Hai ricevuto un accertamento fiscale perché l’Agenzia delle Entrate contesta una prestazione occasionale?
Le prestazioni occasionali, se rientrano nei limiti e nelle condizioni stabilite dalla legge, non sono attività abituali e non richiedono partita IVA. Tuttavia, il Fisco può ritenere che si tratti in realtà di lavoro autonomo abituale o di redditi non dichiarati, con conseguente richiesta di imposte, sanzioni e interessi. Sapere come difendersi è fondamentale per evitare di pagare somme non dovute.
Quando può scattare un accertamento su una prestazione occasionale
– Quando l’importo supera i limiti previsti per legge e non è stata aperta la partita IVA
– Quando le prestazioni sono ripetute nel tempo con lo stesso committente o con più committenti
– Quando manca un contratto scritto o una ricevuta con ritenuta d’acconto
– Quando i pagamenti risultano da bonifici, POS o versamenti bancari non giustificati
– Quando la prestazione è ritenuta parte integrante di un’attività professionale già svolta
Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate
– Che l’attività sia in realtà abituale e quindi soggetta a partita IVA e contribuzione previdenziale
– Che i redditi derivanti non siano stati dichiarati correttamente
– Che la ritenuta d’acconto non sia stata applicata o versata
– Che si tratti di operazioni simulate per mascherare un rapporto di lavoro dipendente o autonomo continuativo
Strategie di difesa in caso di accertamento
– Dimostrare, con documenti e testimonianze, che la prestazione è stata effettivamente episodica e non abituale
– Presentare ricevute, contratti o accordi scritti che attestino l’occasionalità
– Fornire elementi che provino l’assenza di organizzazione professionale (niente sede fissa, dipendenti, strumenti continuativi)
– Contestare eventuali errori di calcolo dell’Agenzia delle Entrate
– Chiedere la riduzione di sanzioni e interessi tramite accertamento con adesione se la contestazione è parzialmente fondata
– Eccepire la prescrizione o la decadenza se i termini di accertamento sono scaduti
Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale dell’accertamento se l’occasionalità è dimostrata
– La riduzione significativa delle somme dovute in caso di parziale contestazione
– La sospensione di eventuali cartelle e procedure esecutive
– La tutela del patrimonio personale da ipoteche e pignoramenti
– La chiusura definitiva della controversia senza ulteriori ripercussioni fiscali
Attenzione: il confine tra prestazione occasionale e attività abituale è spesso interpretato in modo restrittivo dal Fisco. Una corretta documentazione e una strategia difensiva mirata possono fare la differenza tra pagare e non pagare.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega come affrontare un accertamento fiscale su una prestazione occasionale e quali strategie adottare per tutelarti.
Hai ricevuto un accertamento e vuoi dimostrare che la tua era una prestazione occasionale?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a raccogliere le prove, contestare la pretesa e proteggere i tuoi diritti fiscali.
Introduzione
L’accertamento fiscale su prestazioni occasionali è un tema di grande attualità nel panorama tributario italiano. Molti contribuenti – professionisti, privati cittadini e imprenditori – si trovano nella situazione di svolgere attività lavorative senza partita IVA, qualificandole come prestazioni di lavoro autonomo occasionali. Tali prestazioni, seppur legittime entro determinati limiti giuridici, possono diventare oggetto di verifiche fiscali qualora il Fisco sospetti un esercizio abituale dell’attività, con conseguente omessa apertura della partita IVA o altre irregolarità. Dal punto di vista del contribuente (debitore), è fondamentale conoscere le norme che disciplinano il lavoro occasionale, le possibili contestazioni dell’Amministrazione finanziaria e le strategie di difesa disponibili in sede amministrativa e contenziosa.
In questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamineremo in dettaglio la disciplina delle prestazioni occasionali in Italia, con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro e divulgativo. Verranno affrontati i riferimenti normativi di base, le differenze tra lavoro occasionale e attività abituale con partita IVA, gli obblighi fiscali e previdenziali connessi, nonché le procedure di accertamento più frequenti. Ampio spazio sarà dedicato alle strategie difensive che il contribuente può adottare in caso di contestazione da parte del Fisco: dall’analisi dei presupposti della pretesa tributaria, alle recenti sentenze e chiarimenti di prassi utili per sostenere le proprie ragioni, fino agli strumenti deflattivi e ai rimedi giurisdizionali disponibili.
Saranno inoltre fornite tabelle riepilogative per sintetizzare i punti chiave – ad esempio sui limiti di reddito, obblighi e sanzioni – e un’ampia sezione di Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Non mancheranno casi pratici e simulazioni inerenti al contesto italiano, per mostrare concretamente come viene inquadrata una prestazione occasionale e cosa accade quando l’Agenzia delle Entrate (o altri enti come l’INPS) contestano un’attività ritenuta, invece, abituale. L’obiettivo è offrire una guida completa, dal taglio pratico e operativo, rivolta sia ai professionisti del settore legale e fiscale (avvocati tributaristi, commercialisti), sia ai privati e imprenditori che vogliono comprendere come gestire correttamente (e difendere) le prestazioni occasionali.
Prima di entrare nel vivo, è importante sottolineare che la distinzione tra lavoro occasionale e abituale non dipende meramente da soglie economiche o durate prefissate, bensì da un insieme di fattori qualitativi individuati dalla legge e dalla giurisprudenza. Ad esempio, la legge Biagi in passato fissava limiti di 30 giorni annui e 5.000 € per considerare “occasionale” una collaborazione, ma tali vincoli non sono più in vigore dal 25 giugno 2015. Oggi conta soprattutto la natura dell’attività: l’assenza di professionalità, abitualità, continuità e organizzazione distingue il lavoro autonomo occasionale dal lavoro autonomo in forma d’impresa o professione abituale. Nel corso di questa guida vedremo cosa ciò significa in concreto e come tale qualificazione incide sugli obblighi fiscali e contributivi, nonché sulle possibili contestazioni del Fisco.
Prestazione occasionale: nozione e quadro normativo
Per impostare una corretta strategia difensiva è necessario innanzitutto comprendere cosa si intenda per prestazione di lavoro autonomo occasionale dal punto di vista giuridico-fiscale. Si tratta di un’attività autonoma (senza vincolo di subordinazione) svolta in modo saltuario e sporadico, non abituale né professionale, da parte di un soggetto che non ha partita IVA aperta. La definizione civilistica si rinviene nell’art. 2222 del Codice Civile (contratto d’opera), mentre la definizione fiscale emerge dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) e dalle norme IVA. Di seguito riepiloghiamo i riferimenti principali:
- Articolo 67, comma 1, lettera l) del TUIR (D.P.R. 917/1986) – Include tra i redditi diversi “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente”. Dunque, i compensi percepiti per prestazioni di lavoro autonomo svolte in via occasionale, se non rientrano in redditi di capitale né derivano dall’esercizio di arti, professioni o imprese commerciali, sono classificati come redditi diversi ai fini IRPEF. Tali redditi sono tassati nell’IRPEF secondo il principio di cassa (nell’anno in cui sono percepiti) e determinati al netto delle spese specificamente inerenti la loro produzione (art. 71, comma 2 TUIR). In pratica, il prestatore occasionale può dedurre dagli incassi eventuali costi direttamente legati alla prestazione (es. materiale specifico, spese di viaggio documentate per eseguire l’opera), ottenendo il reddito imponibile su cui calcolare l’IRPEF.
- Articolo 53 del TUIR – Definisce i redditi di lavoro autonomo ordinari, che ricomprendono i redditi derivanti dall’esercizio abituale di arti e professioni. La distinzione chiave rispetto all’art. 67 citato è proprio il requisito dell’abitualità: quando l’attività è esercitata con carattere professionale e continuativo, i compensi rientrano in questa categoria (redditi da lavoro autonomo abituale) e tipicamente il contribuente è titolare di Partita IVA. Se invece manca l’abitualità, si ricade nei redditi diversi da prestazione occasionale. Non esiste una franchigia di ricavi o una soglia temporale rigida per distinguere le due fattispecie – contrariamente a quanto molti pensano – ma è richiesta una valutazione caso per caso delle caratteristiche dell’attività svolta.
- D.P.R. 633/1972 (IVA), art. 5 e art. 1 – La normativa IVA prevede che l’imposta si applichi alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di arti e professioni (art. 1, 3 e 5 DPR 633/72). Per esercizio di arti e professioni si intende “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche”. Ne consegue che un’attività occasionale è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, non configurandosi esercizio professionale abituale. Il lavoratore autonomo occasionale, dunque, non deve aprire partita IVA né applicare l’IVA sulle somme percepite, a patto che la sua attività rimanga effettivamente priva del carattere di abitualità. Viceversa, se dall’analisi concreta emergesse un’attività organizzata e continuativa, il Fisco potrebbe contestare l’omessa istituzione della partita IVA e l’omessa fatturazione con IVA dei compensi. Approfondiremo oltre questa ipotesi dal punto di vista sanzionatorio.
- Norme previdenziali (L. 335/1995 art. 2 co. 26; D.L. 269/2003 art. 44; D.L. 98/2011 art. 18) – Sul fronte contributivo, il lavoratore autonomo occasionale (non iscritto ad altre gestioni previdenziali specifiche) è soggetto all’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS solo al superamento di un certo reddito annuo. In particolare, in base alla normativa vigente, se il totale dei compensi occasionali supera 5.000 € annui (soglia intesa al netto delle spese deducibili), scatta l’obbligo di versare i contributi previdenziali alla Gestione Separata sulla parte eccedente tale importo. Al contrario, per redditi occasionali fino a 5.000 € lordi annui complessivi, non vi è contribuzione dovuta (si considera tale soglia come un esonero contributivo, coerente con la natura non abituale dell’attività). Attenzione: Questo limite riguarda i soli contributi INPS, non va confuso con limiti fiscali. Infatti, come chiarito dalla Cassazione, la produzione di un reddito sopra i 5.000 € è il presupposto per obbligo contributivo anche in caso di attività occasionale, mentre se l’attività è abituale il soglia dei 5.000 € diventa irrilevante perché l’obbligo contributivo sorge comunque fin dal primo euro (in quanto attività da svolgersi in regime professionale). Torneremo su questo punto analizzando le pronunce giurisprudenziali più recenti.
- Legislazione del lavoro – Un ulteriore aspetto normativo da considerare è la regolamentazione sul piano lavoristico. La cosiddetta “prestazione occasionale” infatti assume significati diversi se vista dal diritto del lavoro: dopo l’abrogazione dei voucher avvenuta nel 2017, è stato introdotto il Contratto di Prestazione Occasionale (anche noto come “PrestO” o libretto di famiglia, ex art. 54-bis D.L. 50/2017) per consentire a imprese e famiglie di avvalersi di lavoro occasionale di tipo accessorio (soprattutto per piccoli lavori domestici, agricoli, manifestazioni, ecc.). Questo istituto però ha regole proprie (limiti di importo, obbligo di registrazione sulla piattaforma INPS, compensi predeterminati con contributi e assicurazione INAIL inclusi) e non coincide con la prestazione di lavoro autonomo occasionale disciplinata dal Codice Civile e dal TUIR. È importante non confondere le due cose: nella presente guida tratteremo prevalentemente della prestazione occasionale autonoma ex art. 2222 c.c., produttiva di redditi diversi ex art. 67 TUIR. Il contratto di prestazione occasionale ex D.L. 50/2017 verrà richiamato solo per distinguere i diversi regimi. Ad esempio, il contratto “PrestO” prevede un tetto di 5.000 € annui per utilizzatore (più alto, 10.000 €, in alcuni settori come agriturismi, enti turistico-ricettivi, discoteche e spettacoli, grazie alle estensioni della Legge di Bilancio 2023) ma questo limite non incide sulla definizione fiscale di occasionalità; riguarda piuttosto la liceità dell’utilizzo di tale strumento nel diritto del lavoro.
