Hai ricevuto un avviso di accertamento fiscale perché guadagni come gamer o giocatore di eSport?
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui redditi generati da attività online, inclusi tornei di eSport, streaming su piattaforme come Twitch o YouTube e sponsorizzazioni. Se il Fisco ritiene che non hai dichiarato correttamente i guadagni, può chiedere il pagamento di imposte, sanzioni e interessi. Sapere come difendersi è fondamentale per evitare conseguenze economiche gravi.
Quando un gamer o un giocatore di eSport può ricevere un avviso di accertamento
– Quando i guadagni da tornei, streaming o sponsorizzazioni non sono stati dichiarati
– Quando i compensi ricevuti tramite PayPal, bonifico o altre piattaforme di pagamento non risultano nelle dichiarazioni fiscali
– Quando il volume di donazioni, abbonamenti o introiti pubblicitari è incoerente con il reddito dichiarato
– Quando si percepiscono compensi da piattaforme estere senza averli indicati nel quadro RW
– Quando il Fisco riceve segnalazioni da sponsor, organizzatori di eventi o piattaforme di pagamento
Cosa può accadere dopo un avviso di accertamento
– Richiesta di pagamento delle imposte non versate sui redditi percepiti
– Applicazione di sanzioni e interessi che aumentano l’importo dovuto
– Iscrizione a ruolo e cartella esattoriale se non si paga nei termini
– Possibili controlli retroattivi su più anni di attività
– Nei casi più gravi, segnalazioni per ipotesi di reati tributari
Come difendersi da un avviso di accertamento fiscale
– Far analizzare la contestazione da un avvocato tributarista esperto in fiscalità digitale e guadagni online
– Richiedere copia della documentazione su cui si basa l’accertamento (estratti conto, segnalazioni, report di piattaforma)
– Dimostrare la natura dei flussi di denaro (premi, sponsorizzazioni, donazioni non imponibili, rimborsi spese)
– Contestare eventuali errori di calcolo o di inquadramento fiscale delle attività svolte
– Presentare memorie difensive o ricorso nei termini di legge
– Se la pretesa è fondata solo in parte, valutare un accertamento con adesione per ridurre sanzioni e interessi
Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione di sanzioni e interessi tramite accordi o definizioni agevolate
– La sospensione di cartelle e procedure esecutive
– La regolarizzazione della posizione fiscale evitando futuri accertamenti
– La tutela del patrimonio personale da pignoramenti e sequestri
Attenzione: i guadagni come gamer o giocatore di eSport, anche se percepiti tramite piattaforme estere o sotto forma di donazioni, possono essere considerati reddito imponibile. Un’adeguata strategia difensiva e la corretta documentazione possono evitare di pagare somme non dovute.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, fiscalità digitale e difesa del contribuente – ti spiega cosa fare se ricevi un avviso di accertamento fiscale come gamer o giocatore di eSport, come proteggerti e come ridurre le somme richieste.
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Introduzione
Negli ultimi anni, l’attività dei gamer e dei giocatori di eSport (sport elettronici) è cresciuta esponenzialmente, attirando l’attenzione del Fisco e della Guardia di Finanza. YouTuber, streamer su Twitch e pro-player accumulano ricavi elevati da sponsorizzazioni, tornei, donazioni dei followers e persino operazioni in criptovalute. L’Agenzia delle Entrate ha reagito intensificando i controlli: indagini mirate hanno rivelato evasioni milionarie nel settore gaming. Ad esempio, sono stati scoperti compensi non dichiarati per circa 1,2 milioni di euro sui guadagni da canali social dedicati ai videogame, e una recente operazione della GdF di Bologna (tra fine 2022 e 2023) ha recuperato oltre 11 milioni di euro da vari influencer e content creator, inclusi gamer e streamer, per redditi online non dichiarati. Di fronte a queste cifre, anche associazioni come il Codacons hanno denunciato l’opacità fiscale del settore (stimato in 348 milioni € di giro d’affari nel 2023) e sollecitato controlli più severi.
Un avviso di accertamento fiscale è il provvedimento con cui l’Amministrazione finanziaria contesta ufficialmente imposte non pagate o irregolarità fiscali. Sempre più gamer professionisti e influencer del gaming ricevono tali atti dall’Agenzia delle Entrate, vedendosi contestare redditi online non dichiarati, compensi esteri non indicati, l’omessa apertura della partita IVA o altre violazioni. Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un quadro avanzato su come difendersi dopo la notifica di un avviso di accertamento fiscale, focalizzato specificamente sui gamer e giocatori di eSport. Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia ai professionisti legali sia ai privati e imprenditori del settore, offrendo riferimenti normativi italiani, giurisprudenza recente e strumenti pratici di difesa dal punto di vista del “debitore” (il contribuente destinatario dell’accertamento). Troverete tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte, esempi concreti e simulazioni pratiche riguardanti solo il contesto italiano. L’obiettivo è evidenziare le strategie difensive disponibili dopo aver ricevuto l’accertamento, incluse le peculiarità legate a criptovalute, donazioni dei follower e sponsorizzazioni, con richiamo alle sentenze più aggiornate provenienti da fonti istituzionali autorevoli.
Quadro normativo e fiscale per gamer ed eSport
Prima di analizzare le possibili difese successive all’accertamento, è utile delineare il quadro normativo fiscale che riguarda i gamer e i player di eSport, evidenziando gli obblighi dichiarativi e i tipici errori che portano a ricevere un avviso.
Inquadramento dei redditi – In Italia i guadagni derivanti in modo abituale dall’attività di gamer/streamer sono considerati redditi di lavoro autonomo ai fini IRPEF. Ciò significa che il creator che opera professionalmente deve aprire una partita IVA e dichiarare tali compensi come reddito professionale (art. 53, comma 1 del TUIR). La giurisprudenza tributaria ha confermato questo principio: l’esercizio abituale e professionale dell’attività di gestione dell’immagine online o di creazione di contenuti rende evidente che i relativi proventi sono redditi di lavoro autonomo, non “occasionali”. Un importante precedente è la sentenza n. 219/2/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di 2° grado del Piemonte (caso “Ronaldo”), dove si è ribadito che i compensi da sfruttamento dell’immagine di un famoso calciatore-influencer (in quel caso, un pro-player calcistico attivo sui social) costituiscono redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia, trattandosi di attività svolta con abitualità e professionalità. In altre parole, se un gamer o streamer svolge stabilmente un’attività economica online (ad esempio streaming quotidiano, sponsorizzazioni ricorrenti, competizioni periodiche), il Fisco la considera un vero e proprio lavoro autonomo e ne tassarà i guadagni come tali.
Di contro, compensi percepiti in modo saltuario e non professionale possono rientrare tra i redditi diversi (art. 67 TUIR). Ad esempio, la vincita occasionale di un torneo eSport da parte di un dilettante, o una singola live streaming remunerativa isolata, potrebbero – in teoria – essere tassate come redditi diversi (al pari di un premio o di un’attività occasionale). Tuttavia, la soglia tra occasionalità e professionalità è molto sottile nel mondo digitale: non esiste un limite fisso di guadagno annuo che esenti dall’aprire partita IVA, ma conta la continuità e l’organizzazione dell’attività. Pubblicare contenuti regolarmente, avere un pubblico stabile e monetizzare da più fonti sono tutti indici di attività economica non occasionale. Anche importi relativamente modesti, se generati con regolarità, vanno dichiarati. In definitiva, la gran parte dei gamer abituali dovrà essere inquadrata come lavoratore autonomo. Come ha chiarito la Commissione Tributaria in più occasioni, non è possibile qualificare come “redditi diversi” attività che presentano i requisiti dell’abitualità e professionalità – va applicato invece il regime del lavoro autonomo.
Nuovo Codice ATECO e riconoscimento normativo – Fino a tempi recenti non esisteva un codice di attività economica specifico per influencer, streamer e creator digitali: erano costretti a utilizzare codici generici poco rappresentativi. Dal 1° gennaio 2025, però, vi è un passo avanti: è stato introdotto il codice ATECO 73.11.03 “Attività di influencer marketing” per identificare ufficialmente l’attività di creazione e condivisione di contenuti online a fini pubblicitari. Questo codice copre di fatto gli streamer di gaming e i content creator nel settore eSport, riconoscendoli come categoria economica distinta. L’innovazione ha riflessi soprattutto contributivi e statistici, più che fiscali in senso stretto: ad esempio, potrebbe orientare l’inquadramento previdenziale di tali soggetti (in alcuni casi la gestione commercianti INPS anziché la gestione separata). In ogni caso segna un riconoscimento ufficiale della professione di gamer/creator nel nostro ordinamento fiscale. Resta fermo che, sul piano delle imposte, nulla cambia: i redditi vanno comunque dichiarati e tassati secondo le regole ordinarie (IRPEF progressiva sul reddito netto, oltre ad IVA se dovuta, come vedremo).
Obbligo di partita IVA – Un gamer o streamer che svolge l’attività in modo continuativo è tenuto ad aprire partita IVA, esattamente come qualunque altro lavoratore autonomo. L’apertura è obbligatoria quando il lavoro non è più occasionale bensì organizzato e ripetuto nel tempo. Molti gamer optano, se ne hanno i requisiti, per il regime forfettario: dal 2023 questo regime agevolato consente ricavi fino a €85.000 annui, con tassazione sostitutiva al 15% (o 5% per startup) e semplificazioni (niente IVA in fattura né IRAP). Il forfettario è spesso ideale per streamer individuali, perché riduce burocrazia e imposizione, ma richiede di rispettare le condizioni (es. non superare il limite di ricavi, non avere partecipazioni societarie incompatibili, ecc.). Se il gamer non può o non vuole aderire al forfettario, ricade nel regime ordinario: in tal caso dovrà applicare l’IVA sulle prestazioni (aliquota ordinaria 22% salvo eccezioni), tenere contabilità e pagare IRPEF a scaglioni sul reddito al netto dei costi. In entrambi i casi, non dichiarare affatto i redditi costituisce violazione grave (omessa dichiarazione) e apre la strada all’accertamento fiscale.
Contributi previdenziali – Parallelamente, chi guadagna con il gaming online deve versare i contributi previdenziali. Ad oggi non esiste una “cassa previdenziale” dedicata ai creator digitali, quindi il gamer professionista in proprio si iscrive in genere alla Gestione Separata INPS (riservata ai lavoratori autonomi senza una cassa specifica). L’aliquota 2025 è circa il 26-27% sul reddito netto dichiarato. Il versamento regolare di questi contributi è importante anche per beneficiare di regimi fiscali agevolati: ad esempio, il regime forfettario richiede di essere in regola con la contribuzione INPS. Alcuni gamer potrebbero rientrare in altri inquadramenti previdenziali a seconda della situazione: ad esempio se il giocatore di eSport è assunto da un team con un contratto di lavoro sportivo, verserà contributi come lavoratore subordinato; se l’attività fosse assimilata al settore dello spettacolo (tesi in discussione, dato che gli streamer recitano/presentano in diretta), si potrebbe prospettare l’iscrizione al Fondo Pensione Lavoratori dello Spettacolo (ex-Enpals). In mancanza di inquadramenti particolari, comunque, la Gestione Separata resta la cassa default per il libero professionista del gaming. È importante notare che l’accertamento fiscale può essere affiancato da un accertamento contributivo INPS: l’INPS infatti controlla i compensi dichiarati e, se rileva redditi professionali non accompagnati dal versamento dei relativi contributi, può emettere un avviso di addebito richiedendo i contributi evasi (più sanzioni civili). Pertanto, la difesa del gamer dopo un accertamento può riguardare anche il fronte previdenziale (ne parleremo più avanti brevemente).
Tipologie di reddito nel gaming – I guadagni di un gamer professionista possono derivare da molteplici fonti, ognuna con rilevanza fiscale. Elenchiamo le principali entrate per un creator di contenuti gaming e il loro trattamento (in assenza di diverso inquadramento contrattuale):
- Ricavi pubblicitari da piattaforme: ad esempio le somme erogate da YouTube (AdSense) o Twitch (divisione dei ricavi pubblicitari) in base alle visualizzazioni e clic su annunci. Questi compensi sono reddito imponibile a tutti gli effetti e, se abituali, vanno trattati come compensi di lavoro autonomo. Spesso provengono da soggetti esteri (Google Ireland per YouTube, Amazon/Twitch con sede estera): il che comporta adempimenti IVA particolari (autofattura/inversione contabile e iscrizione VIES, dato che è un servizio elettronico intra-UE). Fiscalmente, restano tassati in Italia se chi li percepisce è residente fiscale italiano. Un errore comune è pensare che i pagamenti da estero non siano tracciati: in realtà l’Agenzia delle Entrate ottiene informazioni sia dai flussi finanziari (controlli sui conti correnti, PayPal, carte) sia tramite cooperazione internazionale sul fisco estero.
- Sponsorizzazioni dirette e product placement: compensi pagati da aziende (di gaming hardware, energy drink, brand vari) al gamer/streamer per promuovere prodotti nei video, sulle maglie in torneo o sui social. Si tratta di prestazioni di servizi pubblicitari, quindi reddito professionale. Devono essere fatturati; se il committente è italiano c’è IVA al 22%, se è estero si applica l’IVA in reverse charge (il committente UE integra, fuori UE operazione fuori campo IVA con autofattura) secondo le regole generali. Sono spesso contratti scritti di collaborazione o accordi di endorsement, soggetti oltre che a imposizione fiscale anche alla disciplina civilistica (si pensi alle clausole di esclusiva, durate, ecc.). Fiscalmente, nulla di diverso da un compenso per consulenza: è reddito imponibile per il gamer.
- Programmi di affiliazione: entrate derivanti da link affiliati, codici sconto personalizzati ecc., in cui il gamer guadagna una commissione per ogni acquisto generato. Dal punto di vista giuridico, possono configurare l’attività di agente o procacciatore di affari per conto dell’azienda. Una sentenza recente del Tribunale di Roma (n. 2615/2024) ha inquadrato l’influencer che pubblicizza stabilmente prodotti con codici affiliati proprio come agente di commercio (con obbligo di iscrizione Enasarco). Fisco e INPS potrebbero dunque qualificare tali redditi diversamente in sede ispettiva, ma ciò non cambia l’obbligo di dichiararli. Fiscalmente, sono compensi tassabili come lavoro autonomo (o reddito d’impresa se si opta per forma imprenditoriale). Occorre inoltre valutare l’applicabilità dell’IVA: se l’affiliato opera da privato occasionalmente potrebbe non addebitare IVA, ma se è professionale con P.IVA dovrà fatturare la provvigione con IVA salvo forfettario.
