Hai ricevuto un accertamento fiscale perché l’Agenzia delle Entrate contesta versamenti bancari non giustificati su un conto che hai ereditato da un parente deceduto?
In questi casi il Fisco può ritenere, anche erroneamente, che le somme siano redditi imponibili non dichiarati. Tuttavia, esistono strumenti legali per dimostrare che si tratta di risparmi del defunto e non di redditi tuoi, evitando di pagare imposte non dovute.
Perché può arrivare un accertamento in questi casi
– I dati dei conti correnti del defunto vengono trasmessi all’Agenzia delle Entrate
– Versamenti in contanti o bonifici presenti nella cronologia del conto possono essere interpretati come redditi imponibili
– Se il conto è ancora attivo dopo il decesso, i movimenti successivi possono essere analizzati come tuoi
– L’assenza di spiegazioni immediate può far scattare un accertamento induttivo basato su “presunzione di reddito”
Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate
– Che i versamenti siano proventi di attività non dichiarate
– Che le somme sul conto non siano frutto di risparmi ma di operazioni imponibili
– Che eventuali prelievi o bonifici a tuo favore siano reddito personale
– Che la successione non sia stata correttamente dichiarata dal punto di vista fiscale
Come difendersi
– Dimostrare, con documenti bancari e fiscali, che i versamenti contestati risalgono al periodo in cui il conto era intestato al defunto
– Presentare l’atto di successione e la dichiarazione di successione per provare l’origine ereditaria delle somme
– Fornire estratti conto storici per ricostruire la provenienza dei fondi
– Contestare eventuali errori dell’Agenzia delle Entrate nel collegare quei movimenti a redditi tuoi
– Chiedere, se necessario, l’archiviazione in autotutela allegando tutta la documentazione probatoria
– Se l’accertamento prosegue, presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria nei termini di legge
Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale dell’accertamento se si dimostra l’origine non imponibile delle somme
– L’esclusione delle somme dalla base imponibile e dal calcolo delle imposte
– La riduzione di sanzioni e interessi in caso di parziale accoglimento
– La tutela del patrimonio ereditato da azioni esecutive e pignoramenti
– La chiusura definitiva della controversia senza ulteriori conseguenze
Attenzione: senza prove documentali chiare, l’Agenzia delle Entrate tende a considerare come reddito imponibile qualsiasi versamento non giustificato. In caso di conti ereditati, la chiave della difesa è dimostrare con precisione che si tratta di somme del defunto e non di ricavi personali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, successioni e difesa del contribuente – ti spiega come affrontare un accertamento basato su versamenti bancari non giustificati ereditati, come dimostrare l’origine delle somme e come proteggerti.
Hai ricevuto un accertamento su somme ereditate e vuoi contestarlo?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a ricostruire la provenienza dei fondi, predisporre la difesa e bloccare richieste fiscali ingiustificate.
Introduzione
Affrontare un accertamento fiscale basato su versamenti bancari non giustificati provenienti dal conto di un parente deceduto richiede la conoscenza approfondita sia delle regole sulle indagini finanziarie bancarie sia delle norme sulla responsabilità tributaria degli eredi. In Italia l’Agenzia delle Entrate può utilizzare i dati dei conti correnti per ricostruire presuntivamente redditi non dichiarati: ogni versamento in conto senza giustificazione viene considerato un possibile reddito occulto, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare che così non è. Questa presunzione bancaria è legale relativa: non è assoluta, ammette prova contraria da parte del contribuente. Tuttavia si tratta di una presunzione particolarmente forte in favore del Fisco, confermata dalle più recenti pronunce, che impone al contribuente (eredi compresi) una difesa analitica e rigorosa per giustificare ogni movimento contestato. Di seguito vedremo il quadro normativo di riferimento, gli strumenti di difesa (dall’interpello all’autotutela fino al ricorso in Commissione Tributaria), le strategie difensive specifiche per i casi di somme ereditate e la giurisprudenza aggiornata al 2025 sul tema. Esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte completeranno la guida, per offrire un orientamento avanzato ma chiaro sia a professionisti legali che a privati cittadini e imprenditori interessati.
1. Accertamenti bancari e presunzioni fiscali: quadro normativo
Un accertamento fondato su indagini bancarie si basa principalmente sull’art. 32 del D.P.R. 600/1973 (per le imposte sui redditi) e sull’art. 51 del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA). Tali norme attribuiscono all’Amministrazione finanziaria ampi poteri di accesso ai dati dei conti correnti bancari intestati o riconducibili al contribuente (inclusi conti cointestati o di familiari stretti, se usati per operazioni a suo vantaggio). Le risultanze di queste indagini costituiscono base per la rettifica del reddito dichiarato: la legge prevede infatti una presunzione legale secondo cui:
- Versamenti su conti correnti non giustificati si presumono ricavi o compensi non dichiarati (cioè redditi imponibili occultati).
- Prelievi non giustificati (oltre soglie significative) si presumono utilizzati per spese non dichiarate, generatrici a loro volta di ricavi in nero.
In termini giuridici, l’art. 32, co.1, n.2 del DPR 600/1973 stabilisce che i dati sui movimenti finanziari “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti” qualora il contribuente non dimostri di averne tenuto conto nelle dichiarazioni o che sono irrilevanti ai fini reddituali. Inoltre, “alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle rettifiche ed accertamenti” i prelevamenti non giustificati sopra €1.000 giornalieri o €5.000 mensili, se il contribuente non indica il beneficiario delle somme. In altre parole: ogni versamento bancario non registrato nei conti fiscali viene considerato entrata imponibile sottratta a tassazione; ogni prelevamento anomalo, oltre una certa soglia, viene considerato impiegato per pagare costi in nero e quindi per produrre ricavi non dichiarati.
Importante: la presunzione relativa ai prelievi è stata limitata dalla Corte Costituzionale per i soggetti non imprenditori. Con la sentenza n. 228/2014 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 32 nella parte in cui estendeva anche ai lavoratori autonomi la presunzione sui prelevamenti come compensi non dichiarati. La Corte ha ritenuto irragionevole presumere che ogni somma prelevata dal professionista sia reinvestita nell’attività e produttiva di reddito, definendo tale automatismo arbitrario e lesivo della capacità contributiva. Dopo questa pronuncia, quindi, per i lavoratori autonomi (professionisti) i prelievi non giustificati non possono più essere considerati automaticamente ricavi occulti, mentre rimane in vigore la presunzione per gli imprenditori (reddito d’impresa) e – per quanto riguarda i versamenti – per tutti i contribuenti. In pratica:
- Per gli imprenditori individuali (es. ditte, commercianti) i versamenti non giustificati sono sempre considerati ricavi, e i prelievi non giustificati (sopra soglia) sono considerati acquisti “in nero” destinati all’attività.
- Per i professionisti e lavoratori autonomi (avvocati, medici, consulenti, ecc.), i versamenti non giustificati restano presunti compensi, ma i prelevamenti bancari non generano presunzione di reddito occulto (sent. Corte Cost. 228/2014).
- Per i privati cittadini senza partita IVA, di norma l’Agenzia può contestare solo i versamenti ingiustificati come possibili redditi non dichiarati; i prelievi di denaro personale non rientrano nei controlli reddituali (salvo casi eccezionali, ad esempio nell’ambito di accertamenti sintetici del tenore di vita).
Va sottolineato che la presunzione derivante dagli accertamenti bancari ha natura legale relativa ex art. 2728 c.c.: ciò significa che opera ipso iure a favore del Fisco, ma può essere vinta dal contribuente con idonea prova contraria. L’onere della prova grava integralmente sul contribuente: egli deve giustificare analiticamente ogni singola movimentazione contestata, provando che essa non costituisce reddito imponibile. Non basta una spiegazione generica o di massima: serve una documentazione precisa (es. contabile, bancaria, contrattuale) che tracci l’origine della somma, la causale e l’eventuale destinazione extra-fiscale. Come chiarito dalla Cassazione, “non è sufficiente il solo dato dell’accredito bancario per presumere l’esistenza di un reddito imponibile” se il contribuente fornisce elementi concreti sulla provenienza non reddituale di quella somma. In altri termini, la sola presenza di un versamento sul conto non può far scattare un’imposizione automatica qualora il contribuente dimostri – con elementi tracciabili e coerenti – che si trattava magari di trasferimenti familiari, risparmi precedenti, rimborsi, o altre entrate non soggette a tassazione.
