Contraddittorio Agenzia Delle Entrate: Come Farlo Bene

Hai ricevuto un invito al contraddittorio dall’Agenzia delle Entrate e vuoi sapere come affrontarlo al meglio?
Il contraddittorio è il momento in cui il contribuente può interloquire con il Fisco prima dell’emissione di un avviso di accertamento, presentando chiarimenti, documenti e difese. È una fase decisiva: gestirla bene può evitare l’avvio di un contenzioso o ridurre in modo significativo l’importo richiesto.

Quando si viene chiamati al contraddittorio
– Quando l’Agenzia delle Entrate riscontra incongruenze nei dati dichiarati
– Quando, a seguito di controlli incrociati, emergono operazioni sospette o redditi non dichiarati
– Quando viene notificato un processo verbale di constatazione (PVC) da parte della Guardia di Finanza
– Quando è in corso un accertamento su base analitica o induttiva
– Quando il Fisco intende contestare agevolazioni fiscali ritenute non spettanti

Perché il contraddittorio è importante
– Permette di chiarire errori o equivoci prima che diventino atti definitivi
– Consente di fornire documenti e prove a sostegno della propria posizione
– Può portare a un’archiviazione totale o parziale della pretesa fiscale
– Evita il rischio di contenziosi lunghi e costosi
– In alcuni casi, può aprire la strada a soluzioni agevolate come l’accertamento con adesione

Come prepararsi bene a un contraddittorio
– Analizzare attentamente l’invito e individuare le contestazioni mosse
– Farsi assistere da un avvocato tributarista o da un professionista esperto in contenzioso fiscale
– Raccogliere tutti i documenti e le prove utili (fatture, contratti, estratti conto, documentazione tecnica)
– Prevedere le possibili domande e preparare risposte chiare e coerenti
– Evitare dichiarazioni frettolose o non supportate da prove
– Richiedere, se necessario, un rinvio per poter preparare una difesa più completa

Cosa fare durante il contraddittorio
– Esporre con ordine e precisione le proprie argomentazioni
– Consegnare copia dei documenti e chiedere che vengano acquisiti agli atti
– Annotare tutto ciò che viene detto e le posizioni espresse dai funzionari
– Mantenere un atteggiamento collaborativo ma fermo nel far valere i propri diritti
– Evitare ammissioni non necessarie che possano essere usate contro di te

Cosa si può ottenere con una gestione efficace del contraddittorio
– L’archiviazione totale o parziale della contestazione
– La riduzione dell’importo richiesto grazie a chiarimenti e prove
– L’accesso a definizioni agevolate con sanzioni ridotte
– Un verbale finale che tuteli la tua posizione in caso di contenzioso
– La possibilità di prevenire l’emissione di un avviso di accertamento

Attenzione: affrontare un contraddittorio senza preparazione o senza assistenza qualificata può compromettere la tua difesa. È un’opportunità per risolvere la questione in modo rapido e meno oneroso, ma va sfruttata al massimo con una strategia ben studiata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega come affrontare un contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, quali errori evitare e come ottenere il miglior risultato possibile.

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Introduzione

Il contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate è il momento in cui il contribuente, prima che venga emesso un atto impositivo definitivo (come un avviso di accertamento), ha la possibilità di essere informato delle contestazioni fiscali mosse nei suoi confronti e di fornire le proprie osservazioni, prove e giustificazioni. In altre parole, è il diritto di essere “ascoltato” dall’amministrazione finanziaria prima che questa formalizzi la pretesa tributaria. Si tratta di una garanzia fondamentale, espressione dei principi del diritto di difesa e del giusto procedimento, volta a evitare errori, soprusi o imposizioni arbitrarie da parte del Fisco.

Dal punto di vista del contribuente (sia esso un privato cittadino, un imprenditore individuale o il legale rappresentante di una società), saper gestire correttamente il contraddittorio può fare la differenza tra un esito favorevole – come l’archiviazione della contestazione o la riduzione dell’imponibile accertato – e un aggravamento della propria posizione debitoria. Questa guida, aggiornata a luglio 2025, offre un’analisi approfondita e avanzata dell’istituto del contraddittorio in ambito tributario italiano, tenendo conto delle più recenti novità normative (in particolare la riforma fiscale del 2023–2024) e delle sentenze di legittimità e costituzionali più recenti. Il taglio è pratico-divulgativo ma con linguaggio giuridico rigoroso, rivolto sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a contribuenti esperti che vogliono comprendere come tutelare al meglio i propri diritti.

Nelle sezioni seguenti esamineremo dapprima il quadro normativo e giurisprudenziale del contraddittorio endoprocedimentale (ossia nel procedimento amministrativo di accertamento), distinguendo i vari tipi di controllo fiscale e le relative garanzie. Successivamente analizzeremo la fase pre-contenziosa, ovvero gli strumenti deflattivi del contenzioso che coinvolgono il contraddittorio (come l’accertamento con adesione e la mediazione tributaria), e il contraddittorio nella fase contenziosa davanti alle Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie). Saranno presentate tabelle riepilogative per schematizzare i principali casi in cui il contraddittorio è obbligatorio o facoltativo e le eccezioni previste. Inoltre, una sezione di Domande e Risposte affronterà i quesiti più comuni (ad esempio: quando il contraddittorio è obbligatorio? Cosa succede se l’Agenzia non lo attiva? Come prepararsi a una convocazione?). Infine, tramite alcune simulazioni pratiche, vedremo esempi concreti di come si svolge il contraddittorio e quali strategie difensive adottare per “farlo bene”, massimizzando le chance di un esito positivo per il contribuente.

Prima di entrare nel vivo, sottolineiamo un concetto chiave: il contraddittorio non è una mera formalità burocratica, bensì un momento di effettivo confronto e partecipazione. Se gestito correttamente, esso può addirittura evitare l’emissione dell’atto impositivo (ad esempio quando le spiegazioni del contribuente convincono l’Ufficio a non procedere). Anche quando non si riesce a evitare l’accertamento, avere sfruttato appieno lo spazio di dialogo preventivo consente di costruire un’eventuale successiva difesa in giudizio molto più solida, avendo già messo agli atti le proprie argomentazioni e avendo costretto l’Ufficio a motivare in modo dettagliato le ragioni per cui le respinge (la cosiddetta “motivazione rafforzata” dell’avviso, di cui diremo più avanti).

Iniziamo quindi esaminando come il contraddittorio è disciplinato nell’ordinamento tributario italiano, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale sino al 2025.

Il quadro normativo e giurisprudenziale sul contraddittorio endoprocedimentale

Principi generali e fonti normative

Il principio del contraddittorio impone che in qualsiasi procedimento amministrativo, e in particolare in materia tributaria, il destinatario del provvedimento abbia la possibilità di interloquire con l’amministrazione prima che venga adottata una decisione sfavorevole. Tale principio trova fondamento a vari livelli:

  • A livello europeo, è espressione del diritto al buon andamento e alla buona amministrazione (art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali UE) e del diritto di difesa del contribuente nell’ambito dei tributi armonizzati (come IVA e dazi doganali). La Corte di Giustizia UE, sin dalla sentenza Sopropé del 2008, ha riconosciuto che il diritto di essere ascoltati prima dell’adozione di un provvedimento lesivo è un principio fondamentale dell’ordinamento UE applicabile anche in materia fiscale armonizzata. Questo significa che, ad esempio, in materia di IVA il contraddittorio deve essere garantito, pena l’illegittimità dell’atto, salvo che la sua omissione non abbia in concreto inciso sul contenuto (concetto della “prova di resistenza” di derivazione europea, di cui diremo oltre).
  • A livello costituzionale italiano, il contraddittorio si ricollega ai principi del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del giusto procedimento (desumibile dagli artt. 97 e 111 Cost.). La Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto che non esista (almeno fino alle riforme recenti) un obbligo costituzionale specifico di introdurre un contraddittorio generalizzato in tutti i procedimenti tributari, lasciando al legislatore la discrezionalità in materia. In una recente pronuncia (sent. n. 47/2023), la Consulta – pur ribadendo l’importanza del contraddittorio come strumento per garantire sia il diritto di difesa del contribuente sia il miglior esercizio della potestà impositiva evitando contenziosi inutili – ha dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale volta a estendere per via giudiziaria il contraddittorio a tutti gli accertamenti “a tavolino”, sottolineando che tale scelta spetta al Parlamento.
  • A livello di legislazione ordinaria, la principale fonte era ed è lo Statuto dei diritti del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212). In particolare, l’art. 12, comma 7, L.212/2000 prevedeva – e prevede tuttora – che se viene effettuata una verifica fiscale presso la sede del contribuente (accessi, ispezioni o verifiche nei locali dell’impresa o dello studio professionale), gli organi di controllo al termine delle operazioni rilascino un processo verbale di chiusura delle operazioni (PVC). Da quel momento il contribuente ha 60 giorni di tempo per presentare osservazioni e richieste scritte, e l’ufficio impositore può emettere l’avviso di accertamento solo dopo la scadenza di tale termine (salvo casi di particolare urgenza opportunamente motivati). Inoltre, se il contribuente presenta osservazioni che non vengono accolte, l’avviso di accertamento deve contenerne adeguata motivazione (la cosiddetta “motivazione rafforzata”). Questa disposizione ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento tributario italiano un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, ma limitato ai casi di verifica in loco.

Oltre allo Statuto del contribuente, altre norme specifiche prevedevano l’obbligo di contraddittorio in determinate situazioni, ad esempio:

  • Accertamento sintetico/redditometro: l’art. 38, comma 7, DPR 600/1973 (nel testo applicabile agli accertamenti “redditometrici”) obbliga l’ufficio, prima di emettere un accertamento basato sul redditometro (ricostruzione sintetica del reddito in base a spese e indici di spesa), a invitare il contribuente a fornire spiegazioni e prove contrarie. Solo dopo questo contraddittorio, e valutate le giustificazioni, si può procedere all’emissione dell’atto. La mancata attivazione di tale contraddittorio rendeva (e rende tuttora) nullo l’accertamento sintetico per espressa previsione di legge e secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato.
  • Accertamenti standardizzati da studi di settore (strumenti presuntivi statistici utilizzati fino agli anni d’imposta 2017–2018): la legge imponeva (art. 10, L. 146/1998) che prima di emettere un accertamento basato sugli studi di settore il contribuente fosse invitato al contraddittorio. La giurisprudenza confermava che l’atto emesso in assenza di tale confronto preventivo fosse nullo. Analoghe garanzie si applicano oggi agli accertamenti basati sugli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) – sebbene gli ISA abbiano finalità prevalentemente premiali e di selezione dei contribuenti da controllare, un eventuale accertamento fondato sulle risultanze ISA deve comunque rispettare il contraddittorio secondo i principi generali.
  • Provvedimenti di revoca o decadenza da benefici fiscali: l’art. 6, comma 5, L.212/2000 stabilisce che prima di emanare un atto che revochi un beneficio o dichiari la decadenza da un’agevolazione, l’amministrazione finanziaria deve comunicare al contribuente i motivi del provvedimento, concedendo almeno 60 giorni per presentare osservazioni. Anche questo è un contraddittorio “preventivo” previsto a tutela dell’affidamento del contribuente nei confronti di agevolazioni già concesse.

In sintesi, fino a tempi recenti il quadro normativo italiano prevedeva il contraddittorio obbligatorio solo in fattispecie determinate: verifiche fiscali presso il contribuente, accertamenti da redditometro, accertamenti standardizzati, ecc. Negli altri casi – in particolare per gli accertamenti “a tavolino” basati su controlli documentali in ufficio – nessuna norma generale imponeva all’Agenzia delle Entrate di avvisare il contribuente e sentirlo prima di emettere l’atto. Ciò ha dato luogo a un lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che esaminiamo nel prossimo paragrafo.

Giurisprudenza antecedente la riforma 2019-2024: l’obbligo generalizzato mancato

Di fronte al silenzio della legge in molti casi di accertamenti “a tavolino”, la questione se esistesse un principio generale di contraddittorio nel diritto tributario è stata affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2015. Con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, le Sezioni Unite hanno affermato che non sussiste, per i tributi “non armonizzati” (ossia quelli diversi dall’IVA e dagli altri di derivazione UE), un obbligo generalizzato per l’Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso, salvo che ciò sia previsto espressamente da una norma. In pratica, secondo la Cassazione, per imposte come IRPEF, IRES, IRAP, etc., l’ufficio può legittimamente notificare un accertamento senza previo confronto col contribuente, a meno che la legge disponga diversamente (come nei casi visti prima). Diversamente, per i tributi “armonizzati” (in primis l’IVA), la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE impone il rispetto del contraddittorio come principio generale: di conseguenza, un avviso di accertamento IVA emesso senza contraddittorio preventivo è illegittimo, ma la sua invalidità in giudizio è subordinata alla condizione che il contribuente alleghi e provi quale difesa avrebbe potuto far valere se fosse stato ascoltato (appunto la “prova di resistenza”). Questa impostazione “duale” è stata recepita dalle Sezioni Unite: obbligo di contraddittorio per l’IVA (derivante dal diritto UE, con invalidità dell’atto se l’assenza di contraddittorio ha leso concretamente il diritto di difesa); nessun obbligo per le imposte nazionali (salvo norme ad hoc), in nome di una scelta discrezionale del legislatore.

