Avvocato Per Difesa Procedimenti Tributi Doganali: Cosa Fa

Hai ricevuto un avviso o un accertamento per tributi doganali e vuoi sapere come può aiutarti un avvocato specializzato?
I procedimenti in materia di tributi doganali riguardano imposte, dazi e sanzioni connesse all’importazione o esportazione di merci. Gli errori nella classificazione doganale, nell’origine delle merci o nel calcolo dei dazi possono comportare richieste di pagamento elevate e contestazioni complesse. Un avvocato esperto in questo settore ti assiste sia nella fase preventiva, per evitare errori, sia in quella difensiva, per impugnare gli atti dell’Agenzia delle Dogane.

Cosa fa un avvocato per la difesa in procedimenti di tributi doganali
– Analizza gli atti di accertamento e verifica la correttezza della classificazione merceologica e dell’origine delle merci
– Controlla l’applicazione delle tariffe doganali e degli accordi internazionali di libero scambio
– Assiste nella gestione delle contestazioni per sottovalutazione o sovravalutazione delle merci
– Difende il contribuente nei procedimenti sanzionatori in materia di tributi doganali
– Predispone ricorsi contro avvisi di accertamento, rettifiche di dichiarazione doganale e atti di recupero
– Supporta le imprese nella compliance doganale per prevenire futuri contenziosi

In quali casi rivolgersi a un avvocato specializzato in tributi doganali
– Se hai ricevuto un avviso di accertamento per dazi o IVA all’importazione
– Se ti contestano l’errata classificazione della merce nella Tariffa Doganale Comunitaria (TARIC)
– Se ti addebitano sanzioni per false dichiarazioni di origine
– Se il valore dichiarato delle merci è stato rettificato dall’autorità doganale
– Se vuoi prevenire rischi fiscali legati alle operazioni di import-export

Come può aiutarti concretamente
– Raccoglie e presenta documentazione tecnica e commerciale a supporto della tua difesa
– Contesta errori procedurali o di valutazione dell’autorità doganale
– Partecipa al contraddittorio con l’Agenzia delle Dogane per evitare il contenzioso
– Presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria o, nei casi previsti, al TAR
– Ti assiste nelle fasi successive, compresa la sospensione della riscossione e la rateizzazione dei pagamenti

Attenzione: le contestazioni doganali richiedono competenze tecniche specifiche e conoscenza delle normative nazionali, europee e internazionali. Un errore nella difesa o la mancata impugnazione nei termini può rendere definitiva la pretesa dell’autorità doganale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in tributi doganali, contenzioso tributario e diritto doganale internazionale – ti spiega cosa fa un professionista specializzato e come può aiutarti a difenderti in caso di procedimenti doganali.

Hai ricevuto una contestazione doganale e vuoi difenderti?
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Introduzione

I tributi doganali sono i dazi all’importazione e gli altri “diritti di confine” dovuti all’atto dell’ingresso o uscita delle merci dal territorio doganale. In Italia tali tributi comprendono non solo i dazi UE, ma anche l’IVA all’importazione e le accise, che la normativa nazionale considera ormai parte integrante dei diritti di confine. Il corretto adempimento di questi oneri è essenziale per imprese e privati che operano con l’estero, poiché omissioni o irregolarità possono generare obbligazioni doganali (differenze da pagare) e pesanti sanzioni amministrative o penali.

Un avvocato specializzato in difesa nei procedimenti per tributi doganali assiste il debitore doganale – tipicamente l’importatore o il dichiarante in dogana – in tutte le fasi del contenzioso con l’autorità doganale (in Italia l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ADM). Dal momento dell’avviso di accertamento o di una contestazione, il legale tutela i diritti del contribuente, assicurando il rispetto delle procedure (come il diritto al contraddittorio) e impugnando gli atti impositivi illegittimi. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un approfondimento avanzato sulla difesa nei procedimenti tributari doganali, con riferimento alla normativa italiana vigente, agli strumenti deflattivi del contenzioso (come il ravvedimento operoso), e alle più recenti sentenze di legittimità. Il tutto è presentato in linguaggio giuridico ma con intento divulgativo, con domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche dal punto di vista del debitore (contribuente).

In sintesi, un avvocato tributarista esperto in materia doganale svolge un ruolo cruciale per chi si trova destinatario di richieste di dazi, IVA o sanzioni da parte della Dogana: egli analizza la legittimità dell’operato dell’ADM, individua errori o violazioni di legge nell’accertamento, propone eventuali soluzioni transattive o deflative e, se necessario, prepara ricorsi davanti alle Corti di Giustizia Tributaria competenti (già Commissioni Tributarie). Nei paragrafi seguenti verranno esaminate dettagliatamente tutte le fasi del procedimento (amministrativa e giudiziale), i poteri dell’autorità doganale e i diritti del contribuente, nonché gli strumenti di difesa a disposizione di quest’ultimo per ottenere l’annullamento, la riduzione o la definizione agevolata delle pretese doganali.

I tributi doganali: dazi, IVA all’importazione e altre imposizioni

Per comprendere l’ambito di intervento dell’avvocato nei procedimenti doganali, è utile chiarire cosa rientra nei tributi doganali. Tradizionalmente, i tributi riscossi in Dogana erano i dazi doganali su importazioni ed esportazioni, ossia imposte stabilite dal diritto dell’Unione Europea (Tariffa Doganale Comune) applicate al valore o alla quantità delle merci. A fianco dei dazi, l’ordinamento considera tributi doganali anche talune imposte interne applicate in dogana, in primis l’IVA sull’importazione e talvolta le accise su specifici prodotti (ad esempio alcolici, carburanti) all’atto dell’introduzione nel territorio nazionale. Queste componenti (dazio, IVA, accise) vengono liquidate dall’Ufficio delle Dogane al momento dello sdoganamento delle merci, come risultante nella bolletta doganale.

Dal 1° gennaio 2020 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è anche formalmente incaricata della riscossione dell’IVA import, considerata a tutti gli effetti un tributo di confine. La recente riforma del diritto doganale nazionale (D.Lgs. 4 ottobre 2024 n.141, di attuazione del Codice Doganale dell’Unione) ha infatti definito espressamente che tra i “diritti doganali” rientrano le altre imposizioni all’importazione, inclusa l’IVA e ogni altra imposta dovuta in dogana. Ciò ha rilevanza anche sul piano sanzionatorio: come vedremo, la qualifica dell’IVA import come diritto di confine incide sul calcolo delle soglie e sulla natura delle sanzioni applicabili.

Normativa di riferimento: a livello unionale, il Codice Doganale dell’Unione – Regolamento (UE) n.952/2013 (CDU) – disciplina la materia daziaria (valore in dogana, origine, classificazione, insorgenza dell’obbligazione doganale, ecc.), mentre l’IVA e le accise sono regolate da norme interne armonizzate con direttive UE. L’Italia, con la riforma del 2024, ha abrogato il vetusto Testo Unico delle Leggi Doganali (D.P.R. 43/1973, TULD) e ha introdotto disposizioni nazionali complementari al CDU (D.Lgs. 141/2024) per quanto attiene a procedimenti, sanzioni e aspetti non coperti dal regolamento UE. In parallelo si applicano le norme generali sui tributi: ad esempio, il D.Lgs. 472/1997 (sanzioni amministrative tributarie) e la Legge 212/2000 Statuto dei diritti del contribuente (come modificata nel 2023, v. infra). Inoltre, il D.Lgs. 546/1992 (come riformato dalle leggi n.130/2022 e n.111/2023) disciplina il processo tributario applicabile anche alle controversie doganali.

In pratica, quando un operatore economico introduce merci importate, nasce l’obbligo di dichiarare correttamente tutti gli elementi rilevanti (classificazione merceologica, origine preferenziale, valore di transazione, ecc.) affinché l’Ufficio doganale liquidi i tributi dovuti. Errori o violazioni – ad esempio dichiarare un valore inferiore al reale, un’origine diversa per ottenere dazi ridotti, o omettere di dichiarare merci – comportano un successivo accertamento doganale con richiesta di pagamento dei maggiori tributi evasi, interessi di mora e l’irrogazione di sanzioni amministrative (o penali nei casi più gravi). Vediamo ora quali sono le violazioni doganali comuni e le relative conseguenze, prima di addentrarci nelle fasi della difesa.