Sintesi delle regole di presunzione (Art. 32 DPR 600/73):
Categoria contribuente | Versamenti non giustificati | Prelievi non giustificati |
---|---|---|
Imprenditore (reddito d’impresa) | Presunti ricavi in nero (tassabili). | Presunti costi “in nero” destinati all’attività, generando ricavi non dichiarati (sopra €1.000/gg e €5.000/mese). |
Lavoratore autonomo (professionista) | Presunti compensi in nero (tassabili). | Non presunti ricavi: presunzione dichiarata incostituzionale per i professionisti (C. Cost. 228/2014). |
Privato senza P. IVA | Presunti redditi non dichiarati (es. altri redditi) se l’accertamento avviene in ambito sintetico o altri controlli. | Non applicabile in genere: i prelievi personali non generano presunzione di reddito (considerati spese di consumo). |
Nota: per tutti i contribuenti (a prescindere dalla categoria) la legge consente sempre di fornire prova contraria. Il giudice, in caso di contenzioso, dovrà valutare ogni singola giustificazione fornita per ciascun movimento bancario contestato. È nullo l’accertamento basato su movimenti bancari se il giudice di merito non ha esaminato specificamente le prove riferite a ciascun versamento/prelievo, limitandosi a confermare in blocco le pretese del Fisco. Questo principio, affermato a più riprese dalla Cassazione, tutela il contribuente da valutazioni sommarie: l’onere probatorio è suo, ma una volta fornite spiegazioni plausibili e documenti, ogni movimento deve essere singolarmente verificato dall’Ufficio e dal giudice.
2. Successione ereditaria e obblighi tributari del defunto
Quando si ereditano i beni di un parente defunto, oltre all’eventuale imposta di successione dovuta per legge (in presenza di valori che superano le franchigie previste), gli eredi subentrano anche in gran parte delle posizioni debitorie del de cuius, debiti tributari compresi. È quindi fondamentale capire chi risponde dei debiti fiscali della persona deceduta e in che misura, prima di affrontare il merito di un accertamento sui conti.
Secondo il codice civile (art. 752 c.c.), “i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie”, salvo diversa volontà del testatore. Ciò significa che i debiti del defunto – comprese le imposte non pagate – si ripartiscono pro quota tra gli eredi, senza solidarietà automatica tra di loro. In pratica, ogni erede è obbligato a pagare i debiti ereditari (fiscali e non) solo in misura proporzionale alla parte di eredità ricevuta. Ad esempio, se un figlio eredita il 50% del patrimonio del genitore, dovrà farsi carico solo del 50% di eventuali debiti tributari del de cuius. Non vi è litisconsorzio necessario tra eredi: l’Agenzia delle Entrate potrebbe anche notificare la richiesta di pagamento a un solo coerede per l’intero, ma quest’ultimo ha il diritto di eccepire la limitazione della propria responsabilità alla quota di competenza, indicando la percentuale ereditata. Se l’erede convenuto non solleva tale eccezione in sede di contestazione, rischia altrimenti di dover pagare l’intero debito, salvo poi rivalersi sugli altri coeredi per le loro parti.
Va precisato inoltre che non tutti i debiti “seguono” gli eredi. In materia tributaria, la regola generale (art. 8 D.Lgs. 472/1997) è che le sanzioni amministrative tributarie non si trasmettono agli eredi. Le multe, soprattasse e sanzioni per violazioni commesse dal defunto hanno natura afflittiva personale e si estinguono con la morte del contribuente: “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi” (art. 8 cit.). La Cassazione ha recentemente ribadito questo principio, annullando le sanzioni in un caso in cui alla vedova di un contribuente defunto era stato richiesto il pagamento di multe fiscali relative al marito. Restano invece a carico degli eredi gli importi dovuti a titolo di imposta evasa e relativi interessi, poiché questi sono considerati parti integranti del debito tributario (obbligazioni pecuniarie) e non sanzioni personali. In altri termini, l’erede può dover pagare le tasse non versate dal de cuius (imposte dirette, IVA, ecc., nei limiti della sua quota ereditaria) e gli interessi maturati, ma non le pene pecuniarie aggiuntive (multe) collegate all’evasione del defunto.
Accettazione dell’eredità e responsabilità: è fondamentale capire che l’erede diventa tale solo dopo aver accettato l’eredità. Se una persona è semplicemente chiamata all’eredità ma non l’ha ancora accettata (ad esempio entro i termini di legge), non è tenuta a farsi carico dei debiti del defunto. L’apertura della successione in sé non attribuisce automaticamente la qualità di erede finché non vi è accettazione (espressa o tacita). Un atto come la presentazione della dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate ha natura solo fiscale e non equivale di per sé ad accettazione dell’eredità. Ciò significa che, in teoria, se un accertamento fiscale viene notificato quando il chiamato non ha ancora accettato, questi può sottrarsi al pagamento semplicemente rinunciando all’eredità (perdendo però anche i beni). Una volta accettata, invece, l’erede risponde dei debiti fiscali del de cuius nei termini visti (pro quota, senza sanzioni).
Esiste la possibilità di accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, strumento che limita la responsabilità patrimoniale dell’erede. Con il beneficio d’inventario, il patrimonio del defunto rimane separato da quello personale dell’erede: quest’ultimo pagherà gli eventuali debiti ereditari (inclusi quelli fiscali) solo entro il valore dei beni ereditati, senza intaccare il proprio patrimonio personale. Se i debiti superano l’attivo ereditario, l’erede beneficiato non è tenuto a coprire la differenza con risorse proprie. Questa forma di accettazione è consigliabile quando si sospetta che il defunto avesse debiti ingenti o nascosti, poiché tutela l’erede dal dovervi far fronte oltre il valore dell’eredità. Nel contesto tributario, l’accettazione beneficiata non evita l’accertamento, ma garantisce che l’erede non paghi più di quanto ereditato in caso di esito sfavorevole.
3. Accertamento basato su versamenti ereditati: perché avviene e come si svolge
Vediamo ora nello specifico la situazione in esame: un accertamento tributario fondato su versamenti bancari non giustificati che l’erede ha ricevuto dal conto di un parente defunto. Questo scenario tipicamente può presentarsi in due modi diversi, che è bene distinguere:
- (A) Accertamento sul reddito dell’erede, in cui l’Agenzia delle Entrate contesta all’erede di aver ricevuto somme sul proprio conto (dopo la morte del parente) senza dichiararle come reddito. In sostanza, tali versamenti vengono trattati come possibili redditi occulti dell’erede stesso, a meno che quest’ultimo provi che si tratta di denaro ereditato (e quindi non imponibile come reddito). È il caso, ad esempio, di un figlio che nel 2025 riceve un bonifico di €50.000 proveniente dal conto intestato al padre defunto e non avendo altri redditi dichiarati per quell’anno, riceve un avviso di accertamento per redditi non dichiarati di pari importo. L’onere è sull’erede di dimostrare che quei €50.000 non sono un reddito prodotto da lui, ma l’eredità del padre.
- (B) Accertamento sul reddito del de cuius, in cui l’Agenzia contesta che i versamenti trovati sul conto corrente del parente deceduto (in vita) fossero redditi non dichiarati da quest’ultimo. In questo caso l’atto di accertamento viene emesso nei confronti del defunto (per l’anno d’imposta pregresso) ma notificato agli eredi, chiamati a risponderne in luogo del deceduto. Ad esempio, l’Agenzia esamina i movimenti bancari del conto del defunto e trova che nel 2019 vi erano ingenti versamenti in contanti non giustificati rispetto ai redditi dichiarati in quell’anno; nel 2024 emette quindi un avviso di accertamento per maggior reddito 2019 intestato “agli Eredi di XYZ” recuperando a tassazione quei versamenti. Gli eredi dovranno difendere la posizione del defunto, eventualmente provando che quei movimenti non erano redditi evasi, oppure rilevare vizi di procedura (decadenza dei termini, errori sull’individuazione degli eredi, ecc.).
Qual è la differenza? Nel caso (A) l’Agenzia sta presumendo che l’erede abbia percepito un reddito proprio (un “reddito diverso” non dichiarato, ai sensi dell’art. 6 TUIR) coincidente con l’importo trasferitogli dal parente. Nel caso (B) invece l’Agenzia sta recuperando a tassazione un reddito non dichiarato dal de cuius, rivalendosi sugli eredi per il pagamento. La distinzione è cruciale perché incide sulle strategie difensive e sugli importi dovuti:
- Nel caso (A) l’erede risponde come contribuente autonomo: se l’accertamento fosse confermato, egli pagherebbe imposte e sanzioni su quell’importo (come fosse un suo reddito evaso). Sarà dunque fondamentale per lui dimostrare che la somma era corrispettivo di eredità (o comunque una fattispecie non reddituale). Fortunatamente, il diritto tributario italiano non considera mai l’eredità in sé un reddito imponibile: le somme ricevute per successione sono soggette semmai all’imposta di successione, ma non all’IRPEF. Pertanto, qualificare quel versamento come eredità dovrebbe di regola escluderne la tassabilità come reddito. L’intera controversia in tal caso verterà sulla prova documentale di tale natura.