- Donazioni degli utenti e abbonamenti dei follower: questa è una caratteristica peculiare del settore streaming. Piattaforme come Twitch, YouTube (Superchat) o servizi esterni (Streamlabs, Patreon) permettono ai fan di inviare “donazioni” in denaro al gamer, oppure di sottoscrivere abbonamenti mensili al canale per contenuti o vantaggi extra. Dal punto di vista fiscale è fondamentale chiarire che tali somme non sono vere donazioni liberalità esenti, bensì corrispettivi (volontari) che l’utente versa in connessione all’attività svolta dal gamer. L’Agenzia delle Entrate stessa ha chiarito che se la somma è ricevuta “in quanto streamer” va dichiarata e tassata, altrimenti – solo se fosse ricevuta a titolo puramente personale e gratuito – sarebbe fiscalmente irrilevante. Dato che la transazione avviene su piattaforma di streaming, è evidente il nesso con l’attività professionale. In sostanza: se Caio riceve 100€ da un fan durante una live, quel denaro costituisce reddito imponibile derivante dalla sua attività di intrattenimento online. Non è richiesta l’emissione di fattura verso chi dona (come confermato dall’Agenzia Entrate, non essendovi una vera “prestazione commissionata” dal fan), ma i ricavi devono essere annotati e confluiranno nella dichiarazione dei redditi. La piattaforma funge da tramite tracciato, per cui difficilmente queste entrate sfuggono ai controlli. Soltanto donazioni private di modico valore estranee all’attività (es. un regalo personale di un amico o parente) non vanno dichiarate né scontano imposta, rientrando nelle liberalità esenti. Invece le donazioni ripetute dei follower su Twitch o YouTube, costituendo il “business model” del creator, sono reddito a tutti gli effetti. (N.B.: La recente sentenza Cass. n. 7442/2024 ha escluso l’applicazione dell’imposta sulle donazioni per le cosiddette “donazioni indirette o informali” non risultanti da atti registrati. Ciò però concerne l’assenza di imposta di donazione per certi atti – non significa che le somme percepite in contesti professionali diventino esenti da IRPEF. In pratica: i tip ai gamer non scontano imposta di donazione, ma rimangono soggetti alle imposte sul reddito se costituiscono remunerazione dell’attività).
- Montepremi e vincite da competizioni eSport: i pro-player che gareggiano in tornei nazionali o internazionali possono ottenere premi in denaro (prize pool). A differenza delle vincite d’azzardo o lotterie, le vincite eSport non godono di un regime sostitutivo fisso, né sono assimilate ai redditi esenti dello sport dilettantistico tradizionale (vedi oltre). Se il gamer svolge l’attività in forma professionale, i premi ottenuti (al netto di eventuali ritenute operate dall’organizzatore) confluiscono nei suoi compensi da dichiarare come reddito di lavoro autonomo. Se invece il gamer è dilettante e partecipa sporadicamente, il premio può essere inquadrato come reddito diverso (premio derivante da attività sportiva non esercitata abitualmente). La normativa fiscale italiana prevede per gli sportivi dilettanti (riconosciuti dal CONI) un’esenzione IRPEF fino a 15.000 € annui sui compensi ricevuti da ASD/FSN (in base alla riforma 2023 del lavoro sportivo). Tuttavia, ad oggi gli eSports non sono formalmente riconosciuti dal CONI come sport dilettantistici ai fini di tale regime. Dunque un gamer eSport non beneficia dell’esenzione dei 15.000 €, a meno che il legislatore o il CONI estendano espressamente la disciplina agli sport virtuali. Un disegno di legge per istituire una “Federazione italiana degli sport virtuali” è in discussione, ma al luglio 2025 non risulta una piena equiparazione. Pertanto, i premi vinti negli eSports vanno tassati: se il giocatore ha già partita IVA, li fatturerà come parte della sua attività; se non l’ha e si tratta di episodi isolati, li dichiarerà come redditi diversi (categoria “premi” ex art. 67, comma 1, lett. d) TUIR) con tassazione IRPEF ordinaria. Attenzione: se i premi provengono dall’estero, il gamer deve comunque dichiararli in Italia come residente fiscale (salvo possa invocare convenzioni contro le doppie imposizioni); eventuali ritenute estere potranno essere portate a credito entro i limiti dell’imposta italiana dovuta su quel reddito.
- Retribuzioni o stipendi da team/organizzazioni: alcuni pro-player sono ingaggiati da società di eSport o team con contratti che possono variare dal lavoro subordinato (atleta professionista, se mai l’ordinamento sportivo li riconoscesse) alla collaborazione coordinata e continuativa o al contratto di sponsorizzazione personale. Se il gamer è un dipendente o collaboratore della società, i compensi saranno gestiti dal datore di lavoro con ritenuta a monte (busta paga o CU) e contributi; in tal caso è improbabile ricevere un avviso fiscale, a meno di difformità tra CU e dichiarazione. Più complessa è la situazione di gamer ingaggiati come freelance: spesso i team internazionali pagano il player come contractor estero, e il giocatore potrebbe erroneamente ritenere non dovuto nulla in Italia. In realtà, se egli è residente in Italia senza stabile organizzazione all’estero, quei compensi devono essere autodenunciati e tassati qui (con possibilità di credito per eventuali imposte estere). Un controllo fiscale incrociato (es. tramite i bilanci del team o transazioni bancarie) facilmente smaschera tali omissioni.
- Altre fonti di reddito: la “creator economy” offre ulteriori opportunità di monetizzazione per un gamer: vendita di merchandising (t-shirt, gadget del proprio brand), realizzazione di corsi o coaching a pagamento, partecipazione a eventi o fiere con gettone, sfruttamento di diritti d’immagine o royalties (ad es. un gamer che presta la voce/il nome in un videogioco). Ciascuna di queste situazioni va inquadrata caso per caso ma, nella maggior parte, i proventi confluiranno tra i compensi tassabili. Ad esempio, i royalties per diritti d’autore (se il gamer compone musica o scrive un libro) possono godere di tassazione separata o abbattimento forfettario, ma sono casi particolari. La vendita di merchandising comporta invece anche profili IVA/aziendali (vendita di beni, quindi attività commerciale): molti gamer aprono un piccolo e-commerce collegato, che fiscalmente va gestito come attività d’impresa (con contabilità separata se necessario). In questa guida ci concentriamo comunque sul core business del gamer digitale (sponsor, donazioni, premi, crypto).
Errori frequenti e rischio accertamento – Molti gamer e streamer, specie agli inizi, commettono leggerezze fiscali che li espongono ad accertamento. Tra gli errori più comuni rilevati dal Fisco:
- Mancata apertura della partita IVA nonostante un’attività di streaming/competizione continuativa e remunerativa.
- Omissione di dichiarazione dei redditi percepiti online (da piattaforme estere, da sponsor, o dai follower), credendo erroneamente che tali flussi non siano intercettati.
- Compensi esteri non dichiarati in Italia (YouTube, Twitch, PayPal con sede fuori Italia), presumendo che essendo pagati all’estero non vadano tassati; in realtà il residente è tassato sui redditi worldwide, e l’Agenzia delle Entrate incrocia i dati grazie allo scambio di informazioni internazionale.
- Utilizzo improprio del regime forfettario: ad esempio continuando ad applicarlo oltre la soglia di ricavi di 85.000 €, o non rispettando altre condizioni (cumulando lavoro dipendente >30k ecc.), oppure deducendo costi che nel forfettario non sono ammessi. In sede di controllo il Fisco può disconoscere il regime agevolato se non spettava e ricalcolare imposte ordinarie più sanzioni.
- Mancata fatturazione o documentazione incompleta dei compensi: per sponsor e collaborazioni con aziende spesso il gamer non emette fattura (specie se non ha P.IVA). Ogni pagamento non fatturato è una violazione (omessa fatturazione) con sanzioni amministrative e recupero dell’IVA dovuta. Anche le “donations” non registrate come ricavi sono contestate come nero.
- Spese indebitamente dedotte: se il gamer ha una posizione fiscale, può dedurre i costi inerenti (PC, console, attrezzature, viaggi per tornei, servizi di editing ecc.). Tuttavia, alcuni deducono costi non attinenti (es. vacanze spacciate per trasferte, acquisti personali), che in sede di accertamento vengono ripresi a tassazione. Anche chi è in forfettario a volte prova a scaricare costi che non potrebbe, esponendosi a rilievi.
In sintesi, l’Agenzia delle Entrate considera ormai tracciabili e tassabili tutti i proventi generati online dai gamer. L’inesperienza o la novità del settore non sono scuse valide: il principio generale è che «la legge non ammette ignoranza» in materia tributaria, quindi l’omessa dichiarazione per “non aver saputo di doverlo fare” non esonera dalle sanzioni. Purtroppo molti content creator non si sono allineati per tempo a questi obblighi, creando un terreno fertile per i controlli fiscali intensificati dal 2022 in poi.
Accertamento fiscale e avviso: caratteristiche e conseguenze
Quando le violazioni sopra descritte vengono individuate, l’Agenzia delle Entrate procede a rettificare la posizione fiscale del gamer tramite un avviso di accertamento. Analizziamo cos’è questo atto, cosa comporta e quali effetti produce, così da capire il contesto in cui si svilupperà poi la difesa.
Cos’è l’avviso di accertamento fiscale – Si tratta di un atto amministrativo motivato emesso dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate (o da altro ente impositore competente, ad esempio l’Agenzia delle Dogane per certi tributi) con cui si determinano in via ufficiale maggiori imposte dovute dal contribuente per uno o più periodi d’imposta, applicando le relative sanzioni e interessi. In altre parole è il documento formale che “accerta” un debito fiscale a carico del gamer, indicando le violazioni contestate (es: “redditi di lavoro autonomo non dichiarati per l’anno X per €Y”), il calcolo delle imposte evase (IRPEF, addizionali, IVA, ecc.), delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora. L’avviso viene notificato al contribuente (a mezzo pec, raccomandata o messo comunale) e rappresenta l’atto impugnabile davanti al giudice tributario.
Ogni avviso deve contenere la motivazione: ovvero spiegare su quali elementi si fonda la pretesa fiscale (art. 7 legge 212/2000, Statuto del Contribuente). Ad esempio, può essere basato su una verifica della Guardia di Finanza, su dati bancari, su segnalazioni di altri enti. Spesso l’avviso richiama un precedente Processo Verbale di Constatazione (PVC) se c’è stato un controllo diretto. Se invece l’accertamento è “a tavolino” basato su incroci di banche dati, l’atto ne dà conto (es: “sulla base delle informazioni acquisite dall’Anagrafe dei Conti” o “dai dati forniti da piattaforma YouTube LLC”).
Dal punto di vista temporale, l’avviso arriva solitamente dopo la fine dell’anno fiscale e entro i termini di decadenza previsti: attualmente, il termine ordinario per notificare un accertamento sulle imposte dirette e IVA è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ovvero del settimo anno se la dichiarazione è omessa). Ad esempio, per redditi 2020 (dichiarazione presentata nel 2021) il termine è il 31/12/2026. Se il gamer non ha presentato proprio la dichiarazione per quell’anno, il termine si allunga al 31/12/2028. Questi limiti (spesso prorogati dal legislatore) sono importanti: un avviso notificato oltre termine è nullo per decadenza. La verifica della tempestività rientra sempre nelle possibili eccezioni da sollevare in difesa.
Importo preteso, sanzioni e interessi – L’avviso indica quanto il Fisco ritiene dovuto. Comprende:
- le imposte evase: es. IRPEF non pagata sui redditi non dichiarati (con relativi scaglioni), addizionali regionale/comunale, IVA non versata (se contestano operazioni soggette ad IVA), IRAP se ritenuta applicabile (spesso per un singolo gamer non applicano IRAP, a meno di struttura organizzata di impresa).
- le sanzioni amministrative tributarie: calcolate in percentuale sulle imposte evase. Per omessa dichiarazione la sanzione base è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta; per infedele dichiarazione (dichiarazione presentata ma con importi inferiori al dovuto) va dal 90% al 180% della maggiore imposta; per omesso versamento IVA è del 30% dell’IVA non versata, ecc. Nel caso tipico di omessa dichiarazione di compensi da parte di uno streamer, l’Agenzia applica il 120% dell’imposta evasa (minimo edittale) se ci sono attenuanti, altrimenti può salire. Ad esempio, €10.000 di IRPEF evasa portano in avviso almeno €12.000 di sanzione. Queste sanzioni possono poi essere ridotte in sede di definizione (vedremo a breve).
- gli interessi di mora: calcolati al tasso legale annuo (attualmente intorno al 5% nel 2025) dal giorno in cui l’imposta sarebbe stata dovuta (tipicamente dal secondo anno successivo a quello di riferimento) fino alla data di emissione e oltre. Gli interessi sono dovuti per legge e non sono riducibili, salvo piccoli arrotondamenti.
Spesso il totale richiesto in un avviso può spaventare: è facile vedere cifre complessive che raddoppiano o triplicano il puro imponibile evaso a causa di sanzioni e interessi. Ad esempio, un gamer che non ha dichiarato €50.000 potrebbe ricevere un avviso intorno ai €20k di imposte evase + €25k di sanzioni + vari mille euro di interessi, quindi anche oltre €45.000 totali. È fondamentale sapere che esistono strumenti per ridurre queste somme (specie le sanzioni), come la definizione agevolata o l’accordo, su cui torneremo.
Esecutività e riscossione immediata – A partire dagli ultimi anni, l’avviso di accertamento fiscale è divenuto un atto immediatamente esecutivo: ciò significa che, decorso un certo termine dalla notifica, esso vale già come titolo per la riscossione coattiva senza bisogno di ulteriori passi. In particolare, se il contribuente non paga né impugna entro 60 giorni dalla notifica, l’accertamento diventa definitivo e l’importo viene iscritto a ruolo per la riscossione forzosa. In pratica, dopo i 60 giorni l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può procedere con le azioni esecutive: iscrivere ipoteca, notificare una cartella/ingiunzione immediata, pignorare conti correnti, stipendio, beni mobili/immobili del gamer.
Va inoltre evidenziato che, per effetto del DL 78/2010 e successive modifiche, anche se il contribuente propone ricorso, una parte delle somme potrebbe essere ugualmente dovuta in pendenza di giudizio. In genere, l’Agenzia notifica dopo 60 giorni una “presa in carico” per la riscossione di una quota dell’imposta accertata (normalmente il 50% delle imposte contestate, più interessi) che diventa esigibile decorso il termine per ricorrere. Se poi il contribuente perde in primo grado, un ulteriore 20% delle imposte può essere iscritto. Sono meccanismi volti a tutelare l’Erario dal rischio di dilazioni processuali. Tuttavia, il contribuente ha facoltà di chiedere la sospensione della riscossione sia in via amministrativa sia giudiziale: approfondiremo questo aspetto nella sezione difensiva, poiché ottenere la sospensione cautelare è spesso cruciale per evitare di subire pignoramenti durante la causa. In ogni caso, è importante non ignorare un avviso: se lo si lascia decadere senza azione, il debito diventerà definitivo e il Fisco passerà rapidamente alle maniere forti (fermo restando che si potrà ancora eventualmente tentare una dilazione o concordato di pagamento, ma si sarà persa ogni chance di contestazione nel merito).
Profili penali – Un accertamento fiscale particolarmente gravoso può sfociare anche in responsabilità penale per il gamer, nei casi previsti dal D.Lgs. 74/2000 (reati tributari). Le soglie rilevanti da tenere a mente sono:
- Omessa dichiarazione (art.5): scatta il reato se l’imposta evasa (IRPEF + addizionali o IVA) supera €50.000 per singola imposta. Molti streamer che non hanno mai presentato dichiarazioni, accumulando più anni di evasione, rischiano di oltrepassare la soglia anche con un singolo anno (bastano ~€150k di imponibile non dichiarato per generare 50k di IRPEF). La pena va da 2 a 5 anni di reclusione.
- Dichiarazione infedele (art.4): se la dichiarazione è presentata ma con elementi attivi sottratti per imposta > €100.000 o imponibile sottratto > €2.000.000, allora è reato (pena 2 a 4.5 anni). Un gamer che ha dichiarato qualcosa ma occultato gran parte dei ricavi potrebbe ricadere qui.
- Omesso versamento IVA (art.10-ter): se non versa l’IVA dichiarata oltre €250.000. Questo però presuppone che avesse dichiarato l’IVA e poi non l’abbia pagata, situazione poco frequente per i gamer (più facile non dichiarino affatto).