Questa pronuncia ha fatto molto discutere. Da un lato si è detto che negare il contraddittorio per i tributi “interni” creava una disparità di trattamento ingiustificata tra contribuenti e andava contro la tendenza europea a rafforzare le garanzie partecipative. Dall’altro, la Cassazione ha giustificato la differenza col fatto che, ad esempio, nell’IVA v’è un obbligo comunitario superiore, mentre per le imposte sui redditi il legislatore italiano aveva fino ad allora volutamente limitato l’obbligo a pochi casi. La conseguenza pratica, fino a pochi anni fa, era la seguente:

  • Se un contribuente riceveva un accertamento IVA derivante da un controllo a tavolino senza essere mai stato sentito, poteva in giudizio contestare la violazione del diritto al contraddittorio invocando i principi UE. Il giudice, per annullare l’atto, doveva però valutare se il contribuente avesse indicato quali elementi avrebbe portato in contraddittorio e se questi potessero verosimilmente influire sull’esito. In sostanza, l’assenza di contraddittorio era causa di nullità “relativa”, sanabile se l’apporto mancante non avrebbe comunque cambiato nulla.
  • Se invece l’accertamento riguardava solo tributi nazionali (es. IRPEF, IRES) e veniva emesso senza contraddittorio, il contribuente non aveva, secondo la Cassazione, un diritto generale da far valere. Poteva contestare l’atto solo per altri motivi (merito, vizi formali, ecc.), ma non semplicemente perché non era stato attivato un confronto (tranne ripetiamo i casi particolari in cui una norma lo prevedeva, come verifiche in loco, redditometro, ecc.).

Vale la pena ricordare che negli stessi anni alcuni tribunali di merito e una parte della dottrina hanno provato a percorrere la strada di estendere il contraddittorio mediante i principi costituzionali. Ad esempio, alcune Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali annullavano accertamenti “a tavolino” senza contraddittorio ritenendo violato l’art. 3 Cost. (uguaglianza) per disparità rispetto alle verifiche in loco. Tali tentativi non hanno però trovato accoglimento definitivo in sede di legittimità né presso la Corte Costituzionale. La Consulta, interpellata più volte, ha sempre evitato interventi additivi, sottolineando che l’estensione del contraddittorio è materia di politica legislativa. Emblematica è la già citata Corte Cost. n. 47/2023, nella quale si contestava l’art. 12, c.7, Statuto nella parte in cui non prevede il contraddittorio per gli accertamenti a tavolino: la Corte ha dichiarato inammissibile la questione, evidenziando che nel caso concreto il contraddittorio era stato “sostanzialmente” rispettato tramite scambio di documenti, ma soprattutto affermando che non spetta ad essa generalizzare il contraddittorio con una pronuncia, essendo aperto un cantiere di riforma legislativa sull’argomento.

Le riforme dal 2019 al 2024: verso il contraddittorio “generalizzato”

Consapevole delle incertezze e dei contenziosi nati dalla situazione sopra descritta, il legislatore italiano è intervenuto più volte negli ultimi anni per ampliare le garanzie di contraddittorio. Possiamo distinguere due fasi normative principali:

1. Introduzione dell’“invito obbligatorio” al contraddittorio (2019-2020). Con il Decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (cd. “Decreto Crescita”), convertito con modifiche dalla L. 58/2019, è stata inserita una norma nel D.Lgs. 19 giugno 1997 n. 218 (quello che disciplina l’accertamento con adesione) per estendere il contraddittorio a molti accertamenti a tavolino. In particolare l’art. 4-octies del DL 34/2019 ha introdotto nel D.Lgs. 218/97 il nuovo art. 5-ter “Invito obbligatorio”. Questa disposizione, in vigore per gli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020, stabilisce che:

  • Prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio deve notificare un invito a comparire al contribuente (per avviare il procedimento di eventuale accertamento con adesione), salvo che il contribuente abbia già beneficiato di un contraddittorio perché c’è stato un PVC a seguito di verifica in loco. In altre parole, si evita duplicazione: se c’è stato un controllo sul posto con processo verbale e già la possibilità di osservazioni nei 60 gg, non serve un ulteriore invito.
  • Sono esclusi dall’obbligo di invito alcuni casi specifici: in particolare gli accertamenti parziali previsti dall’art. 41-bis DPR 600/73 (in materia di imposte sui redditi) e quelli parziali ex art. 54, c.3 e 4, DPR 633/72 (in materia IVA). Tali “accertamenti parziali” di solito sono quelli emessi rapidamente sulla base di un singolo elemento, senza analisi globale, spesso prossimi alla scadenza dei termini. Il legislatore li ha esclusi ritenendo che in quei casi la rapidità d’intervento prevalga sulla necessità di contraddittorio preventivo.
  • In casi di particolare urgenza motivata o di fondato pericolo per la riscossione, l’ufficio può emettere direttamente l’avviso senza invito. Si pensi all’ipotesi di imminente scadenza del termine di decadenza (imminente prescrizione) o al caso in cui il contribuente stia per trasferirsi all’estero: in tali situazioni l’amministrazione può saltare il contraddittorio, ma deve indicare nell’atto le ragioni specifiche dell’urgenza.
  • Se l’invito è fatto e si svolge il contraddittorio ma non si raggiunge un accordo (mancata adesione), l’avviso di accertamento successivo deve essere motivato tenendo conto dei chiarimenti forniti dal contribuente. Questa è la già citata “motivazione rafforzata”: l’ufficio deve cioè spiegare perché le argomentazioni e i documenti prodotti non sono stati ritenuti sufficienti a evitare l’accertamento.
  • Infine – ed è un punto fondamentale – se l’ufficio, pur dovendo, non attiva il contraddittorio mediante l’invito obbligatorio (e non ricorre un caso di urgenza/pericolo legittimante), ciò comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento, a condizione però che in giudizio il contribuente dimostri le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio ci fosse stato. Questa clausola riprende la logica della “prova di resistenza”: la nullità non è automatica, ma subordinata alla prova di una potenziale utilità concreta del contraddittorio mancato. Spetta quindi al contribuente, nel ricorso, indicare quali elementi difensivi non ha potuto anticipare per colpa dell’ufficio e come questi potrebbero incidere sull’esito.

Con l’art. 5-ter D.Lgs. 218/97, dunque, dal 2020 l’ordinamento tributario ha conosciuto un obbligo di contraddittorio preventivo generalizzato ma parziale: “generalizzato” perché applicabile a tutte le imposte principali (redditi, IVA, IRAP, sostitutive, IVIE/IVAFE, ecc. ) e a tutte le tipologie di controlli sostanziali, salvo eccezioni specifiche; “parziale” perché rimanevano esclusi alcuni atti (accertamenti parziali, liquidazioni automatiche) e permaneva comunque l’onere del contribuente di provare la rilevanza della difesa non svolta in caso di mancato invito. In pratica, per gli atti emessi dal 1° luglio 2020 al 29 aprile 2024, se l’Agenzia delle Entrate omette il contraddittorio laddove previsto da art. 5-ter, l’atto è annullabile su eccezione del contribuente, previa dimostrazione di un concreto pregiudizio difensivo.

È importante notare che l’Agenzia delle Entrate aveva già da tempo, in via amministrativa, incoraggiato i propri uffici ad utilizzare il contraddittorio in via preventiva anche quando non obbligatorio, per migliorare il rapporto con i contribuenti e prevenire contenziosi. La Circolare AE n. 17/E del 22 giugno 2020 ha chiarito l’ambito applicativo dell’art. 5-ter e ribadito che il contraddittorio è uno strumento da valorizzare. In particolare, la circolare evidenzia che rientrano nell’obbligo tutti gli accertamenti riguardanti imposte sui redditi (e addizionali), contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, IRAP, IVIE, IVAFE e IVA, ad esclusione degli atti indicati dalla norma (parziali). Inoltre, viene precisato che la nuova procedura non sostituisce ma si affianca agli istituti già esistenti: restano quindi ferme le specifiche norme di partecipazione del contribuente (ad esempio l’art. 12, c.7 Statuto per le verifiche in loco, o l’art. 38 DPR 600 per il redditometro). Infine, la circolare sottolinea l’importanza della “motivazione rafforzata” nell’avviso successivo al contraddittorio.

2. La svolta del 2023-2024: il contraddittorio generalizzato a regime. La disciplina introdotta nel 2019 è stata ulteriormente potenziata con la Riforma fiscale 2023. In particolare, la Legge Delega 9 agosto 2023 n. 111 ha previsto l’emanazione di decreti attuativi volti a rivedere il sistema dei controlli fiscali e delle garanzie del contribuente. In attuazione di ciò, è stato emanato il D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219, in vigore dal 18 gennaio 2024, che ha modificato lo Statuto del contribuente introducendo l’art. 6-bis intitolato proprio al “Principio del contraddittorio”. Questa norma segna un cambiamento epocale: stabilisce infatti al comma 1 che «tutti gli atti impositivi autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giustizia tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo». In altri termini, qualsiasi avviso di accertamento o atto equiparato (avvisi di liquidazione, provvedimenti di irrogazione sanzioni, ecc. purché impugnabili) deve essere preceduto da contraddittorio, altrimenti è nullo.

Tuttavia, la portata del nuovo art. 6-bis non è assoluta: il comma 2 prevede che siano esclusi dall’obbligo gli atti automatizzati o di pronta liquidazione e quelli da controllo formale delle dichiarazioni, individuati tramite apposito decreto ministeriale, nonché i casi di fondato pericolo per la riscossione (analogamente a prima). La ratio è chiara: per gli atti “automatici” (ad esempio liquidazioni matematiche di tributi dichiarati, controllo formale ex art. 36-ter DPR 600/73, ecc.) un confronto preventivo sarebbe inutile, dato che non c’è margine di discrezionalità né contestazioni di merito da discutere. Su questa base, il MEF ha emanato il D.M. 24 aprile 2024 (pubblicato in G.U. il 30/4/2024) che elenca in dettaglio le 14 tipologie di atti esclusi dal contraddittorio generalizzato. Tra questi rientrano, ad esempio:

  • Atti “automatizzati” basati su mere risultanze di banche dati: rientrano in questa categoria i ruoli e le cartelle di pagamento, gli atti di recupero emessi dall’Agente della Riscossione, nonché gli accertamenti parziali sulle imposte dirette/IVA e gli atti di recupero di crediti d’imposta indebiti, quando tali atti siano predisposti esclusivamente incrociando dati già disponibili (senza attività istruttoria ulteriore). In pratica, se il Fisco scopre da incroci automatici (es. Anagrafe dei conti, spesometro, ecc.) una difformità e procede con un accertamento parziale immediato, questo può essere fatto senza contraddittorio (come già era per i 41-bis, ora confermati).
  • Atti di mera liquidazione o intimazione di pagamento: ad esempio le intimazioni di pagamento emesse per decadenza da rateazione o ex art. 50 DPR 602/73, i solleciti di pagamento di tributi già liquidati, ecc. rientrano tra gli atti esclusi.
  • Atti relativi a omessi versamenti facilmente verificabili: il DM esclude, tra gli altri, gli accertamenti per omesso o insufficiente versamento di tasse automobilistiche (bollo auto) e relative addizionali, le liquidazioni per decadenza da agevolazioni registro/ipotecarie (es. perdita benefici “prima casa”), gli avvisi di liquidazione conseguenti a rettifiche di rendite o altri adeguamenti catastali, nonché atti di recupero nel settore delle accise dovute secondo la contabilità dei depositi fiscali. Sono tutte situazioni in cui l’ufficio non deve accertare un nuovo imponibile, ma solo riscuotere importi non pagati o revocare benefici, operazioni in cui la difesa del contribuente verte su aspetti formali/documentali più che sostanziali.

È importante precisare che il DM elenca gli atti esclusi dal contraddittorio preventivo obbligatorio, ma ciò non significa che in tali procedure manchino del tutto tutele per il contribuente. Come espressamente indicato, restano ferme “le altre forme di interlocuzione preventiva” previste dalle norme specifiche. Ad esempio, il controllo formale delle dichiarazioni (ex art. 36-ter DPR 600/73) prevede già per legge l’invio al contribuente di una comunicazione degli esiti, con 30 giorni per fornire chiarimenti o pagare spontaneamente (il cosiddetto “avviso bonario”). Analogamente, in caso di decadenza da agevolazione registro, spesso l’ufficio invia un questionario o una richiesta di documenti. Dunque, l’esenzione dall’art. 6-bis non elimina ogni dialogo, ma semplicemente esonera da un contraddittorio strutturato in sede di accertamento con adesione.

Un ulteriore elemento della riforma è il coordinamento temporale. Siccome il D.Lgs. 219/2023 è entrato in vigore a gennaio 2024, ma il DM attuativo è arrivato ad aprile, c’è stato un breve periodo di incertezza. Per risolverlo, è intervenuto il D.L. 29 marzo 2024, n. 39 (convertito con L. 73/2024), il quale all’art. 7 ha stabilito che le disposizioni dell’art. 6-bis Statuto si applicano solo agli atti emessi dal 30 aprile 2024. Pertanto, riassumendo il regime transitorio:

  • Per gli atti notificati fino al 30 aprile 2024 (compreso), continua a valere la disciplina precedente: dunque l’obbligo di contraddittorio solo dove previsto da art. 5-ter D.Lgs. 218/97 o altre norme specifiche, con necessità per il contribuente di provare il pregiudizio in caso di omissione.
  • Per gli atti emessi dal 1° maggio 2024 in poi, si applica il nuovo art. 6-bis L.212/2000: obbligo generalizzato di contraddittorio, pena nullità dell’atto (annullabilità), salvo atti esentati da DM o casi di pericolo per la riscossione. In questi nuovi casi la nullità è tendenzialmente “automatica”, nel senso che la legge non menziona più la prova di resistenza a carico del contribuente (a differenza di art. 5-ter). Dunque, se l’ufficio emette un avviso di accertamento dal 2024 senza aver instaurato il contraddittorio nonostante l’atto non rientri tra le eccezioni, il vizio è immediatamente contestabile e sufficiente per l’annullamento, indipendentemente dal merito.

