, o è stato già pagato altrove, sono motivi di opposizione all’esecuzione.
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): per vizi formali del procedimento di pignoramento (es. notifica invalida del precetto, errori nel pignoramento).
  • Conversione del pignoramento: consiste nel chiedere di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro cauzionale e rateizzare il pagamento (utile se volete evitare la vendita della casa o altro bene e avete la possibilità di pagare a rate).
  • Istanze di sospensione: se avete proposto opposizione a decreto ingiuntivo o altra causa, potete chiedere al giudice competente di sospendere in via d’urgenza l’esecuzione in corso, per evitare che intanto vi pignorino i beni. Dovrete però convincere il giudice che la vostra opposizione ha seri motivi (fumus boni iuris) e che il pignoramento vi causa un danno grave (periculum in mora).
  • Verifica dei limiti di pignorabilità: alcuni beni per legge sono impignorabili o parzialmente pignorabili. Ad esempio, lo stipendio o la pensione sono pignorabili nei limiti di 1/5 (o meno, a seconda dei casi) e con franchigia impignorabile pari all’assegno sociale aumentato della metà per la parte di pensione. L’abitazione principale è impignorabile dall’Agenzia Entrate Riscossione se sussistono le condizioni viste (unica casa, residenza, debito < €120.000), mentre è pignorabile da creditori privati (banche, fornitori) se il valore lo giustifica, ma resta sempre possibile cercare accordi per evitarne la vendita (come un saldo e stralcio prima dell’asta).
  • Accordi transattivi last-minute: anche a esecuzione iniziata, potete sempre negoziare col creditore un accordo: ad esempio, il pagamento immediato di una parte del debito in cambio della rinuncia al pignoramento e liberatoria. Se raggiungete l’accordo, formalizzatelo per iscritto e fate sospendere/concludere la procedura esecutiva di comune accordo.

Consiglio generale: mai restare inerti. Se ricevete un atto di precetto (intimazione a pagare entro 10 giorni, preludio al pignoramento), non ignoratelo: è il momento per trattare o per presentare un’opposizione se avete motivi validi (es. il precetto include importi non dovuti o vi è preclusione a procedere contro di voi). Se arriva direttamente un atto di pignoramento, reagite subito: l’opposizione agli atti deve farsi entro 20 giorni. E se non avete difese efficaci perché il debito è effettivamente a vostro carico, cercate soluzioni come una rateazione (per i crediti esattoriali) o concordate un piano di rientro privato col creditore, magari coinvolgendo anche gli altri ex soci per dividere il peso.

Procedure di sovraindebitamento (crisi da debiti personali)

Quando il peso dei debiti diventa insostenibile per la persona, può essere il caso di valutare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, talvolta chiamate anche “fallimento personale” o “legge salva-suicidi”. Si tratta di strumenti concorsuali che l’ordinamento italiano mette a disposizione dei debitore civili e piccoli imprenditori non fallibili per uscire da situazioni di insolvenza, ottenendo la liberazione dai debiti residui (c.d. esdebitazione). Introdotte inizialmente con la legge 3/2012, queste procedure sono state riformate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato definitivamente in vigore nel luglio 2022. Oggi abbiamo quattro procedimenti chiave:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – è l’evoluzione del vecchio piano del consumatore. Destinato a debitori persone fisiche consumatrici, cioè non fallibili e con debiti contratti fuori dall’attività d’impresa. Consente di proporre al giudice un piano di pagamento parziale dei debiti (con eventuali falcidie e dilazioni), senza bisogno di approvazione dei creditori (non c’è voto, decide il giudice sull’omologazione). Durante il piano, le azioni esecutive sono sospese e, a completamento, tutti i debiti rimasti incapienti vengono cancellati (esdebitazione automatica). Esempio: un ex socio che ora fa l’operaio, sovraindebitato per vecchie garanzie e cartelle, potrebbe essere ammesso a un piano del consumatore pagando solo quanto può permettersi con lo stipendio in 5 anni, vedendosi azzerato il resto.
  2. Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – è l’erede dell’accordo di composizione della crisi della l.3/2012. Pensato per debitori non consumatori: piccoli imprenditori, ditte individuali, professionisti, start-up, ex imprenditori che comunque hanno debiti legati all’attività economica. Richiede l’adesione dei creditori (c’è una votazione: serve la maggioranza del 50% dei crediti ammessi) e consente anche ipotesi di continuità aziendale minore. Una volta omologato, produce effetti simili al concordato preventivo: i debiti non soddisfatti sono esdebitati, salvo eccezioni, e il debitore deve rispettare le condizioni approvate. Se il concordato non passa per voto contrario o indegnità, il tribunale può convertirlo d’ufficio in liquidazione controllata. Esempio: un ex socio artigiano con debiti misti (fiscali e verso fornitori) che ancora gestisce una piccola attività potrebbe proporre un concordato minore, offrendo ai creditori un pagamento parziale (es. 30%) con l’aiuto di terzi finanziatori, per poi ripartire pulito dai debiti.
  3. Liquidazione controllata del patrimonio (artt. 268-277 CCII) – corrisponde alla vecchia “liquidazione dei beni” della l.3/2012, ma con meccanismi più simili a un fallimento semplificato. Si applica a debitori sovraindebitati (sia consumatori che imprenditori minori) che non sono in grado di proporre piani sostenibili. Il tribunale nomina un liquidatore che liquida tutto l’attivo del debitore sotto supervisione degli organi della procedura. Dopo la chiusura (o anche dopo 3 anni dall’apertura, se prima), il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto sui debiti residui, purché abbia cooperato e non vi siano atti in frode. In sostanza, è un “fallimento personale” dove però, a differenza del fallimento vero, è garantita sempre la liberazione finale dai debiti (nel fallimento tradizionale l’esdebitazione va richiesta e può essere negata per indegnità, qui invece l’art. 282 CCII la concede di diritto trascorsi 3 anni). Il debitore deve essere onesto e non aver occultato beni, altrimenti può perdere il beneficio.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – è una novità introdotta prima dalla L.176/2020 e poi recepita nel Codice. Consente al debitore persona fisica nullatenente di ottenere la cancellazione dei debiti senza pagare nulla. È un procedimento una tantum (non può essere richiesto più di una volta) e richiede che il debitore non abbia nessun patrimonio né reddito disponibile da liquidare e sia meritevole (non deve aver colposamente causato l’insolvenza). Il giudice verifica l’assenza di attivo e concede l’esdebitazione immediata. Nei 4 anni successivi, se il debitore beneficia di nuovi beni/redditi significativi, deve pagarli ai vecchi creditori in certa misura, altrimenti nulla è dovuto e i creditori non possono più agire. Questa è pensata per chi è totalmente incapiente – in un certo senso “vende” l’onta dell’insolvenza in cambio di una seconda chance.