In sede di avviso, l’Agenzia segnala alla Procura eventuali superamenti di soglia. La difesa fiscale e quella penale viaggiano separate (commissione tributaria vs tribunale penale), ma un esito favorevole nel merito tributario può influenzare positivamente il penale (ad es. se si dimostra che l’imposta evasa era sotto soglia). Dal punto di vista del gamer, occorre essere consapevoli di questa dimensione penale: se i numeri contestati sono ingenti, è essenziale farsi assistere anche su questo fronte. Le soglie sopra sono elevate, ma non improbabili per top streamer o vincitori di tornei internazionali. NB: Il pagamento dei debiti tributari prima del giudizio penale può attenuare la pena (anche fino all’estinzione per particolare tenuità), dunque difendersi collaborando col Fisco potrebbe aiutare a evitare guai peggiori.
In conclusione, ricevere un avviso di accertamento significa trovarsi formalmente di fronte a una richiesta di pagamento molto seria, con implicazioni a cascata: dalla necessità di pagare o contestare entro termini stringenti, al rischio di sanzioni aggressive (pignoramenti) e persino eventuali accuse penali se l’evasione è massiccia. È uno scenario ben diverso da un semplice avviso bonario o una lettera di compliance. Il gamer-influencer, una volta “accertato”, deve attivarsi immediatamente per valutare la strategia di difesa più opportuna, come esponiamo nei capitoli successivi.
Opzioni di difesa iniziali: definizione o impugnazione
All’arrivo dell’avviso, il destinatario ha alcune possibili strade da intraprendere prima che l’atto diventi definitivo. Bisogna decidere se trovare un accordo con l’Agenzia (in via amministrativa) o se impugnare l’atto davanti alla giustizia tributaria. Si tratta di valutazioni delicate, che vanno prese rapidamente (ricordiamo: 60 giorni di tempo dalla notifica). Esaminiamo le principali opzioni:
1. Acquiescenza (pagamento con sanzioni ridotte) – Se il contribuente riconosce la fondatezza dell’accertamento (in tutto o in parte) e vuole evitare il contenzioso, può optare per il pagamento integrale di quanto richiesto entro 60 giorni. In tal caso la legge prevede una riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo previsto (art. 15 D.Lgs. 218/97). Ad esempio, una sanzione per infedele dichiarazione che sarebbe 90% dell’imposta, viene ridotta al 30%. Questo istituto, detto acquiescenza all’accertamento, richiede il pagamento (o quantomeno la prima rata) entro 60 giorni, dopodiché l’atto si perfeziona e non è più impugnabile. Vantaggi: forte abbattimento delle sanzioni amministrative (circa un -66% rispetto all’ordinario) e chiusura rapida della pendenza. Svantaggi: bisogna comunque disporre della liquidità (o attivare una rateazione, se ammessa) e accettare di pagare le imposte per intero, rinunciando a contestare possibili errori di merito. L’acquiescenza conviene se l’avviso è sostanzialmente corretto e magari si vuole solo risparmiare sulle sanzioni. Nel caso di redditi non dichiarati da un gamer, può essere un’opzione quando l’evasione è pacifica e si preferisce evitare rischi (ad esempio per importi limitati, entro poche migliaia di euro). Va ricordato che l’acquiescenza non è parziale: occorre aderire all’intero contenuto dell’avviso. Se ci sono solo alcuni punti contestati che si ritengono giusti, meglio valutare l’adesione o la conciliazione (che consentono accordi parziali).
2. Accertamento con adesione (adesione “facoltativa” post-avviso) – È lo strumento principe per negoziare col Fisco una rideterminazione concordata dell’accertamento. L’adesione può essere attivata sia prima dell’emissione dell’avviso (durante un eventuale PVC o invito a comparire) sia dopo la notifica dell’avviso. In quest’ultimo caso, il contribuente deve presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 giorni (dalla notifica) e l’Agenzia lo convocherà per un contraddittorio. Presentare l’istanza sospende il termine per fare ricorso per 90 giorni (dandoci quindi più tempo). Nella sede di adesione, si discute con gli funzionari dell’Ufficio e si possono portare documenti e argomentazioni per ottenere uno sgravio parziale: in altre parole, si mira a trovare un accordo su un importo ridotto. Se si trova l’intesa, viene redatto un atto di adesione con i nuovi importi. Pagando quanto concordato, la questione si chiude e non si prosegue in giudizio. Le sanzioni, in caso di adesione, sono per legge ridotte a 1/3 del minimo edittale (uguale all’acquiescenza, dunque circa il 33%).
Vantaggi dell’adesione: consente di interloquire con l’Ufficio, magari chiarendo incomprensioni o presentando prove che non erano state valutate. Spesso l’Agenzia può riconoscere parzialmente le ragioni del contribuente – ad esempio ammettere alcuni costi deducibili precedentemente disconosciuti, o rettificare al ribasso ricostruzioni eccessive dei ricavi. Inoltre la definizione bonaria evita il contenzioso e consente il pagamento in forma rateale (fino a 8 rate trimestrali se l’importo supera €50.000, o 16 rate se supera €100.000). Le sanzioni ridotte e la rateazione rendono l’esborso più gestibile. L’adesione ha anche il pregio di bloccare la riscossione immediata: dalla presentazione dell’istanza fino alla scadenza dei 90 giorni + ulteriori 30 dalla redazione dell’atto, l’Agenzia non può procedere a iscrizioni a ruolo.
Svantaggi: la procedura di adesione è volontaria e non vincolante – se non si trova un accordo, il contribuente può comunque fare ricorso, ma nel frattempo avrà magari “scoperto le sue carte” all’Ufficio. Tuttavia, c’è da dire che quanto dichiarato in sede di adesione non è utilizzabile dall’Agenzia in un eventuale successivo giudizio, perché la legge garantisce la riservatezza delle trattative (art. 12 c.2 D.Lgs. 218/97). Il rischio è piuttosto di concedere troppo: l’adesione implica in ogni caso l’accettazione di pagare qualcosa. Se il contribuente fosse convinto di avere totalmente ragione (ad esempio ritiene nulla l’intera pretesa), aderire significa comunque sacrificare una parte delle proprie pretese per evitare rischi maggiori. Occorre dunque ponderare: qual è la probabilità di vittoria in giudizio? Qual è il trade-off economico? Spesso in adesione l’Ufficio concede sconti parziali, non totali. Se il gamer pensa di poter ottenere un annullamento integrale in tribunale (cosa rara), allora l’adesione potrebbe essere poco conveniente. Viceversa, se la pretesa è fondata al 100%, l’adesione permette di ridurre quantomeno le sanzioni a un terzo.
Esempio pratico: Poniamo che un YouTuber “Alfa” riceva un avviso per €100.000 di ricavi non dichiarati nel 2021. L’atto richiede €30.000 di IRPEF e €5.000 di IVA evase, con sanzioni: 180% IRPEF (€54.000) e 100% IVA (€5.000) – totale iniziale circa €94.000 più interessi. Alfa presenta istanza di adesione. Durante l’incontro dimostra che €20.000 di quei ricavi erano già stati tassati alla fonte (ad es. YouTube ha applicato ritenuta USA) e che ha sostenuto €10.000 di costi documentati per la produzione dei video. L’Ufficio, riconoscendo parzialmente queste argomentazioni, riduce l’imponibile non dichiarato da 100k a 70k. Ricalcola dunque le imposte dovute: €21.000 di IRPEF e €3.500 di IVA. Sulle nuove imposte applica le sanzioni ridotte a 1/3 del minimo: per IRPEF (infedele, minimo 90%) vengono €6.300; per IVA (omessa dichiarazione, minimo 120%) €1.400. In totale dopo l’adesione Alfa dovrà pagare circa €32.000 (21k+3.5k di imposte + 7.7k di sanzioni, più interessi di entità minore). L’accordo viene firmato e Alfa potrà pagare il dovuto in 8 rate trimestrali da circa €4k l’una. In questo scenario l’adesione ha permesso al contribuente di risparmiare sensibilmente: prima rischiava €94k più interessi, ora chiude con ~€32k più interessi, e per giunta a rate. Ha dovuto comunque pagare, ma l’importo era dovuto (visti i ricavi nascosti). Questo esempio illustra bene come l’adesione possa tagliare di circa due terzi l’esborso finale rispetto all’accertamento iniziale, specialmente quando vi erano elementi difensivi da far valere (ritenute estere, costi deducibili non considerati). Ogni caso sarà diverso, ma è chiaro che la fase di adesione è un’opportunità da sfruttare se ci sono margini di trattativa.
Tempistiche dell’adesione: l’istanza va inviata all’Ufficio locale dell’Agenzia competente. Da lì scattano 90 giorni di sospensione dei termini per il ricorso. Se entro 90 gg non si raggiunge un accordo (o non viene sottoscritto l’atto per qualsiasi ragione), i 60 giorni di ricorso riprendono a decorrere. Attenzione: se l’accertamento è stato preceduto da un verbale con invito al contraddittorio già espletato, e il contribuente non aveva chiesto adesione in quella fase, la legge prevede che dopo la notifica dell’avviso abbia solo 15 giorni per richiederla, con sospensione di soli 30 giorni. È un caso particolare (seconda chance di adesione) in cui l’Ufficio può anche rifiutarsi di considerare fatti nuovi non addotti in precedenza. Quindi, conviene attivarsi alla prima occasione utile.
3. Reclamo e mediazione (per importi fino a €50.000) – Questa è una tappa obbligatoria se si intende impugnare l’avviso e la controversia rientra nei limiti di valore stabiliti. Ai sensi dell’art. 17-bis D.Lgs. 546/92, se l’importo in contestazione (imposte al netto di sanzioni e interessi) non supera €50.000, prima di avviare il processo vero e proprio il contribuente deve presentare un reclamo-mediazione. In pratica si tratta di un ricorso in carta semplice rivolto all’Ufficio che ha emesso l’avviso, contenente i motivi di doglianza e eventualmente una proposta di mediazione (es. riconoscere parte del dovuto e chiedere annullamento del resto). L’Agenzia, tramite la propria unità di mediazione, ha 90 giorni per valutare e rispondere. Se accoglie, si chiude la lite con un accordo di mediazione; se rifiuta o non risponde entro 90 giorni, il reclamo si considera ricorso e la causa proseguirà in Commissione tributaria.
I vantaggi della mediazione sono simili a quelli dell’adesione ma con qualche incentivo in più: in caso di accordo, le sanzioni sono ridotte al 35% del minimo (percentuale ancora inferiore al 1/3 ≃ 33.3% dell’adesione, grazie a una riforma del 2016). Quindi la deflazione del contenzioso è massima: ad esempio, una sanzione minima 90% diventa 31.5% dell’imposta. Inoltre l’Agenzia potrebbe essere maggiormente incline al compromesso per chiudere subito le piccole cause. In pratica, se la controversia è modesta (fino a 50k imposte, che corrispondono a circa ≤€120-150k di imponibile non dichiarato), conviene predisporre l’istanza di reclamo come se fosse un ricorso, argomentando bene i motivi e magari avanzando una proposta equa. Se l’Agenzia comprende che il contribuente ha ragione su alcuni punti, può direttamente annullare parzialmente in autotutela e mediare sul resto. Questo evita costi e tempi del giudizio. Da notare: in caso di mediazione, il pagamento dell’accordo va fatto entro 20 giorni, anch’esso rateizzabile in 8 rate se >€50.000. Le sanzioni ridotte al 35% rendono la proposta appetibile.
Se la mediazione fallisce (nessun accordo), trascorsi 90 giorni si andrà in giudizio. Il contribuente dovrà depositare il ricorso (che in realtà è lo stesso atto del reclamo) presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle ex Commissioni Tributarie Provinciali) e la controversia seguirà il suo iter ordinario. Quanto emerso in sede di reclamo-mediazione non pregiudica le parti dopo (fatta salva l’eventuale riduzione già accolta, che riduce l’oggetto del contendere). In definitiva, il reclamo è un passaggio che offre al contribuente un’ulteriore chance di chiudere bonariamente con forte sconto di sanzioni, ma è limitato nei casi di valore basso. Per molti gamer noti, gli importi accertati superano 50k di imposte e quindi si va direttamente al ricorso; tuttavia, per streamer medio-piccoli, questa fase può essere utile e va sfruttata al meglio con l’ausilio di un tributarista.
4. Ricorso in giudizio (Corte di Giustizia Tributaria) – Se non si è optato per l’acquiescenza né si è raggiunto un accordo in adesione o mediazione, la via è quella del ricorso giudiziale. Il ricorso va presentato (telematicamente) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso – termine che, come detto, può essere sospeso fino a 90 gg se si attiva l’adesione. Nel ricorso si devono indicare i motivi di fatto e di diritto per cui si chiede l’annullamento (totale o parziale) dell’accertamento. È altamente consigliato farsi assistere da un avvocato tributarista o un difensore abilitato, specie in casi complessi: il processo tributario ha regole proprie (ad esempio onere della prova parzialmente a carico del contribuente, preclusioni, necessità di indicare i documenti probatori già nel ricorso, ecc.).
Una volta presentato il ricorso, se non c’era mediazione obbligatoria oppure se questa è fallita, la causa viene assegnata a un collegio di giudici tributari. Dal 2023, in seguito alla riforma della giustizia tributaria, vi sono giudici professionali reclutati tramite concorso, il che dovrebbe garantire più terzietà e qualità nelle decisioni. Il processo di primo grado dura in media 1-2 anni. Durante questo periodo, come accennato, l’importo potrebbe essere in parte esigibile: per evitare che l’Agenzia avvii procedure di incasso (ad esempio provando a riscuotere 1/3 del tributo), il ricorrente può presentare un’istanza di sospensione cautelare all’interno del ricorso (o separatamente dopo). La sospensione, se concessa dal giudice, blocca l’esecutività dell’avviso fino alla sentenza. Serve dimostrare sia il fumus boni iuris (ragioni fondate del ricorso) sia il periculum in mora (danno grave e irreparabile se si pagasse subito). Nel caso di un gamer, il periculum può consistere nell’entità elevata della pretesa che manderebbe in rovina l’attività, o nel pericolo di chiusura forzata dei conti che impedirebbe di proseguire la professione online – circostanze che spesso i giudici tributari ritengono idonee per sospendere. La decisione sulla sospensiva arriva rapidamente (qualche mese). Se negata, il contribuente deve valutare se pagare intanto (magari sfruttando le rate con l’Agente di riscossione) per evitare misure esecutive, o confidare nella durata del processo per posticipare. Se concessa, la riscossione rimane ferma fino alla sentenza di primo grado.
Arrivati a sentenza di primo grado, possono accadere tre cose: ricorso accolto (annullamento dell’avviso, nulla da pagare salvo quanto già versato che andrà rimborsato con interessi), ricorso respinto (confermato tutto, si devono pagare imposte, sanzioni e interessi; di solito il giudice liquida anche le spese legali a carico del soccombente), oppure ricorso accolto parzialmente (riduzione dell’importo per alcuni motivi ritenuti validi, es. eliminazione di una componente di reddito o ricalcolo sanzioni). In caso di soccombenza totale o parziale, il gamer può appellare la sentenza sfavorevole alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). L’appello è un nuovo giudizio, in linea di massima basato sulle stesse questioni di fatto (non si possono presentare nuove domande, ma si possono portare nuove prove). Dopo il secondo grado (sentenza della CGT regionale), è eventualmente possibile il ricorso in Cassazione per motivi di legittimità (errori di diritto o vizi di motivazione della sentenza di appello). La Cassazione è un giudizio solo di diritto, non rivede i fatti. Si tratta dunque di un percorso lungo e costoso: bisogna valutare attentamente convenienza e probabilità di successo man mano che si sale di grado. Per importi minori potrebbe non valere la pena protrarre la lite fino alla Cassazione, anche perché i costi (contributo unificato, spese legali) aumentano e subentra il rischio di dover pagare subito una parte dopo il primo grado (attualmente, dopo sentenza di primo grado sfavorevole, l’Ufficio può esigere due terzi del tributo, e dopo l’appello l’intero, salvo sospensioni).