Va da sé che questa riforma ha reso obsoleto (per il futuro) il dibattito esistente fino al 2023: dal 2024 anche le imposte “non armonizzate” godono finalmente di un contraddittorio obbligatorio, per espressa volontà di legge. Resta utile, tuttavia, conoscere la giurisprudenza pregressa per gestire le liti relative ad atti di anni passati ancora pendenti, nonché per interpretare correttamente alcune situazioni particolari (ad esempio, capire se un atto è “automatizzato” e quindi legittimamente senza contraddittorio, oppure no). Inoltre, permangono questioni pratiche: una di esse è la forma del contraddittorio. La norma parla di contraddittorio “informato ed effettivo”, ma non specifica le modalità: in genere l’Agenzia usa l’istituto dell’accertamento con adesione (invito a comparire, incontro, verbalizzazione). Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che non esiste una forma vincolata per il contraddittorio: esso può realizzarsi anche attraverso uno scambio di comunicazioni scritte, come ad esempio l’invio di un questionario al contribuente e l’esame delle sue risposte. Ciò che conta è che al contribuente sia data una concreta possibilità di replicare alle contestazioni prima dell’atto finale.

Nei prossimi capitoli vedremo in dettaglio tutte le principali tipologie di accertamento e come si innesta in esse il contraddittorio, sia nella vigenza delle regole transitorie che a regime dopo la riforma, adottando sempre la prospettiva pratica di chi deve difendersi.

Tipologie di accertamento e momenti del contraddittorio

Non tutti i controlli fiscali seguono lo stesso iter, e il ruolo del contraddittorio può variare a seconda della tipologia di accertamento. Di seguito distinguiamo i casi principali, evidenziando quando e come scatta il contraddittorio secondo la normativa vigente (pre e post riforma 2024).

Verifiche fiscali sul posto (accessi, ispezioni, verifiche)

Le verifiche condotte presso la sede del contribuente (sia esso un’azienda, uno studio professionale o anche l’abitazione, nei limiti consentiti) sono disciplinate dall’art. 12 dello Statuto. Qui il contraddittorio assume la forma delle osservazioni al PVC:

  • Al termine della verifica, i verificatori (Agenzia Entrate o Guardia di Finanza) redigono un processo verbale di constatazione (PVC) con i rilievi riscontrati. Una copia viene consegnata al contribuente.
  • Da quel momento scattano 60 giorni durante i quali l’ufficio non può emanare l’avviso di accertamento, e il contribuente può presentare memorie, documenti, controdeduzioni in risposta ai rilievi.
  • L’ufficio, nel decidere se e come emettere l’atto, deve valutare le osservazioni. Se decide comunque di procedere, l’avviso di accertamento dovrà riportare non solo i rilievi (spesso facendo riferimento al PVC), ma anche le eventuali difese presentate e i motivi del mancato accoglimento (motivazione rafforzata).
  • Se l’ufficio emette l’atto prima dei 60 giorni senza urgenza, l’atto è nullo per violazione dell’art. 12 comma 7 Statuto. Questa nullità è ormai pacifica ed è stata riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale (sent. 37/2015) come sanzione a tutela del contraddittorio procedimentale in loco. In giudizio, quindi, il contribuente può far valere questo vizio in autonomia.
  • La riforma 2024 non ha abrogato l’art. 12, che rimane in vigore. Dunque per le verifiche iniziate con accesso si continua a seguire questa procedura specifica. Possiamo dire che l’art. 6-bis Statuto assorbe l’art. 12 c.7 nei suoi principi generali, ma quest’ultimo resta rilevante per i dettagli operativi (es. il termine preciso di 60 giorni).

Dal punto di vista difensivo, per il contribuente la fase del PVC è cruciale: è il momento di ribattere punto per punto alle contestazioni, magari fornendo quei documenti o spiegazioni che durante il controllo non erano immediatamente disponibili. Ad esempio, se i verbalizzanti contestano ricavi non contabilizzati in base a certa documentazione reperita, il contribuente nei 60 giorni può produrre ulteriore documentazione giustificativa o fornire spiegazioni alternative. È bene che tali memorie siano dettagliate e documentate, perché se ignorate dall’ufficio potranno costituire un forte argomento difensivo in giudizio (il giudice potrà rilevare che l’ufficio ha agito in modo non diligente ignorando elementi forniti in sede pre-contenziosa). Una simulazione pratica: la società Alfa srl subisce una verifica e nel PVC viene contestata l’indeducibilità di certi costi per mancanza di inerenza. Alfa, entro i 60 gg, presenta una memoria con contratti e perizie che dimostrano l’attinenza di quei costi all’attività. Se l’ufficio emette comunque l’accertamento confermando il rilievo, dovrà confutare quelle prove nella motivazione; se non lo fa o lo fa sommariamente, in sede di ricorso si potrà eccepire il difetto di motivazione dell’atto per mancato confronto con le difese già esposte.

Va ricordato che al termine della verifica in loco, oltre alla presentazione di osservazioni scritte, il contribuente può anche valutare di avviare subito un accertamento con adesione ai sensi dell’art. 5, c.1-bis, D.Lgs. 218/97 sui verbali di constatazione. Tale facoltà (reintrodotta dalla riforma fiscale del 2023) consente, in caso di PVC con rilievi, di chiedere entro 30 giorni un confronto in ufficio per definire consensualmente le risultanze prima ancora che arrivi l’avviso. Se intrapresa, questa strada sospende di 90 giorni i termini per l’accertamento e, se si raggiunge un accordo, permette di chiudere la vicenda col pagamento ridotto delle sanzioni (1/18, secondo le nuove regole post-riforma, invece di 1/3). Torneremo sull’adesione ai PVC più avanti.

Conclusione pratica: Nelle verifiche sul posto, il contribuente deve utilizzare al meglio i 60 giorni post-PVC. In questa fase non c’è un “invito” formale perché il contraddittorio è implicito nel meccanismo stesso della verifica: ma è un contraddittorio a tutti gli effetti, sancito per legge. Non rispondere al PVC è generalmente sconsigliabile: si perde un’occasione per chiarire e magari convincere l’ufficio (in alcuni casi, memorie ben strutturate hanno portato al ripensamento di alcuni rilievi). Inoltre, non avendo controdedotto nulla, in giudizio sarà più difficile introdurre nuovi elementi, e si rischia che il giudice percepisca il contribuente come poco collaborativo. È invece bene depositare memorie dettagliate, farsi eventualmente assistere da un professionista in questa redazione, e protocollare tutto presso l’ufficio competente.

Accertamenti “a tavolino” su imposte dirette e IVA (controlli sostanziali in ufficio)

Per accertamenti a tavolino intendiamo quelli svolti dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate senza un accesso presso il contribuente, ma basandosi su controlli documentali e incroci di dati. Esempi tipici: controlli sostanziali della dichiarazione (oltre il mero controllo formale), analisi dei movimenti bancari comunicati dalle banche, riscontri con altre banche dati (spesometro, fatture elettroniche, anagrafe tributaria), richiesta al contribuente di documenti integrativi inviati via PEC o prodotti allo sportello, etc.

Prima della riforma 2019/2020, molti di questi accertamenti potevano arrivare “a sorpresa” al contribuente, senza preavviso, salvo il caso in cui l’ufficio volontariamente inviasse un questionario o invito. Dal 2020 in avanti, con l’entrata in vigore dell’art. 5-ter D.Lgs. 218/97, la regola è diventata la seguente:

  • Se l’ufficio intende emettere un avviso di accertamento (per IRPEF, IRES, IVA, IRAP, ecc.) basato su controlli effettuati in ufficio, deve prima inviare un “invito al contraddittorio” al contribuente, ovvero una comunicazione (di solito via PEC o raccomandata) in cui lo convoca per un certo giorno presso l’ufficio, al fine di discutere i rilievi emersi e, eventualmente, raggiungere un accordo con l’istituto dell’adesione. Nell’invito sono normalmente indicati in sintesi gli elementi oggetto di possibile rettifica, così da mettere il contribuente in condizione di prepararsi. Questo invito equivale a un’apertura del procedimento di accertamento con adesione, con tutte le garanzie del caso.
  • Il contribuente, ricevuto l’invito, può partecipare alla data fissata (personalmente o tramite professionista delegato) oppure chiedere un rinvio motivato (di solito con istanza scritta entro la data, l’ufficio in genere concede una nuova data). Durante il contraddittorio, si instaura un dialogo: l’ufficio espone le risultanze (es: “abbiamo riscontrato ricavi non dichiarati per X euro, o costi indeducibili per Y euro, etc.”) e il contribuente può controdedurre verbalmente, esibire documenti, spiegare le proprie ragioni.
  • Spesso il contraddittorio può richiedere più di un incontro: può succedere che alla prima comparizione il contribuente consegni documenti e l’ufficio si riservi di esaminarli, fissando una seconda riunione. In altri casi, l’ufficio può formulare una proposta di adesione (ad esempio riducendo parzialmente il rilievo, o invitando il contribuente a fare una propria proposta di definizione).
  • Se si raggiunge l’accordo, si redige un atto di adesione con il nuovo ammontare di imposte concordato, che il contribuente firma e si impegna a pagare (beneficiando delle sanzioni ridotte a un terzo). Se non si raggiunge l’accordo, l’ufficio potrà emettere l’avviso di accertamento decorsi almeno 60 giorni dalla data dell’invito originario (l’avvio del procedimento di adesione sospende per 90 giorni i termini per impugnare l’eventuale atto e, per prassi, anche la sua emissione viene posticipata a dopo che il tentativo è concluso). L’avviso dovrà essere motivatamente emanato* in riferimento ai chiarimenti forniti dal contribuente.
  • Come già evidenziato, la mancata attivazione di questo invito quando dovuto rende l’atto invalido se il contribuente, impugnandolo, dimostra quali elementi avrebbe prospettato durante il contraddittorio (ad esempio presentando in giudizio quei documenti o argomentazioni che avrebbe potuto presentare prima).

Con la riforma art. 6-bis dal 2024, la situazione per gli accertamenti a tavolino ordinari diventa ancor più stringente: tutti devono essere preceduti da contraddittorio (non solo imposte sui redditi e IVA, ma letteralmente qualsiasi tributo, incluse ad esempio l’imposta di registro per rettifiche di valore, l’imposta di successione, etc., purché si tratti di atti impugnabili). La differenza è che non c’è più la “prova di resistenza”: l’atto emesso in violazione è annullabile di per sé. Inoltre, mentre l’art. 5-ter incanalava il contraddittorio necessariamente nell’ambito dell’accertamento con adesione (invito a comparire ex art.5), l’art. 6-bis lascia teoricamente libertà di forme, purché il contraddittorio sia “informato ed effettivo”. In pratica comunque l’Agenzia continuerà a usare la struttura dell’adesione, anche perché è quella che consente un’eventuale definizione bonaria.

Eccezioni da ricordare: gli accertamenti parziali a tavolino restano esclusi (prima per espressa previsione di art. 5-ter, ora confluiti tra gli atti automatizzati esclusi dal DM 2024). Ciò significa che se l’ufficio emette, ad esempio, un avviso parziale IRPEF basato su un unico rilievo (per esempio il controllo di una sola fonte di reddito non dichiarato), e se tale atto rientra tra quelli elencati come automatizzati, non vi è nullità per mancato contraddittorio. Tuttavia attenzione: la definizione di “parziale” non è sempre chiarissima e la sua estensione è oggetto di interpretazione. In genere un 41-bis viene preceduto da una breve istruttoria e spesso da questionari. Se un accertamento non reca formalmente la dicitura “parziale” ed è invece un accertamento “ordinario” (anche su singolo rilievo), l’ufficio dovrebbe attivare il contraddittorio. In caso di dubbio, conviene per il contribuente eccepire comunque la violazione del contraddittorio: sarà l’ente a dover dimostrare che l’atto rientrava tra le eccezioni.

Un altro caso peculiare: gli accertamenti conseguenti a questionari non risposti. Capita spesso che l’ufficio invii al contribuente un questionario ex art. 32 DPR 600/1973 chiedendo di fornire entro tot giorni dati e documenti. Questo di per sé è una forma di contraddittorio iniziale, in quanto serve a “dialogare” col contribuente prima di concludere l’istruttoria. Se il contribuente non risponde o rifiuta di esibire i documenti richiesti, la legge prevede sanzioni procedurali: in particolare, l’art. 32 citato stabilisce che i documenti non esibiti in risposta a richiesta formale non possono poi essere prodotti in sede contenziosa, a meno che il contribuente dimostri che la loro mancata esibizione non è dipesa da sua volontà (ad esempio, perché non li possedeva o per causa di forza maggiore). La Cassazione ha precisato che questa preclusione (grave per la difesa) opera solo se l’amministrazione aveva formulato una richiesta specifica e puntuale, accompagnata dall’avvertimento esplicito circa le conseguenze della mancata ottemperanza. Se manca tale avvertimento, il contribuente non può essere sanzionato con l’inutilizzabilità dei documenti tardivi. Dal punto di vista pratico: rispondere sempre ai questionari, almeno per chiedere proroga motivata, è fondamentale. Ignorare un questionario può portare l’ufficio a emanare un accertamento sulla base dei dati che ha, e se poi si portano in giudizio elementi nuovi, ci si potrebbe scontrare con la preclusione dell’art. 32 (se il giudice ritiene che volutamente non li avete esibiti prima). In ogni caso, l’invio del questionario è considerato dalla giurisprudenza come indice di rispetto del contraddittorio: la Cassazione ha affermato che il contraddittorio preventivo non implica necessariamente la convocazione fisica del contribuente, potendo realizzarsi anche tramite scambio di comunicazioni scritte quali i questionari. Quindi, se avete ricevuto un questionario, non potrete poi lamentare di non essere stati sentiti – quella era la sede per interloquire.