Violazioni doganali comuni e conseguenze per il debitore

L’obbligazione doganale (cioè il debito verso l’erario per dazi & co.) sorge tipicamente quando le merci sono immesse in libera pratica senza il pagamento completo dei diritti dovuti o in violazione delle condizioni previste. Le situazioni frequenti che danno luogo a contestazioni doganali includono:

  • Sottovalutazione del valore delle merci in fattura (under-invoicing), per pagare meno dazi ad valorem e IVA. L’ADM effettua controlli sul valore in dogana e se ritiene che il prezzo dichiarato sia inferiore al valore di mercato, può rettificarlo previa attivazione di un contraddittorio con l’importatore. In caso di rettifica, vengono richiesti i dazi e l’IVA calcolati sul valore maggiore, con interessi e sanzioni. Recenti sentenze hanno riaffermato che la Dogana deve seguire una procedura rigorosa in questi casi: ad esempio la Cassazione n.33498/2024 ha stabilito che l’ADM può rettificare il prezzo dichiarato solo dopo aver avviato un contraddittorio effettivo con l’operatore e valutato le sue osservazioni; in difetto, l’atto impositivo è illegittimo.
  • Errata classificazione tariffaria (voce doganale sbagliata): ogni prodotto va classificato secondo la Tariffa Doganale; voci differenti comportano dazi diversi. Se l’operatore indica una voce con dazio inferiore in modo non corretto, la Dogana può eseguire accertamenti a posteriori e pretendere la differenza di dazio. Ad esempio, importare un bene tecnologico classificandolo come “parti di macchine” al 0% invece che come “apparecchi completi” al 5% di dazio porterà a un recupero del 5% sul valore dell’importazione, oltre sanzione amministrativa per dichiarazione infedele.
  • Origine preferenziale non spettante: usufruire indebitamente di dazi ridotti o zero dazi presentando certificati di origine preferenziale non validi (o falsi). Se l’ADM accerta che la merce non aveva diritto al trattamento preferenziale (es. perché realmente di un Paese diverso), richiederà i dazi non pagati. Spesso ciò emerge da controlli successivi su documenti (es. verifica retroattiva dei certificati EUR.1). Anche qui si applicano sanzioni per dichiarazione inesatta.
  • Violazioni negli obblighi dei regimi doganali speciali: ad esempio uso improprio di regimi sospensivi come il transito, il deposito doganale, il perfezionamento attivo/passivo. Un caso è il perfezionamento attivo: merce importata temporaneamente senza dazio per essere lavorata ed esportata. Se l’operatore non riesporta la merce entro i termini o la distoglie indebitamente dal regime, la Dogana recupera i dazi sospesi e applica sanzioni. La Cassazione ha chiarito che il perfezionamento attivo è un’eccezione con finalità agevolativa e richiede stretta osservanza delle condizioni; in caso di abusi, l’ADM legittimamente procede al recupero dei dazi e dell’IVA sospesi.
  • Contrabbando: fattispecie penale che ricorre in varie forme (artt.282-301 TULD fino al 2024, ora rifuse nel D.Lgs.141/2024). In senso ampio, si tratta di introdurre merci eludendo il controllo doganale o senza dichiararle. Ad esempio, lo sdoganamento fraudolento di merce tramite false dichiarazioni, l’occultamento di beni in dogana, o l’importazione di beni vietati. In ambito fiscale, particolare rilievo ha il contrabbando per evasione di dazi: se l’ammontare dei tributi evasi supera una certa soglia, scatta il reato. Soglia penale: la riforma 2024 ha mantenuto l’impostazione previgente (ex art. 295 TULD), fissando a 10.000 € il valore dei diritti di confine evasi oltre il quale la violazione assume rilievo penale. Sotto tale soglia, le violazioni restano illeciti amministrativi puniti con sanzione pecuniaria dell’ADM. Dunque, se ad esempio un importatore evade 8.000 € tra dazi e IVA, subirà un processo amministrativo sanzionatorio; se evade 50.000 €, verrà denunciato per contrabbando aggravato. Va osservato che in base alle nuove norme l’IVA importazione concorre ora nel calcolo di questa soglia (essendo considerata diritto di confine), mentre in passato la Cassazione l’aveva esclusa. In particolare, la Suprema Corte (sent. 24788/2023) aveva sancito che l’IVA all’importazione, avendo natura di tributo interno, non andava computata ai fini delle soglie sanzionatorie penali, contrariamente ai dazi. La riforma doganale ha però invertito la rotta, includendo espressamente l’IVA tra i tributi rilevanti per configurare l’illecito di contrabbando.
  • Violazioni formali e altre fattispecie: es. omissioni/inesattezze nei documenti doganali, presentazione tardiva della dichiarazione sommaria o manifesto di carico, ecc. Tali violazioni sono generalmente sanzionate in via amministrativa con importi fissi o proporzionali, secondo gravità. Ad esempio, la mancata presentazione della dichiarazione di importazione per un bene soggetto a contingente potrebbe portare a una sanzione amministrativa. La nuova normativa (D.Lgs.141/2024) ha razionalizzato molte di queste sanzioni, prevedendo importi minimi uniformi (spesso 500 o 1.000 €) e criteri di proporzionalità.

Conseguenze tipiche per il debitore: in tutti i casi sopra, l’ADM emetterà un avviso di rettifica o accertamento doganale per recuperare i tributi evasi. Questo atto indicherà l’importo dei dazi/IVA dovuti, gli interessi di mora (calcolati dal momento in cui il tributo era esigibile) e una sanzione amministrativa pecuniaria. Le sanzioni per infedele dichiarazione doganale variano in base all’epoca dei fatti e all’importo: sotto il regime previgente (fino a fine 2024) vi erano sanzioni dal 100% al 200% dei tributi evasi (con minimi edittali di almeno 5.000 €). Dal 2024 il sistema è cambiato: due sole categorie di illeciti (penale se >10.000 €, amministrativo se ≤10.000 € evasi). Per gli illeciti amministrativi ordinari di evasione dazi/IVA, l’art.96 del nuovo decreto prevede una sanzione dall’80% al 150% dei tributi dovuti, con minimo 500 €. Importante: se la violazione, pur sopra soglia, non è dolosa secondo il giudice penale, non scatta reato e torna in ambito amministrativo una sanzione ridotta (80–150%) e niente confisca. Ciò significa che il contribuente in buona fede (errore senza intento fraudolento) non subisce più la confisca penale del “profitto” dell’evasione, ma solo la sanzione amministrativa.

Come si vede, il panorama è complesso e in evoluzione. Di seguito analizziamo come un avvocato può difendere il contribuente in queste situazioni, a partire dalla fase di verifica e accertamento in dogana (fase amministrativa) fino al ricorso davanti al giudice tributario (fase giudiziale), senza tralasciare gli strumenti deflativi che consentono di evitare o chiudere anticipatamente la lite.

Fase amministrativa: verifica, accertamento doganale e contraddittorio

La fase amministrativa del procedimento tributario doganale è quella in cui l’Agenzia delle Dogane accerta l’eventuale irregolarità e forma la pretesa tributaria. Essa può articolarsi in: controlli immediati in dogana, verifiche a posteriori, emissione di atti impositivi (avvisi di accertamento/rettifica) ed eventualmente un confronto preliminare (contraddittorio) col contribuente. È in questa fase che l’assistenza legale può spesso evitare che la situazione degeneri, ottenendo magari un riesame favorevole o correggendo errori prima che diventino definitivi.

Controllo e accertamento in dogana

Quando le merci giungono in dogana, l’operatore presenta la dichiarazione doganale (bolletta) indicando tutti i dati rilevanti. L’Ufficio doganale la esamina e può subito controllare fisicamente la merce o la documentazione. In questa sede “a pronta” l’ufficio liquida i diritti doganali dovuti, confermando o rettificando quanto dichiarato. Se tutto è regolare, la bolletta viene “vidimata” con data e firma e diventa titolo definitivo per la riscossione dei tributi dovuti. Se invece sorgono contestazioni in fase di accertamento, ad esempio dubbi su valore, origine o quantità dichiarata, la Dogana può attivare procedure interne di approfondimento.

Prima della riforma, il TULD prevedeva strumenti immediati: l’art.65 TULD consentiva al dichiarante di opporsi sul momento agli esiti del controllo per evitare il consolidarsi della pretesa. Ad esempio, l’operatore poteva chiedere una “visita di controllo” ulteriore da parte di un funzionario diverso o l’intervento di periti tecnici esterni per riesaminare la merce. Oppure, in caso di analisi chimiche su campioni, poteva contestare il risultato di analisi entro 30 giorni, prima che diventi definitivo. Questi strumenti miravano a risolvere dubbi tecnici immediatamente. L’esito di tali richieste era formalizzato nella decisione motivata del Direttore dell’Ufficio doganale, impugnabile entro 10 giorni con richiesta di redigere un verbale di controversia.

Il verbale di controversia costituiva l’atto iniziale di un contenzioso amministrativo gerarchico: entro 30 giorni andava presentato ricorso al Direttore regionale delle Dogane. Il Direttore regionale, sentite le argomentazioni, decideva (entro 4 mesi non perentori) se accogliere o respingere il ricorso. Questo procedimento amministrativo, disciplinato dagli artt.66 e segg. TULD, costituiva una sorta di “primo grado” interno di riesame, pensato per garantire un contraddittorio anticipato con l’Amministrazione. Solo all’esito (sfavorevole) di tale fase l’accertamento doganale diveniva definitivo e impugnabile in sede giurisdizionale.