- Nel caso (B) l’erede sta sostanzialmente difendendo il dichiarato fiscale del defunto. Se l’accertamento fosse confermato, gli eredi (pro quota) dovrebbero pagare le imposte evase dal de cuius (più interessi), ma senza sanzioni a loro carico. In questa situazione, la difesa può consistere nel contestare il merito (ad esempio provando che quei versamenti sul conto del defunto non erano redditi tassabili per lui, ma magari restituzioni di prestiti, risparmi già tassati, ecc.) oppure nell’eccepire questioni procedurali: ad esempio che l’accertamento è stato notificato oltre i termini di decadenza, o che il defunto in quell’anno aveva presentato regolarmente dichiarazione e i versamenti erano già giustificati in sede di dichiarazione, ecc.
Va detto che molto spesso, nella pratica, i casi di versamenti ereditati contestati si presentano secondo la modalità (A): l’amministrazione finanziaria incrocia i dati bancari degli eredi (ad esempio tramite l’Anagrafe dei conti) e rileva accrediti anomali dopo il decesso del parente. Questo accade ad esempio quando l’erede trasferisce i soldi dal conto del defunto al proprio conto personale (mediante bonifico o assegno a sé stesso) oppure quando preleva contanti dal conto del de cuius e successivamente li versa sul proprio conto. Queste operazioni, se di importo significativo, risultano come entrate nei conti dell’erede e, se quest’ultimo non ha fonti reddituali congrue, fanno scattare l’allarme. Da notare che la banca, al momento della morte, in genere blocca il conto del defunto in attesa della successione; i trasferimenti agli eredi avvengono normalmente in forma tracciata (bonifici di liquidazione delle quote ereditarie). Quindi nella maggior parte dei casi rimane evidenza documentale della provenienza di quelle somme.
Esempio pratico: Il signor Rossi muore lasciando €80.000 su un conto corrente. La figlia unica presenta la dichiarazione di successione e la banca le accredita l’intera somma su un conto a lei intestato nel 2023. Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate nota che la figlia, nel 2023, ha ricevuto €80.000 sul conto senza avere redditi dichiarati (essendo magari disoccupata) e avvia un accertamento sintetico contestandole €80.000 di redditi non dichiarati. In questo caso, la figlia potrà facilmente difendersi dimostrando che trattasi dell’eredità paterna: allegando copia della dichiarazione di successione, l’estratto conto del padre deceduto e della banca attestante il trasferimento ereditario, l’accertamento dovrebbe essere annullato in autotutela o comunque essere annullato dal giudice in caso di ricorso, poiché il fatto originario (eredità) esclude la natura reddituale della somma. Diverso sarebbe se l’Agenzia contestasse, invece o in aggiunta, che il signor Rossi in vita non aveva dichiarato quei €80.000 come redditi suoi: ma allora l’accertamento andrebbe fatto verso il signor Rossi (oggi eredi), per l’anno di formazione di quella ricchezza.
Tempistiche e decadenza. Un accertamento basato su movimenti bancari deve rispettare i termini di decadenza ordinari previsti dalla legge (D.P.R. 600/73, art. 43). Di regola, l’Agenzia deve notificare gli avvisi di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi (se il contribuente l’aveva presentata) oppure entro il 31 dicembre del settimo anno successivo se la dichiarazione era omessa. Nel contesto ereditario, possiamo avere due situazioni:
- Se si tratta di accertare redditi non dichiarati dal defunto (caso B), si guarda all’anno d’imposta oggetto di verifica: ad esempio per redditi 2019 del de cuius (dichiarazione 2020), il termine ordinario sarebbe il 31/12/2025 (cinque anni dopo il 2020) se la dichiarazione fu presentata, oppure 31/12/2027 se il defunto non presentò dichiarazione per il 2019 (omessa). Attenzione: se la morte è avvenuta durante l’anno, gli eredi avrebbero dovuto presentare la dichiarazione “postuma” per il deceduto; la mancata presentazione configura dichiarazione omessa con allungamento dei termini. Inoltre, in caso di violazione rilevante penale (es. evasione oltre soglia penale) con denuncia, i termini possono estendersi di ulteriori 2 anni (raddoppio dei termini), ma ciò avviene solo in presenza di notitia criminis e secondo le condizioni di legge.
- Se si tratta di accertare un reddito presunto dell’erede (caso A), l’anno di riferimento è quello in cui l’erede ha ricevuto/versato la somma. I termini di decadenza saranno quindi calcolati rispetto alla dichiarazione dell’erede di quell’anno. Nell’esempio sopra, la figlia che riceve €80.000 nel 2023: se aveva comunque presentato la dichiarazione 2024 (redditi 2023) – magari indicando zero redditi – l’Ufficio avrebbe fino al 31/12/2029 per contestare (quinto anno successivo al 2024); se non avesse presentato affatto la dichiarazione 2024, il termine sarebbe 31/12/2031 per l’accertamento. In pratica l’accertamento può arrivare anche alcuni anni dopo l’evento dell’eredità, specie se la dichiarazione fu omessa: gli eredi di professionisti deceduti devono prepararsi a gestire accertamenti bancari anche a distanza di anni dai fatti.
È bene dunque conservare con cura tutta la documentazione relativa alla successione e ai movimenti finanziari derivanti, per poterla esibire anche diversi anni dopo se necessario. Un accorgimento utile: indicare chiaramente, nei bonifici o assegni di trasferimento di somme ereditate, la causale come “trasferimento eredità” o similari, in modo da rendere evidente la natura extra-reddituale dell’operazione. Inoltre, presentare la dichiarazione di successione nei termini (entro 12 mesi dall’apertura della successione) e pagare le eventuali imposte ipocatastali o di successione dovute fornisce un ulteriore riscontro formale della legittima provenienza di quei fondi.
4. Prova liberatoria: come giustificare i versamenti ereditati
Come già evidenziato, il cuore della difesa in caso di accertamento su somme ereditate consiste nel fornire la prova che tali somme non rappresentano un reddito occulto, bensì patrimonio di altra natura (eredità, donazione, risparmio pregresso, etc.). Data l’inversione dell’onere probatorio in questo tipo di accertamenti, è essenziale predisporre un dossier probatorio solido e dettagliato per ogni movimento contestato.
Nel caso di versamenti provenienti da un parente defunto, le prove documentali chiave saranno tipicamente:
- Dichiarazione di successione presentata all’Agenzia delle Entrate, con l’indicazione delle somme depositate sui conti correnti del de cuius. Questo documento ufficiale attesta che l’erede ha incluso quei conti nel patrimonio ereditario. Se dalla dichiarazione risulta che il saldo di conto X (intestato al defunto) è stato attribuito all’erede per €Y, tale importo coincide con il versamento oggetto di accertamento? In caso affermativo, la connessione è immediata.
- Estratti conto bancari sia del defunto sia dell’erede, relativi al periodo del trasferimento. Occorre mostrare il movimento in uscita dal conto del de cuius (o dal conto cointestato, se era cointestato col chiamato) e il corrispondente movimento in entrata sul conto dell’erede, con date e importi combacianti. Spesso le banche rilasciano una documentazione specifica chiamata “Scheda di liquidazione delle attività post-mortem”, dove risultano i bonifici disposti agli eredi con causale eredità: tale documento è ideale da esibire perché proviene dalla banca e spiega direttamente la natura del versamento.
- Atto notorio o dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dagli eredi, utilizzata di solito presso le banche per lo sblocco dei conti, in cui essi dichiarano chi sono gli eredi legittimi/testamentari e come vanno ripartite le sostanze. Questo atto, spesso richiesto dalla banca, può corroborare il fatto che l’erede era avente diritto a quelle somme.
- Eventuale testamento pubblicato (se esistente) o verbale di accordo tra eredi per la divisione, da cui risulti l’attribuzione delle somme all’erede in questione. In caso di più eredi, se ad esempio c’era un conto cointestato madre/padre poi passato interamente al figlio, potrebbe esserci un accordo di rinuncia degli altri eredi su quel conto. Ogni documento che chiarisce il titolo successorio ai beni contestati è utile.
- Prova dell’origine non reddituale delle somme: se l’Agenzia sostenesse (in un caso B) che il defunto aveva quei soldi in conto perché evasore, l’erede può cercare di dimostrare che in realtà quei soldi erano frutto di risparmi su redditi già tassati o da attività esenti. Ad esempio, esibendo le dichiarazioni dei redditi di molti anni del defunto che mostrano redditi sufficienti ad accumulare quel risparmio; oppure documentando che parte di quelle somme derivavano dalla vendita di un bene personale non tassabile (es. vendita della casa di famiglia, che fiscalmente può essere esente da plusvalenza). In generale, occorre dare una storia tracciabile al denaro.
