Lettera Compliance Per Ritardo Registrazione Corrispettivi: Come Difendersi

Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per ritardi nella registrazione dei corrispettivi?
Il Fisco, tramite controlli telematici, può individuare discrepanze tra i dati trasmessi dai registratori telematici o dai sistemi di cassa e i tempi effettivi di registrazione. Se rileva ritardi o anomalie, invia una comunicazione preventiva invitando il contribuente a fornire spiegazioni o a regolarizzare la posizione.

Quando può arrivare una lettera di compliance per ritardo nella registrazione dei corrispettivi
– Quando la trasmissione giornaliera dei dati tramite registratore telematico avviene oltre i termini previsti
– Quando i corrispettivi di alcune giornate risultano registrati o inviati cumulativamente e non giorno per giorno
– Quando ci sono differenze tra gli incassi effettivi e quelli registrati nei sistemi fiscali
– Quando il ritardo è ripetuto o riguarda più periodi di imposta
– Quando segnalazioni o controlli incrociati mostrano anomalie nella trasmissione telematica

Cosa può accadere dopo la lettera di compliance
– Se non si risponde o non si giustifica il ritardo, l’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento formale
– Applicazione di sanzioni per omessa o tardiva memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi
– Contestazione di possibili ricavi non dichiarati
– Maggiori controlli negli anni successivi
– Nei casi più gravi, segnalazione per presunte irregolarità fiscali

Come difendersi da una lettera di compliance per ritardo registrazione corrispettivi
– Far analizzare la comunicazione da un avvocato tributarista o un commercialista esperto in fiscalità d’impresa
– Verificare l’effettiva data di trasmissione dei corrispettivi e confrontarla con i termini previsti dalla normativa
– Dimostrare, con documentazione tecnica o gestionale, che il ritardo è stato causato da malfunzionamenti, guasti o problemi di connessione
– Presentare memorie difensive e giustificazioni nei termini indicati nella comunicazione
– Se necessario, regolarizzare la posizione con ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni
– Coordinare la risposta con l’analisi di eventuali altri rilievi fiscali per evitare nuovi accertamenti

Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale e fiscale
– L’archiviazione della segnalazione se si dimostra la correttezza delle registrazioni
– La riduzione o l’annullamento delle sanzioni grazie a giustificazioni documentate o ravvedimento
– La prevenzione di un accertamento vero e proprio
– La tutela del patrimonio e dell’attività da possibili contestazioni future
– Il mantenimento di una posizione fiscale regolare

Attenzione: anche un semplice ritardo nella trasmissione dei corrispettivi può attirare l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate. Rispondere tempestivamente alla lettera di compliance, fornendo prove e spiegazioni adeguate, è fondamentale per evitare sanzioni e controlli più approfonditi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, difesa del contribuente e tutela delle attività commerciali – ti spiega cosa fare se ricevi una lettera di compliance per ritardo registrazione corrispettivi, come proteggerti e come evitare conseguenze fiscali più gravi.

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Introduzione

Ricevere una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per ritardata registrazione dei corrispettivi può generare preoccupazione in imprenditori, professionisti e privati. Si tratta di comunicazioni “amichevoli” con cui il Fisco segnala al contribuente possibili anomalie – in questo caso, l’invio tardivo o l’omessa registrazione dei corrispettivi giornalieri – invitandolo a regolarizzare spontaneamente la propria posizione. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un’analisi normativa approfondita e le strategie difensive a disposizione del contribuente (in qualità di debitore verso l’Erario) per far valere le proprie ragioni.

Approfondiremo in chiave giuridico-divulgativa i seguenti aspetti:

  • Che cos’è e perché arriva una lettera di compliance per ritardo nella registrazione dei corrispettivi;
  • Il quadro normativo sugli obblighi di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi in Italia;
  • La distinzione tra violazioni formali e sostanziali, cruciale per capire la gravità della contestazione e le possibili sanzioni;
  • Le sanzioni previste, con gli importi aggiornati alla riforma entrata in vigore dal 1° settembre 2024, e un confronto con il regime precedente;
  • I rimedi difensivi: dal ravvedimento operoso (che consente di sanare volontariamente la violazione beneficiando di sanzioni ridotte), all’autotutela in sede amministrativa, fino all’eventuale ricorso in Commissione/Corte di Giustizia Tributaria per opporsi formalmente alle sanzioni ritenute ingiuste;
  • FAQ (Domande e risposte) frequenti, con chiarimenti pratici e casi di simulazione che aiutano a comprendere come applicare le norme a situazioni reali;
  • Tabelle riepilogative che schematizzano le differenze tra violazioni formali e sostanziali, le sanzioni applicabili (prima e dopo la riforma 2024) e le riduzioni ottenibili con il ravvedimento operoso.

Nota bene: Questa trattazione adotta il punto di vista del debitore, ovvero del contribuente che ha commesso (o si presume abbia commesso) l’irregolarità, fornendo gli strumenti per difendersi o rimediare nel modo meno oneroso possibile. Saranno citate norme di legge, circolari ufficiali e le più recenti sentenze delle Corti per avvalorare ogni affermazione. Le fonti complete sono elencate in fondo alla guida, nella sezione Fonti, per consentire ulteriori approfondimenti.

Iniziamo comprendendo cosa sia esattamente una lettera di compliance per corrispettivi tardivi e qual è il contesto normativo in cui si inserisce.

Cos’è la “lettera di compliance” per ritardo nella registrazione dei corrispettivi

La lettera di compliance è una comunicazione preventiva inviata dall’Agenzia delle Entrate (di propria iniziativa, spesso in massa) ai contribuenti per segnalare possibili irregolarità o “anomalie” nei dati fiscali, prima di avviare formali procedimenti sanzionatori o accertativi. Nel caso specifico di ritardo nella registrazione dei corrispettivi, la lettera segnala che alcuni corrispettivi giornalieri (ossia i dati dei ricavi derivanti da vendite al dettaglio o operazioni assimilate) risultano essere stati trasmessi oltre i termini previsti dalla normativa. In altri termini, il Fisco ha rilevato che uno o più scontrini elettronici o chiusure giornaliere dei corrispettivi sono stati inviati in ritardo rispetto alla scadenza ordinaria.

Queste comunicazioni rientrano nell’ambito delle politiche di “compliance fiscale” che mirano a favorire il ravvedimento spontaneo da parte del contribuente, evitando sanzioni più gravose e contenziosi. In genere, la lettera contiene:

  • L’elenco dei giorni/operazioni in cui i corrispettivi risultano trasmessi in ritardo o non trasmessi affatto, con indicazione delle date e degli importi coinvolti (informazioni elaborate incrociando i dati del sistema di fatture e corrispettivi dell’Agenzia).
  • Un invito a verificare tali anomalie e, se confermate, a regolarizzare la posizione entro un certo termine (spesso indicando come fare ravvedimento operoso o beneficiare di eventuali sanatorie in corso).
  • Le istruzioni per comunicare all’Agenzia eventuali elementi o spiegazioni che il contribuente ritenga utili a giustificare il ritardo. Ad esempio, se il contribuente riscontra che il presunto ritardo è dovuto a un errore materiale o tecnico, può segnalarlo fornendo le dovute evidenze. Spesso viene indicato un canale (PEC dell’ufficio, area riservata, call center) attraverso cui inviare chiarimenti.

È importante sottolineare che la lettera di compliance non è una sanzione, né un atto impositivo formale: non contiene la richiesta di pagare una multa, ma rappresenta una sorta di “alert” o segnalazione bonaria. Infatti, l’Agenzia delle Entrate la utilizza per favorire l’adempimento spontaneo e evitare sia al Fisco che al contribuente la procedura, ben più onerosa, di un accertamento con successiva irrogazione di sanzioni. La filosofia è: “ti informiamo che abbiamo rilevato questo problema, se effettivamente hai commesso un’irregolarità ti diamo la chance di sanarla subito con costi ridotti”.

Dalla prospettiva del contribuente (debitore), la lettera va vista quindi come un’opportunità per mitigare le conseguenze della violazione. Ignorare la comunicazione non costituisce di per sé un illecito, ma è sconsigliabile: in assenza di regolarizzazione, infatti, l’Amministrazione procederà successivamente a contestare formalmente la violazione, emettendo un atto di irrogazione di sanzioni (o un avviso di accertamento se vi è imposta non versata) che comporterà importi sanzionatori più elevati e la necessità di un eventuale ricorso.

Nel paragrafo seguente chiariremo quali sono gli obblighi di legge relativi alla documentazione dei corrispettivi e qual è il termine entro cui vanno registrati/trasmessi, così da capire quando un invio è considerato “tardivo”.

Obblighi di memorizzazione e registrazione dei corrispettivi: quadro normativo

In Italia, i corrispettivi sono i ricavi giornalieri derivanti da operazioni come vendite al minuto e prestazioni di servizi verso consumatori finali, per le quali non è obbligatoria l’emissione di fattura (se non richiesta dal cliente). La disciplina della loro documentazione e registrazione è stata interessata da una importante evoluzione tecnologica negli ultimi anni:

  • Fino al 2019: l’esercente doveva emettere uno scontrino fiscale cartaceo (o una ricevuta fiscale) per ogni operazione e successivamente annotare il totale giornaliero nel registro dei corrispettivi (registro IVA vendite semplificato) entro il giorno non festivo successivo. Il riferimento normativo è l’art. 24 del DPR 633/1972 (disciplina IVA), che prescrive l’annotazione delle operazioni quotidiane sul registro corrispettivi, salva l’emissione di fattura. La mancata o tardiva annotazione costituiva già violazione, sebbene in assenza di sottrazione d’imposta fosse spesso considerata irregolarità formale come vedremo.
  • Dal 1° gennaio 2020: è scattato l’obbligo generalizzato di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri (introdotto dal D.Lgs. 127/2015, art. 2, come modificato). In pratica gli esercenti al minuto devono dotarsi di un Registratore Telematico (RT) o di strumenti online per memorizzare ogni operazione e inviare i dati dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate. Il termine per la trasmissione a regime è fissato in 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione, come previsto dall’art. 2, comma 6-ter, D.Lgs. 127/2015 e in coerenza con l’art. 6 DPR 633/1972 (che definisce il momento di effettuazione delle operazioni IVA). Ciò significa, ad esempio, che uno scontrino emesso il 1° luglio deve essere trasmesso entro il 13 luglio.
    (Nota: in fase di introduzione dell’obbligo ci fu un periodo transitorio nel 2019 in cui era concessa la trasmissione mensile, poi abrogato dalla Legge 178/2020).
  • Documentazione dell’operazione: contestualmente alla memorizzazione, va rilasciato al cliente un documento commerciale (scontrino elettronico) o fattura su richiesta, come prova dell’operazione. La memorizzazione e consegna del documento devono avvenire non oltre il momento di ultimazione dell’operazione (cioè all’atto della vendita/pagamento). Dunque, dal punto di vista pratico, l’esercente batte lo scontrino sul RT al momento della vendita (memorizzazione) e da quel momento ha fino a 12 giorni per inviare telematicamente il dato all’Agenzia.

In sintesi, oggi l’obbligo a carico del contribuente si articola in due momenti:

  1. Memorizzazione elettronica del corrispettivo (registrazione dell’operazione nel registratore telematico, che contestualmente emette il documento per il cliente);
  2. Trasmissione telematica del dato fiscale (tipicamente, l’RT invia un file con i totali della giornata all’Agenzia).

Spesso la trasmissione avviene automaticamente a fine giornata con la “chiusura Z”, ma possono capitare ritardi dovuti a problemi tecnici, dimenticanze o errori.

È importante capire che, ai fini IVA, l’operazione si considera comunque effettuata (e l’IVA diventa esigibile) nel momento in cui avviene la cessione del bene o prestazione del servizio (pagamento o consegna, in genere lo stesso giorno per le vendite al minuto). Pertanto, ai fini della liquidazione periodica dell’IVA, i corrispettivi di un dato giorno vanno inclusi nella liquidazione del periodo di competenza (mese o trimestre) indipendentemente da quando sono trasmessi. In altre parole, se un incasso del 1° luglio deve confluire nell’IVA di luglio; un ritardo nella trasmissione non sposta il periodo di esigibilità dell’imposta – l’obbligo di versamento resta riferito a luglio. Questo dettaglio sarà cruciale nel distinguere una violazione formale (ritardo nella comunicazione ma imposta versata comunque nel periodo giusto) da una violazione sostanziale (ritardo tale da comportare un versamento tardivo dell’imposta).

Ritardo nella registrazione o trasmissione: si ha quando il contribuente trasmette i corrispettivi oltre il termine dei 12 giorni. Ad esempio, se uno scontrino del 1° luglio viene inviato il 20 luglio, c’è un ritardo rispetto ai 12 giorni consentiti. Analogamente, se un contribuente dimentica di effettuare la chiusura giornaliera e invia i dati di più giorni cumulati successivamente, avrà trasmesso tardivamente quelli dei giorni precedenti. Nei casi peggiori, se la trasmissione non avviene affatto (omissione) e l’operazione nemmeno risulta memorizzata, siamo di fronte a una mancata documentazione dell’operazione. Le sanzioni variano a seconda di queste situazioni, come vedremo.

Da notare che continua a esistere il concetto di registrazione dei corrispettivi nel registro IVA vendite: benché con l’avvento dello scontrino elettronico l’obbligo sia in parte sostituito dalla memorizzazione telematica, ai fini contabili molti contribuenti riportano ancora i totali nel registro (anche per avere un libro su cui fare affidamento in caso di malfunzionamenti). In ogni caso, l’art. 24 DPR 633/72 richiede l’annotazione entro il giorno non festivo successivo. Pertanto, la ritardata registrazione può riferirsi sia al ritardo nell’annotazione sul registro cartaceo (obbligo formale contabile) sia al ritardo nella memorizzazione/trasmissione telematica. Oggi questi due aspetti tendono a coincidere: se hai trasmesso in ritardo, con ogni probabilità non avevi neanche annotato nei tempi (o l’hai fatto dopo). Per semplicità ci riferiremo a entrambe le cose come ritardo nei corrispettivi.

