Avvocato Per Ricorsi Alla Cassazione Tributaria

Hai bisogno di un avvocato per presentare un ricorso alla Cassazione Tributaria?
La Cassazione Tributaria è l’ultimo grado di giudizio nel contenzioso fiscale e serve a far valere esclusivamente vizi di legittimità della sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. È una procedura complessa, regolata da requisiti formali molto rigidi: per questo è obbligatorio farsi assistere da un avvocato cassazionista iscritto all’Albo speciale della Corte di Cassazione.

Quando è possibile ricorrere in Cassazione Tributaria
– Quando la sentenza impugnata viola norme di diritto sostanziale o processuale
– Quando c’è un contrasto con precedenti decisioni della Corte di Cassazione
– Quando il giudice di merito ha omesso di esaminare un punto decisivo della controversia
– Quando vi sono vizi di motivazione o errori nella corretta interpretazione della legge tributaria
– Quando il procedimento di secondo grado presenta irregolarità processuali rilevanti

Cosa fa un avvocato specializzato in ricorsi alla Cassazione Tributaria
– Analizza la sentenza di secondo grado per valutare se esistono motivi validi di ricorso
– Redige il ricorso rispettando tutti i requisiti formali e sostanziali richiesti dalla legge
– Individua e sviluppa i motivi di impugnazione più efficaci in base alla giurisprudenza della Suprema Corte
– Rappresenta il cliente davanti alla Cassazione e gestisce l’intero iter processuale
– In caso di accoglimento, segue il rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria competente

Perché serve un avvocato cassazionista esperto in materia tributaria
– Conosce le tecniche redazionali e gli standard richiesti per l’ammissibilità del ricorso
– Sa individuare le questioni di diritto rilevanti per la Suprema Corte
– Riduce il rischio di inammissibilità, causa frequente di rigetto dei ricorsi
– Può utilizzare precedenti giurisprudenziali favorevoli per rafforzare la difesa
– Ti guida nella scelta tra proseguire in Cassazione o valutare altre soluzioni più vantaggiose

Cosa si può ottenere con un ricorso in Cassazione ben impostato
– L’annullamento totale o parziale della sentenza impugnata
– La possibilità di rinnovare il giudizio davanti al giudice di merito
– La correzione di errori di diritto che hanno inciso sull’esito della causa
– Una decisione definitiva favorevole in caso di pronuncia nel merito

Attenzione: la Cassazione non è un “nuovo processo” sui fatti, ma un giudizio di legittimità. Presentare un ricorso senza i giusti motivi o senza il rispetto dei requisiti formali significa rischiare l’inammissibilità e perdere tempo e denaro.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati cassazionisti esperti in contenzioso tributario – ti spiega quando e come ricorrere in Cassazione Tributaria e perché affidarsi a un professionista qualificato è fondamentale per il successo.

Devi ricorrere in Cassazione Tributaria e vuoi una valutazione del tuo caso?
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Introduzione

Il ricorso per cassazione in materia tributaria rappresenta l’ultimo grado di giudizio con cui un contribuente (in veste di debitore verso il Fisco) può contestare una sentenza tributaria definitiva. È uno strumento di impugnazione straordinario e di legittimità, destinato a far valere solo errori di diritto o vizi gravi del procedimento, davanti alla Corte Suprema di Cassazione. A differenza dei giudizi di merito (primo e secondo grado), la Cassazione non riesamina i fatti né riconsidera le prove, ma verifica che la decisione impugnata rispetti la legge e i principi giurisprudenziali consolidati. In altre parole, la Corte di Cassazione è il giudice che garantisce l’uniforme applicazione del diritto oggettivo su tutto il territorio nazionale.

Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, offre una panoramica completa del ricorso in Cassazione tributaria dal punto di vista del contribuente soccombente (il debitore). Si rivolge sia a professionisti legali (avvocati tributaristi e cassazionisti) sia a privati cittadini e imprenditori coinvolti in contenziosi fiscali, con un linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile. Attraverso spiegazioni normative, riferimenti a fonti aggiornate (leggi e sentenze recenti), tabelle riepilogative, e una sezione di domande e risposte, illustreremo ogni aspetto rilevante: dai presupposti e motivi del ricorso, alla sua redazione, fino allo svolgimento del giudizio in Cassazione e alle possibili strategie difensive per il contribuente. Verranno inoltre presentati casi pratici e simulazioni basate su vicende reali, per mostrare come i principi si applicano in concreto (ad esempio, casi di notifiche fiscali nulle, vizi di motivazione della sentenza, ecc.).

L’obiettivo è fornire una guida esaustiva (oltre 10.000 parole) che permetta a chi legge di orientarsi in questo ambito specialistico, comprendendo sia i requisiti formali stringenti sia le opportunità di tutela offerte dal ricorso per Cassazione in materia tributaria. Tenendo conto delle novità normative più recenti – come la riforma della giustizia tributaria avviata con la Legge 130/2022 e i decreti attuativi del 2023-2024 – analizzeremo le procedure aggiornate (ad esempio, il nuovo Testo Unico della giustizia tributaria introdotto dal D.Lgs. 175/2024, la possibilità di conciliazione anche in Cassazione dal 2024, ecc.). Il tutto, ponendo attenzione ai diritti del contribuente e alle modalità con cui egli può far valere le proprie ragioni contro pretese fiscali ingiuste, davanti al supremo giudice di legittimità.


Panoramica generale sul processo tributario e il ricorso in Cassazione

Il processo tributario si articola in tre gradi di giudizio, di cui i primi due di merito e l’ultimo di legittimità:

  • Primo grado: davanti alla Corte di giustizia tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale). Qui il contribuente può impugnare un atto impositivo (avviso di accertamento, cartella di pagamento, ecc.) emesso dall’Amministrazione finanziaria. La corte di primo grado accerta i fatti e applica il diritto alla controversia. La sentenza di primo grado può dare ragione al contribuente (annullando o modificando l’atto fiscale) oppure all’ente impositore (confermando la pretesa tributaria).
  • Secondo grado: davanti alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado (già Commissione Tributaria Regionale), competente in appello. La parte soccombente in primo grado (sia il contribuente sia, eventualmente, l’ente impositore) può proporre appello entro termini di legge. La corte di secondo grado riesamina sia fatti che diritto, seppur entro i limiti dei motivi di appello. Può confermare o riformare la decisione di primo grado, giungendo così a una sentenza “definitiva” sul merito della controversia tributaria. Dopo la riforma del 2022, le Corti di giustizia tributaria di secondo grado sono composte da giudici tributari professionali a tempo pieno (non più solo togati onorari) per garantire maggiore qualità e terzietà delle decisioni.
  • Terzo grado (legittimità): Corte Suprema di Cassazione, sezione tributaria (Civile, Sez. V). Questo grado non è un “terzo processo” sui fatti, ma un controllo sulla corretta applicazione del diritto nelle sentenze di secondo grado. Si accede alla Cassazione tramite il ricorso per cassazione, possibile esclusivamente per specifici motivi di legge (detti motivi di ricorso) tassativamente previsti. La Cassazione non riascolta testimoni, non valuta nuove prove e non entra nel merito del rapporto tributario in sé; verifica invece se la sentenza impugnata contiene vizi giuridici (violazioni di norme sostanziali o processuali, difetto di giurisdizione, nullità, grave vizio di motivazione, ecc.). In caso affermativo, la Cassazione può cassare (annullare) la sentenza impugnata, eventualmente rinviando la causa al giudice tributario di merito per un nuovo esame conforme ai principi di diritto da essa enunciati.

È importante comprendere che la Cassazione, in ambito tributario come in altri ambiti civili, svolge un ruolo di “nomofilachia”, ossia di custode dell’uniformità della giurisprudenza. Una delle sue funzioni principali è risolvere contrasti interpretativi e consolidare principi di diritto validi per casi analoghi. Ad esempio, se le corti di merito divergono sull’interpretazione di una norma fiscale, un ricorso in Cassazione può portare la Suprema Corte a pronunciarsi in modo risolutivo (eventualmente anche tramite le Sezioni Unite in caso di questioni di particolare importanza o contrasto giurisprudenziale). Per il contribuente che ha perso in appello, rivolgersi alla Cassazione significa quindi sostenere che la decisione di secondo grado è giuridicamente erronea e confidare che la Corte ripristini la legalità violata.

Dal punto di vista del debitore (contribuente), il ricorso per Cassazione è spesso l’ultima speranza per evitare un esborso fiscale ingente ritenuto ingiusto. Occorre tuttavia essere consapevoli che non tutte le sconfitte in appello sono ribaltabili in Cassazione: solo i vizi di legittimità rilevano. Ad esempio, se la Commissione regionale ha semplicemente valutato le prove in modo sfavorevole al contribuente, senza violare regole di diritto, in Cassazione non sarà possibile rimettere in discussione quel giudizio di fatto. Viceversa, se la sentenza contiene un errore di diritto (ad es. ha applicato male una norma tributaria, o ha negato un diritto al contribuente in violazione di legge, o ancora non ha motivato adeguatamente la decisione), allora vi sono margini per un ricorso. In questa guida dettaglieremo tutti i possibili motivi di ricorso ammessi e come riconoscerli.

Va anche evidenziato che, salvo rare eccezioni, la proposizione del ricorso per Cassazione non sospende automaticamente l’esecutività della sentenza impugnata. Ciò significa che, se il contribuente è stato condannato a pagare un tributo in appello, l’Erario può in genere procedere alla riscossione immediata (ad esempio tramite cartella o ingiunzione) senza attendere l’esito del giudizio di Cassazione. Dal punto di vista pratico, il debitore potrebbe trovarsi a dover pagare (o subire azioni esecutive) durante il tempo – spesso lungo – in cui il suo ricorso è pendente in Cassazione. Esiste però uno strumento per ovviare a questo: l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza di secondo grado, da presentare alla stessa Corte che ha emesso la sentenza impugnata (quindi alla Corte di giustizia tributaria d’appello). Introdotta con il D.Lgs. 546/92 e confermata nel nuovo Testo Unico 2024, questa istanza consente di chiedere al giudice di merito di sospendere in tutto o in parte gli effetti esecutivi della sentenza durante la pendenza del ricorso in Cassazione, in presenza di un danno grave e irreparabile per il contribuente. Approfondiremo più avanti i presupposti e la procedura di tale sospensione (art. 62-bis D.Lgs. 546/1992, ora art. 117 T.U. giust. trib.).

In sintesi, il ricorso per cassazione tributaria è un mezzo di tutela altamente specialistico, da maneggiare con cura tecnica. La presenza di un avvocato cassazionista esperto in diritto tributario è obbligatoria e fondamentale, data la complessità delle norme e dei formalismi coinvolti. Nei prossimi capitoli esamineremo l’intera disciplina del ricorso: normativa di riferimento, soggetti abilitati, termini e condizioni di ammissibilità, requisiti formali del ricorso, motivi impugnabili, iter procedurale in Cassazione, esiti possibili (rigetto, accoglimento con o senza rinvio), e strategie difensive efficaci per massimizzare le chance di successo del contribuente. Il tutto con un costante riferimento alle ultime novità legislative (come la riforma “Cartabia” del processo civile, recepita anche nel rito tributario) e giurisprudenziali (richiamando sentenze recentissime della Cassazione fino al 2025). Procediamo dunque con ordine, iniziando dalle fonti normative che regolano il ricorso in Cassazione tributaria.

Fonti normative e requisiti generali del ricorso in Cassazione tributaria

Il ricorso per cassazione in materia tributaria è disciplinato sia dalle norme speciali del processo tributario sia dalle norme generali del codice di procedura civile, opportunamente coordinate. Di seguito elenchiamo le principali fonti normative italiane rilevanti:

  • D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 62 e ss.: storicamente era l’articolo cardine che prevedeva il ricorso per cassazione contro le sentenze delle Commissioni tributarie regionali. Dopo la riforma del 2022-2024, tali disposizioni sono confluite nel nuovo Testo Unico ma restano sostanzialmente valide. L’art. 62 D.Lgs. 546/92 (come modificato da L. 130/2022) stabiliva che contro la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado (ossia la Commissione regionale) è ammesso ricorso per cassazione “per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c.”. In altre parole, rinvia direttamente ai cinque motivi tipici di ricorso previsti dal codice di procedura civile (che vedremo a breve). Lo stesso articolo disponeva che al ricorso per cassazione tributario si applicano le norme del c.p.c. compatibili, e introduceva un importante istituto: col consenso di entrambe le parti, anche la sentenza di primo grado può essere impugnata direttamente in Cassazione per sola violazione di legge (saltando l’appello). Quest’ultima è una novità introdotta nel 2022, pensata per ridurre i tempi in casi in cui c’è solo da chiarire una questione di diritto controversa: se contribuente e ufficio concordano, possono andare direttamente in Cassazione dopo il primo grado (vedi infra “Ricorso ‘per saltum’”).
  • D.Lgs. 546/92, art. 62-bis (ora art. 117 T.U. 2024): norma (introdotta nel 2015 e riformata nel 2022) che disciplina i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per Cassazione, ovvero la già citata istanza di sospensione. Stabilisce che la parte che ha proposto ricorso in Cassazione può chiedere alla corte che ha emesso la sentenza impugnata di sospenderne l’esecuzione (in tutto o in parte) per evitare un danno grave e irreparabile. L’istanza va trattata d’urgenza (entro 30 giorni) e decisa con ordinanza motivata non impugnabile. Il giudice può subordinare la sospensione a una garanzia (ad es. fideiussione) a carico del contribuente, a tutela del credito erariale, come previsto dall’art. 117 co.5 (rinvia all’art. 127 co.2 T.U.). Inoltre, la legge richiede che, per ottenere la sospensione, il ricorrente dia prova di aver effettivamente depositato il ricorso per Cassazione (cioè non basta annunciare ricorso, va anche perfezionato il deposito in Cassazione). Questa norma è cruciale per il contribuente-debitore, perché offre uno strumento di tutela immediata contro la riscossione nelle more del giudizio di legittimità.
  • D.Lgs. 546/92, art. 63 (ora confluito nell’art. 118 T.U. 2024): regola il giudizio di rinvio a seguito di cassazione. Dispone che quando la Cassazione accoglie il ricorso e rinvia la causa a un giudice di merito (che può essere la Corte di giustizia tributaria di pari grado di quella che ha emesso la sentenza cassata, ma in diversa composizione, oppure eventualmente di primo grado se la cassazione ha riguardato una sentenza di prime cure impugnata direttamente in Cassazione), la causa deve essere riassunta entro un termine perentorio (6 mesi dalla pubblicazione della sentenza di Cassazione). La riassunzione si fa con atto di citazione verso tutte le parti, secondo le forme del giudizio di merito pertinente. Se non si riassume in tempo, l’intero processo si estingue. Nel giudizio di rinvio, le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano prima (contribuente rimane attore se lo era, ecc.) e non possono formulare domande nuove diverse da quelle iniziali, salvo gli adattamenti imposti dalla sentenza di Cassazione. Inoltre, in sede di rinvio è obbligatorio produrre copia autentica della sentenza di Cassazione. In pratica, il giudice di rinvio dovrà attenersi al principio di diritto affermato dalla Cassazione: se ad esempio la Cassazione ha stabilito che una certa norma va interpretata in un determinato modo, il giudice di rinvio dovrà decidere applicando tale interpretazione. (Vedremo che, in alcuni casi, la Cassazione può anche decidere nel merito direttamente senza rinvio, quando la causa è matura e non servono ulteriori accertamenti di fatto).
  • D.Lgs. 14 novembre 2024 n. 175 – “Testo Unico della giustizia tributaria”: entrato in vigore il 29 novembre 2024, ha raccolto e riordinato l’intera disciplina del processo tributario, abrogando il D.Lgs. 546/1992 (art. 130 D.Lgs. 175/2024). Le norme sul ricorso per cassazione tributaria si trovano ora agli artt. 116-119 di questo Testo Unico, che riproducono in larga parte i contenuti degli ex artt. 62-63 D.Lgs. 546 con alcune modifiche formali. Ad esempio, l’art. 116 T.U. conferma che la sentenza della corte tributaria di secondo grado è impugnabile con ricorso per Cassazione per i motivi 1-5 dell’art. 360 c.p.c.; l’art. 117 T.U. corrisponde al citato 62-bis (sospensione dell’esecutorietà); l’art. 118 T.U. al citato art. 63 (giudizio di rinvio); e l’art. 119 T.U. recepisce una norma importante introdotta nel 2022 sulla efficacia delle sentenze penali nel processo tributario (ne parleremo a parte). In sostanza, il D.Lgs. 175/2024 non ha stravolto il giudizio di Cassazione, ma lo ha integrato nel nuovo corpo normativo. Questa guida farà riferimento ai nuovi numeri di articolo (116-119 T.U.) per le norme vigenti dal 2024, tenendo presente la continuità col previgente assetto del ’92.
  • Codice di procedura civile (c.p.c.), in particolare gli artt. 360 e seguenti, e le disposizioni relative al giudizio di Cassazione. Poiché l’art. 116 T.U. richiama espressamente l’applicabilità delle norme del codice di rito, occorre conoscere i principali articoli del c.p.c. che regolano il ricorso per Cassazione (la cui disciplina generale è comune a tutti i ricorsi civili, non solo tributari):
    • Art. 360 c.p.c.Sentenze impugnabili e motivi di ricorso: elenca i cinque motivi di impugnazione ammessi in Cassazione (1. giurisdizione; 2. competenza; 3. violazione di legge; 4. nullità della sentenza o del procedimento; 5. omesso esame di un fatto decisivo). Approfondiremo tra poco ciascun motivo.
    • Art. 365 c.p.c.Sottoscrizione del ricorso: prescrive che il ricorso per cassazione dev’essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da avvocato iscritto nell’albo speciale abilitato al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori (il cosiddetto avvocato cassazionista). Ciò vale per i ricorsi delle parti private; per l’Avvocatura dello Stato (che difende gli enti pubblici, come l’Agenzia Entrate-Riscossione o il MEF) la sottoscrizione spetta all’Avvocato dello Stato competente. Questa regola significa che un avvocato “semplice” non può difendere in Cassazione se non ha l’abilitazione specifica.
    • Art. 366 c.p.c.Contenuto del ricorso: elenca gli elementi formali obbligatori che il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità. Questo articolo è stato modificato dalla Riforma Cartabia (D.Lgs. 149/2022) per introdurre espressamente i requisiti di chiarezza e sinteticità degli atti. Attualmente (testo 2023) l’art. 366 richiede che nel ricorso siano presenti:
      1. l’indicazione delle parti (ossia chi propone il ricorso e contro chi, con relative generalità e domiciliazioni);
      2. l’indicazione della sentenza impugnata (numero, data, autorità che l’ha pronunciata, ad es. Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado di Milano, sent. n. XX/2023);
      3. la chiara esposizione dei fatti della causa, essenziali per la comprensione dei motivi. Questa è la c.d. esposizione sommaria dei fatti, che deve però essere svolta ora in modo chiaro e mirato ai motivi di ricorso;
      4. la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate. Ciascun motivo di ricorso va sviluppato in maniera autonoma e deve evidenziare il punto della decisione impugnata che si contesta e perché è errato in diritto. (Ad esempio: “Violazione dell’art. 2697 c.c. – inversione dell’onere della prova”, oppure “Nullità della sentenza ex art. 360 n.4 c.p.c. per motivazione apparente”, ecc., con spiegazione).
      5. l’indicazione della procura alle liti, se conferita con atto separato (nel caso in cui la firma del difensore sia apposta su modulo a parte e non in calce al ricorso, occorre menzionarlo e allegare la procura; se il ricorso è firmato digitalmente con procura telematica allegata, va rispettata la normativa sul punto).
      6. la specifica indicazione, per ciascun motivo, degli atti processuali e dei documenti su cui il motivo si fonda, con illustrazione del loro contenuto rilevante. Questa previsione è cruciale: significa che se un ricorso si basa – poniamo – su un documento (es. una lettera, un contratto, un verbale) o su un atto del processo (es. una memoria depositata, un’istanza, una testimonianza agli atti), il ricorrente deve non solo dire che esiste quel documento ma riprodurne il contenuto saliente e indicare dove nel fascicolo di merito esso è rinvenibile. È l’espressione normativa del principio di “autosufficienza del ricorso”: la Cassazione deve essere messa in grado di valutare il motivo sulla base del solo ricorso, senza dover cercare altrove gli elementi. Ad esempio, se si denuncia che la CTR ha male interpretato un contratto, il ricorso deve riportare i passi rilevanti di quel contratto e dire in quale fascicolo (di primo o secondo grado) e con che numero di allegato quel contratto era prodotto. Un motivo che lamenti un vizio senza fornire questi riferimenti precisi sarà dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza, come spesso ribadito dalla giurisprudenza (es: Cass. ord. n. 13358/2025 in materia tributaria ha ritenuto inammissibile un motivo proprio perché la società ricorrente non aveva riprodotto in ricorso il contenuto dell’avviso impugnato su cui verteva la censura).
      Inoltre, l’art. 366 ultimo comma contempla il caso (introdotto da L.130/2022) del ricorso immediato contro la sentenza di primo grado col consenso delle parti (art. 360 co.2 c.p.c.): esso richiede che l’accordo delle altre parti risulti dal visto sul ricorso o da atto separato da allegare. Ciò per documentare che tutte le parti hanno accettato di andare direttamente in Cassazione saltando l’appello. Nota bene: La mancanza anche di uno solo di questi requisiti formali può comportare l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c.. Ad esempio, un ricorso che non esponga i fatti di causa (ossia che non racconti brevemente la vicenda e cosa hanno deciso i giudici di merito) è inammissibile; un ricorso con motivi del tutto generici e privi di specifica indicazione delle norme violate è pure inammissibile. La Suprema Corte è molto rigorosa su questi aspetti, perché un ricorso redatto male non consente un giudizio adeguato. Vedremo tra poco le pronunce in tema di principio di chiarezza e autosufficienza.
    • Art. 367 c.p.c.Deposito del ricorso: il ricorrente deve depositare il ricorso notificato presso la Cancelleria della Cassazione nel termine di 20 giorni dall’ultima notifica alle controparti. Il deposito deve avvenire con il rispetto delle modalità (oggi prevalentemente telematiche, tramite PEC e portale) previste e includere l’originale del ricorso notificato, le relate di notifica, gli atti e documenti rilevanti, la copia della sentenza impugnata, e l’attestazione di versamento del contributo unificato dovuto. Il mancato rispetto del termine di deposito rende il ricorso “improcedibile” (art. 369 c.p.c.).
    • Art. 369 c.p.c.Improcedibilità: sancisce appunto che la tardiva o mancata produzione in Cassazione del ricorso notificato e dei documenti essenziali (sentenza impugnata, provvedimento di notificazione della sentenza se c’è, ecc.) determina l’improcedibilità del ricorso. Improcedibilità significa che il ricorso, pur formalmente proposto, non può essere esaminato nel merito per violazione di queste regole procedurali.
    • Art. 370 c.p.c.Controricorso: disciplina la difesa della parte resistente in Cassazione. La parte che ha vinto in appello (ad es. l’Agenzia delle Entrate) se intende resistere al ricorso, deve depositare entro 40 giorni dalla notifica del ricorso un controricorso, redatto con analoghi requisiti di forma (va indicato se intende eccepire l’inammissibilità o infondatezza dei motivi avversari, e può eventualmente proporre ricorso incidentale se ha sue ragioni da far valere, ad esempio contro altre parti o su capi della sentenza a lei sfavorevoli). Nel processo tributario, frequentemente l’Avvocatura dello Stato o i difensori dell’ente impositore presentano controricorso per sostenere la correttezza della decisione impugnata e chiedere il rigetto del ricorso del contribuente.
    • Art. 375-380 c.p.c.Procedimento in Cassazione: queste norme (alcune modificate di recente) regolano le modalità di trattazione del ricorso in Cassazione. In particolare, molti ricorsi sono decisi in Camera di consiglio, senza pubblica udienza, quando ricorrono le condizioni di legge, ad esempio nei casi di manifesta fondatezza o infondatezza o quando non vi sono particolari questioni nuove. L’art. 360-bis c.p.c. (introdotto nel 2009) prevede inoltre un “filtro” di inammissibilità per i ricorsi che non presentino profili di violazione di legge seri: la Cassazione può dichiarare inammissibile il ricorso quando i motivi non superano un certo vaglio, ad esempio perché la questione di diritto è già stata decisa dalle stesse Sezioni di Cassazione e la sentenza impugnata si è adeguata a quella giurisprudenza (c.d. doppia conforme di diritto), oppure perché i motivi sono carenti di specificità. In pratica, se il ricorso non pone alcuna questione nuova e la giurisprudenza è costante nel senso opposto, la Corte può respingerlo in modo semplificato. Tali pronunce avvengono in camera di consiglio mediante ordinanza (spesso con rinvio all’art. 360-bis). Viceversa, se il ricorso presenta questioni importanti o su cui vi è contrasto, la Corte può disporre la trattazione in pubblica udienza, con intervento del Procuratore Generale e discussione orale delle parti, con decisione finale formalizzata in sentenza. L’assegnazione a camera di consiglio o udienza pubblica è decisa dal Presidente della sezione (art. 376 c.p.c.). Inoltre, la riforma ha introdotto il principio generale (art. 121 c.p.c. modificato) che tutti gli atti processuali devono essere redatti in modo chiaro e sintetico; la Cassazione stessa ha affermato che atti prolissi e confusi possono condurre a inammissibilità se impediscono di capire le censure. Approfondiremo anche questo aspetto nelle strategie difensive.
  • D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (Testo Unico spese di giustizia), art. 13 e seguenti: disciplina il contributo unificato tributario (CUT), ossia la tassa da pagare per proporre ricorso. Il contributo per il ricorso in Cassazione in materia tributaria è dovuto in misura proporzionale al valore della controversia, secondo gli scaglioni previsti per i giudizi tributari. Ad esempio, ad oggi: € 30 per liti fino a € 2.582, € 60 fino a € 5.000, € 120 fino a € 25.000, € 250 fino a € 75.000, € 500 fino a € 200.000, e € 1.500 per liti oltre € 200.000. Se il ricorso non indica il valore della lite, la legge prevede un contributo forfettario di importo maggiore (nel 2025 pari a € 3.372 per la Cassazione), per disincentivare omissioni. Inoltre, la normativa (art. 13, comma 1-quater DPR 115/2002) prevede che, se il ricorrente perde interamente in Cassazione (ricorso respinto o dichiarato inammissibile), egli è tenuto a pagare un ulteriore importo pari al contributo versato. Questa regola del cosiddetto “raddoppio del contributo unificato” si applica anche ai giudizi tributari in Cassazione: in passato c’è stata discussione se valesse o meno nel processo tributario, ma la Cassazione ha chiarito di recente (ord. n. 26995/2024) che la misura del raddoppio si applica al giudizio di Cassazione tributario (in quanto considerato parte del processo civile), mentre non si applica nei gradi di merito tributari. Quindi un contribuente il cui ricorso venga respinto integralmente dovrà versare un secondo contributo di pari importo a quello iniziale. (Va segnalato che questo non è propriamente una “sanzione”, bensì un ulteriore tributo processuale dovuto in caso di soccombenza totale in Cassazione). Ad esempio, se Tizio paga € 500 di contributo per ricorrere in Cassazione su una lite da € 100.000 e il suo ricorso viene respinto, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà chiedergli altri € 500 ex art. 13, c.1-quater DPR 115/2002. In ogni caso, il contributo unificato va versato al momento del deposito del ricorso (tramite F23/F24 con appositi codici) e la ricevuta allegata; l’eventuale raddoppio invece è richiesto successivamente in caso di esito sfavorevole.
  • Normativa sostanziale e altre fonti: pur non riguardando direttamente il processo in Cassazione, è utile menzionare due aspetti: (a) lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e la normativa UE/CEDU, perché a volte i motivi di ricorso invocano la violazione di principi statutari (es. diritto al contraddittorio, obbligo di motivazione degli atti) o norme europee come parametri interpretativi; (b) il D.Lgs. 74/2000, art. 21-bis – recepito nell’art. 119 del T.U. 2024 – che dispone che l’eventuale sentenza penale irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto o non aver commesso il fatto (ad esempio, in un processo penale per evasione) ha efficacia di giudicato nel parallelo processo tributario sugli stessi fatti. Questo significa che, se un contribuente è stato assolto penalmente perché il fatto non sussiste, i giudici tributari non potranno accertare il contrario in sede fiscale. La norma consente anche di depositare la sentenza penale in Cassazione fino a 15 giorni prima dell’udienza. Si tratta di un importante strumento di difesa: nella fase di legittimità, normalmente non si possono introdurre nuove prove, ma una sentenza penale irrevocabile assolutoria fa eccezione e può essere considerata anche in Cassazione, entro i limiti temporali indicati.

Riassumendo, le fonti normative delineano un sistema in cui il ricorso per Cassazione tributaria è ammesso entro 60 giorni dalla notifica della sentenza d’appello, va redatto da un avvocato specializzato e contenere rigorosamente tutti gli elementi di legge, può essere notificato e depositato anche telematicamente, e sarà esaminato dalla Cassazione sulla base dei soli motivi di diritto dedotti. Nel prossimo capitolo esamineremo nel dettaglio chi può proporre ricorso e come funziona la rappresentanza in Cassazione, nonché i presupposti di ammissibilità (interesse a ricorrere, tempestività, ecc.), prima di passare all’analisi dei motivi di ricorso specifici.

Soggetti abilitati e legittimazione: chi può proporre il ricorso e chi può difendere in Cassazione

Dal punto di vista soggettivo, il ricorso per cassazione nel processo tributario può essere proposto da qualsiasi parte soccombente (in tutto o in parte) nella sentenza di secondo grado. In pratica, i protagonisti tipici sono:

  • Il contribuente (persona fisica o giuridica) che ha perso, in tutto o in parte, nel giudizio d’appello. Ad esempio, la Corte tributaria regionale ha confermato l’avviso di accertamento imponendo il pagamento di imposte e sanzioni: il contribuente, risultato debitore verso l’Erario, può ricorrere in Cassazione contro quella sentenza.
  • L’Ente impositore o comunque la parte pubblica, se soccombente: ad esempio l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia Entrate-Riscossione (ADER) ex Equitalia, un Ente locale (in caso di tributi locali) o altro soggetto pubblico che abbia visto accolte le ragioni del contribuente in appello, può a sua volta ricorrere in Cassazione per ribaltare la decisione. In genere, l’Agenzia delle Entrate è difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (o da avvocati del libero foro nei casi consentiti dalla legge).
  • Eventuali terzi intervenuti o chiamati in causa, se hanno assunto la qualità di parte nel giudizio (ipotesi meno frequenti nel tributario, ma ad es. coobbligati in solido, soci di società di persone per accertamenti trasparenti, etc.).

La legittimazione a ricorrere spetta quindi a chi ha un interesse concreto ed attuale a far cassare la sentenza impugnata, cioè chi da quella sentenza è stato pregiudicato. Se la sentenza di secondo grado ha accolto parzialmente le richieste di una parte, entrambe potrebbero avere interesse a ricorrere per la parte di soccombenza reciproca (dando luogo a ricorso principale e incidentale).

È fondamentale sottolineare che in Cassazione vige l’obbligo di assistenza tecnica qualificata: non è possibile stare in giudizio personalmente, neppure se si tratta di controversie di modesto valore. Contrariamente al primo grado, dove le controversie fino a € 3.000 di valore possono essere proposte personalmente dal contribuente (senza avvocato) ai sensi dell’art. 12, comma 2 D.Lgs. 546/92, in Cassazione ciò non è ammesso. L’art. 12 D.Lgs. 546 infatti elenca i professionisti abilitati alla difesa tributaria (avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, in certi casi funzionari delle associazioni di categoria) ma richiede l’abilitazione specifica per il patrocinio in Cassazione quando si giunge a questo grado. In pratica:

  • Il contribuente privato deve farsi rappresentare da un avvocato iscritto all’Albo speciale per le giurisdizioni superiori (il cosiddetto cassazionista). Questi sono avvocati che hanno maturato almeno 5 anni di iscrizione e superato uno specifico esame, oppure che hanno oltre 12 anni di anzianità professionale e determinati requisiti, e sono iscritti in un elenco speciale tenuto dal CNF. Solo tali avvocati possono sottoscrivere il ricorso (art. 365 c.p.c.) e discuterlo in Cassazione. Se il ricorso è firmato da un avvocato non cassazionista, la Corte lo dichiarerà inammissibile d’ufficio.
  • L’Avvocatura dello Stato, per conto degli enti impositori statali, ha diritto al patrocinio davanti alla Cassazione senza necessità di iscrizione all’albo speciale (vi è un albo separato per gli avvocati dello Stato). Quindi, ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate ricorre, il suo ricorso sarà firmato dall’Avvocato Generale o da un Avvocato dello Stato delegato.
  • In passato, erano ammessi in Cassazione anche i funzionari dell’ente impositore (ex art. 11 R.D. 1611/1933 per l’Avvocatura dello Stato e art. 12 D.Lgs. 546 per funzionari abilitati). Oggi però la tendenza è limitare la difesa tecnica alle figure qualificate. Ad esempio, una sentenza di Cassazione del 2019 (n. 31241/2019) ha chiarito che l’Agente della Riscossione in appello poteva farsi rappresentare da avvocati del libero foro anche senza avvocatura erariale, in virtù di ius superveniens, ma in Cassazione comunque serve sempre un avvocato cassazionista.

Chi non può ricorrere? Il ricorso per Cassazione non è ammesso nei confronti di decisioni diverse dalle sentenze (ad es. non si può ricorrere contro un’ordinanza istruttoria). Inoltre, dopo la riforma, non è più previsto il ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero nelle cause tributarie: in passato il PM poteva ricorrere se ravvisava violazioni di legge, ma oggi nel processo tributario il PM non interviene. Quindi, sono solo le parti del rapporto tributario a poter ricorrere.

Interesse a ricorrere: È un principio generale che il ricorso è ammissibile solo se il ricorrente ha un interesse concreto. Ciò significa, per esempio, che se la sentenza d’appello ha sì respinto la domanda principale del contribuente ma gli ha già accordato un certo beneficio, il contribuente non potrebbe impugnare parti a lui favorevoli solo per ottenere magari una motivazione più ampia: deve esserci un’utilità pratica. Allo stesso modo, l’ente non può ricorrere per questioni irrilevanti se comunque ha vinto nel merito.

Successione e legittimazione straordinaria: Se dopo la sentenza d’appello una parte muore o si estingue (società), il ricorso può essere proposto dai successori (eredi, aventi causa) entro il termine previsto, notificandolo alle altre parti. Se la morte avviene dopo la notifica del ricorso, operano le norme di interruzione del processo ma in Cassazione l’interruzione non produce automatismi come nei gradi di merito (l’evento va notificato ecc.). Sono dettagli procedurali che vanno considerati con cura dal difensore.

Procura speciale: La rappresentanza in Cassazione richiede una procura ad hoc. Infatti, la procura alle liti rilasciata per i gradi di merito non vale per la Cassazione, a meno che non fosse espressamente estesa. Di solito, il cliente rilascia al suo avvocato cassazionista una nuova procura “per il giudizio di cassazione avverso la sentenza n. XYZ…”, che viene autenticata e allegata al ricorso (o apposta in calce allo stesso). È importante che la procura sia “speciale”, ovvero riferita specificamente a quel giudizio di Cassazione, e che sia conferita in data antecedente o uguale al deposito del ricorso (ad es. non si può depositare il ricorso e solo dopo ottenere la firma del cliente – sarebbe nullo). La mancanza di una valida procura comporta l’inammissibilità insanabile del ricorso, salvo che il difetto sia rilevato dopo e il ricorrente nel frattempo lo abbia sanato per raggiungimento dello scopo (questioni tecniche, ma in generale da evitare: meglio controllare sempre che la procura sia allegata correttamente).