Chi può accedere: non tutti i debitori possono usufruire di queste procedure. Sono escluse le categorie assoggettabili a fallimento o altre procedure concorsuali ordinarie (grandi imprese, società di persone con certi requisiti dimensionali, ecc.). In generale, può accedere chi è non fallibile: consumatori, imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up innovative (che per legge non falliscono i primi anni), imprenditori cessati che non hanno superato i limiti di fallibilità, enti non commerciali, ecc. Un ex socio di S.n.c. può trovarsi in due situazioni:

  • Se la S.n.c. è stata dichiarata fallita, anche i soci illimitati sono falliti (art. 256 CCII) e quindi seguiranno la procedura di liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento) insieme alla società; in tal caso non possono accedere al sovraindebitamento perché già soggetti a procedura concorsuale ordinaria (dovranno semmai chiedere l’esdebitazione a fine fallimento).
  • Se la società non è fallita (perché piccola o perché i creditori non hanno fatto istanza) e il socio si ritrova pieno di debiti personali verso vari soggetti, può accedere al sovraindebitamento come qualunque persona fisica non fallibile. In passato c’erano dubbi se il socio illimitatamente responsabile potesse accedere, ma la legge di conversione del Decreto Ristori (L.176/2020) ha chiarito inserendo il comma 2-ter all’art. 7 L.3/2012: sì, i soci illimitatamente responsabili possono accedere per i loro debiti personali, anche se derivanti da garanzie prestate per la società. È stato anche specificato che ai fini del piano del consumatore il socio illimitato può essere considerato consumatore per i debiti estranei all’attività sociale. Quindi, un ex socio S.n.c. con debiti misti potrebbe ad esempio fare un piano del consumatore per i debiti privati (es. un mutuo personale, una multa) e un concordato minore per i debiti d’impresa, oppure solo una liquidazione unica che li copra tutti. Serve però valutazione caso per caso e il supporto di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un professionista esperto per predisporre la domanda.

Vantaggi delle procedure: la principale “ricompensa” per chi completa con successo una procedura di sovraindebitamento è l’Esdebitazione, cioè la definitiva cancellazione dei debiti residui non pagati. Il debitore riacquista la sua libertà finanziaria: i creditori non potranno più esigere nulla di quanto non è stato soddisfatto nel piano o nella liquidazione, e si chiude la posizione debitoria. In altre parole, si ottiene il fresh start (seconda opportunità) tutelato dal principio del favor debitoris se il debitore è onesto e sfortunato. Per un ex socio sommerso dai debiti, questa può essere la strada per ripartire senza essere inseguito a vita dai creditori. Ovviamente, c’è un prezzo: bisogna mettere a disposizione tutto il proprio patrimonio e reddito disponibile (salve le soglie impignorabili) per pagare il più possibile i creditori, secondo un piano fattibile o tramite liquidazione. C’è inoltre una selezione basata sulla meritevolezza: chi ha causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, o ha violato obblighi di trasparenza (es. ha nascosto beni, ha fatto spese folli ingiustificate prima di chiedere aiuto), può vedersi negare l’accesso o l’omologazione. Ad esempio, non verrebbe ammesso chi ha accumulato debiti fiscali evadendo deliberatamente, o chi ha dissipato attivo della società in modo fraudolento.

Procedura in pratica: l’ex socio debitore dovrà rivolgersi a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o professionista nominato dal tribunale, che lo aiuterà a redigere la proposta di piano o l’istanza di liquidazione. La domanda si presenta al Tribunale del luogo di residenza. Da quel momento, vi è la sospensione delle azioni esecutive (il giudice può anche disporre misure protettive immediate). I creditori verranno informati e, a seconda della procedura, potranno votare (nel concordato minore) o semplicemente subire le decisioni del giudice (nel piano del consumatore). Se tutto va bene, si arriva all’omologazione e poi, una volta eseguito il piano o chiusa la liquidazione, il giudice emette il decreto di esdebitazione che libera dai debiti residui.

Conclusione sul sovraindebitamento: questa è l’extrema ratio per l’ex socio, quando tutte le difese individuali non hanno evitato un grosso danno. Ad esempio, se siete ex soci di S.n.c. e, nonostante opposizioni e transazioni, vi ritrovate comunque con sentenze esecutive per centinaia di migliaia di euro (magari la società è andata male e i debiti sono ingentissimi), può convenire dichiarare la vostra insolvenza personale e passare per una procedura concorsuale da sovraindebitamento. In tal modo, metterete un punto fermo: liquidate quel che potete (o pagate una parte secondo un piano sostenibile) e poi il resto viene azzerato. È una decisione difficile ma spesso necessaria per evitare pignoramenti a raffica e la prospettiva di restare indebitati a vita. Con le riforme 2020-2022, come visto, l’accesso è stato ampliato anche ai soci illimitati (che prima erano trattati con più diffidenza).

Ricordate: queste procedure sono complesse e richiedono assistenza specializzata, ma offrono la soluzione definitiva. Dopo l’esdebitazione, potrete “tornare in bonis” e ripartire senza quei debiti (salvo poche eccezioni non esdebitabili, tipo debiti per alimenti, alcune sanzioni penali, etc.). È il vero fresh start che la legge concepisce per i debitori meritevoli.

Domande frequenti (FAQ) su ex soci e debiti

D: “Ero socio al 30% di una S.n.c. Ho ceduto la mia quota un anno fa. Ora un fornitore della società mi chiede il pagamento integrale di una fattura non pagata di due anni fa. Possono davvero chiedere a me tutto l’importo, anche se avevo solo il 30%?”
R: Sì. Il creditore può legittimamente esigere l’intero importo da un ex socio di S.n.c. per un debito sorto quando questi era in carica, a prescindere dalla percentuale di partecipazione. Nelle società di persone, la responsabilità verso i terzi è solidale e illimitata: ciascun socio è obbligato per l’intero verso il creditore, il quale non è tenuto a “fare proporzioni” in base alle quote. Quindi, nel caso di una fattura di €10.000, il fornitore può pretendere anche da lei (ex socio) l’intero pagamento, anche se la sua quota era del 30%. Se lei paga, avrà diritto di regresso verso gli altri soci per recuperare la loro parte (nel suo esempio, il 70%), ma questo è un problema interno tra soci. Dal punto di vista del creditore, lei fungeva da garante ex lege per tutti i debiti sociali. Come difesa, in una situazione del genere, può solo invocare il beneficio di escussione: chiedere formalmente al creditore di escutere prima i beni della società (se ce ne sono). Tuttavia, se la società non ha patrimonio sufficiente o è insolvente, questa eccezione serve a poco – il creditore potrà comunque rivalersi su di lei. È fondamentale invece verificare quando è sorto il debito: nel suo caso, la fattura è di due anni fa, quindi sorta prima della sua uscita un anno fa. Pertanto lei ne risponde (era socio all’epoca). Se invece il credito fosse sorto dopo la sua uscita, allora potrebbe opporre che non è tenuto (ma dovrebbe aver pubblicizzato l’uscita). In sintesi, per quel debito di due anni fa, il creditore può farle causa o ottenerle un decreto ingiuntivo e pignorare i suoi beni se la società non paga.

D: “Sono ex socio accomandante di una S.a.s. che ha debiti verso fornitori e banca. Mi sono arrivate lettere di diffida di pagamento. Devo pagare anche io?”
R: In genere no, se ha effettivamente la qualifica di accomandante (socio a responsabilità limitata). Il socio accomandante non risponde personalmente dei debiti sociali, né durante né dopo la sua partecipazione. A meno che lei non abbia perso la limitazione ingerendosi nella gestione (caso raro ed eccezionale), i creditori non possono legalmente pretendere il pagamento da un accomandante né mentre era socio né ora che è uscito. Spesso le diffide standard vengono inviate a tutti i nominativi noti ai creditori, anche ai soci di minoranza, ma ciò non significa che esista un fondamento giuridico. La risposta appropriata alla diffida è comunicare (meglio per iscritto) che lei era socio accomandante, e richiamare l’art. 2313 c.c. che esclude la sua responsabilità oltre la quota conferita. In pratica: “Non sono obbligato al pagamento dei debiti sociali, la S.a.s. risponde solo col patrimonio sociale e illimitatamente ne risponde l’accomandatario”. Faccia attenzione però ad eventuali garanzie personali: se, ad esempio, lei avesse firmato da accomandante una fideiussione bancaria per un fido alla società (cosa non comune ma possibile), quella garanzia la vincola personalmente a prescindere dal ruolo sociale. In assenza di garanzie, può ignorare (o meglio, contestare formalmente) le diffide. Qualora un creditore agisse per via giudiziaria, lei solleverà subito l’eccezione di difetto di legittimazione passiva: dimostrerà al giudice che era accomandante (basta la visura camerale: se il suo nome non compariva come amministratore, era accomandante) e otterrà l’esclusione dalle pretese.