Riassumendo:

  • Termine ordinario: entro 12 giorni dall’operazione, trasmissione telematica dei corrispettivi.
  • Violazione di tardività: trasmissione avvenuta oltre i 12 giorni (o omessa del tutto).
  • Se l’operazione è comunque documentata (scontrino rilasciato) e conteggiata nell’IVA del periodo, il ritardo è solo formale (non ha impatto sul tributo dovuto). Se invece il ritardo comporta che l’IVA di quell’operazione venga versata in ritardo (ad es. perché il contribuente la include in una liquidazione successiva o la omette proprio finché non viene scoperta), allora la violazione diventa sostanziale, implicando un danno all’Erario.

Il prossimo paragrafo approfondisce proprio questa distinzione cruciale tra violazione formale e violazione sostanziale, anche alla luce di recenti chiarimenti normativi e giurisprudenziali.

Violazione formale vs sostanziale nel ritardo di registrazione dei corrispettivi

Non tutti i ritardi sono uguali: nell’ambito fiscale italiano vige il principio di offensività, secondo cui si distingue tra violazioni meramente formali – che non danneggiano in concreto l’Erario – e violazioni sostanziali, che incidono sulla base imponibile, sull’imposta dovuta o sul suo pagamento. Questa distinzione è codificata nello Statuto del Contribuente (Legge 212/2000, art. 10, comma 3) e nella prassi dell’Amministrazione Finanziaria e dei giudici.

Nel caso della tardiva registrazione o trasmissione dei corrispettivi:

  • Si ha una violazione formale quando il ritardo non ha inciso sulla corretta liquidazione dell’IVA dovuta. In termini pratici, ciò avviene se i corrispettivi, pur trasmessi in ritardo, sono stati comunque conteggiati e versati nel periodo d’imposta corretto. Ad esempio, un contribuente trasmette in ritardo gli scontrini di marzo, ma nella liquidazione IVA del primo trimestre o di marzo ha incluso tutti i corrispettivi di quei giorni (magari basandosi sui dati di memoria del registratore di cassa). Oppure, caso tipico: fattura elettronica emessa in ritardo ma comunque inclusa nella liquidazione del mese giusto – qui l’Agenzia stessa ha chiarito che si tratta di mera irregolarità formale sanabile. Analogamente, l’omesso invio dei corrispettivi elettronici già memorizzati e registrati in contabilità, con IVA versata regolarmente, è una violazione formale secondo la Circolare AE n.6/E del 20 marzo 2023. In questi casi non c’è danno erariale, l’eventuale violazione riguarda solo aspetti amministrativi (tempistica, modalità) e l’azione del Fisco è stata solo potenzialmente ostacolata.
  • Si ha invece violazione sostanziale quando il ritardo nella registrazione/trasmissione ha comportato un omesso o tardivo versamento del tributo o comunque alterazioni della base imponibile dichiarata. Ad esempio, se un corrispettivo di luglio non viene né memorizzato né trasmesso e di conseguenza la relativa IVA non viene versata a luglio (perché il contribuente se ne “dimentica” finché magari mesi dopo non lo regolarizza), allora il ritardo ha prodotto un mancato incasso di imposta nei termini previsti: questo è un effetto sostanziale. Altre situazioni sostanziali: invio infedele di dati (es. trasmettere un importo inferiore al reale) comportando minore IVA versata; oppure un ritardo così prolungato che l’IVA di quell’operazione slitta a una liquidazione successiva (violando il principio di competenza IVA).

In sintesi:

  • Violazione formale = hai fatto tardi con la burocrazia, ma l’imposta l’hai pagata correttamente. Nessun danno al Fisco, solo potenziale ostacolo ai controlli.
  • Violazione sostanziale = il ritardo/omissione ha comportato imposta non pagata o pagata in ritardo, quindi c’è un danno finanziario o una base imponibile non dichiarata nel periodo giusto.

Questa distinzione non è teorica ma ha effetti pratici enormi sulle sanzioni applicabili (le vedremo tra poco) e sulla possibilità di beneficiare di sanatorie. Ad esempio, durante la “tregua fiscale 2023” (Legge 197/2022, commi 166-173) si potevano sanare con 200 euro per anno solo le violazioni formali – e l’Agenzia definì tali proprio i tardivi invii di fatture e corrispettivi senza impatto sull’IVA dovuta. Viceversa, le violazioni con imposta non versata rientravano in altri strumenti (ravvedimento speciale commi 174-178).

La Circolare 6/E del 2023 ha esplicitato che: “l’invio delle fatture elettroniche allo SdI oltre i termini ordinari, a patto che le stesse siano incluse nella liquidazione IVA di competenza con versamento dell’imposta, è una irregolarità formale e come tale sanabile”; parimenti “può essere sanato l’omesso invio dei corrispettivi elettronici regolarmente memorizzati e inseriti in contabilità con liquidazione dell’imposta dovuta”. Questo chiarimento ufficiale conferma la linea interpretativa: ciò che conta è se l’IVA è stata assolta o meno.

Anche la giurisprudenza tributaria, a partire dalla Corte di Cassazione, ha più volte ribadito il concetto. Una sentenza fondamentale è la Cassazione n. 27678/2013: in quel caso una società aveva registrato i corrispettivi oltre i termini (addirittura entro la data di presentazione della dichiarazione annuale IVA) e l’Agenzia aveva contestato la violazione. La Cassazione diede ragione alla società, affermando che non è punibile l’imprenditore che annota in ritardo i corrispettivi se non c’è danno all’Erario, e che il carattere meramente formale va valutato in concreto. In particolare, richiamando l’art. 10 dello Statuto, la Corte disse che l’Amministrazione deve dimostrare un pregiudizio ai controlli o al gettito, non potendosi punire un mero ritardo burocratico privo di conseguenze sostanziali. Il solo ritardo nell’annotazione, di per sé, non ostacola i controlli se, ad esempio, esistono altri documenti (scontrini, Z giornalieri) che consentono comunque la verifica, né genera evasione se l’IVA è stata comunque dichiarata e versata. In assenza di ulteriori elementi (come doppie contabilità, documenti occultati, ecc.), la sanzione non va irrogata.

Più di recente, la Cassazione n. 16450/2021 ha consolidato questo orientamento: “il ritardo nella fatturazione […] integra una violazione formale e non sostanziale” se non ha arrecato alcun pregiudizio al fisco, pur essendo una condotta astrattamente lesiva per i controlli. La Suprema Corte ha chiarito che per distinguere formale vs sostanziale occorre verificare in concreto se la condotta ha inciso su base imponibile, imposta o versamenti dovuti; in assenza di tale pregiudizio, la violazione resta formale (lesiva solo per l’esercizio dei controlli). Nel caso specifico, era pacifico che la tardiva fatturazione non avesse alterato l’imponibile dichiarato dalla società. La Cassazione aggiunge un dettaglio importante: in presenza di plurime violazioni formali dello stesso tipo (es. tanti ritardi), non si sommano infinite sanzioni ma si applica il cumulo giuridico ex art. 12 D.Lgs. 472/1997. Ciò significa una sanzione unica, seppur aumentata, per l’insieme delle infrazioni (argomento ripreso più avanti).

In conclusione, dal punto di vista difensivo il contribuente dovrà sempre cercare di dimostrare (o far rilevare) che il proprio ritardo rientra in una violazione meramente formale, ove possibile. Se ad esempio riceve una lettera di compliance ma sa di aver versato regolarmente l’IVA, potrà evidenziarlo all’ufficio: questo può indirizzare verso la sanzione fissa ridotta di molto (o addirittura, in casi estremi, all’archiviazione in autotutela se risulta proprio irrilevante ai fini fiscali). Viceversa, se c’è stato mancato versamento, conviene attivarsi subito per versare il dovuto con ravvedimento onde evitare guai maggiori (tipo sanzione del 30% per omesso versamento IVA, oltre a quelle per i corrispettivi).

Passiamo ora a dettagliare quali sanzioni sono previste per la ritardata registrazione/memorizzazione dei corrispettivi, distinguendo chiaramente i due scenari (formale vs sostanziale) e tenendo conto delle novità normative in vigore dal 2024.

Sanzioni per ritardata registrazione dei corrispettivi

Le sanzioni amministrative applicabili dipendono, come anticipato, dalla natura della violazione (formale o sostanziale). Inoltre, a seguito della riforma del sistema sanzionatorio tributario attuata con i decreti legislativi 2023-2024 (in particolare il D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87, emanato in attuazione della delega fiscale 2023), vi sono importanti differenze tra le sanzioni per violazioni commesse prima del 1° settembre 2024 e quelle commesse da tale data in poi. Questo perché il legislatore, nel riformare le sanzioni IVA, ha scelto di non applicare il principio del favor rei retroattivamente alle nuove misure più favorevoli, creando un “doppio binario” normativo. Ciò significa che per un ritardo avvenuto, ad esempio, nel 2023 si applicheranno le vecchie sanzioni (più pesanti), anche se contestato nel 2025, mentre un identico ritardo avvenuto dopo settembre 2024 godrà delle sanzioni ridotte. È una particolarità su cui torneremo, ma intanto esponiamo il quadro completo.

Di seguito analizziamo separatamente:

  • le sanzioni per violazioni sostanziali (ritardi che hanno comportato mancato/tardivo versamento IVA, quindi omessa memorizzazione/trasmissione di operazioni imponibili non dichiarate nei termini);
  • le sanzioni per violazioni formali (ritardi senza impatto sul tributo, quindi dati trasmessi tardi ma IVA già versata regolarmente).

Inoltre, includeremo un prospetto riassuntivo in tabella, utile per consultazione rapida.

Sanzioni per violazione sostanziale (ritardo con imposta non versata)

Se la tardiva registrazione dei corrispettivi è tale da configurare un’omessa o infedele documentazione di operazioni imponibili, con relativa imposta non versata nei termini, la sanzione rientra nell’alveo dell’art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997. Questa norma punisce la violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione IVA delle operazioni imponibili in modo proporzionale all’imposta non documentata/registrata. In pratica, prima della riforma, prevedeva una sanzione dal 90% al 180% dell’IVA relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato, con un minimo di €500 per ciascuna operazione. Nel caso dei corrispettivi, dopo la Finanziaria 2021, questa disciplina è stata estesa esplicitamente anche all’omessa o tardiva memorizzazione/trasmissione telematica dei corrispettivi (art. 6, comma 2-bis, D.Lgs. 471/97 introdotto dalla L. 178/2020).

Dunque, fino al 31 agosto 2024, in presenza di ritardi sostanziali, si applicava:

  • Sanzione del 90% dell’IVA relativa all’importo non registrato o non trasmesso, per ciascuna operazione, minimo €500. Ad esempio, se un corrispettivo di €1.000 + IVA22% non veniva memorizzato né trasmesso (quindi IVA non versata), la sanzione base era il 90% di €220 = €198; tuttavia essendo inferiore al minimo, veniva elevata a €500. In caso di importi maggiori, il 90% serviva da calcolo. La sanzione poteva arrivare fino al 180% nei casi più gravi o in caso di atti contestati cumulativamente (i €500 sono il minimo per singola operazione, il massimo può crescere in base alle circostanze aggravanti o continuazione, ma tipicamente l’ufficio contestava il 90% per ciascun importo non registrato).

Dal 1° settembre 2024, grazie alla riforma (D.Lgs. 87/2024 che ha modificato l’art. 6, c.1 e 2-bis D.Lgs. 471/97), le sanzioni proporzionali per queste violazioni sono state ridotte:

  • Sanzione del 70% dell’imposta corrispondente all’importo non memorizzato o non trasmesso, con un minimo di €300 per operazione, e un massimo edittale ridotto (indicativamente dal 70% al 140%). Il minimo edittale è stato esplicitamente abbassato da 500 a 300 euro. Quindi, riprendendo l’esempio sopra: €1.000+IVA non documentati -> 70% di €220 = €154; essendo inferiore a €300, la sanzione sarà comunque €300 (nuovo minimo). Se invece l’IVA evasa fosse, ad esempio, €1.000, la sanzione sarebbe 70% = €700. In caso di violazioni ripetute, resta applicabile l’art. 12 D.Lgs. 472/97 (cumulo giuridico), quindi l’ufficio irrogherà la sanzione per la violazione più grave aumentata entro un certo limite, anziché sommare aritmeticamente troppe sanzioni proporzionali. Ma su questo torneremo.

Nota: la riduzione al 70% vale per le violazioni commesse dal 1/9/2024 in poi. Come detto, il legislatore ha escluso la retroattività: quindi se il contribuente nel 2025 riceve un atto per corrispettivi non registrati nel 2022, formalmente si applicherà ancora il 90% (salvo magari esiti di contenzioso favorevoli, ma dal punto di vista amministrativo la norma nuova non si applica retroattivamente). Ciò è stato confermato espressamente: “le nuove disposizioni si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024”.