Situazione attuale: va sottolineato che dal 2012 in poi questo istituto della “controversia doganale amministrativa” è caduto in disuso e poi abrogato. Già il D.L. 16/2012 aveva eliminato l’obbligo del ricorso gerarchico (abrogando l’art.11 co.7 D.Lgs.374/90). La riforma del 2024 ha completato l’opera abrogando gli artt. 66–81 TULD e l’intero TULD stesso. Oggi, quindi, qualsiasi atto di accertamento doganale è immediatamente impugnabile davanti al giudice tributario entro 60 giorni, senza bisogno di esperire ricorsi amministrativi gerarchici (che restano solo facoltativi strumenti di autotutela interna). L’orientamento attuale privilegia un contraddittorio endoprocedimentale più snello: l’ADM dialoga col contribuente durante la verifica, ma una volta emesso l’Avviso di Accertamento/Rettifica questo può essere direttamente oggetto di definizione bonaria o ricorso. Nella pratica, spesso l’Ufficio doganale invita informalmente l’importatore a fornire elementi o documenti prima di emettere l’avviso: ad esempio, se sospetta un valore basso, chiede fatture, listini, prova di pagamenti. Il ruolo dell’avvocato in questa fase è fondamentale: può interloquire con l’Ufficio, presentare memorie e documentazione per chiarire la posizione, e sfruttare il diritto al contraddittorio preventivo (ora generalizzato per legge) per evitare o ridurre l’accertamento.

Il diritto al contraddittorio preventivo

Un principio cardine nella difesa del contribuente doganale è il diritto ad essere ascoltato prima che l’Amministrazione adotti un atto sfavorevole. Nel diritto UE, questo è un principio generale (v. Corte Giustizia Sopropè 2008) applicabile anche in materia doganale. In Italia, fino al 2023, la disciplina del contraddittorio tributario era frammentaria: per la Dogana, già il D.Lgs.374/1990 prevedeva all’art.11 co.4-bis (inserito nel 2012) l’obbligo di concedere 30 giorni per osservazioni dopo una revisione d’ufficio prima di emettere l’atto. Inoltre, come visto, il vecchio art.66 TULD offriva un contraddittorio “anticipato” su istanza del contribuente.

Dal 2023 il legislatore ha fatto un salto di qualità introducendo nell’art.6-bis dello Statuto dei contribuenti una regola generale: tutti gli atti impositivi impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio effettivo, pena la loro annullabilità. Il D.Lgs. 218/2023 ha così esteso a regime quello che per la Dogana era già prassi. In concreto, oggi l’Agenzia delle Dogane, se intende emettere un avviso di rettifica, invia prima al contribuente una “comunicazione di revisione” o un esito di controllo, indicando le irregolarità riscontrate e i maggiori tributi dovuti. Il contribuente ha 30 giorni di tempo per presentare memorie, documenti e spiegazioni (termine che per la Dogana era già previsto, e resta di 30 gg anziché 60 degli altri tributi, in virtù della specialità doganale). L’Ufficio doganale deve valutare le osservazioni prima di emettere l’atto finale. Se questo obbligo non è rispettato, l’atto è viziato. La Cassazione ha più volte ribadito che l’omessa attivazione del contraddittorio comporta l’illegittimità dell’accertamento in materia doganale, a meno che il contribuente non abbia comunque avuto modo di difendersi in altra forma. Ad esempio, nella citata sentenza n.33498/2024 la Suprema Corte ha annullato un accertamento di rettifica del valore perché l’ADM non aveva instaurato il contraddittorio previsto dall’art.140 del Reg. UE 2447/2015 (norme di attuazione CDU) in presenza di “fondati dubbi” sul valore dichiarato. L’Agenzia era quindi tenuta prima a chiedere informazioni aggiuntive all’importatore e consentirgli di provare la veridicità del prezzo (esibendo ad esempio contratti, pagamenti, listini). Solo se dopo tali chiarimenti i dubbi permangono, la Dogana può rettificare il valore. Questo principio del contraddittorio preventivo è ora rafforzato dalla legge.

Eccezioni: il nuovo art.6-bis Statuto prevede alcune eccezioni (comma 2) in cui l’ente può emettere l’atto senza contraddittorio, ad esempio se vi è fondato pericolo per la riscossione (rischio che il debitore sottragga garanzie) o nei casi di controlli a tavolino automatizzati. Ma in ambito doganale, situazioni del genere sono meno frequenti rispetto ad altri tributi. Se l’urgenza è invocata, l’atto deve motivare specificamente il motivo dell’omissione del contraddittorio. L’avvocato potrà contestare l’atto anche su questo punto se l’eccezione non era applicabile o non giustificata.

Esito della verifica: avviso di accertamento doganale

Al termine della fase istruttoria, se la Dogana ritiene fondato il recupero, emette l’Avviso di accertamento tributario doganale (detto anche avviso di rettifica se corregge una bolletta già liquidata). Si tratta di un atto scritto, motivato, che indica: importi dei maggiori tributi dovuti (dazio, IVA, ecc.), il calcolo degli interessi di mora e l’ammontare delle sanzioni irrogate, con le norme violate. Viene notificato al contribuente (di norma via PEC per operatori economici).

Da questo momento, il contribuente diventa formalmente debitore verso l’erario degli importi accertati, salva impugnazione. L’atto costituisce titolo esecutivo trascorsi i termini di legge. In particolare, l’avviso contiene di regola un “termine di grazia” di 10 giorni per il pagamento spontaneo. Decorso tale termine senza pagamento né impugnazione, l’importo viene iscritto a ruolo e affidato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione) per la riscossione coattiva. In pratica, dopo quei 10 giorni può essere emessa una cartella esattoriale. Tuttavia, se il contribuente presenta un’istanza deflativa o un ricorso, l’iscrizione a ruolo è sospesa (o limitata a un importo provvisorio, vedremo dopo).

Pagamento in misura ridotta della sanzione: Una peculiarità prevista in dogana (e confermata dalla nuova normativa) è la possibilità, qualora venga contestata una violazione con sanzione immediata, di definire subito la vertenza pagando solo 1/4 della sanzione entro 60 giorni. Questa opzione vale ad esempio quando la Dogana irroga una sanzione per omesso versamento contestualmente all’accertamento del tributo. Se il contribuente paga il 25% della multa (oltre naturalmente ai tributi dovuti), non può più presentare ricorso, ma estingue così il procedimento sanzionatorio. È una scelta da valutare attentamente con l’avvocato: conviene se la sanzione è elevata e le chance di vittoria in giudizio basse, poiché consente un forte sconto (75%) sulla pena pecuniaria. Viceversa, pagando la sanzione ridotta si rinuncia a far valere eventuali ragioni nel merito contro l’accertamento.

Durante la fase amministrativa, l’avvocato può assistere il contribuente anche in ulteriori modi: ad esempio presentando un’istanza di sospensione amministrativa dell’atto. L’ADM, in casi eccezionali, può essa stessa sospendere l’efficacia dell’accertamento impugnato se dubita della legittimità dell’atto o se dall’esecuzione possono derivare gravi danni irreparabili. In tal caso però può richiedere una garanzia fideiussoria a copertura dei tributi. Questa via è discrezionale e poco praticata; più frequente è chiedere la sospensione al giudice tributario (v. oltre). Un altro istituto è l’autotutela: il contribuente, tramite il legale, può segnalare errori palesi all’Ufficio (es. errata persona destinataria, doppio pagamento già avvenuto, calcolo sbagliato) e chiedere l’annullamento d’ufficio dell’atto. In materia doganale, l’autotutela è consigliata solo per errori evidenti o di diritto, e se comunque si decide di non fare ricorso. Questo perché presentare un’istanza di autotutela non sospende i termini per ricorrere né quelli di pagamento; se l’ADM non risponde in tempo utile, il rischio è di decadere dalla tutela giurisdizionale. L’avvocato dunque la utilizza con cautela, spesso in parallelo ad altre azioni.

Ravvedimento operoso doganale (regolarizzazione spontanea)

Uno strumento di difesa “preventiva” del debitore è il cosiddetto ravvedimento operoso, ovvero la possibilità di sanare spontaneamente una violazione prima che venga contestata formalmente, ottenendo una forte mitigazione delle sanzioni. Nel campo doganale questo si traduce nella facoltà per l’operatore di richiedere egli stesso una revisione della dichiarazione presentata, qualora si accorga di errori od omissioni che hanno comportato il non pagamento di tributi. Ad esempio, un importatore realizza di aver applicato per errore un’aliquota dazio troppo bassa; prima che la Dogana avvii un controllo, può segnalare l’errore e pagare la differenza.

La normativa 2024 ha introdotto esplicitamente un’esimente per tali casi: se la revisione è avviata su istanza del dichiarante, non si applicano sanzioni né confisca. In altri termini, quando il contribuente si ravvede spontaneamente e fa correggere l’operazione, viene esentato dalla sanzione amministrativa, dovendo versare solo i tributi dovuti e gli interessi. Questo principio, prima consuetudinario, ora è sancito dall’art.96 comma 13 D.Lgs.141/2024. È un incentivo fortissimo al ravvedimento: conviene sempre autodenunciarsi prima, piuttosto che attendere l’accertamento con multa. Va evidenziato che il ravvedimento è accolto solo se la Dogana non ha già notificato al contribuente avvisi di accesso/verifica o altre contestazioni formali su quella specifica operazione. In presenza di controlli già in corso, non è più possibile ravvedersi con esonero totale, anche se resta la chance di definizioni agevolate minori (es. pagamento 1/4 sanzione come sopra).