Conclusione su soggetti abilitati: In definitiva, il contribuente-debitore che intende ricorrere in Cassazione deve necessariamente investire un avvocato cassazionista di fiducia, fornendogli tempestivamente la documentazione e la procura speciale. Lo stesso avvocato idealmente dovrebbe aver seguito anche i gradi di merito (o comunque conoscere bene la causa), perché – come vedremo – dovrà redigere il ricorso in modo autosufficiente riportando atti e fatti del processo. Nulla vieta di cambiare difensore rispetto ai gradi precedenti, ma il nuovo legale dovrà ricostruire l’intera vicenda processuale. È prassi che, per cause di valore elevato o questioni complesse di diritto, il contribuente scelga un avvocato cassazionista specializzato in diritto tributario, data la particolarità della materia. Alcuni studi associati prevedono che il dominus della causa resti il tributarista di merito, affiancato però da un cassazionista per il terzo grado (spesso in Italia sono figure coincidenti, molti tributaristi sono anche cassazionisti, ma non sempre).

Dalla parte dell’Amministrazione finanziaria, solitamente sarà l’Avvocatura dello Stato a curare il controricorso o il ricorso incidentale. Questo significa che il contribuente si troverà davanti difensori molto esperti in Cassazione e specializzati, il che rende ancora più importante una difesa tecnica qualificata per “pareggiare” le competenze in campo.

Termini e condizioni di ammissibilità del ricorso

Per poter proporre validamente un ricorso per Cassazione tributaria occorre rispettare alcuni termini processuali perentori e condizioni di ammissibilità. I principali sono:

1. Termine per la proposizione del ricorso (cd. termine di impugnazione):

  • Il ricorso va notificato alla controparte entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado. Questo è il termine breve previsto in generale per le impugnazioni civili (art. 325 c.p.c.) e reso esplicito nel processo tributario (art. 51 D.Lgs. 546/92). Il dies a quo decorre dalla data in cui la sentenza d’appello è stata notificata ad opera di una delle parti. Nella prassi, spesso la parte vittoriosa in appello provvede a notificare la sentenza alla controparte per far decorrere il termine breve. Se, invece, nessuna parte notifica la sentenza, si applica il termine lungo di impugnazione, che dopo la riforma del 2012 è di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza (non più un anno). Nel processo tributario, l’art. 38 D.Lgs. 546/92 rinviava in parte all’art. 327 c.p.c. sul termine lungo, e il Testo Unico 2024 conferma che la decorrenza è di sei mesi. Occorre ricordare che su questi termini incidono le sospensioni feriali (1–31 agosto) se applicabili: però in materia tributaria dal 2015 il periodo di sospensione feriale dei termini è ridotto (dal 1 al 31 agosto i termini processuali sono sospesi, salvo urgenze).
  • Esempio: sentenza CTR depositata il 10 marzo 2025. Se l’Agenzia notifica la sentenza al contribuente il 20 marzo 2025, allora il contribuente avrà 60 giorni da tale data (escluse eventuali sospensioni) per notificare il ricorso, cioè indicativamente entro il 19 maggio 2025. Se invece la sentenza non viene notificata affatto, il contribuente potrebbe notificare ricorso entro il 10 settembre 2025 (6 mesi dal 10 marzo, più l’agosto sospeso). Attenzione: se l’ultimo giorno cade di sabato/festivo, slitta al primo giorno lavorativo successivo.
  • La notifica del ricorso va fatta a tutte le parti che hanno partecipato al giudizio d’appello (tranne ovviamente chi ricorre). Nel dubbio, meglio notificare anche a eventuali contumaci. In materia tributaria, la notifica all’ente impositore va effettuata presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato competente per territorio, se l’ente era difeso da essa, oppure all’ufficio locale se la legge consente la difesa diretta (ma ormai la regola è l’Avvocatura). Ad esempio, ricorrendo contro l’Agenzia Entrate, si notifica il ricorso all’Avvocatura dello Stato presso la sede del distretto della CTR che ha emesso la sentenza. Una notifica effettuata altrove potrebbe essere nulla o inesistente (Cass. n. 12513/1999 ha ritenuto inesistente la notifica all’ufficio periferico invece che all’Avvocatura). Dunque, questo aspetto formale è vitale.
  • La notifica può avvenire a mezzo posta elettronica certificata (PEC) se i destinatari sono abilitati a riceverla (ormai Avvocatura e uffici pubblici lo sono, così come i difensori delle controparti) o tramite ufficiale giudiziario in forma cartacea, secondo le regole ordinarie. È importante ottenere la prova della notifica (ricevute PEC di accettazione e consegna, o relate dell’ufficiale giudiziario) da depositare poi.

2. Termine per il deposito in Cassazione:

  • Come accennato, dopo aver notificato il ricorso, il ricorrente ha 20 giorni dall’ultima notifica per depositarlo in Cancelleria (art. 369 c.p.c.). Se notifica a più parti in giorni diversi, il termine decorre dall’ultima data di notifica. Il deposito oggi avviene telematicamente attraverso il Portale della Cassazione (come da regole del PCT). Nel computo vanno inclusi gli atti richiesti: copia del ricorso notificato (con firma digitale), prove delle notifiche, la sentenza impugnata con attestazione di conformità, l’eventuale delibera di autorizzazione se ricorre un ente pubblico economico che necessita di ciò, ecc., e la nota di iscrizione a ruolo con il versamento del contributo. La sanzione per il deposito tardivo è l’improcedibilità: il ricorso anche se notificato tempestivamente, non verrà esaminato se il fascicolo arriva oltre i 20 giorni. La Cassazione verifica d’ufficio la data di notifica e quella di deposito.

3. Altre condizioni di ammissibilità:

  • Indicazione dei motivi specifici: Il ricorso deve contenere almeno un motivo riconducibile alle categorie di cui all’art. 360 c.p.c. (vedi sezione successiva). Un ricorso privo di veri motivi di ricorso – ad esempio perché si limita a esprimere generica insoddisfazione per l’esito – sarà inammissibile per mancanza di specificità. La Cassazione richiede che ogni motivo individui chiaramente un errore di diritto della sentenza impugnata e indichi la norma violata. Anche cumulando più doglianze in un motivo confuso si rischia l’inammissibilità (“motivo plurimo e cumulativo” spesso censurato dalla Corte se impedisce di discernere le singole questioni).
  • Divieto di nuovi temi/fatti: Non si possono introdurre in Cassazione questioni nuove che non siano state sollevate nei gradi di merito, a meno che non attengano a materia rilevabile d’ufficio (es: nullità non sanate, difetto assoluto di giurisdizione, ecc.). Il ricorrente non può per la prima volta in Cassazione sollevare, ad esempio, un vizio di notifica dell’atto originario se non l’aveva eccepito prima, perché operano preclusioni. Né può allegare nuovi documenti a supporto delle sue tesi, a parte le eccezioni di legge (es: la sentenza penale assolutoria di cui sopra, depositabile fino a 15 gg prima). Pertanto il ricorso deve far leva sul materiale già agli atti. Documenti nuovi allegati saranno dichiarati inammissibili e non considerati.
  • Controversie non impugnabili: In linea generale tutte le sentenze di secondo grado sono impugnabili in Cassazione. Tuttavia, esistono ipotesi particolari in cui la legge esclude il ricorso. Ad esempio, se la Commissione regionale ha deciso in appello su una causa di valore inferiore a € 3.000, quella sentenza in teoria è impugnabile in Cassazione (non c’è un filtro di valore in senso assoluto, contrariamente ad altri ordinamenti esteri). In passato c’era l’inammissibilità per mancata specificità dei motivi di appello (art. 348-bis c.p.c.), che limitava la proponibilità del motivo di Cassazione n.5 in caso di “doppia conforme” sul fatto. Oggi questo si traduce nel concetto di “doppia conforme” per il motivo di cui all’art. 360 n.5: come vedremo, se i giudici di primo e secondo grado hanno deciso allo stesso modo sui fatti, non si può lamentare un omesso esame di fatto (perché si presume che entrambi l’abbiano valutato). In termini di ammissibilità, la Cassazione dichiarerà inammissibile un motivo ex art.360 n.5 basato su un fatto già esaminato in due gradi conformemente. Questo non impedisce però di ricorrere per altri motivi di diritto.
  • Interesse concreto su ogni motivo: Se un motivo, anche se teoricamente fondato, non porterebbe comunque ad un esito utile per il ricorrente, la Corte può dichiararlo inammissibile per difetto di interesse. Ad esempio, impugnare una statuizione accessoria di spese irrilevante, o un capo della sentenza che non produce effetti pratici, può condurre a inammissibilità. Il principio è che la Cassazione non rende pareri astratti, ma corregge errori che abbiano inciso sul dispositivo a sfavore del ricorrente.
  • Principio di autosufficienza e chiarezza: Questi più che “condizioni” sono criteri valutativi. In base alla giurisprudenza, un ricorso che non rispetti il principio di autosufficienza (illustrato sopra – non riproduce gli elementi necessari a comprendere il vizio denunciato) sarà dichiarato inammissibile. Parimenti, un ricorso redatto in forma oscura, prolissa e non chiara può essere sanzionato. La Cassazione ha affermato, ad esempio, che un ricorso eccessivamente lungo e confuso che renda difficoltosa l’individuazione delle doglianze può essere dichiarato inammissibile per violazione dei requisiti di forma contenuto di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.. Ci sono stati casi di ricorsi-fiume (es. 100 pagine di disordinata esposizione) che la Corte ha stroncato per questo motivo, ritenendo violato il dovere di sinteticità. Questo aspetto “stilistico” è ora avvalorato anche dalla norma (art. 121 c.p.c.).

Riassumendo operativamente, per il contribuente che vuole ricorrere è essenziale: calcolare bene i termini, predisporre la notifica entro 60 giorni, incaricare un avvocato cassazionista in tempo utile (già durante quei 60 giorni, anzi prima, occorre preparare il ricorso), e costruire un atto ammissibile. Un errore sul termine o sulla notifica può precludere ogni possibilità di cassazione, sancendo la definitività della sentenza d’appello. Nella tabella seguente riepiloghiamo i principali termini e passi procedurali del ricorso in Cassazione tributaria:

FaseDescrizione e TermineRiferimenti normativi
Notifica del ricorsoEntro 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado (o 6 mesi dalla pubblicazione, se non notificata). Va notificato a tutte le parti tramite ufficiale giudiziario o PEC.Art. 325 c.p.c.; art. 51 D.Lgs. 546/92 (richiamo)
Deposito del ricorsoEntro 20 giorni dall’ultima notifica, deposito telematico in Cassazione del ricorso notificato con copie conformi, relata/PEC, sentenza impugnata, atti rilevanti, procura e ricevuta contributo.Art. 369 c.p.c.
Costituzione del resistenteEntro 40 giorni dalla notifica, la parte resistente può depositare controricorso (ed eventuale ricorso incidentale) in Cassazione.Art. 370 c.p.c.
Assegnazione e trattazioneIl fascicolo è assegnato alla Sezione tributaria della Cassazione. Se il ricorso è manifestamente infondato/inammissibile o la questione è già decisa da giurisprudenza costante, sarà deciso in Camera di consiglio (ordinanza). Se presenta questioni importanti o su richiesta di parte, può essere fissata pubblica udienza (sentenza).Art. 376 c.p.c.; Art. 380-bis.1 c.p.c.; Art. 360-bis c.p.c.
Memorie finaliLe parti possono depositare brevi memorie illustrative fino a 5 giorni prima dell’adunanza o udienza (per replicare a conclusioni del PG o per nuovi spunti).Art. 380-bis c.p.c.; Art. 378 c.p.c. (previgente)
DecisioneLa Corte decide sul ricorso: può dichiararlo inammissibile o improcedibile (con ordinanza), respingerlo nel merito (rigetto), oppure accoglierlo in tutto o in parte. Se accolto, la sentenza impugnata è cassata: la Corte di solito rinvia ad altro giudice di merito perché decida di nuovo attenendosi al principio di diritto enunciato. In alcuni casi la Cassazione decide essa stessa la causa nel merito (senza rinvio) se non servono ulteriori accertamenti. La decisione è formale con ordinanza (in camera di consiglio) o sentenza (in udienza pubblica o Sezioni Unite).Art. 360 c.p.c.; Art. 384 c.p.c.; Art. 118 T.U. (rinvio)
Notifica della decisioneLa sentenza/ordinanza della Cassazione, una volta depositata, va notificata alle parti per far decorrere l’eventuale termine per la revocazione (generalmente 60 gg). La decisione della Cassazione è definitiva sul caso, salvo revocazione o, in rarissimi casi, rinvio pregiudiziale (es. alla Corte Costituzionale o UE).Art. 391-bis c.p.c. (revocazione)
Giudizio di rinvioSe c’è stato rinvio, la parte interessata deve riassumere la causa davanti al giudice indicato entro 6 mesi, con atto di citazione a tutte le parti. Il giudice di rinvio riesaminerà la controversia attenendosi alle indicazioni della Cassazione.Art. 118 T.U. giust. trib.; Art. 392-394 c.p.c.

(Tabella: Procedura e tempistiche del ricorso per Cassazione tributaria)

Come si nota, la procedura ha vari passaggi ed è dilatata nel tempo. Un ricorso in Cassazione tributaria, dal momento del deposito alla decisione, può richiedere in media 2-3 anni (talvolta meno, se deciso in camera di consiglio rapidamente, talvolta di più se c’è ingolfamento e va in pubblica udienza). Il contribuente deve avere consapevolezza di questi tempi: durante l’attesa, la pretesa fiscale potrebbe essere esigibile, a meno di sospensioni. Ad esempio, se ha ottenuto la sospensione dell’esecutività ex art. 62-bis, non dovrà pagare immediatamente; se invece non l’ha ottenuta o non l’ha chiesta, l’Agente della riscossione potrebbe agire (con limiti, ad es. iscrizione a ruolo parziale per importi < €10.000 se in attesa Cassazione, secondo l’art. 68 D.Lgs. 546, ma queste sono specificità).

Passiamo ora al cuore della materia: quali motivi di ricorso si possono invocare in Cassazione e quali no, analizzando i cinque motivi tipici previsti dall’art. 360 c.p.c. e la loro declinazione nel processo tributario.

Motivi di ricorso per Cassazione: quali errori si possono far valere

L’art. 360, primo comma, c.p.c. elenca tassativamente i motivi per cui è possibile impugnare in Cassazione le sentenze di merito. L’art. 116 del nuovo T.U. (ex art. 62 D.Lgs. 546) richiama espressamente i numeri 1-5 dell’art. 360. È fondamentale conoscere il significato di ciascuno di questi motivi, perché il ricorso dovrà inquadrarsi in uno o più di essi. Eccoli in sintesi:

  1. Mancanza di giurisdizione (art. 360 co.1 n.1 c.p.c.): Si denuncia che il giudice tributario non aveva giurisdizione sulla controversia. Ad esempio, si sostiene che la controversia doveva essere decisa dal giudice amministrativo o ordinario anziché tributario (questioni di riparto di giurisdizione). Nel tributario, casi tipici: se viene impugnato un atto che non è estraneo alla giurisdizione tributaria (ad es. sanzioni amministrative non fiscali, provvedimenti che attengono a tariffe prive natura tributaria, ecc.), una parte potrebbe eccepire difetto di giurisdizione. Il vizio di giurisdizione comprende anche l’ipotesi inversa (il giudice tributario si è indebitamente dichiarato privo di giurisdizione mentre l’aveva). Questo è un motivo particolare: la Cassazione in tal caso può anche decidere come “giudice del riparto”, eventualmente a Sezioni Unite se concerne conflitto tra pluri-giurisdizioni. Nel processo tributario, l’ambito è circoscritto poiché la giurisdizione tributaria è definita dall’art. 2 D.Lgs. 546/92 (ora art. 3 T.U.) che elenca le materie (tributi di ogni genere, anche locali, etc.). Ad esempio, una cartella per sanzioni amministrative del Codice della Strada non rientra in giurisdizione tributaria ma ordinaria. Se erroneamente il giudice tributario l’ha trattata, la sentenza è impugnabile ex art.360 n.1 per difetto di giurisdizione. N.B.: La giurisdizione è rilevabile d’ufficio e non soggetta a preclusioni, e la Cassazione può sempre sindacarla anche d’ufficio.
  2. Incompetenza del giudice (art. 360 co.1 n.2 c.p.c.): Si riferisce alla violazione delle norme sulla competenza territoriale o per materia, “quando non è prescritto il regolamento di competenza”. Nel processo tributario però il regolamento di competenza non è ammesso (art. 5, comma 4 D.Lgs. 546/92), quindi l’unico modo per far valere una competenza territoriale errata di una Commissione era, una volta, proprio il ricorso per Cassazione ex n.2. In concreto, questa ipotesi è rara in materia tributaria, perché le Commissioni avevano competenza per territorio definita per provincia/regioni. Può capitare in casi di notifiche estere o contenzioso su tributi locali sconfinati, ma di norma poche volte si usa il n.2. Va detto che, dopo la riforma 2022, la geografia giudiziaria tributaria è cambiata (corti di primo grado regionali o interprovinciali in base al valore, etc.) e potrebbero sorgere dubbi di competenza interna, ma restano casi di nicchia.
  3. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 co.1 n.3 c.p.c.): È il motivo più ampio e frequente, l’errore in iudicando per eccellenza. Si lamenta che la sentenza impugnata ha violato una norma di diritto sostanziale o processuale. In pratica, ogni qualvolta si contesti la interpretazione o applicazione di una legge compiuta dal giudice di merito. Esempi classici in tributario: la CTR ha applicato male una norma tributaria (es. ha ritenuto tassabile un reddito che per legge era esente, oppure ha calcolato una sanzione in misura errata rispetto alla legge); oppure ha violato una norma processuale (es. ha negato un diritto alla prova in violazione di legge, ha deciso oltre i limiti delle domande – errori ex art. 112 c.p.c. come ultra o extra petizione). Questo motivo copre quindi sia questioni di diritto sostanziale tributario (interpretazione di articoli del TUIR, del DPR IVA, di leggi finanziarie, etc., nonché norme civilistiche rilevanti) sia questioni di diritto processuale (norme del processo tributario stesso o norme del c.p.c. applicabili). Ad esempio, se la CTR ha ammesso una testimonianza in violazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, l’ente potrebbe ricorrere ex n.3 per violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 546/92. Oppure se il contribuente eccepisce che la CTR ha invertito l’onere della prova rispetto a quanto stabilito dall’art. 2697 c.c. e dall’art. 7 co.5-bis D.Lgs. 546/92 (onere dell’amministrazione), quello è un errore di diritto. Il motivo di violazione di legge deve essere articolato con precisione, indicando la norma asseritamente violata e in cosa consista l’errore della sentenza. Non va confuso con la critica al giudizio di fatto: come recita la Cassazione, con il n.3 “non si possono far valere errores in iudicando su fatti”, cioè non è consentito lamentarsi della valutazione probatoria, se non sotto il profilo di una violazione di norma (es. violazione di una presunzione legale, ecc.). Importante: la Cassazione su motivo di violazione di legge decide de iure, ossia considera i fatti accertati dal giudice di merito come base e verifica se la norma sia stata correttamente applicata a quei fatti. Pertanto, non accoglierà motivi che, seppur presentati come violazione di legge, in realtà mirano a far rivalutare prove o fatti (questi sono considerati inammissibili perché scorretti nella sostanza).
  4. Nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 co.1 n.4 c.p.c.): Questo motivo concerne i vizi formali più gravi, ossia le nullità processuali che inficiano la sentenza o l’intero giudizio. Vi rientrano casi come:
    • Violazione dell’art. 112 c.p.c. (error in procedendo): ad esempio, la sentenza è nulla perché il giudice ha omesso di pronunciare su una domanda (c.d. omessa pronuncia, violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato), oppure ha pronunciato ultra petita (oltre i limiti della domanda) o extra petita (su qualcosa di non richiesto). Questi sono vizi che determinano nullità della decisione e possono essere fatti valere come motivo di ricorso.
    • Nullità del procedimento per vizi nel contraddittorio: ad esempio, mancata integrazione del contraddittorio se necessaria, irregolare costituzione delle parti, violazione del diritto di difesa (es. non aver messo a parte a conoscenza di atti), ecc. Ad esempio, se una parte non è stata citata correttamente in appello, la sentenza di appello è nulla perché emessa in violazione del contraddittorio.
    • Mancanza dei requisiti essenziali della sentenza: il caso tipico è la motivazione nulla o inesistente. La legge (art. 132 c.p.c. e art. 36 D.Lgs. 546) richiede che la sentenza abbia una motivazione sufficiente. Se la sentenza è priva della motivazione o questa è meramente apparente, il vizio viene inquadrato come nullità ex art. 360 n.4 c.p.c., in quanto violazione dell’art. 132 comma 2 n.4 c.p.c. (requisiti formali della sentenza). Questo punto è cruciale: dopo la riforma del 2012, non esiste più il motivo autonomo di “insufficiente motivazione” (abolito dal vecchio art. 360 n.5 previgente). Quindi, se la motivazione è semplicemente insufficiente, non basta per cassare; però se la motivazione è talmente carente da risultare inesistente, illogica in modo radicale, contraddittoria in modo irriducibile o incomprensibile, allora si integra un vizio di nullità della sentenza per difetto del minimo costituzionale di motivazione. La Cassazione dice che in tal caso il vizio si denuncia ex art. 360 n.4, come violazione di legge (art. 132 c.p.c.), e non come n.5. Esempio: la sentenza di CTR ha copia-incollato parti senza spiegare le ragioni, oppure ha motivato con frasi generiche tipo “il ricorso è respinto perché infondato” senza spiegare perché – questo è motivazione apparente, dunque nullità. La Cassazione in tali casi annulla la sentenza per difetto assoluto di motivazione. (Si veda Cass. ord. n. 10611/2025: “il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai ristretto al minimo costituzionale… il difetto di motivazione sufficiente è irrilevante, contano solo mancanza assoluta, contraddittorietà irriducibile, motivazione perplessa o incomprensibile, che si traducono in nullità ex art. 132 c.p.c.”).
    • Altre nullità: errori nella composizione del giudice (es. se la sentenza è stata deliberata da giudici diversi da quelli in udienza – nullità per vizio di costituzione del giudice), decisione presa da un giudice ricusato, ecc. Anche l’errata costituzione del rapporto processuale (es. l’appello era inammissibile e la CTR ha deciso nel merito lo stesso) potrebbe farsi valere come nullità.
    In sostanza, il motivo n.4 è utilizzato quando si lamenta un errore procedurale commesso dal giudice di merito. In tal caso la Cassazione funge da “giudice del fatto processuale”, potendo esaminare gli atti (il controllo di errori in procedendo consente alla Cassazione di accedere agli atti direttamente, a differenza del controllo su errori in iudicando dove è vincolata ai fatti accertati). Se riscontra il vizio, la Corte annulla la sentenza e di solito rinvia al giudice di merito per rinnovare la fase processuale viziata.
  5. Omesso esame di un fatto decisivo e controverso (art. 360 co.1 n.5 c.p.c.): Questo è il (oggi unico) motivo attinente ai vizi di motivazione in senso lato. Come ridisegnato dalla riforma del 2012, permette di denunciare che la sentenza di merito ha “omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti”. Scomponendo la definizione:
    • Deve trattarsi di un fatto storico specifico, non una questione giuridica e nemmeno un semplice elemento istruttorio. Un “fatto decisivo” può essere ad esempio: l’esistenza di un documento X con una certa data, oppure il compimento di un’operazione commerciale Y, un pagamento avvenuto o non avvenuto, ecc. Non si può invocare l’omesso esame di una questione o di un argomento difensivo, ma solo di un fatto in senso storico, principale o secondario, che abbia carattere potenzialmente decisivo. La giurisprudenza ha chiarito che per “fatto” si intende un preciso accadimento o circostanza fattuale, oppure un documento che prova un fatto, ecc., il cui esame omesso avrebbe potuto cambiare l’esito.
    • Il fatto deve essere stato “oggetto di discussione tra le parti” nel processo di merito: quindi il ricorrente deve avere introdotto quel fatto e sollevato la relativa questione. Non si può accusare la CTR di non aver esaminato un fatto che nessuno aveva mai dedotto durante il giudizio.
    • Il fatto deve essere decisivo: significa che se la Corte di merito lo avesse valutato, la decisione poteva essere diversa. Ad esempio, il giudice di merito ha ignorato completamente un documento da cui risultava il pagamento integrale del tributo prima dell’accertamento: è un fatto potenzialmente decisivo (avrebbe annullato la pretesa). Oppure la CTR non ha considerato la circostanza che il ricorrente aveva presentato ricorso entro il termine per un lieve ritardo postale (fatto decisivo ai fini dell’ammissibilità).
    • L’“omesso esame” significa che proprio non c’è traccia nella sentenza della valutazione di quel fatto. Non basta che la motivazione sia succinta; occorre che il giudice sembri aver ignorato quel fatto. Non rientra in questo vizio la lamentela per come il giudice ha valutato le prove relative a un fatto (quella è una rivalutazione del merito, non ammessa). Se il fatto è stato esaminato, anche se a tuo avviso male, non c’è omesso esame (semmai poteva prima rientrare nell’insufficienza motivazionale, oggi non più sindacabile).
    Inoltre, come anticipato, c’è un limite ulteriore: se la sentenza di appello conferma integralmente quella di primo grado sui medesimi punti fattuali (c.d. “doppia conforme”), il ricorso ex n.5 non è ammesso. Lo prevede l’art. 348-ter c.p.c. e la giurisprudenza lo applica anche d’ufficio in Cassazione: se su un certo fatto decisivo c’è stata pronuncia conforme in primo e secondo grado, si presume che non vi sia omesso esame (e in generale che il controllo n.5 non possa essere invocato salvo che il ricorrente indichi di aver proposto appello su quel specifico fatto e che la CTR non ne abbia tenuto conto). Ad esempio, se sia CTP che CTR hanno ritenuto non provato un certo costo deducibile, il contribuente non può in Cassazione ex n.5 dire “non avete esaminato il documento tale”: il documento o era valutato e giudicato non sufficiente in entrambe, oppure se davvero nessuno dei due giudici lo ha considerato, forse il contribuente non lo aveva evidenziato nemmeno in appello. Il motivo n.5, in vigore dal 2012, è dunque di difficile configurazione ma non impossibile. In qualche caso, la Cassazione accoglie ricorsi per omesso esame: tipicamente, quando c’è un elemento cruciale che i giudici di merito sembrano aver completamente tralasciato e che invece risulta agli atti. Ad esempio, Cassazione ha cassato sentenze in cui non era stata considerata una prova decisiva come una perizia o una sentenza passata in giudicato su un periodo d’imposta diverso ma collegato, ecc. Va però redatto con estrema precisione, indicando qual è il fatto decisivo trascurato, dove risulta agli atti e perché era discusso. E ricordarsi di escludere casi di doppia pronuncia conforme. È bene ricordare una cosa: se davvero la motivazione è totalmente mancante o incomprensibile, conviene inquadrare il vizio nel n.4 (nullità) e non nel n.5, per come detto sopra. Il n.5 serve per il tipico caso di “giudice che non considera un fatto specifico e quindi la motivazione su quel punto è mancante”. In tal caso spesso la Cassazione cassa e rinvia, perché non può colmare il vuoto ma deve far rivalutare al giudice di rinvio includendo quel fatto.

Riassumiamo in una tabella i cinque motivi tipici di ricorso per Cassazione e la loro portata, con esempi in ambito tributario:

Motivo (art. 360 c.p.c.)Descrizione nel processo tributarioEsempi pratici
n.1 – Difetto di giurisdizioneIl giudice tributario ha giudicato senza avere giurisdizione, oppure ha negato la giurisdizione quando c’era.Contestare che la causa non era “tributaria”: es. sanzione non fiscale decisa da CTR; imposta di registro su atti giudiziari (giurisdizione ordinaria, Cass. SU).
n.2 – Violazione norme sulla competenzaErrori sulla competenza per territorio o materia del giudice di merito (raro in trib., dato che competenza è per ente impositore/ambito territoriale).La CTR Lombardia decide su una causa di competenza della CTR Lazio (ipotetico, errori di riassunzione). Pochi casi, spesso irrilevante dopo abolizione regolamento di competenza.
n.3 – Violazione o falsa applicazione di norma di diritto (errore di diritto sostanziale/procedurale)La sentenza ha male applicato una norma di legge (tributaria o processuale), senza implicare nuovo esame di fatti. È l’errore in iudicando: interpretazione scorretta della norma o principio disatteso.– Interpretazione errata di una esenzione fiscale (es. considerato imponibile un provento esente per legge). – Violazione di norma processuale: es. ammesso testimone in violazione art. 7; rigettato appello come inammissibile erroneamente perché motivi ritenuti generici ma non lo erano (violazione art. 53 D.Lgs.546).
n.4 – Nullità della sentenza o del procedimento (errore di attività del giudice)Vizi “procedurali” gravi: sentenza viziata nella forma o giudizio condotto in violazione di norme processuali essenziali. La Cassazione valuta gli atti processuali.– Omessa pronuncia su un motivo di appello (nullità ex art.112 c.p.c.).– Motivazione mancante/apparente (sentenza nulla ex art.132 c.p.c.).– Violazione diritto di difesa: sentenza emessa senza ascoltare una parte regolarmente costituita, ecc.– Irregolare composizione del collegio giudicante.
n.5 – Omesso esame di fatto decisivo (vizio di motivazione su un fatto)Il giudice di merito ha omesso di considerare un fatto storico rilevante, discusso tra le parti, che avrebbe potuto portare a diversa decisione. (Non copre valutazioni delle prove se il fatto è stato comunque esaminato). Non ammissibile se doppia conforme.– La CTR non considera affatto un documento che prova il pagamento di un’imposta, e rigetta l’appello come se non fosse stato pagato (omesso esame del fatto “pagamento avvenuto in data X”).– Il giudice ignora completamente la questione – sollevata dal contribuente – della decadenza dell’accertamento per decorso dei termini, non menzionandola in motivazione (omesso esame del fatto “notifica avviso oltre termini”, decisivo).

(Tabella: Motivi di ricorso per Cassazione in sintesi, con applicazioni tributarie)

Come si vede, i motivi dal n.1 al n.4 sono relativi a violazioni di legge (giurisdizione e competenza comprese) o nullità, mentre il n.5 è l’unico che attiene a un vizio di motivazione sui fatti, ed è circoscritto. Molto spesso, nei ricorsi tributari, i motivi invocati sono il n.3 e n.4. Ad esempio, Cass. Sez. V, ord. n. 13358 del 20/05/2025: uno dei motivi di ricorso di una società è stato dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza, perché la ricorrente deduceva violazione di legge (n.3) sulla notifica di un avviso ma non ne riportava il contenuto nel ricorso. Questo mostra come motivo n.3 e principio di autosufficienza vanno a braccetto: se si lamenta la violazione di una norma riguardante un atto del procedimento (ad es. norma sulle notifiche), bisogna trascrivere l’atto interessato. In un’altra decisione, la Cassazione ha ribadito che la critica generica alla valutazione del giudice di merito non è un valido motivo di ricorso: il ricorso deve “contenere la chiara indicazione del fatto controverso” e la specifica violazione normativa.

Strategia nella formulazione dei motivi: Un ricorso ben fatto inquadra ciascuna doglianza nel giusto motivo. Ad esempio, se il contribuente ritiene che la CTR abbia completamente ignorato una sua eccezione di prescrizione, conviene articolare un motivo ex art.360 n.4 (omessa pronuncia, nullità) e magari in subordine ex n.3 (violazione dell’art. 2934 c.c., se la prescrizione in effetti operava). Se invece la CTR ha rigettato la domanda per un’interpretazione della norma fiscale ritenuta errata, si userà il n.3; se ha commesso un grave errore procedurale, il n.4; e così via.

Da notare che a volte uno stesso fatto può essere inquadrato sotto profili diversi: es. motivazione totalmente mancante può essere considerata come motivo n.4 (nullità), mentre motivazione che omette un elemento decisivo è n.5. La scelta dipende dalla gravità e da come conviene impostarla. Non di rado i ricorrenti per cautela invocano entrambi (“vizio di motivazione apparente ex art.360 n.4 e/o omesso esame ex n.5”).

Novità introdotte: Un aspetto introdotto nel 2022 è che la legge ora richiede espressamente che ogni motivo di ricorso contenga, pena inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso e delle ragioni del vizio (in passato era nel vecchio art.366-bis, poi abrogato, ora reintrodotto implicitamente dal combinato dei nuovi requisiti). Quindi quando scriviamo un motivo, ad esempio “Violazione dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 7 co.5-bis D.Lgs. 546/92, per errata ripartizione dell’onere della prova”, dobbiamo spiegare sinteticamente qual è il fatto controverso (ad es. la prova di un certo costo) e perché la CTR avrebbe invertito l’onere, citando magari la parte di motivazione che sbaglia. Questo rende i motivi più chiari e focalizzati, come richiesto dalla riforma Cartabia.

Prima di passare oltre, è opportuno chiarire un punto frequente: la Cassazione non è un terzo grado di merito, quindi:

  • Non si può impugnare una sentenza sostenendo semplicemente che “la Commissione ha sbagliato a valutare le prove e invece doveva darmi ragione” senza ricondursi a una violazione di legge o a un omesso esame specifico.
  • Non è ammessa la contestazione generica della “insufficienza” o “illogicità” della motivazione se non rientra in quei vizi radicali spiegati prima. Ad esempio, dire “la motivazione è contraddittoria e illogica” se non integra un’omissione di fatto decisivo o una contraddittorietà assoluta, sarà dichiarato inammissibile. Già la Cassazione a Sezioni Unite nel 2014 (sent. nn. 8053 e 8054/2014) lo affermò chiaramente: il controllo di logicità della motivazione è ridotto al minimo costituzionale.
  • Il ricorrente deve “selezionare i profili di fatto e di diritto” in modo conciso, offrendo una rappresentazione chiara delle questioni giuridiche rimaste controverse, come raccomandato anche dai protocolli Cassazione-CNF sull’uso della chiarezza (v. Protocollo 2015). Ad esempio, è buona norma dividere i motivi e numerarli, titolandoli (es: “1. Violazione di legge sull’onere della prova…; 2. Nullità della sentenza per omessa pronuncia su eccezione…”, ecc.). Ciò aiuta la Corte nella lettura e previene accuse di oscurità.

In conclusione, predisporre i motivi è un esercizio delicato: bisogna individuare esattamente dove la CTR avrebbe sbagliato. Se la CTR ha dato ragione all’ufficio perché ha applicato una certa norma in un certo modo, e noi riteniamo che quella norma vada interpretata diversamente, allora il ricorso sarà sul n.3 (violazione di legge sostanziale). Se la CTR ha rigettato la nostra eccezione procedurale senza motivare, magari è nullità (n.4). Se ha ignorato una prova decisiva, n.5 (ma attenzione al doppio conforme).

Nel capitolo successivo vedremo come redigere correttamente il ricorso, mettendo in pratica questi principi, e come si svolge il giudizio in Cassazione una volta depositato il ricorso e il controricorso.