Da segnalare che rimane in vigore, anche dopo la riforma, la sanzione accessoria prevista dall’art. 12, comma 2, D.Lgs. 471/97: se un esercente reiteratamente non emette scontrini/ricevute (e per analogia non memorizza/trasmette corrispettivi) per quattro volte in un quinquennio, può scattare la sospensione della licenza o dell’attività da 3 giorni a 1 mese (elevabile in caso di importi evasi ingenti). Questo aspetto punitivo è rivolto ai casi di recidiva grave, ed è distinto dalle sanzioni pecuniarie; tuttavia, va chiarito che riguarda la mancata emissione del documento al cliente (comportamento molto più grave, equiparabile a vendite in nero). Nel contesto di una “semplice” trasmissione tardiva di dati già emessi come scontrini, tale misura non dovrebbe attivarsi (perché l’operazione è stata documentata al cliente, quindi non è omissione di scontrino). È più pertinente ai casi di totale omissione di corrispettivi. Lo citiamo per completezza, ma la lettera di compliance tipicamente non concerne scontrini non emessi (quelli emergono da controlli diversi, non da incroci telematici).

Riassumendo le sanzioni proporzionali (sostanziali):

  • Fino al 31/08/2024: 90% dell’IVA non documentata/registrata, min €500, per ogni operazione non registrata. (Ad es., omesso invio di corrispettivo con €100 di IVA -> sanzione €500).
  • Dal 01/09/2024: 70% dell’IVA non documentata, min €300, per ogni operazione. (Ad es., omesso invio di corrispettivo con €100 di IVA -> sanzione €300).
  • In entrambi i casi, l’assenza di pregiudizio finanziario per l’Erario rende la violazione formale: se dimostrato che non c’è evasione d’imposta, si ricade nello scenario seguente (sanzioni fisse).
  • Le sanzioni proporzionali non si applicano affatto se l’IVA è stata comunque assolta regolarmente (art. 6, comma 2-bis in combinato con art. 11, comma 2-quinquies, D.Lgs. 471/97 prevede espressamente che in tal caso si applichino le sanzioni fisse al posto di quelle proporzionali).

Vediamo ora queste sanzioni fisse previste per i casi “solo formali”.

Sanzioni per violazione formale (ritardo senza impatto sull’IVA)

Quando il ritardo nella registrazione/memorizzazione dei corrispettivi non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo – in altri termini, quando siamo di fronte a un inadempimento meramente formale – la legge prevede sanzioni forfettarie (fisse) molto più contenute, oppure addirittura nessuna sanzione in ipotesi di assoluta innocuità (come principio generale di non punibilità delle violazioni formali).

Nel contesto specifico dei corrispettivi telematici, già la Finanziaria 2021 (L. 178/2020), riscrivendo il regime sanzionatorio, ha introdotto una norma ad hoc: l’art. 11, comma 2-quinquies, D.Lgs. 471/1997. Essa stabilisce che “se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”, quindi in caso di omessa/tardiva trasmissione dei corrispettivi ma con IVA versata regolarmente, si applica una sanzione in misura fissa pari a €100 per ciascuna trasmissione. Questa disposizione ha efficacia dal 2021 ed era appunto destinata a evitare che un mero ritardo tecnico, privo di evasione, venisse punito col 90% su ogni importo (il che avrebbe creato sanzioni enormi sproporzionate).

Quindi, dal 1° gennaio 2021 al 31 agosto 2024, per i ritardi formali era prevista:

  • Sanzione fissa di €100 per ogni trasmissione omessa o tardiva (o con dati errati/incompleti) a condizione che l’IVA sia stata correttamente liquidata. Inoltre, questa sanzione era da intendersi per ciascun file di trasmissione non inviato o inviato fuori termine, non per ogni singola operazione contenuta. In pratica, la periodicità “naturale” della trasmissione dei corrispettivi è giornaliera: ogni giorno in cui non si trasmettono i dati (pur avendoli memorizzati) costituisce una violazione. Se un contribuente ha dimenticato di inviare i corrispettivi di 5 giorni (ma poi li invia in blocco, o comunque li registra nel periodo giusto), ha 5 violazioni formali da €100, quindi €500. Non rileva l’ammontare dei corrispettivi di quei giorni (sia 100€ o 10.000€, sempre 100€ di sanzione ciascuno). Non vi era un tetto massimo su base temporale, per cui in caso di periodi lunghi potevano sommarsi molte sanzioni da €100, sebbene in sede di contestazione spesso l’ufficio applicasse il cumulo giuridico riducendo il totale (ad es. 10 violazioni = sanzione unica di circa €250 aumentata, etc., secondo l’art. 12 D.Lgs. 472/97). Alcuni uffici tuttavia irrogavano €100 per ogni giorno violato; in mancanza di un tetto, ciò poteva portare a importi elevati (es. 90 giorni x €100 = €9.000) teoricamente.
  • Caso particolare – fatture tardive: se parliamo non di corrispettivi al minuto ma di fatture emesse in ritardo ma registrate nell’IVA corretta, la sanzione applicabile era leggermente diversa: l’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 471/97 prevede sì la sanzione proporzionale 90-180%, ma in caso di violazione senza impatto sul tributo consente l’irrogazione di una sanzione fissa da €250 a €2.000. In pratica, l’ufficio in tali casi contestava tipicamente il minimo €250 per ogni fattura tardiva (se l’IVA era stata versata comunque). Questo è analogo ai €100 per i corrispettivi, ma con importi un po’ superiori, riflettendo forse una maggiore gravità percepita nella fattura tardiva verso operatori IVA. Ad ogni modo, la Cassazione nel 2021 ha affermato che anche la fatturazione tardiva “senza danno” è violazione formale e dunque soggetta a cumulo giuridico e non a sanzioni cumulative pesanti. Teniamo presente questa soglia €250-€2.000 perché, sebbene la lettera di compliance riguardi i corrispettivi, talvolta nelle stesse campagne sono segnalati anche ritardi di fatture elettroniche (ad esempio in lettere miste). E difatti alcune sanatorie formali (come quella del 2023) indicavano €250 come edittale per fatture tardive e €100 per corrispettivi tardivi.

Tornando ai corrispettivi: con la riforma del 2024, il regime dei €100 è stato in gran parte confermato con l’aggiunta di un limite massimo trimestrale per evitare eccessi sanzionatori. In dettaglio, il D.Lgs. 87/2024 ha introdotto che in caso di omessa o tardiva trasmissione di corrispettivi già memorizzati regolarmente (quindi scenario formale), si applica sempre la sanzione di €100 ciascuna trasmissione, “entro il limite massimo di €1.000 per ciascun trimestre”. Ciò significa che, a prescindere da quanti giorni violati vi siano in un trimestre solare, la somma delle sanzioni fisse non potrà superare €1.000 per quel trimestre. Ad esempio, se un contribuente nel primo trimestre 2025 dimentica di inviare i dati di 15 giornate (15 violazioni), la sanzione teorica sarebbe 15×100 = €1.500, ma grazie al tetto verrà ridotta a €1.000 per quel trimestre. Questo tetto è una novità che risponde a evidenti criteri di proporzionalità (evitare che un contribuente distratto per qualche mese si trovi con decine di migliaia di euro di multe).

Importante: il limite si riferisce alle violazioni che non influenzano la liquidazione IVA, quindi proprio a quelle da €100. Non si applica ovviamente se c’è evasione d’imposta (in tal caso sei nello scenario 70% per operazione, senza tetti trimestrali, anche se comunque il cumulo giuridico porrebbe un limite implicito).

Ricordiamo inoltre che per i casi di forza maggiore tecnica ci sono esimenti: ad esempio, se il registratore telematico ha un guasto, il contribuente è tenuto a registrare le operazioni su un registro di emergenza cartaceo e trasmetterle appena il sistema è ripristinato. In tali casi, se l’operatore rispetta le regole (intervento tecnico entro 12 giorni, comunicazione al fisco del guasto se prevista, etc.), non vi è sanzione per la tardiva trasmissione dovuta al guasto. Se invece non fa revisionare l’RT nei termini (manca la verificazione periodica annuale, la cosiddetta “VP” scaduta), c’è una sanzione a parte, tuttora €250-€2.000, ma è un diverso tipo di violazione (inerente l’omessa manutenzione dell’apparecchio). Tale sanzione è stata isolata nella norma come autonoma, confermata negli importi, e si applica indipendentemente dal fatto che i corrispettivi siano stati o meno poi inviati. In questa sede, però, diamo per scontato che la lettera di compliance riguardi corrispettivi che, guasti a parte, sono stati trasmessi in ritardo: il contribuente dovrebbe aver eventualmente già registrato sul registro di emergenza quei corrispettivi, quindi l’IVA sarebbe salva (scenario formale). Se invece non ha fatto neanche quello, si ricade nel caso sostanziale di mancata memorizzazione.

Riassumiamo quindi le sanzioni fisse (formali) per i corrispettivi tardivi:

  • Violazioni commesse fino al 31/08/2024: €100 per ogni trasmissione omessa o ritardata (senza tetto). Esempio: 8 giorni non inviati = €800 di sanzione.
  • Violazioni dal 01/09/2024: €100 per ogni trasmissione, con tetto di €1.000 per trimestre. Esempio: 15 giorni non inviati in un trimestre = €1.000 (non €1.500).
  • In entrambi i periodi: la condizione è che l’IVA sia liquidata regolarmente, altrimenti si ricade nelle proporzionali. Se la tardività riguarda anche la memorizzazione (cioè, non hai proprio battuto alcuni scontrini), purché tu abbia comunque contabilizzato le vendite e pagato l’IVA, dovrebbe ugualmente applicarsi l’€100 fisso (la norma parla di dati “regolarmente memorizzati” per dare diritto ai €100, ma se anche la memorizzazione fosse tardiva ma senza impatto su IVA, probabilmente si interpreta in senso estensivo; in caso di dubbio, l’ufficio potrebbe sostenere che se non hai memorizzato regolarmente non spetta il trattamento di favore. Tuttavia, la ratio è il danno erariale: se non c’è danno, sanzione fissa).
  • Mancata emissione dello scontrino al cliente (caso diverso dalla lettera ma correlato): sanzione anch’essa fissa, €100 per ogni documento non emesso (era così dal 2016, art. 6 comma 3 D.Lgs 471), aumentata al 120% (€120) nel 2021, poi ridotta di nuovo al 100%? Su questo punto c’è stato un allineamento nel 2021 quando abolirono il riferimento agli art. 6 c.3 e misero tutto in c.2-bis. Attualmente, sembrerebbe che per chi non adotta il RT (forfettari esonerati, o in caso di scontrino fiscale cartaceo per esonero) le medesime violazioni siano sanzionate allo stesso modo. In generale però, per non confondere, teniamo presente: se la violazione fosse non ho proprio emesso lo scontrino, allora non c’è neppure memorizzazione, e l’IVA presumibilmente non pagata -> scenario sostanziale. Le sanzioni fisse da €100 riguardano proprio chi ha emesso lo scontrino (memorizzato) ma non trasmesso in tempo, o lo ha trasmesso sbagliato, ecc., ma imposta ok.

Per maggior chiarezza, presentiamo una tabella riepilogativa delle sanzioni (pre e post riforma 2024) nei diversi scenari:

Tipo di violazioneSanzioni per violazioni commesse fino al 31/8/2024Sanzioni per violazioni commesse dal 1/9/2024
Omessa o tardiva memorizzazione/trasmissione di corrispettivi con IVA non versata (violazione sostanziale)90% dell’imposta relativa all’importo non documentato, per ciascuna operazione (minimo €500). Range edittale: 90% – 180% dell’IVA evasa.70% dell’imposta relativa all’importo non documentato, per ciascuna operazione (minimo €300). Range edittale: 70% – 140% dell’IVA evasa (post-riforma).
Omessa/tardiva trasmissione dei corrispettivi con IVA già versata (violazione formale)€100 per ciascuna trasmissione omessa o inviata oltre termine (senza tetto massimo trimestrale). (Se pluralità di violazioni, possibile applicazione del cumulo giuridico con sanzione unica aumentata).€100 per ciascuna trasmissione omessa/tardiva, entro il limite massimo di €1.000 per trimestre. (Ad es. 20 invii mancati in un trimestre comportano €1.000 invece di €2.000).
Tardiva emissione/registrazione di fatture (IVA versata regolarmente)Sanzione fissa da €250 a €2.000 per ciascuna fattura emessa in ritardo senza impatto sul tributo. Spesso irrogata al minimo (€250). La Cassazione ha qualificato anche queste come violazioni formali cumulo e/o definibili con sanatoria.(La riforma 2024 non ha modificato espressamente questa soglia, che rimane €250-€2.000.). Si applicano comunque i principi generali: violazione formale se senza danno erariale; ravvedimento con riduzione frazionata; cumulo giuridico se ripetute.
Omessa fatturazione/registrazione di operazioni imponibili (IVA evasa)90% – 180% dell’IVA evasa, min €500, per ciascuna operazione (analogo al caso corrispettivi, dato che art. 6 copre entrambi).70% – 140% dell’IVA evasa, min €300, per ciascuna operazione. (Stesse riduzioni previste per corrispettivi).

(Legenda: per “trasmissione” si intende in genere la chiusura giornaliera dei corrispettivi. “Operazione” indica la singola cessione/prestazione non documentata: quest’ultima rileva quando proprio manca lo scontrino o la fattura per quell’operazione, configurando evasione.)

Dalla tabella appare evidente la convenienza, ove possibile, a far ricadere la propria posizione nel secondo scenario (violazione formale): la differenza tra pagare il 100% dell’IVA evasa (mettiamo 90% o 70%) e pagare €100 fisso è enorme, specialmente per importi grandi. Ecco perché, in ottica difensiva, se un contribuente riceve una contestazione per corrispettivi tardivi, è cruciale dimostrare che l’IVA era stata assolta. Se ciò è vero, la legge stessa impone all’ufficio di applicare solo la sanzione fissa, non quella proporzionale.