Come procedere: l’avvocato potrà predisporre un’istanza di revisione ex art. 5 CDU (revisione a posteriori) indicando l’errore nella dichiarazione e allegando eventualmente la nuova documentazione corretta. L’ADM riesaminerà l’operazione e emetterà un atto di liquidazione per i tributi aggiuntivi. Grazie all’esimente, nessuna sanzione verrà applicata in questo contesto volontario. Ad esempio, se un’azienda ha importato in regime di esenzione IVA dei beni non aventi diritto, potrà – prima che l’ufficio se ne accorga – presentare istanza e pagare l’IVA dovuta senza incorrere nelle sanzioni per indebita fruizione del regime.

Va notato che il ravvedimento operoso doganale si affianca agli istituti analoghi del diritto tributario generale (art.13 D.Lgs.472/97): in passato si discuteva se applicare le riduzioni sanzionatorie del 30%, 20%, etc. del regime fiscale ordinario anche ai dazi. Ora, la disciplina speciale dell’esimente totale rende la questione superata in meglio per il contribuente onesto. Pertanto, la strategia consigliata dall’avvocato, quando possibile, è: giocare d’anticipo. In un’ottica di compliance doganale, molte imprese fanno effettuare audit interni periodici per scoprire errori dichiarativi e ravvedersi prontamente.

Accertamento con adesione in ambito doganale

Una volta che la Dogana ha emesso un avviso di accertamento, il contribuente ha comunque l’opportunità di evitare la causa instaurando un dialogo deflattivo con l’ufficio: l’accertamento con adesione. I tributi doganali rientrano infatti nel perimetro del D.Lgs.218/1997, che consente al contribuente di “negoziare” col Fisco prima che la controversia arrivi in giudizio. In sostanza, è una procedura tramite la quale l’interessato può concordare un importo con l’ADM, accettando (con eventuali riduzioni) i rilievi, in cambio di benefici sulle sanzioni.

Procedura: dopo la notifica dell’avviso, il destinatario ha 60 giorni per proporre ricorso ma, se intende tentare l’adesione, deve presentare un’istanza di accertamento con adesione prima di impugnare. Tradizionalmente, l’istanza andava presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, e ciò sospendeva per 90 giorni i termini di ricorso. La riforma fiscale 2023 ha introdotto una novità: se l’accertamento è preceduto dalla comunicazione di contraddittorio (c.d. “schema di atto”), l’istanza di adesione può essere presentata entro 15 giorni dalla notifica dell’avviso definitivo. In tal caso la sospensione del termine di ricorso è di 30 giorni (quindi il ricorso andrà presentato entro 60+30=90 gg totali). Se invece si presenta l’istanza già dopo la comunicazione dello schema (prima che esca l’avviso), la sospensione è di 90 giorni pieni. In ogni caso, l’effetto della richiesta di adesione è congelare la riscossione provvisoria: l’Ufficio non iscrive a ruolo i 1/3 immediatamente dovuti fintanto che dura la procedura.

Ricevuta l’istanza, l’Ufficio Dogane convoca il contribuente (tipicamente presso i propri uffici) per un incontro. In questa sede, assistito dal suo avvocato, il contribuente può prospettare le proprie ragioni e documenti. Si cerca un compromesso: spesso l’ADM rivede parzialmente i calcoli (es. riconosce qualche spesa deducibile dal valore, o una quantità effettiva minore) e il contribuente rinuncia al resto delle contestazioni. Se si raggiunge l’accordo, viene redatto un atto di adesione che fissa gli importi concordati. Beneficio principale: le sanzioni amministrative si riducono a 1/3 del minimo previsto. Ad esempio, se era contestata una sanzione dal 100% al 200% e l’ufficio aveva irrogato 150%, con l’adesione si paga solo ~33% (un terzo del minimo 100%). In più, si può chiedere il pagamento rateale fino a 8 rate trimestrali (o 16 se importo oltre 50 mila €). L’adesione perfezionata preclude qualsiasi ricorso: estingue la pretesa nei termini pattuiti.

Perché aderire? Dal punto di vista del debitore, conviene se: (a) vi è effettivamente un’imposta evasa da pagare, ma si mira a ridurre le sanzioni; (b) vi sono margini per contestare, ma si preferisce evitare i costi/incertezze del contenzioso, magari ottenendo uno sconto anche sul tributo. Da notare che l’ufficio doganale, a differenza dell’Agenzia Entrate, spesso è meno propenso a “scontare” il tributo dovuto, vista la natura armonizzata del dazio (che in parte va al bilancio UE). Tuttavia, può modulare le sanzioni al minimo o eliminare alcuni rilievi minori. L’avvocato, in sede di adesione, mette sul piatto la propria perizia sulla situazione: ad esempio potrebbe evidenziare che contestare l’origine preferenziale di tutte le partite importate è eccessivo se alcune erano correttamente certificate, inducendo l’ADM a ridurre la base imponibile contestata. Oppure far valere cause di non punibilità parziale (buona fede dell’azienda, cooperazione immediata) per spuntare sanzioni minime. La capacità di negoziazione tecnica del legale qui è fondamentale.

Se l’accordo non si raggiunge, nulla è pregiudicato: i 60 giorni di tempo per il ricorso ripartono (in parte) dalla fine dei 90 gg di sospensione, e il contribuente potrà impugnare l’atto in Commissione Tributaria (ora Corte Giustizia Trib.). Notare che dall’adesione fallita non derivano ammissioni di colpa usabili contro il contribuente: le memorie prodotte nell’ambito dell’adesione non vincolano poi in giudizio. Sono coperte da riservatezza. Quindi tentare l’adesione è spesso a costo zero in termini processuali (si guadagna tempo e magari si ottiene una proposta migliorativa). Per questo, è uno strumento sempre consigliato dall’avvocato almeno valutarlo prima del contenzioso.

La fase giurisdizionale: il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria

Se la fase amministrativa non ha risolto la vertenza (ossia l’accertamento non è stato annullato in autotutela, né definito con ravvedimento o adesione, né soddisfatto col pagamento ridotto), al contribuente non resta che la via del ricorso giurisdizionale. In Italia le controversie in materia di tributi, inclusi dazi e IVA all’importazione, sono devolute alla giurisdizione tributaria, ossia alle Corti di Giustizia Tributaria (CGT) di primo e secondo grado – denominate fino al 2022 Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali. Si tratta di giudici specializzati che decidono sulle impugnazioni degli atti impositivi fiscali.

Competenza territoriale: per i tributi doganali, è generalmente competente la Corte di Giustizia Tributaria (CGT) provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio doganale che ha emesso l’atto. Ad esempio, se l’avviso è stato emanato dall’Ufficio delle Dogane di Milano 2, la causa andrà davanti alla CGT di Milano (primo grado). Questo aspetto è stato oggetto di precisazioni giurisprudenziali: se l’atto impugnato è stato emesso dalla Direzione regionale ADM (come avveniva nel ricorso gerarchico), la Cassazione ha chiarito che comunque la legittimazione passiva in giudizio spetta all’Ufficio locale che rappresenta l’amministrazione sul territorio. In altri termini, la Dogana locale (es. Cremona) resta parte processuale, anche se la decisione impugnata proveniva dal Direttore regionale. Ciò per evitare che tutte le liti finiscano accentrate a Roma o presso le direzioni regionali. L’avvocato, nella redazione del ricorso, indirizzerà dunque l’atto all’Ufficio locale (indicato di solito nell’atto impugnato) e alla CGT territorialmente competente.

Termini e forma del ricorso: il contribuente deve proporre ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (o altro atto autonomamente impugnabile, es. provvedimento di irrogazione sanzioni). Il ricorso va notificato all’ente impositore (ADM) e successivamente depositato presso la segreteria della Corte tributaria entro 30 giorni dalla notifica. Con la riforma digitale, oggi il processo tributario avviene telematicamente: l’avvocato trasmette il ricorso via PEC e utilizza il portale SIGIT della Giustizia Tributaria.

Contenuto del ricorso: deve indicare i motivi di impugnazione, ossia tutti i vizi di legittimità e di merito dell’atto. Tipici motivi nei tributi doganali: violazione di legge (es. errore nell’applicazione di una tariffa doganale, o termine di decadenza per l’accertamento scaduto), vizio di motivazione (atto carente o incongruo nella spiegazione delle ragioni), vizio procedurale (contraddittorio violato, incompetenza, ecc.), o anche contestazione del merito della pretesa (es. la merce era effettivamente di origine preferenziale; il valore dichiarato era corretto e la rettifica infondata). In ambito doganale c’è spesso intreccio tra diritto nazionale e unionale: l’avvocato deve padroneggiare anche regolamenti UE, note TARIC, decisioni europee. Non di rado, le questioni doganali richiedono l’interpretazione uniforme del diritto UE, e i giudici nazionali possono rimettere alla Corte di Giustizia UE quesiti pregiudiziali (ci sono stati casi su classificazioni tariffarie, rimborso di dazi antidumping indebitamente pagati, ecc.). Un legale esperto saprà segnalare alla CGT la giurisprudenza UE o la eventuale necessità di rinvio pregiudiziale.