Redazione pratica del ricorso: forma, struttura e accorgimenti difensivi

Come si scrive un ricorso per cassazione tributaria? La stesura del ricorso è un momento cruciale: un atto ben scritto e strutturato può fare la differenza tra un’ordinanza di inammissibilità immediata e una seria disamina dei motivi da parte della Corte. Riassumiamo i punti-chiave per redigere un ricorso efficace:

  • Intestazione e dati iniziali: Il ricorso inizia con l’intestazione alla Corte Suprema di Cassazione – Sezione Tributaria Civile e l’indicazione della parte ricorrente e delle parti controricorrenti (es: “Ricorso per cassazione di XY contro Agenzia delle Entrate – Riscossione e Ministero dell’Economia e Finanze” etc.). Si indica la sentenza impugnata (Corte Giust. Trib. di Secondo Grado di…, n. …/2023 depositata il… e notificata il… se notificata).
  • Esposizione sommaria dei fatti: Occorre narrare in modo chiaro e sintetico la vicenda: l’atto impugnato originario (es: avviso di accertamento per IRPEF anno X di importo Y), l’esito del primo grado (es: CTP che accoglie parzialmente) e del secondo grado (es: CTR che rigetta l’appello del contribuente, confermando l’atto). Vanno evidenziati i punti essenziali controversi. Questa parte dovrebbe essere relativamente breve (alcune pagine al massimo), ma completa: deve mettere la Corte in condizione di capire il contesto dei motivi. Non bisognerebbe inserire già argomentazioni di diritto qui – quelle vanno nei motivi – ma solo fatti processuali e sostanziali salienti. La chiarezza è fondamentale: evitiamo di trascrivere integralmente lunghi brani delle sentenze; meglio riassumere e, se serve, citare qualche riga cruciale della motivazione impugnata. Ad esempio: “La CTR del Lazio, con sentenza …, ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento ritenendo che ‘in tema di studi di settore, il contribuente non ha fornito prove idonee a superare la presunzione dell’Ufficio’ (cfr. pag. 5 sentenza impugnata)”. Già qui, possiamo accennare qual è l’errore (ad es. l’onere probatorio è stato invertito), ma l’argomentazione dettagliata verrà nei motivi.
  • Motivi di ricorso: Dopo l’esposizione dei fatti, si passa ai MOTIVI. Conviene numerarli (Motivo n.1, n.2, etc.) e possibilmente dare un titolo riassuntivo a ciascuno. Ad esempio: Motivo 1 – Violazione di legge (art. 360 co.1 n.3 c.p.c.): falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, D.P.R. 600/1973, in relazione all’art. 53 Cost., per aver la CTR ritenuto legittimo l’accertamento basato su studi di settore in assenza dei presupposti di grave incongruenza. Poi si svolge il motivo in modo argomentato: “La sentenza impugnata viola la normativa sugli accertamenti standardizzati. La CTR ha infatti affermato che l’Ufficio poteva fondare l’accertamento esclusivamente sullo scostamento dallo studio di settore, senza considerare le specifiche condizioni addotte dal contribuente. Ciò contrasta con l’orientamento consolidato secondo cui lo scostamento costituisce presunzione semplice e richiede la valutazione delle giustificazioni del contribuente (cfr. Cass. n. 17229/2015). In particolare, la CTR non ha applicato correttamente l’art. 39 D.P.R. 600/73, che consente l’accertamento induttivo solo se … etc. Pertanto ha falsamente applicato la norma, presumendo maggiori ricavi in violazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost….”. In questo esempio, citiamo anche una sentenza di Cassazione a sostegno, il che è buona pratica (non obbligatorio ma rafforza). Oppure: Motivo 2 – Nullità della sentenza (art. 360 co.1 n.4 c.p.c.): omessa pronuncia su un motivo di appello relativo alla decadenza dell’azione accertatrice (violazione art. 112 c.p.c.). Sviluppo: “Nel giudizio di appello il contribuente aveva eccepito la decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento per l’anno in contestazione, essendo l’avviso notificato oltre il termine di cui all’art. 43 D.P.R. 600/73 (come da motivo n.2 dell’atto di appello, riportato a pag. 3 del presente ricorso). La CTR non si è pronunciata su tale specifico motivo: la sentenza impugnata infatti non menziona affatto la questione della decadenza. Ciò integra violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza per omessa pronuncia. Il vizio è deducibile ex art. 360 n.4 c.p.c. ed è palese dal confronto tra l’atto di appello (in cui la questione era puntualmente sollevata) e la motivazione della sentenza, che la ignora del tutto. Pertanto la sentenza va cassata sul punto.” Notare che in questo esempio abbiamo fatto riferimento (immaginario) al contenuto dell’atto di appello, riportando in ricorso la parte saliente (bisogna allegare o trascrivere almeno il passaggio dell’atto di appello in cui quella eccezione era formulata, per prova di autosufficienza, altrimenti la Cassazione non può sapere se effettivamente la questione era stata posta). Così soddisfiamo il requisito di specifica indicazione degli atti processuali su cui il motivo si fonda. Durata e struttura dei motivi: Ogni motivo deve essere argomentato in modo autonomo. È sconsigliato accorpare troppe censure eterogenee in un unico motivo (rende difficile la valutazione e può portare a inammissibilità per difetto di specificità). Se c’è un filo logico comune (ad es. più norme violate nello stesso contesto) si possono unire, ma mantenendo chiarezza. In caso di motivi strettamente connessi, a volte i ricorrenti scrivono “Motivi 1 e 2 congiuntamente esaminabili”: ma attenzione, questo lo deciderà la Corte eventualmente, noi comunque li esponiamo separatamente. Cosa evitare nei motivi:
    • Evitare di limitarsi a enunciare il motivo senza svilupparlo. Ad es. scrivere solo “Violazione dell’art. 2697 c.c.” senza spiegare perché, è insufficiente.
    • Evitare lunghe digressioni dottrinali o polemiche: la sintesi è apprezzata. Meglio focalizzarsi su questo caso e questa sentenza. Ad esempio, non serve ripetere tutta la storia dell’istituto fiscale, basta dire la regola e citare eventuale giurisprudenza chiave.
    • Non trasformare il ricorso in un nuovo “appello”: il tono dev’essere giuridico e non fattuale. Frasi come “la CTR ha errato perché in realtà i costi erano reali e i giudici non hanno capito la situazione economica del contribuente” non vanno bene, a meno di incorniciarle in un vizio di legge (es. “la CTR ha invertito l’onere, pretendendo prove impossibili al contribuente, in violazione dell’art. 2697 c.c.”).
    • Fare attenzione ai riferimenti agli atti: se dico “come risulta dal verbale di constatazione” devo almeno riassumerne il pezzo rilevante e dire ad es. “(doc. 3 fasc. di 1° grado, pagg. X-Y)”. La Cassazione non ha il fascicolo di merito se non quello di cui è chiesta espressamente la trasmissione, ma comunque vuole vedere in ricorso il contenuto chiave. Soprattutto per contratti, verbali, documenti, occorre riportare i brani utili.
    • Se si cita giurisprudenza, meglio prediligere Cassazioni recenti e possibilmente conformi. Citare Sezioni Unite se esistono sul punto, o comunque sentenze di riferimento. Questo dà peso al ricorso (dimostra che non è un caso isolato ma tocca principi generali). Nel tributario, ad esempio, se affermo “la CTR ha violato il principio del contraddittorio endoprocedimentale”, citare Cass. Sez. U n.24823/2015 che ha definito quell’obbligo in ambito fiscale rafforza molto la tesi.
    • Evitare un linguaggio offensivo verso i giudici di merito. Anche se la sentenza appare sbagliatissima, il rispetto formale va mantenuto: dire “la CTR è incorsa in errore” va bene, dire “la sentenza è assurda e priva di logica” può essere malvisto (oltre al fatto che ora “priva di logica” è difficilmente sindacabile). Focus su errori oggettivi, non su attribuzioni soggettive.
  • Conclusione del ricorso (“petitum”): Dopo i motivi, il ricorso si chiude con una formula di richiesta. Tipicamente: “Si chiede pertanto che la Corte di Cassazione voglia accogliere il presente ricorso e, per l’effetto, cassare la sentenza impugnata. Con ogni consequenziale statuizione in diritto; e con vittoria di spese.” Se il ricorrente vuole una decisione di merito immediata (ex art. 384 c.p.c., raro in tributario salvo cause che non richiedono ulteriori accertamenti), può chiederlo espressamente: “…cassare la sentenza impugnata e decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., accogliendo il ricorso introduttivo del contribuente.” Più spesso però ci si limita a chiedere la cassazione e rinvio, che la Corte deciderà come opportuno.
  • Procura alle liti: Va apposta in calce o allegata. Se cartaceo, firma del cliente autenticata dall’avvocato; se telematico, procura su foglio firmato scannerizzato con firma autografa, poi firmato digitalmente dall’avvocato. La procura deve essere “speciale per il presente giudizio di Cassazione” e menzionare la sentenza. Nel ricorso stesso, in genere nel frontespizio o a margine, si indica: “Avv. Caio, difensore del ricorrente giusta procura speciale a margine/in calce del presente atto”.
  • Documenti da allegare: Alla fine del ricorso (che ormai viene depositato in PDF nativo firmato digitalmente), si preparano gli allegati: copia autentica della sentenza impugnata (scaricata dal SIGIT o dall’ufficio di segreteria), documentazione di notifica della sentenza (se è stata notificata, con relata o PEC), il fascicolo di merito rilevante (almeno gli atti e documenti su cui i motivi si basano, come richiede art. 369 c.p.c. – sebbene con PCT in Cassazione la prassi sul fascicolo elettronico sia in evoluzione), l’atto di appello e il ricorso originario se servono per questioni processuali. Soprattutto, le ricevute di notifica del ricorso (PEC o relata) e la ricevuta del contributo unificato.
  • Lunghezza dell’atto: Non esiste un limite di pagine imposto (come nel processo amministrativo o in Cassazione penale ci sono limiti), ma la tendenza è a richiedere la sinteticità. Un buon ricorso tributario può variare dalle 15 alle 30 pagine, a seconda della complessità. Oltre, spesso c’è ridondanza. Ad esempio, la Suprema Corte in una recente ordinanza del 2023 (n. 7600/2023) ha ribadito il principio di chiarezza e sintesi e ha detto che la sanzione dell’inammissibilità scatta solo se l’estensione esagerata pregiudica la comprensione. Quindi, evitare di scrivere un romanzo: meglio essere concisi e puntuali, anche per non “nascondere” le buone ragioni in un mare di parole.
  • Controlli finali: Prima di notificare e depositare, l’avvocato cassazionista deve rileggere con occhio critico: ogni motivo è autosufficiente? Ho indicato dove nel fascicolo trovo i documenti citati? La numerazione delle pagine è corretta (specie se depositi telematicamente, conviene generare un PDF unico con tutti gli allegati numerati)? La procura è firmata? Il contributo pagato? Spesso errori materiali banali (dimenticare un allegato, contributo errato) causano problemi (es. improcedibilità se non alleghi copia notifica sentenza impugnata, anche se la menzioni, v. Cass. SU n.10648/2017 su questi formalismi).
  • Notifica del ricorso: Una volta completato, il ricorso va notificato. Se via PEC, si manda il ricorso firmato digitalmente + procura + sentenza + eventuali allegati, in allegato alla PEC all’indirizzo risultante dal ReGIndE o IPA. Se via UNEP, si prepara plico e l’Ufficiale giudiziario notifica. La data di notifica è quella che conta per i termini.

Questa redazione accurata è ciò che un buon avvocato cassazionista fornisce al contribuente: un atto formalmente ineccepibile e sostanzialmente mirato, che eviti le trappole dell’inammissibilità e colga nel segno gli errori della sentenza impugnata.

Vale la pena sottolineare: l’assistenza di un cassazionista esperto è indispensabile. Non è raro che ricorsi predisposti in fretta o da difensori non avvezzi alle regole di Cassazione vengano stroncati con formule stereotipate (“considerato che il ricorso è carente dell’esposizione dei fatti ex art. 366, n.3, c.p.c., è inammissibile” ecc.). Ad esempio, Cass. ord. n. 13358/2025 citata sopra, evidenzia come la mancata riproduzione dell’atto impugnato abbia reso inammissibile il ricorso; un errore del genere è evitabile con perizia.

Dopo aver depositato il ricorso, dal lato difensore non resta che attendere la fissazione. Durante l’attesa, tuttavia, il contribuente può chiedere la sospensione come detto. È opportuno presentare l’istanza ex art. 62-bis (117 T.U.) alla Corte d’appello tributaria che ha emesso la sentenza appena notificato il ricorso per Cassazione, allegando copia del ricorso depositato. Quell’istanza verrà trattata rapidamente: se accolta, la riscossione è sospesa fino alla decisione di Cassazione; se rigettata, si può eventualmente rinnovarla alla Cassazione stessa (anche se l’art. 62-bis formalmente prevede istanza solo al giudice a quo). Comunque, di solito la Cassazione non decide sospensive, delega tutto al giudice di merito.

Chiusa la fase di redazione e deposito, diamo uno sguardo a come si svolge il giudizio in Cassazione dopo il deposito, ovvero cosa avviene in Corte, come le parti possono interagire (controricorso, memorie) e quali possibili esiti ci si può attendere.

Il giudizio in Cassazione: controricorso, udienza, decisione e provvedimenti

Una volta depositato il ricorso per cassazione presso la Suprema Corte, il fascicolo telematico viene creato e prende avvio il giudizio di legittimità vero e proprio. Vediamo le varie fasi e aspetti:

Controricorso e ricorso incidentale: La parte che ha ricevuto la notifica del ricorso (ad esempio l’Agenzia delle Entrate, o il contribuente contro-ricorrente se fosse l’Agenzia ad aver ricorso) ha 40 giorni per depositare un controricorso. Il controricorso è redatto simile a un ricorso: contiene le generalità, l’esposizione di eventuali contro-fatti integrativa (non indispensabile se concorda), e soprattutto le controdeduzioni sui motivi del ricorso. L’Avvocatura dello Stato, ad esempio, nel controricorso replicherà a ciascun motivo spiegando perché è infondato o inammissibile, citando giurisprudenza a favore dell’Amministrazione. Se la parte resistente ritiene a sua volta di dover impugnare qualcosa della sentenza (magari aveva vinto solo parzialmente in appello), può proporre un ricorso incidentale nello stesso atto. Ad esempio: Agenzia vince in appello su IRPEF ma perde su IVA, il contribuente ricorre su IRPEF e l’Agenzia fa controricorso + ricorso incidentale sulla parte IVA. Il ricorso incidentale può essere anche tardivo, cioè proposto oltre i 60 gg ma comunque entro il termine di 40 gg dal ricorso principale: esso è ammissibile se il ricorso principale è ammissibile, e verterà su questioni legate (ex art. 371 c.p.c.). Se invece il ricorso principale viene dichiarato inammissibile o estinto, l’incidentale tardivo viene travolto (non autonomo). In materia tributaria, spesso l’Agenzia Entrate-Riscossione (o l’ente locale) può presentare controricorso incidentale su questioni di spese o altri aspetti.

Fissazione e assegnazione: Dopo la scadenza dei termini di costituzione, il fascicolo passa al Servizio Centrale della Cassazione che lo assegna alla Sezione competente (la sezione tributaria, ovvero la Quinta Civile, salvo casi che richiedano Sezioni Unite se c’è contrasto di giurisprudenza o questione di giurisdizione importante). Il Presidente della Sezione, o un consigliere delegato, esamina il ricorso e prepara una proposta di trattamento:

  • Se il ricorso appare manifestamente inammissibile o infondato, oppure se la questione è già risolta univocamente da giurisprudenza consolidata e la decisione impugnata è conforme ad essa, può essere avviato alla trattazione in Camera di consiglio non partecipata (ex art. 380-bis.1 c.p.c., procedimento “filtro”). In tal caso, viene redatta una relazione dal relatore, comunicata al PG e alle parti almeno 30 giorni prima, e le parti possono depositare memorie in risposta entro 5 giorni dalla camera di consiglio.
  • Se invece il ricorso supera il filtro (perché pone questioni non palesemente infondate, o giurisprudenza non consolidata), viene fissata in genere comunque una camera di consiglio partecipata (con presenza del PG e avvocati se chiedono di discutere) oppure, su istanza di parte o decisione interna, la pubblica udienza. Nel processo tributario è raro che vi sia pubblica udienza, se non per questioni molto rilevanti o per intervento delle Sezioni Unite. La maggior parte delle cause tributarie oggi sono decise in camera di consiglio ex art. 380-bis.1 o 380-bis c.p.c. (che comunque è non pubblica). Tuttavia, attenzione: la riforma Cartabia ha eliminato la distinzione tra camera di consiglio “filtro” e “merito” unificando il rito camerale. Ora si parla di adunanza camerale con eventuale discussione scritta, e di pubblica udienza su richiesta. L’art. 375 c.p.c. elenca i casi in cui si va in pubblica udienza (questioni di particolare rilevanza, richieste PG, ecc.) e se no si va in camera di consiglio.
  • Se una parte tiene molto a discutere oralmente, deve farne istanza motivata entro i termini (art. 379 c.p.c. come mod.). Ma in tributario raramente conviene: la discussione orale incide poco e prolunga i tempi per fissazione. Spesso i difensori puntano più sulle memorie scritte finali.

Intervento del Procuratore Generale (PG): Nei ricorsi tributari civili, il PG presso la Cassazione interviene in determinate materie (ad esempio se c’è questione di particolare interesse pubblico o di diritto intertemporale, ecc.) ma non in tutte le cause tributarie. Può scegliere di non depositare conclusioni. Se però la causa è fissata in pubblica udienza, il PG tipicamente formula conclusioni scritte (chiedendo rigetto, accoglimento ecc. a seconda del caso). Tali conclusioni vengono comunicate alle parti che possono replicare con memoria. Ad esempio, se il PG conclude per il rigetto del ricorso del contribuente, il suo avvocato può depositare memoria per controbattere, almeno 5 giorni prima dell’udienza.