In sintesi, una prestazione di lavoro autonomo è “occasionale” quando manca il requisito dell’abitualità. Come indicato anche in una nota interpretativa del Ministero delle Finanze, essa si caratterizza per “l’assenza di abitualità, professionalità, continuità e coordinazione”. Ciò significa che l’attività del prestatore non deve ripetersi con regolarità nel tempo, non deve presentarsi come una vera e propria professione (mancano un’organizzazione stabile e un intento sistematico di lucro) né deve implicare una serie di atti economici coordinati tra loro al fine di perseguire uno scopo tipico di un’attività d’impresa. Non esistono parametri numerici predefiniti (né di durata, né di importo) per qualificare un’attività come occasionale: la verifica va fatta caso per caso, ricercando nella fattispecie concreta la presenza o assenza dei caratteri sopra elencati. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito di recente che il valore economico del compenso non costituisce di per sé parametro risolutivo, e che nelle sue pronunce “non utilizza mai un valore di riferimento al di sotto del quale un’attività si configura come occasionale”, privilegiando invece criteri di regolarità e ripetitività dell’attività. Questo concetto è cruciale: non esiste una soglia fissa di € sotto cui si è “al sicuro” dall’obbligo di aprire la partita IVA. Anche importi modesti, se derivanti da un’attività esercitata con continuità (ad esempio insegnare lezioni private tutte le settimane dell’anno), comportano la qualificazione come attività abituale e l’obbligo di operare con partita IVA. Viceversa, un singolo incarico isolato, magari remunerato anche con qualche migliaio di euro, può legittimamente rientrare nell’occasionalità se resta un episodio unico e non inserito in un contesto organizzato.
Dal quadro normativo emerge quindi una linea di confine sottile tra lavoro autonomo occasionale e attività d’impresa/professionale: confine che non è tracciato da semplici numeri ma da elementi fattuali. Questa “zona grigia” può dare adito a interpretazioni discordanti e, spesso, a contese tra contribuenti e Fisco. Nei paragrafi successivi analizzeremo le possibili contestazioni fiscali in materia e come predisporre una difesa efficace, facendo leva su normativa e giurisprudenza più aggiornata.
Obblighi fiscali e contributivi nelle prestazioni occasionali
Prima di affrontare gli scenari di accertamento, riepiloghiamo gli adempimenti fiscali e previdenziali che gravano su chi svolge (o utilizza) prestazioni occasionali lecite. Conoscere bene tali obblighi è utile sia per evitare violazioni (prevenendo quindi il contenzioso), sia per valutare la correttezza di eventuali pretese sanzionatorie.
Ricevuta e ritenuta d’acconto
Il lavoratore autonomo occasionale, non avendo partita IVA, non emette fattura, bensì una ricevuta per prestazione occasionale. Su tale ricevuta (non fiscale) vanno indicati: i dati anagrafici di prestatore e committente, la descrizione dell’opera o servizio svolto, la data e l’importo lordo dovuto. Se il committente è un soggetto con partita IVA (impresa, professionista, ente), egli assume il ruolo di sostituto d’imposta e deve applicare sul compenso una ritenuta d’acconto del 20%. In pratica, il committente trattiene il 20% dell’importo e lo versa all’Erario a titolo di acconto dell’IRPEF dovuta dal prestatore; sulla ricevuta comparirà quindi sia il compenso lordo sia la ritenuta effettuata (con indicazione del netto corrisposto). Ad esempio, se Tizio svolge una prestazione occasionale per una società per 1.000 € lordi, riceverà 800 € netti e la società verserà 200 € come ritenuta.
Se invece il committente è un privato senza partita IVA, non opera alcuna ritenuta (non essendo sostituto d’imposta). In tal caso, il prestatore percepisce l’intero importo e dovrà poi provvedere autonomamente al versamento dell’imposta in sede di dichiarazione dei redditi. Una nota di colore: le ritenute non si applicano comunque per compensi di importo minimo inferiore a 25,82 € (vecchia soglia prevista dal DPR 600/1973, ancora citata in dottrina), ma si tratta di casi poco rilevanti nella pratica.
Il sostituto d’imposta committente, dopo aver operato la ritenuta, è tenuto a includere quel compenso nella Certificazione Unica (CU) annuale del prestatore. Questo documento (che ha sostituito il CUD) riporta i dati dei compensi e delle ritenute versate, ed è trasmesso anche all’Agenzia delle Entrate. Attraverso tali comunicazioni, il Fisco può verificare se il prestatore ha poi dichiarato quei redditi nella propria dichiarazione IRPEF. Ogni compenso occasionale deve essere riportato dal percipiente nella Dichiarazione dei Redditi (Quadro RL – Redditi diversi), a meno che il contribuente rientri nei casi di esonero dall’obbligo dichiarativo. A tal proposito, è utile ricordare che chi abbia percepito solo redditi occasionali fino a 4.800 € lordi annui, senza altre tipologie di reddito, è esonerato dalla presentazione della dichiarazione. Ciò deriva dal fatto che fino a 4.800 € il reddito ricade interamente nella no tax area per lavoro autonomo occasionale (grazie alle detrazioni da lavoro, l’IRPEF risulta azzerata). Tuttavia, anche in tal caso è consigliabile presentare la dichiarazione se sono state operate ritenute: presentandola, infatti, il contribuente può ottenere il rimborso di eventuali crediti d’imposta derivanti da ritenute subite in eccesso. Esempio: Caio nel 2024 ha solo un reddito occasionale di 3.000 € con 600 € di ritenute subite; non sarebbe obbligato a dichiarare, ma se lo fa può recuperare gran parte di quei 600 € come credito IRPEF perché l’imposta dovuta su 3.000 € (al netto delle detrazioni) sarebbe inferiore.
Riassumendo:
- Ricevuta: obbligatoria per formalizzare il pagamento, non è un documento fiscale ai fini IVA ma serve come quietanza e per eventuali controlli. Deve indicare compenso lordo e ritenuta (se applicata). Suggerimento pratico: inserire sempre sulla ricevuta la dicitura che trattasi di prestazione occasionale ai sensi dell’art. 2222 c.c. e art. 67 TUIR, per chiarirne la natura.
- Ritenuta 20%: applicata dal committente con P.IVA su importi ≥ 25,82 €. Non è invece applicata se il committente è privato o ente non sostituto.
- Certificazione Unica: rilasciata dal committente sostituto entro il 16 marzo dell’anno successivo. Il prestatore deve conservarla e usarla per la dichiarazione.
- Dichiarazione dei redditi: necessaria se si superano 4.800 € annui di reddito occasionale o se si vogliono recuperare ritenute. In dichiarazione, il reddito occasionale (al netto delle spese specifiche) confluirà nei redditi diversi e le ritenute costituiranno credito d’imposta in detrazione dall’IRPEF lorda. Non sono previsti acconti IRPEF su tali redditi (trattandosi di redditi diversi non soggetti ad acconto automatico, a meno che il contribuente non abbia voluto inserirli nel calcolo acconti volontariamente).
Aspetti previdenziali: la soglia dei 5.000 € e l’iscrizione alla Gestione Separata
Come accennato, per la prestazione occasionale di natura autonoma vige la regola per cui il committente non versa contribuzione previdenziale per il prestatore (a differenza di quanto accade, ad esempio, per i co.co.co o i lavoratori dipendenti). La tutela pensionistica del lavoratore occasionale è demandata all’INPS Gestione Separata, ma solo oltre un certo limite di compensi. In particolare:
- Fino a 5.000 € lordi annui (cumulati su tutti i committenti): nessun obbligo contributivo. Il prestatore occasionale non deve iscriversi alla Gestione Separata né versare contributi, in quanto il legislatore ha previsto una deroga per i piccoli importi, riconoscendo che sotto tale soglia l’attività è di modesta entità e spesso integrativa di altri redditi. Questo principio è stato confermato anche dalla giurisprudenza: la Corte di Cassazione ha affermato che percepire redditi inferiori a 5.000 € è un chiaro indice di occasionalità (quindi di non abitualità) dell’attività, motivo per cui non sorge obbligo contributivo se non oltre tale soglia.
- Superamento di 5.000 € annui: scatta l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS e di versare i contributi sulla parte eccedente i 5.000 €. Ad esempio, se Sempronio nel 2025 ottiene compensi occasionali totali per 7.000 €, dovrà versare i contributi sulla quota eccedente 5.000, quindi su 2.000 €. L’aliquota contributiva per i lavoratori autonomi occasionali iscritti alla Gestione Separata è la stessa prevista per i lavoratori parasubordinati (co.co.co.) senza altra tutela pensionistica, pari al 33% circa (nel 2025) sulla quota eccedente. Va sottolineato che il versamento è a carico del prestatore: non essendoci un datore di lavoro in senso tecnico, il contributo è dovuto per intero dal lavoratore (anche se, per prassi, quando il committente è un’azienda, spesso ci si accorda per riconoscere al lavoratore un lordo maggiore in modo da compensare l’onere contributivo che dovrà sostenere). A differenza delle ritenute fiscali, qui non c’è sostituto d’imposta: sarà il lavoratore stesso a dover comunicare all’INPS di aver superato la soglia annuale e provvedere ai versamenti contributivi dovuti alla gestione separata, tipicamente tramite il modello F24. In realtà l’obbligo formale di iscrizione e versamento scatta ex lege al superamento del tetto, anche senza una comunicazione spontanea: l’INPS può accorgersene incrociando i dati fiscali (ad es. dalle Certificazioni Uniche o dalla dichiarazione dei redditi) e successivamente richiedere il pagamento con sanzioni per omissione se il lavoratore non ha provveduto.
- Soggetti già assicurati altrove: Se il prestatore occasionale è già titolare di altra copertura previdenziale obbligatoria (ad es. è un lavoratore dipendente o un professionista iscritto a una Cassa di categoria), teoricamente l’obbligo di contribuzione per i redditi occasionali oltre 5.000 € permane, in quanto la legge non distingue. Tuttavia, ci sono state incertezze interpretative: nel caso dei professionisti iscritti a un Albo con cassa privata, il problema principale è se possano considerarsi “occasionali” prestazioni inerenti la loro professione. Su questo torneremo a proposito della Risoluzione 41/E/2020 e della giurisprudenza recente. In ogni caso, il contributo alla Gestione Separata è dovuto solo per redditi non già assoggettati ad altra contribuzione obbligatoria. Un avvocato o un ingegnere che svolga occasionally un’attività fuori dal suo ambito professionale (dunque non soggetta alla sua Cassa) pagherà Gestione Separata oltre i 5.000 €, mentre se l’attività rientra nell’ambito professionale, probabilmente non potrà neanche qualificarsi come occasionale (secondo l’AdE) ed egli dovrebbe contribuire dalla prima euro (in Gestione Separata se non tenuto alla Cassa per introiti minimi).
Un recente orientamento della Corte di Cassazione (Sez. Lavoro) ha chiarito la correlazione tra abitualità e obblighi contributivi: “L’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione […]; la produzione di un reddito superiore alla soglia di 5.000 € costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa comportare l’iscrizione alla medesima Gestione”. Questo significa che per i soggetti che svolgono abitualmente la professione (es. un avvocato che esercita continuativamente senza cassa), l’iscrizione è dovuta a prescindere dalla soglia reddituale (anche sotto 5.000 €), mentre per le attività realmente occasionali il superamento di 5.000 € è la condizione per dover contribuire. In generale, la soglia dei 5.000 € va considerata come spartiacque contributivo, non come definizione di abitualità: non c’è nessuna norma che dica “sotto i 5.000 € l’attività è occasionale” (è occasionalità che esonera dai contributi, non viceversa). Il rischio, però, è che sia il contribuente sia alcuni uffici facciano confusione su questo punto. È importante quindi per il difensore saper argomentare che un eventuale reddito anche elevato può teoricamente essere occasionale (anche se sul piano fattuale ciò è raro), così come un reddito basso può provenire da attività abituale (si pensi a chi inizia un’impresa e nel primo anno fattura 4.000 € – l’attività non è per ciò stesso occasionale).