Accertamento sintetico del reddito (Redditometro)

Merita un focus l’accertamento sintetico (detto anche “redditometro” nella sua forma particolare): esso consiste, in estrema sintesi, nel determinare un reddito “presunto” del contribuente in base alle spese sostenute e ad altri indicatori di ricchezza, confrontandolo col reddito dichiarato. La legge e la prassi hanno sempre previsto una garanzia forte di contraddittorio in questa procedura, poiché si basa su presunzioni spesso contestabili. Procedura:

  • L’ufficio seleziona il contribuente il cui tenore di vita appare sproporzionato rispetto al reddito. Prima di emettere qualsiasi atto, invia un invito a comparire indicando le spese accertate e la determinazione sintetica del reddito.
  • In sede di contraddittorio, il contribuente può fornire la prova contraria: ad esempio dimostrare che quelle spese sono state finanziate con redditi esenti o risparmi di anni precedenti, con donazioni o prestiti ricevuti, o contestare le quantificazioni. La legge consente di provare che il finanziamento delle spese non deriva da redditi tassabili dell’anno, con ogni mezzo (anche dichiarazioni di terzi, visto che nel procedimento amministrativo sono ammesse).
  • Solo se il contribuente non fornisce giustificazioni sufficienti, l’ufficio può procedere ed emanare l’accertamento sintetico. La mancata attivazione del contraddittorio, come già detto, comporta la nullità insanabile dell’atto per espressa previsione normativa.
  • Questa procedura è stata di fatto “incorporata” nel nuovo obbligo generalizzato, ma rimane una disciplina speciale di riferimento.

Dal punto di vista del contribuente, il redditometro è un tipico esempio di come “far bene” il contraddittorio possa ribaltare la situazione. Spesso, infatti, le presunzioni di spesa possono essere vinte con spiegazioni puntuali: es. Tizio nel 2022 ha acquistato un’auto di lusso da 80.000€, ma può dimostrare che metà dell’importo gliel’ha donata il padre e il resto deriva da risparmi accumulati negli anni precedenti. Questi elementi, se documentati (atto di donazione, estratti conto), convinceranno l’ufficio che non c’è un reddito “in nero” ma fonti lecite già tassate o escluse. E se anche l’ufficio non si convince del tutto, un giudice tributario potrebbe invece ritenere esaustive le prove. Numerose sentenze di merito hanno annullato accertamenti sintetici proprio apprezzando la documentazione prodotta in contraddittorio e criticando l’ufficio per non averla adeguatamente considerata.

Pertanto, consiglio pratico: chi riceve un invito per redditometro deve raccogliere prima della comparizione quante più evidenze possibili a supporto delle proprie argomentazioni (conti bancari, contratti di mutuo, attestazioni di terzi, ecc.), presentarle all’ufficio e assicurarsi che siano messe a verbale. In caso di dissenso, queste stesse prove costituiranno il nucleo della difesa in Commissione Tributaria.

Va segnalato infine che il “redditometro” come strumento di accertamento di massa è stato in parte superato negli ultimi anni (si parla di “redditometro 2.0” con soglie più alte e controlli mirati ai grandi evasori), e integrato da approcci più moderni (liste selettive, utilizzo di big data e intelligenza artificiale). Ciò non toglie che la logica difensiva tradizionale rimane valida: trasparenza sull’origine dei fondi e ricostruzione dettagliata della propria situazione economica per confutare le presunzioni del Fisco.

Accertamenti da studi di settore e ISA

Gli studi di settore, applicabili fino ai periodi d’imposta 2017 (poi sostituiti dagli ISA), erano strumenti che stimavano i ricavi/compensi attesi di un’impresa o professione in base a caratteristiche settoriali e di struttura. Se il contribuente dichiarava ricavi inferiori al minimo stimato, l’ufficio poteva procedere ad accertamento. Fin da subito la legge ha richiesto il contraddittorio: il contribuente doveva essere invitato a spiegare le ragioni dello scostamento prima di emettere l’atto, pena la nullità di quest’ultimo. Questo principio è stato affermato anche dalla Cassazione in plurime sentenze. In sede di contraddittorio, il contribuente poteva evidenziare situazioni particolari (ad esempio calo di attività per cause specifiche non colte dallo studio, errori nei dati, concorrenza, ecc.). Se le giustificazioni erano ragionevoli, l’ufficio spesso evitava l’accertamento o riduceva la pretesa.

Con l’introduzione degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA), a partire dal 2018, l’approccio è cambiato: l’ISA attribuisce un punteggio di affidabilità e, se basso, può far scattare un controllo, ma non determina automaticamente un nuovo reddito presunto. In caso di controllo su un contribuente con ISA basso, l’ufficio tratterà il caso come un accertamento ordinario, applicando quindi il contraddittorio preventivo generalizzato (oggi ex art. 6-bis). Quindi, pur non essendoci una norma specifica come per gli studi di settore, nella pratica se l’ufficio intende muovere rilievi basati anche sugli ISA (es. disallineamenti), inviterà il contribuente al confronto. Il contribuente potrà analogamente far valere i “fatti concreti” non esprimibili col punteggio ISA (ad esempio: “ho un ISA 5/10 perché ho avuto elevate spese straordinarie quell’anno, ma ciò non implica evasione”).

Altri casi particolari di contraddittorio

  • Accertamenti bancari: quando l’ufficio utilizza i dati dei conti correnti (movimenti finanziari) del contribuente, la legge presume che eventuali versamenti non giustificati costituiscano ricavi non dichiarati (art. 32 DPR 600/73). Prima di concludere, in genere gli uffici inviano al contribuente un questionario o una richiesta di chiarimenti su ciascuna movimentazione anomala. Come già spiegato, rispondere è essenziale: ogni importo non giustificato verrà ripreso a tassazione. Anche se la norma non impone espressamente un invito formale, la prassi consolidata funge da contraddittorio: se mancasse del tutto (caso raro, di solito qualcosa viene chiesto), con la nuova disciplina post-2024 l’atto sarebbe annullabile. In giudizio, in ogni caso, il contribuente può ancora spiegare la provenienza dei versamenti, ma potrebbe subire la preclusione probatoria se aveva taciuto volutamente in precedenza.
  • Avvisi di liquidazione imposta di registro: sono atti che spesso riguardano la riqualificazione o il ricalcolo di valore di atti notarili (compravendite, donazioni). Fino al 2023 generalmente venivano emessi senza un contraddittorio preventivo, a meno di prassi locali (talvolta gli uffici mandavano una proposta di adesione su valore). Dal 2024, rientrando tra gli “atti impositivi impugnabili”, anche gli avvisi di liquidazione per maggior valore dovranno essere preceduti da invito, tranne quelli che rientrano tra le eccezioni del DM (ad es. decadenza da agevolazioni o rettifiche catastali sono in elenco di esclusione, quindi per queste specifiche fattispecie si può procedere direttamente). Ciò significa che, ad esempio, un avviso di liquidazione per revoca di agevolazione “prima casa” (decadenza) può essere emesso subito, mentre un avviso di liquidazione per maggior valore di un immobile probabilmente rientra tra quelli per cui servirebbe contraddittorio (non essendo menzionato tra eccezioni se non in parte: il DM cita “rettifiche” catastali e decadenze, non la stima in sé).
  • Tributi locali (IMU, TARI, ecc.): Questi in passato non erano coperti dallo Statuto del contribuente per il contraddittorio (Cassazione ha escluso obblighi generalizzati ad es. per l’IMU). La riforma 2024, riferendosi a “atti impugnabili dinanzi alla giustizia tributaria”, include in teoria anche i tributi locali. Tuttavia, il decreto attuativo DM potrà aver escluso alcuni di questi atti se considerati automatizzati (ad esempio gli avvisi TARI spesso sono liquidazioni automatiche). Bisogna quindi distinguere caso per caso. Certamente un accertamento IMU per omessa dichiarazione (atto discrezionale) dovrebbe ora essere preceduto da contraddittorio; un avviso di liquidazione IMU per mero omesso versamento, invece, è atto automatico e come tale escluso.
  • Sanzioni amministrative tributarie: l’irrogazione di sole sanzioni (es. atto di contestazione) è anch’essa impugnabile e rientra quindi nell’art. 6-bis. Prima, non c’era obbligo di contraddittorio se non in rari casi. Dal 2024, se l’ufficio volesse emettere ad esempio una sanzione per infedele dichiarazione (separata dall’accertamento), dovrebbe convocare il contribuente prima. Anche qui, tuttavia, va considerato che raramente si hanno sanzioni separate: di solito viaggiano con l’accertamento principale. Negli atti “automatizzati” esclusi rientrano comunque le sanzioni da omesso versamento (che sono contestate con avvisi di pagamento senza contraddittorio, come da DM alla lettera d)).

La fase pre-contenziosa: strumenti deflattivi e ruolo del contraddittorio

Per fase pre-contenziosa intendiamo quel periodo successivo all’emissione di un atto (o comunque successivo all’insorgere di una pretesa fiscale) ma precedente – ed eventualmente alternativo – al contenzioso dinanzi al giudice. In questa fase esistono vari strumenti che consentono di evitare il processo, spesso con vantaggi sanzionatori per il contribuente, e che implicano forme di contraddittorio con l’amministrazione. I principali istituti deflattivi sono:

  • Accertamento con adesione (ordinario): disciplinato dal D.Lgs. 218/1997, consente al contribuente che ha ricevuto un avviso di accertamento (o un provvedimento di irrogazione sanzioni) di chiedere all’ufficio un confronto per eventualmente “rimodulare” la pretesa d’imposta. La richiesta di adesione va presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. L’ufficio è tenuto a convocare il contribuente entro 15 giorni dalla domanda. Si svolge quindi un contraddittorio simile a quello visto prima, dove le parti discutono e – se trovano un accordo – formalizzano l’adesione con la rideterminazione delle imposte e sanzioni (ridotte a 1/3, oppure dal 2023 a 1/18 se l’adesione riguarda processi verbali o alcuni casi premiali). Se non si trova l’accordo, viene redatto verbale di mancato accordo; il contribuente, in virtù della presentazione dell’istanza, beneficia comunque di un allungamento dei termini per fare ricorso (invece di 60 giorni dalla notifica dell’atto, ha 150 giorni) e la riscossione è sospesa nel frattempo. Quando usarlo: l’adesione dopo un avviso è consigliabile quando la pretesa è almeno in parte condivisibile o comunque c’è spazio negoziale (es. questioni di valutazione, quantificazione). È un’occasione di contraddittorio “a posteriori” che, pur non potendo evitare l’atto ormai emesso, può evitare un lungo processo trovando un compromesso. Dal punto di vista del contraddittorio, questa sede permette talvolta di far emergere elementi che l’ufficio non conosceva e che potrebbero portare a uno sgravio parziale. Se l’adesione fallisce, tutto ciò che è stato discusso non vincola formalmente nessuno, ma l’ufficio potrebbe comunque tenerne conto in autotutela (ad esempio annullando parzialmente l’atto se si è reso conto di un errore macroscopico).
  • Acquiescenza e definizione agevolata: l’“acquiescenza” è l’adesione senza contraddittorio, ovvero la scelta del contribuente di non impugnare un avviso di accertamento e pagarlo beneficiando di una riduzione delle sanzioni (solitamente a 1/3). L’acquiescenza (art. 15 D.Lgs. 218/97) può anche riguardare solo alcune parti dell’atto (accettazione parziale). Non prevede un contraddittorio, anzi è l’alternativa “remissiva”. Può essere valutata quando il contribuente ritiene il contenzioso troppo rischioso o costoso e preferisce chiudere subito con lo sconto sulle sanzioni. In alcuni periodi recenti, normative speciali (come la definizione agevolata delle liti pendenti) hanno offerto ulteriori sconti per chiudere le dispute pagando solo l’imposta o frazioni di essa: si tratta di misure eccezionali che esulano dal contraddittorio (anzi, evitano di discutere nel merito).
  • Autotutela: è il potere/dovere dell’amministrazione di annullare o rettificare i propri atti illegittimi o infondati, anche senza attendere il giudice. Il contribuente può presentare in ogni momento un’istanza di autotutela all’ufficio, magari corredata da documenti e argomentazioni nuove. Questo è un contraddittorio facoltativo e informale: non c’è obbligo per l’ufficio di rispondere né termini. Tuttavia, in casi di evidente errore o di nuove prove a discarico, vale la pena tentare l’autotutela, che può portare all’annullamento totale o parziale dell’atto senza costi. Attenzione: la presentazione di un’autotutela non sospende i termini di ricorso! Dunque, se si è prossimi alla scadenza dei 60 giorni per impugnare, conviene comunque presentare il ricorso per sicurezza. L’autotutela è più efficace se esercitata prima di arrivare in giudizio (gli uffici sono più propensi a riconoscere un errore bonariamente in quella fase).
  • Reclamo-mediazione tributaria: istituito dal DLgs. 546/92 art. 17-bis, è la procedura obbligatoria per le liti di modesto importo. Attualmente (dal 2018) si applica per gli atti con valore fino a 50.000 euro. Il contribuente, anziché proporre subito ricorso alla Commissione Tributaria, deve presentare un “reclamo” all’ufficio che ha emesso l’atto, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto stesso. Questo reclamo vale già come ricorso (ha i contenuti del ricorso giurisdizionale), ma viene per i primi 90 giorni trattato in sede amministrativa: l’ufficio (tramite un apposito ufficio legale o una commissione interna diversa da chi ha emesso l’atto) esamina le motivazioni e può decidere di accogliere in autotutela, oppure formulare una proposta di mediazione al contribuente, di solito consistente in una riduzione parziale della pretesa o delle sanzioni. Se entro 90 giorni non si perfeziona un accordo, il reclamo produce effetti di ricorso e la controversia prosegue in Commissione. Durante questi 90 giorni la riscossione è sospesa ex lege. Il reclamo-mediazione di fatto introduce un contraddittorio “ibrido”: il contribuente espone tutte le sue ragioni come farebbe davanti al giudice, e l’Agenzia è chiamata a rivedere criticamente il proprio operato. Spesso questa è un’occasione per ottenere sconti sulle sanzioni (in mediazione le sanzioni minime applicabili sono ridotte al 35% invece che al 40% del minimo). Va detto che la mediazione ha avuto un successo moderato: gli uffici accolgono solo una percentuale limitata di reclami o propongono mediazioni se proprio la posizione del contribuente appare forte. Tuttavia è un passaggio obbligatorio per legge sotto la soglia indicata, e conviene sfruttarlo al meglio presentando un reclamo molto dettagliato (eventualmente integrato con documenti nuovi), perché anche se l’ufficio non recede, quelle argomentazioni saranno già agli atti per il successivo giudizio.
  • Conciliazione giudiziale: è uno strumento deflattivo che opera però dopo che il processo è iniziato. In primo e in secondo grado le parti possono trovare un accordo che chiude parzialmente o totalmente la lite, con riduzione di sanzioni (50% in primo grado, 60% in secondo grado). Il giudice omologa l’accordo con sentenza. Anche la conciliazione è un contraddittorio, sebbene ormai in sede processuale: tipicamente avviene durante la trattazione davanti alla Commissione, se il collegio o una parte sollecita un incontro. Dal 2023, nell’ambito della riforma della giustizia tributaria, si è incentivata la conciliazione ampliando i margini di sconto sanzioni e permettendo la rateazione degli importi dovuti. Questa opzione è utile quando, nel corso del giudizio, emergono elementi nuovi o si vuole evitare il rischio dell’appello/Cassazione con un compromesso.