Definizioni agevolate e sanatorie pendenti – Un ultimo punto: in alcuni periodi, il legislatore offre strumenti straordinari per chiudere le liti fiscali pendenti o gli avvisi notificati. Ad esempio, con la legge di Bilancio 2023, era prevista una “definizione agevolata delle liti pendenti” che consentiva di chiudere i giudizi tributari pagando un importo ridotto (dal 100% al 5% del valore, a seconda degli esiti in primo/secondo grado). C’erano anche misure di condono su avvisi non impugnati (c.d. acquiescenza agevolata con sanzioni ridotte al 1/18) e simili. Al luglio 2025, molte di queste misure straordinarie si sono esaurite (erano da attivare entro 2023 o primi mesi 2024). Tuttavia, il contribuente farebbe bene a informarsi se siano state introdotte nuove possibilità di definizione agevolata: il Governo talvolta proroga o introduce mini-condoni. Ad esempio, rottamazioni delle cartelle sono frequenti, ma riguardano debiti già a ruolo. Nel nostro contesto, se la lite è già in corso, potrebbe essere chiusa col pagamento del solo tributo o poco più (se una normativa ad hoc lo consente). Queste opportunità esulano dalla difesa tecnica tradizionale ma vanno tenute presenti: pagare meno grazie a una legge di clemenza è comunque un successo per il contribuente. Ovviamente, bisogna che la norma esista e che convenga rispetto a combattere in giudizio.
Riassumendo le opzioni difensive iniziali:
Opzione | Descrizione | Beneficio sanzionatorio | Tempistiche chiave |
---|---|---|---|
Acquiescenza (Pagamento) | Pagamento integrale di imposte + interessi entro 60 gg dall’avviso (rinuncia al ricorso). | Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo. | 60 gg dalla notifica per pagare. Rateazione possibile (fino 8 rate se >€5k). |
Accertamento con adesione | Istanza di adesione in Ufficio, contraddittorio e accordo su importi ridotti. | Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo. | Istanza entro 60 gg (15 gg se già contraddittorio pre-avviso). Sospensione termini ricorso 90 gg. Rate fino 8-16 trimestrali. |
Reclamo-mediazione (≤ €50k) | Reclamo all’Ufficio per avvisi fino a 50k imposte; proposta di mediazione su importo inferiore. | Sanzioni ridotte al 35% del minimo in caso di accordo. | Reclamo entro 60 gg (coincide con ricorso). Esito entro 90 gg. Se accordo: pagamento entro 20 gg. Se no accordo: ricorso prosegue. |
Ricorso giurisdizionale | Impugnazione avanti alla Corte di Giustizia Tributaria (primo grado) e fasi successive di giudizio. | Se vittoria totale: annullamento sanzioni. Se conciliazione in giudizio: sanzioni 40% min. (1° grado) o 50% (2° grado) ex D.Lgs. 218/97. | Ricorso entro 60 gg (prorogato da adesione/mediazione se attivate). Sentenza I grado in ~1-2 anni. Appello entro 60 gg dalla sentenza. |
(Legenda: gg = giorni. Minimo = sanzione minima edittale. Le percentuali di riduzione sanzioni si applicano alle misure minime.)
Questa tabella riepiloga le alternative. Ovviamente la scelta dipende dal caso concreto: ad esempio, un piccolo streamer con avviso da €10k potrebbe optare per mediazione o pagamento diretto; un gamer con avviso milionario tenderà a difendersi in giudizio, magari dopo aver tentato adesione. L’importante è agire tempestivamente e con cognizione di causa, preferibilmente con assistenza di un professionista. Nel prossimo capitolo vedremo come impostare nel merito la difesa contro l’accertamento, ovvero quali argomentazioni e prove utilizzare per contestare (in tutto o in parte) le pretese del Fisco.
Strategie difensive nel merito dell’accertamento
Impostare una solida difesa nel merito significa attaccare la validità e fondatezza dell’accertamento fiscale notificato. Dal punto di vista del gamer contribuente, le linee di difesa possono essere varie, spaziando da eccezioni formali (vizi di procedura) a contestazioni sostanziali (ricostruzione dei fatti, interpretazione giuridica). Esaminiamo le principali strategie difensive e gli argomenti che un gamer o il suo avvocato potranno far valere per ridurre o annullare l’addebito fiscale:
A. Vizi formali e procedurali dell’atto – Una prima verifica da fare è se l’avviso di accertamento rispetta tutti i requisiti di legge. Alcuni esempi di vizi formali che possono portare all’annullamento:
- Difetto di motivazione: l’atto deve spiegare chiaramente le ragioni della pretesa e gli elementi probatori utilizzati. Se fosse del tutto generico o apodittico (es. “si accertano €100k in più di reddito” senza spiegare come si è calcolato), violerebbe l’art. 7 L.212/2000 e art. 42 DPR 600/73, ed è annullabile. In genere, però, gli avvisi odierni sono molto dettagliati.
- Notifica irregolare: se non è stato notificato secondo legge (es. vizi nella PEC, o notifica a indirizzo sbagliato), potrebbe essere nullo. Attenzione però: la nullità della notifica può sanarsi se il contribuente ha comunque impugnato avendo ricevuto conoscenza dell’atto.
- Sforamento dei termini di decadenza: come detto, se l’avviso arriva oltre i termini previsti (di regola 5 anni dopo l’anno di imposta, o 7 in caso di omessa dichiarazione), è decaduto e va annullato d’ufficio. Va controllata la data di spedizione notifica (fa fede la data di invio PEC o di consegna alle Poste).
- Violazione del diritto al contraddittorio: nel caso di accertamenti scaturiti da verifica fiscale (es. PVC della Guardia di Finanza), lo Statuto del contribuente all’art. 12 comma 7 prevede che non si possa emettere avviso prima di 60 giorni dalla consegna del verbale, salvo casi di particolare urgenza. Se l’Ufficio ha emesso l’atto ante tempus senza urgenza motivata, la giurisprudenza tributaria tende a considerarlo nullo per violazione dei diritti difensivi (Corte Cass. SS.UU. n.18184/2013, applicata costantemente). Bisogna quindi verificare: c’è stato un PVC? L’avviso è uscito prima dei 60 gg? L’urgenza è giustificata o solo formale? In caso di risposta favorevole, questo è un motivo di ricorso vincente.
- Incompetenza o carenza di potere: ad esempio, se l’avviso fosse emesso da un Ufficio territorialmente incompetente (perché il contribuente era residente altrove), si può eccepire nullità. Oppure se viene emesso da un funzionario non avente qualifica di delegato alla firma. Sono eccezioni tecniche non frequentissime, ma da valutare.
Questi vizi formali vanno sollevati subito nel ricorso (pena decadenza). Se fondati, portano all’annullamento integrale dell’avviso indipendentemente dal merito. Tuttavia, vanno allegati con cautela: attaccare solo la forma quando la sostanza dell’evasione è evidente può non piacere ai giudici (che a volte sorvolano su vizi formali se non ledono concretamente i diritti).
B. Contestazione della ricostruzione dei ricavi – Nel merito, la difesa centrale di un gamer consisterà spesso nel dimostrare che l’Agenzia ha sovrastimato i redditi non dichiarati. Bisogna ricordare che l’onere della prova in campo tributario è in parte a carico dell’Ufficio (che deve mostrare elementi di fatto), ma una volta che questi abbia fornito indizi o presunzioni gravi, spetta al contribuente contrapporre prova contraria. Nel caso di streamer e gamer, l’Agenzia può aver utilizzato vari metodi:
- Analisi dei movimenti bancari: se sono stati acquisiti i conti correnti, vige la presunzione legale (art. 32 DPR 600/73) che ogni versamento non giustificato sia un ricavo. La difesa dovrà giustificare i singoli accrediti sui conti personali: ad esempio, distinguere tra un bonifico ricevuto da Twitch (reddito) e un bonifico dal padre o un prestito (non reddito). Occorre produrre documenti che spieghino la natura delle entrate: se un accredito non è correlato all’attività, va provato (con una dichiarazione del soggetto che ha versato, o con un contratto di mutuo, ecc.). L’Agenzia spesso trae la somma dei versamenti ignoti e la assume a reddito: sta al contribuente scremarli. Anche eventuali accrediti da piattaforme già tassati alla fonte vanno segnalati (per evitare doppia tassazione). Nel nostro esempio prima, Alfa ha fornito prova che YouTube aveva già trattenuto una ritenuta USA su parte dei compensi, convincendo l’ufficio a non tassare quell’importo.
- Ricostruzione basata su follower/visualizzazioni: nelle linee guida interne, si dice che il Fisco può stimare i ricavi in base alla platea di pubblico e al tenore di vita ostentato. Ad esempio, se un canale ha 1 milione di iscritti e decine di sponsor, dichiarare redditi esigui fa presumere evasione. Tuttavia, queste presunzioni “per massa” non sono incontestabili in giudizio. La difesa può arguire che numero di follower ≠ reddito effettivo, portando dati reali: es. mostrare che nonostante i molti iscritti, i CPM pubblicitari erano bassi, o che molti follower erano passivi. Se il Fisco ha adottato un criterio forfettario (tipo “x € per ogni 1000 view”), si può attaccarne la validità, magari con testimonianze di esperti del settore su variabilità dei guadagni. In generale, il contribuente dovrebbe presentare la reportistica ufficiale delle piattaforme (YouTube Analytics, Twitch Dashboard) che spesso dettaglia gli introiti effettivi mese per mese. Questi dati, confrontati con quanto accertato, possono evidenziare errori nella quantificazione dell’Agenzia.
- Presunzioni dal tenore di vita: se l’accertamento è “sintetico” (redditometro), basato cioè sulle spese sostenute dal gamer (auto, moto, affitti, acquisti di beni di lusso) raffrontate ai redditi dichiarati, la difesa consiste nel giustificare come sono state finanziate quelle spese: ad esempio, attingendo a risparmi pregressi, donazioni familiari, vincite esenti, ecc. Nel 2023 il redditometro non è molto usato (è stato in parte sospeso in attesa di nuovi decreti), ma non è da escludere per i casi con sproporzione evidente e mancanza di altri riscontri.
In tutti questi casi, l’arma difensiva principale è la documentazione. Il gamer deve recuperare e presentare ogni evidenza possibile sui propri guadagni reali e fonti finanziarie. Fondamentale ad esempio:
- estratti conto completi e annotati, per spiegare ogni voce;
- ricevute e contratti con sponsor (per dimostrare l’importo esatto percepito e magari se già tassato con ritenute d’acconto);
- riepiloghi ufficiali delle piattaforme (che possono essere richiesti o scaricati dall’account, riportanti quanto pagato ogni mese);
- eventuali corrispondenze email o fatture emesse a clienti che non sono state contabilizzate (possono almeno mostrare la destinazione di certe somme).
C. Dimostrazione dei costi deducibili – Un altro aspetto cruciale è far valere i costi che il Fisco potrebbe non aver considerato. Se l’accertamento riclassifica tutti gli incassi come ricavi lordi non dichiarati, potrebbe di default calcolare l’imposta sull’intero importo, ignorando che il gamer ha sostenuto spese per produrre quei ricavi. In sede di dichiarazione omessa, l’Amministrazione tende a non riconoscere costi (anche perché il contribuente non avendo presentato dichiarazione non li ha esposti). Tuttavia, in sede contenziosa il contribuente ha diritto di vedersi tassato sul reddito netto effettivo, non sul lordo, purché provi l’esistenza e inerenza dei costi (Cass. n. 2521/2012; Cass. n. 12094/2019). Dunque, il gamer deve produrre tutte le fatture passive, scontrini, ricevute relativi all’attività: acquisto di PC e console, periferiche, telecamere e microfoni per streaming, canoni di software (editing, grafica), spese di viaggio per partecipare a fiere o tornei, compensi pagati a eventuali moderatori o collaboratori, provvigioni trattenute dalle piattaforme, fee bancarie su donazioni, ecc. Più tali costi sono documentati, più sarà possibile chiedere al giudice una riduzione dell’imponibile accertato. Ad esempio, se su €50k di introiti il gamer dimostra €20k di costi inerenti, il reddito netto è €30k e l’IRPEF andrà ricalcolata su quest’ultima somma. Ciò può ridurre drasticamente il dovuto (e anche certe soglie penal-visti). Nel caso narrato di Alfa, egli è riuscito a far valere €10k di costi video, ottenendo una riduzione dell’imponibile. È importante sottolineare che questa opportunità esiste anche se il contribuente era forfettario: infatti l’Agenzia può aver disapplicato il regime forfettario ritenendolo non spettante, ma in giudizio si può invocare, in subordine, l’applicazione delle regole ordinarie con deduzione analitica dei costi. Non di rado il giudice tributario, per equità, ammette quantomeno i costi principali se provati, anche qualora il contribuente fosse formalmente inadempiente. Bisogna quindi insistere su questo punto per non pagare più tasse del dovuto sul profitto reale.
D. Riqualificazione giuridica dell’attività – Una difesa “di principio” potrebbe essere contestare l’inquadramento fiscale adottato dall’Ufficio. Ad esempio, se l’accertamento considera il gamer come imprenditore individuale soggetto a IVA, ma l’attività in realtà era minimale e priva di professionalità, si può sostenere che trattavasi di prestazione occasionale ex art. 67 TUIR, non soggetta a IVA né a obbligo di P.IVA. Questo richiede di dimostrare concretamente la non abitualità: numero limitato di eventi/stream, mancanza di organizzazione stabile, ecc. Ammettiamo il caso di un gamer studente universitario che in un anno ha fatto poche live ricevendo €3.000 di donazioni: l’Agenzia lo ha trattato come lavoro autonomo non dichiarato, con tanto di IVA evasa. In ricorso, egli potrà far valere che: i) le prestazioni furono episodiche e non configurano esercizio di arte o professione abituale; ii) di conseguenza, i €3.000 andavano semmai tassati come “redditi diversi” (art. 67 c.1 lett. l, TUIR) e non c’era obbligo di apertura IVA. Se il giudice concorda, l’esito sarebbe che l’IVA (e relative sanzioni per mancata fatturazione) viene annullata, e le sanzioni per omessa dichiarazione IRPEF potrebbero ridursi a quelle per omessa indicazione di reddito diverso (forse applicando la più mite sanzione del 30% per omesso versamento). Attenzione: questo genere di difesa è molto caso-specifico. Per importi elevati o attività protratta su più anni non regge: è difficile convincere che un canale con streaming settimanali e migliaia di euro mensili sia “occasionale”. La giurisprudenza (come visto nel caso Ronaldo) tende a ricondurre nel lavoro autonomo abituale anche attività nuove come l’influencing. Però per situazioni borderline o di confine, vale la pena tentare la carta dell’occasionalità per eliminare quantomeno la componente IVA.