Va anche detto che la riforma 2024 ha inserito tra i principi generali quello per cui le violazioni meramente formali, senza nocumento al controllo o al gettito, non sono più punibili in assoluto. Questo principio di non punibilità però convive con alcune eccezioni, come appunto la sanzione simbolica di 100€ per i tardivi invii: è evidente infatti che il legislatore ha comunque voluto mantenere una “penalità” di importo contenuto per segnalare la violazione (forse ritenendo che il ritardo di per sé un minimo pregiudizio al controllo lo crea). In altri casi, invece, violazioni formali come mere irregolarità di forma sui documenti, senza alcun impatto, non saranno più sanzionate affatto. In dottrina si rileva una parziale contraddizione: lo Statuto del contribuente vieta di punire violazioni innocue, e la stessa riforma fiscale enfatizza proporzionalità e offensività, eppure poi si prevede comunque 100€ di multa anche se tutto il dovuto è stato pagato. La spiegazione pragmatica è che quel 100€ è ritenuto il prezzo della disattenzione, una sanzione minima per incentivare il tempestivo adempimento, ritenuta proporzionata e non oppressiva (tant’è che si è messo pure il tetto trimestrale).

Dopo aver esaminato le sanzioni astrattamente previste, passiamo ora a illustrare come difendersi concretamente da una contestazione di ritardata registrazione dei corrispettivi. In particolare, vedremo gli strumenti del ravvedimento operoso, dell’autotutela e del ricorso, nonché come invocare all’occorrenza i principi e le sentenze sopra menzionate per far valere le proprie ragioni.

Violazione formale e principio di offensività: supporto normativo e giurisprudenziale

(Questa sezione approfondisce ulteriormente la distinzione formale/sostanziale, per offrire argomenti giuridici utili nella difesa. Se sei interessato alle strategie pratiche – ravvedimento, ricorso, ecc. – puoi passare alla sezione successiva, ma avere un quadro completo aiuta a comprendere su quali basi contestare una sanzione.)

Come già accennato, il principio della non punibilità delle violazioni formali è sancito dall’art. 10, comma 3 dello Statuto del Contribuente (L.212/2000), il quale recita che non sono irrogate sanzioni per violazioni che “non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”. Questa clausola richiede entrambe le condizioni: (a) nessun ostacolo ai controlli e (b) nessun impatto sul tributo dovuto. Nel caso del ritardo nella registrazione dei corrispettivi, come valutare questi aspetti?

  • Pregiudizio ai controlli: un lieve ritardo (es. qualche giorno) nella trasmissione difficilmente compromette in modo significativo l’attività di controllo, specie se poi i dati sono stati trasmessi e combaciano con i registri contabili. In Cass. 2013 si sottolinea che un ritardo di per sé non basta a ostacolare la verifica, a meno che non sia accompagnato da altri comportamenti fraudolenti (come occultamento di documenti, tenuta irregolare di contabilità, ecc.). Se l’azienda tiene regolarmente il registro corrispettivi e magari aveva gli scontrini emessi (anche se trasmessi tardi, ma li aveva), i verificatori possono comunque risalire ai dati. Quindi, il ritardo isolato non impedisce il controllo, al più lo complica leggermente. Naturalmente un ritardo molto lungo (es. registri aggiornati solo a fine anno) potrebbe costituire ostacolo perché rende più complesso per il Fisco individuare tempestivamente anomalie; ma se alla fine i conti tornano, rimane formale.
  • Impatto sul tributo: questo è l’aspetto chiave e oggettivo. Se l’IVA è stata pagata nei termini corretti, non c’è impatto. Ciò può essere dimostrato mostrando le liquidazioni IVA, il registro delle vendite/corrispettivi e l’eventuale dichiarazione annuale: se i ricavi coincidono e l’imposta è stata versata, non c’è base imponibile sottratta. Ad esempio, un contributo difensivo in ricorso può evidenziare che “i corrispettivi trasmessi tardivamente sono comunque confluiti nella liquidazione IVA del mese X, come da mod. F24 del [data] e comunicazione/liquidazione periodica presentata”. Oppure presentare una riconciliazione tra scontrini emessi (prove di cassa) e vendite dichiarate.

La Corte di Cassazione è intervenuta su questo tema in varie pronunce, di cui citiamo le più rilevanti:

  • Cass. Sez. Trib. n. 27678/2013: caso già discusso, afferma esplicitamente che l’Amministrazione deve provare il danno per poter sanzionare e che la violazione formale va valutata concretemente. La tardiva registrazione dei corrispettivi, se avvenuta entro la dichiarazione annuale e senza debiti d’imposta, non va sanzionata. Questa sentenza cita anche l’art. 10 Statuto come norma di chiusura di favore per il contribuente.
  • Cass. Sez. V n. 11933/2019 (non citata in precedenza, ma significativa): ha affermato un principio similare in tema di omessa fatturazione poi regolarizzata: se non c’è evasione d’imposta, la violazione è formale. (Citazione orientativa).
  • Cass. Sez. V n. 16450/2021: come visto, sancisce che il ritardo nella fatturazione è violazione formale se non cagiona danno erariale. Questa sentenza formula proprio i principi di diritto: “necessario accertare in concreto se la condotta abbia cagionato un danno erariale […] in assenza la violazione resta formale” e “il ritardo nella fatturazione […] integra violazione formale e non sostanziale ove […] non abbia arrecato alcun pregiudizio sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o sul versamento”. Inoltre conferma l’applicazione del cumulo giuridico ex art. 12 D.Lgs. 472/97 per pluralità di violazioni formali della stessa indole.
  • Cass. n. 2944/2021 (CTR Calabria): segnalo anche una pronuncia di merito (Commissione Regionale, ora Corte Giustizia Tributaria II grado) in cui i giudici hanno ritenuto che violazioni multiple di tardiva emissione scontrini non fossero formali e non hanno applicato la non punibilità. Ci sono decisioni contrastanti nei meriti, ma l’orientamento di legittimità più recente favorisce il contribuente in assenza di danno.

Inoltre, la Circolare AE 180/E/1998 (antica ma ancora richiamata in dottrina) elencava esempi di violazioni formali: errori materiali, ritardi purché non influiscano su imposta, ecc. Questo per dire che la stessa Amministrazione, in via generale, riconosce il concetto.

Con la riforma 2024, come ricordato, si è voluto dare dignità normativa al principio di offensività: la Relazione illustrativa evidenzia che si vogliono colpire solo condotte che abbiano un impatto concreto, non le semplici irregolarità formali. Tant’è che si afferma “le violazioni meramente formali […] non saranno più punibili”. In attuazione di ciò, oltre a ridurre varie sanzioni, è stato previsto il cumulo giuridico obbligatorio in caso di pluralità di violazioni della stessa indole, anche formali, così da evitare cumuli eccessivi. Tuttavia, come discusso, la presenza di quella sanzione fissa da 100€ indica che per il fisco il tardivo invio non è del tutto neutro (qualche fastidio al controllo lo crea, e 100€ ne è la stima).

Per il contribuente, comunque, resta la possibilità in sede di ricorso di chiedere l’applicazione dell’art. 10 Statuto per ottenere l’annullamento totale di una sanzione se riesce a convincere che la propria violazione è talmente formale da non giustificare neanche 100€. Ad esempio, se il Fisco gli avesse contestato tardivamente 10 invii per €1000 totali, e quel contribuente dimostra che in realtà quei dati erano accessibili comunque (magari caricati sul portale, solo non trasmessi formalmente, oppure trasmessi con lieve ritardo senza impatto), potrebbe invocare la non punibilità assoluta. Non è scontato che i giudici accolgano (perché la norma specifica prevede 100€, quindi si potrebbe dire “il legislatore ha quantificato il disvalore in 100€” – tuttavia, lo Statuto ha valore di legge superiore? Non esattamente, ma è norma generale). Di certo, prima del 2024, alcuni ricorsi portavano all’annullamento integrale su base Statuto/Cassazione, come quello del 2013. Dopo il 2024, vedremo la prassi.

In conclusione, per difendersi efficacemente dalle sanzioni per ritardata registrazione dei corrispettivi, il contribuente deve puntare a far emergere la natura formale dell’eventuale violazione, supportato dalle norme (Statuto art.10) e dalle sentenze di Cassazione che rafforzano quel concetto. Se ci riesce, avrà diritto quantomeno all’inquadramento in sanzioni fisse ridotte, se non addirittura all’archiviazione per tenuità/offensività nulla.

Passiamo ora ai rimedi operativi: come regolarizzare con ravvedimento, come interloquire in autotutela e come, eventualmente, presentare ricorso contestando le sanzioni.

Ravvedimento operoso: regolarizzare spontaneamente per ridurre le sanzioni

Il ravvedimento operoso è uno strumento fondamentale a disposizione del contribuente per sanare volontariamente le violazioni fiscali commesse, beneficiando di una forte riduzione delle sanzioni. Ricevere una lettera di compliance è praticamente un invito implicito a ravvedersi: infatti, l’Agenzia nella lettera tipicamente suggerisce di avvalersi del ravvedimento entro una certa data, allo scopo di evitare la successiva contestazione piena.

Come funziona il ravvedimento operoso nel caso di ritardo sui corrispettivi?

Bisogna distinguere due situazioni:

  • Violazione sostanziale (IVA non versata nei termini): il ravvedimento consisterà nel pagare l’imposta dovuta, gli interessi moratori calcolati al tasso legale per i giorni di ritardo, più la sanzione ridotta per omesso versamento (ordinariamente 30% dell’imposta, ridotto secondo il timing del ravvedimento, vedi oltre) oppure la sanzione per omessa fatturazione (90% dell’IVA, se il caso è inquadrato come tale) anch’essa ridotta. Qui occorre capire se l’irregolarità viene considerata come ritardato versamento (sanzione omesso versamento 30%) o come violazione degli obblighi di documentazione (sanzione art.6 90%). In genere, se i corrispettivi non registrati hanno portato a omesso versamento per tot, si applica il 30% su quel dovuto. Spesso però l’Agenzia in questi casi può contestare entrambi i profili. Ad ogni modo, con ravvedimento:
    • Se l’IVA non versata è ancora da versare, si versa subito l’IVA mancante.
    • La sanzione del 30% per omesso versamento (art. 13 D.Lgs. 471/97) viene ridotta: ad es., se si ravvede entro 30 giorni dal termine di versamento, è 1/10 del 30% (3%); entro 90 giorni 1/9 (3.33%); entro un anno 1/8 (3.75%), e così via. Se invece si considera la fattispecie come omessa documentazione, si ravvede sulla sanzione del 90% per operazione: in tal caso la riduzione segue le regole generali di ravvedimento sulle sanzioni amministrative tributarie (che vediamo sotto).
    • Vanno calcolati interessi: al tasso legale, che per il 2022-2023 era intorno all’1-1.25%, per il 2024 è 5% e nel 2025 5% (cambiato annualmente). Gli interessi si calcolano sull’imposta versata in ritardo, dal giorno in cui andava versata al giorno del ravvedimento.
  • Violazione formale (IVA versata regolarmente): in questo caso non c’è imposta da versare né interessi (perché il tributo è a posto). Il ravvedimento consisterà nel pagare la sanzione in misura ridotta rispetto ai €100 dovuti. Dato che la sanzione edittale in questo scenario è fissa (€100 per trasmissione tardiva), la riduzione del ravvedimento si applica su tale importo.

Nel caso di più trasmissioni tardive, tecnicamente il contribuente dovrebbe calcolare la sanzione dovuta per ciascuna violazione e ravvedere ognuna. In pratica può fare un cumulo e pagare un importo unico pari alla somma delle sanzioni ridotte di ciascuna.

Vediamo le riduzioni previste dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997 per il ravvedimento (versione ante riforma 2024, che per le violazioni diverse dagli omessi versamenti è rimasta invariata):

  • Ravvedimento entro 90 giorni dalla violazione: sanzione ridotta a 1/9 del minimo. Per le trasmissioni corrispettivi, il “momento della violazione” può essere interpretato come lo scadere del 12° giorno dall’operazione senza invio. Esempio: scontrino del 1° luglio non trasmesso entro il 13 luglio → violazione si perfeziona il 14 luglio. Se ravvedo entro 90 giorni da tale data (circa entro metà ottobre), pago 1/9 di €100 = €11,11 (in pratica €11, se non consideriamo decimali) per quella violazione.
  • Ravvedimento entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA dell’anno in cui è avvenuta la violazione: sanzione ridotta a 1/8 del minimo. Ciò significa, ad esempio, per una violazione commessa nel 2023, se ravvedo entro il 2 maggio 2024 (termine di Unico IVA 2024 per anno 2023) pago 1/8 di €100 = €12,50 cadauna.
  • Ravvedimento entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo a quello della violazione: sanzione ridotta a 1/7. Esempio, violazione 2023 ravveduta entro fine aprile 2025 → 1/7 di €100 ≈ €14,29.
  • Ravvedimento oltre tale termine (ma comunque prima di formale contestazione o accertamento): sanzione ridotta a 1/6. Quindi, se ci ravvediamo molto tardi (oltre due anni dopo la violazione, ma prima che il Fisco ce la contesti ufficialmente) paghiamo 1/6 di €100 = €16,67 per ciascun invio tardivo.
  • Se la violazione è già stata constatata (p.es. in PVC) ma non ancora notificato atto, ci sarebbe riduzione a 1/5; se già notificato atto ma siamo nei termini per il pagamento con riduzione del 1/3 ex art.16, il ravvedimento non è più ammesso – a quel punto vige la procedura dell’adesione o acquiescenza, vedi oltre.

Dunque, il massimo beneficio si ha ravvedendosi entro 90 giorni: in tal caso, invece di €100, ogni violazione costa sui €11 (circa l’11% del minimo). Anche ravvedersi entro l’anno successivo è conveniente: 1/8 = 12,5%, 1/7 ≈ 14,3%, 1/6 ≈ 16,7%.