Ruolo del contraddittorio in queste fasi: in tutti gli istituti citati, la chiave del successo sta nella comunicazione efficace con l’ente impositore. Ad esempio, nell’accertamento con adesione è determinante presentarsi con una chiara strategia: sapere quali punti concedere e quali contestare, portare documenti che l’ufficio magari non ha visto, evidenziare rischi di soccombenza che l’ufficio correrebbe in giudizio (se si vuole convincere l’ufficio a ridurre). Un contribuente (o il suo difensore) preparato può, nel contraddittorio pre-contenzioso, ottenere risultati impensabili se lasciasse correre direttamente al giudizio. Ad esempio, può emergere un errore di calcolo nell’atto: farlo notare all’ufficio in adesione può portare all’annullamento parziale immediato del rilievo, mentre se andasse in giudizio l’ufficio probabilmente verrebbe comunque sconfessato, ma con aggravio di tempo e spese. Oppure, se ci sono profili interpretativi dubbi, si può convincere l’ufficio ad adottare la linea più favorevole (magari citando circolari o prassi a favore del contribuente stesso).

Va anche considerato che, nel pre-contenzioso, certe volte il contribuente può far valere elementi equitativi o di opportunità che il giudice non potrebbe considerare. Ad esempio, si può rappresentare la difficile situazione economica e cercare una riduzione sanzioni o una rateazione più lunga; oppure si può prospettare che la controversia riguarda una materia in evoluzione in cui l’ufficio potrebbe preferire chiudere subito con un accordo piuttosto che rischiare di creare un precedente giudiziale negativo.

In sintesi, il contraddittorio pre-contenzioso offre un’ultima chance di dialogo: farlo bene significa arrivare preparati, con atteggiamento collaborativo ma fermo sui propri diritti, magari assistiti da un consulente esperto che conosce sia gli aspetti tecnici fiscali sia le leve negoziali. Se l’esito è positivo, si evita la causa; se è negativo, poco è perduto – anzi, come detto, si è spesso “testata” la controparte e affinato il tiro per il successivo contenzioso.

Il contraddittorio nel contenzioso tributario

Quando si arriva al processo tributario (ora davanti alle Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, ex Commissioni Tributarie), il termine “contraddittorio” assume il suo significato processuale di diritto delle parti di contrapporre le proprie argomentazioni davanti a un giudice terzo. In questa sede, il contraddittorio è garantito dalle norme processuali: entrambe le parti (contribuente ricorrente e ente impositore resistente) hanno la possibilità di depositare memorie, repliche, documenti, e di intervenire in pubblica udienza.

Alcune peculiarità del processo tributario italiano in rapporto al contraddittorio:

  • Si tratta di un processo principalmente documentale e scritto. Non è previsto l’esame orale di testimoni (art. 7 D.Lgs. 546/92 vieta la prova testimoniale diretta), né veri e propri dibattimenti orali come in un processo civile. La fase orale si riduce spesso a una discussione sintetica in pubblica udienza (che molte volte dura pochi minuti). Ciò significa che il contraddittorio scritto è essenziale: presentare per iscritto tutte le proprie difese e confutare per iscritto quelle avverse nelle memorie è l’unico modo per assicurare al giudice tutti gli elementi. Non ci si può aspettare, insomma, di convincere il giudice con oratoria in aula; bisogna farlo con gli atti.
  • Nonostante il divieto di testimoni, sono ammesse le dichiarazioni rese da terzi fuori dal giudizio, che il contribuente o l’ufficio possono produrre come documenti. Ad esempio, si può allegare una dichiarazione scritta di un cliente che conferma certe circostanze, oppure (per l’ufficio) una dichiarazione resa da un dipendente dell’azienda durante l’accesso. Queste dichiarazioni non hanno lo stesso peso di una testimonianza giurata, ma la Corte di Cassazione le ritiene valutabili liberamente dal giudice come indizi. Il contraddittorio processuale implica che la controparte possa contestare la credibilità o rilevanza di tali dichiarazioni.
  • Nel processo tributario, l’onere della prova è spesso ripartito in modo da tenere conto delle presunzioni legali. Ad esempio: se l’ufficio porta un PVC con certe risultanze, spetta al contribuente provare il contrario (tipicamente in accertamenti bancari o redditometrici); se però il contribuente in sede amministrativa non ha avuto modo di interloquire, potrà farlo davanti al giudice. Qui il contraddittorio assume un ruolo “riparatore”: il contribuente può fornire al giudice quelle spiegazioni non date prima (sempre che non sia incorso in preclusioni tipo art. 32 per mancata esibizione documenti, come detto). I giudici tributari, specie in primo grado, sono abbastanza sensibili al tema del contraddittorio: talvolta, ancor prima della riforma, alcune Commissioni annullavano atti proprio per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, valorizzando il principio di lealtà e cooperazione tra fisco e contribuente. Oggi, con l’art. 6-bis vigente, un vizio di questo tipo sarà ancora più frequentemente sollevato e accolto, trattandosi di violazione di legge espressa.
  • Un aspetto di novità (introdotto dalla L. 130/2022 di riforma del processo tributario) è la possibilità di assumere testimonianze “mediate”: non la classica testimonianza orale, ma la facoltà per la parte di chiedere al giudice di disporre che una determinata persona renda una dichiarazione su specifici fatti di cui è a conoscenza, in presenza di garanzie di veridicità (dichiarazione resa ex art. 10 comma 4-ter D.Lgs. 546/92). Questa innovazione, ancora poco sperimentata, di fatto reintroduce un contraddittorio probatorio più ampio in giudizio, che prima era precluso. Ad esempio, se c’è una lite sull’effettiva resa di un servizio, il contribuente potrebbe far dichiarare al suo cliente che il servizio c’è stato (o viceversa l’ufficio far dichiarare che il documento esibito è falso). Trattandosi di una procedura nuova, occorrerà vedere come verrà applicata, ma di certo aggiunge un altro livello di possibile dialettica processuale.
  • Contraddittorio e motivazione della sentenza: un punto da evidenziare è che se il contribuente eccepisce la violazione del contraddittorio endoprocedimentale (per esempio, atto emesso senza invito dove serviva), il giudice deve affrontare questa eccezione. Se la ritiene fondata, annullerà l’atto per vizio procedurale, senza nemmeno entrare nel merito. Se la ritiene non fondata (ad esempio, perché l’atto rientrava nelle eccezioni di legge, oppure perché il contribuente non ha indicato quale difesa avrebbe apportato), lo deve motivare in sentenza. In ogni caso, la questione “contraddittorio” diventa uno dei temi del contraddittorio processuale. Spesso l’ente impositore, nelle proprie controdeduzioni, cercherà di dimostrare che il contraddittorio è stato rispettato (citando eventuali questionari inviati, o la normativa di esclusione). Esempio pratico: Caio impugna un avviso emesso a marzo 2024 senza invito. Nel ricorso sostiene la nullità per violazione art. 5-ter D.Lgs. 218/97. L’ufficio nella sua risposta replica che trattasi di accertamento parziale basato su incroci e dunque non soggetto a invito obbligatorio. Il giudice dovrà pronunciarsi su chi ha ragione: se ritiene l’atto non fosse un vero “parziale”, allora darà ragione al contribuente e annullerà per difetto di contraddittorio; se invece concorda che era un atto escluso dall’obbligo, rigetterà questa eccezione e passerà a esaminare il merito del rilievo.
  • In giudizio, il fatto che l’avviso di accertamento sia provvisto di motivazione rafforzata (cioè discuta delle difese svolte dal contribuente nel contraddittorio) può influenzare l’esito. Un avviso ben motivato e dettagliato sarà più difficile da scalfire; viceversa, se il contribuente nota che l’atto è carente di motivazione proprio sui punti sollevati in sede di contraddittorio, potrà dedurre in giudizio un vizio di motivazione. Ad esempio, “l’ufficio ha omesso di prendere posizione su un documento cruciale che avevo esibito”: questo può essere considerato vizio di motivazione o anche sintomo di eccesso di potere (non aver considerato elementi significativi). I giudici possono in tal caso annullare l’atto per difetto di motivazione o istruttoria.

In definitiva, nel contenzioso il “come far bene” il contraddittorio riguarda l’utilizzo di tutti gli strumenti processuali per far valere i propri diritti:

  • Allegare tutto il possibile (documenti, memorie) già in primo grado, per evitare decadenze probatorie.
  • Replicare alle difese avversarie: se l’ufficio produce documenti nuovi (come documenti dei verificatori) nella costituzione, il contribuente può presentare memorie aggiuntive entro i termini per replicare.
  • Sollevare eccezioni procedurali (come quella sul contraddittorio stesso) tempestivamente, già nel ricorso introduttivo se note.
  • Non dare per scontato nulla: ciò che non è stato contraddetto può essere ritenuto ammesso. Quindi se l’ufficio afferma qualcosa di inesatto nelle controdeduzioni, è bene confutarlo in memoria.
  • Richiedere eventualmente consulenze tecniche se necessarie (nel contraddittorio giudiziale c’è anche questa possibilità, es. far nominare un perito per valutare un valore di mercato contestato).
  • Valutare la conciliazione se il giudizio prende una piega incerta e c’è spazio di accordo.

Ricordiamo sempre che il contraddittorio giudiziale avviene davanti a giudici terzi: è diverso dall’ambiente “bilaterale” contribuente-Fisco. Qui convincere il giudice è l’obiettivo di ciascuna parte. Perciò, se in sede precontenziosa era importante essere collaborativi, in sede contenziosa conta essere persuasivi e precisi. Ad esempio, se il contribuente lamenta la mancanza di contraddittorio, dovrà spiegare bene cosa avrebbe potuto dire (magari allegando proprio in ricorso quei documenti), altrimenti il giudice potrebbe ritenere il vizio non influente e salvare l’atto. Al contempo, se il contraddittorio c’è stato, ma l’ufficio non ne ha tenuto conto, enfatizzarlo in giudizio serve a far emergere l’irragionevolezza dell’operato fiscale.

Possiamo ora riassumere in forma schematica le principali tipologie di accertamento e il relativo regime di contraddittorio.