Memorie ex art. 380-bis/378 c.p.c.: Indipendentemente dal PG, le parti hanno facoltà di depositare brevi memorie prima della discussione (sia in camera di consiglio sia in udienza). Il termine è di 5 giorni liberi prima. Nella memoria, il ricorrente spesso replica alle eccezioni sollevate dal controricorso (ad esempio l’Agenzia ha eccepito inammissibilità su un punto: il ricorrente può difendere la propria posizione, citare ulteriore giurisprudenza). Anche il controricorrente può depositare memoria per sottolineare pronunce sopravvenute, o per replicare a sue volte se il ricorrente in memoria iniziale ha aggiunto qualcosa. Le memorie devono essere concise (massimo qualche pagina). Servono come ultimo input ai giudici.

Trattazione e decisione: Se in camera di consiglio (che è la regola attuale salvo eccezioni), i giudici (5 consiglieri, di cui uno relatore e uno presidente) si riuniscono privatamente il giorno fissato, esaminano i fascicoli e le eventuali memorie, ascoltano se presente il PG e eventualmente i difensori se la camera è partecipata. In camera di consiglio non pubblica (procedura filtro), non partecipano né parti né PG, i giudici decidono sul materiale di causa. Dopo la discussione interna, provvedono mediante ordinanza succintamente motivata.

Se in pubblica udienza, l’udienza si svolge come nei giudizi di appello: relatore fa una relazione riassuntiva, PG da le conclusioni, gli avvocati discutono oralmente (spesso in Cassazione pochi minuti, non come nei meriti). Poi la corte si ritira in camera di consiglio e pronuncia pubblicamente il dispositivo oppure riserva la decisione (di solito riserva e poi deposita sentenza completa). La decisione in udienza è formalizzata in una sentenza (con struttura simile all’ordinanza ma denominazione diversa).

Esiti possibili:

  • Inammissibilità del ricorso: se ci sono vizi iniziali (es. tardività, carenza motivi) la Corte lo dichiarerà inammissibile con ordinanza. Ciò rende definitiva la sentenza impugnata. Implica anche, come visto, l’obbligo del raddoppio contributo ex art. 13 DPR 115.
  • Improcedibilità: ad esempio se il ricorso non è stato depositato nei 20 gg o manca la prova di notifica della sentenza. Anche qui conseguenza è fine del giudizio senza esame merito.
  • Rigetto: la Corte ritiene infondati i motivi e rigetta il ricorso (ordinanza o sentenza). La sentenza di merito passa in giudicato tal quale. Al rigetto segue di norma la condanna alle spese a carico del ricorrente soccombente (onorari dell’Avvocatura dello Stato o del difensore avversario) + il raddoppio del contributo unificato se applicabile. Le spese vengono liquidate secondo i parametri del DM compensi. Talora la Cassazione può compensare le spese se la questione era particolarmente complessa o se c’erano ragioni per non addebitare interamente (ad esempio, contributore persona fisica in difficoltà, ecc.), ma in ambito tributario la compensazione è meno frequente che in passato (oggi si tende a seguire la soccombenza, anche perché l’Agenzia insiste nel chiedere le spese).
  • Accoglimento del ricorso: quando la Corte reputa fondato almeno uno dei motivi. Può essere un accoglimento totale o parziale (ad esempio accoglie due motivi su quattro e rigetta gli altri, ma se i due bastano a travolgere la sentenza integrale, l’effetto è comunque cassazione integrale).
    • In caso di accoglimento, la Corte pronuncia sentenza (o ordinanza) di cassazione della sentenza impugnata. Dopodiché:
      • Cassazione con rinvio: nella maggior parte dei casi, la Cassazione rinvia la causa ad un giudice di merito per un nuovo esame. Il rinvio di solito è alla stessa Corte di Giustizia Tributaria di grado che ha deciso, ma in diversa composizione (cioè un collegio di giudici nuovi). Esempio: “cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese”. Il giudice di rinvio dovrà conformarsi alle indicazioni di diritto della Cassazione sul punto accolto. Nel giudizio di rinvio, le parti possono ridepositare atti e doc, e si discute solo su ciò che è rimasto controverso dopo la cassazione (es. se Cassazione ha cassato per mancata ammissione di una prova, il rinvio servirà per rifare il giudizio ammettendo quella prova).
      • Cassazione senza rinvio: la Corte decide nel merito quando “non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto” (art. 384 c.p.c.). Accade, ad esempio, se il vizio era procedurale ma la causa può essere definita già (es: cassazione per difetto di giurisdizione -> la Cassazione dichiara nulla la sentenza e dice che la causa non doveva essere trattata; oppure cassazione perché la causa è estinta per prescrizione e non serve altro). In materia tributaria, un esempio: se la Cassazione accoglie il motivo di “decorso del termine decadenziale” e dagli atti risulta incontestato che l’avviso fu notificato oltre quel termine, la Corte può cassare senza rinvio perché la causa è definita (il ricorso originario andava accolto, l’atto annullato). Oppure se l’Agenzia ha notificato in modo invalido l’atto e la nullità è insanabile, la Cassazione può cassare senza rinvio “non essendoci più oggetto del contendere”.
      • Enunciazione del principio di diritto: se la Corte accoglie per questione di diritto controversa, spesso enuncia un principio di diritto nella motivazione (obbligatorio se le parti lo chiedono ai sensi dell’art. 384 c.1 c.p.c.). Ad esempio: “principio di diritto: in materia di XXX, il termine di notifica decorre da…”. Questo vincola il giudice di rinvio e orienta futuri casi simili.
    In caso di cassazione con rinvio, le spese del giudizio di Cassazione saranno poi regolate dal giudice di rinvio. La Cassazione spesso rimette le spese ad esso (“spese rimesse”). Se invece cassa senza rinvio, di solito provvede anche sulle spese dell’intero giudizio, potendo compensarle o porle a carico della parte soccombente definitiva.

Esecutività delle decisioni: La sentenza della Cassazione, una volta depositata, è immediatamente efficace. Se ad esempio ha cassato senza rinvio annullando il debito, il contribuente potrà chiederne l’attuazione (sgravio, rimborso se aveva pagato). Se ha rinviato, si deve attendere il nuovo giudizio. Se ha rigettato il ricorso del contribuente, la riscossione che eventualmente era sospesa riprende definitivamente.

Conciliazione e definizione in Cassazione: Una novità già accennata è che dal 2024 è possibile conciliare le controversie anche in Cassazione. Ciò è avvenuto col D.Lgs. 130/2022 e 220/2023 che hanno esteso l’istituto della conciliazione fuori udienza (art. 48 D.Lgs. 546/92, ora art. 96 T.U.) anche ai giudizi pendenti in Cassazione dal 2024 in poi. In pratica, le parti – contribuente e Agenzia – possono, finché la causa è pendente avanti alla Cassazione, raggiungere un accordo transattivo sul tributo (magari riducendo sanzioni, interessi) e chiudere la lite. Prima ciò non era consentito in Cassazione (si poteva conciliare solo in 1° o 2° grado). Con la modifica, invece, anche un giudizio in Cassazione instaurato dal 5 gennaio 2024 può concludersi con conciliazione. Tecnicamente avviene depositando un accordo (sottoscritto dalle parti e dai difensori) e la Corte dichiarerà l’estinzione per cessata materia del contendere. Questo può essere opportuno per il debitore se, ad esempio, la causa è incerta e vuole sfruttare norme di favore (riduzione sanzioni del 50%, ecc.). Dunque, durante la pendenza in Cassazione, le parti possono trovare un accordo (magari in sede di adesione extra-giudiziale tardiva) e farlo omologare. Va detto però che, essendo in Cassazione, l’Agenzia spesso è meno incline a conciliare se ha vinto nei due gradi precedenti – concilierà se c’è rischio di perdere su questione di principio. Ma almeno ora è legalmente fattibile, e qualche caso già nel 2024 si è concluso così, alleggerendo il ruolo della Cassazione.

Esempi di decisioni recenti:

  • Cass. ord. n. 14990/2025 – caso citato prima – la Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente in materia di nullità di notifica per irreperibilità, cassando la sentenza d’appello senza rinvio perché l’atto era originariamente nullo. In quel caso, il contribuente ha vinto e la pretesa fiscale è decaduta; la Corte ha enunciato chiaramente il principio: “la notifica di atti impositivi a contribuente irreperibile è nulla se manca la prova concreta delle ricerche”. Ha imposto così maggiore rigore all’Amministrazione nelle notifiche. Il vantaggio per il debitore è evidente: quell’accertamento è stato annullato definitivamente.
  • Cass. ord. n. 10611/2025 – come visto, ha cassato con rinvio per motivazione apparente. In quella causa, la CTR aveva scritto motivazione del tutto generica; la Cassazione l’ha annullata e rimandata ad altra sezione perché motivi in modo adeguato. Ciò non significa vittoria finale del contribuente, ma gli dà una nuova chance e intanto tempo ulteriore.
  • Cass. ord. n. 8019/2024 – esempio di rigetto: la Suprema Corte ha rigettato un ricorso del contribuente confermando che l’onere della prova restava a suo carico nonostante la nuova norma 2022 sul processo tributario, ritenendo invariati i principi consolidati. Il contribuente ha quindi perso definivamente.

In caso di rigetto o inammissibilità, il giudizio finisce lì. Non esistono appelli ulteriori. L’unico rimedio, molto residuale, è la revocazione delle sentenze di Cassazione (art. 391-bis c.p.c.), ammessa solo per errori materiali o di fatto evidenti, entro 30 giorni. Ma sono situazioni rarissime (es. Cassazione omette di esaminare un motivo per errore di percezione, ecc.). Quindi sostanzialmente la partita si chiude.

Cosa succede dopo per il debitore?: Se il contribuente ha vinto in Cassazione, ed è stata annullata la pretesa fiscale (per difetto di prova, per prescrizione ecc.), può tirare un sospiro di sollievo: quell’accertamento non ha più effetto. Se aveva pagato in pendenza di giudizio, ha diritto al rimborso. Se invece la Cassazione ha solo disposto un rinvio, dovrà affrontare il giudizio di rinvio con il suo avvocato (preparando magari memorie e prove, ma almeno avendo dalla sua un principio di diritto già riconosciuto). Se invece ha perso (ricorso respinto/inammissibile), la cartella o l’atto tornano definitivamente esecutivi: dovrà pagare il dovuto, con interessi maturati nel frattempo e le eventuali spese legali liquidate. La Cassazione, come visto, di solito liquida le spese con formula standard, ad esempio: “condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite, che liquida in € X.XXX per compensi, oltre spese prenotate a debito” (se Avvocatura Stato, spese prenotate a debito significa senza IVA e CPA perché pubblica).

Da ultimo, ricordiamo che nel 2023 era prevista una misura di definizione agevolata delle liti pendenti in Cassazione (Legge 197/2022, “tregua fiscale”) in cui si poteva chiudere pagando un importo ridotto se l’Agenzia aveva perso nei gradi precedenti. È possibile che in future normative si ripetano strumenti simili (condoni di liti pendenti). Il contribuente in Cassazione deve valutare anche queste opportunità quando compaiono: a volte può convenire pagare una percentuale (ad es. 5% se aveva vinto nei gradi scorsi) per chiudere subito, piuttosto che attendere l’esito incerto. Nel 2023, molte liti pendenti in Cassazione fino a certo anno sono state chiuse così.


Abbiamo dunque visto tutto il percorso: dall’atto introduttivo alla decisione finale, con tutte le cautele procedurali e strategie. Nel prossimo capitolo risponderemo in forma domande e risposte ad alcuni dubbi frequenti dei contribuenti e riassumeremo in tabelle i punti cruciali, per fissare bene i concetti esposti. Inoltre, proporremo alcune simulazioni pratiche di casi risolti in Cassazione, per capire come i principi generali trovano applicazione concreta.

Domande frequenti (FAQ) sul ricorso per Cassazione tributaria

Di seguito una serie di domande comuni che avvocati e contribuenti si pongono riguardo al ricorso in Cassazione in materia tributaria, con risposte sintetiche basate sulla normativa e la prassi aggiornate.

D: Chi può proporre ricorso per cassazione in una causa tributaria?
R: Possono ricorrere le parti soccombenti (totalmente o parzialmente) nella sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado. Tipicamente, il contribuente che ha perso in appello o l’Ente impositore (Agenzia delle Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione, Comune, etc.) se la sentenza gli è sfavorevole. È necessario però che tali parti siano state costituite nel giudizio di secondo grado. Dal punto di vista tecnico, deve sottoscrivere il ricorso un avvocato cassazionista abilitato; quindi, il contribuente non può farlo da solo (nemmeno se è un avvocato non cassazionista, o un commercialista non abilitato alle giurisdizioni superiori). La legittimazione spetta anche agli eredi o aventi causa del contribuente, se questi è deceduto dopo la sentenza, ed eventualmente al coobbligato solidale se intervenuto. L’Avvocatura dello Stato rappresenta gli enti pubblici (salvo eccezioni).

D: Entro quanto tempo va proposto il ricorso?
R: Entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado. Il termine decorre dalla data in cui la controparte notifica formalmente la sentenza; se nessuno notifica la sentenza, vale il termine “lungo” di 6 mesi dalla pubblicazione (deposito) della sentenza, prorogato di 46 giorni per la sospensione feriale (1–31 agosto) se applicabile. È un termine perentorio: notificare oltre questo termine rende il ricorso inammissibile. Ad esempio, se la CTR ha depositato la sentenza il 10 gennaio e l’Agenzia la notifica il 20 gennaio, il contribuente ha fino al 21 marzo per notificare ricorso. Se non fosse stata notificata, avrebbe avuto tempo fino al 10 luglio (6 mesi) più agosto sospeso fino al 25 agosto circa. Attenzione: in caso di sentenza non notificata, alcuni fanno riferimento al termine di un anno, ma in realtà è stato ridotto a 6 mesi per i processi iniziati dopo sept. 2012 (legge 134/2012). Nel dubbio, meglio stare sempre sul breve.

D: Come si notifica il ricorso e a chi?
R: Oggi prevalentemente in via telematica a mezzo PEC agli indirizzi risultanti dai pubblici registri (Reginde per i difensori, IPA per enti pubblici). In alternativa tramite ufficiale giudiziario in forma cartacea. Il ricorso va notificato a tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di appello (controparte e eventuali litisconsorti). Per l’Agenzia delle Entrate, la notifica va fatta presso l’Avvocatura dello Stato competente (es. Avvocatura Distrettuale di Milano per lombardia), e in via telematica all’indirizzo PEC di quella Avvocatura. Se la parte da notificare è un privato con difensore, si notifica al difensore costituito tramite PEC. La notifica è valida se si invia il ricorso in PDF firmato digitalmente con la relata di notifica sempre via PEC. È cruciale allegare la procura alle liti. Una notifica errata (es. indirizzo PEC sbagliato, mancato inserimento procura) può portare a dover rinotificare se c’è tempo o all’inammissibilità se sanabile e non sanata.

D: Cosa deve contenere il ricorso (in breve)?
R: Deve contenere: 1) l’indicazione delle parti; 2) della sentenza impugnata; 3) un’esposizione sommaria ma chiara dei fatti di causa; 4) i motivi del ricorso, ossia le specifiche censure nei termini dei motivi di cui all’art. 360 c.p.c., ciascuna con indicazione delle norme violate o dei vizi dedotti; 5) l’indicazione della procura (se non a margine); 6) la specifica indicazione di atti e documenti su cui si fondano i motivi (principio di autosufficienza). In pratica deve raccontare il necessario della vicenda e poi spiegare “dove ha sbagliato in diritto” la sentenza di appello. Ad esempio, un motivo potrà essere: “Violazione dell’art. 2697 c.c. – la CTR ha addossato al contribuente l’onere di provare la propria innocenza senza considerare che spettava all’ufficio provare il maggior reddito, in contrasto con Cass. n. 12502/2020”. Il ricorso va sottoscritto dal difensore cassazionista e dal ricorrente (se la firma del cliente è in procura separata). Tecnicamente, la legge (art. 366 c.p.c. come novellato) richiede anche chiarezza e sinteticità espositiva: conviene quindi fare un ricorso ben organizzato, con frasi comprensibili e non eccessivamente lungo.

D: Il ricorso per cassazione sospende la riscossione delle somme dovute?
R: No, non automaticamente. La proposizione del ricorso per Cassazione non sospende l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata. Dunque, se la sentenza di secondo grado ha dato ragione al Fisco (condannando il contribuente a pagare), quell’importo è in teoria riscuotibile subito dall’ente. Tuttavia, esiste la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, presentando apposita istanza alla stessa Corte tributaria che ha emesso la sentenza (entro il termine di proposizione del ricorso). L’istanza va motivata con il rischio di un danno grave e irreparabile e con elementi di fumus (ragioni del ricorso). Se accolta, la sentenza di appello viene sospesa in tutto o in parte fino alla decisione di Cassazione. La Corte può subordinare la sospensione a una garanzia (fideiussione). Se la Corte di merito nega la sospensione, non c’è un secondo grado su questo: in teoria, l’art. 62-bis (117 T.U.) non prevede appello cautelare alla Cassazione. In prassi qualcuno tenta istanza al Presidente della Cassazione ma raramente viene considerata. Quindi, salvo sospensione accordata, il contribuente può subire iscrizione a ruolo e cartella di pagamento anche se ha ricorso per Cassazione. Ci sono però limiti: ex art. 68 D.Lgs. 546/92, se il contribuente ha perso in secondo grado deve intanto versare tutto l’importo (imposta, interessi e il 50% delle sanzioni) – praticamente l’intero, salvo un piccolo sconto sulle sanzioni. Se invece avesse vinto in primo e perso in secondo, al momento dell’appello aveva versato 1/3, dopo la sentenza di appello dovrebbe versare i 2/3 residui (questo per dire che i meccanismi di pagamento fra gradi sono un po’ complicati ma, in sostanza, dopo la sentenza di appello sfavorevole il Fisco può esigere quasi tutto). Esempio: contribuente debitore di €100k, aveva sospeso dopo primo grado, perso in appello, ora deve pagare quei €100k (forse gli risparmiano parte interessi finché non passano 30 gg, ma è dovuto). Dunque è importante, se possibile, ottenere la sospensiva.