Nel contesto delle indagini finanziarie, la tracciabilità e coerenza sono fondamentali. La giurisprudenza di merito e di legittimità ha più volte affermato che i bonifici tra familiari o i trasferimenti intra-familiari non costituiscono reddito imponibile se adeguatamente documentati e giustificati. Ad esempio, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia (sent. n. 4378/2024) ha annullato un accertamento che pretendeva di tassare somme affluite sui conti di un socio unico provenienti dai conti della madre e della sorella: l’Ufficio li considerava utili occulti distribuiti, ma la Corte ha accolto la prova che erano finanziamenti familiari tracciati, provenienti da redditi dichiarati delle congiunte, volti a sostenere l’impresa di famiglia. In sentenza si legge che operazioni in contesto solidaristico familiare e prive di finalità elusive non possono essere automaticamente qualificate come redditi evasivi, spettando semmai all’Amministrazione provare il contrario in modo analitico. Analogamente la Cassazione, con ordinanza n. 11633/2021, ha ribadito che un accredito bancario da solo non basta a fondare un’imposizione se non accompagnato da ulteriori elementi che ne dimostrino la natura reddituale. E con l’ordinanza n. 397/2019 la Suprema Corte ha escluso la tassabilità di un bonifico ricevuto dal suocero del contribuente, in presenza di documentazione che ne provava la natura di sostegno familiare (donazione) in forma tracciata.
Consigli pratici per la prova documentale:
- Raccogliere tutti i documenti ufficiali: copia della dichiarazione di successione (timbrata di avvenuta presentazione), certificato di morte, estratti conto del de cuius degli ultimi periodi, estratti conto dell’erede nel periodo di incasso, ricevute dei bonifici o assegni circolari usati per trasferire i fondi, documenti bancari relativi allo svincolo delle somme (es. quietanza della banca).
- Evidenziare le corrispondenze: se l’importo contestato è, poniamo, €30.000, evidenziare su un estratto conto che proprio €30.000 sono usciti dal conto del defunto in data X con causale Y e entrati sul conto dell’erede in data X+1 con medesima cifra e causale “Eredità Y”.
- Utilizzare dichiarazioni e attestazioni: se la causale dei bonifici non era esplicita, far predisporre (anche a posteriori) una dichiarazione scritta dagli altri eredi o dal direttore di banca che ricordi che quel trasferimento era legato alla successione. Benché la testimonianza non sia ammessa formalmente nel processo tributario, una dichiarazione sottoscritta da terzi allegata come elemento di riscontro può aiutare a convincere l’ufficio o il giudice sulla buona fede e veridicità della ricostruzione, soprattutto se chi firma sarebbe disponibile a confermarlo in altre sedi.
- Dimostrare l’assenza di contropartita: è importante chiarire che l’erede non ha fornito nulla in cambio di quella somma (trattandosi di successione non c’è controprestazione). Se l’Agenzia dovesse ipotizzare che si trattasse invece di un pagamento per qualche servizio o vendita fatto dall’erede (ipotesi fantasiosa ma da scongiurare), si può enfatizzare il rapporto familiare e l’occasione (decesso) che giustificano il trasferimento a titolo gratuito.
- Verificare i dati reddituali del donante/defunto: se il parente deceduto aveva redditi leciti capienti negli anni precedenti, evidenziarlo. Ad esempio: “Mio padre aveva venduto un immobile nel 2018 e depositato la liquidità in banca; ecco il rogito di vendita e l’incasso sul suo conto. Quei soldi nel 2021 me li ha donati/ereditati.” Ciò taglia alla radice l’ipotesi di evasione, mostrando una fonte fiscalmente già emersa.
- Circolare 32/E 2006: ricordiamo che la stessa Agenzia delle Entrate nelle sue istruzioni interne ha richiesto che ogni accredito sospetto sia analiticamente giustificato con indicazione di origine, causale e finalità. Questo significa che il contribuente in sede di contraddittorio deve dare spiegazioni specifiche per ogni movimento: è utile quindi preparare un piccolo memorandum scritto che elenchi voce per voce i movimenti contestati, ciascuno con a fianco la relativa giustificazione e riferimenti ai documenti allegati.
In conclusione, la difesa ideale è quella in cui il versamento ereditato viene inserito in un contesto narrativo coerente e dimostrabile: ad esempio “Questa somma di €X è parte dell’eredità di mio padre; deriva dai suoi risparmi/vendite già tassati; è stata trasferita a me in data Y mediante bonifico; non ho obbligo di dichiararla come reddito perché non è un provento da attività, bensì acquisto di natura successoria.” Quando questa storia è supportata da evidenze oggettive, l’accertamento non regge perché manca il presupposto del reddito non dichiarato.
5. Strumenti di tutela del contribuente (erede)
Una volta ricevuto (o preannunciato) un accertamento fondato su movimenti bancari, l’erede contribuente ha a disposizione vari strumenti procedurali per far valere le proprie ragioni. È importante utilizzarli in modo tempestivo e appropriato. Esaminiamo i principali: interpello, autotutela, accertamento con adesione e ricorso tributario, con un cenno anche alla fase di contraddittorio preventivo.
5.1 Contraddittorio e richiesta di chiarimenti preventiva
Spesso, prima di emettere un avviso di accertamento fondato su dati bancari, l’Ufficio invia al contribuente un invito a comparire o a fornire chiarimenti (modello /), ai sensi dell’art. 32 co.2 DPR 600/73. In tale contraddittorio preventivo, l’erede avrà la prima opportunità di spiegare all’Agenzia la natura delle movimentazioni sospette. È fondamentale non ignorare questo invito: presentarsi (o farsi rappresentare) e produrre subito la documentazione giustificativa può talvolta evitare l’emissione dell’accertamento o circoscriverne l’oggetto. L’invito è obbligatorio per legge in certi casi (es. per i redditi d’impresa, e in generale prima di accertamenti bancari l’Agenzia è tenuta a instaurare il contraddittorio), tanto che la mancata attivazione del contraddittorio è motivo di illegittimità dell’atto in alcune circostanze. Dunque, se avete ricevuto ad esempio una comunicazione di irregolarità o una lettera di compliance che anticipa la contestazione di versamenti non giustificati, rispondete formalmente allegando le prove dell’origine ereditaria delle somme.
5.2 Interpello all’Amministrazione finanziaria
L’interpello è una procedura che permette al contribuente di rivolgersi all’Agenzia delle Entrate per avere un parere ufficiale e vincolante sull’interpretazione di una norma tributaria in relazione a un caso concreto (art. 11 L. 212/2000, Statuto del contribuente). Nel contesto dei versamenti ereditati, un interpello preventivo potrebbe risultare utile se si hanno dubbi sulla corretta tassazione di una certa operazione. Ad esempio, immaginiamo il caso di eredi che ricevano somme dal defunto ma in forma indiretta (come beneficiari di una polizza assicurativa sulla vita, oppure come cointestatari di un conto in trust del de cuius): sono fattispecie talvolta complesse, su cui si potrebbe chiedere all’Agenzia di confermare che tali accrediti non costituiscono reddito imponibile.
Presentare un interpello prima di compiere l’operazione (o immediatamente dopo averla compiuta, ma prima di eventuali controlli) ha il vantaggio che la risposta dell’Agenzia vincola gli uffici rispetto al quesito posto. Se la risposta tarda oltre i 90 giorni, vale il silenzio-assenso (interpello ordinario). Per questioni di eredità, spesso non c’è grande incertezza normativa – l’eredità non è reddito per definizione – ma si potrebbe configurare un interpello probatorio: ovvero sottoporre all’esame dell’Agenzia la documentazione a supporto di una tesi (ad esempio: “Confermategli che la somma X incassata da Tizio è esente da IRPEF perché trattasi di credito ereditario”). Questo tipo di interpello, se accolto, mette al riparo da accertamenti futuri su quella specifica questione.
Va detto però che gli interpelli vanno utilizzati con accortezza: non si può chiedere all’Agenzia un parere su questioni di fatto (ad esempio “questa prova è sufficiente?”) ma solo su interpretazioni giuridiche. Inoltre, se l’accertamento è già in corso o è stato notificato, l’interpello non sospende i termini né blocca l’azione accertativa. In tal caso, gli strumenti più efficaci diventano quelli descritti sotto (autotutela, adesione, ricorso).
5.3 Istanza di autotutela
L’autotutela è il potere/dovere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando risultino palesemente illegittimi o infondati, anche fuori da un contenzioso. Il contribuente può presentare in qualsiasi momento (anche dopo la notifica dell’accertamento) un’istanza di autotutela all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto, esponendo i motivi per cui l’accertamento sarebbe errato e chiedendone l’annullamento totale o parziale.
Nel nostro caso, qualora l’erede disponga di prove inequivocabili che i versamenti contestati sono eredità, è opportuno allegarle a un’istanza in cui si chiede all’Ufficio di riesaminare la posizione. Ad esempio: “Si evidenzia che l’importo di €50.000 accertato quale reddito non dichiarato anno 2023 è in realtà derivante da successione di XYZ (padre del contribuente), come da dichiarazione di successione e bonifico allegati. Pertanto si richiede l’annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento per insussistenza del presupposto impositivo.”.