Tabella riepilogativa – Accertamenti e contraddittorio

Tipologia di controllo/accertamentoContraddittorio previsto (norma)Obbligatorietà e conseguenze se omesso
Verifica fiscale in loco (accesso, ispezione presso il contribuente)Presentazione osservazioni entro 60 gg dal PVC (art. 12, c.7 L.212/2000).Obbligatorio per legge. Avviso nullo se emesso prima di 60 gg senza urgenza. Se osservazioni presentate, obbligo di motivazione rafforzata.
Accertamento “a tavolino” – imposte armonizzate (IVA), atti ante 2020Nessuna norma nazionale pre-2020; diritto al contraddittorio da principio UE di difesa.Non previsto da legge interna, ma obbligatorio per giurisprudenza UE. Nullità dell’atto in giudizio solo se il contribuente dimostra che l’audizione preventiva avrebbe potuto incidere (prova di resistenza).
Accertamento “a tavolino” – imposte nazionali, atti ante 2020Nessun obbligo generalizzato (Cass. SU 24823/2015). Solo casi specifici (es. redditometro).Non obbligatorio (salvo casi particolari). L’atto non è annullabile per solo mancato contraddittorio (eccetto se legge speciale lo prevedeva).
Accertamenti su redditi con metodo sintetico (redditometro)Invito a fornire dati e spiegazioni (art. 38, c.7 DPR 600/1973).Obbligatorio a pena di nullità per espressa previsione normativa. Se omesso, atto nullo.
Accertamenti standardizzati (Studi di settore)Invito al contraddittorio obbligatorio (art. 10 L.146/1998).Obbligatorio a pena di nullità (principio giurisprudenziale consolidato).
Accertamento con PVC (verifica GdF/AE)Osservazioni su PVC (art. 12, c.7 Statuto).Obbligatorio (v. prima voce). Nullità se avviso emesso senza attendere 60 gg.
Accertamento “ordinario” imposte dirette/IVA (no PVC) – Atti emessi 1/7/2020 – 30/4/2024Invito obbligatorio al contraddittorio (art. 5-ter D.Lgs. 218/97).Obbligatorio (salvo eccezioni: parziali, urgenza). Se omesso: atto invalido se il contribuente prova in giudizio il pregiudizio concreto (prova di resistenza).
Accertamento parziale (41-bis DPR 600/73, 54 co.3-4 DPR 633/72)Contraddittorio non richiesto (art. 5-ter comma 2 escluse).Non obbligatorio. Nessuna nullità se emesso senza confronto (ma restano comunicazioni ex art. 36-bis/ter se applicabili).
Liquidazioni automatiche, controlli formali (art. 36-bis e 36-ter DPR 600/73, similari IVA)Comunicazione esito (cd. avviso bonario) per controlli formali è già prevista; per 36-bis di solito arriva direttamente cartella.Esclusi dal nuovo obbligo generalizzato (atti automatizzati). Nessun contraddittorio richiesto se non le procedure standard (avvisi bonari).
Accertamenti emessi dal 1° maggio 2024 (atto impugnabile qualsiasi tributo, non automatizzato)Contraddittorio generalizzato ex art. 6-bis Statuto.Obbligatorio per tutti gli atti impugnabili (salvo atti esclusi da DM o pericolo riscossione). Se omesso, atto annullabile su eccezione del contribuente (nullità “automatica” senza prova di resistenza).
Atti esclusi da obbligo (dal DM 24/4/24) – es: cartelle, ruoli, intimazioni, atti riscossione; accertamenti parziali basati su incroci; atti recupero crediti indebiti; avvisi liquidazione decadenza agevolazioni, ecc..Nessun contraddittorio preventivo ex art. 6-bis. Restano però eventuali comunicazioni previste dalle norme specifiche (es. avviso bonario).Non obbligatorio. L’omissione non vizia l’atto. (Esempio: cartella per 36-bis legittima senza previo avviso se la legge non lo prevede).

Nota: La tabella semplifica alcuni casi. “Nullità” va intesa come annullabilità in giudizio su eccezione di parte (il giudice annulla se il contribuente ha eccepito il vizio). Inoltre, se un atto era preceduto da un qualsiasi confronto che soddisfi il principio di difesa (ad es. invio di questionario considerato sufficiente), è difficile ottenerne l’annullamento per violazione del contraddittorio.

Domande frequenti sul contraddittorio (Q&A)

D: Cos’è esattamente il contraddittorio “preventivo” con l’Agenzia delle Entrate?
R: È il diritto del contribuente di essere informato delle contestazioni fiscali prima che vengano formalizzate in un atto definitivo (come un avviso di accertamento) e di poter presentare le proprie difese – documenti, spiegazioni, argomentazioni – all’ufficio. In pratica, significa poter dialogare con il Fisco prima che questo “tiri le somme” e iscriva a ruolo le maggiori imposte. Il contraddittorio preventivo può avvenire in varie forme: un incontro in ufficio (invito a comparire), uno scambio di lettere o memorie, la risposta a un questionario, ecc. L’importante è che sia garantita una partecipazione attiva del contribuente al procedimento amministrativo tributario. Non va confuso con il contraddittorio giudiziale (che avviene davanti al giudice): il contraddittorio preventivo è endoprocedimentale, cioè interno alla fase di accertamento.

D: Quando è obbligatorio il contraddittorio preventivo?
R: Oggi (dopo le riforme 2023-2024) possiamo dire quasi sempre, prima di qualsiasi avviso di accertamento o atto impugnabile, a meno che si tratti di atti di natura automatica o casi di urgenza. Volendo elencare:

  • È obbligatorio in tutti gli accertamenti ordinari riguardanti imposte sui redditi, IVA, IRAP, contributi e tributi similari – l’ufficio deve attivare il contraddittorio prima di emettere l’atto.
  • Era già obbligatorio in casi particolari come accertamenti da redditometro, accertamenti da studi di settore, verifiche con accesso (PVC), revoca di agevolazioni (art.6 co.5 Statuto), ecc.
  • Dopo la riforma, è richiesto a pena di nullità anche per le imposte prima non “protette” (IRPEF, IRES, ecc.) – insomma per i tributi non armonizzati che finora ne erano privi.
  • In generale, ogni volta che un confronto con il contribuente potrebbe incidere sul contenuto dell’atto, dev’esserci contraddittorio. Questo è diventato principio di legge con l’art. 6-bis: se l’atto non è puramente automatico, bisogna sentire il contribuente.

D: Ci sono casi in cui l’Agenzia può legittimamente evitare il contraddittorio?
R: , le eccezioni principali sono:

  • Accertamenti e liquidazioni automatiche o derivanti da semplici controlli formali di liquidazione (ad esempio: liquidazione aritmetica della dichiarazione, controllo formale di detrazioni) – sono atti emessi sulla base di riscontri oggettivi, per i quali un confronto non cambierebbe l’esito.
  • Atti basati esclusivamente su incroci di dati delle banche dati (considerati “automatizzati sostanzialmente”): il DM 2024 ne elenca diversi, come i ruoli, le cartelle, gli accertamenti parziali da incrocio di dati, i recuperi di crediti d’imposta non spettanti, ecc..
  • Atti di mera riscossione o liquidazione dove non c’è una vera contestazione da discutere (es: cartella per omesso versamento di importo risultante dalla dichiarazione stessa, avviso di liquidazione per decadenza da beneficio in base a fatti incontestabili come la rivendita di una casa prima dei 5 anni).
  • Situazioni di urgenza o pericolo per la riscossione: se l’ufficio ritiene che il tempo del contraddittorio possa pregiudicare la futura esazione (ad esempio perché il termine di decadenza è imminente e non è prorogabile, oppure il contribuente potrebbe sottrarsi), può saltare il contraddittorio motivando le ragioni nell’atto.
  • Inoltre: se il contribuente è già stato sentito o convocato ma non ha risposto o non si è presentato, l’ufficio può procedere. Ad esempio, se viene inviato un invito a comparire e il contribuente lo ignora, quell’invito vale come occasione data; l’ufficio emetterà l’atto e il contribuente non potrà lamentare l’assenza di contraddittorio perché è lui che non l’ha sfruttata.

D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento senza contraddittorio quando invece era dovuto?
R: L’atto può essere annullato in sede di ricorso per violazione del diritto di difesa/contraddittorio. In termini giuridici si tratta di un vizio dell’atto (violazione di legge e/o eccesso di potere) che il contribuente deve sollevare nel ricorso introduttivo. Se il giudice accerta che l’ufficio ha violato un obbligo procedurale essenziale, annullerà l’avviso senza nemmeno entrare nel merito della pretesa fiscale. Ad esempio, se nel 2025 arriva un accertamento IRPEF per il 2022 senza invito al contraddittorio e non rientra tra le eccezioni, un giudice lo dichiarerà nullo per violazione dell’art. 6-bis Statuto. Fino al 2023, in alcuni casi bisognava dimostrare il pregiudizio (cosa avresti detto, cos’avresti chiarito); oggi, per gli atti nuovi, basta provare la mancanza dell’invito nonostante fosse dovuto. Si noti però: la nullità non opera in automatico, bisogna chiederla impugnando l’atto. Non si può ignorare l’accertamento pensando che “tanto è nullo”: se non lo impugni nei termini, diventa definitivo, anche se viziato. Quindi, ricevere un atto senza contraddittorio non significa che possiamo buttarlo nel cestino: va comunque presentato ricorso, eccependo subito la violazione procedurale.

D: Come posso difendermi se l’ufficio mi ha negato il contraddittorio?
R: Prima di tutto, verifica bene che doveva esserci: controlla se l’atto rientra tra quelli per cui la legge prevede l’invito. Se sì, hai un buon appiglio. Nel ricorso, dovrai:

  • Evidenziare che non hai ricevuto alcun invito né altra comunicazione di avvio del procedimento.
  • Spiegare eventualmente quali chiarimenti avresti potuto fornire se fossi stato ascoltato. Questo è importante soprattutto per gli atti prima del 2024, dove la giurisprudenza richiedeva la prova di resistenza: ad es. “avrei potuto dimostrare che quel reddito era esente presentando il documento X”. Allegare direttamente tale documento al ricorso rafforza l’argomentazione.
  • Chiedere espressamente l’annullamento dell’atto per violazione del diritto al contraddittorio e dunque del diritto di difesa (art. 24 Cost) e dei principi di Statuto (art. 6-bis nuovo, o art. 12 se applicabile). In termini giuridici, si configura un vizio di legittimità dell’atto (violazione di legge) che il giudice può far valere.
  • In parallelo, puoi anche provare la via dell’autotutela: presentare un’istanza all’ufficio chiedendo l’annullamento in via di autotutela per il mancato rispetto delle garanzie (specie se è evidente, l’ufficio potrebbe preferire annullare piuttosto che perdere in giudizio). Attenzione però a non far scadere i termini di ricorso: l’autotutela non li ferma.

Se il vizio è riconosciuto, ottieni l’annullamento totale dell’accertamento. A quel punto l’ufficio potrebbe eventualmente riemetterlo sanando il difetto (ad esempio, rifacendo la convocazione e poi notificando nuovo atto): ma se nel frattempo è scaduto il termine di decadenza per accertare, non potrà più farlo. Dunque, talvolta la violazione del contraddittorio comporta che il Fisco perda irrevocabilmente il potere impositivo per quell’anno (ecco perché molti uffici in passato cercavano di non dare la chance al contribuente quando erano a ridosso della decadenza: oggi però questo è mitigato dalla norma che proroga di 120 giorni i termini se c’è poco tempo, proprio per evitare quell’abuso).

D: In cosa consiste la “prova di resistenza” legata al contraddittorio?
R: È la dimostrazione che il contribuente deve fornire per provare che la mancata attivazione del contraddittorio gli ha arrecato un effettivo pregiudizio, cioè che se fosse stato sentito avrebbe potuto far valere ragioni tali da evitare (o ridurre) l’accertamento. In passato la Cassazione l’aveva richiesta sia per gli accertamenti IVA (in base ai principi UE) sia per quelli soggetti all’art.5-ter (in base al comma 5 che la prevedeva espressamente). In concreto, vuol dire che nel ricorso devi indicare quale sarebbe stata la tua difesa “mancata”. Ad esempio: “L’atto mi contesta costi indeducibili per mancanza di documentazione; se fossi stato chiamato, avrei potuto esibire le fatture e il contratto che qui allego, comprovanti la deducibilità”. Oppure: “Mi imputano un ricavo non dichiarato, ma avrei spiegato trattarsi di una donazione ricevuta, come da atto notarile allegato”. Se il giudice riconosce che queste prove avrebbero potuto verosimilmente portare a un esito diverso (ad esempio a non fare l’accertamento, o a farlo per un importo inferiore), allora l’atto viene annullato per mancato contraddittorio. Se invece il contribuente non allega nulla o le sue deduzioni appaiono irrilevanti (es. contesta formalmente la mancata convocazione ma poi in sostanza non ha niente da aggiungere sul merito), il giudice potrebbe ritenere che, pur in presenza di violazione procedurale, l’atto sarebbe stato identico e quindi “salvare” l’atto (questo succedeva in base a un orientamento del passato). Oggi, con il nuovo art. 6-bis, la prova di resistenza sembra non più necessaria per gli atti dal 2024, perché la norma sanziona l’omissione con l’annullabilità punto e basta. Tuttavia, come cautela, è sempre bene indicare cosa si sarebbe voluto far presente: male non fa e rende la posizione più equa e convincente anche agli occhi del giudice.

D: Come si svolge praticamente un contraddittorio con l’ufficio? Devo andare da solo? Cosa devo portare?
R: Se ricevi un invito a comparire, questo conterrà luogo (di solito gli uffici delle Entrate competenti) e data. Puoi presentarti personalmente oppure delegare un professionista di fiducia (avvocato tributarista, dottore commercialista, ecc.). È spesso consigliabile farsi assistere, soprattutto se la questione è complessa, perché un professionista conosce il linguaggio tecnico e le leve negoziali. All’incontro in genere saranno presenti uno o più funzionari dell’Agenzia (il capo-team controllo, magari il funzionario che ha istruito la pratica, talvolta un responsabile) e il contribuente (o delegato) con eventualmente il proprio consulente. Cosa portare: sicuramente una copia dell’invito e dell’eventuale documentazione richiesta nell’invito. Inoltre, è bene portare tutti i documenti che possano supportare le proprie tesi difensive: ad esempio contratti, ricevute, estratti conto, perizie, mail, qualsiasi cosa pertinente. Molto utile è preparare una sorta di “memoria” scritta da lasciare in ufficio, in cui si riassumono i propri argomenti e l’elenco documenti consegnati. Durante il contraddittorio, si discuterà punto per punto. L’ufficio potrebbe proporre di sottoscrivere un verbale dell’incontro: leggere attentamente cosa vi è riportato e far mettere a verbale eventuali dichiarazioni importanti (es: “il contribuente dichiara che somma X sul conto è frutto di un prestito da Tizio e consegna relativa scrittura privata”). Firmare il verbale non implica ammissione di colpa: serve solo a attestare cosa è avvenuto nell’incontro. Se non viene redatto un verbale formale, conviene comunque protocollare una memoria così che resti traccia ufficiale di cosa si è sostenuto. In alcuni casi (pochi, per ora) il contraddittorio si può svolgere da remoto (in videoconferenza) su richiesta: l’Agenzia, specie dopo il Covid, ha aperto a incontri virtuali con scambio documenti via PEC. Informarsi presso l’ufficio se offrono questa possibilità, se non puoi recarti di persona.