D: Si possono presentare nuove prove o documenti in Cassazione?
R: No. Il giudizio di Cassazione è di legittimità e si basa sul materiale fattuale già acquisito nei gradi di merito. Non è ammessa la produzione di nuovi documenti o prove, salvo eccezioni molto limitate. L’unica eccezione di rilievo introdotta di recente è quella della sentenza penale irrevocabile di assoluzione: se il contribuente nel frattempo ha ottenuto una sentenza penale passata in giudicato che riguarda gli stessi fatti tributari (ad es. assolto per dichiarazione infedele perché il fatto non sussiste), può depositarla in Cassazione fino a 15 giorni prima dell’udienza e la Corte dovrà tenerne conto (art. 119 T.U. giust. trib.). A parte ciò, e casi di documenti relativi alla nullità insanabile del procedimento, in Cassazione non si può depositare nulla di nuovo sul merito. Non è nemmeno consentito formulare nuove domande o nuove eccezioni non sollevate prima, tranne quelle rilevabili d’ufficio (es: questioni di giurisdizione, nullità non sanate). Ad esempio, se il contribuente non aveva eccepito in Commissione la nullità dell’atto per difetto di motivazione, non può farlo per la prima volta in Cassazione – sarebbe nuovo e quindi inammissibile. La Cassazione giudica sulla base di ciò che è stato discusso in appello. Fa eccezione pure la sopravvenuta incostituzionalità di una norma: se nelle more una norma applicata è stata dichiarata incostituzionale, lo puoi segnalare alla Cassazione (che ne tiene conto d’ufficio). Ma altrimenti nessun “fatto nuovo” può entrare.

D: La Cassazione può riesaminare i fatti o la valutazione delle prove?
R: In linea di massima no. La Cassazione è vincolata all’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito. Ciò significa che tutto quello che attiene a “quanto è attendibile quel documento o quel testimone, qual era l’effettivo reddito, ecc.”, la Cassazione non lo rivede. L’unica finestra è il motivo n.5 (omesso esame di un fatto decisivo) ma, come spiegato, non consente una rivalutazione globale delle prove, bensì solo sanziona omissioni macroscopiche su fatti specifici. Quindi la Cassazione non pesa di nuovo la credibilità di un teste o la sufficienza di una perizia: se la CTR l’ha fatto, non è compito del terzo grado. Al contrario, la Cassazione controlla se la legge è stata applicata correttamente su quei fatti accertati. Esempio: CTR dice “Tizio non ha provato l’esistenza di costi, quindi imponibile confermato”. Cassazione può controllare se CTR ha correttamente interpretato l’onere della prova, ma non può dire “però a noi quelle fatture paiono valide”. Anche eventuali errori di calcolo materiale (il giudice di merito sbaglia a sommare importi) in teoria non possono essere corretti dalla Cassazione, se non come errore revocatorio. In sostanza: la Cassazione non è un appello di terzo grado, ma un giudizio su errori giuridici. Questa è una distinzione essenziale da far capire al contribuente: se la sua lamentela è “il giudice non ha creduto alle mie prove ma aveva torto”, su questo difficilmente troverà ascolto in Cassazione, se non incasellandola come violazione di norma processuale o omissione decisiva.

D: Quanto tempo ci vuole per una decisione della Cassazione?
R: In media, attualmente, per le cause tributarie ci vogliono circa 1,5 – 2 anni dalla iscrizione a ruolo alla definizione in camera di consiglio. Questo grazie anche ai filtri di inammissibilità e allo smaltimento dell’arretrato che c’è stato. In passato potevano volerci 3-4 anni, ma con le riforme si è ridotto. Certo, se la causa viene inviata a pubblica udienza o alle Sezioni Unite, i tempi si allungano un po’. E durante l’emergenza Covid ci sono stati rallentamenti. Diciamo che un ricorso depositato oggi (2025) potrebbe essere deciso entro il 2026 in molti casi. La riforma del 2022 mira a ulteriore velocizzazione, incoraggiando conciliazioni e filtri. Quindi il contributore dovrebbe comunque preventivare almeno 2 anni. Se poi c’è un rinvio, va aggiunto il tempo del nuovo giudizio di merito. Quindi la parola “definitiva” purtroppo può slittare a diversi anni dall’inizio originario. Esempio: ricorso in CTP 2020, appello 2022, Cassazione 2025 con rinvio, nuovo appello 2026, Cassazione di rinvio (se qualcuno impugna di nuovo) 2028… Capita nei contenziosi annosi. Va detto però che la Cassazione tributaria ha smaltito molto arretrato (con filtri e definizioni agevolate) e quindi il flusso dovrebbe essere più rapido per i ricorsi nuovi.

D: Cosa succede se vinco in Cassazione?
R: Dipende dall’esito:

  • Se cassa con rinvio, la partita non è finita: la causa torna al giudice di merito indicato e lì bisognerà rifare il processo limitatamente ai punti indicati. Il contribuente avrà però il vantaggio di un principio di diritto fissato in suo favore (si spera) e di un nuovo giudice che dovrà applicarlo. Nel giudizio di rinvio, di norma, chi aveva appellato rimane in quella posizione. Dopo la sentenza di rinvio, se ancora una parte è scontenta può a sua volta ricorrere in Cassazione (seconda cassazione). Se la Cassazione di rinvio conferma il principio, difficilmente si arriverà a un’altra cassazione, ma è possibile.
  • Se cassa senza rinvio, la controversia è chiusa lì: la Cassazione magari decide nel merito annullando l’atto impugnato o dichiarando estinto il debito. In tal caso il contribuente ha vinto definitivamente. Potrà chiedere il rimborso di somme versate in eccedenza (certo, se c’è stato fermo amministrativo di rimborsi in attesa, quel rimborso dovrebbe sbloccarsi). Avrà anche diritto alle spese di tutti i gradi, solitamente: la Cassazione quando decide nel merito di solito liquida anche le spese di tutti i giudizi a carico della parte soccombente definitiva (l’Ufficio).
  • In ogni caso, la decisione della Cassazione va notificata se deve iniziare a decorre un termine per qualcos’altro, ma normalmente se si vince non occorre fare nulla se non attendere l’adempimento dell’amministrazione. Se questa non esegue (ad esempio, non cancella un’iscrizione a ruolo nonostante la cassazione favorevole), il contribuente può agire in autotutela o in giudizio di ottemperanza (quest’ultimo però si fa per sentenze di merito passate in giudicato, la Cassazione se cassa senza rinvio rende quella sentenza impugnata nulla e spesso decide essa; se c’è da ottemperare, in ipotesi, l’ottemperanza spetterebbe alle Commissioni come da art. 70 D.Lgs. 546).
  • Attenzione: “vincere” in Cassazione può significare anche solo ottenere un nuovo esame: esempio, cassazione per difetto di motivazione. In tal caso, il debito non si annulla automaticamente, ma bisognerà attendere il giudizio di rinvio. Nel frattempo, però, la sentenza di secondo grado sfavorevole è caducata, e se c’era una sospensione (o se la chiederai ora al giudice di rinvio) la riscossione resta congelata.

D: Cosa succede se perdo in Cassazione?
R: Se il ricorso viene rigettato o dichiarato inammissibile/improcedibile, la sentenza di secondo grado diviene definitiva e non più discutibile (passa in giudicato). Il contribuente dovrà pagare quanto dovuto (se non l’aveva già fatto). L’Agente della Riscossione procederà a riscuotere, eventualmente riprendendo le azioni sospese. Il contribuente sarà anche condannato a pagare le spese legali del giudizio di Cassazione all’ente vittorioso (in genere qualche migliaio di euro, variabile a seconda del valore della lite, ad es. per cause medio-grandi spesso €5.000–€10.000 oltre accessori). Inoltre, come detto, dovrà versare un ulteriore contributo unificato pari a quello pagato inizialmente (il cosiddetto “doppio contributo”), perché la sua impugnazione è stata respinta integralmente. Questa somma di solito viene richiesta con invito al pagamento dalla Agenzia delle Entrate (ufficio recupero crediti di giustizia). Ad esempio, se per la Cassazione aveva pagato € 1.500, dovrà pagare altri € 1.500 allo Stato. Non ci sono appelli: la Cassazione esaurisce i gradi. L’unico spiraglio sarebbe, in caso di errore di fatto clamoroso nella sentenza di Cassazione, proporre revocazione ex art. 391-bis c.p.c. entro 30 giorni, ma deve trattarsi di un errore percettivo evidente (casi rarissimi, es: la Cassazione ha dichiarato inammissibile perché pensava mancasse un documento che invece c’era). Altrimenti, nulla da fare. Se emergessero in futuro nuovi elementi o una pronuncia costituzionale favorevole, purtroppo non si può riaprire il giudicato (salvo casi estremi via revocazione straordinaria per incostituzionalità, molto complessi).
In sintesi, la sconfitta in Cassazione rende definitivo il debito tributario: il contribuente diventa debitore certo, esigibile e dovrà adempiere, altrimenti si procederà con esecuzioni forzate (fermi, ipoteche, pignoramenti) da parte del concessionario.

D: Posso definire la lite prima che la Cassazione decida?
R: Sì, esistono due possibilità principali:

  • La conciliazione giudiziale in Cassazione, novità dal 2023/2024. Significa che contribuente e Agenzia possono trovare un accordo transattivo sul tributo (in genere il contribuente paga un po’ meno di quanto dovuto, con sanzioni ridotte come da art. 48 D.Lgs. 546). Se raggiungono l’accordo, lo comunicano alla Corte che dichiarerà l’estinzione del giudizio per conciliazione. Questo è ora ammesso anche per cause in Cassazione instaurate dal 2024. Prima non lo era. Quindi se il contribuente preferisce chiudere e l’ufficio è disponibile, lo possono fare. Ad esempio, spesso dopo una certa giurisprudenza nuova l’Agenzia potrebbe preferire chiudere piuttosto che rischiare un principio negativo.
  • La definizione agevolata delle liti pendenti: è una misura straordinaria che il legislatore a volte offre (condono liti). Ad esempio, la Legge di bilancio 2023 ha permesso di definire pagando percentuali dal 5% al 100% a seconda degli esiti nei gradi precedenti. Se in futuro usciranno normative simili e la lite è pendente in Cassazione, il contribuente può aderire e chiudere pagando quanto stabilito. In genere queste misure richiedono domanda entro una data e sospendono i processi fino a esito. Non sono strutturali ma ogni tanto vengono riproposte. Al luglio 2025, non ci sono condoni aperti (quello del 2023 si è chiuso) ma potrebbe essercene in futuro. Bisogna stare attenti alle leggi di bilancio ecc.
  • Infine, c’è sempre la possibilità di desistere dal ricorso, cioè rinunciare, se magari il contribuente decide di accettare la sconfitta (perché nel frattempo ha transato col fisco in altra sede, o vuole evitare spese ulteriori). La rinuncia al ricorso va notificata alle controparti e comporta di norma che la Cassazione dichiari l’estinzione con spese a carico del rinunciante (salvo accordi). Non riduce il debito però, semplicemente non si pronuncia la Cassazione.

D: Quali costi comporta il ricorso in Cassazione?
R: Bisogna considerare:

  • Il contributo unificato tributario (CUT) al momento del deposito: varia in base al valore della controversia. Per liti oltre €200.000 è €1.500; tra €75k e 200k è €500; tra €25k e 75k è €250; tra €5k e 25k è €120; tra €2.5k e 5k è €60; sotto €2.5k è €30. Se il contribuente non indica il valore, si paga forfettariamente € 3.372 in Cassazione. Quindi conviene indicarlo. Il contributo va versato e la ricevuta allegata al ricorso. Se uno ha il gratuito patrocinio ammesso, è esente dal contributo (ma rarissimo nei tributi, perché solo persone fisiche sotto circa €12.000 reddito annuo possono chiedere patrocinio a spese dello Stato).
  • Il compenso dell’avvocato cassazionista: questo varia dal professionista e dalla complessità. Mediamente per un ricorso tributario i compensi possono andare (indicativamente) da €2.000 fino a €10.000 o più, a seconda del valore della causa e dell’esperienza dell’avvocato. Secondo i parametri forensi, per una causa di valore elevato la fase di Cassazione può valere diverse migliaia di euro. Spesso gli avvocati fanno preventivi forfettari. Va anche considerato che se il contribuente vince, può chiedere la rifusione delle spese legali dall’Agenzia, ma quelle liquidate di solito sono inferiori al realmente pagato (lo Stato tende a liquidare sul minimo tariffario). Alcuni avvocati potrebbero concordare un onorario parte fissa e parte success fee legata all’esito.
  • Altre spese vive: di solito poche in Cassazione. Marche da bollo per copie conformi se servono (ma con PCT ormai no), costi di notifica via UNEP (qualche decina di euro) se non PEC, eventuale cauzione se si deve prestare garanzia per sospensione (ma quella è fideiussione bancaria o assicurativa con costo percentuale, se richiesta).
  • Spese di soccombenza: se si perde, come detto, oltre al doppio contributo, il contribuente di norma verrà condannato a pagare le spese all’ente. Quindi un’ulteriore esborso. Es: su una lite da €100k, la Cassazione potrebbe liquidare €5k di spese a favore dell’Agenzia. Quindi il contribuente dovrebbe pagarle all’Agenzia (che solitamente può recuperarle con iscrizione a ruolo anch’esse).

In sintesi, il ricorso in Cassazione non è economicamente leggerissimo: c’è da mettere in conto contributo, onorario cassazionista e eventuali costi collaterali. Per questo, è consigliabile ricorrere in Cassazione solo se l’importo in gioco e/o la questione di principio lo giustifica. Per controversie di modestissimo valore potrebbe non valere la pena, a meno che non si tratti di questione destinata a ripetersi (perché magari stabilire un principio evita future pretese). Nel valutare costi/benefici, il contribuente con il suo avvocato deve tener conto di: chance di vittoria, importo del debito, possibili spese aggiuntive.

D: In Cassazione ci sarà un’udienza in cui devo comparire di persona?
R: No, il contribuente non deve comparire personalmente e di norma non si tiene un’udienza “pubblica” se non in rari casi. Come spiegato, la maggior parte dei ricorsi è decisa in camera di consiglio senza presenza delle parti. Anche quando c’è la discussione, a parlare è solo l’avvocato. Il contribuente non ha necessità di presenziare e infatti in Cassazione non c’è testimonianza o interrogatorio di parte. Quindi niente “tribunale” in senso tradizionale: è tutto in diritto. Il suo avvocato eventualmente potrà fare un intervento orale se ammesso, ma spesso non è neanche richiesto. Quindi il contribuente può tranquillamente seguire a distanza, gli verrà comunicato l’esito. Gli atti fondamentali sono scritti. Ci si collega all’idea che la Cassazione decide su fascicolo.

D: Se la Cassazione accoglie il ricorso, la mia vittoria è definitiva?
R: Dipende se decide nel merito o rinvia. Come detto, se la Cassazione accoglie e decide nel merito (es. annulla l’atto), sì, hai vittoria definitiva. Ma la Cassazione potrebbe accogliere e rinviare a nuovo giudizio: in tal caso avrai vinto questa battaglia, ma la guerra non è finita, dovrai convincere anche il giudice di rinvio. Certo parti da una posizione più favorevole perché magari la Cassazione ha riconosciuto un tuo assunto di diritto, però devi completare l’opera. Diciamo che statisticamente, dopo una cassazione favorevole, spesso le parti trovano un accordo o comunque il giudice di rinvio tende ad allinearsi – ma non è garantito. C’è anche il paradosso che il giudice di rinvio (specie se di primo grado) potrebbe decidere di nuovo in modo sfavorevole su altri aspetti non toccati dalla Cassazione, e si potrebbe tornare su. È raro ma succede. Quindi “definitivo” è solo se la Cassazione chiude la causa.

D: Quali sono gli errori più comuni per cui i ricorsi per Cassazione dei contribuenti vengono dichiarati inammissibili?
R: Dai precedenti, gli errori frequenti sono:

  • Ricorso che non spiega i fatti: omissione dell’esposizione sommaria dei fatti, o esposizione confusa. La Corte spesso lamenta ricorsi che non permettono di capire di cosa si tratti.
  • Mancanza di specificità nei motivi: ad esempio motivi generici che non indicano la norma violata o la parte della sentenza impugnata. Oppure motivi che richiedono di sfogliare gli atti per capire di cosa parlano (violazione art. 366, n. 6 c.p.c.). Molti ricorsi vengono cassati perché non riportano il contenuto di documenti su cui si fondano.
  • Confusione tra fatto e diritto: motivi che in realtà chiedono una rivalutazione del fatto camuffandola da violazione di legge. La Cassazione li rileva e li bolla come inammissibili perché sotto il n.3 si cerca di rivedere il merito.
  • Doppia conforme e vizio motivazione: ricorsi che lamentano “motivazione insufficiente” ignorando la stretta soglia del n.5. La Cassazione risponde che non è più motivo ammesso se non come omesso esame, e spesso dichiara inammissibile la doglianza perché i fatti erano valutati nei due gradi conformemente.
  • Violazione del principio di autosufficienza: ricorso che dice “la CTR ha sbagliato a ritenere tardivo il ricorso introduttivo” ma non riproduce le date di notifica e deposito esatte – come può la Cassazione valutarlo? Infatti lo dichiarerà inammissibile. Altro esempio, come visto: ricorso che si lamenta di un avviso di accertamento nullo per vizio X ma non ne riporta le parti essenziali (non basta allegarlo, bisogna anche citarlo in ricorso).
  • Formulazione di motivi multipli mescolati: a volte se un motivo accorpa più censure eterogenee (es. “violazione di legge e vizio motivazione insieme” senza distinzione) la Corte può dire che è inammissibile per incertezza.
  • Errori formali: come dimenticare la firma digitale (ci sono ricorsi scartati per mancata sottoscrizione), o tardivo deposito oltre 20 gg, o notifica a soggetto sbagliato. Questi errori procedurali tagliano la testa al ricorso a prescindere dal merito.