Mediation obbligatoria: Attualmente, per le controversie di valore non eccedente 50.000 €, è prevista una fase di “mediazione” obbligatoria prima del giudizio (art.17-bis D.Lgs.546/92). Ciò significa che il ricorso va presentato come reclamo-mediazione direttamente all’ente impositore (ADM) che, entro 90 giorni, può accoglierlo in tutto o in parte o proporre un accordo. Se la mediazione fallisce o decorrono 90 giorni, il ricorso diviene efficace e prosegue in CGT. In caso di accordo in mediazione, la controversia si chiude con il pagamento concordato e sanzioni ridotte al 35% del minimo (benché la norma generale parli di conciliazione, la prassi equipara la mediazione a una conciliazione anticipata, con riduzione sanzioni simile a quella in primo grado). Questa mediazione tributaria si applica anche agli atti delle Dogane. Nella pratica, raramente l’Agenzia delle Dogane transige in mediazione oltre quanto non farebbe in adesione; spesso si limita a confermare la pretesa, costringendo al giudizio. Tuttavia, la presentazione del reclamo è un passaggio necessario (pena l’inammissibilità del ricorso per le liti sotto soglia). Il valore della lite è dato dall’importo del tributo al netto di sanzioni e interessi; dunque, se contestate solo sanzioni, la mediazione non è obbligatoria. L’avvocato valuta caso per caso se presentare nuove istanze in questa sede (spesso si ripropongono quelle già fatte in adesione) o attendere il giudice.

Svolgimento del processo tributario: una volta incardinato, il ricorso segue le regole del processo tributario. L’Agenzia delle Dogane, tramite i propri funzionari o l’Avvocatura dello Stato, si costituisce in giudizio con controdeduzioni scritte. Possono esservi scambi di memorie integrative. La trattazione è per lo più scritta, con eventuale pubblica udienza se richiesta. Spesso le questioni doganali sono complesse dal punto di vista fattuale: può emergere la necessità di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), ad esempio per periziare il reale valore di mercato di beni (in caso di contestato underpricing) o per analizzare la composizione chimica di un prodotto ai fini della voce tariffaria. L’avvocato può proporre al giudice di nominare un perito indipendente, soprattutto quando vi erano perizie discordanti in fase amministrativa. La Dogana, da parte sua, porta a sostegno documenti doganali, verbali di controlli, analisi di laboratorio del proprio Laboratorio Chimico, ecc. Il giudice valuterà tutto questo. Onere della prova: in materia di tributi doganali vige il principio che spetta all’Amministrazione provare i fatti costitutivi della pretesa (es. che la merce aveva un valore superiore, con elementi oggettivi) e al contribuente provare eventuali esimenti o fatti estintivi. Ad esempio, se si contesta l’origine preferenziale, l’onere è del contribuente di esibire certificazioni corrette; se si contesta un maggior valore, incombe alla Dogana dimostrare che il prezzo dichiarato non è attendibile (indizi gravi e concordanti come legami di controllo tra venditore e acquirente, comparazione con prezzi di merci simili, ecc.). La Cassazione ha spesso cassato decisioni sfavorevoli ai contribuenti per carenza di motivazione su questo aspetto, ad esempio censurando sentenze di merito che avevano accolto supinamente le tesi della Dogana senza verificare se quest’ultima avesse fornito prove concrete del maggior valore (cfr. Cass. sez. trib. n.22200/2023, n.15540/2022, etc., citate in precedenza). Un buon avvocato insisterà su eventuali lacune probatorie dell’accertamento (p.es. valori ricavati da banche dati generiche non pertinenti alla merce specifica).

Decisione di primo grado: la CGT provinciale emette la sentenza, che può accogliere totalmente il ricorso (annullando l’atto), accoglierlo parzialmente (annullando in parte la pretesa, ad es. riducendo dazi o sanzioni) oppure respingerlo (confermando per intero l’atto della Dogana). Nelle controversie doganali spesso si vedono accoglimenti parziali, ad esempio la Commissione riconosce che certi dazi non erano dovuti ma altri sì, oppure che la violazione c’è ma ricorrono circostanze per ridurre la sanzione al minimo. In caso di accoglimento, la Dogana deve conformarsi: se l’atto è annullato, il debito doganale si estingue; se il contribuente aveva pagato, matura diritto al rimborso delle somme indebitamente versate (da richiedersi entro 2 anni in dogana, o automaticamente disposta se la sentenza è definitiva). Se invece la sentenza conferma il debito, il contribuente è tenuto a pagare quanto dovuto. Attenzione: la legge prevede che dopo una sentenza di primo grado non totalmente favorevole al contribuente, quest’ultimo debba versare provvisoriamente una quota dei tributi prima del secondo grado. Precisamente, in caso di rigetto integrale, va pagato l’intero importo non già versato; in caso di accoglimento parziale, va pagata la parte rimasta a suo debito. (Questa regola è prevista dall’art.68 D.Lgs.546/92, applicabile anche alle dogane). L’Avvocato può chiedere alla Corte di sospendere l’esecutività della sentenza in appello, ma non sempre concesso. Dunque, perdere in primo grado comporta il rischio di dover comunque pagare subito (salvo poi ripetere le somme se si vince in appello).

Strumenti speciali durante il processo: sospensione e conciliazione giudiziale

Due importanti strumenti a disposizione del debitore durante il processo tributario sono la sospensione giudiziale dell’atto e la conciliazione giudiziale della controversia.

  • Sospensione dell’atto impugnato: presentando ricorso, l’atto di accertamento non è automaticamente sospeso. Entro la prima udienza, il contribuente (tipicamente tramite l’avvocato nel ricorso stesso) può formulare istanza di sospensione cautelare ex art.47 D.Lgs.546/92, se dall’esecuzione dell’atto deriverebbe un danno grave e irreparabile e se vi sono fondati motivi di ricorso. Nel caso doganale, il danno grave può consistere ad esempio nel blocco dell’attività d’impresa per l’esborso richiesto o nel mantenimento di un fermo amministrativo su merci o beni aziendali. Il giudice tributario valuta sommariamente la fondatezza delle censure (“fumus boni iuris”) e la gravità del danno (“periculum in mora”). Se accoglie l’istanza, dispone la sospensione dell’esecuzione dell’atto fino alla sentenza di primo grado. Così il contribuente non sarà costretto a pagare nel frattempo, né l’Agente della riscossione potrà attivare pignoramenti. Nella prassi, nelle liti doganali dove spesso gli importi sono elevati, la sospensione viene concessa abbastanza frequentemente, specialmente se l’accertamento presenta profili dubbi (p.es. questione giuridica controversa) o se il pagamento immediato metterebbe a repentaglio la continuità aziendale. Talora la Commissione può subordinare la sospensione a una cauzione o garanzia (fideiussione bancaria) offerta dal contribuente, per tutelare l’erario in caso di soccombenza. L’avvocato aiuterà il cliente a documentare puntualmente sia il fumus (giurisprudenza favorevole, perizie di parte) sia il periculum (bilanci, cash flow per dimostrare l’incidenza). La decisione sulla sospensiva viene presa di regola entro pochi mesi dall’istanza, con ordinanza motivata.
  • Conciliazione giudiziale: è un istituto che consente alle parti di trovare un accordo anche dopo l’instaurazione del processo, evitando di attendere la sentenza. La conciliazione può essere provocata dalle parti (istanza congiunta o proposta di parte) oppure, novità del 2023, può essere suggerita d’ufficio dal giudice. In ogni caso, se si raggiunge l’accordo, questo viene formalizzato in un verbale di conciliazione omologato dal giudice tributario, che ha efficacia di sentenza. Per incentivare la definizione anticipata, il legislatore prevede un trattamento sanzionatorio agevolato: le sanzioni si riducono al 40% del minimo se la conciliazione avviene in primo grado, al 50% del minimo in secondo grado, e – in base alla delega fiscale 2023 – al 60% del minimo se l’accordo giunge addirittura in Cassazione. (Questa progressione premiale è stata introdotta per la conciliazione nei tre gradi di giudizio dalla L.111/2023, art.19, recepita nel D.Lgs. 130/2023 sul processo tributario). In pratica: se le parti conciliano davanti alla CGT provinciale, pagheranno una sanzione ridotta al 40% di quanto sarebbe il minimo per legge; se aspettano l’appello, al 50%; in Cassazione, al 60%. Oltre a ciò, sull’importo del tributo eventualmente oggetto di conciliazione, non sono dovuti interessi di mora successivi e si chiude definitivamente la lite. Quando ricorrere alla conciliazione? Nelle cause doganali, è utile se emergono in corso di causa elementi nuovi o se la giurisprudenza nel frattempo si è consolidata sfavorevolmente per una delle parti, rendendo sensato trovare un compromesso. Ad esempio, dopo una sentenza della Corte di Giustizia sfavorevole alla tesi dell’ADM, quest’ultima potrebbe preferire chiudere la lite accettando di rimborsare parte dei dazi, piuttosto che rischiare la sconfitta totale. Viceversa, il contribuente che intravede una possibile soccombenza potrebbe voler evitare il pagamento integrale ottenendo almeno lo sconto sanzioni. L’avvocato ha il compito di valutare costi/benefici e magari aprire il canale del dialogo con l’Avvocatura erariale: spesso sono i professionisti a concordare informalmente i termini dell’accordo (importi, sanzione ridotta, rateazione) per poi sottoporre la bozza al giudice.