Un’altra riqualificazione potrebbe riguardare la natura di alcuni redditi: esempio, se il gamer ha percepito un premio in un contest che l’Ufficio tassa come reddito da lavoro, egli potrebbe sostenere che quel premio era in realtà un concorso a premi soggetto a ritenuta a titolo d’imposta (in Italia, certi premi banditi da soggetti terzi vengono tassati alla fonte con imposta sostitutiva). O ancora, se taluni incassi fossero donazioni vere (non di follower sconosciuti ma, poniamo, contributi del padre per comprare il PC), allora si cercherà di scorporarli dai redditi. La chiave è scomporre le varie componenti degli accrediti contestati e trattarle ciascuna secondo la giusta natura fiscale.
E. Verifica delle doppie imposizioni e crediti d’imposta esteri – Molti gamer operano su circuiti internazionali: ad esempio, i pagamenti da YouTube/Twitch spesso transitano per l’estero e alcuni sono soggetti a ritenute straniere (USA). La difesa deve assicurarsi che l’Agenzia non stia tassando due volte la stessa ricchezza. Se ad esempio allo streamer è stata applicata una withholding tax del 30% negli Stati Uniti (perché magari non aveva presentato il modulo per l’esenzione), quell’importo costituisce un credito d’imposta estero (in base all’art. 165 TUIR e alla Convenzione Italia-USA) da detrarre dall’IRPEF italiana dovuta. Nell’esempio di Alfa, proprio il riconoscimento di una tassazione estera su 20k di ricavi ha permesso di ridurre il dovuto. Talora l’Agenzia su questo è “distratta”: calcola l’imposta sull’intero incasso lordo. Bisogna allora documentare la ritenuta estera (es. con moduli 1042-S per i compensi USA, o attestazioni dall’estero) e chiedere il credito. Analogamente, se un gamer ha versato imposte in altri Paesi (magari ha vinto un torneo in Francia e la Francia gli ha trattenuto il 15% alla fonte), quell’importo può essere portato a credito, evitando di pagare di nuovo. La convenzione contro le doppie imposizioni va invocata in questi casi (l’Italia di norma concede credito per imposte estere paragonabili all’IRPEF).
Se l’Agenzia nega il credito in sede amministrativa, sarà il giudice a doverlo accordare (in genere lo fa, essendo un diritto soggettivo del contribuente). È importante specificare questo nei motivi di ricorso, per non trovarsi a pagare più del dovuto. Allo stesso modo, se il gamer ha già sanato in parte la situazione (es. facendo un ravvedimento prima dell’avviso per certi anni), evitare duplicazioni segnalando i versamenti già eseguiti.
F. Altri elementi difensivi vari – Ce ne possono essere diversi a seconda del caso concreto:
- Buona fede e obiettiva incertezza normativa: si può chiedere la non applicazione delle sanzioni (art. 6 c.2 D.Lgs. 472/97) perché il contribuente versava in condizione di incertezza sulla portata delle norme. Per i primi anni in cui è esploso il fenomeno streamer (diciamo 2016-2017) si potrebbe sostenere che mancava una disciplina chiara e che molti credevano i proventi non imponibili. Ad esempio, la differenza tra donazione liberale e corrispettivo non era stata esplicitata. La Cassazione è severa su questo: l’incertezza esimente è riconosciuta solo se la norma era obiettivamente ambigua o l’amministrazione aveva dato indicazioni fuorvianti. Però tentare non nuoce, soprattutto per ridurre quantomeno le sanzioni (magari il giudice, pur ritenendo dovute le imposte, può annullare o abbattere le sanzioni per comprensibile ignoranza in buona fede, come talora avviene invocando lo Statuto del contribuente art.10, comma 3). Una circostanza di incertezza potrebbe essere il trattamento delle criptovalute prima del 2023: fino alla legge di Bilancio 2023 non c’era una norma positiva chiara, solo prassi. Chi non ha dichiarato plusvalenze crypto potrebbe sostenere che la sanzione per omessa dichiarazione è non dovuta per incertezza, anche se la tassa poi la paga.
- Errore del consulente: se un gamer si era affidato a un commercialista il quale gli aveva erroneamente garantito che non doveva dichiarare (caso non infrequente agli albori), si può dedurre come esimente l’essersi uniformato a parere di un esperto. La giurisprudenza talora esclude le sanzioni se c’è stata causa di non punibilità per affidamento qualificato (specie se l’errore era scusabile). Non toglie il tributo, ma almeno le penalità.
- Nullità parziale dell’atto per carenza di motivazione su punti specifici: ad esempio, se l’avviso cumula più annualità, potrebbe essere motivato bene per un anno e meno per un altro. Oppure se richiede IVA evasa ma non spiega il calcolo del pro-rata (ci sono casi in cui i giudici annullano la parte IVA per difetto di motivazione restando valida quella IRPEF). L’obiettivo è sfruttare ogni incertezza nella pretesa per alleggerirla.
- Prescrizione delle sanzioni: le sanzioni tributarie irrogate con l’avviso devono anch’esse rispettare un termine di decadenza (5 anni dall’anno in cui è avvenuta la violazione). Di solito coincide con quello dell’imposta, ma in alcune situazioni particolari no. Ad esempio, se l’imposta è stata definita tardivamente e la sanzione comminata dopo, potrebbe essere oltre i 5 anni dalla violazione. Vale la pena controllare anche questo aspetto.
G. Aspetti particolari: criptovalute e NFT – Dedichiamo qualche riga specifica alle criptovalute, perché la guida richiede di includerle ed effettivamente costituiscono un tema emergente per gamer e content creator. Molti streamer ricevono donazioni in crypto (es. Bitcoin), o monetizzano asset digitali (es. vendono NFT collezionabili legati al proprio brand) o partecipano a sponsorship pagate in token. Come visto, ricevere crypto come corrispettivo di una prestazione non esime affatto dal dichiararle: la Cassazione con l’ordinanza n. 8269/2025 ha ribadito che i pagamenti in criptovaluta vanno sempre convertiti in euro e dichiarati ai fini fiscali, al pari dei pagamenti in valuta tradizionale. Dunque un gamer che nel 2021 ha ricevuto 0,5 BTC per una collaborazione doveva dichiarare il controvalore in euro di quel 0,5 BTC al momento della transazione. Se non l’ha fatto, l’accertamento recupererà quell’importo a tassazione. In difesa, cosa si può eccepire? Poco sulla debenza dell’imposta, perché ormai è chiaro che le crypto sono “ricchezza tassabile” (anche prima della legge 197/2022, la giurisprudenza le assimilava a valute estere). Però ci sono particolarità:
- Se il gamer ha incassato crypto e poi le ha mantenute, generando plusvalenze successivamente, la legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto una tassazione del 26% sulle plusvalenze da cripto-attività (sopra una franchigia di €2.000, franchigia abolita dal 2025). Un eventuale accertamento potrebbe riguardare non solo il reddito professionale ma anche le plusvalenze non dichiarate. Ad esempio, se Tizio streamer ha venduto nel 2023 Bitcoin guadagnandoci €10k e non l’ha dichiarato, quell’importo è soggetto a imposta sostitutiva 26%. La difesa qui potrebbe sostenere che l’obbligo dichiarativo sulle cripto era di incerta interpretazione prima dell’entrata in vigore della nuova legge/circolare 2023, chiedendo almeno la non applicazione delle sanzioni o l’applicazione retroattiva del regime più favorevole (che nel 2023 ha definito chiaramente l’ambito).
- Molti gamer non sanno di dover compilare il Quadro RW per detenere criptovalute su exchange esteri o wallet: l’omessa compilazione comporta sanzioni dal 3% al 15% del valore non dichiarato. Se l’avviso contiene anche questa violazione, la difesa potrebbe puntare a ridurre la sanzione (magari facendo rilevare che il valore è difficile da determinare o che l’omissione è frutto di incertezza). Va detto che a differenza delle imposte, le sanzioni RW si possono anche definire con ravvedimento se il contribuente spontaneamente regolarizza (cosa consigliabile, magari, se ci si accorge in tempo).
- Se il gamer ha venduto NFT o oggetti virtuali, i proventi sono di regola qualificati come redditi di lavoro autonomo (se creati dall’utente) o come redditi diversi se si trattava di plusvalenza su asset detenuto. Una sentenza penale citata in dottrina ha equiparato la vendita di NFT da parte di un artista a un reddito di lavoro autonomo, tassabile come tale. Nella difesa tributaria si può far leva su questo: se l’Agenzia volesse tassare come “reddito diverso” non deducibile, si potrebbe sostenere che invece era reddito di lavoro autonomo con possibilità di dedurre i costi di creazione. Viceversa, se conviene al contribuente sostenerne la natura di reddito diverso (magari per accedere a imposizione 26% come capital gain), può provare a inquadrarlo in quel modo.
In generale, la materia crypto è nuova e in evoluzione; il consiglio pratico è di affidarsi a professionisti che conoscano le ultime circolari (ad es. la circ. AdE 30/E del 2023) e possano eventualmente contestare aspetti tecnici (valutazione delle giacenze, applicabilità o meno di IVAFE, ecc.). Per i gamer coinvolti marginalmente, di solito il nodo principale resta il valore in euro al momento del conseguimento del reddito in crypto: se l’Agenzia l’ha sovrastimato o mal calcolato, quel punto va contestato (ad esempio, mostrando l’estratto blockchain o l’email di transazione per fissare l’esatto valore di mercato al giorno X in cui è arrivata la crypto).
H. Casi di giurisprudenza di riferimento – Nel costruire la difesa, può essere utile richiamare alcune sentenze favorevoli per situazioni analoghe. Oltre alle già citate:
- CGT Piemonte n.219/2023 (caso Ronaldo): utile per affermare la natura di lavoro autonomo dei proventi da immagine/attività online, e l’inapplicabilità di qualificazioni elusive (in quel caso fu negato il tentativo del contribuente di far passare i redditi di immagine come redditi esenti esteri). Serve più che altro dalla prospettiva opposta (di solito è l’Ufficio a citarla per dire “è lavoro autonomo”).
- Cassazione n.12548/2003 e altre sul concetto di lavoro nello spettacolo: in alcune difese si è provato a dire che lo streamer rientra tra gli artisti dello spettacolo e quindi le somme percepite dovrebbero essere assimilate a redditi di lavoro dipendente (come se fosse un lavoratore dello spettacolo). Questo in realtà servirebbe ad avere una tassazione diversa (lavoro dipendente ha ritenute alla fonte ecc.). Ma difficilmente regge se il rapporto non è di subordinazione.
- Cassazione n.1663/2020 e Cass. 7442/2024: queste riguardano le donazioni. La Cass. 1663/2020 ha chiarito che le donazioni di modico valore non formano reddito (erano cause su bonifici familiari), e la 7442/2024 – come già citato – ha escluso imposta di donazione su donazioni indirette non formalizzate. Potrebbero essere menzionate se il gamer ha ricevuto somme da familiari o amici stretti, per sostenere che non avevano natura reddituale.
- Cassazione n. 25318/2017: sancisce che l’omessa dichiarazione non preclude la possibilità di dedurre costi in giudizio, se provati, per determinare il reddito effettivo (principio del netto). È un precedente da citare se l’Ufficio dice “non aveva contabilità quindi niente costi”.
- CTR Lombardia n. 732/2022: (ipotetica) – se esistesse una Commissione che ha annullato un accertamento a uno Youtuber per vizio di notifica o altro, la difesa lo citerebbe. Ma casi noti pubblicamente non sono molti, essendo un tema recente.
- Cassazione n. 34447/2019: ha riconosciuto la non punibilità per obiettiva incertezza quando c’è divergenza interpretativa tra prassi e norma (caso in materia diversa, ma usabile analogicamente). Utile per chiedere annullamento sanzioni crypto pre-2023.
- Cassazione n. 8277/2020: ha riguardato un influencer che non aveva pagato IVA, la Cassazione confermò che l’attività (pubblicità su Instagram) era soggetta a IVA in quanto abituale. Questo potrebbe essere citato dall’Ufficio; il contribuente può replicare solo distinguendo il suo caso come eventuale occasionalità, se plausibile.
Ogni difesa va comunque calibrata sulle peculiarità del singolo accertamento. L’avvocato tributarista tipicamente costruirà un “mosaico” argomentativo: magari un vizio formale (da far valere per annullare tutto), un paio di contestazioni di merito forti (es. importi gonfiati, costi non dedotti) e delle richieste subordinate (es. ridurre sanzioni per buona fede). L’importante è essere concreti e supportare le affermazioni con documenti e riferimenti normativi/giurisprudenziali.
Figura 2: Rappresentazione simbolica della giustizia tributaria che investe il mondo dello sport e dello spettacolo. I giudici italiani, con pronunce recenti (come la Sent. CGT Piemonte n.219/2023), hanno inquadrato i redditi dei gamer-influencer come lavoro autonomo imponibile, segnando un precedente che incide sui contenziosi fiscali dei pro-player.
I. Tutela del patrimonio durante la causa – Mentre si dibatte il merito, il gamer deve anche proteggersi dagli effetti immediati dell’accertamento. Abbiamo accennato alla sospensione giudiziale da richiedere. Oltre a ciò, se l’importo è elevato e non interamente sospeso, si può valutare con l’Agente della riscossione la rateazione provvisoria di quanto a ruolo (ad esempio, pagare a rate il 50% richiesto nel frattempo, per evitare pignoramenti). Questo non pregiudica il ricorso (se poi vince, gli verrà restituito). È una mossa prudenziale se il giudice non concede sospensione integrale. L’importante è comunicare tempestivamente col concessionario della riscossione presentando istanza di dilazione entro 60 giorni dalla cartella (nel caso sia stata emessa per la parte dovuta). Così si bloccano azioni esecutive aggiuntive. Inoltre, il contribuente può chiedere all’Agenzia Entrate una sospensione in autotutela motivata, in attesa del giudizio: raramente viene concessa (l’Agenzia di solito rifiuta se crede nel proprio atto), ma provarci con una pec ben argomentata non nuoce, specie se emergono errori palesi (ad esempio, l’Ufficio potrebbe sospendere la riscossione di una parte se si rende conto di aver conteggiato due volte la stessa entrata).
J. Valutare la conciliazione in giudizio – Anche dopo aver intrapreso il ricorso, esistono spazi per accordarsi: nel corso del processo tributario è possibile fare una conciliazione giudiziale con l’Agenzia (art. 48 D.Lgs. 546/92). In primo grado, una conciliazione comporta sanzioni ridotte al 40% del minimo; in secondo grado al 50%. Se durante il processo emergono punti di incontro (es. dopo lo scambio di memorie l’Ufficio comprende che perderà su un punto, e il contribuente che ne perderà su un altro), spesso conviene ad ambo le parti trovare un accordo intermedio evitando il prosieguo. Ad esempio, su €100k di maggiore reddito, accordarsi per tassarne 50k con sanzioni al 40% del minimo. Questa soluzione, seppur tardiva, può far risparmiare ancora qualcosa sulle sanzioni rispetto all’adesione (che era 33%) e soprattutto chiudere definitivamente la questione (evitando appello e relativi costi/ansie). Il consiglio è: non irrigidirsi su posizioni assolute. Il mondo dei gamer e influencer è nuovo anche per il Fisco; a volte gli stessi uffici, resisi conto di possibili errori in corso di causa, preferiscono transigere. L’importante è avere un consulente che colga queste aperture e le gestisca a vantaggio del contribuente.