Comunicazione preventiva al Laboratorio e altri obblighi per il committente
Dal 2022 è entrato in vigore un ulteriore adempimento, in ambito lavoristico, che può riguardare le prestazioni occasionali autonome: la comunicazione preventiva obbligatoria all’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Il Decreto Fisco-Lavoro (D.L. 146/2021, convertito con L. 215/2021) ha infatti previsto che i committenti imprenditori che si avvalgono di lavoratori autonomi occasionali debbano comunicare l’avvio della collaborazione al fine di contrastare forme elusive (lavoro nero camuffato da occasionale). Vediamo i punti chiave:
- Chi deve fare la comunicazione: Solo i committenti che operano in qualità di imprenditori sono tenuti all’adempimento. Ciò significa che una società, un’impresa individuale o altro soggetto economico con natura imprenditoriale deve effettuare la comunicazione. Sono esclusi invece i committenti professionisti (non imprenditori) e in generale chi non esercita attività d’impresa. Ad esempio, uno studio legale (avvocato in forma individuale) che incarica un occasionalmente un grafico non è tenuto a questa comunicazione perché l’avvocato non è imprenditore commerciale; una SRL che incarica lo stesso grafico sì. Sono esclusi anche i casi già regolamentati altrove: collaborazioni coordinate e continuative (già soggette a comunicazione Unilav), contratti di prestazione occasionale tipo PrestO (che hanno proprie regole di registrazione sulla piattaforma INPS), e rapporti intermediati da piattaforme digitali (che hanno obblighi di comunicazione a parte).
- Modalità e tempistiche: La comunicazione va fatta prima dell’inizio della prestazione (pena la sanzione) e va indirizzata all’Ispettorato del Lavoro competente per territorio. Inizialmente (gennaio 2022) era consentito inviare una email PEC a indirizzi dedicati, ma dal 1° maggio 2022 è attiva un’applicazione online (portale servizi.lavoro.gov) da utilizzare per la comunicazione telematica. È comunque previsto che in casi particolari si possa ancora usare la mail. Nella comunicazione occorre indicare i dati del committente e del prestatore, la descrizione dell’attività, la data di inizio e presumibile durata (o termine) della prestazione e il compenso pattuito. Se la prestazione si prolunga oltre il termine comunicato, occorre inviare una nuova comunicazione.
- Sanzioni: La mancata o tardiva comunicazione comporta una sanzione amministrativa da 500 € a 2.500 € per ciascun lavoratore occasionale per cui si omette la comunicazione. Non è ammessa diffida con sanzione minima: quindi anche una sola omissione può costare 500 € (fino a 2.500 € in base alla gravità o recidiva). È importante notare che tale violazione è in capo al committente imprenditore, non al prestatore. Tuttavia, gli effetti indiretti riguardano anche il lavoratore: un’assenza di comunicazione può insospettire l’Ispettorato, che a seguito di accesso ispettivo potrebbe presumere trattarsi di lavoro “nero” e riqualificare la prestazione come rapporto di lavoro subordinato in nero, con pesanti conseguenze (maxisanzione per lavoro nero al datore di lavoro, imposizione di assunzione retroattiva, ecc.). Pertanto, è interesse di entrambe le parti rispettare questo obbligo.
Implicazioni pratiche: se sei un’impresa che vuole servirsi di collaborazioni occasionali, assicurati di fare la comunicazione preventiva. Dal punto di vista difensivo, un contribuente persona fisica che subisca un accertamento fiscale potrebbe giovarsi del fatto che il proprio committente abbia effettuato la comunicazione: ciò dimostra che il rapporto era dichiarato come occasionale fin dall’inizio, aggiungendo credibilità alla tesi dell’occasionalità. Viceversa, se la comunicazione era dovuta e non è stata fatta, l’azienda committente potrebbe subire sanzioni e, in caso di verifiche incrociate, il Fisco potrebbe guardare con maggior sospetto a quei pagamenti. In un eventuale contenzioso, comunque, la violazione di natura lavoristica (mancata comunicazione) non influisce direttamente sulla qualifica fiscale del reddito, ma certamente rafforza la posizione dell’Agenzia qualora questa sostenga che c’era volontà di occultare un rapporto continuativo.
Riepilogo obblighi e adempimenti
Per fissare le idee, riportiamo una tabella riassuntiva degli obblighi in capo al prestatore occasionale e al committente, confrontandoli anche con quelli di un lavoratore autonomo abituale con partita IVA:
Aspetto | Lavoro Autonomo Occasionale | Lavoro Autonomo Abituale (P.IVA) | Lavoro Dipendente |
---|---|---|---|
Inquadramento fiscale | Reddito diverso (art. 67 TUIR). Niente IVA. | Reddito di lavoro autonomo (art. 53 TUIR). IVA applicabile sulle fatture (salvo esenzioni). | Reddito di lavoro dipendente (art. 49 TUIR). |
Partita IVA | No, se effettivamente privo di abitualità. Apertura vietata? (non necessaria) | Sì, obbligatoria (dichiarazione inizio attività, obblighi IVA). | No (è il datore di lavoro che ha eventualmente P.IVA). |
Documentazione compenso | Ricevuta non fiscale con ritenuta d’acconto 20% se committente con P.IVA. | Fattura con IVA (ordinaria o regime forfettario), eventuale ritenuta d’acconto per professionisti (20% su fatture a sostituti). | Busta paga con ritenute IRPEF e contributi. |
Ritenute fiscali | 20% a titolo d’acconto operate dal committente sostituto. Nessuna se committente privato. | 20% su compensi a professionisti in contabilità semplificata (sostituto trattiene). Regime forfettario: esonero ritenuta. | IRPEF a scaglioni trattenuta in busta paga (sostituto d’imposta datore). |
Dichiarazione dei redditi | Quadro RL (redditi diversi). Obbligatoria se > €4.800 o per recupero crediti. | Quadro RE o RF, presentazione obbligatoria (Mod. Redditi PF). | Modello 730 o Redditi PF per conguaglio (di norma il sostituto effettua il conguaglio, ma dichiarazione non obbligatoria se solo reddito dip.). |
Contributi previdenziali | Nessuno fino a €5.000 cumulati. Oltre €5.000: iscrizione Gestione Separata e versamento su eccedenza. Aliquota ~33% (tutta a carico prestatore). | Iscrizione gestione previdenziale artigiani/commercianti o Cassa professionale se ordinista; versamenti su tutto il reddito (aliquote varie, contributi minimi fissi per artigiani/commercianti, percentuali su reddito per casse). Ripartizione contributi tra lavoratore e cliente solo per collaborazione coordinata (4% in fattura se addebitato). | Iscrizione a fondo pensione lavoratori dipendenti (INPS), contributi su retribuzione con ripartizione (circa 2/3 datore, 1/3 lavoratore). |
Altre assicurazioni | Nessuna assicurazione obbligatoria (salvo casi particolari). | Se professione regolamentata: polizze obbligatorie (RC professionale). Infortuni INAIL solo per alcune categorie (artigiani). | INAIL obbligatoria a carico del datore + eventuali fondi integrativi CCNL. |
Comunicazione preventiva | Sì, il committente imprenditore deve comunicarla all’ITL prima dell’inizio. (Non richiesta se committente non imprenditore) | Non applicabile (si tratta di rapporto d’affari standard, non di “utilizzo di autonomo occasionale”). | Comunicazione di assunzione al Centro per l’Impiego (UNILAV) a carico del datore almeno il giorno prima dell’assunzione. |
Termini di pagamento imposte | IRPEF a saldo in dichiarazione (giugno/luglio anno successivo), acconti non dovuti se solo redditi diversi. | Versamenti periodici IVA (trimestrali o mensili), saldo IRPEF e acconti secondo regole fiscali ordinarie, eventuale IRAP. | Ritenute IRPEF versate mensilmente dal datore; conguaglio a fine anno. Dipendente non effettua versamenti diretti. |
(Tabella 1: Confronto tra prestazione occasionale, lavoro autonomo con P.IVA e lavoro subordinato)
Come si evince dalla tabella, il regime della prestazione occasionale è semplificato (niente IVA, niente contributi sotto certe soglie, minori adempimenti contabili). Questa semplicità è attrattiva per molti, ma un uso improprio – cioè l’utilizzo di tale regime per attività che in realtà avrebbero natura professionale abituale – comporta rischi notevoli: recupero di imposte (IVA, eventuale IRAP), sanzioni per omessa fatturazione e mancata apertura di partita IVA, e contributi previdenziali evasi, oltre a possibili contestazioni in ambito lavoristico (riqualificazione dei rapporti di lavoro). Nei prossimi capitoli vedremo proprio queste conseguenze in dettaglio, analizzando i possibili accertamenti fiscali e come impostare una difesa efficace dal punto di vista del contribuente (che chiameremo “debitore” in quanto destinatario di richieste di tributi o contributi).
Accertamenti fiscali sulle prestazioni occasionali: cause e tipologie
Un accertamento fiscale relativo a prestazioni occasionali può scaturire da diverse circostanze. Conoscere come e perché il Fisco avvia i controlli in questo ambito aiuta il contribuente sia a prevenirli (operando correttamente ex ante), sia a capire quali aspetti verranno scrutinati durante la verifica. Di seguito, esaminiamo le situazioni più comuni che portano l’Agenzia delle Entrate (o altri enti) a concentrare l’attenzione sulle prestazioni occasionali:
1. Disallineamento tra Certificazioni Uniche e dichiarazione dei redditi: Come detto, i committenti trasmettono all’AdE le CU con i compensi erogati e le ritenute. Il sistema automatizzato dell’Anagrafe Tributaria confronta questi dati con quanto dichiarato dai percipienti. Se un contribuente ha percepito, ad esempio, 10.000 € lordi in ricevute occasionali (magari da più committenti) con ritenute per 2.000 €, ma nella sua dichiarazione dei redditi non ha indicato alcun reddito diverso o ha indicato importi inferiori, scatterà un alert. L’Agenzia potrà inviare una comunicazione di compliance (invito a presentare dichiarazione integrativa) oppure procedere a un avviso di accertamento per redditi non dichiarati. Questo tipo di accertamento punta semplicemente a recuperare l’IRPEF evasa sul reddito non dichiarato, più sanzioni (30% dell’imposta omessa) e interessi. In tali casi, le strategie difensive del contribuente sono limitate: se effettivamente c’è stato un omesso/tardivo inserimento di redditi occasionali nella dichiarazione, conviene spesso utilizzare strumenti come il ravvedimento operoso (se il Fisco non si è ancora mosso) o l’adesione per ridurre le sanzioni. Va detto che, se sui compensi erano state già versate ritenute, spesso l’IRPEF residua dovuta è minima o nulla (le ritenute potrebbero coprire interamente l’imposta): tuttavia l’omessa dichiarazione costituisce violazione formale e può dar luogo a sanzioni anche solo per questo, oltre a far perdere eventuali crediti.
2. Attività qualificate come occasionali ma ritenute abituali dall’Agenzia: Questo è il caso più delicato e tipicamente coinvolge soggetti che non hanno aperto partita IVA dichiarando di operare occasionalmente, ma che presentano caratteristiche (o volumi) tali da far sospettare un’attività in realtà professionale. L’accertamento qui è qualitativo: il Fisco contesta la riqualificazione dei compensi da redditi diversi a redditi di lavoro autonomo abituale (o d’impresa). Le implicazioni possono includere:
- Recupero dell’IVA non applicata sulle operazioni compiute (più sanzione standard per omessa fatturazione e versamento IVA, pari generalmente al 90% dell’imposta evasa, riducibile se ci sono adesioni o conciliazioni).