Facciamo un esempio pratico: un contribuente riceve a marzo 2025 una lettera di compliance che segnala 3 tardive trasmissioni nel 2024 (senza impatto IVA). Supponiamo che le violazioni siano di ottobre 2024. Il contribuente non se n’era accorto. Ora, se ravvede entro 90 giorni dal ricevimento della lettera (la lettera non preclude ravvedimento, perché non è atto di accertamento), ma supponiamo che siamo già oltre 90 giorni dalla violazione (ottobre 2024 + 90gg = gennaio 2025 circa, ormai passato): però è entro il termine della dichiarazione IVA 2025 per l’anno 2024 (che sarà aprile 2025), quindi rientra in 1/8. La sanzione base sarebbe €100×3 = €300. Ridotta a 1/8 diventa €37,50 per ciascuna → totale €112,50. Questo è l’importo da pagare col ravvedimento. Se le ravvisa singolarmente, farà 3 versamenti da €37,50 (o cumulativamente uno da €112,50, è possibile su F24 sommare importi con stesso codice tributo e anno). Il risparmio è notevole rispetto ai €300 interi, e soprattutto rispetto a ciò che avrebbe rischiato se fossero state sostanziali.

Codice tributo e modalità: per regolarizzare sanzioni da corrispettivi tardivi, si utilizza generalmente il codice tributo 8911 (“sanzioni pecuniarie da regolamentare via F24”), indicando l’anno a cui si riferisce la violazione. Se c’è anche imposta da versare (scenario sostanziale), si useranno i codici IVA relativi (6011 ecc. per versamenti omessi) e il codice 1991 per interessi (per ravvedimento interessi) oltre al 8911 per la sanzione ridotta. L’agenzia talvolta, nelle lettere, fornisce un prospetto con gli importi dovuti e i codici tributo.

Ravvedimento speciale 1/18 (2023): una breve parentesi storica – la Legge di Bilancio 2023 aveva introdotto un ravvedimento operoso speciale per violazioni “sostanziali” di periodi fino al 2021, che consentiva di pagare 1/18 del minimo edittale. Molti tardivi invii 2021 rientravano lì. Però quell’istituto era utilizzabile solo entro il 31/3/2023, ormai trascorso. Oggi non è più applicabile se non è stato già perfezionato. Lo citiamo perché alcune lettere di compliance arrivate a inizio 2023 menzionavano la possibilità di usare ravvedimento speciale invece che ravvedimento ordinario. Ad esempio, tardività 2021 con imposta non versata → ravvedimento speciale pagando 1/18 della sanzione 90% (cioè 5%). Tardività solo formale → sanatoria errori formali 200€ per anno. Tutte misure straordinarie ora chiuse.

Quando il ravvedimento non è ammesso? Il ravvedimento è precluso se la violazione è già stata constatata (notifica di PVC) o se sono iniziati accessi/ispezioni di cui si ha formale conoscenza, a meno che non si tratti di controlli automatici già avvenuti (ex art. 36-bis DPR 600/73 o 54-bis DPR 633/72) oppure se è già arrivata una comunicazione d’irregolarità o un avviso di accertamento. La lettera di compliance non costituisce formale notifica di accertamento o contestazione: quindi non preclude il ravvedimento (anzi, lo sprona). Dunque il contribuente, anche se ha ricevuto la lettera, può ravvedersi come se nulla fosse, purché non sia stato nel frattempo notificato un atto impositivo/sanzionatorio vero e proprio.

Benefici ulteriori del ravvedimento:

  • Si evita la maggiorazione delle sanzioni e degli interessi che seguirebbero una contestazione formale (gli interessi nel ravvedimento sono solo al tasso legale, mentre in cartella sarebbero interessi di mora più alti).
  • Si evita la “pena” del pagamento in misura ridotta 1/3 entro 60 gg dalla notifica di un eventuale atto (art. 16 D.Lgs. 472) che è comunque di più di quanto sarebbe col ravvedimento. Ad esempio, se arrivasse un atto per 10 violazioni formali = €1000, con acquiescenza il contribuente pagherebbe €333,33, mentre ravvedendosi magari paga €150 se lo fa tempestivamente.
  • Si dimostra buona fede e collaborazione, il che può essere utile anche in fase di eventuale contenzioso (il giudice vede che il contribuente ha sanato spontaneamente).

Come effettuare il ravvedimento operoso praticamente:

  1. Calcolo degli importi: identificare ogni violazione (ogni giorno tardivo, o ogni imposta non pagata), determinare la sanzione base (100€ o 90% imposta, etc.), applicare la riduzione in base al tempo trascorso. Calcolare eventuali interessi su IVA tardiva.
  2. Compilazione F24: se solo sanzione da 100€, indicare codice 8911, anno riferimento, importo. Se anche IVA, compilare riga per l’IVA dovuta (es. codice 6001 per IVA mensile di gennaio non versata), riga per interessi (cod. 1991) e riga per sanzioni (cod. 8904 per omesso versamento, oppure 8911, a seconda di istruzioni, ma 8911 va bene per sanzioni da ravvedimento in generale).
  3. Pagamento: tramite modello F24 ordinario, con eventuale compensazione se ha crediti (attenzione però alle regole, ma di solito si preferisce versare).
  4. Conservazione: tenere ricevuta del pagamento F24, eventualmente comunicarla all’Agenzia (non è obbligatorio comunicare il ravvedimento, ma in alcuni casi si può rispondere alla lettera di compliance allegando la prova del ravvedimento eseguito, per chiudere la questione).

E se il contribuente ha dubbi sul calcolo? Può rivolgersi al proprio consulente (commercialista) oppure utilizzare strumenti messi a disposizione. Ad esempio, sul sito dell’Agenzia Entrate vi era un software “Compliance” per calcolo sanzioni ed interessi da ravvedimento. Inoltre, molti siti di settore hanno tabelle e moduli di calcolo.

In particolare MySolution in un suo approfondimento ha mostrato come, per poche violazioni formali, il ravvedimento ordinario costi meno della sanatoria forfettaria di 200€ per anno: ad esempio, violazione formale fattura 2021 -> sanzione 250€ ridotta a 1/7 = 35,7€, quindi se uno aveva 5 fatture tardive = ~178€, contro 200€ di sanatoria. Questo per dire che ravvedersi conviene quasi sempre, specie su un numero limitato di infrazioni.

Conclusione sul ravvedimento: Il ravvedimento è la strada preferenziale suggerita dalla lettera di compliance stessa per “difendersi” senza contenzioso. Regolarizzando nei termini indicati (spesso la lettera fissa un termine, tipo entro 30 giorni o entro la fine del mese successivo, coerente con le scadenze normative), il contribuente:

  • Si mette in regola,
  • Paga il minimo indispensabile di sanzioni,
  • Evita che l’irregolarità possa evolvere in un avviso con sanzioni piene e interessi di mora.

Nel capitolo successivo esamineremo la fase successiva: cosa succede se, per varie ragioni, non ci si è ravveduti per tempo o se si riceve comunque un atto di contestazione. Tratteremo dunque dell’autotutela (interlocuzione con l’ufficio per annullare/ridurre l’atto senza giudice) e del ricorso vero e proprio, cioè come opporsi legalmente a una sanzione ritenuta ingiusta.

Autotutela e interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria

L’autotutela è il potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria di annullare o rettificare i propri atti riconosciuti illegittimi o errati, senza bisogno di attendere il giudice. Dal punto di vista del contribuente, l’autotutela si concretizza spesso con un’istanza motivata rivolta all’ufficio che ha emesso (o sta per emettere) l’atto, in cui si chiede il riesame e l’annullamento/riduzione per specifiche ragioni di legittimità o merito.

Nel contesto del ritardo di registrazione dei corrispettivi, l’autotutela può intervenire in diversi momenti:

  • Fase di lettera di compliance: formalmente, la lettera di compliance non è un atto impugnabile, ma è una opportunità di dialogo. Si potrebbe definire una forma di “autotutela preventiva” il fatto che l’Agenzia invii la lettera: sta in fondo dando al contribuente la chance di evidenziare eventuali errori dell’amministrazione prima di sanzionarlo. Ad esempio, se il contribuente riceve la lettera ma ritiene di non aver in realtà commesso alcuna violazione, può certamente contattare l’ufficio o seguire le istruzioni nella lettera (spesso c’è un link o un riferimento per “se vuoi fornire elementi, clicca qui” oppure indicazioni di contatti). In questa sede potrà spiegare, ad esempio:
    • Che quei corrispettivi non trasmessi erano di giorni in cui il negozio era chiuso o non aveva operazioni (potrebbe essere un caso: se non c’è incasso, alcuni credono di poter evitare la trasmissione; tecnicamente andrebbe comunque trasmesso un chiusura a zero, ma può succedere che il sistema rilevi un “mancato invio” anche se non c’era nulla da inviare. In tal caso, non c’è violazione sostanziale né formale perché non c’era operazione: si può chiarire che nessuna vendita è stata omessa e l’ufficio in autotutela può archiviare).
    • Che le presunte tardività in realtà rientravano nei 12 giorni consentiti (fornendo evidenza delle date di trasmissione reali). Magari l’Agenzia ha considerato tardivo un invio perché per qualche motivo i loro sistemi lo hanno registrato con data diversa. Se si hanno prove (log del registratore, ricevuta telematica di invio) che smentiscono l’anomalia, conviene inviarle.
    • Che il ritardo è dipeso da cause di forza maggiore: es. guasto al server, interruzione internet, malattia improvvisa del personale. Queste cause non eliminano la violazione, ma l’ufficio potrebbe tenerne conto per valutare la non punibilità (lo Statuto prevede anche esimenti per cause di forza maggiore all’art.6, c.5 – no sanzioni se violazione dovuta a cause non imputabili).
    • Che il contribuente si è già ravveduto prima ancora di ricevere la lettera: a volte l’Agenzia invia le lettere basandosi su dati di qualche mese prima. Può darsi che nel frattempo il contribuente, resosi conto autonomamente, abbia fatto ravvedimento. In tal caso basterà comunicare che la posizione è stata regolarizzata il tal giorno, allegando copia degli F24 pagati. L’ufficio chiuderà la pratica. (Attenzione: se ravvedimento effettuato dopo che l’Agenzia ha inviato la lettera ma prima che arrivi – per es. spedita e tu paghi nel frattempo – fa lo stesso, conta che l’atto formale non era ancora partito).
    In tutti questi casi, è opportuno rispondere alla lettera o contattare l’ufficio, perché un silenzio verrebbe interpretato come mancanza di obiezioni e spingerebbe verso l’iter sanzionatorio. La risposta va fatta in forma documentata e cortese: non è un ricorso legale, ma una spiegazione collaborativa.
  • Fase successiva: atto di contestazione/irrogazione sanzioni: se il contribuente non ha aderito all’invito o l’Agenzia comunque ritiene la posizione irregolare, potrà notificare un atto di contestazione (per sole sanzioni) o un avviso di accertamento con sanzioni (se c’è anche imposta da recuperare). Quando ciò avviene, prima di correre in Commissione Tributaria si può tentare la carta dell’autotutela “postuma”. Ossia, entro il termine per ricorrere (60 giorni dalla notifica dell’atto) si può presentare istanza all’ufficio eccependo errori o ragioni di annullamento:
    • Errori di fatto: ad esempio, l’atto elenca come non trasmessi dei corrispettivi che invece risultano trasmessi (magari per un disallineamento di database). Se si fornisce prova (scontrini, ricevute telematiche) l’ufficio può riconoscere lo sbaglio e annullare in autotutela parzialmente o totalmente la sanzione. È interesse anche dell’ufficio non portare avanti atti errati.
    • Errata qualificazione della violazione: supponiamo che l’ufficio abbia applicato la sanzione proporzionale (90% per operazione) ritenendo erroneamente che l’IVA non fosse stata versata, mentre invece era versata. Questo può succedere se l’ufficio incrocia i dati dei corrispettivi con quelli dichiarativi e magari non vede il dettaglio. In autotutela, il contribuente può far presente con documenti che l’IVA era già stata assolta. A fronte di ciò, l’ufficio dovrebbe rideterminare l’atto applicando la sanzione corretta (quella fissa di €100) o addirittura riconoscere la violazione come non sanzionabile se proprio irrilevante.
    • Violazione del principio di non punibilità formale: questo è un argomento più delicato da far valere in autotutela, perché implica convincere l’ufficio a non applicare sanzioni in virtù dello Statuto del Contribuente o di sentenze. Non tutti gli uffici accolgono simili istanze, tendono a lasciare ai giudici certi bilanciamenti. Tuttavia, con la riforma 2024, se la violazione è palesemente formale e magari rientra in quelle dichiarate non punibili, il contribuente può citarlo. Ad esempio: “Alla luce dell’art. 10, c.3 L.212/2000 e del D.Lgs. 87/2024 (principio di offensività), si chiede l’archiviazione in autotutela della contestazione, atteso che la tardiva trasmissione in oggetto non ha arrecato alcun pregiudizio al Fisco né ostacolato i controlli, come attestato dal fatto che i corrispettivi erano comunque contabilizzati e l’IVA versata. Si allegano documenti…”. È un tentativo: se l’ufficio è illuminato, potrebbe evitare il contenzioso.
    • Vizi procedurali: se l’atto presentasse errori legali (notifica fuori termine, mancanza di motivazione, sanzioni calcolate male, ecc.), l’autotutela può intervenire, ma realisticamente l’ufficio difficilmente ammette da sé di aver sbagliato su aspetti procedurali, a meno di casi eclatanti (tipo atto intestato alla persona sbagliata). Comunque, è bene segnalare ogni anomalia anche in autotutela, perché talvolta preferiscono annullare e rifare l’atto correggendo, piuttosto che perdere in giudizio.