In conclusione, la difesa nel merito di un accertamento fiscale verso un gamer richiede un approccio multidisciplinare: contabile (per i numeri), giuridico (per le qualificazioni), tecnologico (per capire le piattaforme) e strategico. Non esiste una ricetta universale: occorre sezionare l’accertamento, contestare ogni punto contestabile e negoziare laddove opportuno.
Casi particolari: criptovalute, donazioni e sponsorizzazioni
Come richiesto, ricapitoliamo i casi particolari riguardanti criptovalute, donazioni e sponsorizzazioni, per evidenziare gli aspetti difensivi peculiari di ciascuno:
- Criptovalute: I redditi da crypto percepiti da gamer (che siano pagamenti in token, premi in crypto o plusvalenze su asset digitali) seguono ormai una disciplina definita. Dopo la L. 197/2022, le cripto-attività sono equiparate fiscalmente alle valute estere per certi versi. Un gamer che incassa criptovalute per la sua attività deve dichiararle come reddito (lavoro autonomo se abituale) convertendole in euro al valore corrente. In più, deve monitorare nel quadro RW eventuali consistenze di crypto detenute all’estero. In fase di difesa, i punti critici saranno: determinare l’esatto controvalore (evitando che il Fisco sovrastimi), evitare la doppia tassazione (es. se quell’asset era già stato tassato come reddito al momento della ricezione, non tassarlo di nuovo come plusvalenza alla vendita), e ridurre le sanzioni argomentando la novità normativa. La Cassazione 8269/2025 è un’arma a doppio taglio: conferma la tassabilità delle crypto, ma può essere citata per dire che prima del 2025 c’era incertezza (visto che la Cassazione stessa ha dovuto pronunciarsi solo ora). In definitiva, la difesa verte più sulla quantificazione e sulle sanzioni che non sulla debenza dell’imposta (che è difficilmente contestabile salvo ignorare del tutto la transazione, cosa non consigliabile se c’è traccia). Un aspetto importante: la legge 197/22 ha previsto una regolarizzazione spontanea per crypto detenute e redditi non dichiarati, con istanza entro Nov. 2023. Se il gamer l’ha fatta, quell’anno non dovrebbe più essere sanzionato (questo andrebbe segnalato allegando copia dell’istanza e del pagamento effettuato).
- Donazioni dei follower: come lungamente discusso, la difesa qui si gioca sulla qualificazione. L’Agenzia considererà le donazioni su Twitch/YouTube come corrispettivi di prestazione (reddito imponibile). Il contribuente, per togliere imponibile, dovrebbe provare che certe somme erano davvero regali gratuiti e non collegati all’attività. Onestamente, se avvengono in streaming pubblico, è quasi impossibile farle passare per liberalità disinteressate. Potrebbe riuscire solo per casi particolari, ad esempio: un unico spettatore, amico personale, che dona una cifra significativa senza contropartita, e dichiara di averlo fatto per puro spirito di liberalità. In tal caso, si potrebbe sostenere che quella donazione non costituisce reddito (essendo una liberalità occasionale; tra privati, infatti, donazioni modiche non generano base imponibile). Ma attenzione: se la cifra è alta (oltre €2.500 circa), formalmente il Codice Civile richiederebbe un atto pubblico di donazione. In assenza, l’Agenzia può dubitare della genuinità. Dunque la difesa sulle donazioni si concentrerà più realisticamente nel separare ciò che è donation da ciò che è abbonamento o tip ricorrente. Ad esempio: Patreon distingue i pagamenti come scambio di contenuti (quindi reddito) vs donazioni a fondo perduto. Se il gamer può mostrare che un certo versamento non dava diritto ad alcun contenuto esclusivo né vantaggio, potrebbe etichettarlo come donazione liberale. È una linea sottile e difficile, ma in mancanza di altro va esplorata. Quanto alle sanzioni, si può almeno far presente l’ambiguità terminologica: molti giovani credevano davvero che “donazione” volesse dire regalo non tassabile (anche siti divulgativi l’hanno sostenuto erroneamente). Ciò, come detto, non esonera dal tributo, ma potrebbe convincere il giudice a ridurre la sanzione per colpa lieve (magari applicando il minimo).
- Sponsorizzazioni: le entrate da sponsor e pubblicità sono le più chiare fiscalmente (reddito di lavoro autonomo o d’impresa con IVA). La difesa su questi importi raramente nega la tassabilità, quanto piuttosto mira a correggerne l’importo tassato. Un caso tipico: lo sponsor è estero e ha pagato €10.000, ma il gamer ha speso €2.000 per adempiere al contratto (es. produzione video sponsorizzato). L’Agenzia però vede solo i €10k entrati. Qui bisogna mettere in evidenza i costi correlati (come detto nella parte sui costi deducibili) per abbattere la base. Un altro aspetto: se il gamer ha emesso fattura allo sponsor ma non l’ha dichiarata (capita per i negligenti), l’Agenzia comunque recupera la cifra – però il fatto di aver fatturato e magari assolto l’IVA (se l’ha versata) può essere un attenuante per ridurre sanzioni IRPEF (in fondo la PA aveva traccia). La difesa sulle sponsorizzazioni può pure consistere nel contestare l’esistenza del rapporto: esempio, l’Agenzia imputa al gamer €5.000 da “Sponsor X” perché ha visto il logo in un video, ma il gamer può provare di non aver ricevuto nulla (magari era solo un omaggio di prodotti, non denaro). Se l’accertamento è basato su deduzioni (logo = guadagno), bisogna fornire prove contrarie (contratto di barter in cui si chiarisce che lo sponsor forniva solo materiale gratuito e non soldi). Insomma, sul fronte sponsor la difesa è: tassare solo l’effettivamente percepito e scomputare ciò che è erroneamente attribuito o già compensato da spese.
Caso pratico riepilogativo:
Immaginiamo Giuseppe, gamer e streamer italiano, che nel 2022: ha guadagnato €40k da pubblicità YouTube, €15k da sponsor esteri, €10k in donazioni fan, 2 ETH da vendita di skin-NFT, e ha vinto €5k in un torneo online in USA (con 30% trattenuto alla fonte). Non ha dichiarato nulla né ha P.IVA. Nel 2025 riceve avviso per redditi 2022 non dichiarati, imponibile ricostruito €80k (stimando 50k pubblicità+sponsor, 10k donazioni, 20k NFT), con IRPEF evasa €20k e addizionali €1.5k; IVA evasa su sponsor €3.3k; sanzione omessa dichiarazione 120% = €25k, sanzione IVA 100% = €3.3k; interessi €1k. Totale circa €54k. Come si difende?
- In adesione porterebbe: estratti evidenziando che il torneo USA già tassato 30% ($5k brutto – $1.5k trattenuti); che quei 2 ETH valevano €6k (non 20k come ipotizzato dal Fisco magari a valore errato); costi documentati per €5k (PC nuovo, etc.); evidenza che alcune donazioni (€2k) provenivano da suo zio (donazione personale). L’Ufficio magari accetterà di ridurre l’imponibile a, diciamo, €60k (togliendo €4k torneo tassato USA, €4k NFT rideterminati, €2k donazioni private, €5k costi) = ~€45k netto. Imposte su 45k, sanzioni 1/3. Giuseppe pagherebbe forse €13k imposte + €4k sanzioni = €17k più interessi.
- In ricorso invece punterebbe a: vizio per mancato contraddittorio (se c’è, ad es. GdF non l’ha invitato prima); nel merito, imponibile reale = €40k adv + €15k sponsor + €8k donazioni pubbliche + 2 ETH(€6k) + €5k USA = tot €74k lordi, ma – €5k costi – €5k torneo con credito – €?; insomma far scendere il reddito tassabile sotto €50k; chiedere credito d’imposta per $1.5k (circa €1.3k) pagati in USA; riclassificare le donazioni dello zio come esenti; sanzioni non punibili per incertezza su crypto (2 ETH); e così via. Il giudice potrebbe ad esempio ridurre l’imponibile a €50k e togliere le sanzioni sulle donazioni se convinto della buona fede, portando magari il dovuto complessivo a €12k imposte + €6k sanzioni = €18k.
Ogni voce ha il suo trattamento e la sua difesa: l’avvocato deve smontare pezzo per pezzo la pretesa fiscale originaria di €54k, evidenziando errori di calcolo, duplicazioni e contingenze favorevoli.
Domande e Risposte (FAQ)
D: Che cos’è esattamente un “avviso di accertamento fiscale” e perché l’ho ricevuto?
R: L’avviso di accertamento è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate (o altro ente impositore) ti comunica che, in base ai controlli effettuati, hai pagato meno tasse del dovuto in uno o più anni, indicandoti l’importo da versare a titolo di imposte evase, sanzioni e interessi. Se sei un gamer o streamer e hai ricevuto un avviso, significa che il Fisco ha rilevato irregolarità fiscali legate alla tua attività online. Tipicamente nel nostro contesto, le motivazioni possono essere: omessa dichiarazione di redditi (non hai dichiarato i proventi di Twitch/YouTube, i premi vinti, ecc.), mancata apertura IVA (se svolgevi attività abituale come professionista), compensi dall’estero non dichiarati, oppure errori nell’applicazione di un regime fiscale. L’avviso è sostanzialmente una “cartella” con cui ti chiedono di pagare la differenza di tasse entro 60 giorni, salvo tu presenti ricorso. Riceverlo è serio, ma non è la fine: hai la possibilità di difenderti o di trovare un accordo come spiegato nella guida.
D: Qual è la differenza tra un semplice “avviso bonario” e un “avviso di accertamento”?
R: Un avviso bonario in genere precede l’accertamento ed è una comunicazione informale (es. una lettera di compliance o una comunicazione automatica del centro riscossioni) che ti segnala possibili difformità (ad esempio, redditi risultanti da certificazioni e non dichiarati). L’avviso bonario ti invita a sistemare la situazione o a inviare chiarimenti, ma non ha carattere impositivo: se non aderisci, in seguito potrà arrivare l’avviso di accertamento vero e proprio. L’avviso di accertamento, invece, è un atto impositivo e immediatamente esecutivo: contiene già la liquidazione delle imposte e l’intimazione a pagare. Dunque, mentre all’avviso bonario puoi rispondere con correzioni o spiegazioni senza effetti immediati, l’avviso di accertamento va pagato o impugnato entro termini precisi, altrimenti diventa definitivo. In sintesi: il bonario è un “warning”, l’accertamento è il “conto” vero e proprio.
D: Ho incassato pochi soldi giocando online, devo comunque dichiararli? C’è una soglia minima sotto cui non si pagano tasse?
R: In Italia vige il principio che tutti i redditi percepiti (salvo specifiche esenzioni previste dalla legge) vanno dichiarati, indipendentemente dall’importo. Non esiste una franchigia generale “tax free” per i redditi da attività autonoma o occasionale, a parte l’area esente dovuta alle detrazioni (circa €8.500 annui per lavoro autonomo come “no tax area”). Ciò significa che anche se hai guadagnato, poniamo, €500 con qualche streaming, in teoria dovresti dichiararli: probabilmente su quell’importo non pagherai IRPEF perché sotto la soglia di esenzione, ma l’obbligo dichiarativo c’è. Se hai altre fonti di reddito (es. stipendio) e i guadagni da gaming sono aggiuntivi, questi concorreranno a formare il reddito imponibile complessivo. Esiste invece una soglia contributiva: finché l’attività è occasionale e guadagni meno di €5.000 annui, non sei tenuto all’iscrizione alla gestione separata INPS (oltre tale soglia, l’eccedenza richiede l’iscrizione e contributi). Ma sul fronte fiscale, anche €1 guadagnato sarebbe teoricamente da indicare. Detto ciò, importi modesti derivanti in modo sporadico (il classico “hobby remunerato”) possono rientrare nei redditi diversi e spesso non generano un debito d’imposta (grazie alle detrazioni d’imposta che coprono i primi euro di reddito). In pratica, se in un anno hai solo €500 da streaming e null’altro, anche se lo dichiari non pagherai nulla; se hai un lavoro e €500 extra, pagherai IRPEF su quei 500 al tuo scaglione marginale (es. 23%, quindi €115). Un accertamento fiscale difficilmente si muove per poche centinaia di euro – il Fisco concentra le risorse dove l’evasione appare significativa. Ma formalmente l’obbligo c’è anche per cifre minime.
D: Davvero devo aprire la partita IVA per fare lo streamer/gamer? Non posso dichiarare come “prestazione occasionale”?
R: La partita IVA è obbligatoria quando l’attività che svolgi ha carattere abituale e continuativo. Nel caso dello streaming/gaming monetizzato, i fattori da considerare sono: regolarità delle trasmissioni o competizioni, organizzazione (uso di mezzi, programmazione, sponsor fissi), e durata nel tempo. Se saltuariamente fai qualche live o partecipi a un torneo, potresti sostenere di essere nel regime dell’“occasionalità” (reddito diverso ex art. 67 TUIR) e quindi non aprire P.IVA. Ma attenzione: occasionale in senso fiscale significa non professionale e non ripetitivo. Esempio tipico: commenti live un evento e ti pagano una tantum 200€, oppure vendi un oggetto di gioco una volta. Se invece hai un canale con un palinsesto, ricevi donazioni ogni mese, o gareggi in campionati ogni stagione, l’Agenzia delle Entrate ti considererà un operatore economico, quindi soggetto a IVA. In assenza di P.IVA, i tuoi compensi abituali sono comunque imponibili come lavoro autonomo ma con l’aggravante di non aver rispettato gli obblighi IVA e contabili (con relative sanzioni). Un tempo c’era molta confusione su questo, ma oggi è chiaro: lo streamer professionale deve aprire P.IVA. La prestazione occasionale (senza IVA) è ammessa solo se l’attività ha un carattere episodico. Non c’è un numero esatto di eventi per definire “abituale”, ma come regola pratica se guadagni oltre ~5.000 € l’anno o operi per più di 30 giorni/anno in modo organizzato, è quasi certo che sei considerato professionale. Perciò, se intendi continuare a lungo, meglio mettersi in regola con P.IVA (magari sfruttando il forfettario se hai ricavi sotto 85k). In caso tu non l’abbia fatto e subisca accertamento, potrai difenderti cercando di dimostrare l’occasionalità (solo se vera), ma come spiegato la soglia è qualitativa. Alcuni gamer chiedono: “E se apro P.IVA pago più tasse?” – non necessariamente, paghi quelle dovute ma eviti le sanzioni pesanti. Con il forfettario, ad esempio, pagheresti il 15% di imposta sostitutiva (spesso meno dell’IRPEF ordinaria che scatterebbe in accertamento) e niente IVA. Quindi regolarizzarsi può essere conveniente e certamente mette al riparo da brutte sorprese.
D: Cosa posso fare entro i 60 giorni dalla notifica dell’avviso?
R: Entro 60 giorni hai sostanzialmente quattro possibili azioni: 1) Pagare l’importo richiesto (eventualmente chiedendo all’Agenzia di rateizzare) beneficiando della riduzione sanzioni a 1/3 – è l’acquiescenza. 2) Presentare istanza di accertamento con adesione per avviare un dialogo con l’ufficio e cercare un accordo (questo congela i 60 giorni, dandoti più tempo). 3) Se il caso rientra nei limiti, proporre un reclamo-mediazione (che di fatto è un ricorso anticipato) all’Agenzia per vedere se accettano un compromesso. 4) Redigere e depositare un ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria (ossia iniziare il contenzioso vero e proprio). Puoi anche combinare alcune mosse: ad esempio, presentare l’adesione; se poi salta, hai ancora tempo per fare ricorso. Quello che non devi fare è lasciar trascorrere 60 giorni senza far nulla: in tal caso l’avviso diventa definitivo e poi potrai solo pagare (con aggravio di aggi di riscossione). Quindi valuta bene con un professionista la strada migliore: se la somma è modesta e le contestazioni corrette, può convenire pagare subito con sconto; se la somma è elevata ma hai argomenti, meglio l’adesione o ricorso. Anche presentare un’istanza in autotutela (cioè chiedere all’ufficio di annullare o correggere l’atto per errori evidenti) è possibile, ma non sospende i termini: quindi spesso si fa in parallelo, ma senza fare affidamento sui suoi esiti.