D: Quali strategie devo seguire durante il contraddittorio per far valere al meglio le mie ragioni?
R: Ecco alcuni consigli:

  • Preparazione: studia bene le contestazioni (se hai un PVC o una comunicazione di irregolarità, parti da lì) e prepara una contro-argomentazione per ognuna. Supporta ogni affermazione con un documento se possibile. Esempio: contestazione “costo non documentato” – prepara la fattura, il contratto, la contabile di pagamento relativi a quel costo.
  • Chiarezza e sintesi: esponi le tue ragioni in modo ordinato. Meglio seguire uno schema scritto (una memoria) che improvvisare a voce. Lascia all’ufficio eventualmente copia della memoria: li aiuterà a ricordare e inserire in motivazione.
  • Completezza: porta già tutto ciò che potrebbe servire. Evita frasi tipo “poi eventualmente vi farò avere…”. Meglio dare subito tutto il dossier, per dimostrare trasparenza e buona fede, oltre che evitare che l’ufficio concluda senza averti rivisto.
  • Flessibilità: se l’ufficio riconosce alcune tue ragioni ma non tutte, valuta possibili compromessi. Ad esempio, se contestano 100 e tu provi che non doveva essere nulla, ma l’ufficio insiste per 50, potresti considerare l’adesione per chiudere lì – ovviamente dipende dal caso. Mostrarsi troppo arrendevoli subito però non è consigliato: meglio prima cercare di smontare la pretesa, e solo se vedi aperture, contrattare.
  • Professionalità: mantieni sempre un tono calmo e rispettoso. Il contraddittorio non è il luogo per sfoghi o accuse (per quanto uno possa sentirsi ingiustamente trattato); è un tavolo di negoziazione e di confronto tecnico. Farsi trovare aggressivi o evasivi può indisporre i funzionari. Meglio puntare su argomenti oggettivi e sulla collaborazione (“sono qui per chiarire ogni dubbio”).
  • Fai domande: se qualcosa non ti è chiaro delle contestazioni, chiedi spiegazioni. A volte emergono fraintendimenti – es: l’ufficio ha interpretato male un dato – che puoi chiarire lì per lì.
  • Prendi tempo se serve: se all’incontro ti accorgi che manca un documento o non sai rispondere a una domanda, non improvvisare risposte azzardate. Chiedi tempo: “posso fornirvi questo dato nei prossimi giorni?”. Meglio un breve rinvio che dire qualcosa di impreciso. L’importante è che l’ufficio veda la disponibilità.
  • Non mentire: sembra banale, ma vale la pena dirlo. Dare spiegazioni false o esibire documenti artefatti è non solo eticamente scorretto, ma rischioso (si pensi alle possibili implicazioni penali se si producono documenti falsi). Se ci sono punti deboli, meglio ammetterli parzialmente cercando un terreno di accordo, piuttosto che inventare scuse facilmente smontabili.
  • Focus sugli aspetti giuridici: se la questione è interpretativa (es: l’ufficio applica un certo articolo di legge in modo a tuo avviso errato), cita eventuali circolari o sentenze a tuo favore. Mostrare che c’è una Cassazione o una norma che ti sostiene può persuadere l’ufficio a più miti consigli. Spesso i funzionari hanno indicazioni interne, ma sono comunque tenuti a seguire la legge: se gli porti una risoluzione del Ministero o una sentenza delle Sezioni Unite contraria alla loro tesi, la prenderanno sul serio.
  • Fatti rilasciare copia di tutto ciò che si firma: se c’è un verbale d’incontro o una proposta di adesione, chiedine copia. Ti servirà in seguito per ricordare cosa è stato discusso e per eventualmente farlo valere in giudizio (specialmente se nel verbale l’ufficio ammette qualche tuo punto).

D: Cosa posso ottenere tramite un buon contraddittorio?
R: Molto, in termini di esito finale:

  • Annullamento totale dell’accertamento prima che nasca: se convinci l’ufficio che la pretesa è infondata, potrebbe decidere di non emettere affatto l’avviso (chiudendo magari con esito “archiviazione pratica”). È il risultato migliore: niente atto, niente debito.
  • Riduzione della pretesa: magari non tutto il rilievo cade, ma l’ufficio riconosce alcune ragioni. Ad esempio riduce il maggior reddito accertato, o riconosce un costo in più, ecc. Si può formalizzare con un atto di adesione.
  • Riduzione delle sanzioni: anche se la base imponibile resta quella contestata, il tuo atteggiamento collaborativo può portare ad applicare sanzioni meno gravi. Con l’adesione, per legge, le sanzioni sono ridotte (un terzo, o addirittura un diciottesimo in taluni nuovi casi). In mediazione possono proporre 1/3 del minimo. Quindi comunque uscirai pagando meno penalità rispetto a un contenzioso.
  • Piani di rateazione più comodi: definendo in adesione, hai diritto fino a 8 rate trimestrali (o 16 se importi alti). Questo è un beneficio rispetto a perdere in giudizio, dove poi la cartella va pagata in 60 giorni. Quindi “far bene” il contraddittorio e magari chiudere lì ti fa guadagnare tempo e sostenibilità finanziaria.
  • Migliorare la tua posizione difensiva (se non si trova accordo): anche qualora il contraddittorio non eviti l’atto, hai comunque “preparato il terreno” per il ricorso. Sai già quali sono le argomentazioni dell’ufficio (che spesso nell’atto ricalcheranno quanto emerso in adesione) e hai costretto l’ufficio a mettere a verbale o considerare le tue difese. Questo ti permette di impostare il ricorso in maniera mirata, evidenziando ad esempio che l’ufficio non ha confutato una certa tua prova (rafforzando così l’idea che quell’aspetto è incontestabile). Inoltre hai guadagnato tempo (l’adesione sospende i termini di ricorso, dandoti più tempo per preparare la causa).

D: Se durante il contraddittorio emergono elementi a mio sfavore che il Fisco non conosceva, rischio di peggiorare la situazione?
R: In linea teorica sì, esiste questa possibilità: se nel tentativo di spiegare qualcosa riveli involontariamente un fatto che configura un’ulteriore violazione, potresti fornire al Fisco un’arma in più. Tuttavia, nella pratica, i funzionarî sono tenuti a limitarsi all’oggetto del contraddittorio avviato. Ad esempio, se per giustificare un movimento bancario dici “era un reddito nero di anni precedenti che avevo nascosto”, hai appena autodenunciato un’evasione di un altro periodo! Questo ovviamente sarebbe un autogol. Ma si presume che un contribuente accorto eviti di dire cose del genere. Le difese vanno calibrate: meglio dire “proveniva da risparmi pregressi” – se quei risparmi non erano tassati per nulla si entra in un terreno minato, ma si può confidare nella prescrizione di annualità vecchie. In generale, conviene consultarsi con il proprio difensore prima su cosa dichiarare e cosa eventualmente tacere. Se c’è qualcosa di molto compromettente, forse è meglio non sollevarla affatto e trovare altre strade di difesa, oppure valutare una definizione (così da chiudere la questione senza troppi dettagli). Ricorda che ciò che dichiari in sede amministrativa può, se documentato, essere utilizzato anche in altre sedi (ad esempio, se emergesse un reato tributario, quelle dichiarazioni potrebbero finire nel fascicolo del PM). Dunque, dosa le parole. In caso di dubbio, mantieniti su affermazioni verificabili e non su ammissioni su aspetti che nessuno ti sta contestando. Comunque, nella gran parte delle situazioni, difendersi attivamente porta benefici; l’importante è non farsi eccessivamente prendere la mano rivelando più del necessario.

D: Il contraddittorio vale anche in caso di procedure collettive o per le società?
R: Sì, certamente. Il contraddittorio è un diritto di qualsiasi “parte” del rapporto tributario, sia essa persona fisica o giuridica. Nel caso di società, a interloquire sarà il legale rappresentante o un suo delegato. Se si tratta di una società di persone, il contraddittorio può svolgersi con la società (che poi riflette sui soci). Ad esempio, per un SNC, l’avviso di accertamento sarà emesso alla società e contestualmente ai soci: il contraddittorio pre-emissione avverrà con i rappresentanti della società. In caso di decesso del contribuente durante il controllo, il diritto al contraddittorio passa agli eredi per gli atti emessi a nome del de cuius. In caso di procedura fallimentare, l’accertamento viene notificato al curatore fallimentare: anche il contraddittorio dovrà essere instaurato con quest’ultimo (in quanto rappresentante del fallito). Per gli enti non commerciali, con il legale rappresentante dell’ente, e così via. Insomma, ogni soggetto passivo d’imposta ha diritto al contraddittorio tramite il proprio rappresentante legale o procuratore. Il punto di vista del “debitore” cui la guida si ispira include dunque anche il debitore-società o debitore fallito, ecc.: in tutti questi casi non vanno dimenticate le tutele del contraddittorio.

D: Il contraddittorio preventivo si applica anche alle cartelle esattoriali?
R: Le cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia Entrate-Riscossione di per sé non sono atti di accertamento, ma atti di riscossione. Se però parliamo delle cartelle derivanti da controllo formale o automatico (tipo quelle da 36-bis DPR 600/73), in teoria quelle dovrebbero essere precedute dall’avviso bonario, che è già un contraddittorio (permette 30 giorni per pagare o segnalare errori). Il nuovo art. 6-bis esenta esplicitamente i “ruoli e le cartelle” dall’obbligo di contraddittorio, perché rientrano tra gli atti automatizzati. Quindi non aspettatevi un invito a comparire prima di una cartella: l’ordinamento prevede già il meccanismo degli avvisi bonari dove necessario, ma nulla di più. Se però arrivasse una cartella senza che vi sia stato inviato il dovuto avviso bonario (es. ogni tanto succede per errori postali o informatici), quella cartella è impugnabile per omessa comunicazione preventiva (qui non invochi l’art. 6-bis ma proprio la violazione dell’art. 36-bis che prevede la comunicazione). È un vizio diverso ma affine: alcune CTP hanno annullato cartelle per questo motivo.

D: Ci sono differenze nel contraddittorio per i tributi locali o altri enti (es. Dogane)?
R: Per i tributi locali (IMU, TASI, TARI, imposta pubblicità, ecc.) il principio del contraddittorio ora è esteso in via generale dall’art. 6-bis anche a questi, essendo atti impugnabili davanti al giudice tributario. Però bisogna vedere l’attuazione pratica: i Comuni spesso non hanno le strutture per gestire convocazioni di massa, e il DM del 24/4/2024 delega la possibilità di escludere atti “automatizzati”. Molti avvisi di accertamento IMU sono di fatto automatizzati (calcolano l’imposta non versata): quelli potrebbero essere esclusi. Se c’è invece una questione più complessa (es: rendita catastale non congrua, o imponibile TARI contestato), il Comune farebbe bene a instaurare un contraddittorio. Alcuni regolamenti comunali già prevedono forme di partecipazione. In ogni caso, il contribuente locale può sempre scrivere al Comune per chiedere chiarimenti o produrre documenti prima che l’atto sia definitivo: non c’è un formale obbligo legale (salvo quanto detto, in evoluzione), ma tentar non nuoce e magari evita errori.

Nel caso delle Dogane (dazi, accise) o Agenzia delle Entrate per atti particolari: ad esempio gli avvisi di rettifica doganale sono atti derivanti da normativa UE, e già la Corte di Giustizia richiede il contraddittorio (c’è un articolo specifico nel CDU – Codice Doganale dell’Unione – sul diritto di essere sentiti). Quindi anche lì è obbligatorio. Per le accise, il DM del 2024 ne esclude alcuni tipi (avvisi di pagamento accise per omessi versamenti). Invece, se parliamo di Agenzia delle Dogane che contesta, ad esempio, un’accisa evasa all’importazione, il diritto a contraddire è sancito dalle norme UE e nazionali (il contribuente di solito riceve un invito dagli uffici ADM).

D: Dopo un contraddittorio concluso negativamente, posso comunque fare ricorso?
R: Assolutamente sì. Se non hai raggiunto un accordo e ti viene notificato l’avviso di accertamento, puoi impugnarlo in Commissione nei termini di legge (60 giorni, o 150 se avevi presentato istanza di adesione post notifica). Il fatto di aver partecipato al contraddittorio non ti preclude affatto la possibilità di fare ricorso, né costituisce accettazione. Eventuali dichiarazioni fatte nel verbale di contraddittorio possono essere valutate come elementi di fatto, ma non ti vincolano giuridicamente (a meno che tu abbia firmato proprio un accordo di adesione: quello chiude la partita, salvo revoca per dolo o scoperta di nuovi elementi). Quindi, se pensi di avere ragione e l’ufficio non ha voluto sentir ragioni, il giudice è lì apposta per dirimere. Anzi, il giudice vedrà di buon occhio che hai collaborato prima e potresti avere gioco nel dimostrare che l’ufficio è stato rigido.