- Applicazione dell’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive) se l’attività requalificata rientra tra quelle autonomamente organizzate. C’è da dire che il più delle volte un lavoratore autonomo individuale senza organizzazione di capitali o dipendenti riesce a far escludere l’IRAP (come confermato in molte sentenze di merito e di Cassazione). Tuttavia, l’Ufficio potrebbe richiederla qualora ravvisi, ad esempio, una struttura organizzativa stabile nella finta “occasionale”.
- Sanzioni per omessa dichiarazione di inizio attività ai fini IVA (viola l’obbligo di cui all’art. 35 DPR 633/72) e per l’omessa tenuta delle scritture contabili. Queste sanzioni amministrative, tuttavia, spesso vengono “assorbite” o contestate unitamente alle sanzioni sull’IVA.
- Segnalazione all’INPS per recupero dei contributi dovuti in Gestione Separata sin dall’inizio dell’attività (senza applicazione della franchigia di 5.000 € se davvero l’attività era abituale). L’INPS in tal caso può emanare un proprio avviso di addebito o iscrivere a ruolo le somme. La giurisprudenza ha stabilito che l’accertamento dell’abitualità incide sull’obbligo contributivo: in un caso discusso nel 2021, la Cassazione ha affermato che spetta all’INPS provare l’abitualità per esigere contributi oltre la sua soglia, e che l’iscrizione all’Albo o persino il possesso di partita IVA non sono di per sé prove incontrovertibili di abitualità. Ciò può offrire appigli difensivi (vedremo dopo). Tuttavia, se il Fisco e l’INPS agiscono di concerto sostenendo che l’attività andava svolta professionalmente, il debitore rischia un doppio fronte di contestazione, tributario e previdenziale.
Da cosa capisce il Fisco che l’attività non era davvero occasionale? Gli indizi possono essere: un elevato numero di ricevute occasionali emesse in un anno, magari verso diversi clienti; importi significativi (ad esempio decine di migliaia di euro) per più anni consecutivi; la presenza di un’organizzazione (sito web professionale, pubblicità, utilizzo di beni strumentali rilevanti, presenza di collaboratori); l’iscrizione del soggetto a un Albo professionale inerente l’attività svolta. Su quest’ultimo punto, l’Agenzia Entrate ha assunto una posizione rigida: con la Risoluzione n. 41/E del 15.07.2020, ha chiarito che nessuna attività svolta da un professionista iscritto a un Albo può essere considerata prestazione occasionale nel campo di quella professione. Il caso riguardava un giovane medico (iscritto all’Ordine) che effettuava delle sostituzioni di guardia medica e chiedeva se poteva qualificarle come occasionali: la risposta fu negativa, in quanto l’iscrizione all’Albo indicava di per sé la volontà di esercitare la professione medica in modo organizzato e abituale. Strategia del Fisco: se sei un ingegnere, un avvocato, un commercialista ecc. iscritto all’Albo, il Fisco presume che qualunque prestazione nel tuo campo debba passare tramite partita IVA e fattura. Quindi l’Agenzia può contestare a un avvocato che ha emesso ricevute occasionali per consulenze legali (senza fattura) l’evasione IVA e l’occultamento di redditi da lavoro autonomo. Anche enti committenti che accettano ricevute occasionali da professionisti ordinistici rischiano: la Risoluzione 41/E evidenzia che tali enti potrebbero essere chiamati corresponsabili delle sanzioni se hanno “approfittato” di giovani professionisti spaventati dalla partita IVA, pagandoli come occasionali quando non avrebbero dovuto.
Vale la pena notare che su questo tema la Cassazione ha dato segnali non del tutto allineati con l’Agenzia: con la Sentenza n. 10267 del 19 aprile 2021, la Suprema Corte ha affermato che la mera iscrizione a un Albo professionale, da sola, non basta a dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività. In quella controversia (ambito previdenziale), si stabilì che l’abitualità va provata da chi la contesta (INPS) e va accertata guardando alla condotta effettiva del professionista. Il semplice fatto di aver aperto partita IVA o di essere iscritto all’Ordine non è di per sé la “pistola fumante” dell’abitualità. Ciò significa che un professionista con Albo, in astratto, può svolgere un singolo incarico isolato come occasionale, se riesce a provare che si trattava di un episodio estemporaneo e non di una scelta di operare stabilmente. Questo contrasto di vedute tra prassi dell’Agenzia e giurisprudenza (2021) crea incertezza: nella pratica un professionista prudentemente dovrebbe evitare di emettere ricevute occasionali nel proprio campo (anche perché gli Ordini stessi lo vietano deontologicamente), ma se ciò è avvenuto, in sede di difesa si potrà citare la giurisprudenza per sostenere che non conta tanto l’iscrizione quanto la concreta dimensione “ex ante” della scelta professionale. Ad ogni modo, su questo fronte nel 2024 si registrano nuove pronunce della Cassazione (che vedremo nella sezione Giurisprudenza aggiornata), le quali sembrano aver nuovamente stretto le maglie per i professionisti ordinistici con redditi, ancorché bassi, ma derivanti dalla professione.
3. Utilizzo dell’occasionalità per celare rapporti di lavoro dipendente o co.co.co: Un’altra tipologia di accertamento riguarda situazioni in cui il Fisco, talvolta in sinergia con l’Ispettorato del Lavoro o l’INPS, contesta al committente di aver fatto passare come “prestazioni occasionali” quelli che di fatto erano rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) o addirittura di lavoro subordinato. Questo fenomeno tocca più la posizione del committente (datore di lavoro di fatto) ma ha riflessi anche sul prestatore. Ad esempio, un’azienda che abbia pagato per più anni un collaboratore con prestazioni occasionali ripetute potrebbe vedersi contestare che quel collaboratore era in realtà un lavoratore “etero-organizzato” o subordinato. Conseguenze: l’INPS richiederà i contributi omessi (gestione separata o gestione lavoro dipendente, a seconda della riqualificazione), l’Ispettorato potrà comminare sanzioni (ad es. per lavoro nero se subordinato non denunciato, con sanzioni da 1.800 € in su per mese di lavoro nero). Fiscalmente, l’Agenzia delle Entrate potrebbe riqualificare i compensi come redditi di lavoro dipendente non dichiarati dal datore, con contestuale recupero di IRPEF non trattenuta alla fonte. Per il lavoratore, in questi casi, spesso non c’è un’imposta evasa (perché ha già subito la ritenuta del 20%), anzi potrebbe rivendicare differenze retributive o tutele proprie del lavoro subordinato. Dal punto di vista di questa guida (focus debitore), diciamo che il lavoratore può trovarsi coinvolto come parte del rapporto riqualificato, ma non come soggetto passivo dell’accertamento fiscale principale – esso colpirà piuttosto il committente datore. È comunque utile sapere che esiste questa linea di intervento perché talvolta, in contesti come un accertamento generale su un’azienda, l’Agenzia segnala e trasforma tante ricevute di collaboratori occasionali in elementi di una contestazione di manodopera irregolare.
4. Accertamenti bancari e indagini finanziarie: L’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza potrebbero attivare controlli sui conti correnti del contribuente (analisi movimenti bancari) e notare entrate regolari o consistenti compatibili con compensi di lavoro autonomo. Se il contribuente non ha partita IVA e non risulta aver dichiarato redditi per quell’attività, potrebbe essere presunto un reddito occulto. Ad esempio, se un docente privato riceve una serie di bonifici mensili di 300 € con causale “lezione privata” ma non ha partita IVA né ha dichiarato tali redditi occasionali, un accertamento bancario consente al Fisco di presumere che quei versamenti siano redditi non dichiarati (a meno di prova contraria). In sede di difesa il contribuente potrebbe sostenere che erano prestazioni occasionali comunque imponibili – magari dichiarando tardivamente – ma se la frequenza è mensile ciò di per sé prova l’abitualità, quindi l’Agenzia punterà all’omessa apertura di partita IVA. Insomma, i controlli finanziari incrociano i dati e possono portare alla luce attività sommerse, occasionali solo di nome ma non di fatto.
5. Segnalazioni e verifiche mirate: Non si può escludere che controlli su prestazioni occasionali nascano da segnalazioni (ad esempio un ex collaboratore scontento, o un Ordine professionale che verifica l’operato di un iscritto) oppure da campagne mirate su determinati settori. Ad esempio, in passato si è posta attenzione ai compensi sportivi dilettantistici, ai compensi delle discoteche e locali notturni (dove spesso venivano usate figure occasionali). Oggi, con la riforma dello sport dilettantistico dal 2023, i compensi sportivi sono considerati in parte redditi diversi esenti fino a 15.000 € e in parte co.co.co. sportivi: c’è stata quindi una sanatoria di quell’ambito. In altri settori (turismo, eventi) si è invece ampliato l’uso legale del contratto PrestO. Tuttavia, l’Agenzia può concentrare l’attenzione su categorie di reddito dichiarate come “diversi” di importo elevato, oppure su contribuenti che anno dopo anno dichiarano redditi diversi attorno a 4-6 mila € senza mai aprire partita IVA. Questi ultimi potrebbero apparire come furbetti che rimangono appena sotto soglia contributiva per non iscriversi all’INPS. Una verifica potrebbe scoprire che in realtà lavorano in modo continuativo.
In conclusione, un accertamento fiscale sulle prestazioni occasionali può comportare due filoni principali:
- Filone dichiarativo/reddituale: contestazioni di imposte dirette non dichiarate (IRPEF su redditi diversi non dichiarati, IRAP se dovuta) e relative sanzioni;
- Filone IVA: contestazione di operazioni imponibili non fatturate e non assoggettate ad IVA, con recupero dell’IVA evasa e irrogazione di sanzioni;
A ciò si aggiungono i riflessi contributivi (INPS) e potenzialmente sanzioni lavoristiche (quando il rapporto cela subordinazione).
Per il debitore-contribuente che riceve un avviso di accertamento, è fondamentale anzitutto capire quale sia la contestazione precisa: omessa dichiarazione di redditi? Riqualificazione dell’attività come continuativa? E ancora, su quali anni verte l’accertamento (per valutare eventuali decadenze dei termini, ad esempio l’IVA si prescrive in 5 anni, l’IRPEF in 5 o 7 a seconda dei casi)? Una volta compreso il perimetro, si potranno scegliere le strategie difensive più adeguate, di cui ci occupiamo nei prossimi capitoli.
Strategie di difesa: prevenzione e gestione dell’accertamento
Quando ci si trova di fronte ad un accertamento fiscale o contributivo in materia di prestazioni occasionali, la reazione deve essere lucida e ben pianificata. Di seguito analizziamo le possibili strategie di difesa, distinguendole per fasi: prevenzione (prima che sorga il contenzioso), fase pre-contenziosa (interlocuzione con l’Ufficio) e fase contenziosa (ricorso alle Commissioni Tributarie o al giudice del lavoro per la parte INPS). Il tutto sempre dal punto di vista del contribuente (debitore) che deve difendere la legittimità del proprio operato o, in subordine, cercare di limitare i danni.
1. Prevenzione e buona gestione ex ante
La migliore difesa è evitare di trovarsi nel mirino del Fisco. Alcune buone prassi possono ridurre drasticamente il rischio di contestazioni o mettervi in posizione di forza qualora si venga controllati:
- Documentare la natura occasionale della prestazione: Sin dall’inizio, formalizzate un contratto scritto o lettera d’incarico per la prestazione occasionale, in cui risultino chiaramente delimitati l’oggetto dell’opera, la durata (idealmente breve o legata ad un evento specifico) e il carattere episodico. Ad esempio: “Incarico per la traduzione del manuale X dal 1 al 20 marzo 2025, compenso € Y, prestazione occasionale ex art. 2222 c.c.”. Un contratto scritto non è obbligatorio, ma se avete in mano un documento firmato da entrambe le parti che attesta la temporalità circoscritta e unica dell’incarico, ciò costituirà un elemento probatorio importante in caso di verifica. Anche semplici email in cui il committente vi contatta per uno specifico lavoro unico e voi accettate, possono costituire prova.