D: Cosa succede se ignoro l’avviso o non pago entro i 60 giorni?
R: Se lasci trascorrere i 60 giorni dalla notifica senza pagare e senza fare ricorso, l’avviso diventa definitivo ed esecutivo. Ciò significa che l’importo ti verrà iscritto a ruolo e passerà all’Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione). In pratica, dopo qualche settimana potresti ricevere una cartella di pagamento o un’intimazione ad adempiere immediata. A quel punto, se ancora non paghi, scattano le procedure di riscossione forzata: potranno pignorarti i conti correnti, stipendio, pensione, oppure mettere ipoteca su un immobile di tua proprietà o fermo amministrativo sull’auto. Non solo: una volta definitivo, il debito fiscale continuerà a maturare interessi e aggi (compenso di riscossione), aggravando il totale. Inoltre, perderai per sempre la possibilità di contestare l’accertamento nel merito (non potrai più fare ricorso, nemmeno in caso di evidenti errori, salvo il rarissimo caso di revocazione per dolo del Fisco). In sostanza ignorare l’atto significa accettare tacitamente di dover pagare tutto. L’unica via poi sarebbe sperare in qualche definizione agevolata (condono) oppure dilazionare i pagamenti con l’esattore. È fortemente sconsigliato lasciare decorrere i termini senza agire: anche se pensi di non avere i soldi per pagare, è meglio presentare ricorso e chiedere sospensione, guadagnando tempo legalmente e magari ottenendo uno sgravio, piuttosto che finire subito nei sistemi coattivi. Quindi: mai ignorare. Se per qualche motivo non hai fatto in tempo a impugnare (es: notifica non vista in tempo), rivolgiti subito a un legale per valutare soluzioni d’emergenza (a volte si tenta un ricorso tardivo se la notifica era viziata).
D: Posso impugnare solo una parte dell’accertamento (ad es. solo l’IVA e non l’IRPEF)?
R: Sì, il ricorso può essere parziale. Puoi contestare specifici capi della pretesa fiscale. Ad esempio, potresti essere d’accordo sul dover pagare IRPEF su certi redditi ma non sulle sanzioni, oppure accettare l’IRPEF ma contestare che fosse dovuta l’IVA. Nel ricorso indicherai i motivi di impugnazione mirati. Tieni presente però che se non impugni una parte, quella parte diventa definitiva. Esempio: l’avviso ti chiede €10k IRPEF e €5k IVA. Se fai ricorso solo sull’IVA, i €10k IRPEF devi pagarli (entro 60 gg, con sanzioni ridotte se fai acquiescenza su quella parte). In genere conviene impugnare tutto l’atto, per non precludersi nessuna difesa; volendo, si possono comunque pagare volontariamente le parti non controverse (questo semmai attenua le sanzioni su quelle parti). Una volta in causa, nulla vieta di dichiarare che “riconosci” parte del dovuto – può anzi farti apparire più serio agli occhi del giudice. Ma tecnicamente è preferibile includere nel ricorso ogni aspetto su cui hai dubbi, formulando eventualmente motivi subordinati (es: “se anche l’IVA fosse dovuta, la sanzione è eccessiva”). In sintesi, sì al ricorso parziale, ma va gestito con attenzione strategica.
D: Ho già pagato una parte del dovuto (o mi hanno già trattenuto delle imposte all’estero), verrà considerato?
R: Sì, in sede di accertamento e soprattutto in sede di difesa devi far presente ogni importo che hai già versato per non pagare doppio. Se prima dell’accertamento avevi fatto un ravvedimento operoso su alcune somme, l’avviso dovrebbe già tenerne conto (spesso in questi casi o non arriva proprio l’avviso, oppure arriva chiedendo solo la differenza). Se l’Agenzia se n’è “dimenticata”, potrai opporre che per quella parte hai già assolto. Per le imposte pagate all’estero, come detto, hai diritto al credito d’imposta in Italia se si tratta di redditi prodotti all’estero tassati anche da noi. Dovrai documentare quanto pagato fuori (es. certificato di tassazione estera). Il credito può essere fatto valere anche in adesione o in ricorso: solitamente gli uffici poi lo riconoscono in quella sede (talvolta chiedono che tu presenti istanza di rimborso separata, ma in genere è più efficiente scalare direttamente). Se invece hai pagato qualcosa dopo la notifica dell’avviso (es. hai versato una parte a titolo di acquiescenza parziale, o ti hanno trattenuto 1/3 dopo il ricorso in fase di riscossione), certamente – in caso di ricalcolo finale – quelle somme vanno detratte. Il giudice nelle sentenze spesso dà atto del “dedurre quanto già versato in pendenza di giudizio”. È importante non perdere le ricevute di pagamento e presentarle all’occorrenza. In pratica, il Fisco non può esigere più del 100% di quanto dovuto: se per ipotesi un pezzo gli è arrivato, quell’accertamento si riduce di conseguenza.
D: Durante il procedimento posso continuare la mia attività di gamer? O rischio provvedimenti che mi bloccano (tipo sequestro del PC, chiusura del canale)?
R: Sul piano fiscale, il procedimento di accertamento non comporta di per sé alcuna interdizione o sequestro: puoi continuare a streammare, partecipare a tornei, ecc. L’Agenzia delle Entrate, differentemente da altri enti come la SIAE o la Polizia (che in casi di pirateria possono sequestrare attrezzature), non ha interesse a fermarti dall’attività: piuttosto, vuole che tu continui e paghi le tasse! Quindi non c’è un “blocco del canale” per motivi fiscali. Attenzione, però: se si arrivasse a una fase di riscossione coattiva, alcuni atti potrebbero indirettamente colpirti, ad esempio il pignoramento del conto corrente potrebbe bloccarti dei fondi, oppure – in casi estremi – il pignoramento del credito verso Twitch (il che costringerebbe Twitch a dirottare le tue entrate al Fisco). Sono misure drastiche che scattano solo se non paghi né sospendi nulla. Inoltre, se mai si profilasse un reato tributario e il pubblico ministero ravvisasse il pericolo di reiterazione, potrebbe in teoria chiedere un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Ciò avviene per grosse evasioni: ad esempio, a un imprenditore in evasione milionaria possono sequestrare beni. Per un gamer, è piuttosto improbabile arrivare a tanto, ma in linea teorica, se l’evasione è oltre soglia penale, potrebbero sequestrare denaro o beni fino a concorrenza dell’imposta evasa. Questo potrebbe includere saldi su conto, magari la tua postazione se di valore (ma di solito puntano ai conti). Tuttavia, ribadiamo che ciò succede solo nei casi più gravi e con autorizzazione del giudice penale. Dunque, finché sei nella fase amministrativa/tributaria, la tua attività può proseguire. Anzi, spesso conviene continuare a lavorare regolarmente e mettersi in regola, magari aprendo P.IVA subito: così dai un segnale positivo e, con i nuovi redditi tassati, potrai magari usare quelle risorse anche per pagare il pregresso mediante rate. In sintesi: nessuno ti “chiude” il canale Twitch perché hai un debito fiscale; il rischio semmai è che i soldi che guadagni ti vengano in parte presi per saldare il debito (se non hai sospensioni). Quindi organizzati di conseguenza.
D: Il mio caso coinvolge criptovalute (o NFT). Devo aspettarmi qualcosa di diverso in accertamento?
R: L’accertamento di per sé non cambia forma se coinvolge crypto: l’Agenzia ti contesterà redditi non dichiarati, siano essi in euro o in moneta virtuale convertita. La differenza sta negli strumenti probatori: per le crypto, il Fisco si avvale di indagini finanziarie e di tecniche di blockchain analysis. Ad esempio, la Guardia di Finanza può aver tracciato i movimenti del tuo wallet e scoperto che hai inviato crypto a un exchange incassando euro sul conto. Oppure può aver ottenuto i dati (grazie alla DAC8 europea in arrivo) da piattaforme crypto. Se tu non hai dichiarato quei capital gain o quei redditi, li accerteranno. La novità dal 2023 è che ora c’è un regime chiaro: le plusvalenze da crypto per persone fisiche sono tassate con imposta sostitutiva 26% se superano €2.000 (soglia valida solo per il 2023, poi abolita). Quindi un accertamento su anno 2023 in poi potrebbe specificatamente riguardare quel 26% non pagato. Su anni precedenti, l’Agenzia tendeva a inquadrare le plusvalenze crypto come redditi diversi esteri (aliquota marginale IRPEF) oppure – se fatto in modo business – come reddito d’impresa. In un contenzioso, potresti sostenere che va applicato in via interpretativa il nuovo regime (26%) perché più equo. In ogni caso, preparati a fornire spiegazioni su ogni movimento: le crypto complicano un po’ la difesa perché c’è da tradurre l’attività in numeri comprensibili fiscalmente. Ti consigliamo di farti assistere da qualcuno esperto in fiscalità delle crypto. Ma il succo è: l’accertamento fiscale tratta i guadagni crypto come guadagni in euro, quindi niente immunità. Se hai aderito alla procedura di regolarizzazione crypto nel 2023 (dichiarando spontaneamente le consistenze dietro pagamento di una piccola imposta), porta quella documentazione perché l’Agenzia non dovrebbe sanzionarti per quei rilievi regolarizzati.
D: Le donazioni su Twitch o YouTube vanno fatturate? Devo rilasciare ricevuta a chi mi dona?
R: No, generalmente non devi emettere fattura al singolo utente che fa una donazione spontanea. Questo perché non c’è un rapporto sinallagmatico classico tra te e il donatore: non è che ha acquistato un servizio specifico da te, ha solo supportato il tuo canale. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito in passato che per le somme percepite a titolo di “liberalità” nell’esercizio di una professione non serve fattura verso il donante (che peraltro spesso è anonimo/nickname e non fornirebbe dati fiscali). Quello che devi fare è comunque registrare l’incasso nei tuoi appunti contabili (se hai partita IVA, lo annoterai come operazione fuori campo IVA – contributo volontario). In pratica viene trattato un po’ come le mance: tassabili per chi le riceve, ma non oggetto di fatturazione. Diverso è se la piattaforma inquadrasse quei pagamenti come acquisto di un servizio (ad esempio Twitch sub e bits in parte sono servizi di intrattenimento): lì Twitch applica l’IVA al momento dell’acquisto dei bits dall’utente, tu prendi il netto dopo la fee. Quindi tu non fatturi al singolo fan, ma Twitch fattura all’utente (infatti su Twitch l’utente paga IVA sui bits acquistati). Queste sono sottigliezze: moral della favola, per la tua posizione tu contabilizzi il ricavo lordo che ti riconosce la piattaforma e fine. Se sei in forfettario, non hai IVA comunque; se sei in ordinario, ma la donazione non è considerata servizio reso a un committente identificabile, non applichi IVA (o al limite fai autofattura per registrazione interna). In fase di accertamento, l’Agenzia tende a recuperare l’IVA solo sulle sponsorizzazioni e simili, non sulle donazioni dei fan (proprio perché non c’è un’obbligazione contrattuale classica da assoggettare ad imposta). Quindi, nella malaugurata ipotesi di verifica, discuterebbero delle donazioni come reddito imponibile IRPEF ma difficilmente ti contesteranno “non hai messo IVA sulle donazioni”. Su questo almeno puoi stare relativamente tranquillo: la prassi ufficiale è che le donazioni dei follower, pur tassabili, non richiedono fattura né IVA. Ovviamente, tieni storicizzati i dati (screenshot delle dashboard) perché dovrai dimostrare l’ammontare preciso di queste somme.
D: Ho vinto premi in tornei eSport all’estero. Devo dichiararli in Italia? Anche se mi hanno già trattenuto una tassa lì?
R: Sì, come residente fiscale italiano devi dichiarare tutti i redditi, ovunque prodotti. Le vincite in tornei di eSports non sono equiparate alle vincite d’azzardo (che in alcuni casi sono esenti in Italia se tassate alla fonte). A meno che il torneo sia organizzato in Italia con ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (cosa rara), il premio va dichiarato qui come reddito. Se all’estero sul premio ti hanno applicato una ritenuta (molti Paesi esteri trattengono imposte sui premi sportivi o sui compensi a non residenti), potrai usufruire del credito d’imposta estero per non pagare due volte. Facciamo un esempio: vinci 10.000 $ in un torneo negli USA, gli USA applicano 30% di withholding, quindi ti arrivano 7.000$. In Italia dovrai dichiarare l’equivalente di 10.000 $ in euro come reddito (probabilmente reddito diverso, se è un episodio occasionale). L’IRPEF calcolata su quell’importo, poniamo sia 3.000 €, potrai ridurla del credito per le imposte estere pagate (3.000 € circa, dato che 3k $ pagati in USA). In pratica potresti azzerare l’imposta italiana grazie al credito, pagando semmai solo differenze di aliquote se ce ne sono. Ma devi comunque dichiarare il reddito e chiedere il credito: se non lo fai, l’Agenzia ti contesterà l’omissione. Magari poi in sede di accertamento riconosceranno il credito e non avrai doppio esborso, ma intanto la sanzione per omessa dichiarazione ti arriva. Quindi conviene sempre dichiarare, indicando l’eventuale imposta estera subita nel quadro CE (credito per imposte estere). Caso diverso: se il premio lo hai vinto da dilettante in Italia sotto l’egida di una Federazione sportiva, fino a 15k potrebbe non essere tassato – ma come detto questo non si applica agli eSports ancora. Quindi, lunga storia breve: sì, dichiara i premi esteri, chiedendo il credito d’imposta per qualsiasi tassa straniera.
D: In caso di processo, dovrò comparire di persona in tribunale?
R: Nel processo tributario la presenza personale del contribuente non è obbligatoria né generalmente richiesta. Sarà il tuo difensore (avvocato o commercialista abilitato) a curare gli atti e l’eventuale discussione in udienza. Tu puoi assistere alle udienze come pubblico (sono generalmente pubbliche, eccetto quest’epoca di udienze da remoto su Teams post-covid), ma non sei tenuto a testimoniare o simili. Anzi, va detto: nel processo tributario la testimonianza non è ammessa (art. 7 D.Lgs. 546/92), quindi nemmeno tu puoi testimoniare a tuo favore. Tutto si basa su documenti e deduzioni. Se ci fosse da chiarire dei fatti, potresti fare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio su certi eventi (es: “dichiaro che la somma X ricevuta via bonifico da mio padre era un regalo di laurea”). Quella dichiarazione non ha valore di prova legale, ma viene valutata come elemento indiziario. In rarissimi casi il giudice può disporre CTU (perizie tecniche) su questioni complesse, ma non è la norma. Quindi la tua presenza fisica non serve, se non per dare supporto informativo al tuo avvocato. Naturalmente, parte attiva lo devi essere fuori dall’aula: devi fornire al difensore tutti i dati, documenti, spiegazioni utili. Sarai coinvolto nella preparazione delle memorie (verificando che i fatti siano esposti correttamente). Ma in udienza non dovrai parlare tu. Questo può essere un sollievo per molti, ma attenzione: se ritieni di poter spiegare benissimo a voce come funziona la tua attività, sappi che ciò dovrà essere tradotto in scritti difensivi e documenti. Non c’è l’esame diretto come in un processo televisivo. Quindi assicurati che il tuo difensore abbia compreso ogni dettaglio del tuo lavoro, magari preparandogli un memorandum (es: come si guadagna su Twitch? Che differenza c’è tra bit e sub? Cosa sono le “skin” nei videogiochi?). Questo aiuterà lui/lei a contestualizzare al giudice (che spesso è persona di mezza età poco avvezza al gergo videoludico) di cosa si parla. In sostanza: tu non parlerai in aula, ma la tua storia deve emergere chiara attraverso i documenti e le spiegazioni fornite negli atti.