L’istanza di autotutela non sospende i termini per presentare ricorso. Quindi, prudenza: se entro i 60 giorni (o 90 se ci sono i termini estivi) l’ufficio non risponde o rigetta, il contribuente deve comunque presentare ricorso se non vuole che l’atto diventi definitivo. Non vale come scusante dire “avevo chiesto autotutela”. A volte però gli uffici, soprattutto in questioni semplici, rispondono rapidamente annullando, rendendo inutile il ricorso. È sempre bene anticipare l’istanza via PEC e magari fare un sollecito telefonico prima della scadenza del termine di ricorso, per capire l’orientamento.

Un’altra forma di interlocuzione è la richiesta di accertamento con adesione se l’atto notificato è un accertamento (ad es. recupero IVA evasa e sanzioni). Nel caso di sole sanzioni, l’adesione non si applica (essa vale per tributi). Tuttavia, se c’è imposta, si può chiedere adesione: questo sospende i termini per ricorrere e apre un contraddittorio. In sede di adesione, il contribuente può far valere gli stessi elementi: spesso l’ufficio può ridurre la pretesa, ad esempio riconoscendo che il fatto è parzialmente formale e limando le sanzioni. Se l’esito è sfavorevole, si potrà comunque ricorrere.

Infine, ricordiamo che l’Agenzia delle Entrate dispone internamente di un potere di rinuncia al contenzioso (se il ricorso del contribuente è fondato) e di conciliazione giudiziale. Ma qui entriamo già nella fase di ricorso.

In sintesi, il suggerimento è: non esitare a comunicare con l’ufficio sia in risposta alla lettera di compliance che dopo un eventuale atto. Molte questioni possono risolversi più facilmente in via amministrativa che giudiziale, specie quando si tratta di spiegare dati e fatti (il funzionario può verificare e chiudere). Bisogna essere chiari, allegare prove e magari citare le norme giuste per far comprendere la situazione. L’autotutela è un gesto di buona volontà da entrambe le parti: il contribuente mostra collaborazione e il Fisco può correggere un errore o evitare una disputa.

Nel prossimo capitolo affrontiamo il caso in cui sia necessario procedere con un ricorso vero e proprio presso la Corte di Giustizia Tributaria (nuovo nome delle Commissioni Tributarie dal 2023) per opporsi alle sanzioni.

Difendersi con il ricorso: l’opposizione alle sanzioni in sede giudiziale

Se la fase amministrativa non ha risolto la questione – ad esempio, l’ufficio ha rigettato le argomentazioni o ha emesso comunque un atto sanzionatorio che si ritiene ingiusto – il contribuente ha la facoltà di presentare ricorso alla competente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Vediamo gli aspetti principali di questo percorso:

1. Atti impugnabili e termini

Nel nostro contesto, l’atto tipico da impugnare sarà o un provvedimento di irrogazione di sanzioni (per i casi in cui c’è solo la sanzione per violazioni formali, senza imposta dovuta) oppure un avviso di accertamento (se la tardiva registrazione ha comportato IVA non versata, l’ufficio recupererà l’imposta e applicherà sanzioni nel medesimo atto). In entrambi i casi, si tratta di atti impugnabili entro 60 giorni dalla notifica (se spedito per raccomandata AR, dalla data di ricezione).

Il ricorso va presentato secondo le regole del D.Lgs. 546/92: notificato all’ufficio emittente (via PEC o raccomandata) e poi depositato telematicamente sul Portale Giustizia Tributaria. Dal 2023 il processo tributario consente anche la difesa personale del contribuente per valori fino a €3.000 di tributi (sanzioni escluse dal calcolo? c’è dibattito, ma in genere si riferisce ai tributi). Per sicurezza, conviene farsi assistere da un avvocato tributarista o da un commercialista abilitato, specie su questioni di principio.

Va sottolineato che, se l’atto riguarda sole sanzioni, l’importo delle sanzioni è rilevante per le spese e per eventuali soglie di reclamo/mediazione (fino a €50.000 c’è l’obbligo di presentare prima reclamo-mediazione all’ufficio). La tardiva trasmissione di solito comporta importi sotto tale soglia, ma se fossero numerosissimi giorni potrebbe superarla. In tal caso, il ricorso è improcedibile se non si è presentato anche istanza di mediazione contestuale (che l’Agenzia valuterà, può eventualmente ridurre sanzioni in mediazione).

2. Sospensione della riscossione

La notifica di un atto di irrogazione sanzioni segue le regole generali: il contribuente ha 60 giorni per pagare (o 30 giorni per aderire se è accertamento con adesione), dopodiché, se non paga e non ricorre, l’importo è iscritto a ruolo e inviato all’Agente della Riscossione (con aggiunta di interessi di mora e oneri). Se il contribuente presenta ricorso, diversamente dal caso degli avvisi di accertamento con tributi (dove bisogna versare 1/3 per evitare ruolo immediato), per le sole sanzioni non c’è l’obbligo di pagamento frazionato anticipato. Questo perché l’art. 15 del D.P.R. 602/73 sul pagamento frazionato riguarda le imposte accertate. Le sanzioni, se impugnate, in teoria non dovrebbero essere riscosse finché la sentenza non passa in giudicato, a meno che l’ufficio non faccia iscrizione provvisoria (prassi non comune per sole sanzioni).

Tuttavia, per prudenza, molti consigliano di chiedere comunque alla Corte una sospensione cautelare dell’atto, dimostrando il pericolo di un danno (es. arrivo di cartella). Nella realtà, raramente per importi modesti di sanzioni l’Agenzia iscrive a ruolo prima della sentenza di primo grado (lo fa per gli avvisi con imposta). Comunque, presentare un’istanza di sospensione può mettere al riparo da sorprese (es. a volte partono cartelle per sanzioni se l’ufficio considera tardivo il ricorso o altro). La sospensione si chiede con istanza motivata nel ricorso e la Corte decide in tempi brevi (40 giorni circa).

3. Motivi di ricorso (difesa nel merito)

Nel ricorso, il contribuente deve esporre i motivi per cui ritiene illegittima o infondata la sanzione. I possibili argomenti, in un caso di ritardata registrazione corrispettivi, includono:

  • Violazione di legge nel qualificare il fatto: ad esempio, l’ufficio ha applicato la sanzione sbagliata. Se il ricorrente dimostra che non vi era alcun omesso versamento e quindi andava applicato l’art. 11 c.2-quinquies (100€) anziché art. 6 c.2-bis (90%), potrà chiedere al giudice di annullare l’eccedenza. A volte i ricorsi chiedono in subordine l’applicazione della sanzione corretta (rideterminazione). Il giudice tributario può rideterminare le sanzioni se l’importo applicato è errato in diritto o in calcolo.
  • Insussistenza della violazione sostanziale: strettamente legato al punto sopra, si argomenta che la violazione era formale. Quindi: “errore di diritto” dell’ufficio nel non aver riconosciuto la non punibilità ex art. 10 L.212/2000, oppure errore nel non aver applicato l’art. 11 c.2-quinquies con sanzione fissa. Si citeranno le prove che l’IVA era stata pagata, e si potranno citare la Circolare 6/E/2023 e relative previsioni (invio tardivo è formale se IVA versata), nonché le sentenze di Cassazione (2013, 2021) che supportano la tesi. In pratica si chiede l’annullamento totale della sanzione perché il fatto non è punibile, in base a Statuto e giurisprudenza.
  • Proporzionalità eccessiva: qualora, ad esempio, l’ufficio abbia comminato 100€ per ogni giorno e magari il totale appare sproporzionato rispetto alla gravità, si può invocare l’art. 7 D.Lgs. 472/97 che impone di valutare le circostanze e il principio di proporzionalità sancito anche a livello UE. Questo argomento è forte se il contribuente può dimostrare di aver subito un trattamento eccessivo. Ad esempio, prima della riforma 2024, presentare 100 violazioni formali da €100 ciascuna (€10.000) per un piccolo esercente potrebbe essere considerato sproporzionato e il giudice potrebbe ridurre applicando il cumulo giuridico (una sola sanzione, magari €500 o €1000). Anche la Cassazione 2021 evidenzia che pure per violazioni formalmente punite con sanzioni proporzionali, se in concreto sono formali si applica il cumulo ex art.12 D.Lgs.472. Nel ricorso si può chiedere: “in ogni caso, la pluralità di addebiti configurando violazioni formali ripetute, avrebbe dovuto essere sanzionata con un’unica sanzione ai sensi dell’art.12 D.Lgs.472, e non con cumulo materiale, in ossequio al principio del cumulo giuridico e come confermato dalla Cass. 16450/2021”. Il giudice potrebbe così ridurre l’importo globale.
  • Errori procedurali: ad esempio, se l’atto sanzionatorio non ha rispettato l’art.16 D.Lgs.472 (mancanza di motivazione adeguata sulle circostanze, o non ha riportato il calcolo delle riduzioni sconti etc.), oppure se i termini di decadenza per notificare la sanzione sono scaduti (in genere il termine è lo stesso dell’accertamento: per violazioni 2017 notifiche entro fine 2022 etc., ma se è formale e non c’entra la dichiarazione, si discute quale termine si applichi: di solito 5 anni dall’anno seguente la violazione). Se l’ufficio fosse fuori tempo (caso raro per lettere di compliance, di solito sono puntuali su 2021 e 2022), sarebbe un killer argument: nullità per decadenza.
  • Cause di non punibilità specifiche: se applicabili, es. errore incolpevole, forza maggiore (art. 6 D.Lgs.472). Ad esempio, il contribuente potrebbe sostenere che il ritardo fu dovuto a cause non imputabili a lui (blackout prolungato, invio tentato ma respinto da server SdI, e poi rimediato). Se convincente, il giudice può annullare sanzione per forza maggiore (è raro, ma possibile).
  • Violazione dello Statuto del Contribuente sui diritti di informazione: qualche volta si eccepisce che l’Agenzia avrebbe dovuto avvisare il contribuente prima (ma in realtà lo ha fatto con la compliance, quindi…). Oppure la mancata considerazione del ravvedimento: in genere l’ufficio quando notifica l’atto deve indicare che il contribuente può definire con 1/3 entro 60 gg (art.16 D.Lgs.472). Se non c’è scritto, è un vizio? Non necessariamente nullo, ma può far scattare il diritto del contribuente a pagare ridotto comunque.
  • Eccezione di incostituzionalità: onestamente qui non la vedo necessaria perché la norma ora è equa. In passato qualcuno eccepiva incostituzionalità del 100% scontrini vs 90% fatture, ma è stata superata con l’allineamento al 90%. Oggi tutto sommato il regime è ragionevole. Non punibilità formali è nella legge delega, quindi direi che la legge va applicata, non contestata.

4. Esito e oltre

In caso di vittoria in giudizio, il giudice potrà annullare totalmente la sanzione (es. riconoscendo violazione formale non punibile) oppure parzialmente (es. riducendo importo a €100 totale o a 1/3 se ravveduto in giudizio – a volte i giudici “ravvedono” d’ufficio, ma non potrebbero, dovrebbero applicare normative). Se la sentenza annulla, l’Agenzia di solito non appella su questioni di piccolo importo, quindi la questione finisce lì. Se invece il contribuente perde in primo grado, può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR) entro 60 giorni. Data la materia di principio, non è escluso che l’Amministrazione, se teme un precedente negativo, faccia appello su certe questioni. Per esempio, se un giudice di primo grado applicasse lo Statuto e annullasse, l’Agenzia potrebbe appellare per avere uniformità (anche se per €1000 magari no; per 50k di sanzioni magari sì).

Costi e valutazioni: prima di arrivare al ricorso, il contribuente deve però valutare costi-benefici. Se, ad esempio, dall’ufficio gli hanno chiesto €300 di sanzioni e il contribuente oggettivamente ha tardato, fare ricorso potrebbe costargli in onorari e tempo più di 300€, con esito incerto. In questi casi molti scelgono di pagare la sanzione ridotta 1/3 (€100) entro 60 giorni e chiudere la faccenda (l’istituto dell’“acquiescenza” ex art. 16 D.Lgs.472/97 consente, per le sole sanzioni, il pagamento ridotto a 1/3 in caso di rinuncia al ricorso). Pagare 1/3 conviene se il ricorso ha basse chance e la cifra è modesta. Esempio: atto sanzioni €600, pagando entro 60 gg diventano €200 e finisce lì, senza spese ulteriori.

Tuttavia, se c’è un principio importante o l’importo intero è molto alto (p.es. €10.000 di sanzioni cumulati), il ricorso ha più senso, potendo portare magari a pagare zero o molto meno.

Va ricordato anche che, nel 2023, il legislatore ha introdotto la possibilità che, in caso di soccombenza, le somme dovute per sanzioni siano versabili a rate (fino a 8 rate trimestrali o 16 rate se supera certi importi). Quindi, pure se il contribuente dovesse perdere, potrà dilazionare il pagamento. Questo aspetto però rileva solo ex post.

Precedenti favorevoli: Nel ricorso è utile menzionare precedenti di merito se ce ne sono. Alcune CTP/CTR hanno accolto ricorsi analoghi, specie dopo la circolare 6/E/2023. Ad esempio: CTP Milano 2022, che annulla sanzioni per tardivo invio fatture perché formale. O anche CTR Lazio 2021 n.2944 (citata nei risultati web) che dice il contrario (che tardivo in reverse charge è sostanziale), per distinguere. Un legale preparato può arricchire il ricorso con queste citazioni.

Ricordarsi infine che con la riforma della giustizia tributaria, dal 2023 in appello la figura del Giudice monocratico per controversie sotto €3.000 e l’introduzione del giudice esperto potrebbero influenzare: se la causa ha un valore basso, può deciderla un giudice unico in primo grado (monocratico per sanzioni leggere? Le soglie sono un po’ incerte). In ogni caso, le cause su sanzioni di regola vedono soccombere il Fisco se il contribuente dimostra la formalità e richiama lo Statuto, stante anche l’orientamento Cassazione pro-contribuente.