- Ricevute chiare e tracciabilità dei pagamenti: Emettete sempre ricevuta, come detto, e preferite forme di pagamento tracciabili (bonifico, assegno, ecc.). Oltre a essere ormai richiesto per legge per importi sopra €1.000 (limite contante vigente dal 2022, elevato a €5.000 nel 2023), il pagamento tracciato crea un record che potete presentare a supporto della vostra tesi (es.: “Ho incassato solo questi due bonifici quell’anno, null’altro”). Inoltre, i pagamenti tracciabili aiutano anche il committente: ricordiamo che chi effettua pagamenti tracciabili e documenta tutto può beneficiare di riduzioni dei termini di accertamento (anche se questo vale soprattutto per operatori IVA, ma in generale la compliance paga).
- Non frammentare artificiosamente un rapporto continuativo: Un errore comune è pensare di poter mantenere la “finzione” dell’occasionalità semplicemente spezzettando un rapporto lungo in tanti micro-incarichi. Ad esempio, un’azienda che ogni mese affida la stessa mansione a una persona diversa con ricevute occasionali, ma in realtà la persona è la stessa che ruota, o il lavoro è chiaramente continuativo. Queste pratiche vengono facilmente smascherate. Se voi come lavoratori vi accorgete che il committente vi sta facendo lavorare in modo regolare (es. tutti i mesi qualche giorno) superando i limiti dell’occasionalità, la strategia migliore è regolarizzare la posizione: valutare l’apertura di una partita IVA (magari sfruttando il regime forfettario al 15% che offre semplificazioni e vantaggi fiscali) oppure, se siete di fatto subordinati, chiedere un contratto di lavoro dipendente o co.co.co. Continuare a operare “borderline” vi esporrà ad accertamenti quasi certi. Ricordate: non esiste più il limite dei 30 giorni per committente, ma se continuativamente lavorate per lo stesso committente c’è di fatto coordinazione e c’è il rischio che il Fisco consideri quella abitualità di fatto. Meglio prevenire dichiarando la propria attività con trasparenza.
- Rispettare gli obblighi formali (comunicazione all’ITL): Se siete committenti, non dimenticate la comunicazione preventiva all’Ispettorato per ogni autonomo occasionale che ingaggiate. Se siete prestatori, potete gentilmente ricordare al vostro committente imprenditore questa esigenza. Un committente scrupoloso riduce il rischio di grane per tutti. D’altro canto, se siete voi a essere chiamati in causa (es. l’INPS vi chiede contributi) poter dire “guardate che il rapporto era noto all’Ispettorato tramite comunicazione preventiva” vi pone su un piano di maggior legittimità rispetto a rapporti totalmente sommersi.
- Monitorare i compensi ai fini INPS: Tenete un registro dei compensi occasionali percepiti nell’anno, soprattutto se avete più di un committente. Appena vi avvicinate a €5.000 (netti) di incassi, valutate: se prevedete di sforare, potreste iscrivervi spontaneamente alla Gestione Separata ed effettuare i versamenti dovuti sull’eccedenza, evitando sanzioni per omissione. O, ancora meglio, potreste rendervi conto che state crescendo come attività e decidere di aprire partita IVA a metà anno, optando magari per il regime forfettario (5% imposta sostitutiva per nuove attività) così da non far scattare contributi su quell’anno in Gestione Separata ma iniziare a versare eventualmente una gestione artigiani o la stessa Gestione Separata ma in qualità di professionista con IVA. Insomma, se l’attività decolla, conviene passare alla modalità regolare prima che il Fisco vi raggiunga.
- Professionisti iscritti ad Albi: Come detto, se rientrate in questa categoria, il consiglio prudente è di non emettere prestazioni occasionali nel campo di attività dell’Albo. Se ad esempio siete uno psicologo iscritto all’Ordine e fate una consulenza psicologica, fatturatela con partita IVA (se non l’avete, apritela: per bassi redditi il regime forfettario è molto conveniente e ha procedure semplificate). L’Agenzia Entrate considera vietato l’uso dell’occasionalità per gli iscritti e gli stessi Ordini professionali prevedono l’obbligo di struttura organizzativa minima (p.IVA) per esercitare. Le sanzioni disciplinari sono un ulteriore deterrente. Se proprio operate in un campo diverso (es. un avvocato che dà lezioni di musica occasionali – attività estranea alla professione legale), assicuratevi di evidenziare che è fuori dall’Albo (inserite una dichiarazione in ricevuta tipo: “Prestazione occasionale consistente in lezioni di chitarra – attività estranea a quella forense per cui sono iscritto all’Albo Avvocati”). Questo potrà essere utile in difesa per distinguere i due ambiti.
2. Fase del controllo: comportamento durante verifiche e inviti
Se nonostante tutte le cautele, o per eventi imprevisti, il Fisco inizia a mettervi sotto la lente, è importante collaborare strategicamente. Durante un controllo formale o una verifica potete già influire sull’esito:
- In caso di richiesta documenti/informazioni: L’Agenzia può inviare un questionario o una richiesta di esibizione di documenti riguardo a redditi occasionali. Rispondete nei termini, in modo completo e preciso. Ad esempio, se chiedono “Spiegate la natura dei compensi ricevuti da Alfa Spa per €10.000 complessivi nel 2023”, fornite un prospetto dettagliato: “Trattasi di 3 incarichi occasionali distinti: – consulenza una tantum su progetto X (gennaio 2023, compenso 4.000 €); – docenza singolo seminario Y (maggio 2023, compenso 3.000 €); – aggiornamento sito web (novembre 2023, €3.000). Si allegano copie dei contratti e ricevute”. Maggiore è la chiarezza che offrite, più sarà arduo per l’Ufficio sostenere che erano attività continuative. Dimostrate di avere tutto tracciato e genuino. Non ignorate mai le richieste: il silenzio o l’omissione aggravano la posizione (possono far presumere il peggio e portare ad accertamento induttivo).
- Nel caso di verifica in sede (Guardia di Finanza): Se subite un’ispezione presso il vostro domicilio/studio (scenario meno frequente per persone fisiche occasionali, ma possibile se c’è sospetto di evasione significativa), mantenete un atteggiamento cooperativo ma fermo sui vostri diritti. Fornite i documenti richiesti relativi alle prestazioni occasionali, spiegate con coerenza la vostra attività. Se i verificatori insinuano che “secondo noi lei dovrebbe avere la partita IVA”, potete mostrare di conoscere la normativa: ad esempio far presente che “l’attività è stata svolta senza abitualità, come dimostrano gli sporadici contratti; la stessa Agenzia in varie risposte ha chiarito che ciò è lecito e non ci sono soglie quantitative fisse”. Ovviamente senza impuntarvi in modo ostile – i verificatori redigeranno un PVC (processo verbale di constatazione). È utile, se emergono contestazioni nel PVC (es: contestano € X di IVA evasa), presentare osservazioni entro 60 giorni dal rilascio del PVC, spiegando le vostre ragioni e magari allegando documenti integrativi. Queste memorie possono talvolta convincere l’Ufficio a ridimensionare o annullare l’addebito prima di emettere l’avviso.
- Conservazione di tutta la corrispondenza: Ogni scambio con il Fisco (richieste, risposte inviate, verbali) va archiviato. Saranno elementi preziosi se si andrà in contenzioso, ma possono essere utili anche successivamente per eventuali definizioni (sapere cosa esattamente vi hanno contestato o riconosciuto è fondamentale).
- Accertamento con adesione prima dell’atto: In casi complessi (es: verifica GdF su più annualità), può capitare che prima di emettere l’atto formale l’Ufficio convochi il contribuente per un’adesione “in prima battuta”. È facoltativo, ma a volte accade. Se venite convocati in tal senso, presentatevi preferibilmente con il vostro commercialista o tributarista, preparati a discutere. L’obiettivo è eventualmente trovare un compromesso: ad esempio, se l’Ufficio è convinto che dovevate avere IVA per 3 anni e voi sostenete di no, si potrebbe “transare” riconoscendo IVA e imposte per 1 anno solo, con sanzioni ridotte, evitando ricorso. Valutate pro e contro col vostro consulente.
3. Fase post-avviso: impugnazione o definizione
Ricevuto l’Avviso di Accertamento (o l’Avviso di Addebito INPS), il contribuente ha essenzialmente due vie: aderire/pagare (magari con riduzione sanzioni) oppure impugnare davanti all’Autorità competente.
- Accertamento con Adesione (definizione agevolata): Dopo la notifica di un avviso di accertamento fiscale, e prima di impugnarlo, il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 giorni dalla notifica. Ciò sospende i termini di ricorso e apre un confronto con l’ente accertatore. Perché farlo? Perché se si trova un accordo, le sanzioni sono ridotte ad 1/3 del minimo previsto e si evita il contenzioso. Nel contesto di prestazioni occasionali, l’adesione potrebbe portare a un compromesso su alcuni aspetti: ad esempio, riconoscere parte delle fatture non emesse ma non tutte, oppure concordare l’importo dei costi deducibili per ridurre il reddito imponibile, ecc. Se l’ufficio ha solide prove contro di voi (es. avete davvero lavorato stabilmente sotto mentite spoglie), l’adesione vi permette quantomeno di limitare le sanzioni e ottenere la rateazione (fino a 8 rate trimestrali, 16 se somma > 50k). Inoltre, pagando tramite adesione si chiude definitivamente la questione per quell’anno (salvo eventuale INPS a parte). Se però siete convinti di avere ragione o l’atto presenta evidenti vizi, l’adesione potrebbe non portare giustizia piena.
- Definizione agevolata ex L. 197/2022 (rottamazione quater): Da citare che al 2023-2024 c’è stata una rottamazione delle cartelle e definizione agevolata degli atti del contendere. Se il vostro accertamento ricade in eventuali future norme di “pace fiscale”, potrete valutarne l’adesione. Questo esula dalla trattazione tecnica, ma va ricordato che la legge talvolta offre opportunità di saldo con sconti sulle sanzioni.
- Ricorso in Commissione Tributaria (o al Tribunale per contributi): Se la via conciliativa non convince, occorre predisporre il ricorso. Per gli atti dell’Agenzia delle Entrate (avvisi di accertamento per IRPEF, IVA, IRAP) la competenza è del Giudice Tributario (Commissione Tributaria Provinciale, che dal 2023 si chiama Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Per gli avvisi di addebito INPS, la competenza è del Tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro. In caso di contestazioni miste (fiscali e contributive separate), potreste dover agire in due sedi diverse. È consigliabile farsi assistere da un difensore abilitato (avvocato tributarista o commercialista) data la tecnicità della materia.
Nella difesa in giudizio, occorre impostare bene i motivi di ricorso. Ecco i principali argomenti difensivi che si possono invocare in materia di prestazioni occasionali:
a) Insussistenza del requisito dell’abitualità – difesa sulla qualificazione: Questo è il cuore per confutare contestazioni del tipo “dovevi avere P.IVA, la tua non era attività occasionale”. Bisogna dimostrare che i caratteri tipici dell’occasionalità c’erano: episodicità, mancanza di ripetitività, mancanza di organizzazione stabile. Si devono presentare i fatti in modo da far emergere tali elementi. Ad esempio:
- Mostrare che gli incarichi erano diversi tra loro per natura e distanziati nel tempo, piuttosto che parte di un unico disegno. Se c’è un intervallo significativo tra un lavoro e l’altro, enfatizzarlo.