D: Vale la pena farsi seguire da un avvocato/tributarista o posso fare da solo? I costi sono alti?
R: Per importi significativi, specie se oltre poche migliaia di euro, è fortemente consigliato farsi assistere da un professionista esperto in diritto tributario. La materia è tecnica e piena di insidie procedurali: un piccolo errore formale (es. indirizzare il ricorso all’ufficio sbagliato, o presentarlo un giorno fuori termine, o non notificare il ricorso alla controparte) può farti perdere la causa a prescindere dal merito. Un avvocato tributarista saprà evitare questi errori e impostare le giuste argomentazioni, oltre a conoscere come ragionano le Commissioni tributarie. I costi di assistenza variano molto a seconda della complessità e del valore. Però considera: spesso le spese legali seguono la soccombenza, quindi se vinci (anche parzialmente) può essere che il giudice condanni l’Agenzia a rifonderti le spese in tutto o in parte. Inoltre, alcune controversie semplici (valori modesti, pochi punti da discutere) possono essere seguite anche da commercialisti abilitati con parcelle ragionevoli. Molti professionisti offrono una prima consulenza gratuita o a basso costo per inquadrare il caso: approfittane, perché capire a priori la forza della tua posizione ti aiuta a decidere se investire in un ricorso. Se il debito contestato non è enorme e riconosci l’errore, magari l’avvocato stesso ti dirà che è meglio definire pagando con sconti (risparmiando così anche gli onorari). Se invece c’è margine di difesa, l’onorario va visto come un investimento per risparmiare su imposte e sanzioni. Per dare un’idea, su un contenzioso da 50k €, gli onorari potrebbero essere nell’ordine di qualche migliaio di euro (dipende dal tariffario, da quante fasi – primo grado, appello – si affrontano, ecc.). C’è anche l’opzione del patrocinio a spese dello Stato se sei in condizioni economiche disagiate e il reddito familiare sotto circa €11.700: in tal caso potresti avere diritto a un avvocato gratuito pagato dallo Stato. Informati presso l’Ordine degli Avvocati locale. In definitiva, dati i tecnicismi (specie se ci sono di mezzo normative crypto, internazionali, ecc.), il fai-da-te è sconsigliato, a meno che tu stesso non abbia competenze tributarie. Considera inoltre che un professionista può interfacciarsi meglio con l’Agenzia: a volte un buon difensore riesce a ottenere un accordo in adesione che da solo il contribuente non avrebbe spuntato. Dunque sì, vale la pena, soprattutto se parliamo di importi e questioni non banali.
D: Come posso prevenire in futuro problemi di questo tipo col Fisco?
R: Ottima domanda, anche se esula un po’ dalla difesa “successiva” (che è l’oggetto della guida). La prevenzione in ambito fiscale consiste nel curare gli adempimenti sin dall’inizio. Consigli per un gamer/streamer:
- Apri la Partita IVA (regime forfettario se ne hai diritto) appena ti rendi conto che l’attività sta ingranando e generando entrate frequenti.
- Fatti seguire da un commercialista esperto in fiscalità digitale: ti aiuterà a gestire fatture, registri, dichiarazioni e a ottimizzare il carico fiscale legalmente.
- Tieni traccia di tutti i ricavi: scarica i report dalle piattaforme ogni mese, conserva gli e-mail con le partnership, segna le donazioni ricevute. Una contabilità di base, anche se sei in forfettario (dove non serve per legge tenere i registri, ma a uso interno sì).
- Dichiara tutto il dichiarabile: meglio dichiarare un euro in più che uno in meno. Se hai dubbi se una certa entrata sia tassabile, consultati con l’esperto; in caso di incertezza, inserirla in dichiarazione (male che vada, sarà il Fisco a escluderla se non dovuta, ma intanto eviti sanzioni per omissione).
- Occhio ai pagamenti esteri e alle crypto: iscriviti al VIES se fatturi a committenti UE, compila il quadro RW se detieni cripto o conti esteri, versa l’IVAFE sui conti esteri se dovuta. Sono accorgimenti che denotano compliance e evitano accertamenti automatici.
- Non improvvisare interpretazioni fai-da-te: ad esempio, non pensare “questa entrata è un regalo, quindi non la metto in dichiarazione” senza aver approfondito la norma. Molti influencer caduti in errore lo hanno fatto per sottovalutazione. Ormai ci sono tante guide (come questa!) e professionisti del settore: informati e non fidarti del “sentito dire”.
- Accantona una parte dei guadagni per le tasse: se lavori da indipendente, nessuno ti trattiene le imposte alla fonte. Devi pensarci tu. Un trucco è mettere da parte circa 1/3 di ciò che incassi su un conto separato, così quando arrivano le scadenze fiscali (acconti, saldi) non ti troverai a mani vuote. Questo ti terrà anche lontano dalla tentazione di evadere perché “non hai i soldi per pagare”.
- Mantieniti aggiornato: il mondo fiscale evolve (vedi la nuova legge su crypto, il nuovo codice ATECO per influencer nel 2025, ecc.). Segui fonti affidabili (siti web di settore, canali YouTube di commercialisti) per capire se qualche novità ti riguarda. Ad esempio, se un giorno gli eSports saranno riconosciuti e i premi esentati entro 15k €, saperlo in anticipo ti farà gestire in modo corretto e vantaggioso quella situazione.
In sintesi, la chiave è professionalizzare anche la gestione fiscale della tua attività di gamer, come faresti con qualsiasi impresa. Se ti muovi bene, il Fisco non sarà più un “boss finale” spaventoso, ma un alleato invisibile che prendi in considerazione nelle tue strategie (sapendo quante tasse dovrai pagare su un evento, potrai anche negoziare meglio le tue tariffe con sponsor e organizzatori). E soprattutto dormirai sonni tranquilli, senza timore di buste verdi nella casella di posta.
Conclusioni
L’avviso di accertamento fiscale notificato a gamer, streamer e pro-player di eSport rappresenta una sfida complessa ma affrontabile con gli strumenti giuridici appropriati. Abbiamo visto come il punto di vista del contribuente (debitore) possa essere tutelato attraverso varie strategie: dalla definizione agevolata con l’adesione, alla battaglia in Commissione tributaria su ogni voce di reddito. La chiave è non farsi prendere dal panico iniziale di fronte a cifre e terminologie punitive, ma analizzare lucidamente l’atto, magari con un consulente, per individuare errori dell’Amministrazione e possibili margini di manovra.
È emerso chiaramente che la posizione fiscale dei gamer/influencer si è negli ultimi anni consolidata in termini normativi: l’Agenzia delle Entrate, con l’ausilio della Guardia di Finanza, ha strumenti sempre più efficaci per scovare redditi online non dichiarati, incrociando dati bancari, informazioni dalle piattaforme digitali (anche grazie alla cooperazione internazionale DAC7), e perfino analizzando le blockchain per seguire le criptotransazioni. D’altro canto, i contribuenti hanno a disposizione garanzie procedurali (il contraddittorio, la motivazione, i termini) e mezzi di tutela (ricorso, mediazione, sospensione) che, se ben utilizzati, possono efficacemente ridurre l’impatto di un accertamento ingiusto o eccessivo.
Dal percorso svolto possiamo trarre alcuni takeaway:
- Prevenire è meglio che curare – se sei un gamer che sta iniziando a guadagnare, mettersi in regola subito eviterà traumi futuri. Questa guida ha toccato molti aspetti difensivi, ma implicitamente evidenzia anche quali erano gli errori da non commettere (omessa dichiarazione, mancanza di P.IVA, etc.).
- Tempestività e azione – dopo la notifica di un avviso, il tempo è limitato: 60 giorni sembrano tanti ma volano tra raccolta documenti, consulenze e decisioni. Muoviti subito, non attendere l’ultimo momento.
- Documentazione come arma – la miglior difesa spesso è nei fatti concreti: presentare estratti conto, contratti, screenshot, qualsiasi cosa che supporti la tua versione. Molte cause si vincono sulla credibilità e coerenza delle prove portate.
- Flessibilità e pragmatismo – non fossilizzarsi su “non voglio pagare nulla per principio” se hai qualche torto. Spesso chiudere con un accordo è la scelta più conveniente (meno stress, meno costi, sanzioni ridotte). Al contrario, se sei certo di aver ragione e i numeri sono grossi, non aver paura di andare fino in fondo in giudizio.
- Consulenza esperta – l’assistenza di un avvocato tributarista può fare la differenza tra un successo e un insuccesso nella difesa. Valuta la tua competenza e la complessità del caso con umiltà, e affidati a professionisti quando necessario.
In definitiva, “come difendersi” da un accertamento fiscale in questo settore significa soprattutto far valere le proprie ragioni con metodo e cognizione di causa. La normativa italiana applicabile è complessa ma ormai chiara nei suoi principi: i redditi da attività digitali vanno dichiarati, le criptovalute sono tassabili, le donazioni dei fan non sono regali esentasse, ecc. Il contribuente gamer può comunque far leva su lacune di prova, su valutazioni equitative e su alcune zone grigie rimaste (ad esempio, la linea di demarcazione occasionalità/professionalità, o certe interpretazioni innovative sulle nuove forme di guadagno). Inoltre, le sentenze più aggiornate – dalla CGT Piemonte 2023 alla Cassazione 2025 sulle crypto – delineano un orientamento con cui occorre confrontarsi: spesso citarle aiuta a sostenere o a delimitare le pretese del Fisco (ad esempio, Cass. 2025: “pagamenti in crypto vanno tassati, ok, ma la stessa Cassazione ammette che vanno convertiti a un valore certo” – utile per evitare sopravalutazioni arbitrarie).
Chiudiamo con un messaggio al lettore che magari è un giovane streamer spaventato dall’aver ricevuto la raccomandata dall’Agenzia Entrate: non sei il solo in questa situazione, e le istituzioni stesse stanno imparando ad approcciare questo nuovo mondo. Con la giusta difesa puoi rimediare agli errori, pagare il giusto (forse meno di quanto pensi) e proseguire la tua carriera online più consapevole. Questa guida approfondita mira ad averti fornito gli strumenti per capire e affrontare la battaglia fiscale, ma ogni caso ha le sue peculiarità: non esitare a chiedere aiuto professionale specifico. Dal canto tuo, farai tesoro dell’esperienza e in futuro gestirai il rapporto col Fisco in modo più maturo e trasparente, trasformando un potenziale game over in un semplice ostacolo lungo il percorso, superabile con un power-up di conoscenza e legalità. Buon proseguimento del gioco – nella vita reale e fiscale – e che il “gg” finale sia tuo!
Fonti e Riferimenti Normativi
- Agenzia Entrate – DPR 917/1986 (TUIR), artt. 53, 67, 23: definizioni di reddito di lavoro autonomo, redditi diversi e criteri di tassazione territoriale.
- Agenzia Entrate – DPR 600/1973, art. 32: poteri di indagine finanziaria e presunzioni sui movimenti bancari.
- Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente), artt. 7 e 12: obbligo di motivazione degli atti tributari e garanzie del contribuente verificato (termine 60 giorni per controdedurre).
- D.Lgs. 462/1997 e D.Lgs. 218/1997: disciplina dell’acquiescenza (riduzione sanzioni 1/3) e dell’accertamento con adesione (procedure e benefici).
- D.Lgs. 546/1992, artt. 17-bis, 48: reclamo-mediazione tributaria e conciliazione giudiziale (sanzioni ridotte al 35% o 40%).
- Cassazione Civile – Sez. Trib. – Ordinanza n. 219/2/2023, CGT 2° grado Piemonte: caso “Ronaldo”, qualificazione dei proventi da influencer come redditi di lavoro autonomo abituale (inapplicabilità art. 67, co.1 lett l, TUIR).
- Cassazione Penale – Sent. n. 12548/2003: definizione ampia di “lavoratore dello spettacolo” comprendente qualsiasi manifestazione davanti a un pubblico, potenzialmente rilevante per inquadrare streamer come artisti (richiamata in dottrina).
- Cassazione Civile – Sent. n. 1663/2020 e n. 7442/2024: trattazione di donazioni indirette/informali, esenti da imposta di donazione se non formalizzate, e critica alla circolare 30/2015 delle Entrate.
- Cassazione Civile – Ord. n. 8269/2025: principio sulla tassazione dei pagamenti in criptovaluta, da convertire in euro indipendentemente dall’eventuale mancata conversione effettiva.
- Circolare Agenzia Entrate n. 30/E del 27/12/2022: (richiamata in circ. 19/E 2023) chiarimenti sul trattamento fiscale delle cripto-attività dopo la L.197/2022, obblighi di monitoraggio (Quadro RW) e regime imposta sostitutiva 26%.
- Norme recenti su lavoro sportivo dilettantistico: D.Lgs. 36/2021 e D.L. 120/2023 (riforma sport) – introduzione del limite esenzione €15.000 per compensi sportivi dilettanti (non applicabile a eSport finché non riconosciuti).
- Codice Civile, art. 769 e segg.: definizione di donazione e requisiti di forma (richiamati per distinguere donazioni dirette vs liberalità non formali, in riferimento alle pronunce Cassazione sul regime fiscale delle stesse).
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Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per i tuoi guadagni come gamer o giocatore di eSport?
Ti contestano redditi non dichiarati, premi in denaro o entrate da sponsorizzazioni e streaming?
Negli ultimi anni il fisco ha intensificato i controlli sui proventi derivanti da tornei di eSport, streaming su piattaforme come Twitch e YouTube, sponsorizzazioni e partnership commerciali. Spesso tali redditi vengono considerati imponibili anche se percepiti dall’estero o in criptovalute. Un accertamento può comportare imposte, sanzioni e interessi rilevanti, ma con la giusta strategia legale è possibile ridurre o annullare le somme richieste.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’avviso di accertamento e la documentazione relativa ai guadagni da tornei, streaming e sponsorizzazioni
📌 Verifica la corretta qualificazione fiscale dei redditi, distinguendo tra attività professionale, occasionale o premi esenti
✍️ Predispone ricorsi e memorie difensive per contestare le somme non dovute
⚖️ Ti assiste nelle trattative con l’Agenzia delle Entrate per definizioni agevolate o rateizzazioni
🔁 Valuta soluzioni di regolarizzazione o piani di ristrutturazione del debito in caso di importi elevati
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità digitale e contenzioso tributario
✔️ Specializzato nella difesa di gamer, streamer e professionisti del settore eSport
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un avviso di accertamento fiscale a un gamer o a un giocatore di eSport non significa la fine della carriera.
Con una strategia legale mirata puoi difenderti dalle contestazioni, ridurre il debito e continuare a giocare e lavorare senza blocchi fiscali.
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