D: “Ero socio amministratore al 50% di una S.r.l. Ho venduto le quote e sono uscito dalla società, che però ora ha debiti IVA e con Equitalia (Agenzia Entrate Riscossione) per €100.000. L’ADER mi ha notificato una cartella esattoriale a mio nome per quell’importo. Devo pagarla?”
R: Non necessariamente, e comunque non automaticamente per l’intero importo. In una S.r.l., i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali. Dunque, il principio è che l’Agenzia Entrate Riscossione può chiedere soldi ai soci solo in casi particolari. Qui sembra che l’ADER le abbia inviato direttamente una cartella intestata a lei come se fosse debitore in solido per i €100.000. Bisogna capire se la società è ancora in essere o è stata cessata/cancellata. Se la S.r.l. è ancora attiva, la cartella a suo nome è probabilmente un errore (a meno che lei non abbia una responsabilità come coobbligato d’imposta, ma per l’IVA di regola no). Spesso accade che Equitalia mandi cartelle ai soci perché presume una responsabilità, ma in giudizio queste cartelle vengono annullate se il socio non ha incassato attivo di liquidazione. Se invece la S.r.l. è stata cancellata dal Registro Imprese, l’ADER sta tentando di recuperare il debito dai soci ai sensi dell’art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/73. In tal caso, però, vale la regola: i soci pagano solo entro i limiti di quanto hanno riscosso dalla liquidazione. Dovrebbe quindi esserci stato un qualche attivo distribuito. Lei afferma di aver venduto le quote: se ha venduto a terzi e la società è ancora esistente, a maggior ragione la cartella è infondata (lei non è più socio e la società esiste). Se invece la società è stata liquidata e chiusa, deve vedere se ha ricevuto denaro in sede di cessione/liquidazione. Se non ha ricevuto nulla, potrà opporre che la cartella è illegittima perché lei non ha percepito somme e comunque non le è stato notificato un avviso di accertamento specifico. Le Sezioni Unite 2025 hanno richiesto un “atto mirato” del Fisco verso l’ex socio con indicazione degli importi incassati. Quindi, se la cartella è genericamente a suo nome per l’intero e senza spiegazioni, è impugnabile e dovrebbe essere annullata dal giudice tributario. In sintesi, non paghi subito. Presenti ricorso alla Commissione Tributaria entro 60 giorni, chiedendo l’annullamento: punti sul fatto che i soci di S.r.l. rispondono solo nei limiti dell’attivo di liquidazione percepito e nel suo caso non c’è indicazione di tale attivo (o indichi lei che non ha percepito nulla dalla società). Spesso, solo facendo ricorso, l’ADER desiste o perde la causa perché non può provare che lei abbia incassato qualcosa. Solo se dovesse emergere che invece lei ha incamerato utili o riserve prima della liquidazione (negli ultimi due anni) o liquidazione stessa, allora potrebbe dover pagare fino a concorrenza di quell’importo; ma mai oltre.

D: “L’INPS mi chiede i contributi non pagati degli ultimi 6 mesi per i dipendenti di una S.n.c. di cui ero socio, però io sono uscito dalla società 8 mesi fa. Hanno aperto una posizione contributiva a mio nome per quei mesi: è possibile obbligarmi a pagarli anche se riguardano un periodo dopo la mia uscita?”
R: No, in diritto lei non è responsabile per i contributi maturati dopo la sua uscita (e regolare comunicazione della stessa). Probabilmente l’INPS non è stata informata del suo recesso e burocraticamente la considera ancora socio e titolare obbligato. Deve quindi attivarsi per correggere la cosa: presenti all’INPS la documentazione che prova la sua cessazione dalla società (atto di recesso e ricevuta di iscrizione della cessazione al Registro Imprese, oppure comunicazione ufficiale se fatta) e richieda la rettifica della posizione. Ex art. 2290 c.c., il socio risponde verso i terzi dei debiti (contributivi inclusi) fino al giorno in cui cessa il rapporto sociale, non oltre. Quindi, se quei contributi si riferiscono a periodi successivi (come dice, ultimi 6 mesi, quindi successivi di 2 mesi rispetto alla sua uscita), lei non dovrebbe essere tenuto a pagarli. In pratica, l’INPS dovrà intestare la pretesa alla società (ancora esistente, immagino, con i nuovi soci) e a eventuali altri soci rimasti, ma non a lei. Si assicuri però che l’uscita sia stata formalizzata e comunicata: se l’uscita non è stata registrata, per l’INPS risulta ancora socio e potrebbero sostenere che lei era obbligato. In caso di contestazione, dovrà eventualmente fare ricorso al tribunale per far dichiarare che lei non era socio nel periodo considerato e quindi non è debitore di quei contributi. Ma generalmente, una volta mostrati i documenti, l’INPS correggerà l’errore. Dunque, in teoria lei non deve pagare quei contributi post-uscita, e faccia valere con decisione questo fatto.

D: “Ero socio accomandatario (illimitato) di una S.a.s. che è stata cancellata dal registro imprese un anno fa senza pagare alcuni debiti. Ora un creditore (un ex fornitore) vuole portare me in tribunale per quei debiti residui. Possono ancora farmi causa se la società non esiste più?”
R: , lo possono fare. Lo scioglimento e cancellazione di una società non fanno sparire i debiti. Nelle società di persone, in particolare, il codice (art. 2312 c.c.) stabilisce che, terminata la liquidazione, i creditori insoddisfatti possono agire contro ciascun socio illimitatamente responsabile. E la giurisprudenza considera tale azione senza limiti di importo (il socio illimitato risponde per l’intero) ma soggetta al limite di tempo della prescrizione ordinaria (10 anni). In pratica, il creditore può, entro 10 anni dalla cancellazione, citarla in giudizio per ottenere pagamento. Dovrà ovviamente dimostrare l’esistenza del debito e il fatto che non è stato soddisfatto nella liquidazione. Non c’è bisogno, per i creditori privati, di provare l’attivo distribuito (quello vale come limite per i soci di capitali, non per i soci illimitati). Pertanto, purtroppo sì: lei può essere convenuto in giudizio come ex socio accomandatario per i debiti rimasti della S.a.s. estinta. La sua difesa potrà basarsi solo su eventuali profili di merito (il debito non era dovuto? Si è prescritto? È stato pagato da qualcun altro? Etc.), ma non sul fatto che la società è estinta. Quest’ultimo è un falso mito: la cancellazione non impedisce affatto ai creditori di rifarsi sui soci. È proprio quello il meccanismo previsto: la società muore, i debiti “passano” in capo ai soci (soci illimitati per intero, soci di S.r.l. pro quota attivo). Quindi non si sorprenda della causa: prepari piuttosto le difese di merito. Unica consolazione: se il creditore ottiene un titolo contro di lei, non potrà aggredire eventualmente la sua casa di abitazione se parliamo di Agenzia delle Entrate Riscossione sotto 120k (ma qui è fornitore privato, quindi quell’impignorabilità non vale: un fornitore può pignorare anche la prima casa, purtroppo). Valuti di negoziare un accordo eventualmente (ad esempio pagando a saldo e stralcio una percentuale) per chiudere la vicenda, se il debito è incontestabile.