- Evidenziare che il contribuente non ha posto in essere atti preparatori o mezzi tipici di un’attività d’impresa: niente ufficio aperto al pubblico, niente pubblicità continuativa, nessuna attrezzatura significativa acquistata, ecc. Se l’avesse fatto, emergerebbe abitualità.
- Se rilevante, sottolineare che il contribuente aveva un’altra occupazione principale (es. lavoratore dipendente altrove, studente, pensionato) e che le prestazioni occasionali erano collaterali. Ciò rende più credibile l’occasionalità, perché chi ha già un lavoro difficilmente può portare avanti un secondo lavoro “nascosto” a livello professionale.
- Richiamare definizioni normative e interpretazioni ufficiali: ad es. citare che “l’art. 5 del DPR IVA definisce professione abituale quella svolta con regolarità e sistematicità”, e che nel vostro caso mancava regolarità (se potete dimostrarlo). O citare la Risposta Interpello 63/2024 dell’AdE dove si ribadisce che il parametro è la ripetitività e non il valore economico – utile se l’Ufficio si è soffermato sui importi alti: potete dire “Non conta l’importo in sé, contano le modalità, come la stessa Agenzia ha affermato”.
- Onere della prova: Sottolineare che spetta all’Amministrazione provare che vi era abitualità se vuole riqualificare (lo ha affermato Cassazione 2021). Se l’ufficio si è basato solo su presunzioni labili (es: “ha guadagnato 7000 €, quindi…”), potreste eccepire che non c’è una prova sufficiente di abitualità. Attenzione però: spesso l’Agenzia porta a supporto elementi concreti (es. “ha emesso ricevute 10 mesi su 12 quell’anno”: difficile contestare il fatto).
b) Contestare errori procedurali o formali dell’accertamento: Ad esempio, se l’avviso non ha considerato le vostre spese deducibili (magari voi avevate sostenuto costi che l’Ufficio non ha riconosciuto), potete far leva su questo per ridurre l’imponibile. Oppure se l’accertamento è stato notificato fuori termine (es. oltre i termini di decadenza: di regola il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione, o settimo se omessa). Per l’IVA il termine è analogo (fino a fine quinto anno successivo). Quindi, se nel 2025 vi notificano accertamento IVA 2017, è tardivo (termine era fine 2024, salvo raddoppi per reato fiscale che qui improbabile). Sollevare la decadenza porta all’annullamento dell’atto, indipendentemente dal merito.
c) Inesistenza dell’obbligo IVA per occasionalità: Se il punto chiave è l’IVA evasa, la vostra difesa sarà mirata a dimostrare che l’attività era fuori campo IVA in base all’art. 5 DPR 633/72 (non esercizio di arte/professione abituale). Potete anche citare precedenti giurisprudenziali favorevoli: ad esempio la Cassazione Ordinanza n. 21124/2018, dove è stato affermato che delle prestazioni protrattesi per un periodo limitato qualificabili come occasionali non erano soggette a IVA né a IRAP, e l’accertamento che pretendeva il contrario è stato annullato. In quel caso, la contribuente addirittura aveva partita IVA aperta, ma i giudici hanno guardato alla sostanza delle prestazioni in quell’anno e, ritenendole occasionali, hanno escluso le imposte. Questo è un precedente molto utile: mostra che anche avere la P.IVA non implica automaticamente dover considerare tutto abituale (figuriamoci non averla). La citazione dal caso: “Trattandosi di lavoro occasionale, non sussistevano i presupposti impositivi per IRAP ed IVA”. Quindi: se è occasionale, IVA non dovuta. Punto da battere.
d) Sentenze Cassazione su professionisti e occasionalità: Se siete professionisti ordinistici a cui contestano la mancata partita IVA, potreste citare Cassazione 10267/2021 (già discussa) che dice che iscrizione Albo e persino P.IVA non bastano a dimostrare abitualità. E anche Cass. 1532/2022 (Ord. 19/1/2022) che riguarda un avvocato con redditi < 5000: la Cassazione in quel caso ha dichiarato inammissibile il ricorso INPS e confermato che quell’avvocato NON doveva iscriversi alla gestione separata, poiché i suoi redditi bassi indicavano natura non abituale e l’INPS non aveva provato il contrario. La motivazione di merito di quella sentenza diceva proprio che sotto 5.000 € era chiaro indice di occasionalità e onere prova su INPS di provare eventuale abitualità, cosa non fatta. Potete usare questo per dire: “Visto? la Cassazione ha ritenuto che se i redditi sono esigui, è ragionevole considerarli occasionali, specie se l’ente non porta ulteriori elementi”. Questo può persuadere se i vostri importi erano in effetti modesti (sarebbe più arduo se parliamo di 50k…).
e) Eccepire violazioni di diritto di difesa o carenze motivazionali: Verificate se nell’avviso l’Ufficio ha spiegato adeguatamente le ragioni per cui ritiene l’attività abituale. Deve essere motivato. Se c’è una motivazione generica del tipo “visti i redditi percepiti, si presume attività professionale”, potreste attaccare la carenza di motivazione (art. 7 Statuto Contribuente, art. 3 L.241/90). Questo da solo raramente porta all’annullamento (di solito i giudici guardano la sostanza), ma se integrato ad altri argomenti può aggiungere peso.
f) Aspetti contributivi: Se l’INPS vi chiede contributi, la difesa consisterà nel dimostrare che quell’attività non generava obbligo (perché occasionale e sotto soglia, oppure perché già coperto da altra cassa). Nel giudizio del lavoro, fondamentale fornire prova testimoniale eventualmente che non era attività abituale. Cassazione 2022 e 2024 sulle soglie INPS divergono come visto: la 2022 ha sposato la tesi del “sotto 5000 = no obbligo, a meno che non provino abitualità”, la 2024 (Ord. 24192/2024) ha invece dato ragione all’INPS contro un avvocato che pure aveva <5000, ritenendo rilevante il fatto che comunque esercitava la professione (quindi abituale, soglia irrilevante). Quindi se siete in una posizione simile a quest’ultima (professionista di fatto, anche se guadagni poco), sarà dura vincere contro INPS – conviene magari transare o pagare il dovuto per evitare aggravio.
g) Sanzioni: Argomentare sempre in subordine sulla riduzione delle sanzioni. Se anche la violazione viene riconosciuta, evidenziate eventuali circostanze attenuanti: la confusione normativa, l’affidamento in buona fede su consulenti o su prassi (ad esempio molti credono erroneamente alla “soglia 5000” come discriminante assoluta, e magari possono aver tratto in errore). Chiedete l’applicazione del cumulo giuridico (se ci sono più violazioni della stessa indole in anni diversi, si applica sanzione unica aumentata e non somma aritmetica). Chiedete la non applicazione del doppio minimo. Tutto questo può ridurre l’importo finale anche se perdete su merito.
h) Rateazione e misure a tutela del debitore: Ricordatevi, infine, che come “debitore” potete sempre richiedere rateazioni sulle somme accertate. In ambito fiscale, se fate adesione o conciliazione, sono previste rate. Se perdete in giudizio, l’iscrizione a ruolo delle somme permette la rateazione fino a 8 rate (72 rate mensili) e oltre in casi straordinari. L’importante è non farsi mai prendere dal panico e non sparire: se non pagate e non vi attivate, rischiate fermi amministrativi, ipoteche o pignoramenti. Meglio prevenire accordandosi per dilazioni. Dal 2023, la soglia per ipoteche del Fisco è 5.000 € di debito: quindi se l’accertamento è piccolo, non vi ipotecheranno la casa, ma è comunque meglio gestire.
4. Casi pratici di difesa
Per rendere concrete queste strategie, ecco alcune simulazioni pratiche con l’esito auspicabile:
- Caso A: Maria, grafica freelance di fatto – Maria dal 2022 al 2024 ha lavorato come grafica per vari clienti, emettendo ricevute occasionali. Nel 2024 le sue entrate sono state 12.000 € (6 clienti diversi). Non ha mai aperto P.IVA. Nel 2025 riceve avvisi di accertamento per IVA evasa 2023 e 2024. Maria, con l’aiuto di un avvocato, riesce a dimostrare che nel 2023 in realtà aveva svolto quell’attività solo perché rimasta temporaneamente senza lavoro e con discontinuità (presenta lettere di colloquio di assunzione andati a vuoto, contratti brevissimi altrove, ecc.), e che nel 2024 a ottobre aveva aperto P.IVA (ipotizziamo lo abbia fatto) per regolarizzarsi. L’Agenzia accetta in adesione di limitare l’accertamento al 2024 fino a settembre e Maria paga l’IVA solo su quel periodo con sanzione ridotta 1/3. Per il 2023 viene convinta a lasciar perdere (magari non c’erano grandi elementi per contestare occasionalità su quell’anno). Maria ha dovuto pagare ma limitatamente, evitando un processo dall’esito incerto. Impara la lezione: d’ora in poi lavorerà con P.IVA (regime forfettario 15%) e non avrà problemi.
- Caso B: Luigi, ingegnere “occasionale” – Luigi è un ingegnere elettronico iscritto all’Albo. Lavora come dipendente in un’azienda, ma ogni tanto fa consulenze a titolo privato. Pensando di stare nei limiti, nel 2022 fa due consulenze extra per 4.000 € totali (con ricevuta e ritenuta). Nel 2023 altre tre per 6.000 € totali. A fine 2023 apre P.IVA perché vuole mettersi in proprio. Purtroppo l’Agenzia scopre le ricevute precedenti e nel 2025 notifica un accertamento per IVA e redditi 2022-23, sostenendo che essendo iscritto all’Albo doveva fatturare. Luigi fa ricorso, puntando sulla sentenza Cass. 2021: argomenta che la mera iscrizione non prova nulla, e che lui nel 2022-23 era assunto a tempo pieno altrove (quindi l’attività extra era episodica per arrotondare). Porta il contratto di lavoro dipendente e persino una dichiarazione del suo datore di lavoro che attesta che quelle consulenze le fece nei weekend, su iniziativa personale. La Commissione Tributaria gli dà ragione per il 2022 (4.000 € occasionali, non abituali) e invece conferma l’accertamento parziale per il 2023, ritenendo che avendo superato i 5.000 € a settembre 2023, da lì in poi doveva aprire P.IVA (che poi lui ha aperto a dicembre, ma tardivo). Luigi quindi paga solo una piccola parte di IVA 2023 e le sanzioni IRPEF relative (molto ridotte magari). In più il suo Ordine non lo sanziona perché capisce che erano pochi lavori minori.
- Caso C: Paolo, collaboratore “mascherato” – Paolo lavora come fattorino per una ditta di consegne dal 2021, ma non è mai stato assunto; ogni mese la ditta gli fa fare una ricevuta di €600 come occasionale. Nel 2025 la Guardia di Finanza fa un controllo su quella ditta e scopre 4 “occasionali” fissi come Paolo. Viene contestato lavoro subordinato in nero e contributi evasi. Paolo viene convocato come teste e ammette che lui lavorava in maniera continuativa seguendo orari e direttive come un dipendente. In questo caso, la difesa è più dal lato azienda, che avrà ben poco da fare se non pagare e regolarizzare. Paolo invece potrebbe guadagnarci: con il supporto di un legale, potrebbe chiedere il riconoscimento delle differenze retributive come dipendente (ferie, TFR, ecc.) perché di fatto lo era. A livello fiscale Paolo non aveva evaso nulla (aveva pure presentato i suoi redditi in dichiarazione, pagando l’IRPEF dovuta). Quindi per lui la faccenda fiscale finisce senza debiti, anzi potrebbe recuperare crediti.