Insomma, il ricorso è l’arma finale per difendersi, da usare quando si è convinti di avere buone ragioni e/o l’importo e il principio in gioco lo giustificano. Spesso, la semplice minaccia del ricorso (es. nel reclamo mediazione) può indurre l’ufficio a transigere in via di mediazione, magari riducendo al minimo. Ad esempio, in mediazione il contribuente potrebbe proporre: pago 1/6 di tutto e chiudiamo. L’ufficio se pensa di poter perdere può accettare.

Conclusione su ricorso: Opporsi alle sanzioni in sede giudiziale è certamente possibile e, anzi, in molti casi di sanzioni “automatiche” (come quelle da 100€ cad.) ha portato a esiti favorevoli ai contribuenti soprattutto quando non c’era alcuna evasione. La chiave è ben documentare i fatti (pagamenti effettuati, ecc.) e inquadrare giuridicamente la violazione come formale. Giocare la carta delle pronunce di Cassazione aiuta molto, perché i giudici tributari di merito tendono ad allinearsi a quelle indicazioni di principio.

Dopo questo approfondimento tecnico, chiudiamo la guida con una sezione di domande frequenti in formato Q&A, per riepilogare in modo semplice i punti cruciali e sciogliere gli eventuali dubbi pratici più comuni.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “ritardo nella registrazione dei corrispettivi”?
R: Significa che i dati dei corrispettivi giornalieri (scontrini o chiusure di cassa) sono stati memorizzati o trasmessi oltre il termine previsto dalla legge. Oggi il termine è 12 giorni dall’operazione. Ad esempio, se vendi qualcosa il 1° giugno ma trasmetti il relativo scontrino telematico il 20 giugno, hai un ritardo di 7 giorni (oltre i 12 consentiti). Anche l’annotazione tardiva sul registro dei corrispettivi (per chi ancora lo tiene manualmente) rientra nel concetto. In pratica, è un adempimento svolto in ritardo rispetto alle scadenze normative.

D: Ho ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate che parla di corrispettivi giornalieri trasmessi in ritardo. Vuol dire che ho una multa?
R: No, la lettera di compliance non è ancora una multa. È una comunicazione informativa con cui l’Agenzia ti segnala le presunte irregolarità (es. i giorni in cui risultano trasmissioni tardive). Lo scopo è invitarti a controllare e a regolarizzare spontaneamente se effettivamente c’è stato un errore. Quindi, al momento della lettera non devi pagare nulla, ma dovresti esaminarla attentamente: se confermi che hai trasmesso in ritardo, puoi rimediare (ravvedimento) pagando sanzioni ridotte; se pensi che i dati siano sbagliati o che comunque non sia dovuta sanzione, puoi farlo presente all’Agenzia (vedi oltre). Ignorare la lettera potrebbe portare dopo qualche mese all’emissione di una sanzione vera e propria.

D: Cosa devo controllare quando ricevo questa lettera?
R: Devi verificare principalmente due cose:

  1. Se effettivamente nei giorni indicati c’è stato un invio tardivo/omesso dei corrispettivi. Puoi controllare sul portale “Fatture e Corrispettivi” dell’Agenzia, dove c’è lo storico delle trasmissioni, oppure sui report del tuo registratore di cassa (spesso stampano un giornale di fondo). Ad esempio, la lettera magari elenca “10/03/2025 – trasmissione effettuata il 25/03/2025 (15 giorni di ritardo)”. Verifica se risulta vero.
  2. Se quei ritardi hanno influenzato o no il versamento dell’IVA. In pratica, controlla se l’IVA relativa a quelle operazioni l’avevi inclusa e versata nella liquidazione periodica corretta. Se la risposta è sì (hai versato tutto regolarmente), sei in una situazione di violazione formale, se invece scopri che hai versato quell’IVA in ritardo o non l’hai versata finché non te l’han detto, allora c’è un’omissione sostanziale.

D: La lettera mi chiede di fare qualcosa entro una certa data?
R: Spesso la lettera suggerisce una tempistica per regolarizzare. Ad esempio, può dire “Se gli elementi segnalati sono corretti, potete regolarizzare tramite ravvedimento operoso entro 30 giorni dal ricevimento di questa comunicazione”. Oppure, se è durante una finestra di sanatoria (come fu per la tregua fiscale 2023), indicava la scadenza per aderire (es. 31/03/2023 per la definizione formale a €200). In generale, non è un termine perentorio legale, ma è bene rispettarlo: se ravvedi entro quel termine, l’ufficio quasi sicuramente non andrà avanti con la sanzione. Se lasci passare molto tempo, c’è il rischio che parta la contestazione. Quindi, considera la data indicata come fortemente raccomandata. Se hai bisogno di più tempo (perché stai raccogliendo documenti, ecc.), potresti contattare l’ufficio e segnalare che stai lavorandoci, per tenerli buoni.

D: Se ho effettivamente trasmesso dei corrispettivi in ritardo ma ho pagato l’IVA regolarmente, cosa mi conviene fare?
R: In tal caso, sei fortunatamente in un ambito di violazione formale (nessuna evasione d’imposta). La cosa migliore da fare è eseguire un ravvedimento operoso pagando la sanzione ridotta di competenza. Di base, la sanzione sarebbe €100 per ogni giorno tardivo, ma con il ravvedimento pagherai solo una frazione di tale importo per ogni violazione, a seconda di quanto tempo è passato. Ad esempio, se ravvedi entro 90 giorni dalla violazione, paghi circa €11 per ciascuna (ossia 1/9 di €100). La lettera tipicamente arriva quando già sono passati 2-3 mesi dalla violazione, quindi potresti rientrare in 1/8 o 1/7 (circa €12,50 o €14 per ciascuna violazione). Sono importi davvero contenuti rispetto a qualsiasi altra ipotesi. Procedi così: calcoli l’importo, compili un modello F24 con codice tributo 8911 indicando l’anno di riferimento, e versi. Successivamente, magari comunica all’Agenzia (tramite l’indirizzo indicato) che hai provveduto al ravvedimento fornendo la copia dell’F24, così archiviano la posizione. Ti conviene fare tutto questo prima che l’Agenzia emetta l’atto sanzionatorio, altrimenti il ravvedimento non sarà più ammesso.

D: Se invece mi rendo conto che a causa del ritardo ho anche saltato il versamento di un po’ di IVA, che faccio?
R: In tal caso la cosa è più seria perché c’è un’imposta non versata nei termini. Devi fare un ravvedimento “doppio”:

  • Versa immediatamente l’IVA dovuta per quelle operazioni, con gli interessi giornalieri al tasso legale. Usa il codice tributo IVA del periodo (per esempio 6004 se era aprile e sei trimestrale, o 603X se sei trimestrale).
  • Paga la sanzione ridotta sul mancato versamento IVA. La sanzione ordinaria per omesso versamento è il 30% dell’imposta non versata. Se ravvedi entro 90 giorni dal termine, paghi il 3,33%; entro un anno ~3,75%; oltre un anno ~4,17% (fino ad accertamento 5%). Quindi è comunque conveniente. Ad esempio su €1.000 di IVA non versata, se ravvedi “tardi” (oltre anno ma prima di accertamento) pagherai €50 di sanzione invece di €300. Codice tributo 8904 per sanzione da omesso versamento.
  • Se l’operazione non era proprio documentata, l’ufficio potrebbe inquadrare come fattispecie di omessa fatturazione (90%). Ma tu pagando l’IVA e il 30% stai già sanando la parte più importante (spesso l’Agenzia, vedendo che hai pagato l’IVA con ravvedimento e annessa sanzioncina, potrebbe non procedere oltre, oppure contestare formalmente l’omessa memorizzazione con 90% – ma tu potrai difenderti dicendo che hai già assolto). In generale, pagando imposta + interessi + sanzioncine ridotte, rientri in regola. Anche qui, è bene avvisare l’ufficio di averlo fatto, allegando i pagamenti.
    In sintesi: se c’era IVA dovuta, ravvediti su quell’IVA (che è prioritario per evitare il 30% pieno) e risolvi contestualmente la parte formale. Così, quando poi l’Agenzia valuterà il tuo caso, troverà tutto sistemato: IVA pagata (non possono più accertartela) e violazione formale già sanzionata (anche se con sanzione ridotta, è legittimo).

D: Qual è il codice tributo esatto per pagare le sanzioni da ravvedimento per tardiva trasmissione corrispettivi?
R: Si utilizza il codice 8911 – “sanzioni amministrative tributarie (riferite a imposte erariali)”. È un codice generico che copre varie sanzioni in sede di ravvedimento. Va indicato l’“anno di riferimento” del periodo d’imposta a cui si riferisce la violazione (es: 2024 se la violazione è avvenuta in quell’anno). Nell’F24, nella sezione Erario, metti: codice 8911, anno, importo sanzione. Se stai ravvedendo più violazioni, puoi sommare gli importi in un unico rigo (preferibile dettagliare nel calcolo a parte per te). Attenzione: se invece ravvedi anche IVA, per l’IVA userai i codici del tributo IVA (per dire, 6008 per agosto mensile, 6031 per I trim trimestre, ecc.) con anno e importo imposta, e per gli interessi il codice 1991 (interessi di ravvedimento su tributi erariali). Ma per la sola sanzione tardiva registrazione (formale) 8911 è quello giusto.

D: Devo inviare qualche comunicazione dopo aver pagato col ravvedimento?
R: Non è obbligatorio inviare nulla, perché il ravvedimento è un atto unilaterale del contribuente: l’Agenzia se ne accorge quando incrocia i versamenti F24 con la tua posizione. Tuttavia, è consigliabile rispondere alla lettera di compliance (ad esempio via PEC all’indirizzo dell’ufficio mittente o tramite Civis/fax se indicato) allegando copia dell’F24 e dichiarando che hai regolarizzato in data X mediante ravvedimento. Questo aiuta a chiudere subito la pratica e ad evitare che per disguido parta comunque un atto sanzionatorio. La tua comunicazione verrà presa in carico e di solito riceverai una risposta di archiviazione o comunque non ti arriverà più nulla. In mancanza, potrai comunque provare successivamente che avevi ravveduto in tempo (ma meglio essere proattivi).

D: Nella lettera c’è scritto che posso segnalare se ho elementi o fatti da rappresentare. Cosa significa?
R: Vuol dire che se ritieni la segnalazione inesatta o incompleta, hai modo di spiegarti. Ad esempio: “In quei giorni indicati, il registratore di cassa era guasto e l’ho comunicato, poi ho inviato i dati cumulati appena riparato, allego copia del registro di emergenza e del verbale di riparazione.” Oppure: “Risulta tardiva la trasmissione del 10/10/2024, ma preciso che in tale data non vi sono state operazioni (negozio chiuso per inventario), per questo non c’è un file trasmesso; non trattasi dunque di violazione.” O ancora: “Ho verificato che la trasmissione è avvenuta il giorno 13, quindi entro i 12 giorni (forse un disallineamento di orario ha fatto risultare il 13 come 14 nel vostro sistema). Allego screenshot del portale che mostra la data di invio.” Insomma, se hai giustificazioni concrete, comunicale. Questo può evitare la sanzione del tutto, se convinci l’Agenzia. È uno spazio di dialogo: usa toni chiari e documenta con allegati.

D: Cosa succede se non rispondo alla lettera di compliance e non faccio nulla?
R: Se effettivamente c’era un’irregolarità, purtroppo l’Agenzia a quel punto procederà con la fase successiva. Ovvero, dopo un certo periodo (mesi o anche più di un anno, dipende dai carichi di lavoro) emetterà un atto di contestazione sanzioni oppure un avviso di accertamento (se c’è imposta evasa) e te lo notificherà. In quell’atto troverai l’importo delle sanzioni calcolate secondo le norme (non più ridotte), e avrai 60 giorni per pagarle (con riduzione di 1/3 in caso di acquiescenza) o per fare ricorso. Ad esempio, se avevi 5 ritardi formali e non hai fatto ravvedimento, potresti ricevere un atto da 5×100 = €500 (o magari un po’ meno se applicano cumulo, ma facciamo €500). Potrai ancora evitare il contenzioso pagando entro 60 gg un terzo = ~€167. Ma è più di quanto avresti pagato ravvedendoti (forse 50-60 euro totali). Se c’era imposta non pagata, l’atto includerà il recupero di quell’IVA + interessi + sanzione 30% (che si riduce a 1/3 se paghi subito quindi 10% – comunque di più del ravvedimento). In pratica, ignorare la lettera ti espone a pagare di più dopo. A meno che tu non abbia le prove che l’Agenzia ha torto – ma allora tanto valeva dirglielo prima, no? In sintesi: non succede nulla di catastrofico immediatamente, ma perdi la chance di sistemare a buon mercato, e nel peggiore dei casi sfoci in una cartella esattoriale se poi non paghi.

D: Poniamo che l’Agenzia mi mandi la sanzione e io a quel punto voglio contestarla davanti al giudice. Posso ancora farlo?
R: Sì, ogni atto che ti notifica l’Agenzia è impugnabile entro 60 giorni. Quindi, se ricevi l’atto di irrogazione sanzioni e ritieni sia ingiusto, puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria. Nel ricorso potrai far valere tutte le tue ragioni: ad esempio che la violazione era formale e quindi, per legge, non andava nemmeno punita (art.10 Statuto), o comunque al massimo con la sanzione minima. Ci sono stati casi in cui i giudici hanno annullato sanzioni di questo tipo richiamando proprio la natura formale e le sentenze di Cassazione. Naturalmente dovrai portare le prove che l’IVA era versata regolarmente. Se invece effettivamente l’IVA mancava, su quello c’è poco da fare: potresti giusto chiedere clemenza su eventuali duplicazioni di sanzioni o errori procedurali. Considera anche che, se arrivi al punto del ricorso, hai perso la riduzione di 1/3 per acquiescenza. Ma se pensi di vincere, provi. Il giudice potrebbe ad esempio ridurti la sanzione o annullarla. Nota: se il tuo caso è chiaramente di violazione formale sanata, è probabile che l’ufficio manco arrivi a fare l’atto; se lo fa, è probabile tu abbia buone chance. Se è sostanziale (IVA evasa) e contestano, di solito in ricorso si punta più a ridurre sanzioni (es. cumulo, circostanze attenuanti) che annullarle del tutto.