In conclusione, circa la metà dei ricorsi dei contribuenti in Cassazione non supera il vaglio di ammissibilità/infondatezza, spesso per i motivi elencati. Per questo sottolineiamo l’importanza di un avvocato specializzato: per evitare trappole e presentare il ricorso nel modo corretto.

Passiamo ora a qualche simulazione pratica per vedere in concreto come un caso si sviluppa e come la Cassazione può risolverlo.

Esempi pratici e simulazioni di casi risolti in Cassazione

Esempio 1: Notifica fiscale nulla per irreperibilità – Vittoria del contribuente in Cassazione
Scenario: Il Sig. Rossi riceve nel 2018 una cartella esattoriale da €50.000 riferita a un vecchio avviso di accertamento IRPEF 2006 che però egli non ha mai visto prima. Indagando, scopre che l’Agenzia delle Entrate afferma di avergli notificato quell’accertamento nel 2012 presso un indirizzo dove Rossi non abitava più, dichiarandolo “irreperibile”. In primo grado la Commissione Tributaria annulla la cartella ritenendo la notifica dell’accertamento nulla per mancata prova di ricerche effettive del contribuente. In appello però la CTR ribalta la decisione, validando la notifica perché “il messo notificatore ha attestato l’irreperibilità relativa del contribuente”. Rossi a questo punto ricorre in Cassazione, sostenendo che la CTR ha violato le norme sulla notificazione (artt. 140 e 60 DPR 600/73) e il suo diritto di difesa, poiché non basta che il messo abbia scritto “destinatario sconosciuto” senza ulteriori ricerche.

Esito: La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di Rossi. Con l’ordinanza n. 14990 del 4 giugno 2025, la Suprema Corte afferma il principio secondo cui la notifica di un atto impositivo a soggetto irreperibile è nulla se il notificante non prova di aver effettuato una seria e dettagliata attività di ricerca del destinatario. Nel caso specifico, rileva che il messo si era limitato a indicare “sconosciuto all’indirizzo” ma senza fornire prova di aver verificato presso l’anagrafe o fatto sopralluoghi ulteriori. La Cassazione considera ciò insufficiente e cassa senza rinvio la sentenza d’appello, in quanto l’accertamento originario deve considerarsi nullo e mai divenuto definitivo. Conseguenza pratica: la cartella da €50.000 è priva di fondamento e viene annullata; il Sig. Rossi non deve pagare nulla. Questa decisione, fondata su vari precedenti, rafforza la tutela del contribuente notificando: l’Amministrazione deve dare prova concreta delle ricerche, non bastano formule generiche. Dal punto di vista del debitore, aver insistito su questo vizio procedurale (spesso sottovalutato) gli ha permesso di far cadere l’intero debito. La Corte ha inoltre condannato l’Agenzia alle spese e, poiché il ricorso è stato accolto in toto, Rossi non paga alcun doppio contributo. (Fonti: ordinanza Cass. 14990/2025)

Esempio 2: Vizio di motivazione “apparente” – Cassazione con rinvio
Scenario: La S.r.l. Alfa viene accertata per IVA e IRES su vendite non fatturate. La CTP rigetta il ricorso; in appello, la CTR conferma la ripresa fiscale ma nella motivazione si limita a scrivere frasi generiche del tipo: “dall’esame degli atti emerge che l’operato dell’Ufficio è corretto; la società non ha fornito elementi tali da superare le presunzioni a suo carico.” Nulla più, senza analizzare i singoli argomenti della contribuente. La società Alfa ricorre in Cassazione lamentando motivazione apparente (art. 360 n.4) e omesso esame di fatti decisivi (n.5), perché la sentenza non spiega quali atti ha considerato né confuta puntualmente la difesa (es. non menziona affatto alcune fatture presentate).

Esito: La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10611 del 23 aprile 2025, accoglie il secondo motivo della società dichiarando la nullità della sentenza per difetto di motivazione. Rileva che la CTR si è espressa con formule talmente generiche da non rendere percepibile il percorso logico – siamo nell’ambito del “minimo costituzionale” violato. La Cassazione richiama il principio per cui una motivazione meramente apparente equivale a mancanza di motivazione e integra la violazione dell’art. 132 c.p.c.. Ne consegue la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, affinché esamini di nuovo il merito fornendo adeguata motivazione. Nella motivazione l’ordinanza spiega che dal 2012 il controllo sulla motivazione è limitato, ma qui si ricade proprio nei casi estremi: la sentenza impugnata non ha esplicitato alcuna ragione concreta, configurando vizio di nullità. La Corte, accogliendo il ricorso su questo punto, non entra nel merito se la ripresa sia giusta o no; si limita a annullare la sentenza e demandare un nuovo giudizio. Per la società Alfa, questo significa avere una seconda chance: al rinvio potrà far valere di nuovo le proprie prove e difese, sperando che un nuovo collegio le dia ragione. Intanto, l’esecutività dell’accertamento resta sospesa (se aveva sospeso in appello, quell’ordinanza di sospensione in genere proroga effetto fino alla sentenza definitiva). Le spese sono rimesse al giudice di rinvio. Dal punto di vista strategico, Alfa ha puntato non tanto a vincere sul merito in Cassazione, ma a evidenziare un vizio processuale che le consentisse di riaprire la partita. (Fonti: Cass. ord. 10611/2025)

Esempio 3: Violazione di legge sull’onere della prova – Rigetto del ricorso del contribuente
Scenario: Il Sig. Bianchi viene accertato per redditi non dichiarati. In giudizio sostiene che quei redditi erano esenti (indennità assicurativa) e asserisce che spettava all’Ufficio provare il contrario. La CTR però conferma l’accertamento ritenendo che Bianchi non ha provato l’esenzione con documenti sufficienti. Bianchi ricorre in Cassazione deducendo “violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7 co.5-bis D.Lgs. 546/92 sull’onere della prova, perché la CTR avrebbe preteso dal contribuente la prova negativa dell’assenza di reddito, in contrasto con il principio che è l’Erario a dover provare i fatti costitutivi della pretesa”.

Esito: La Cassazione rigetta il ricorso di Bianchi, ritenendo che la CTR ha correttamente applicato i principi sull’onere probatorio. In particolare, evidenzia che in materia tributaria, se l’Amministrazione finanziaria ha accertato sulla base di presunzioni qualificate, spetta al contribuente fornire elementi contrari (principio consolidato che la nuova norma del 2022 – art. 7 co.5-bis – non ha modificato sostanzialmente). La Corte richiama una recente ordinanza (Cass. n. 2746/2024) che aveva chiarito che la riforma del processo tributario non ha alterato il criterio tradizionale di riparto dell’onere della prova. Nel caso di Bianchi, la Cassazione valuta che la CTR non gli ha addossato un onere impossibile, ma semplicemente ha ritenuto che egli non avesse provato che quei proventi erano esenti (cosa che invece era sua onere documentare). Dunque non c’è stata violazione di legge. Il ricorso viene rigettato, con condanna di Bianchi alle spese e obbligo di versare il doppio contributo unificato. In sintesi, qui il contribuente ha tentato di far valere una questione di diritto (onere della prova), ma la Corte ha giudicato infondata la doglianza, ribadendo un orientamento a favore del Fisco. Le strategie difensive generiche – ad esempio sostenere che “non toccava a me provare” – possono fallire se la giurisprudenza è contraria. Occorreva magari contestare anche il merito (ma in Cassazione non possibile) o fornire la prova. (Fonti: Cass. Sez. V ord. 2746/2024 cit. in dottrina)

Esempio 4: Direttamente in Cassazione su questione di diritto – “Ricorso per saltum” conciliativo
Scenario: Una piccola SRL riceve una sentenza sfavorevole in primo grado su una complessa questione interpretativa di IVA agevolata. Entrambe le parti (società e Ufficio) convengono che sarebbe utile far decidere subito la Cassazione perché il punto di diritto è controverso e riguarda anche molti altri casi. Grazie alla norma introdotta dalla L.130/2022 (art. 62 co.2-bis D.Lgs. 546, ora art. 116 co.3 T.U.), società e Agenzia si accordano per saltare l’appello e andare direttamente in Cassazione sul punto di diritto (aliquota IVA corretta da applicare). Sottoscrivono quindi un accordo (visto dal difensore dell’Ufficio sul ricorso) e la società propone ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, limitatamente al motivo di violazione di legge sull’aliquota IVA (motivo ex art.360 n.3 c.p.c.).

Esito: La Corte di Cassazione dichiara ammissibile il ricorso per saltum (verificando che c’è l’accordo espresso di tutte le parti) e decide nel merito la questione giuridica. Diciamo che in questo caso la Corte dà ragione al contribuente, stabilendo con sentenza che l’aliquota agevolata spetta (principio di diritto). La sentenza di primo grado viene quindi cassata senza rinvio, essendoci solo quel punto di diritto da definire. Questo consente alla società di vincere la causa in tempi più rapidi di quanto avrebbe impiegato a fare appello e poi Cassazione. Allo stesso tempo, l’Agenzia ottiene un chiarimento giurisprudenziale autorevole su una materia dubbia. Naturalmente, questo strumento è utilizzabile solo su questioni puramente di diritto (n.3) e col consenso di controparte, perciò non sarà frequentissimo; ma dove applicato può accelerare la definizione delle liti. (Fonti: art. 116 co.3 T.U. giust. trib.)

Esempio 5: Conciliazione in Cassazione di una lite fiscale
Scenario: Un imprenditore ha una causa pendente in Cassazione relativa a un avviso di accertamento da €200.000 di imponibile, in cui ha perso nei primi due gradi. Ha però avviato interlocuzioni con l’ufficio tributario per risolvere bonariamente. Nel 2025, le parti trovano un accordo: l’imprenditore pagherà l’imposta senza sanzioni (risparmiando circa €40.000 di sanzioni), e l’Agenzia accetta di chiudere la lite. Formalizzano quindi una proposta di conciliazione fuori udienza indicando le somme concordate (art. 48 D.Lgs. 546). Depositano tale accordo in Cassazione.

Esito: La Corte di Cassazione, preso atto dell’accordo transattivo sopraggiunto, emette un’ordinanza di estinzione del giudizio per intervenuta conciliazione. Stabilisce che le spese di lite rimangono a carico delle parti come da accordi (di solito in conciliazione ciascuno le sue, o come pattuito). Il contribuente paga entro i termini le somme concordate e la controversia fiscale si chiude definitivamente, senza attendere la pronuncia sul merito. Questo caso mostra la nuova opportunità di definire una lite anche tardivamente in Cassazione: prima il contribuente sarebbe stato costretto ad aspettare il verdetto magari negativo, ora invece ha potuto negoziare e ridurre il danno economico. Per l’Agenzia è vantaggioso incassare subito senza rischi di perdere su una questione incerta. Va ricordato che tale conciliazione in Cassazione è consentita per ricorsi notificati dal 2024 in avanti, quindi è una novità recente.


Questi esempi pratici illustrano come il ricorso per cassazione possa risolvere in modo diverso le controversie: a volte con un nulla di fatto per errori formali (notifica nulla), a volte riaprendo il merito (vizio di motivazione), a volte consolidando l’esito sfavorevole (rigetto per infondatezza), altre con strumenti di deflazione (ricorso per saltum, conciliazione). Dal punto di vista del contribuente-debitore, emerge la necessità di:

  • Sfruttare tutti i vizi procedurali e formali che possono portare all’annullamento dell’atto (spesso sono più efficaci della discussione sul merito fiscale in Cassazione).
  • Presentare motivi di ricorso solidi e specifici, supportati da giurisprudenza, specie se si entra nel merito del diritto sostanziale (come l’esempio sull’onere della prova).
  • Valutare sempre l’opportunità di accordi transattivi: se la Cassazione è un’incognita e c’è margine di trattativa, può convenire chiudere prima, beneficiando magari di riduzioni sanzionatorie.
  • Tenere conto delle conseguenze economiche: se il caso appare sfavorevole (come Bianchi), continuare fino in fondo può significare aggravare i costi (spese e interessi), dunque a volte il debitore potrebbe optare per definizioni agevolate (quando disponibili) o pagamento e fine delle liti. In altri termini, fare un’analisi costi/benefici col proprio legale.

Con questa panoramica finale, concludiamo la guida. Abbiamo attraversato l’intero percorso del ricorso per cassazione tributaria, dallo scenario normativo fino alle strategie e agli esempi concreti. Un debitore informato su questi aspetti potrà affrontare meglio l’ultima fase del contenzioso tributario, conscio sia delle potenzialità sia dei rischi del giudizio di Cassazione.

Fonti normative e giurisprudenziali (luglio 2025)

  • Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Processo Tributario), artt. 62, 62-bis, 63 (come modificati da L.130/2022) – ora confluiti negli artt. 116, 117, 118 del D.Lgs. 175/2024 (Testo Unico Giustizia Tributaria). Norme che disciplinano l’ammissibilità del ricorso per cassazione, la sospensione dell’esecutorietà e il giudizio di rinvio.
  • Codice di Procedura Civile, artt. 360, 365-369, 375-380, 384 – disposizioni generali sul giudizio di Cassazione civile (motivi di ricorso, requisiti formali, termini e procedura camerale, decisione e principio di diritto).
  • Decreto Legislativo 14 novembre 2024, n. 175, artt. 116-119 – Testo Unico della Giustizia Tributaria entrato in vigore il 29/11/2024, che riprende le norme sul ricorso per cassazione, inclusa l’importante art. 119 sull’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario (assoluzioni con effetto di giudicato nei gradi tributari).
  • Legge 31 agosto 2022, n. 130 e Decreti Legislativi 2023 nn. 219 e 220 – Riforma della giustizia tributaria e delega fiscale. In particolare:
    • L.130/2022 ha introdotto la possibilità di ricorso per saltum in Cassazione col consenso delle parti (art. 62 c.2-bis D.Lgs.546, ora art. 116 c.3 T.U.).
    • D.Lgs. 130/2022 ha novellato l’art. 7 D.Lgs.546 introducendo il comma 5-bis (onere della prova) ribadito da Cassazione 2024.
    • D.Lgs. 220/2023 ha esteso la conciliazione fuori udienza ai giudizi in Cassazione pendenti dal 2024.
  • Cass., Sez. V, ord. 14990 del 4 giugno 2025: ha statuito che la notifica di atti impositivi a contribuente irreperibile è nulla se manca prova di ricerche concrete; accolto ricorso contribuente.
  • Cass., Sez. V, ord. 10611 del 23 aprile 2025: ha affermato che l’inesistenza o apparenza della motivazione comporta nullità della sentenza ex art.132 c.p.c., essendo violato il “minimo costituzionale” di motivazione; cassato con rinvio.
  • Cass., Sez. V, ord. 13358 del 20 maggio 2025: (richiamata) – ha dichiarato inammissibile un motivo di ricorso per difetto di autosufficienza, perché la società ricorrente non aveva riportato in ricorso il contenuto dell’atto impositivo oggetto di censura.
  • Cass., Sez. V, ord. 2746 del 31 gennaio 2024: (cit. in dottrina) – ha chiarito che la riforma 2022 sul processo tributario non ha modificato il riparto dell’onere della prova consolidato, che rimane a carico dell’Amministrazione per i fatti costitutivi e del contribuente per esimenti e rimborsi.
  • Cass., Sez. Unite, ord. 7600 del 16 marzo 2023: (richiamata) – principio di diritto: gli atti del processo (ricorso per cassazione incluso) devono rispettare i doveri di chiarezza e sinteticità; la violazione di tali doveri può portare a inammissibilità solo se pregiudica l’intelligibilità delle censure, violando i requisiti di cui ai nn.3 e 4 art.366 c.p.c..
  • Cass., Sez. Unite, sent. 8053 e 8054 del 2014: (richiamate) – hanno ridefinito l’ambito del vizio di motivazione dopo la riforma 2012: sindacabile solo l’omesso esame di fatto decisivo, restando irrilevante il mero difetto di sufficienza logica.
  • Cass., Sez. V, ord. 26995 del 17 ottobre 2024: (Eius.it) – ha confermato l’orientamento che il raddoppio del contributo unificato ex art.13 c.1-quater DPR 115/2002 non si applica nei giudizi di merito tributari ma si applica ai giudizi di Cassazione tributari, essendo questi parte del processo civile.
  • Cass., Sez. V, sent. 27243 del 15 settembre 2022: (cit. in 26995/2024) – uno dei precedenti che confermano l’applicabilità del raddoppio contributo al giudizio di legittimità tributario.
  • Corte Costituzionale, sent. 18/2018: (cit. in 26995/2024) – ha dichiarato inammissibile una questione su art.13 c.1-quater DPR 115, chiarendo che tale norma si riferisce ai processi civili, mentre il contributo nei processi tributari è disciplinato dal comma 6-quater (dunque implicitamente confermando la separazione dei regimi).
  • Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 13: (Testo Unico spese di giustizia) – disciplina il contributo unificato; in particolare:
    • comma 1-bis: importi contributo per scaglioni di valore nelle giurisdizioni (tributario: v. comma 6-quater introdotto dal DL 98/2011);
    • comma 1-quater: obbligo di versare un ulteriore importo pari al contributo in caso di impugnazione respinta o inammissibile.

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