- Caso D: Anna, docente privata – Anna è una professoressa di matematica in pensione, che nel 2024 ha dato ripetizioni private a diversi studenti, incassando circa 7.000 € (molto frequenti durante l’anno scolastico). Pensava di rientrare nell’aliquota forfettaria del 15% prevista dalla legge di Bilancio 2019 per lezioni private, ma non ha aperto P.IVA. In realtà, quell’aliquota era utilizzabile solo aprendo P.IVA in un regime speciale e versando imposta sostitutiva (non esonera da IVA se abituale, salvo il fatto che le lezioni scolastiche sono esenti IVA art. 10). L’Agenzia, tramite i movimenti sul conto (molti pagamenti con causale “ripetizione”), le contesta che doveva fare fattura (esente IVA) e applicare quel regime. Anna presenta interpello tardivo (non vincolante) in cui l’AdE risponde che se uno fa 5-6 lezioni a settimana è abituale. Il ricorso sarebbe difficilmente vincibile. Anna opta per l’accertamento con adesione: le tolgono le sanzioni in parte e lei paga l’IRPEF dovuta come se fosse stata nel regime (in pratica un 15% su 7.000 = 1.050 €) più un po’ di interessi e sanzioni minime. Nel 2025 continua l’attività ma aprendosi P.IVA forfettaria, così in futuro sarà a posto.
Questi esempi mostrano come la difesa può portare a esiti differenti: in alcuni casi l’annullamento completo dell’accertamento, in altri una riduzione, in altri ancora conviene transare. Ogni situazione è a sé, per questo è importante farsi assistere e valutare con onestà la propria posizione: se si è nel torto palese, meglio negoziare; se ci sono buoni argomenti, lottare.
Domande frequenti (FAQ) sulle prestazioni occasionali e accertamenti
Di seguito una serie di domande e risposte che ricapitolano i dubbi più comuni su questo argomento, con risposte basate sulla normativa aggiornata a luglio 2025:
D: Cos’è esattamente una “prestazione occasionale” secondo la legge italiana?
R: È un’attività lavorativa autonoma, saltuaria e non abituale, svolta senza vincolo di subordinazione e senza i caratteri della professionalità e sistematicità. È regolata dall’art. 2222 c.c. e fiscalmente produce “redditi diversi” (art. 67, co.1, lett. l, TUIR). In pratica, un lavoro autonomo svolto una tantum o comunque in modo episodico, che non costituisce l’esercizio di un’arte o professione abituale. Ad esempio, la traduzione occasionale di un documento, la consulenza isolata che un esperto fornisce senza aprire studio, la vendita sporadica di prodotti fatti in casa (oltre un certo limite può diventare impresa, ma se è un episodio rimane occasionale).
D: Devo aprire la partita IVA per fare prestazioni occasionali? Esiste un limite (es. 5.000 €) entro il quale posso stare senza partita IVA?
R: Non esiste un limite assoluto di compenso oltre il quale scatta automaticamente l’obbligo di partita IVA. L’obbligo di aprire partita IVA dipende dalla natura abituale o meno dell’attività, non da una soglia prestabilita di guadagno. La famosa soglia di 5.000 € ha rilevanza solo per i contributi INPS (vedi oltre) e per alcune normative come la compatibilità con NASpI, ma non è un parametro fiscale per definire l’abitualità. Quindi: se l’attività è abituale (anche con ricavi modesti), serve la partita IVA; se è davvero occasionale (anche importi elevati ma evento isolato), si può fare senza partita IVA. Naturalmente, a livello prudenziale, importi molto elevati o ripetuti periodicamente fanno presumere abitualità, quindi conviene attivarsi con P.IVA. In sintesi: puoi operare senza P.IVA solo finché l’attività rimane episodica, priva di organizzazione e non continuativa nel tempo. Non c’è un euro preciso di riferimento, ma buon senso e criteri qualitativi (assenza di regolarità).
D: Qual è la soglia dei 5.000 € allora?
R: I 5.000 € annui riguardano principalmente i contributi INPS: se in un anno percepisci più di 5.000 € lordi da lavoro autonomo occasionale, devi versare contributi alla Gestione Separata INPS sulla quota eccedente. Sotto i 5.000 € totali, sei esentato dal versamento (e dall’iscrizione). Questa soglia viene anche utilizzata per altre finalità, ad esempio:
- Un percettore di NASpI (disoccupazione) può mantenere l’indennità solo se i redditi da autonomo occasionale non superano 5.000 € annui (oltre deve comunicarlo e c’è riduzione o decadenza).
- Fino al 2021, per i pensionati quota 100 c’era il limite 5.000 per cumulare redditi occasionali.
Ma ribadiamo: ai fini IVA e obbligo partita IVA, 5.000 € non è un confine di legge. È solo che spesso chi supera 5.000 € magari sta anche lavorando con regolarità.
D: Quante prestazioni occasionali posso fare all’anno senza problemi?
R: Non c’è un numero fisso. Il concetto è che se le prestazioni sono troppe e troppo ravvicinate, probabilmente l’attività non è più occasionale. Ad esempio, fare 40 collaborazioni in un anno, una ogni settimana, evidenzia continuità. Viceversa, farne 2 o 3 in tutto l’anno può essere coerente con l’occasionalità, specie se di natura diversa. Una regola empirica del passato era: non più di 30 giorni per committente all’anno, ma questa norma è stata abrogata nel 2015. Oggi devi valutare tu: se stai lavorando “a chiamata” più o meno stabilmente, non sei occasionale. Se hai solo incarichi sporadici, sì. Importante: dal 2022, indipendentemente dal numero, se sei un committente imprenditore devi comunicare ogni attivazione di lavoratore occasionale all’Ispettorato del Lavoro.
D: Sono uno studente/lavoratore dipendente/pensionato, posso guadagnare qualcosa con prestazioni occasionali?
R: Sì, la prestazione occasionale è aperta a chiunque (purché maggiorenne o minorenne emancipato con autorizzazione). Spesso studenti universitari o lavoratori dipendenti arrotondano con lavoretti occasionali. Dal lato fiscale, valgono le regole generali (vedi ritenuta d’acconto se chi ti paga ha P.IVA, dichiarazione se superi 4.800 € o hai ritenute da recuperare). Dal lato previdenziale:
- Se sei dipendente, i tuoi contributi INPS da lavoratore dip. non coprono le attività autonome occasionali, quindi anche tu se superi 5.000 € con quelle dovresti versare Gestione Separata su eccedenza. Non c’è esonero perché già paghi come dipendente: il limite 5.000 vale per tutti.
- Se sei pensionato, puoi fare occasionali: fino a 5.000 € annui non succede nulla, oltre 5.000 dovresti versare contributi Gestione Separata (che di fatto incrementeranno la tua posizione contributiva per supplemento di pensione futuro, anche se minimo). Occhio però: per alcune tipologie di pensioni anticipate (es. Quota 100 o Quota 102) c’era il divieto di cumulo con redditi da lavoro autonomo oltre €5.000; per la pensione di vecchiaia ordinaria invece nessun problema a guadagnare. Quindi controlla le regole della tua pensione specifica.
- Se sei studente under 25, potresti valutare anche i contratti di prestazione occasionale (tipo libretto famiglia per ripetizioni, o voucher per eventi) perché in alcuni casi offrono copertura assicurativa. Ma nulla vieta di usare la via della ricevuta occasionale.
D: Devo pagare l’INAIL per il lavoratore autonomo occasionale?
R: No, l’INAIL (assicurazione infortuni) è obbligatoria solo per lavoratori dipendenti e alcune categorie di lavoratori autonomi iscritti ad albi specifici (es. artigiani, commercianti) o co.co.co in settori a rischio. Il lavoratore autonomo occasionale non è soggetto ad INAIL. Se però il committente lo volesse assicurare volontariamente, può farlo, ma non è comune.
D: Ho percepito 3.000 € con ritenuta d’acconto al 20%: devo fare la dichiarazione dei redditi?
R: Come detto, se hai solo redditi di lavoro autonomo occasionale sotto €4.800 lordi e null’altro, sei esonerato dall’obbligo di dichiarazione. Tuttavia, presentare il modello può farti comodo: ad esempio, su 3.000 € lordi la tua IRPEF lorda sarebbe circa €690, ma hai già subito ritenute per €600 (20%). La differenza – se hai diritto a qualche detrazione personale – magari riduce l’imposta dovuta e potresti recuperare una parte di quei €600 come rimborso. In ogni caso, se non presenti la dichiarazione, l’Erario trattiene l’intera ritenuta e considererà assolto il tuo debito IRPEF (non ti manderanno cartelle se hai solo quello e sotto soglia). Chi invece supera 4.800 € deve dichiarare. Anche chi ha altri redditi (es. è dipendente e fa occasionali) deve sommare tutto in dichiarazione.
D: Cosa rischio se l’Agenzia delle Entrate considera che la mia prestazione non era realmente occasionale?
R: Potrebbero sanzionarti per omessa fatturazione e mancato versamento IVA, chiedendoti di pagare l’IVA non applicata sui compensi (attualmente l’IVA ordinaria è al 22%) più una sanzione dal 90% al 180% dell’imposta omessa. Inoltre, potrebbero chiederti l’IRAP se ritengono c’era autonoma organizzazione. E, se non avevi dichiarato quei redditi come tali (magari li avevi comunque dichiarati in redditi diversi, allora IRPEF l’hai pagata), potrebbero riqualificare i redditi come lavoro autonomo: a livello di IRPEF, se li avevi comunque tassati, non cambia molto (redditi diversi e di lavoro autonomo confluiscono entrambi nel tuo reddito complessivo IRPEF). Ma se non li avevi proprio dichiarati (caso peggiore), allora recuperano IRPEF evasa (con sanzioni 30% imposta). Infine, segnaleranno all’INPS che dovevi iscriverti alla gestione separata dal tal momento: l’INPS potrebbe chiederti contributi su tutto (se ti considerano abituale, anche sotto 5k) o su eccedenza. Anche qui con sanzioni civili (interessi e somme aggiuntive). In aggiunta, se l’importo di IVA evasa supera certe soglie, si può configurare reato di evasione IVA (soglia penale > €50.000 di IVA non versata per anno). Nel lavoro autonomo occasionale di solito cifre così grosse sono rare, ma occhio: se hai fatto prestazioni per 250.000 € senza IVA, hai evaso 55.000 € di IVA e sei sopra soglia penale. In tal caso potresti subire un procedimento penale per dichiarazione fraudolenta/omessa (anche se qui è strano perché non avevi proprio dichiarazione IVA). Comunque, la stragrande maggioranza dei casi non arriva al penale.
D: E se invece l’INPS contesta che la mia attività era abituale?
R: L’INPS (o meglio, spesso è l’Agenzia Entrate stesso ufficio che in collaborazione con INPS nella contestazione contributiva) potrebbe notificarti un avviso di addebito per contributi gestione separata non versati, con sanzioni. Se ritieni fosse veramente occasionale e sotto soglia, puoi fare opposizione al Tribunale del Lavoro, portando le tue prove. Tieni presente, come evidenziato, che le pronunce non sono uniformi: a volte i giudici danno ragione all’INPS se vedono che di fatto tu esercitavi la professione (anche con pochi euro). Altre volte hanno dato ragione al lavoratore se i redditi erano microscopici e l’INPS non dimostrava un’attività stabile. Nel dubbio, se la somma non è enorme, puoi valutare di pagare per evitare cause lunghe (magari avvalendoti di qualche definizione agevolata se esiste, tipo saldo e stralcio contributi minimi). Notare che i contributi gestione separata non pagati si prescrivono in 5 anni, salvo atti interruttivi: quindi l’INPS deve muoversi entro 5 anni dall’anno dovuto (spesso lo fa tramite avviso bonario o nel fascicolo contributivo).
D: Se il committente è estero (fuori Italia) come funziona?