Da notare che, ai sensi delle norme attuali, la conciliazione può intervenire in qualunque grado (ora anche in Cassazione, come visto) e può essere anche parziale, riguardare cioè solo alcuni degli aspetti della lite lasciandone altri al giudice. In caso di conciliazione parziale, la sentenza riguarderà le restanti questioni. Questo è utile in contenziosi complessi: ad esempio, su 5 importazioni contestate si conciliano 4 (il contribuente paga dazi e 40% sanzioni su quelle) e si va a sentenza solo sulla quinta su cui c’è un principio da chiarire.

In tutti i casi di definizione (adesione, mediazione, conciliazione), l’avvocato assiste il contribuente anche nelle fasi post-accordo: predisposizione di eventuali piani di rateazione, verifica che l’ADM sgravi le somme eccedenti in caso di parziale annullamento, e che rinunci (in caso di conciliazione) a eventuali appelli o impugnazioni. In effetti, con la conciliazione, anche l’Ufficio rinuncia alla pretesa eccedente e alla lite futura.

Esecuzione forzata e tutela del debitore

Un aspetto da considerare per il debitore doganale è la riscossione coattiva dei tributi accertati. Come accennato, l’avviso di accertamento doganale è un atto impo-esattivo: trascorsi 60 giorni senza ricorso né pagamento, diventa esecutivo e l’Agente della riscossione può emettere cartella ed eventualmente avviare il recupero forzoso (fermi, ipoteche, pignoramenti). Durante il ricorso, se non vi è sospensiva, la legge impone comunque il versamento di una parte (1/3) dei tributi accertati come acconto provvisorio. Tuttavia, nel sistema attuale, per gli atti emessi dal 2022 in poi, vige una norma di favore: se il contribuente propone ricorso, l’Agenzia Riscossione non può comunque attivare misure esecutive fino a 180 giorni dalla notifica dell’atto impugnato (termine pensato per consentire l’ottenimento della sospensiva dal giudice). In più, con la sospensiva concessa, ogni azione esecutiva è bloccata. Il debitore doganale, assistito dal legale, può anche valutare soluzioni come la richiesta di rateizzazione della cartella esattoriale (in 72 rate mensili o più, secondo importo) per diluire l’impatto finanziario, oppure accedere – se la legge del tempo lo prevede – a eventuali definizioni agevolate dei ruoli (ad es. rottamazione cartelle). Va sottolineato che i debiti doganali sono equiparati agli altri debiti fiscali ai fini dell’adesione a sanatorie: ad esempio, la Definizione agevolata delle liti pendenti 2023 (Legge 197/2022) ha permesso ai contribuenti di chiudere anche contenziosi riguardanti dazi e IVA import pendenti in Cassazione pagando un importo ridotto. Inoltre, i debiti doganali iscritti a ruolo potevano rientrare nella Rottamazione-quater 2023 (stralcio sanzioni e interessi). L’avvocato mantiene il cliente aggiornato su queste opportunità legislative straordinarie e cura le domande relative.

In ogni caso, il punto di vista del debitore resta al centro: la strategia di difesa viene costruita tenendo conto della situazione finanziaria e commerciale del contribuente, bilanciando l’interesse a far valere i propri diritti con l’interesse a risolvere la questione nel modo meno oneroso possibile. Un’impresa con flussi di cassa limitati, ad esempio, potrebbe preferire una conciliazione immediata con pagamento ridotto e rateizzato, piuttosto che una battaglia lunga fino in Cassazione con rischio di dover pagare tutto e subito in caso di sconfitta. Viceversa, un principio importante che può fare giurisprudenza (ad es. contestare la legittimità di una norma nazionale in contrasto col diritto UE) potrebbe indurre a proseguire il contenzioso per far valere ragioni di giustizia oltre il caso singolo.