L’autotutela ha alcuni vantaggi: può portare all’annullamento dell’atto senza dover andare in giudizio, ed è gratuita e relativamente informale (basta una lettera firmata, meglio se via PEC per tracciare la data). Tuttavia, non sospende né i termini di pagamento né i termini per impugnare l’atto. L’ufficio non è obbligato ad accogliere o rispondere all’istanza – è a sua discrezione. Nella prassi, l’autotutela viene accolta soprattutto in presenza di errori evidenti o documenti nuovi che il Fisco non aveva valutato. Nel contesto ereditario, se l’erede fornisce ora documenti che magari non aveva esibito in contraddittorio (per disattenzione o perché l’ufficio non glieli ha chiesti prima), c’è una chance che l’ufficio riconosca l’errore e annulli o riduca l’accertamento.
Ricordiamo che esiste anche l’autotutela parziale o sgravio: ad esempio, se erano contestati più movimenti e l’erede ne giustifica alcuni ma non tutti, l’ufficio potrebbe annullare la parte dell’accertamento relativa ai movimenti provati e lasciare il resto. Oppure, se erano applicate sanzioni agli eredi (impropriamente), può eliminarle in autotutela (visto il principio di intrasmissibilità delle sanzioni) mantenendo solo l’imposta.
Suggerimento: presentare l’istanza di autotutela prima possibile, preferibilmente entro i 60 giorni dalla notifica dell’avviso, così da poter eventualmente attendere un riscontro prima di decidere se fare ricorso. Se l’ufficio non risponde in tempi brevi o rigetta, l’unica via restante è il ricorso (non esiste un “diritto” all’annullamento in autotutela impugnabile in tribunale).
5.4 Accertamento con adesione
L’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) è uno strumento deflattivo che consente al contribuente di negoziare con l’Ufficio un abbattimento della pretesa, evitando il giudizio. Quando si riceve un avviso di accertamento (non preceduto da invito all’adesione), si può presentare entro 60 giorni un’istanza di accertamento con adesione, chiedendo un incontro. Ciò sospende automaticamente i termini per fare ricorso per 90 giorni. Durante l’incontro, contribuente e ufficio discutono le contestazioni e possono giungere a un accordo sulle somme dovute; in caso di accordo, le sanzioni vengono ridotte ad 1/3 e si formalizza un atto di adesione con effetto di transazione fiscale.
Nel caso di versamenti ereditati non giustificati, l’adesione potrebbe sembrare poco adatta se l’erede ritiene di avere ragione al 100% (perché significherebbe “trattare” su una pretesa infondata). Tuttavia, va considerato che l’adesione è uno strumento flessibile: si potrebbe ad esempio sostenere all’ufficio che nessuna imposta è dovuta su quelle somme perché eredità, ma concordare quantomeno l’eliminazione totale delle sanzioni e interessi in cambio della rinuncia a eventuali rimborsi (questo se l’ufficio fosse restio a riconoscere lo zero assoluto). In pratica, se c’è incertezza probatoria (es. mancano alcuni documenti e in giudizio c’è un rischio), l’adesione potrebbe chiudere la vicenda con un compromesso. L’adesione ha il vantaggio della velocità e della riduzione sanzioni, ma una volta firmata preclude ogni successiva difesa (diventa definitiva).
È comunque un’opzione: l’erede potrebbe utilizzare l’istanza di adesione anche semplicemente per avere più tempo (90 giorni extra) per preparare il ricorso, senza poi presentarsi all’incontro o senza aderire. Questo è un uso “strumentale” ma legittimo, dato che la legge concede quella sospensione. In ogni caso, se l’ufficio in sede di adesione prendendo visione delle prove si convincesse della buona causa dell’erede, potrebbe esso stesso proporre un annullamento parziale/totale. Non è frequentissimo, ma è possibile che l’incontro di adesione si concluda con un nulla di fatto e successivamente l’ufficio emetta in autotutela l’annullamento.
5.5 Ricorso tributario (contenzioso)
Se non si riesce a risolvere la questione in via amministrativa, il ricorso alla giustizia tributaria diventa l’unica strada. Il ricorso va presentato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (o 150 giorni se si è presentata istanza di adesione, considerando i 90 gg di sospensione). Nel caso di eredi, il ricorso sarà intestato all’erede personalmente (se accertamento caso A) oppure all’erede in qualità di erede del deceduto (caso B).
Chi giudica? Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado). La competenza territoriale è normalmente quella del luogo di residenza del contribuente (erede) o, se si tratta di accertamento verso il de cuius, del suo ultimo domicilio fiscale. Il ricorso va notificato all’Ufficio dell’Agenzia che ha emesso l’atto (es. Direzione Provinciale di X) via PEC o raccomandata, e depositato presso la segreteria della Corte Tributaria.
Nel ricorso, l’erede dovrà svolgere motivi di impugnazione sia di merito che eventualmente di legittimità. I punti di merito consisteranno nella dimostrazione che la somma accertata non è un reddito imponibile. Si argomenterà ad esempio che si tratta di genere donato/succeduto, ricadente fuori dal campo di applicazione dell’IRPEF, e si allegheranno tutti i documenti probatori visti (successione, conti, ecc.), spiegando che l’Agenzia non li ha considerati adeguatamente. Si citeranno magari le massime di Cassazione a supporto: ad es. “la Cassazione ha affermato che un accredito da familiare tracciato non costituisce di per sé reddito (Cass. 11633/2021), principio applicabile al presente caso”. Sul piano formale, se vi fossero stati vizi, vanno eccepiti: es. notifica irregolare dell’avviso (magari fatta solo a un erede senza indicare gli altri, se erano noti; oppure fatta oltre i termini di decadenza); oppure motivatazione insufficiente dell’atto (se l’ufficio non ha spiegato perché non ritiene valide le giustificazioni date in fase di contraddittorio). Bisogna valutare ogni possibile vizio procedurale, perché nel processo tributario forma e sostanza sono entrambi rilevanti.
Durante il giudizio, vige il principio del libero convincimento del giudice tributario: starà a lui valutare le prove. Come già detto, non è ammessa la testimonianza orale (art. 7 D.Lgs. 546/92), quindi tutto va prodotto per iscritto. È possibile però produrre documenti anche nuovi in appello (nel caso in cui fossero rinvenuti dopo). L’obiettivo è far emergere chiaramente che manca il presupposto dell’imponibilità, ossia che non c’era alcun reddito evaso.
Se la controversia di valore non supera €50.000, è previsto un tentativo obbligatorio di mediazione/reclamo (art. 17-bis D.Lgs. 546/92) contestuale al ricorso: in pratica il ricorso inizialmente viene esaminato dall’ufficio legale dell’Agenzia che può formulare una proposta di mediazione (es. annullamento parziale). In un caso come il nostro, se le prove sono schiaccianti, è probabile che l’ufficio in sede di mediazione decida di evitare la lite annullando l’atto o ridimensionandolo notevolmente. Se invece la mediazione fallisce o il valore supera 50k, si procede col giudizio vero e proprio.
Il processo tributario ha due gradi di merito (primo grado e appello). Se in primo grado la decisione è favorevole all’erede, l’accertamento viene annullato e l’Agenzia può eventualmente appellare. Se invece è sfavorevole (o solo parzialmente favorevole), l’erede può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). In appello non si possono introdurre nuovi motivi ma si possono produrre nuovi documenti e nuove eccezioni a contrasto delle motivazioni del giudice di primo grado.
Infine, vi è il ricorso per Cassazione (sulla legittimità) come ultimo grado eventuale, su questioni di diritto. Data la tecnicità del caso, spesso non si arriva a questo punto perché le Commissioni tendono a risolvere già in fatto, ma se ci fossero principi di diritto controversi (es. definizione di “reddito diverso” o applicabilità di sanzioni), potrebbe essere necessario. La Cassazione in questi anni, come abbiamo visto, ha prodotto un orientamento favorevole ai contribuenti che portano prove analitiche riguardo versamenti familiari, quindi un precedente solido esiste.
Costi e benefici del ricorso: Il ricorso tributario richiede il pagamento di un contributo unificato (per controversie oltre €3.000) e l’assistenza di un difensore abilitato (avvocato o commercialista) se il valore supera €3.000. Nel valutare se procedere, bisogna considerare l’entità dell’imposta contestata e la certezza delle proprie prove. Nel caso di somme ereditate documentate, la possibilità di ottenere ragione è molto alta, e inoltre il principio di soccombenza consente di chiedere la rifusione delle spese legali all’Agenzia se si vince. Ciò significa che, oltre a non pagare l’imposta illegittimamente richiesta, l’erede potrebbe vedersi riconosciuti i costi sostenuti per la difesa.