D: Se invece raggiungo un accordo in accertamento con adesione, posso poi impugnarlo o cambiare idea?
R: No. L’adesione una volta perfezionata (firmata e pagata la prima rata o l’intero, entro 20 giorni) è un atto definito e non impugnabile. È come una transazione: tu rinunci al ricorso e l’ufficio riduce la pretesa. Se non sei convinto, meglio non firmare l’adesione e andare in giudizio. C’è da dire che fino al pagamento puoi ripensarci: se firmi l’atto di adesione ma poi non paghi entro i termini, quell’adesione decade e l’ufficio riprenderà la somma originaria (magari emettendo una cartella, ormai l’avviso è definitivo). Però attenzione: in passato la giurisprudenza ha discusso se l’adesione decaduta riaprisse i termini per ricorrere sull’atto originale. La Cassazione oggi dice che se firmi l’adesione hai implicitamente rinunciato al ricorso, quindi anche non pagando non puoi più impugnare l’originario avviso (diventa definitivo) – in pratica ti auto-condanni a pagare l’importo pieno poi in cartella. Quindi, non firmare mai un’adesione se non sei deciso a portarla a termine. Usala solo se sei sicuro.

D: Il contraddittorio preventivo esonera da quello in giudizio?
R: No, sono piani diversi. Il contraddittorio preventivo serve (anche) ad evitare il giudizio, ma se poi il giudizio avviene, lì si riparte in base alle regole processuali. Quindi, ad esempio, se in sede di adesione avevi consegnato un documento all’ufficio, nel processo è comunque opportuno reintrodurlo come prova (non dare per scontato che i giudici ce l’abbiano; allegalo al ricorso). Il processo tributario è instaurato con atti scritti autonomi, non è che i “fascicoli” del contraddittorio amministrativo passano automaticamente al giudice. Quindi tutto ciò che reputi importante va ridetto o riallegato in ricorso. Il verbale di adesione negativa, se c’è, può essere allegato per mostrare le posizioni, ma non è strettamente necessario. In sintesi, il contraddittorio endoprocedimentale non sostituisce quello processuale: è un “di più” a tutela prima. In giudizio, anche se hai taciuto delle cose prima, puoi comunque dirle (salvo preclusioni come quelle sui documenti art.32 già spiegate). Certo, se non le avevi dette prima per negligenza, il giudice potrebbe chiedersi perché, ma non è un ostacolo formale.

D: Quali sono le fonti normative principali da conoscere sul contraddittorio?
R: Elenchiamole:

  • Statuto del Contribuente (L. 212/2000): art. 6 (collaborazione e semplificazione), art. 6-bis (dal 2024, principio del contraddittorio generalizzato), art. 7 (motivazione degli atti), art. 10 (tutela dell’affidamento, in parte attinente a comunicazioni prima di revoche), art. 12 (garanzie del verificato, con contraddittorio post-verifica).
  • D.Lgs. 218/1997: art. 5 (procedura accertamento con adesione), art. 5-bis (adesione ai PVC, reintrodotto nel 2023), art. 5-ter (invito obbligatorio 2020-2023), art. 6 (perfezionamento adesione), art. 8 (sanzioni ridotte).
  • DPR 600/1973 (accertamento imposte dirette): art. 32 (poteri istruttori, questionari, effetti mancata risposta), art. 38 (accertamento sintetico, contraddittorio redditometro), art. 39 (accertamento induttivo), art. 41-bis (accertamento parziale).
  • DPR 633/1972 (IVA): art. 52 (accessi, ispezioni, PVC – richiama garanzie art.12 Statuto), art. 54 (accertamento IVA, commi 3-4 su accertamento parziale).
  • DLgs 546/1992 (contenzioso): art. 7 (poteri del giudice, divieto di testimonianza), art. 17-bis (reclamo-mediazione), art. 48 (conciliazione giudiziale), art. 58 (prodotti nuovi documenti in appello – attenzione, dal 2023 valgono nuove restrizioni in appello: meglio produrre tutto in primo grado).
  • Normativa UE e giurisprudenza UE: art. 41 Carta Nizza, principi generali CGUE (cause Sopropé 2008, Kamino 2014 etc.) che sanciscono il diritto al contraddittorio almeno per IVA e tributi armonizzati.
  • Giurisprudenza nazionale: Cass. Sez. Unite 24823/2015, Cass. SU 24824/2015 (gemella), varie Cass. Sez. V succ. che ribadiscono i principi (ad es. Cass. 1872/2018 sulla prova di resistenza in IVA), Corte Cost. 132/2015 (legittimità art.12), Corte Cost. 47/2023 (inammissibilità estensione contraddittorio generalizzato), e attualmente importanti anche Cass. ord. 701/2023, 14707/2023 (su questionari e preclusioni), Cass. 16873/2024 (sulle forme del contraddittorio: richiamata dal MEF per dire che può essere scritto). In ultimo, segnalo in ambito riforma: Cass. ord. 26357/2024 (ha toccato il tema studi di settore alla luce del nuovo art.6-bis, ribadendo obbligo).
  • Decreto MEF 24.4.2024 (G.U. 30.4.24) – elenco atti esclusi.
  • DL 39/2024 art. 7 – disciplina transitoria (applicazione atti dal 30/4/24).

Conclusione

Il contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate è ormai, da “favore” quale era considerato un tempo, un vero e proprio diritto fondamentale del contribuente nella procedura tributaria. La chiave per “farlo bene” dal punto di vista di chi deve difendersi è conoscere le proprie tutele ed esercitarle con intelligenza: sapere quando pretenderlo (oggi quasi sempre, salvo automatismi), come comportarsi durante il confronto e come far valere le eventuali violazioni davanti al giudice. Abbiamo visto che il legislatore italiano, stimolato anche dalla giurisprudenza, ha gradualmente rimosso quelle ingiustificate disparità che permettevano accertamenti emessi a sorpresa senza dialogo. Ciò non significa che il Fisco sarà più “buono”, ma significa che chi subisce un accertamento ha più armi per far valere la propria posizione prima che la situazione si cristallizzi.

Dal punto di vista pratico, il contraddittorio è un momento delicato in cui si gioca una partita importante: è l’occasione di persuadere l’interlocutore fiscale della bontà delle proprie ragioni o quantomeno di ottenere una riduzione delle pretese. Anche quando questo non riesce, aver partecipato attivamente al contraddittorio pone le basi per un contenzioso più solido. In un certo senso, potremmo dire che il contraddittorio è la prima udienza del processo, solo che si svolge in ufficio invece che in tribunale – e spesso, risolvere tutto “in cameretta” evita di andare in aula.

Per i professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) questa guida offre un ripasso sistematico e aggiornato, con riferimenti normativi e giurisprudenziali di rilievo, per assistere al meglio i propri clienti nelle varie fasi. Per i contribuenti non esperti, speriamo sia servita a chiarire che non si è mai soli di fronte al Fisco: la legge offre strumenti di dialogo e difesa, e conoscere i propri diritti è il primo passo per evitare di subire passivamente accertamenti magari infondati. In ogni caso, quando si riceve una comunicazione o un avviso dall’Agenzia delle Entrate, il consiglio è di non ignorarla e non farsi prendere dal panico, ma di affrontarla con metodo:

  1. Informarsi sulle procedure (ad esempio rileggendo una guida come questa per capire cosa aspettarsi).
  2. Consultare un esperto se la materia è ostica.
  3. Interagire con l’ufficio nei modi previsti, presentando le proprie ragioni.
  4. Tutelarsi con i mezzi di legge (ricorso, ecc.) se necessario.

In un sistema fiscale ideale, contraddittorio significa cooperazione: il Fisco e il contribuente collaborano per accertare il giusto. Nella realtà, ovviamente, gli interessi sono contrapposti, ma il rispetto del contraddittorio garantisce che anche il contribuente abbia voce in capitolo. In definitiva, “farlo bene” vuol dire far valere quella voce – con competenza, tempestività e anche fermezza quando serve – affinché la determinazione del tributo sia il più possibile corretta e condivisa. Questa è la miglior tutela per il contribuente onesto e al contempo uno stimolo per l’Amministrazione a operare con scrupolo ed equità.


Fonti e riferimenti (normativa, prassi, giurisprudenza)

Statuto dei Diritti del Contribuente – Legge 27 luglio 2000, n. 212: artt. 6, 6-bis (introdotto da D.Lgs. 219/2023); art. 7; art. 10; art. 12 c. 7 (garanzie nelle verifiche fiscali in loco).

D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218: art. 5 (accertamento con adesione); art. 5-ter (invito obbligatorio al contraddittorio, introdotto da DL 34/2019 conv. L.58/2019); art. 6 (adesione e motivazione avvisi); art. 8 (sanzioni ridotte con adesione); art. 15 (acquiescenza).

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (accertamento imposte dirette): art. 32 (poteri istruttori: questionari e conseguenze mancata risposta); art. 38 (accertamento sintetico – redditometro, obbligo di contraddittorio); art. 39 (accertamento induttivo); art. 41-bis (accertamento parziale).

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (IVA): art. 52 (accessi e ispezioni, rinvio allo Statuto); art. 54 (accertamento IVA, commi 3-4 su accertamenti parziali).

D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (processo tributario): art. 7 (poteri del giudice, divieto prova testimoniale); art. 10 (capacità a stare in giudizio, rappresentanza); art. 17-bis (reclamo e mediazione tributaria); art. 48 (conciliazione giudiziale); art. 58 (produzione documenti in appello). Legge 31 agosto 2022, n.130 (riforma processo trib., introd. art. 7, c.5-bis sulle dichiarazioni testimoniali scritte).

Decreto MEF 24 aprile 2024 (in G.U. n. 100 del 29-04-2024) – Individuazione degli atti esclusi dall’obbligo di contraddittorio ex art. 6-bis Statuto: elenca 14 tipologie di atti automatizzati e di riscossione esonerati.

Decreto-Legge 29 marzo 2024, n. 39, art. 7 (convertito con mod. dalla L. 26 maggio 2024 n. 73) – Disposizioni transitorie sul contraddittorio generalizzato: applicabilità agli atti emessi dal 30/4/2024; inapplicabilità art.6-bis agli atti e inviti anteriori.

Circolare Agenzia Entrate n. 17/E del 22 giugno 2020 – Chiarimenti sull’obbligo di invito al contraddittorio (art. 5-ter D.Lgs.218/97): ambito applicativo (imposte sui redditi, IVA, IVIE, IVAFE, IRAP, ecc.); casi di esclusione (PVC già rilasciato); necessità di motivazione rafforzata degli avvisi successivi; prova di resistenza in caso di mancata attivazione.

Documento di prassi MEF – Indirizzo DF 29/02/2024 – Indicazioni sull’entrata in vigore dell’art. 6-bis Statuto e coordinamento con D.Lgs. 13/2024 (in materia di adesione ai PVC), citato in Studio Cataldi.

Sentenze e Ordinanze Corte di Cassazione:

Cass., Sez. Unite, 9 dicembre 2015, n. 24823: principio di non obbligatorietà generalizzata del contraddittorio per tributi non armonizzati; obbligo per tributi UE con condizione della prova di resistenza.

Cass., Sez. V, 5 maggio 2022, n. 14357: nessun obbligo di contraddittorio preventivo per i tributi locali (IMU), conferma orientamento restrittivo ante riforma.

Cass., Sez. V, ord. 26 maggio 2023, n. 14707: sul valore dei questionari nel contraddittorio – il questionario assolve alla funzione di dialogo preventivo; preclusione utilizzo documenti non esibiti solo se richiesta specifica con avvertimento.

Cass., Sez. V, ord. 19 giugno 2024, n. 16873: conferma che nessuna forma rigida è prescritta per il contraddittorio, che può avvenire per iscritto (principio richiamato dal MEF).

Cass., Sez. V, 9 ottobre 2024, n. 26357: (ord.) in tema di studi di settore post-ISA, ribadisce obbligo contraddittorio anche per tali accertamenti standardizzati, alla luce dell’art. 6-bis.

Cass., Sez. V, 8 giugno 2018, n. 14667: afferma che la mancata risposta al questionario comporta preclusione solo se c’è stato invito specifico e rifiuto consapevole del contribuente.

Cass., Sez. V, 17 aprile 2018, n. 9230: sul redditometro, conferma nullità accertamento se omesso contraddittorio (orientamento consolidato).

Sentenze Corte Costituzionale:

Corte Cost. 16 luglio 2015, n. 132: (ordinanza) – dichiarò inammissibile q.l.c. su art. 12 Statuto, confermando la legittimità costituzionale della limitazione del contraddittorio alle verifiche in loco (pre-riforma).

Corte Cost. 21 marzo 2023, n. 47: su obbligo contraddittorio per accertamenti a tavolino – questione inammissibile; la Corte rileva la discrezionalità legislativa sul punto, pur riconoscendo il valore del contraddittorio.

Giurisprudenza UE:

CGUE, 18 dicembre 2008, causa C-349/07 (Sopropé): diritto al contraddittorio come principio generale in materia di dazi (esteso a IVA) – l’autorità deve dare occasione di esprimersi prima di decisioni lesive.

CGUE, 3 luglio 2014, cause comb. C-129/13 e C-130/13 (Kamino/Datema): la violazione del diritto di essere ascoltati comporta annullamento dell’atto solo se, in assenza di tale violazione, il procedimento poteva portare a un risultato diverso (concetto di “nesso causale” – base della prova di resistenza).

CGUE, 9 novembre 2017, causa C-298/16 (Ispas): in ambito IVA, ribadito diritto di accesso agli atti e di contraddittorio; contributo alla definizione delle garanzie difensive.

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