Domande frequenti (FAQ) su difesa e procedimenti doganali

  • D: Ho ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Dogane che mi chiede dazi e IVA non pagati. Cosa devo fare per difendermi?
    R: Prima di tutto, attenzione ai termini: hai 60 giorni dalla notifica per reagire. In questo periodo, valuta con un avvocato la fondatezza dell’atto. Puoi presentare un’istanza di accertamento con adesione per cercare un accordo ed eventualmente ottenere sanzioni ridotte a un terzo. Ciò sospende i termini di ricorso e (in parte) la riscossione. Se l’adesione non va a buon fine o decidi di non farla, prepara il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i 60 giorni (o 90 se c’è stata adesione). Nel ricorso chiederai anche la sospensione dell’atto per evitare di pagare prima della sentenza. Un avvocato esperto imposterà i motivi di ricorso (errori di calcolo, violazioni procedurali come mancato contraddittorio, errata applicazione della norma, ecc.) e ti rappresenterà in giudizio. Importante: se l’importo contestato (al netto di interessi e sanzioni) non supera 50.000 €, il ricorso sarà prima trattato come reclamo/mediazione presso l’ADM stessa; l’avvocato curerà anche questa fase presentando eventualmente proposte transattive. In sintesi, non pagare subito (a meno che il caso non sia indifendibile e ti convenga la definizione agevolata 1/4 sanzioni), ma attiva uno degli strumenti di difesa con l’assistenza legale.
  • D: Devo pagare subito i tributi che la Dogana mi contesta?
    R: No, l’obbligo immediato di pagamento scatta solo se non fai nulla entro i termini. Se presenti ricorso entro 60 giorni, la riscossione è sospesa fino a decisione del giudice, fatte salve eventuali quote provvisorie per legge (di regola 1/3) e salvo che tu richieda e ottenga la sospensiva dell’atto. Durante il ricorso, non riceverai cartelle esattoriali (l’iscrizione a ruolo è congelata). Tuttavia, se perdi in primo grado, potrebbe esserti chiesto di pagare quanto deciso dal giudice entro 30 giorni. In caso di esito sfavorevole definitivo, dovrai versare i tributi, le sanzioni (magari ridotte se hai definito) e gli interessi maturati. Se temi di non poter pagare un eventuale debito, discuti col tuo legale la possibilità di chiedere una rateazione o di aderire a eventuali sanatorie (condoni) qualora legislativamente previsti.
  • D: La Dogana mi ha bloccato (sequestrato) le merci in importazione per sospetta irregolarità, è possibile recuperarle subito?
    R: In alcuni casi, sì. Se il sequestro è avvenuto nell’ambito di un procedimento penale (es. notizia di reato per contrabbando), occorre agire nel procedimento penale chiedendo al giudice il dissequestro, magari offrendo adeguate garanzie (cauzione pari ai tributi evasi). Se invece si tratta di un fermo amministrativo di natura cautelare (ad esempio disposto dall’ADM in attesa del pagamento di dazi dovuti), si può presentare un’istanza di autorizzazione allo svincolo offrendo una garanzia fideiussoria per l’importo contestato. In parallelo, si potrà impugnare l’atto impositivo sottostante. Talvolta la Dogana stessa consente la consegna delle merci previo pagamento (anche in acconto) dei tributi rivendicati. L’avvocato esaminerà il provvedimento di sequestro/fermo: se vi sono vizi (ad es. motivazione carente) potrà ricorrere al giudice competente (tributario o penale a seconda del caso) per ottenerne la revoca. In ogni caso, offrendosi di pagare o garantire i diritti doganali, si rafforza la posizione per ottenere la restituzione delle merci, specialmente se deperibili o necessarie all’attività.
  • D: Cos’è il “ravvedimento operoso” in dogana e quando mi conviene farlo?
    R: Il ravvedimento operoso è la regolarizzazione spontanea: se ti accorgi di aver commesso un’errore o violazione (per esempio hai utilizzato un codice doganale sbagliato con dazio inferiore, o non hai dichiarato un valore), prima che la Dogana ti contesti nulla puoi presentare un’istanza segnalando l’errore e pagando il dovuto. La grande convenienza è che non subisci sanzioni amministrative, quindi paghi solo dazi/IVA e interessi. Ti conviene farlo ogni volta che hai elementi per credere che l’ADM possa scoprire l’irregolarità: ad esempio, se hai importato diversi container con documentazione incompleta e sai che la Dogana sta iniziando controlli sul settore, meglio ravvedersi per evitare multe salate (che vanno dall’80% al 150% dell’imposta evasa, minimo 500 €, se ti trovano loro). Naturalmente, devi essere certo che l’errore ci sia stato davvero e non si tratti di un falso allarme; per questo è utile confrontarsi con un legale o un doganalista, ed eventualmente con la stessa Dogana (esiste la possibilità di chiedere informazioni tariffarie o di origine vincolanti in dubbio per il futuro, ma per il passato rimane il ravvedimento). Ricorda che se hai già ricevuto un avviso di accertamento o una convocazione per verifica, non puoi più ravvederti su quegli aspetti.
  • D: Quali sono le sanzioni in caso di errore nella dichiarazione doganale?
    R: Dipende dalla gravità e dall’importo. Se l’errore comporta evasione di tributi oltre 10.000 €, può scattare il penale per contrabbando, con rischio di ammenda elevata o addirittura arresto nei casi più gravi (ad es. contrabbando reiterato o organizzato). Se invece si resta nell’alveo amministrativo, la sanzione pecuniaria ordinaria per infedele dichiarazione oggi è compresa tra il 80% e il 150% dei tributi dovuti (minimo 500 €). Prima del 2024 era generalmente 30% o 50% (vecchio art. 303 TULD) per irregolarità formali, e 100%–200% per evasione sostanziale. In concreto, per fare un esempio: se hai dichiarato valore $100.000 anziché $150.000 e hai “risparmiato” 5.000 € di dazi+IVA, la Dogana ti chiederà quei 5.000 € più interessi e ti potrebbe sanzionare per una cifra fra 4.000 € (80%) e 7.500 € (150%). Se paghi subito con adesione o conciliazione, la sanzione scende a ~1.500–2.500 € (cioè 1/3 del minimo, a seconda dello strumento). Se invece ti ravvedi prima che ti scoprano, zero sanzioni. In caso di più violazioni o di circostanze aggravanti, le sanzioni possono cumularsi fino al doppio del massimo. Per violazioni meramente formali (es. un campo compilato male senza impatto sul tributo) di solito ci sono sanzioni fisse minori (poche centinaia di euro) o addirittura nessuna sanzione se non c’è danno erariale.
  • D: L’avvocato può aiutarmi anche prima che nasca una controversia doganale?
    R: Assolutamente sì. La consulenza preventiva è parte integrante del lavoro di un legale esperto in dogane. Può ad esempio assisterti nella pianificazione doganale: classificare correttamente un prodotto, verificare l’origine preferenziale per usufruire di dazi zero (o evitarti di dichiararla se non ne hai diritto), organizzare la documentazione di valore. Inoltre, può curare le risposte a eventuali questionari o richieste informazione che la Dogana invia (spesso preludio di un accertamento): rispondere in maniera completa e strategica può talora evitare il provvedimento. Ancora, l’avvocato può rappresentarti durante una verifica doganale (audit a posteriori): quando l’ADM invia funzionari in azienda per controllare importazioni pregresse, avere il supporto legale aiuta a gestire il processo (simile a una verifica fiscale) e preparare memorie difensive post-verifica. Infine, offre formazione e aggiornamento al tuo staff sulle nuove normative – come quelle entrate in vigore a ottobre 2024 – per garantire una compliance doganale ed evitare errori costosi. In sintesi, un buon avvocato tributarista doganale non si limita al “curare quando è già scoppiato il contenzioso”, ma ti aiuta a prevenire problemi, con benefici sia economici sia reputazionali (pensiamo al blocco di merci essenziali per produzione, evitabile con una gestione corretta).
  • D: Ho perso la causa in appello davanti alla Corte di giustizia tributaria regionale. Posso fare qualcosa?
    R: È ancora possibile ricorrere in Cassazione (Suprema Corte), ma solo per motivi di diritto (violazioni di legge o vizi di motivazione qualificati). La Cassazione non rivede i fatti né nuove prove. Va valutato con l’avvocato se esistono solidi motivi di legittimità: ad esempio, la sentenza di appello ha applicato male una direttiva UE o c’è un contrasto giurisprudenziale sul punto controverso. Se i motivi sono deboli, potrebbe essere preferibile cercare un accordo transattivo finale: come detto, dal 2023 è ammessa la conciliazione anche in Cassazione, con riduzione sanzioni al 60%, ma il fisco di solito concilia in Cassazione solo se intravede rischio concreto di soccombenza. In Cassazione i tempi possono essere lunghi (anche 2-3 anni). Durante quel periodo, se non hai ottenuto sospensioni, il debito accertato va comunque pagato (dopo l’appello la riscossione riprende per intero). Se poi la Cassazione ti darà ragione, lo Stato dovrà restituirti il pagato con interessi legali. In alcuni casi, potrebbe valer la pena tentare un ultimo ricorso straordinario in autotutela anche dopo due gradi, specie se sopravvengono elementi nuovi (ad es. una sentenza della Corte di Giustizia favorevole al contribuente su un caso analogo): l’ADM potrebbe evitare il terzo grado annullando in autotutela parzialmente l’atto (accade raramente, ma non è impossibile in presenza di nuovi fatti). In definitiva, puoi ancora agire ma la partita si gioca su principi di diritto molto tecnici; la decisione di continuare o meno va ponderata tenendo conto del costo ulteriore e delle probabilità di successo, su cui il tuo legale ti darà un parere onesto.

Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Fasi del procedimento doganale e strumenti di difesa

Fase/StrumentoDescrizioneTermini e condizioniVantaggi per il debitore
Verifica e accertamento in doganaControllo della dichiarazione e merci da parte dell’Ufficio doganale. Emissione avviso di accertamento/rettifica se risultano tributi dovuti.Avviso notificato dopo eventuale contraddittorio (30 gg per memorie). Impugnabile entro 60 gg.. Pagamento spontaneo entro 10 gg per evitare iscrizione a ruolo.Contraddittorio preventivo tutela il diritto di difesa (obbligatorio, pena nullità atto). Possibile pagamento sanzione ridotta a 1/4 entro 60 gg (rinuncia ricorso).
Autotutela (annullamento interno)Istanza all’ADM di annullare/revocare l’atto per errori evidenti (es.: scambio persona, errori di calcolo, duplicazioni).Nessun termine prefissato (ma va proposta entro 60 gg se si vuole evitare ricorso). Non sospende termini ricorso né pagamento.Può risolvere rapidamente errori grossolani senza costi. Rischio: discrezionalità ADM; se usata al posto del ricorso può far perdere tutela giurisdizionale.
Ravvedimento operosoRegolarizzazione volontaria da parte del contribuente prima di contestazione: segnalazione di violazione e pagamento spontaneo dei tributi dovuti.Ammesso prima che l’ufficio notifichi atto di accertamento o avvio verifica formale. Istanza di revisione a posteriori da presentare entro 3 anni dallo sdoganamento (termini CDU).Esimente totale da sanzioni e confisca. Evita contenzioso e eventuale profilo penale. Migliora la good faith del contribuente di fronte all’ADM.
Accertamento con adesioneProcedura di accordo col fisco dopo ricezione avviso, per definire l’imposta dovuta ed evitare la lite. L’ufficio e il contribuente concordano importi e sanzioni ridotte.Istanza entro 60 gg notifica avviso (15 gg se avviso già preceduto da invito). Sospensione termini ricorso 90 gg (30 gg se post-avviso). Incontro/i presso ufficio, atto di adesione da sottoscrivere entro termine concordato (non oltre 90 gg da istanza).Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo. Rateazione fino a 8 o 16 rate. Niente spese giudizio. Definizione completa della lite con risparmio di tempo e costi.
Reclamo-mediazioneFase amministrativa obbligatoria per liti fino a €50.000: il ricorso presentato funge anche da reclamo, esaminato dall’ADM che può accoglierlo o proporre mediazione.Valore ≤ €50.000 (tributo). Ricorso va presentato alla Direzione ADM entro 60 gg come reclamo. Esito entro 90 gg. Se proposta mediazione e accettazione, formalizzazione accordo.Possibile chiusura anticipata con sanzioni ridotte (spesso al 35-40% min.). Se esito negativo, ricorso prosegue automaticamente in CGT senza ulteriori adempimenti.
Ricorso giurisdizionale (CGT)Impugnazione innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (Provinciale) dell’avviso di accertamento o atto della Dogana. Processo in due gradi di merito (CGT I e II grado) + Cassazione.Ricorso entro 60 gg notifica atto. Costituzione ADM entro 60 gg da notifica ricorso. Sentenza di I grado appellabile entro 60 gg. Sentenza II grado ricorribile in Cassazione entro 60 gg.Giudice terzo annulla/riforma atti illegittimi. Possibilità di sospendere l’atto in pendenza di giudizio. Possibilità di far valere pienamente diritti difesa e prove.
Sospensione giudizialeIstanza al giudice tributario di sospendere l’efficacia esecutiva dell’atto impugnato fino alla decisione, in caso di grave danno e fumus boni iuris.Da proporre nel ricorso o con istanza separata motivata. Decisione in camera di consiglio in ~30-60 gg. Eventuale cauzione/fideiussione a discrezione del giudice.Evita pagamenti/procedure esecutive prima della sentenza. Protegge la liquidità e l’operatività del contribuente durante la causa.
Conciliazione giudizialeAccordo transattivo tra contribuente e ADM a processo avviato, con chiusura totale o parziale della lite in sede giudiziale.Richiedibile fino a che la causa non è decisa (ora possibile anche in Cassazione). Può essere proposta dalle parti o dal giudice. Se le parti concordano, la CGT omologa l’accordo.Sanzioni ridotte: 40% min. in primo grado, 50% in appello, 60% in Cass.. Evita ulteriori incertezze e spese. Possibilità di accordo su parte delle pretese (conciliazione parziale).