D: “Ho garantito personalmente (con fideiussione) un mutuo bancario della società di cui ero socio. Ora sono uscito dalla società, ma la banca mi chiede ugualmente il pagamento perché la società è in sofferenza. Posso evitare di pagare visto che non sono più socio?”
R: Purtroppo no, l’uscita dalla società non libera affatto dalle garanzie che aveva prestato in precedenza. La fideiussione che lei ha firmato è un obbligo contrattuale autonomo: lei si è impegnato verso la banca come garante solidale del mutuo, e questo impegno resta valido indipendentemente dalla sua qualità di socio. In altre parole, la banca può escutere lei per le rate non pagate senza che lei possa opporre la cessazione da socio. Dal punto di vista legale, la sua obbligazione di fideiussore è del tutto separata dalla posizione di socio. Dunque, se la società non paga, la banca può legittimamente pretendere da lei il pagamento, e lei dovrà adempiere secondo i termini della fideiussione. L’unica via per evitare di pagare sarebbe dimostrare che la banca ha modificato il contratto di mutuo o aumentato il rischio senza il suo consenso (es. ha concesso una moratoria delle rate alla società, oppure ha aumentato il fido, ecc.), perché in tal caso l’art. 1956 c.c. prevede la liberazione del fideiussore che non sia stato interpellato. Ma sono situazioni specifiche e non comuni. Nella generalità dei casi, il garante rimane vincolato fino a estinzione del debito o revoca concordata della garanzia. Le suggerisco di contattare la banca e vedere se è possibile trovare un accordo: ad esempio, se è subentrato un nuovo socio in società, chiedere di sostituire la sua fideiussione con quella del nuovo socio (serve il benestare della banca). Se la banca non accetta, lei rimane obbligato. Potrà eventualmente, dopo aver pagato, rifarsi sulla società o sugli altri soci (azione di regresso), ma se la società è insolvente otterrà poco. Quindi, la realtà è che dovrà onorare la garanzia o rischiare l’escussione coattiva. L’essere ex socio non la aiuta ad evitare l’escussione della fideiussione. Questa dura le lex: la prossima volta che lascia una società, cerchi di farsi liberare per iscritto da eventuali garanzie pregresse, altrimenti ne resterà incatenato.

D: “Se la società di persone in cui ero socio fallisce dopo la mia uscita, rischio di fallire anch’io?”
R: Sì, è possibile. La legge fallimentare prevedeva (art. 147 R.D. 267/42) e il nuovo Codice della Crisi prevede (art. 256 D.Lgs. 14/2019) che la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale (fallimento) di una società con soci illimitatamente responsabili produce automaticamente la liquidazione giudiziale di tutti i soci illimitatamente responsabili. Tuttavia, ciò si applica ai soggetti che erano soci al momento della dichiarazione o che lo erano nei 12 mesi precedenti. Quindi, se lei è uscito da una S.n.c. o da una S.a.s. accomandataria e la società viene dichiarata fallita entro un anno, il tribunale potrà dichiarare il fallimento anche del suo patrimonio personale. Se invece è trascorso più di un anno dalla sua uscita, in teoria non dovrebbe essere coinvolto. Attenzione però: come richiamato da alcune sentenze, se l’uscita non era stata pubblicizzata, per i terzi lei può essere considerato ancora socio oltre quell’anno. Ma questa è una situazione particolare. In linea generale: uscito da meno di 12 mesi = potenzialmente fallibile con la società; uscito da oltre 12 mesi = al riparo dall’estensione del fallimento. Se dovesse capitare (società fallita entro l’anno), lei riceverà una convocazione dal tribunale e potrà difendersi magari sostenendo che la sua uscita era antecedente (se ci sono interpretazioni, ma la norma è chiara sul termine). Vale la pena ricordare che l’estensione riguarda solo i soci illimitatamente responsabili: se lei era accomandante di S.a.s. o socio di S.r.l., non c’è estensione di fallimento perché già in bonis ex lege.

D: “Ho ceduto le quote e non sono più socio né amministratore da qualche mese, però so che la società sta accumulando debiti e probabilmente chiuderà insolvente. Ho paura che in futuro l’Agenzia Entrate o altri creditori proveranno a rivalersi su di me, magari sostenendo che la mia uscita era fittizia o altro. Posso fare qualcosa per proteggermi in anticipo?”
R: Domanda molto sensata. Formalmente, se lei ha ceduto le quote e non riveste più alcun ruolo, non è tenuto per i debiti futuri della società (se era S.r.l., neanche per quelli passati; se era società di persone, solo per quelli fino all’uscita). Però capisco la sua preoccupazione: magari la società verrà chiusa lasciando debiti e i creditori cercheranno un responsabile solvibile. Cosa può fare proattivamente? Intanto, assicurarsi che la sua uscita sia perfettamente documentata e oponibile: visura aggiornata, eventuali comunicazioni ai creditori principali (ad esempio, se c’erano contratti in corso a suo nome, inviare una lettera informandoli del cambio di compagine). Questo riduce il rischio di apparenti coinvolgimenti (evita cioè che qualche creditore la consideri socio in base a vecchie informazioni). In secondo luogo, se ha timore di irregolarità altrui (nuovi soci o liquidatore che facciano pasticci), può valutare di monitorare la situazione: ad esempio, controllando ogni tanto lo stato della società, se depositano bilanci, ecc., in modo da sapere tempestivamente se viene cancellata o fallisce. Qualora la società venisse cancellata con debiti, come ex socio di S.r.l. potrebbe arrivarle un avviso: si prepari a far valere la sua posizione (nessuna distribuzione percepita, etc.). Se era socio di S.n.c., finché i creditori sanno della sua uscita non la toccano per i debiti successivi. Non può ottenere un’esenzione preventiva, purtroppo. Può però mettere per iscritto nell’atto di cessione che l’acquirente si impegna a pagare i debiti sociali noti: questo le darebbe almeno un titolo contrattuale per rivalersi in caso lei fosse chiamato a pagare (ovviamente non è opponibile ai terzi, ma tutela i suoi rapporti interni col compratore della quota). Infine, se la situazione è molto delicata e teme di essere bersaglio nonostante tutto, l’unica vera protezione totale sarebbe patrimoniale: ad esempio, evitare di mantenere troppi beni aggredibili a suo nome finché la cosa non si risolve, oppure costituire un fondo patrimoniale/trust (ma questi strumenti se fatti in prossimità di debiti rischiano revocatorie, quindi vanno maneggiati con cura e anticipo). In sintesi, non c’è un’azione miracolosa preventiva contro eventuali abusi dei creditori. La chiave è la trasparenza: dimostrare documentalmente di essere uscito, di non aver percepito utili indebitamente e di non aver più voce in capitolo. Così, se anche un creditore “prova” a farle causa, avrà vita difficile e potrà essere smentito dai fatti.