5.6 Riepilogo strumenti difensivi
Per comodità, riportiamo in tabella i vari passi difensivi e le loro caratteristiche principali, applicati al caso di accertamento su versamenti ereditati:
Strumento | Quando usarlo | Effetti | Note |
---|---|---|---|
Contraddittorio/invito | Prima dell’avviso (fase istruttoria) | Possibile archiviazione o riduzione delle contestazioni se si forniscono subito le prove. | Obbligatorio in certi casi per l’ufficio; non trascurarlo. |
Interpello ordinario/probatorio | Prima dell’atto (o in assenza di atto) | Risposta scritta dell’Agenzia, vincolante, chiarisce la posizione. | Utile per questioni incerte di qualificazione; non sospende termini di ricorso. |
Autotutela (istanza) | Dopo l’avviso (entro i 60 gg e anche oltre) | L’ufficio può annullare/ridurre l’atto se riconosce l’errore. Non sospende termini di ricorso. | Da tentare se prove evidenti. Meglio inviare prima della scadenza ricorso. |
Accertamento con adesione | Dopo avviso (entro 60 gg dall’atto) | Sospende termini ricorso 90 gg. Possibile definizione concordata: riduzione imposta/sanzioni. | Utile per guadagnare tempo o chiudere con sanzioni ridotte se prova non certa. |
Ricorso tributario | Entro 60 gg (o 150 gg se adesione) dall’avviso | Apre il giudizio davanti alla Corte Tributaria. Sospende la riscossione se si paga 1/3 imposte oppure se si chiede e ottiene sospensione dal giudice. | Necessario difensore (se > €3.000). Permette pieno contraddittorio probatorio in giudizio. |
Mediazione/reclamo | (Parte del ricorso, automatica se valore ≤ €50k) | L’Ufficio valuta il reclamo e può proporre mediazione (riduzione) entro 90 gg. | Procedura obbligatoria di conciliazione preventiva per liti minori. |
Appello | Entro 60 gg da sentenza di I grado | Rivalutazione del caso in secondo grado. | Nuovi documenti ammessi; difensore obbligatorio. |
Cassazione | Entro 60 gg da sentenza appello (o 6 mesi da deposito) | Giudizio solo su violazioni di legge. | Tempi lunghi; rilevante solo per principi di diritto. |
6. Giurisprudenza recente in materia (sentenze chiave)
La materia degli accertamenti bancari e delle difese su versamenti “sospetti” ha generato numerose pronunce giurisprudenziali. Riassumiamo alcune sentenze rilevanti (aggiornate al 2025) che riguardano direttamente o indirettamente i casi di movimenti finanziari e onere della prova – con particolare riferimento ai contesti familiari ed ereditari:
- Cass. Sez. Trib. ord. n. 11633/2021: ha affermato che “non è sufficiente il solo dato dell’accredito bancario per presumere l’esistenza di un reddito imponibile”, richiedendo all’Amministrazione elementi ulteriori per attribuire natura reddituale a un versamento. Principio favorevole al contribuente soprattutto nei casi in cui vengono forniti elementi tracciabili sulla provenienza del denaro (es. bonifico familiare).
- Cass. Sez. Trib. ord. n. 397/2019: in linea con la precedente, ha ritenuto non tassabile un bonifico ricevuto dal suocero del contribuente, poiché il contribuente era riuscito a provare con documenti la natura di sostegno economico familiare di tale versamento. Questa pronuncia riconosce esplicitamente la causale affettiva di certi trasferimenti, escludendoli dall’imponibile in assenza di indizi contrari.
- Cass. Sez. Trib. ord. n. 14353/2022: (Pres. Virgilio, Rel. D’Aquino) ha ribadito il dovere del giudice di merito di esaminare analiticamente le prove fornite dal contribuente per ciascun movimento bancario contestato. Ha cassato una sentenza di appello che si era limitata a dichiarare inattendibile la contabilità del contribuente senza considerare le giustificazioni fornite per i singoli versamenti. Questa decisione è importante perché impone un rigoroso metodo di giudizio a tutela del contribuente diligente che produce prove.
- Cass. Sez. Trib. ord. n. 5317/2024: (depositata il 28/2/2024) ha confermato l’orientamento secondo cui l’onere di superare la presunzione dell’art. 32 DPR 600/73 grava interamente sul contribuente, che deve dimostrare in modo dettagliato l’estraneità di ciascuna operazione ai fatti imponibili. Correlativamente, richiede al giudice una “verifica rigorosa” sull’efficacia di tali prove, da dar conto in motivazione (allineandosi ai principi delle ordinanze 2021-2022).
- Cass. Sez. Trib. ord. n. 24998/2024: (17/9/2024) ha rappresentato un’ulteriore conferma dell’importanza delle presunzioni fiscali derivanti dalle indagini bancarie e dell’onere della prova a carico del contribuente. In quel caso (riguardante movimenti su conti del contribuente e familiari), la Cassazione ha convalidato il fatto che la CTR avesse escluso la rilevanza dei prelievi ingiustificati (applicando Corte Cost. 228/2014 per i lavoratori autonomi) ma confermato la validità della presunzione sui versamenti non giustificati. Si tratta di un richiamo all’ordine per i contribuenti: i depositi bancari non spiegati restano un terreno minato e sorvegliato dal Fisco.
- Corte Costituzionale n. 228/2014: già ampiamente discussa, è la sentenza che ha dichiarato incostituzionale l’art. 32, co.1, n.2 DPR 600/73 limitatamente alle parole “o compensi”, cioè nella parte in cui equiparava i prelievi non giustificati ai compensi dei lavoratori autonomi. La motivazione risiede nell’irragionevolezza di presumere un reddito non dichiarato da un mero prelievo in contanti di un professionista, mancando nel reddito di lavoro autonomo quella stretta correlazione costi-ricavi propria dell’impresa. Da allora la norma va letta escludendo i professionisti dall’ambito dei prelievi presunti.
- Cass. Sez. VI-5 ord. n. 8684/2025: (depositata il 29/3/2025) ha ribadito il principio dell’intrasmissibilità delle sanzioni tributarie agli eredi, sancito dall’art. 8 D.Lgs. 472/97. Esaminando il ricorso di una vedova, la Cassazione ha confermato che gli eredi devono pagare le imposte dovute dal defunto ma non le relative sanzioni, in virtù del carattere personale e afflittivo di queste ultime. Questa pronuncia è un utile riferimento per gli eredi: in qualsiasi contenzioso tributario su obbligazioni del defunto, si può richiamare per far espungere eventuali sanzioni dall’avviso.
- Corte di Giustizia Tributaria di II grado Puglia, sent. n. 4378/2024: (31/12/2024) caso già citato, in cui un socio unico ha visto riconosciuta la natura di finanziamenti infruttiferi familiari per bonifici ricevuti da madre e sorella, con conseguente annullamento dell’accertamento che li aveva qualificati come utili occulti. La sentenza valorizza la finalità solidaristica e la tracciabilità totale dei flussi come elementi sufficienti a superare la presunzione fiscale, in assenza di prova contraria del Fisco. Pur essendo una pronuncia di merito, essa conferma come un impianto probatorio ben congegnato (documenti bancari, provenienza da redditi tassati, ecc.) possa convincere i giudici tributari ad accogliere il ricorso dell’erede/contribuente.
- Cass. sent. n. 2625/2022: (da citare brevemente per completezza) ha stabilito che l’accettazione tacita dell’eredità non può desumersi dal pagamento da parte del chiamato di un debito del defunto con denaro proprio. Ciò attiene al diritto civile (come si diventa eredi) ma incrocia il tributario: un chiamato che paghi ad esempio una cartella intestata al de cuius non viene considerato automaticamente erede ai fini di ulteriori pretese. Questo per dire che, finché non v’è accettazione, l’Amministrazione per sicurezza notifica gli atti a “Eredi di…” in persona dei chiamati noti, ma se uno non accetta può eccepirlo.
Questi principi giurisprudenziali delineano un quadro abbastanza coerente: il Fisco può presumere ma non può ignorare le prove contrarie. Un trasferimento infruttifero tra parenti, se adeguatamente spiegato, non deve diventare reddito tassato. L’eredità in sé non genera IRPEF, e gli uffici – specie dopo le ultime pronunce – sono tenuti a valutare in modo specifico ogni spiegazione offerta dal contribuente. Al contribuente (o erede) spetta l’onere di essere diligente e fornire tutti gli elementi del caso.
7. Domande frequenti (FAQ)
D: I versamenti ereditati dal conto di un parente deceduto sono tassabili come reddito?
R: No, di regola le somme ricevute per successione non costituiscono reddito imponibile ai fini IRPEF. L’eredità è tassata eventualmente con l’imposta di successione, ma non rientra tra i redditi (art. 6 TUIR) da dichiarare. Tuttavia, se l’Agenzia delle Entrate non è a conoscenza della natura ereditaria di un versamento sul conto dell’erede, potrebbe presumere che sia un reddito occulto. Sarà onere dell’erede dimostrare che si tratta di eredità (esibendo dichiarazione di successione, estratti conto, ecc.) affinché l’accertamento venga annullato.