R: Se tu, residente fiscale in Italia, svolgi una prestazione occasionale per un committente estero (senza stabile organizzazione in Italia), la questione cambia leggermente: il committente estero non applica ritenuta d’acconto (perché non è sostituto d’imposta in Italia). Quindi ti pagherà l’importo lordo e tu dovrai dichiararlo in Italia e pagarci le imposte normalmente (salvo verificare se c’è una convenzione contro doppie imposizioni e se quel reddito è tassabile solo all’estero – ma di solito i redditi autonomi si tassano dove risiede chi presta, quindi Italia). Attenzione: se incassi su un conto estero, devi anche rispettare gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW in dichiarazione) se superi le soglie. Per il resto, occasionalità e abitualità seguono le stesse regole. Quindi se fai consulenze frequenti per un’azienda estera ogni mese, per il Fisco italiano sei comunque abituale e dovresti avere P.IVA (anche se magari l’azienda estera non ti ha chiesto fattura con IVA – comunque dovevi emettere fattura fuori campo IVA art.7-ter se professionale). Spesso c’è la falsa credenza che con estero “posso farlo senza P.IVA”: sbagliato. Il criterio abitualità vale a prescindere dal committente. La differenza è solo niente ritenuta.
D: Cosa devo indicare esattamente nella ricevuta per prestazione occasionale?
R: I dati di chi la emette (tu: nome, cognome, indirizzo, CF) e di chi paga (committente: nome/ragione sociale, indirizzo, CF/P.IVA se ha), la descrizione della prestazione (“Compenso per prestazione occasionale di … in data …”), l’importo lordo, l’eventuale ritenuta 20% (se dovuta) e l’importo netto. Emetti due copie (una per te e una per il cliente). Se superi 77,47 € devi apporre una marca da bollo da 2 € sull’originale consegnato al cliente (e annotare “imposta di bollo assolta sull’originale”). La marca da bollo è a carico tuo in teoria, ma molti clienti la forniscono. Conserva la tua copia e ricevuta del bollo.
D: Il committente può dirmi “ti pago in nero così evitiamo la ritenuta”?
R: Purtroppo può capitare che qualche committente proponga di non fare ricevute per “convenienza” di entrambi. È altamente sconsigliabile accettare: tu come prestatore non avresti tutela alcuna, staresti evadendo l’IRPEF e se vieni scoperto le sanzioni colpiscono te per il tuo reddito non dichiarato. Senza contare che, non essendoci traccia, se il committente non ti paga o altri problemi, non hai nemmeno un titolo. Piuttosto, cerca committenti corretti. Il “nero” espone a rischi elevati e rovina il tuo curriculum fiscale (poi se volessi fare mutui, prestiti, ecc., risultare a zero redditi non aiuta). Quindi la difesa migliore è dire no a queste situazioni.
D: Ho sentito parlare di “voucher” o “PrestO”, sono diversi?
R: Sì, come accennato prima, il Contratto di prestazione occasionale (PrestO) è uno strumento parallelo: in pratica un datore di lavoro (imprenditore o PA o famiglia) può acquistare dall’INPS dei “portafogli” per pagare prestazioni occasionali di tipo subordinato o parasubordinato, con importi predefiniti e contributi già inclusi. Ad esempio il libretto famiglia per baby-sitting, lezioni domestiche, ecc. Oppure un’azienda di turismo può usare PrestO con un tetto 10.000 € annui. In quel caso, il compenso orario minimo è fissato per legge (9 €) e si versa tramite INPS che paga il lavoratore e gestisce contributi e assicurazione. Questi voucher sono un mondo a parte: se lavori tramite PrestO, non emetti ricevuta tua, ma ti arriva il netto dall’INPS. Fiscalmente quei compensi per te sono redditi diversi comunque, esenti fino a €5.000 se prestO puro, oltre tassati (la legge bilancio 2023 ha modificato qualcosa). Non vorremmo complicare: diciamo solo che voucher e ricevuta non coesistono per la stessa prestazione. O fai l’uno o l’altro.
D: Quali spese posso dedurre dal reddito occasionale?
R: Solo le spese specificamente inerenti e documentate relative a quella prestazione (art. 71 TUIR). Esempio: sei stato pagato €1.000 per fare delle fotografie a un evento come occasionale; hai speso €50 di ingresso e €30 di stampe fotografiche consegnate – questi €80 li puoi dedurre, quindi dichiari €920 di reddito. Oppure hai fatto consulenza per 500 € ma hai preso treno per andare dal cliente costato 40 €: deduci i 40 se hai ricevuta. Non puoi dedurre invece spese generali tipo la tua connessione internet mensile, o l’acquisto del PC (quelle sono spese a cavallo di attività che se fosse impresa potresti dedurre pro quota, ma come occasionale no, perché non hai un’attività organizzata ufficialmente). In sostanza, solo costi vivi e necessari per eseguire l’incarico, altrimenti no. Questo significa anche che se quell’attività genera spese ingenti, forse non dovrebbe stare in “occasionale” – conviene aprire P.IVA e dedurre tutto come impresa.
D: Se ricevo un avviso di accertamento, in quanto tempo devo agire?
R: Di regola hai 60 giorni dalla notifica per presentare ricorso (tributario o giudiziario a seconda). Puoi però presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 gg, il che sospende il termine di ricorso per ulteriori 90 gg. Quindi avresti fino a 150 giorni in totale per eventualmente trovare un accordo e, se salta, proporre ricorso. Non ignorare le scadenze: se le lasci decorrere senza fare nulla, l’accertamento diventa definitivo e l’ente inizierà la riscossione coattiva (cartelle, ecc.). Anche per eventuali cartelle esattoriali (ad es. per contributi INPS non pagati) hai 60 giorni per fare ricorso o pagare. Il tempismo è cruciale.
D: Cosa significa che “il punto di vista è del debitore”?
R: Significa che in questa trattazione consideriamo la prospettiva di chi viene chiamato a pagare tributi o contributi (il lavoratore occasionale in primis, ma a volte anche il committente se è lui il destinatario dell’accertamento). Si analizzano quindi le difese possibili da parte di chi subisce la pretesa fiscale. Non abbiamo enfatizzato il punto di vista dell’erario o del creditore (che sarebbe l’Agenzia/INPS). Questo per chiarire eventuali dubbi: tutta la guida è impostata per aiutare i contribuenti/debitori a tutelare i propri diritti nel rispetto della legge.
Conclusioni
La gestione delle prestazioni occasionali richiede un attento equilibrio: da un lato esse rappresentano una flessibilità utile e legalmente permessa nel nostro ordinamento, dall’altro non devono essere utilizzate in modo distorto per evitare obblighi fiscali e contributivi che invece sarebbero dovuti. Il debitore-contribuente che riceve un accertamento su queste tematiche si trova spesso in una zona grigia normativa dove le interpretazioni possono divergere. In questa guida abbiamo visto come:
- Conoscere a fondo la normativa (TUIR, IVA, INPS) e la prassi aiuta a prevenire errori (es. il mito dei “5.000 €” sfatato) e a impostare la propria attività in modo corretto sin dall’inizio.
- In caso di contestazione, esistono numerosi strumenti e argomentazioni per difendersi, a partire dal concetto cardine di abitualità vs occasionalità, supportato anche da importanti sentenze aggiornate (Cass. 2021, 2022, 2024) e documenti di prassi come la Risoluzione 41/E/2020 e l’Interpello 63/2024.
- È fondamentale adottare un approccio proattivo: fornire elementi al Fisco che comprovino la propria buona fede e la correttezza formale (contratti, ricevute, comunicazioni) e, quando necessario, non temere di far valere i propri diritti in sede di ricorso, soprattutto se si ravvisano forzature o errori nell’accertamento.
Per i professionisti (avvocati, commercialisti) che assistono i contribuenti, questo tema offre lo spunto per manovre difensive interessanti, sfruttando sia la normativa tributaria sia quella lavoristica/previdenziale. Per i privati e imprenditori, la lezione è chiara: la prevenzione e la regolarità pagano sempre. Se un rapporto lavorativo sta diventando stabile, regolarizzarlo per tempo (con partita IVA o assunzione) costerà sempre meno che affrontare sanzioni e processi dopo.
In un contesto in cui l’Amministrazione finanziaria dispone di strumenti di controllo sempre più sofisticati (incrocio banche dati, fattura elettronica, anagrafe conti), abusare dello schema “occasionale” è altamente rischioso e sconsigliabile. Ciò non toglie che moltissime attività genuinamente occasionali possano continuare a svolgersi lecitamente: la chiave è rispettare i limiti qualitativi e mantenere la documentazione in ordine per dimostrarlo.
Questa guida, aggiornata a metà 2025, vi fornisce gli strumenti conoscitivi per affrontare con consapevolezza l’argomento. Ricordate sempre che, di fronte a un accertamento fiscale, il tempo è un fattore critico: non esitate a consultare un esperto e ad attivarvi immediatamente per esercitare i vostri diritti. Con la giusta strategia, anche una pretesa fiscale inizialmente pesante può essere ridimensionata o annullata. L’importante è agire con cognizione di causa, sfruttando le strategie di difesa offerte dal nostro ordinamento e supportate dalle pronunce più autorevoli.
Fonti
- Agenzia Entrate – Risoluzione n. 41/E del 15 luglio 2020, chiarimenti su professionisti iscritti ad Albo e divieto di prestazione occasionale.
- Corte di Cassazione (Sez. Lavoro) – Ordinanza n. 1532/2022 (depositata 19 gennaio 2022), obbligo Gestione Separata per avvocato con redditi < €5.000.
- Corte di Cassazione (Sez. Lavoro) – Ordinanza n. 24192/2024 (depositata 09 settembre 2024), su obbligo contributivo sotto soglia se attività abituale.
- Corte di Cassazione (Tributaria) – Ordinanza n. 21124/2018 (depositata 24 agosto 2018), prestazioni assimilabili a lavoro occasionale non soggette a IRAP e IVA.
- Codice Civile, art. 2222 (Contratto d’opera) e segg.; DPR 917/1986 (TUIR), artt. 53, 67, 71; DPR 633/1972 (IVA), artt. 1, 5, 21.
- Ispettorato Nazionale del Lavoro – Nota n. 29/2022 e n. 109/2022, indicazioni obbligo comunicazione preventiva lavoro autonomo occasionale.
- INPS – messaggi e circolari vari su Gestione Separata (es. Msg 1414/2024 su soglia €5.500 per NASpI).
Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per compensi derivanti da una prestazione occasionale? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per compensi derivanti da una prestazione occasionale?
Ti contestano redditi non dichiarati o l’uso improprio di questa tipologia di contratto?
Le prestazioni occasionali sono attività saltuarie e non abituali, che non costituiscono lavoro autonomo abituale e sono soggette a specifiche regole fiscali. Il fisco può contestare la prestazione occasionale se ritiene che, per frequenza o importo, essa nasconda un’attività professionale continuativa, con conseguente obbligo di partita IVA e maggiori imposte. Un accertamento di questo tipo può comportare sanzioni, interessi e contributi previdenziali, ma è possibile difendersi dimostrando la reale natura dell’attività.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’avviso di accertamento e la documentazione relativa alla prestazione contestata
📌 Verifica se l’attività rispetta i requisiti di occasionalità e se le somme sono state correttamente tassate
✍️ Predispone ricorsi e memorie difensive per contestare la riqualificazione del rapporto e ridurre il debito fiscale
⚖️ Ti assiste nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nelle trattative per definizioni agevolate o rateizzazioni
🔁 Ti supporta nella pianificazione fiscale per gestire correttamente future collaborazioni e prestazioni occasionali
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e diritto del lavoro autonomo
✔️ Specializzato in accertamenti fiscali su prestazioni occasionali e collaborazioni
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un accertamento fiscale su una prestazione occasionale può essere contestato con successo se si dimostra la reale natura dell’attività e la correttezza fiscale dei compensi.
Con una strategia legale mirata puoi difenderti dalle contestazioni e ridurre il rischio di sanzioni pesanti.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa fiscale comincia da qui.