D: “Ho lasciato la società ma il mio nome è rimasto nella ragione sociale (era “Caldaie Bianchi & Rossi SNC”, io ero Rossi e hanno dimenticato di toglierlo). Se continuano ad usare quel nome, i clienti potrebbero pensare che ci sono ancora io. Potrei avere problemi come socio apparente?”
R: Sì, questa situazione può creare problemi di apparenza. Se il suo nome continua a figurare nella denominazione aziendale, i terzi possono presumere che lei ne faccia ancora parte. Il codice (art. 2290 c.c.) richiede di portare a conoscenza dei terzi lo scioglimento del rapporto con mezzi idonei; mantenere il nome in ditta certamente non è un mezzo idoneo, anzi, è fuorviante. Giuridicamente, si rientra nella figura del socio apparente: lei potrebbe essere ritenuto responsabile verso i terzi che abbiano fatto affidamento sulla situazione di apparenza (in buona fede). La Cassazione in passato ha riconosciuto che se il nome di un ex socio rimane nella ragione sociale e i creditori contrattano pensando che egli sia ancora socio, l’ex socio può essere comunque ritenuto obbligato, perché lo scioglimento non è stato reso opponibile. Quindi, deve assolutamente sollecitare la società a modificare la ragione sociale eliminando il suo nome. Se non lo fanno, le conviene comunicare per iscritto (meglio con raccomandata o PEC) ai principali partner commerciali della società che lei non ne fa più parte da [data]. In caso di controversie, dovrà provare che i terzi erano stati avvisati o che comunque avevano modo di sapere della sua uscita (ad es. se la notizia è stata pubblicata sul registro imprese, se la visura aggiornata era accessibile, ecc.). Ma non tutti i terzi controllano la visura, molti si fidano del nome sull’insegna o sulle fatture. Quindi il rischio c’è: se la società, ad esempio, prende un ordine firmandosi ancora “Bianchi & Rossi SNC” e poi non paga quel fornitore, il fornitore potrebbe chiamare anche lei, sostenendo che credeva lei fosse ancora socio. Lei dovrà allora convincere il giudice che il terzo era in colpa perché bastava controllare il registro imprese per vedere che Rossi era uscito; l’esito non è scontato, dipende dalle circostanze. Morale: faccia tutto il possibile per far rimuovere il suo nome dalla ditta sociale o quanto meno diffondere l’informazione della sua uscita. Nel frattempo, se teme specifici casi, una precauzione ulteriore è diffidare formalmente la società dall’usare il suo nome (così se continuano potrà rivalersi su di loro per gli eventuali danni o pretese subite per causa loro).

Casi pratici e soluzioni (simulazioni)

Vediamo ora alcuni scenari concreti ispirati a situazioni reali, riassumendo il problema e mostrando come l’ex socio può reagire efficacemente.

Caso 1: Ex socio di S.n.c. con fornitore non pagato

Scenario: Anna era socia al 40% e amministratrice di “Termoidraulica Alfa S.n.c.”, impresa di manutenzione caldaie. È uscita cedendo la sua quota all’altro socio (Bianchi) a gennaio 2024. La società ha però continuato l’attività con Bianchi come unico titolare, e non ha mai cambiato la denominazione sociale, che tuttora è “Termoidraulica Alfa di Bianchi & Anna S.n.c.”. Nel luglio 2025, Anna riceve un decreto ingiuntivo notificato a suo nome da parte di un fornitore, per €50.000, relativo a materiali forniti alla società tra febbraio e giugno 2024 – quindi dopo la sua uscita. Il fornitore, non avendo ricevuto il pagamento dalla società, ha chiesto ed ottenuto dal tribunale un decreto ingiuntivo contro la S.n.c. e contro Anna personalmente (ritenendola ancora socia, probabilmente perché il nome compariva tuttora nella ragione sociale). Anna è sorpresa: si vede ingiunta a pagare un debito contrattuale di quando lei era ormai estranea alla società.

Problema: Anna, ex socia, viene formalmente ingiunta al pagamento di un debito sociale sorto quando lei non era più socia. Lei sostiene di non dover rispondere di tale debito, perché cessata dalla compagine prima che quelle forniture fossero effettuate.

Soluzione – Difesa legale: Anna deve reagire prontamente presentando opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni dalla notifica (termine perentorio). Nella comparsa di opposizione, i punti cardine della sua difesa saranno:

  • Dimostrare documentalmente che il rapporto sociale si è sciolto nei suoi confronti il 15/1/2024 (data di cessione quota): allegherà l’atto notarile di cessione e una visura camerale aggiornata da cui risulta la sua cessazione.
  • Evidenziare che le forniture fatturate dal fornitore riguardano un periodo successivo alla sua uscita (febbraio-giugno 2024), quindi quando lei era già estranea alla società. In base all’art. 2290 c.c., l’obbligazione verso il fornitore è sorta dopo lo scioglimento del rapporto sociale di Anna, e pertanto Anna non ne risponde.
  • Sottolineare che se il fornitore non era a conoscenza della sua uscita, ciò è dipeso in parte dalla mancata modifica della ragione sociale (inerzia imputabile alla società), che ha creato un’apparenza ingannevole. Tuttavia, la pubblicità legale sul Registro Imprese della cessione c’era (nel caso di Anna, la cessione fu regolarmente iscritta a gennaio 2024). Quindi il fornitore, con diligenza, avrebbe potuto verificare la visura e notare che Anna non era più socia. Ciò rafforza la posizione di Anna.
  • Chiedere al giudice di revocare il decreto ingiuntivo nei suoi confronti per difetto di legittimazione passiva, dato che Anna non era parte del rapporto obbligatorio nel periodo considerato. In subordine, chiederà quantomeno la sua estromissione dal giudizio se il decreto è contro più parti.

Nel giudizio di opposizione, il fornitore (opposto) potrebbe replicare invocando l’inopponibilità dello scioglimento a causa dell’apparenza: potrebbe dire di aver confidato senza colpa sulla presenza di Anna, vedendo il suo nome sulla carta intestata, e quindi chiedere che Anna sia comunque ritenuta responsabile. Tuttavia, qui Anna avrà buone carte: la sua uscita era iscritta ufficialmente e, soprattutto, il contratto con il fornitore è successivo alla sua uscita, il che generalmente esclude la sua responsabilità. Probabilmente, il giudice darà ragione ad Anna, riconoscendo che il debito è sorto quando lei non era più parte, e che l’affidamento del creditore non era del tutto incolpevole (avrebbe potuto controllare, specie trattandosi di una fornitura continuativa e di un cambiamento noto ai soci superstiti).

Risultato atteso: il tribunale revoca il decreto ingiuntivo limitatamente ad Anna (mantendolo eventualmente contro la società e l’altro socio). Anna viene quindi liberata dall’obbligo. Il fornitore potrà rivalersi solo sul socio rimasto Bianchi e sulla società (che però, essendo inattiva e forse priva di beni, potrebbe non soddisfare il credito). Per Anna, comunque, l’esito è positivo: non dovrà pagare quei €50.000, poiché la legge è dalla sua parte (debito post-uscita). Questo caso evidenzia l’importanza per un ex socio di opporsi tempestivamente a un’ingiunzione ingiusta: se Anna non avesse fatto opposizione entro 40 giorni, il decreto sarebbe divenuto definitivo anche contro di lei, costringendola poi magari a pagare e solo dopo tentare una revocazione, con esito incerto. Invece, attivandosi subito e documentando la sua posizione, ha potuto difendersi con successo.

Caso 2: Ex socio accomandatario e debito fiscale non pagato

Scenario: Bruno era socio accomandatario (quindi illimitatamente responsabile) al 50% di “Beta S.a.s.”, azienda di manutenzione impianti termici. È uscito dalla società nel 2022, cedendo la sua posizione di accomandatario a un altro soggetto subentrante. La S.a.s., però, durante la gestione 2021 aveva omesso di versare l’IVA per €30.000. La società Beta S.a.s. ha cessato l’attività e nel 2023 è stata cancellata d’ufficio dal Registro delle Imprese (probabilmente senza una formale liquidazione, ma di fatto è estinta). Nel 2025, l’Agenzia Entrate – Riscossione notifica a Bruno, presso la sua residenza, una cartella esattoriale intimandogli il pagamento di €30.000 per IVA 2021 non versata da Beta S.a.s. (più interessi e sanzioni), importo che risulta mai pagato né rateizzato dalla società. Bruno si trova dunque bersaglio di una cartella per un debito fiscale della sua ex società.