D: Cosa devo fare se ricevo un invito a comparire o una lettera dell’Agenzia che chiede conto di un versamento sul mio conto?
R: Bisogna rispondere prontamente, preferibilmente presentandosi di persona (o tramite il proprio consulente) al contraddittorio con l’Ufficio. In tale sede occorre fornire tutte le giustificazioni e soprattutto documenti relativi alla somma: ad esempio copia della dichiarazione di successione, il dettaglio del bonifico/assegno ricevuto con causale, una dichiarazione che spieghi trattarsi di eredità. È utile presentare anche una breve memoria scritta con cui si riepilogano le prove. Questo può convincere l’Ufficio a archiviare la posizione senza emettere accertamento. Se invece l’invito non riceve risposta, è quasi certo che seguirà un avviso di accertamento presuntivo.
D: L’Agenzia delle Entrate può controllare i conti correnti di un defunto e fare accertamenti anni dopo la morte?
R: Sì. L’Agenzia può ottenere i dati bancari di qualunque contribuente (vivente o defunto) dagli istituti di credito. Se emergono movimenti non spiegati, può emettere avvisi di accertamento anche dopo il decesso, indirizzandoli agli eredi. I termini di decadenza sono quelli ordinari: fino a 5 anni (dichiarazione presentata) o 7 anni (dichiarazione omessa) dopo l’anno di imposta da controllare. Ad esempio, nel 2025 possono ancora essere accertati i redditi 2019 di un contribuente deceduto nel 2020. Inoltre, come visto, possono essere controllati i conti degli eredi stessi relativamente agli anni successivi, qualora vi siano transiti di denaro dall’eredità. Quindi il fatto che il contribuente sia deceduto non immunizza i periodi d’imposta non ancora prescritti: l’azione accertativa prosegue sui suoi successori.
D: In caso di accertamento per redditi del defunto, posso essere obbligato a pagare più di quanto ho ereditato?
R: Se hai accettato puramente e semplicemente l’eredità, in teoria sì: tu rispondi dei debiti del defunto (imposte comprese) anche oltre la quota ricevuta, con tutto il tuo patrimonio, ma solo proporzionalmente alla tua quota. Ad esempio, se eri erede al 50% e il debito fiscale del defunto è enorme, legalmente sei tenuto al 50% di esso anche se supera il valore di ciò che hai ereditato. Tuttavia, se hai dubbi su grossi debiti, avresti potuto accettare con beneficio d’inventario, che limita la responsabilità al valore dei beni ereditari. Dopo aver accettato purtroppo non si può più cambiare questa situazione. Nel processo, comunque, se il Fisco chiedesse a te l’intero debito (magari perché l’altro coerede è irreperibile), puoi sempre far valere che sei obbligato solo pro quota (eccezione di cui all’art. 752 c.c.). Importante: le sanzioni tributarie eventualmente contestate al defunto non devi pagarle tu, per legge.
D: Ho rinunciato all’eredità. Possono lo stesso chiedermi soldi per tasse del defunto?
R: No, se hai validamente rinunciato (atto formale di rinuncia all’eredità) non sei erede e quindi non hai responsabilità per i debiti del defunto. Eventuali accertamenti o cartelle intestati agli “eredi” non ti riguardano più – puoi comunicare all’Agenzia di aver rinunciato, allegando copia dell’atto di rinuncia (o della sua registrazione in Tribunale). Attenzione però: la rinuncia deve essere integrale. Se ad esempio hai anche solo usato parte dei beni del defunto o prelevato soldi dal suo conto prima di rinunciare, potresti aver compiuto atti che configurano un’accettazione tacita. Ma, ad esempio, pagare il funerale o fare la dichiarazione di successione non costituisce accettazione. Quindi, chi rinuncia correttamente non può essere perseguito dal Fisco per i debiti del de cuius – l’onere ricadrà su eventuali altri chiamati (o, in mancanza, l’eredità rimane giacente).
D: Ho ricevuto un bonifico dai miei genitori ancora in vita (donazione). Possono tassarmelo come reddito?
R: Le donazioni o liberalità tra vivi, così come le eredità, non sono redditi per chi li riceve (non vanno dichiarate ai fini IRPEF). Però, analogamente, il Fisco potrebbe chiedere spiegazioni se intercetta somme ingenti ricevute. Le regole di presunzione bancaria valgono per qualsiasi versamento non giustificato. Dunque, se i tuoi genitori ti hanno donato una grossa somma, è prudente formalizzare la cosa: per esempio indicando la causale “donazione” sul bonifico, oppure stipulando una scrittura privata in cui si dichiara la donazione, con data certa, specialmente se l’importo supera certe soglie (ricordiamo che per donazioni immobiliari o molto elevate sarebbe richiesto l’atto pubblico dal notaio). Documentare la provenienza familiare e l’assenza di obblighi restitutori o corrispettivi ti tutela. In caso di controllo, presenterai tali documenti e, come emerso in varie sentenze, ciò sarà sufficiente a evitare tassazione. Naturalmente, se la donazione è di importo superiore alle franchigie di legge, andrebbe pagata l’imposta sulle donazioni (ma in ambito familiare stretto spesso è esente fino a 1 milione di euro per figlio). Il Fisco potrebbe contestare l’imposta di donazione evasa, ma non l’IRPEF.
D: Se l’Agenzia delle Entrate mi contesta versamenti ereditati, rischio conseguenze penali?
R: La soglia penale per l’evasione fiscale sulle imposte dirette (dichiarazione infedele) scatta quando l’imposta evasa supera circa €50.000 per periodo d’imposta. Nel caso di somme ereditate non dichiarate, se l’Agenzia le trattasse come reddito imponibile tuo, e fossero molto ingenti tali da comportare più di 50k di IRPEF evasa, potrebbe in teoria configurarsi l’ipotesi di reato tributario. Tuttavia, una volta che dimostri che non erano redditi ma eredità, viene meno l’evasione. Quindi è cruciale chiarire l’equivoco in sede tributaria prima che degeneri. In generale, le verifiche bancarie che trovano movimenti sospetti possono portare a segnalazioni penali se le cifre sono elevate e non giustificate. Fornire subito la prova dell’origine lecita mette al riparo. Nel caso B (redditi del defunto evasi), i reati eventualmente commessi dal defunto si estinguono con la morte (nessuna responsabilità penale per gli eredi). Dunque l’erede risponde solo del tributo in sede civile, non di reati tributari altrui.
D: Ho già un accertamento sulle somme ereditate: mi conviene pagare subito o fare ricorso?
R: Se disponi di prove chiare che le somme non erano redditi, in genere conviene presentare ricorso (eventualmente preceduto da istanza di autotutela o adesione per vedere se l’ufficio recede). Pagare vorrebbe dire accettare la tassazione di qualcosa che per legge non andava tassato. Inoltre pagare non chiude automaticamente la questione, a meno che tu non faccia acquiescenza: l’acquiescenza (pagamento con sanzioni ridotte a 1/3) è un’opzione entro 60 giorni dalla notifica, utile quando il contribuente sa di avere torto e vuole evitare il contenzioso. Nel nostro caso, se sei sicuro delle tue ragioni, fare acquiescenza non è consigliabile. Meglio impugnare l’atto e far valere i tuoi diritti. Pagherai eventualmente solo dopo la sentenza, e solo se perderai. Nota che presentando ricorso, puoi chiedere al giudice tributario la sospensione dell’atto, dimostrando il fumus (ragioni fondate) e il periculum (danno dal pagamento). In casi del genere, se la documentazione è solida, molti giudici concedono la sospensiva, bloccando la riscossione fino al verdetto.
D: Le spese legali per difendermi mi verranno rimborsate se vinco?
R: Sì, in linea di massima nel processo tributario vige la regola che la parte soccombente rimborsa le spese alla vincente (salvo compensazione per motivi particolari). Se il tuo ricorso verrà accolto integralmente, potrai chiedere nel ricorso e nell’udienza la condanna dell’Agenzia alle spese. Il giudice liquiderà un importo secondo i parametri forensi, che spesso copre gran parte (ma non sempre la totalità) delle spese sostenute. Questo significa che oltre al danno di aver subito un atto illegittimo, il Fisco dovrà rifonderti in parte i costi di avvocato. Ciò a patto, ovviamente, di vincere la causa. Se invece si chiude con adesione o conciliazione, le spese sono a tuo carico (ma ottieni uno sconto sulle sanzioni in quei casi). Valuta questi aspetti economicamente: è inutile spendere più di quanto contestato, ma nel caso di eredità, spesso le cifre sono rilevanti e giustificano la difesa.
D: Cosa succede se avevo usato i soldi dell’eredità per investirli o fare altro e ora non li ho più?