D: Le sanzioni per queste violazioni possono essere cumulate? Se ho 100 giorni di ritardo devo pagare 100×100 = €10.000?
R: In linea teorica prima della riforma 2024 sì, ogni trasmissione omessa era €100 senza tetto, dunque 100 violazioni = €10.000. Però in sede di applicazione pratica interviene il cumulo giuridico (art.12 D.Lgs.472/97): esso prevede che se con più azioni violi la stessa disposizione (violazioni omogenee), di regola si applica una sola sanzione aumentata. Non c’è una formula fissa, ma un criterio: la sanzione base è quella più grave tra le violazioni, aumentata da 1/4 fino al doppio. Nel tuo caso, tutte le violazioni hanno uguale gravità (€100). Quindi sanzione base €100, aumentata. Se sono 100 violazioni, l’aumento massimo è il doppio, quindi arrivi a €100×(1+100%) = €200. Quindi paradossalmente il cumulo giuridico in caso di tante violazioni formali porterebbe a €200 totali (massimo). Questo in teoria. In pratica molti uffici, prima del 2024, non applicavano spontaneamente il cumulo giuridico (alcuni sì). Dal 2024 però la norma ha reso obbligatorio applicare il cumulo più favorevole. Quindi sì, 100 violazioni formali dal 2024 non supereranno il tetto €1000/trimestre comunque. E se pure pre-2024 contestassero €10.000, quasi sicuramente un giudice ridurrebbe con cumulo (vedi Cass. 2021: ha detto chiaramente che tardive fatture = formali, quindi cumulo giuridico). Perciò, la risposta è: no, non pagherai 100×100 in sede finale. O c’è il tetto normativo (1.000 a trimestre per fatti post-2024), o c’è il cumulo giuridico da far valere (per fatti pre-2024).

D: Ho già avuto in passato altre contestazioni per scontrini non emessi; questa lettera di compliance per tardivi invii può farmi sospendere la licenza per recidiva?
R: No, sono due fattispecie diverse. La sospensione della licenza (art.12 D.Lgs. 471/97) scatta dopo 4 violazioni di mancata emissione di scontrino/ricevuta fiscale accertate in tempi diversi, ed è decisa dall’Agenzia in caso di contestazioni definite (pagate o passate in giudicato). Nel tuo caso, la lettera riguarda tardiva trasmissione, non mancata emissione. Se tu avessi rilasciato lo scontrino al cliente ma inviato tardi i dati, non rientra nella recidiva per sospensione (che punta a chi non fa lo scontrino proprio). Quindi, anche se hai avuto 2 multe in passato perché non avevi fatto lo scontrino al controllo, e ora hai 2 tardivi invii, queste ultime non contano per la recidiva (sono un’altra disposizione di legge). Fai attenzione però: se per caso la tardiva trasmissione era dovuta al fatto che non avevi proprio emesso lo scontrino (e poi magari l’hai fatto in ritardo retrodatandolo), allora è in realtà un caso di mancata emissione originaria. Ma se la lettera di compliance lo ha rilevato, in genere è perché c’era almeno un invio tardivo, segno che lo scontrino poi c’è stato. Dunque stai tranquillo: la lettera di compliance non comporta di per sé misure interdittive.

D: Qual è la normativa di riferimento per queste sanzioni?
R: I riferimenti chiave sono:

  • D.Lgs. 471/1997, art. 6 commi 1 e 2-bis: disciplina le sanzioni per mancata documentazione/registrazione di operazioni IVA. Il comma 2-bis (introdotto dalla L.178/2020) specifica il 90% per corrispettivi non trasmessi (poi ridotto al 70% dal 2024). Il comma 1 dà 90-180% per fatture omesse (ora 70-140%).
  • D.Lgs. 471/1997, art. 11, comma 2-quinquies: introdotto anch’esso dalla L.178/2020, prevede i €100 fissi per violazioni che non incidono sull’IVA (con tetto 1000/trimestre aggiunto dal 2024).
  • D.Lgs. 472/1997, art. 13: ravvedimento operoso (regime delle riduzioni).
  • D.Lgs. 472/1997, art. 12: cumulo giuridico delle sanzioni.
  • Legge 212/2000, art. 10, c.3 (Statuto del contribuente): non punibilità violazioni formali.
  • Provvedimento AE 6 marzo 2023 n. 61196: ha stabilito come vengono individuate e messe a disposizione del contribuente le informazioni su fatture/corrispettivi tardivi (praticamente l’atto che ha dato via alle lettere di compliance del 2023).
  • Circolare AE 6/E del 20/03/2023: chiarimenti su irregolarità formali sanabili, in cui l’Agenzia conferma che fatture e corrispettivi tardivi senza effetto sull’imposta sono violazioni formali sanabili.
  • Decreto Legislativo 14/06/2024 n. 87 (attuazione delega fiscale): ha modificato in senso “afflittivo mite” varie sanzioni, tra cui quelle di cui sopra (90→70%, minimi 500→300, tetto €1000 per trasmissioni).

Nella sezione Fonti in fondo a questa guida trovi riferimenti più puntuali a normative e documenti.

D: Ma in definitiva, se ho fatto tardi ma non ho nascosto nulla al Fisco, possono comunque multarmi?
R: Sì, possono, anche se in misura ridotta. Purtroppo, dal punto di vista normativo attuale, il semplice ritardo nell’adempimento è comunque una violazione amministrativa, seppure formale, e comporta una sanzione (100€) come “ricompensa” per la non tempestività. La logica è: hai creato un (piccolo) intralcio ai controlli comunicando tardi i dati, quindi una multa minima è giustificata. Non importa che l’Erario non ci abbia perso soldi, l’obbligo formale va rispettato. Detto ciò, se il caso tuo è di pochi giorni di ritardo e tutto il resto in regola, è possibile che in sede di contestazione (o anche di giudizio) prevalga la clemenza: ad esempio, ci sono stati casi in cui l’ufficio nemmeno sanziona se il ritardo è stato brevissimo e non sistematico, oppure il giudice applica l’art. 10 Statuto esonerandoti. Ma non è garantito. Quindi, da un lato c’è il principio di non punibilità formale, dall’altro la norma specifica dei €100. In pratica, aspettati la sanzione di 100€ (riducibile a 1/9 col ravvedimento). Se proprio vuoi fare battaglia di principio perché il ritardo era irrilevante, potresti provare in Commissione a fartela annullare del tutto – con qualche chance se l’errore è microscopico.

D: D’ora in poi come posso evitare problemi di questo tipo?
R: Alcuni consigli pratici:

  • Verifica regolarmente le trasmissioni: se hai un registratore telematico, fai in modo di controllare che ogni chiusura invii correttamente (molti RT stampano uno scontrino di esito invio o comunque mostrano messaggi di errore). Se noti errori, intervieni subito (riavvia, chiama tecnico).
  • Registro di emergenza: tienilo a portata. Se l’RT si rompe, usa il registro di emergenza per annotare i corrispettivi manualmente e poi trasmetti il prima possibile. Questo ti tutela: se sul registro c’è tutto, poi anche se trasmetti tardi per cause di forza maggiore non dovresti essere punito.
  • Connessione internet: assicurati di avere una linea stabile per l’RT. Spesso i ritardi capitano perché salta la rete e l’esercente se ne accorge dopo giorni. Magari imposta un alert col tecnico.
  • Formazione: se hai personale addetto alle casse, istruiscili bene. A volte i collaboratori fanno chiusura ma dimenticano di fare “invio” se manuale, o spengono la macchina prima dell’invio. Procedurizza queste cose.
  • Consulta periodicamente Fatture e Corrispettivi: c’è un’area dove puoi vedere gli “esiti dei corrispettivi”. Se vedi trasmissioni mancanti o scarti, intervieni subito. Ad esempio, può capitare un file scartato dal sistema (magari per un errore di formattazione): quello è come non inviato, ma tu non lo sai se non entri nel portale. Ogni tanto controllare evita accumuli di errori.
  • Rispetto dei 12 giorni: se per esigenze particolari non riesci a inviare entro 12 giorni (es: sei in vacanza, il negozio è aperto ma tu trasmetti cumulativamente al ritorno), sappi che formalmente non è regolare. Devi delegare qualcuno o trovare un modo, altrimenti rischi sanzioni.
  • Conserva la documentazione: in caso di problemi, avere i giornali di fondo, gli scontrini emessi, le chiusure Z, i log, ti permette di dimostrare che non c’è stata frode. Allora eventualmente discuterai solo del ritardo tecnico.

D: Questa vicenda incide sul mio “affidabilità fiscale” o su indici di compliance futura (ISA, ecc.)?
R: Non direttamente. Le lettere di compliance non influiscono sugli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità) se non per il fatto che se non correggi eventuali errori, potresti poi avere accertamenti. Ma non c’è un meccanismo di punteggio legato alle trasmissioni tardive, al momento. Tuttavia, molte lettere di compliance vengono inviate anche a chi risulta molto difforme dagli ISA o ha anomalie. Quindi mantenere buona compliance sugli adempimenti sicuramente giova alla percezione di affidabilità. Diciamo che, risolvendo ora questa cosa e stando attento in futuro, eviterai bandierine rosse sul tuo profilo fiscale.


Abbiamo coperto una vasta gamma di temi, dal tecnico al pratico. In definitiva, il messaggio chiave è: se ricevi una lettera di compliance per ritardo dei corrispettivi, non andare nel panico. Analizza la situazione, agisci prontamente – regolarizza se serve – e interlocuisci con il Fisco. Così trasformerai una potenziale multa pesante in poco più di un buffetto amministrativo, difendendo i tuoi diritti ma anche adempiendo ai tuoi doveri fiscali.

Di seguito, per completezza, forniamo l’elenco delle fonti normative, di prassi e giurisprudenziali citate, che potrai consultare per approfondire ogni aspetto trattato.

Fonti e riferimenti normativi

  • Cassazione Civile n. 27678/2013 – Tardiva annotazione corrispettivi non punibileSentenza Cass. 11 dicembre 2013 n. 27678, commentata da StudioCerbone. Principio: la tardiva registrazione dei corrispettivi, se senza debito d’imposta, è mera violazione formale e non va sanzionata ai sensi dell’art.10 Statuto. La sentenza richiede di valutare concretamente il pregiudizio e onera l’Amministrazione di dimostrarlo; il mero ritardo di per sé non ostacola i controlli se non accompagnato da altri elementi.
  • Cassazione Civile n. 16450/2021 – Ritardo fatturazione = violazione formaleSentenza Cass. 10 giugno 2021 n. 16450, principi di diritto richiamati da ConsulenzaAgricola (prot.382/2021). Stabilisce che la tardiva emissione fatture è violazione formale se non incide su base imponibile/imposta. Conseguentemente, va applicato il cumulo giuridico per pluralità di infrazioni formali. La sentenza ribadisce la necessità di accertare in concreto l’assenza di danno erariale.
  • Circolare AE n. 6/E del 20 marzo 2023 – Tregua fiscale, irregolarità formali – Documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate. Chiarisce che l’invio tardivo delle e-fatture allo SdI (se fattura inclusa in liquidazione IVA corretta) è un mero errore formale sanabile, e parimenti sanabile è l’omesso invio dei corrispettivi elettronici se memorizzati e con IVA versata. Queste indicazioni confermano la distinzione formale/sostanziale per fatture/corrispettivi tardivi. (Vedi Comunicato Stampa AE 20/3/2023).
  • D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 – Riforma sanzioni amministrative (attuazione Delega fiscale) – Nota Informativa Comufficio n.37/2024. Elenca le novità in vigore dal 1° settembre 2024: riduzione dal 90% al 70% della sanzione per mancata/ritardata memorizzazione/trasmissione corrispettivi, abbassamento minimo edittale da €500 a €300, introduzione tetto €1.000/trimestre per sanzioni fisse da €100. Conferma la sanzione omessa verificazione periodica RT in misura fissa €250-€2.000. Specifica applicazione solo a violazioni post-1/9/24 (no favor rei).

Normativa primaria: DPR 633/1972 (art. 6 e 24), D.Lgs. 127/2015 (art. 2 commi 5 e 6-ter), D.Lgs. 471/1997 (artt. 6, 11, 12), D.Lgs. 472/1997 (artt. 7, 12, 13, 16), L.212/2000 art.10 c.3, L.178/2020 (commi 1109-1111), L.197/2022 (commi 166-173, 174-178), D.Lgs. 13/2024 e 87/2024 (modifiche sanzioni).

Lettera di compliance per ritardo registrazione corrispettivi? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per la tardiva registrazione dei corrispettivi?
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Negli ultimi anni, con l’obbligo di registratori telematici e trasmissione elettronica dei corrispettivi, l’Agenzia delle Entrate effettua controlli incrociati in tempo reale. Un ritardo nella registrazione, anche di pochi giorni, può generare segnalazioni e inviti alla regolarizzazione. Sebbene non sia un accertamento vero e proprio, se non si risponde o non si sana la violazione, si rischiano sanzioni e controlli più approfonditi.


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Conclusione
Una lettera di compliance per ritardo nella registrazione dei corrispettivi non deve trasformarsi in una sanzione pesante.
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