Problema: Bruno, in quanto accomandatario all’epoca del debito (2021), era effettivamente responsabile illimitatamente per quell’obbligazione tributaria. Tuttavia, la società è ora estinta, e la cartella gli arriva due anni dopo la cancellazione, senza che a lui risulti notificato l’originario avviso di accertamento (probabilmente l’Agenzia Entrate notificò l’accertamento IVA alla società nel 2022, quando però la società era già cessata). Bruno si chiede se la cartella sia valida e come possa contestarla.

Soluzione – Difesa legale: Bruno può impugnare la cartella presentando un ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale competente, entro 60 giorni dalla notifica. Nel ricorso, articolerà diverse censure:

  • Vizio di notifica dell’atto presupposto: Bruno segnalerà che prima della cartella non gli è mai stato notificato alcun avviso di accertamento a lui intestato. Se l’Agenzia aveva emesso un accertamento per IVA 2021, probabilmente lo notificò solo alla società (nel 2022). Ma la società all’epoca non esisteva più (cancellata nel 2023 retroattivamente per inattività). Cassazione e Corte Costituzionale hanno sancito che, in questi casi, l’accertamento va notificato anche ai soci, almeno in forma impersonale entro un anno dalla cancellazione. Bruno invocherà la Cass. SS.UU. 19704/2015, che conferma l’obbligo di notifica dell’atto impositivo al socio entro l’anno dalla cancellazione. Nel suo caso, se nessun avviso gli è stato notificato entro il 2024, la cartella verso di lui è nulla per difetto di contraddittorio (gli stanno chiedendo un tributo senza avergli notificato l’accertamento originario).
  • Mancata emissione di atto “ad hoc” post-estinzione: Bruno sottolineerà che, in ogni caso, la sua responsabilità doveva essere attivata con un atto specifico ai sensi dell’art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/73, indicando l’eventuale limite (quanto ha ricevuto). Bruno riconosce che, essendo accomandatario, la sua responsabilità per i debiti sociali era illimitata finché la società era in vita; ma sostiene che, una volta cessata la società, l’azione verso di lui doveva tenere conto del nuovo contesto. Farà notare che l’art. 2495 c.c. testualmente parla di creditori che agiscono verso i soci nei limiti dell’attivo di liquidazione incassato. È vero che la norma si riferisce alle società di capitali, ma qualche giudice di merito ha esteso analogicamente il “limite attivo” anche ai soci illimitati post-estinzione, in nome di equità. Bruno nel ricorso dirà: “la società è estinta, dunque i rapporti debitori si trasferiscono ai soci; ma poiché la società di persone non prevede un art. 2495 specifico, si applichi analogicamente il principio di cui all’art. 2495 c.c. limitatamente a quanto ricevuto”. In realtà, come commento, sappiamo che questa è una zona grigia: formalmente, l’accomandatario rimane illimitatamente responsabile anche dopo l’estinzione, quindi il limite dell’attivo non opera (lo confermano dottrina e alcune sentenze). Bruno però tenta questa carta per vedere se il giudice tributario gli riconosce almeno il beneficio di non pagare oltre eventuali somme incassate (nel suo caso, supponiamo che nel 2022 il liquidatore gli abbia restituito il capitale sociale di €5.000; potrà argomentare che oltre quell’importo non dovrebbe essere tenuto).
  • Beneficio di escussione e difetto di escussione del patrimonio sociale: Bruno evidenzierà che l’Agente della Riscossione non ha minimamente provato l’escussione preventiva del patrimonio sociale, come richiesto dal beneficio di escussione (art. 2304 c.c.). Dirà: “L’IVA era un debito della società. Prima di colpire il mio patrimonio personale, l’ADER avrebbe dovuto escutere la società Beta S.a.s. – ad esempio pignorandone eventuali beni o crediti – e solo dopo, constatata l’incapienza, venire da me”. Nel caso specifico la società è cessata, senza attivo noto; Bruno sosterrà che l’ente di riscossione non ha dimostrato che nulla si potesse più avere dal patrimonio sociale (ad esempio, magari c’erano dei crediti della società non riscossi, o cespiti). Certo, se la società è stata cancellata d’ufficio, è probabile che fosse senza nulla, ma in giudizio il difetto di escussione può essere fatto valere. Bruno formula quindi l’eccezione: la cartella è nulla anche perché l’ADER non ha rispettato la regola di agire prima contro la società e solo in subordine contro il socio. Questo può essere un argomento persuasivo soprattutto con giudici che vogliano mitigare la durezza dell’illimitata responsabilità, considerato che la società non è fallita né nulla: poteva l’ADER iscrivere ruolo a nome della società prima della cancellazione, e invece appare che agisca tardivamente solo sul socio.
  • Verifica attivo di liquidazione percepito: Bruno, nel ricorso, dichiarerà anche se ha ricevuto qualcosa dalla società. Ad esempio, se Beta S.a.s. nel 2022 gli ha restituito il capitale di €10.000 e €5.000 di utili, Bruno dovrà ammettere di aver percepito €15.000. In tal caso, il giudice – se segue l’approccio pro-Fisco – dirà che Bruno ne risponde illimitatamente comunque (perché accomandatario); se invece è ben disposto, potrebbe dire che in ogni caso oltre €15.000 Bruno non poteva essere chiamato (ma qui stiamo ipotizzando creativamente; in dottrina non sarebbe corretto limitare un accomandatario al percepito, ma alcuni giudici potrebbero farlo in via equitativa).

Riassumendo le sue difese: (a) nullità della cartella per mancata notifica dell’accertamento al socio entro i termini; (b) assenza di atto motivato ex art.36 DPR 602/73 nei suoi confronti; (c) impropria estensione ai soci senza prova di quanto percepito; (d) violazione del beneficio di escussione.

Nel frattempo, Bruno potrebbe anche:

  • chiedere la sospensione della cartella in via amministrativa all’ADER (ma di solito in questi casi l’ADER la nega, e bisogna attendere il giudizio);
  • valutare una rateizzazione per congelare le azioni (chiedere dilazione non pregiudica il ricorso).

Esito probabile: un caso del genere potrebbe essere deciso in vari modi. Se il giudice tributario applica pedissequamente la legge, dirà: la società è estinta, il debito si trasferisce a Bruno illimitatamente; tuttavia, annullo la cartella perché effettivamente l’Agenzia avrebbe dovuto notificargli l’accertamento e non l’ha fatto (questo vizio procedurale è forte). In pratica, Bruno potrebbe vincere sul punto formale della notifica tardiva, senza bisogno di entrare nel merito dei limiti di responsabilità. La cartella verrebbe annullata integralmente. A quel punto l’Agenzia Entrate, per rifarsi, dovrebbe notificargli un nuovo avviso di accertamento “ad personam” (ma nel 2025 sarebbe fuori termine quinquennale dall’anno d’imposta 2021, quindi non potrebbe più). Quindi Bruno si libererebbe del debito grazie al vizio di procedura. Se invece, per assurdo, l’ADER avesse rispettato i termini e notificato a Bruno entro fine 2023 un accertamento come coobbligato, allora la Commissione sarebbe più propensa a confermare la sostanza (Bruno paga). In casi analoghi, i giudici hanno talvolta limitato il pagamento al capitale ricevuto se Bruno non aveva colpa, ma è una soluzione minoritaria. Diciamo che, con le argomentazioni fornite, Bruno ha ottime chance di vedere annullata la cartella per difetti procedurali e per difetto di motivazione ex art.36 (mancata indicazione del limite).