R: Dal punto di vista fiscale, questo è irrilevante: conta l’origine, non l’impiego. Se hai ricevuto 100 e poi li hai spesi o investiti, ai fini dell’accertamento rimane il fatto che hai avuto 100 di entrate non giustificate. Dovrai provare comunque che quei 100 erano eredità. Il fatto di non averli più non ti esonera dal pagarci eventualmente le tasse se l’accertamento viene confermato (dovresti reperire le somme per pagare). Quindi sempre meglio accantonare una parte per eventuali contenziosi, o agire per tempo per evitarli. Se invece la domanda sottende: “ho investito quei soldi e ne ho ricavato dei redditi (interessi, plusvalenze) devo dichiararli?” – la risposta è: ovviamente sì, qualsiasi rendimento o provento che quei soldi generano dopo che li hai ereditati è reddito tuo (capitale, diverso, etc. a seconda del caso) e va dichiarato. Ma il capitale originario ereditato no.
D: Nel caso di accertamento su conto cointestato col defunto, potevano essere soldi miei: come difendersi?
R: Situazione frequente: conto cointestato genitore-figlio. Alla morte, l’Agenzia potrebbe considerare metà saldo eredità e metà già tua, oppure se contesta prelievi/versamenti potrebbe presumere provenienze diverse. In generale, la cointestazione di per sé non prova la comproprietà sostanziale delle somme (spesso è fatta per comodità). In sede di successione, normalmente si presume che metà saldo fosse del defunto e metà già dell’altro cointestatario (a meno di prova contraria). Se l’Agenzia, ad esempio, ti contesta come reddito un versamento fatto su quel conto quando il parente era vivo, dovrai spiegare se erano soldi tuoi o del parente. Può capitare il contrario: un coerede pretende che tutto il saldo era del de cuius, ma il cointestatario dice che erano suoi. Vicende civili a parte, dal lato fiscale devi mantenere coerenza: se affermi che una data somma non è reddito tuo perché apparteneva al padre, potresti generare un’accertamento verso il padre (eredi). Se invece dici che era tua e non del padre, l’Agenzia potrebbe chiederti perché non era nel tuo reddito dichiarato. Occorre quindi preparare una linea difensiva univoca e documentata. Ad esempio: “Questo versamento di €20.000 sul conto cointestato proveniva interamente da risorse di mio padre (e infatti è nell’attivo ereditario, io non l’ho mai considerato mio reddito)”. In tal caso difendi te stesso scaricando sul defunto la titolarità (ma occhio ai termini di accertamento verso di lui). Oppure “No, quei €20.000 li avevo messi io sul conto cointestato (era in realtà un mio conto), e provenivano da miei redditi regolarmente tassati (o esenti)”. In tal caso difendi sostenendo che non erano un reddito “nuovo”. La strategia dipende dalle prove disponibili. La Cassazione in materia di conti cointestati ha affermato che in sede civile le somme si presumono di chi le ha versate; in sede fiscale invece l’Agenzia tende a guardare l’intestazione formale salvo evidenza contraria. Quindi porta evidenza, se ti è favorevole, di chi alimentava il conto.
D: Posso rivolgermi al Garante del Contribuente per lamentare l’ingiustizia dell’accertamento?
R: Il Garante del Contribuente (figura istituita dallo Statuto del contribuente) può ricevere segnalazioni di disfunzioni o atti ritenuti non conformi ai principi dello Statuto, e può raccomandare la revisione di un atto. Non ha però poteri vincolanti. Nel caso in esame, potresti inviare un esposto al Garante regionale descrivendo che l’Agenzia ti sta tassando un’eredità e allegando le prove, sostenendo che ciò viola i principi di collaborazione e buona fede (art. 10 L.212/2000) e chiedendo un intervento. In alcuni casi il Garante effettivamente sollecita l’Ufficio a rivedere l’atto in autotutela. Non aspettarti però miracoli: è una strada parallela, da tentare se hai tempo e vuoi esplorare ogni possibilità, ma non sospende né sostituisce il ricorso. Può moral suasion. Se il tempo stringe, meglio concentrarsi sul ricorso.
D: In sintesi, qual è la migliore difesa per un erede in questi casi?
R: In sintesi: la verità documentata. Raccolte tutte le carte che provano la natura ereditaria (o comunque non reddituale) della somma, bisogna presentarle il prima possibile all’Agenzia e, se necessario, al giudice, spiegando con chiarezza la situazione. La difesa si impernia su due concetti: “questa somma non è un reddito” e “ecco le prove di cos’è realmente”. Una volta che questo è chiaro, la legge e i giudici sono dalla tua parte: come visto, molte sentenze confermano che non ogni versamento è reddito e che le ragioni extrafiscali (come trasferimenti familiari) devono essere tenute in conto. Dunque la miglior strategia è: collaborare durante la fase amministrativa (contraddittorio) fornendo tutto il necessario; insistere in autotutela se l’ufficio inizialmente ignora le spiegazioni; infine, ricorrere senza timore alla giustizia tributaria, forti del vostro dossier probatorio. Dal punto di vista psicologico, può essere spiacevole “dover dimostrare” di non aver commesso un’evasione quando si è in buona fede: ma purtroppo il meccanismo delle indagini finanziarie funziona così. Con una corretta assistenza e le giuste pezze d’appoggio, l’erede-contribuente potrà far valere le proprie ragioni e ottenere l’annullamento dell’accertamento ingiustamente subito.
Fonti (normativa e giurisprudenza)
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (Poteri degli uffici – presunzioni da indagini finanziarie).
- Corte Costituzionale, sentenza 228/2014 – Illegittimità della presunzione sui prelievi per i professionisti (dichiarata incostituzionale l’estensione ai “compensi”).
- Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 14353/2022 – “…il giudice deve verificare l’efficacia delle prove per ogni singola movimentazione bancaria…”.
- Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 11633/2021 – “…non è sufficiente il solo dato dell’accredito bancario per presumere un reddito imponibile”.
- Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 397/2019 – Bonifico dal suocero non imponibile se provata origine e tracciabilità (sostegno familiare).
- Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 5317/2024 – Onere sul contribuente di dimostrare analiticamente l’estraneità di ciascuna operazione bancaria; obbligo del giudice di motivare su ogni prova offerta.
- Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 24998/2024 – Conferma presunzioni da indagini bancarie e onere della prova in capo al contribuente (versamenti non giustificati tassabili).
- Cass. Civ. Sez. VI-5, ord. 8684/2025 – Intrasmissibilità delle sanzioni tributarie agli eredi ex art. 8 D.Lgs. 472/97 (conferma principio).
- Corte Giust. Trib. II grado Puglia, sent. 4378/2024 – Bonifici da madre e sorella al contribuente: natura di finanziamenti infruttiferi familiari, non tassabili; presunzione superata da tracciabilità e mancanza di intenti elusivi.
- Circolare Agenzia Entrate n. 32/E del 19/10/2006 – Indagini finanziarie: ogni operazione sospetta va giustificata puntualmente (origine, causale, finalità).
- Codice Civile, art. 752 – “I coeredi contribuiscono al pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle loro quote” (responsabilità parziaria e non solidale degli eredi).
- Codice Civile, art. 459 e 474 – L’acquisto dell’eredità avviene con l’accettazione; possibilità di accettazione con beneficio d’inventario (limite di responsabilità).
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000) – art. 11 (interpello del contribuente), art. 10 (tutela dell’affidamento e buona fede nei rapporti con il fisco).
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta versamenti bancari non giustificati, provenienti dal conto di un parente defunto che hai ereditato? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta versamenti bancari non giustificati, provenienti dal conto di un parente defunto che hai ereditato?
Ti chiedono di dimostrare la provenienza delle somme o di pagare imposte, sanzioni e interessi?
In caso di successione, l’erede subentra nella titolarità dei conti correnti del defunto, ma non sempre conosce la natura e la provenienza di tutte le movimentazioni passate. Il fisco, attraverso l’accesso ai dati bancari, può ritenere imponibili alcune somme, anche se generate prima del decesso, salvo prova contraria. È quindi fondamentale raccogliere documentazione e argomenti difensivi per dimostrare che quei fondi non costituiscono redditi imponibili.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’avviso di accertamento e la documentazione bancaria del conto ereditato
📌 Verifica la natura delle somme contestate (risparmi, donazioni, indennità esenti, somme già tassate)
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per dimostrare che i versamenti non sono redditi imponibili
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
🔁 Ti assiste anche nella gestione complessiva della successione e nella prevenzione di future contestazioni fiscali
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e difesa da accertamenti bancari
✔️ Specializzato in fiscalità delle successioni e patrimonio ereditario
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un accertamento su versamenti bancari ereditati può essere contestato se si dimostra che le somme non sono imponibili.
Con un’analisi legale mirata puoi difenderti dalle pretese fiscali e tutelare il patrimonio ereditato.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa fiscale comincia da qui.