Tabella 2 – Sintesi sanzioni amministrative doganali (post-riforma 2024)

ViolazioneNormaSanzione baseRiduzioni possibili
Dichiarazione infedele (dazi/IVA evasi ≤ 10k, o >10k ma senza dolo accertato)Art.96 c.1 D.Lgs.141/202480% – 150% dei tributi evasi (minimo €500). Se dolo non rilevato oltre soglia, stessa sanzione (c.14) senza confisca.Adesione/Conciliazione: 1/3 del minimo (circ. min. ~26.67% del tributo) in 1° grado; 40%–60% min. se conciliazione in gradi successivi.– Pagamento in 60gg (violazione rilevata immediata): 1/4 dell’irrogato, se previsto dall’atto.– Ravvedimento prima accertamento: no sanzione (esimente).
Omessa dichiarazione di merce (evasione oltre soglia -> contrabbando amministrativo se non dolo)Art.96 c.1 e c.14Stessa misura 80%–150% tributi. Se dolo: v. penale.Come sopra (adesione, conciliazione, ravvedimento). Se dolo riconosciuto: sanzione penale (ammenda 5k-50k € + reclusione 2-5 anni, art.301 TULD prev., ora D.Lgs.141/24).
Violazioni formali (es. errore manifesto, dichiarazione sommaria tardiva)Art.98 D.Lgs.141/2024Importo fisso o % ridotta a seconda dei casi. Esempio: per mancata dichiarazione sommaria/manifesto, sanzione amministrativa proporzionale diritti dovuti, min €2000.Applicabili riduzioni generali (1/3 con adesione, etc.). Spesso l’ADM sta su minimi se contribuente cooperativo.
Altre violazioni (regimi speciali, obblighi vari)Vari articoli (97–105) D.Lgs.141/2024Sanzioni in misura fissa o percentuale secondo fattispecie (allineate come edittali agli importi art.96). Esempio: irregolarità in regime di transito: sanzione 5%–10% dei tributi con min €500.Riduzioni come da strumenti deflattivi se atto impugnato definito. Ravvedimento spesso possibile (es. regolarizzare regime prima di controllo esonera da sanzione).

(Nota: Le sanzioni indicate sono quelle ordinarie per violazioni dopo l’entrata in vigore del D.Lgs.141/2024, salvo diversa indicazione. Per violazioni antecedenti continuano ad applicarsi le norme vigenti pro-tempore, es. art.303 TULD: 100%–200% tributo evaso. L’avvocato valuterà sempre il regime sanzionatorio più favorevole in base al principio del favor rei se applicabile.)

Conclusioni

La difesa nei procedimenti relativi ai tributi doganali richiede un mix di competenze tributarie, conoscenza del diritto doganale unionale e abilità procedurali. Dal punto di vista del debitore, affrontare un accertamento doganale può essere destabilizzante: in gioco vi sono importi spesso ingenti, merci bloccate, e un complesso intreccio di norme nazionali ed europee. Affidarsi a un avvocato specializzato consente di far valere appieno i propri diritti – dal contraddittorio preventivo all’impugnazione in giudizio – e di utilizzare al meglio gli strumenti deflattivi per ridurre sanzioni e tempi. Le recenti innovazioni normative (Statuto del contribuente rafforzato, riforma del sistema sanzionatorio, abrogazione del TULD in favore di regole moderne) offrono oggi maggiori garanzie e opportunità al contribuente onesto: un ravvedimento operoso tempestivo può azzerare le penalità, un contraddittorio ben gestito può evitare l’errore dell’ADM prima che diventi atto, e qualora la controversia approdi in Commissione, la possibilità di definire in ogni grado con sconto sulle sanzioni incentiva soluzioni equilibrate.

In ogni caso, la giurisprudenza più aggiornata conferma che la legge tutela chi agisce in buona fede e con trasparenza: ad esempio, la Cassazione ha escluso che un contribuente possa essere punito penalmente se manca il dolo e ha comunque provveduto a versare il dovuto, rinviando la questione alla sede amministrativa con sanzioni ridotte. Questo orientamento “garantista” è in linea con i principi UE e con l’evoluzione del diritto tributario verso la compliance cooperativa.

Il ruolo dell’avvocato è dunque anche quello di far emergere elementi di buona fede, di collaborazione, di errore scusabile, affinché il suo assistito ottenga il trattamento più favorevole possibile. Dall’altra parte, quando vi sono veri abusi, il legale aiuta a circoscrivere la posizione (spesso evitando accuse penali più gravi) e magari a negoziare il pagamento dei dovuti tributi in maniera sostenibile per l’azienda (rate, transazioni).

In conclusione, “Avvocato per difesa procedimenti Tributi doganali: cosa fa” significa accompagnare il contribuente a 360 gradi: consulenza preventiva, gestione della crisi al momento dell’accertamento, difesa tecnica in giudizio e negoziazione verso soluzioni vantaggiose. Il tutto con un duplice obiettivo: tutelare i diritti (evitando richieste illegittime o sproporzionate) e risolvere il contenzioso nel modo meno oneroso e più rapido possibile per il cliente. In un ambito, quello doganale, dove le regole sono tante e in continua evoluzione, questa figura professionale è divenuta imprescindibile per privati e imprese coinvolti nel commercio internazionale.

Fonti e riferimenti (normativa, prassi, giurisprudenza)

Regolamento (UE) n.952/2013 Codice Doganale dell’Unione.

D.Lgs. 4 ottobre 2024 n.141 – Disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione (riforma della normativa doganale, abrogativo del TULD 1973).

D.Lgs. 8 novembre 1990 n.374 – Revisione dell’accertamento doganale (come modificato da D.L. 16/2012 conv. L.44/2012).

D.P.R. 23 gennaio 1973 n.43 – Testo Unico Leggi Doganali (abrogato dal 2024, rilevante per fatti pregressi).

D.Lgs. 18 dicembre 1997 n.472 – Sanzioni tributarie non penali (principi generali, ravvedimento operoso).

Legge 27 luglio 2000 n.212 – Statuto dei diritti del contribuente (art.6-bis introdotto da D.Lgs. 218/2023 in tema di contraddittorio).

D.Lgs. 19 giugno 1997 n.218 – Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale (modificato dal D.Lgs. 13/2024 su procedura di adesione).

D.Lgs. 31 dicembre 1992 n.546 – Processo tributario (come modif. da L.130/2022 e L.111/2023: mediazione, conciliazione estesa, nuovo nome CGT).

Agenzia delle Dogane – Circolare 20/D del 4.10.2024 (primi chiarimenti alla riforma doganale 2024).

Agenzia Entrate – Circolare 17/E 2018 (mediazione tributaria) e Circolare 2/E 2023 (conciliazione in Cassazione).

Corte di Giustizia UE, sentenza 18.12.2008, causa C-349/07 (Sopropè) – Principio del contraddittorio in materia doganale.

Corte di Giustizia UE, sentenza 20.12.2017, causa C-529/16 (Hamamatsu) – Valore in dogana; divieto di valori medi.

Cass., Sez. Trib., 20/12/2024 n.33498 – Obbligo di contraddittorio prima di rettifica del valore in dogana.

Cass., Sez. Trib., 5/02/2025 n.2919 – (Principio sul contraddittorio endoprocedimentale e nuovi artt.6-bis e 7-bis Statuto, in ambito doganale).

Cass., Sez. Trib., 24/07/2023 n.22200 – Rettifica valore doganale: onere probatorio e diritto difesa.

Cass., Sez. Trib., 23/10/2023 n.29296 – Competenza dell’autorità doganale dello Stato membro in cui è sorta l’obbligazione (principio UE).

Cass., Sez. Trib., 01/12/2023 n.33558 – Regime del perfezionamento attivo: natura eccezionale e recupero dazi IVA in caso di irregolarità.

Cass., Sez. Trib., 20/12/2024 n.33498 – (vedi sopra contraddittorio, doppia menzione intenzionale per evidenza).

Cass., Sez. Trib., 20/12/2024 n.33499 – Origine preferenziale: onere della prova e invalidità certificati.

Cass., Sez. Unite, 30/09/2021 n.28684 – Giurisdizione tributaria esclusiva su controversie dazi/IVA import (non amministrativa), conferma riparto.

Cass., Sez. Trib., 14/07/2023 n.20523 – Definizione agevolata liti pendenti 2023 applicabile a tributi doganali (art.1 c.186 L.197/2022).

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