Nota: Questo caso evidenzia come la posizione dell’ex socio illimitato su debiti tributari sia delicata. Non c’è il paracadute del “fino a concorrenza dell’attivo ricevuto” – quello vale per S.r.l., non per S.n.c./S.a.s. accomandatari. Quindi un accomandatario come Bruno in teoria risponderebbe di tutto, attivo o non attivo, salvo far valere i difetti degli atti del Fisco (che per fortuna spesso ci sono, come la notifica errata). Ecco perché un ex socio illimitato, se vede avvicinarsi una grossa esposizione fiscale che non potrà pagare, dovrebbe considerare la liquidazione controllata o l’esdebitazione da sovraindebitato: Bruno, se perdesse nel merito e fosse costretto a pagare €30.000 che non ha, potrebbe ricorrere a una procedura concorsuale per farsi liberare (ma in questo caso 30k potrebbe anche rateizzarli).


Caso 3: Ex socio di S.r.l. con banca insoddisfatta (saldo e stralcio)(Aggiungiamo un terzo esempio sintetico per coprire l’ambito bancario, utile per completezza.)

Scenario: Carla era socia al 100% e amministratrice unica di “Caldaie Service S.r.l.”. Nel 2023 ha ceduto l’intera partecipazione a un nuovo socio e si è dimessa da amministratrice, uscendo completamente dall’attività. La S.r.l. però aveva un prestito bancario di €80.000, per il quale Carla due anni prima aveva firmato una fideiussione omnibus in favore della banca. Dopo la sua uscita, la società ha iniziato a non pagare le rate e ora è insolvente. La banca, constatato il default, ha notificato a Carla un atto di precetto chiedendole, in qualità di fideiussore, il pagamento di €60.000 (residuo del prestito) entro 10 giorni, minacciando il pignoramento del suo patrimonio.

Problema: Carla è ex socia di S.r.l. (quindi come tale non responsabile dei debiti sociali), ma è anche garante contrattuale del debito bancario. L’uscita dalla società non l’ha liberata dalla garanzia e ora la banca esercita i suoi diritti. Carla non ha liquidità per pagare €60.000 e teme il pignoramento della casa (ha un appartamento di proprietà). La casa è la sua abitazione principale, ma per i creditori privati (come la banca) ciò non dà protezione dall’esecuzione.

Soluzione – Approccio transattivo: Carla, valutate le poche difese legali (non può negare di aver firmato la fideiussione, né può contestare la responsabilità perché l’uscita non rileva sui contratti), decide di percorrere la strada negoziale. Tramite il suo avvocato, contatta la banca proponendo un accordo a saldo e stralcio: offre un pagamento immediato di €30.000 (che raccoglie chiedendo aiuto ai familiari) in cambio della liberazione completa dalla fideiussione e dalla rinuncia all’esecuzione. La banca, dopo brevi trattative e valutato che la società fallirà e Carla non ha altri beni oltre la casa (il cui valore è 100k ma con ipoteca di primo grado a garanzia di altro mutuo), accetta la proposta. Viene redatto un accordo transattivo scritto, in cui la banca dichiara di ricevere €30.000 “a saldo e stralcio” e di non avere più nulla a pretendere né da Carla né dalla società (ovviamente per rinuncia al residuo credito). Contemporaneamente, Carla paga i €30.000 concordati. La banca dunque revoca il precetto e rinuncia alla procedura esecutiva prima ancora di iniziarla.

Risultato: Carla si libera con uno sconto del 50% circa dal debito garantito, evitando un pignoramento della casa che avrebbe avuto esiti incerti e costosi per entrambe le parti. Ottenendo una liberatoria scritta dalla banca, è al sicuro da future rivalse. Il tutto, pur non avendo basi legali per evitare la responsabilità, è stato possibile grazie al suo potere contrattuale residuo: la banca, vedendola come “unico bersaglio concreto” per recuperare almeno qualcosa (dato che la società e il nuovo socio erano insolventi), ha preferito intascare €30.000 subito da Carla anziché spendere anni in un’esecuzione forzata dall’esito dubbio. Carla, da parte sua, ha dovuto sborsare una somma significativa, ma ha salvato la casa e si è tolta definitivamente il pensiero del debito. Questo scenario mostra come talvolta, dal punto di vista pragmatico, un ex socio può trovarsi a dover pagare (anche non essendo formalmente obbligato come socio, ma magari come garante) e conviene cercare un compromesso transattivo ragionevole: pagare una parte per evitare guai peggiori.

Conclusioni

Le situazioni di ex soci con debiti pendenti sono complesse e richiedono un esame attento di tutti i dettagli: la forma societaria originaria, la data di insorgenza di ogni debito, gli atti compiuti dai creditori, l’eventuale comportamento degli altri soci e della società dopo l’uscita, oltre a ogni accordo o garanzia personale fornita. In questa guida abbiamo visto che:

  • Nelle società di persone, l’ex socio rimane coobbligato per i debiti sorti fino alla sua uscita (salvo il caso in cui l’uscita non sia opponibile ai terzi per difetto di pubblicità), e ciò include debiti fiscali, contributivi e verso terzi privati. Egli può far valere il beneficium excussionis solo come regola di ordine di escussione, non per evitare il titolo in sede giudiziale. La sua responsabilità è solidale con gli altri soci, quindi il creditore può chiedere a lui il 100%, con diritto di regresso interno.
  • Nelle società di capitali, l’ex socio di regola non risponde dei debiti sociali, ad eccezione di casi particolari (conferimenti non versati, socio unico senza pubblicità, abuso di personalità giuridica). Tuttavia, se la società viene estinta lasciando debiti, i creditori possono agire contro gli ex soci entro i limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite 2025 ha chiarito che per colpire i soci serve un atto formale e la prova di somme o beni incamerati da ciascuno. Senza tale prova, “chi non ha ricevuto nulla non deve nulla”. Questo offre un importante scudo difensivo agli ex soci di S.r.l. e S.p.A.
  • Un ex socio illimitatamente responsabile può liberarsi dei debiti personali residui tramite le procedure di sovraindebitamento, purché non sia soggetto a fallimento o altra procedura concorsuale ordinaria. Le modifiche normative del 2020 hanno esplicitamente aperto queste procedure anche ai soci di Snc/Sas per i loro debiti extra-sociali e, in assenza di fallimento della società, anche per debiti sociali rimasti a loro carico. Strumenti come il piano del consumatore o la liquidazione controllata possono offrire un’uscita legale dal tunnel del debito, con cancellazione finale degli importi impagabili.
  • Spesso la difesa dell’ex socio si gioca su aspetti procedurali: la corretta notifica degli atti (come abbiamo visto nel caso 2), la legittimazione attiva del creditore (ad esempio, contestare che manca un titolo esecutivo intestato al socio), la tempestività delle azioni (prescrizioni, decadenze). Errori dei creditori in questi aspetti possono salvare l’ex socio anche quando nel merito sarebbe responsabile.
  • Non bisogna dimenticare la dimensione pragmatica: a volte è meglio negoziare un accordo transattivo, pagare una parte del dovuto, piuttosto che imbarcarsi in lunghe cause dall’esito incerto o subire esecuzioni pesanti. Un ex socio che pur non dovendo pagare nulla secondo la legge, è l’unico con sostanza patrimoniale, potrebbe trovarsi sotto pressione perché il creditore preferisce colpire lui; in tali casi, valutare il costo-beneficio di una rapida transazione è doveroso (salvaguardando comunque i propri diritti per non pagare più del necessario).
  • La documentazione e la tempestività sono armi fondamentali: conservare atti di cessione/recesso, visure, comunicazioni effettuate, e muoversi subito appena arriva un atto (ingiunzione, precetto, cartella). Un decreto ingiuntivo non opposto per tempo diventa definitivo e toglie ogni chance di difesa. Una cartella non impugnata entro 60 giorni diventa inoppugnabile e legittima il pignoramento. Quindi la reattività è metà della vittoria.

In conclusione, il punto di vista del debitore ex socio dev’essere quello di chi conosce i propri diritti ma anche i propri rischi. Occorre combinare la conoscenza tecnica (sapere fin dove arriva la propria responsabilità e dove iniziano le illegittimità altrui) con una valutazione pratica delle alternative (combattere in giudizio, accordarsi, chiedere una procedura concorsuale). Con le giuste mosse – e, se necessario, con l’assistenza di professionisti esperti – anche una situazione apparentemente disperata di ex socio con debiti altrui sul collo può trovare soluzioni efficaci, permettendo al debitore di difendersi e, in molti casi, di uscirne senza soccombere economicamente.

Fonti (normative e giurisprudenziali)

  • Codice Civile: artt. 2290 c.c. (Responsabilità del socio uscente); 2291 c.c. (Responsabilità solidale e illimitata nelle S.n.c.); 2304 c.c. (Beneficio di escussione nelle società di persone); 2312 c.c. (Creditori sociali dopo lo scioglimento di società di persone); 2313 c.c. (Responsabilità soci accomandanti); 2324 c.c. (Divieto di ripartizione utili in liquidazione – esteso ai limiti accomandanti); 2462 c.c. (Responsabilità limitata soci S.r.l. – socio unico); 2495 c.c. (Cancellazione società e azioni dei creditori verso soci e liquidatori); 2523 c.c. (Cooperative a resp. illimitata – ormai abrogato, oggi rare).
  • Leggi speciali (Fisco e lavoro): art. 36 D.P.R. 602/1973 (Responsabilità di soci e liquidatori per imposte non pagate da società estinte); art. 43 D.P.R. 600/1973 (notifica accertamenti entro 5 anni, raddoppio termini in caso di reato – rilevante per notifica a soci); art. 28, co.4, D.Lgs. 175/2014 (proroga di 5 anni dei termini di accertamento fiscale dopo cancellazione società); art. 11 D.Lgs. 472/1997 (sanzioni tributarie personali agli amministratori); art. 1956 c.c. (Liberazione del fideiussore se il creditore aggrava il rischio senza avviso).
  • Procedura civile: art. 147 R.D. 267/1942 (vecchia legge fall., fallimento esteso ai soci illimitati entro 1 anno) – corrisponde ora all’art. 256 D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi); art. 110 c.p.c. (successione nel processo per estinzione della parte – applicato a soci successori della società estinta); artt. 615 e 617 c.p.c. (opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): artt. 256 (liquidazione giudiziale estesa ai soci illimitati); 65-66 (definizione sovraindebitamento); 67-73 (ristrutturazione debiti del consumatore); 74-83 (concordato minore); 268-277 (liquidazione controllata del sovraindebitato); 282 (esdebitazione di diritto dopo 3 anni in liquidazione controllata); 283 (esdebitazione del debitore incapiente).
  • Legge 3/2012 (vecchia legge sovraindebitamento) e L. 176/2020 (Decr. Ristori conv.): art. 7, co.2-ter L.3/2012 introdotto da L.176/2020 (accesso soci illimitati alle procedure); estensione definizione di consumatore ai soci illimitati per debiti extra-sociali.
  • Circolari e Prassi: Circ. Ag. Entrate 6/E/2015 (soci società estinte e art. 36 DPR 602/73); varie prassi Ag. Entrate Riscossione su impignorabilità prima casa e limiti pignoramento (rif. D.L. 69/2013 conv. L.98/2013).

Giurisprudenza:

  • Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili: Cass. SS.UU. 6070/2013 (estensione art.2495 c.c. a soci di società estinte, natura successoria dei debiti); Cass. SS.UU. 6071/2013 e 6072/2013 (idem, conferma non estinzione debiti); Cass. SS.UU. 4060/2010 (efficacia estintiva immediata cancellazione e retroattività 1/1/2004); Cass. SS.UU. 19704/2015 (notifica avvisi a soci entro un anno da cancellazione, principi in materia tributaria); Cass. SS.UU. 21970/2021 (fusioni come estinzione societaria e successione – tema connesso per crediti tributari); Cass. SS.UU. 3625/2025 (sentenza 12/02/2025, responsabilità ex soci società di capitali per debiti tributari: necessario atto verso socio, limite somme ricevute, onere probatorio a carico Fisco).
  • Cassazione Civile (sez. I, V, etc.): Cass. civ. Sez. V n. 20447/2011 (socio Snc risponde debiti ante cessione fino a iscrizione nel registro, onere prova pubblicità su socio); Cass. Sez. I n. 19797/2015 (cessione quota Snc non pubblicizzata, inopponibile ai terzi, estensione fallimento al socio nonostante trascorso >1 anno); Cass. Sez. III n. 17969/2021 (socio uscente non risponde di obbligazione sorta dopo la sua uscita, caso di caparra e recesso); Cass. Sez. V n. 15648/2015 e 6743/2015 (effetti cancellazione, differimento quinquennale per Fisco solo da 13/12/2014 in avanti); Cass. Sez. V n. 3087/2022 (successione soci in processo tributario post estinzione, litisconsorzio necessario); Cass. Sez. V n. 26299/2022 (richiama SSUU 2013 su natura successione); Cass. Sez. VI-5 n. 23341/2024 (ord. 29/08/2024, soci ex società estinta rispondono anche di sanzioni tributarie, ma nei limiti di quanto riscosso – sancisce incompatibilità di imporre loro sanzioni oltre tale limite, rif. art.7 DL 269/2003).
  • Cass. Sez. I n. 11400/2024 (29/04/2024, competenza su domanda di rimborso pro quota contro ex soci garanti – caso procedurale).
  • Corte Appello di Roma, Sez. I, sent. 9 aprile 2025 n. 2249 (principio: beneficium excussionis opera solo in fase esecutiva, non impedisce azione diretta in cognizione contro socio; conferma art.2290 c.c. responsabilità ex socio correlata a obbligazioni esigibili durante rapporto sociale, esclusa oltre la data di uscita se resa nota).
  • Commissione Tributaria (precedenti di merito): varie sentenze CTR e CTP conformi a Cassazione su notifica atti a soci e limiti art.2495 (es. CTR Lombardia 2016 ha limitato soci Snc al percepito? – non citata direttamente). Tribunale di Rimini 28/07/2020 (ha negato piano consumatore a socio illimitato pre-riforma, citato per contrasto poi superato). Tribunale Milano 23/7/2024 (in tema sovraindebitamento: conferma che in liquidazione controllata non si può proporre concordato – dettaglio specialistico).
  • Altre fonti giuridiche: Corte Costituzionale n.319/2000 (dichiarò infondata q.l.c. su responsabilità soci per debiti tributari, se ben ricordato; e legittimità di notifica impersonalmente a soci; citata da Cass.).

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