Hai ricevuto un avviso di accertamento firmato digitalmente ma notificato in formato cartaceo e vuoi sapere se è valido?
Negli ultimi anni, con la diffusione della firma digitale negli atti della Pubblica Amministrazione, si sono moltiplicate le contestazioni sulla validità delle notifiche cartacee di atti firmati in digitale. Conoscere la normativa e la giurisprudenza in materia è fondamentale per capire se l’atto è legittimo e come impostare la difesa.
Quando può accadere
– Quando l’Agenzia delle Entrate redige e firma digitalmente l’avviso di accertamento
– Quando, invece di notificarlo via PEC, lo stampa e lo invia in forma cartacea tramite raccomandata o messo notificatore
– Quando la copia cartacea non riporta elementi tecnici della firma digitale (certificato, marcatura temporale)
– Quando l’atto notificato non è conforme all’originale informatico depositato
Quali problemi di validità possono esserci
– La notifica cartacea di un atto firmato digitalmente può essere contestata se manca la copia conforme dell’originale informatico
– La giurisprudenza ha più volte affermato che il destinatario ha diritto a ricevere un documento integro e verificabile nella sua autenticità
– Se l’atto cartaceo non consente di verificare la firma digitale o se la copia non è conforme, si può eccepire la nullità della notifica
– In alcuni casi, la notifica in forma cartacea al posto della PEC obbligatoria può essere ritenuta irregolare
Come difendersi
– Far analizzare da un avvocato tributarista l’atto ricevuto e il procedimento di notifica
– Richiedere all’Agenzia delle Entrate copia dell’originale informatico firmato digitalmente
– Verificare la conformità tra l’atto cartaceo notificato e l’originale informatico
– Eccepire in ricorso eventuali vizi di notifica o di formazione dell’atto
– Presentare memorie difensive entro i termini di legge, contestando la legittimità della notifica e la validità dell’atto
– In caso di pretesa fiscale comunque fondata, valutare soluzioni come l’accertamento con adesione o la definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi
Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale
– L’annullamento dell’atto per vizi di notifica o di formazione
– La sospensione delle azioni esecutive collegate all’accertamento
– La riduzione o l’eliminazione delle somme richieste
– La tutela del patrimonio da pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi
– Un precedente utile per evitare notifiche irregolari future
Attenzione: non tutti gli avvisi di accertamento firmati digitalmente e notificati su carta sono nulli, ma è sempre necessario verificare la correttezza formale e sostanziale della notifica. Un vizio ben documentato può annullare l’intero procedimento.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e vizi di notifica – ti spiega cosa fare se ricevi un avviso di accertamento firmato digitalmente ma notificato in cartaceo, come contestarne la validità e come difenderti dalla pretesa fiscale.
Hai ricevuto un avviso di accertamento in queste condizioni e non sai se è valido?
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Introduzione
Ricevere un avviso di accertamento – ossia il provvedimento con cui l’ente impositore (Agenzia delle Entrate, Comune per tributi locali, INPS per contributi, ecc.) contesta somme dovute – è sempre motivo di apprensione per il destinatario. La situazione si complica quando l’atto è sottoscritto con firma digitale ma viene notificato in forma cartacea (ad esempio tramite raccomandata tradizionale). In questi casi sorgono delicati problemi giuridici circa la validità dell’atto e della sua notifica. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale capire se il documento ricevuto sia formalmente valido, perché vizi formali come un difetto di sottoscrizione possono comportare la nullità dell’accertamento. Negli ultimi anni (specie dal 2021 al 2025) la materia è stata oggetto di significative evoluzioni normative e giurisprudenziali, con sentenze di legittimità che hanno chiarito i requisiti di validità di questi atti digitali notificati su carta.
In questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamineremo in dettaglio il quadro normativo italiano di riferimento, le pronunce più autorevoli e recenti (con particolare attenzione alle decisioni della Corte di Cassazione e alla giurisprudenza tributaria), e forniremo strumenti pratici di difesa per il contribuente o debitore. Useremo un linguaggio giuridico, ma con intento divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a privati cittadini e imprenditori interessati a comprendere i propri diritti. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei concetti chiave, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti.
Perché è importante la firma (digitale o autografa) su un avviso di accertamento? Perché la sottoscrizione è l’elemento che attribuisce paternità e autenticità all’atto, collegandolo al funzionario o all’ente che lo emette. La legge prevede espressamente che la mancanza di firma renda nullo l’avviso di accertamento (art. 42, co.3, D.P.R. 600/1973). Nel contesto attuale di digitalizzazione della P.A., molti atti vengono emessi in formato elettronico e firmati digitalmente (mediante certificati qualificati) invece che con firma autografa su carta. Ciò è incoraggiato anche dalla normativa UE (Regolamento eIDAS) e dal Codice dell’Amministrazione Digitale italiano (D.Lgs. 82/2005, “CAD”), che promuovono il documento informatico come regola generale. Tuttavia, quando un documento digitale deve essere portato a conoscenza del destinatario in forma analogica (cartacea), occorre rispettare specifiche formalità di conformità affinché quel foglio di carta abbia la stessa efficacia dell’originale digitale. In mancanza di tali garanzie, l’atto potrebbe essere impugnato per vizio di sottoscrizione o difetto di notificazione.
In sintesi, questa guida vi aiuterà a capire come difendervi da un avviso di accertamento (o atto similare) firmato digitalmente e notificato su carta, individuando i profili di nullità invocabili, citando le norme e le sentenze più aggiornate sul punto, e delineando le strategie di tutela da adottare dal punto di vista del debitore.
Quadro normativo di riferimento
Per affrontare correttamente la questione, occorre richiamare le norme chiave che regolano: (a) la sottoscrizione degli atti impositivi, (b) la validità dei documenti informatici e delle loro copie, (c) le modalità di notificazione di questi atti. Di seguito esponiamo i riferimenti essenziali:
- Obbligo di sottoscrizione e nullità in mancanza di firma: l’art. 42 del D.P.R. 600/1973 (per le imposte dirette, applicabile in via generale agli avvisi di accertamento tributari) stabilisce che l’avviso di accertamento debba essere sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato, a pena di nullità. In particolare, la norma prevede espressamente che l’accertamento è nullo se l’avviso “non reca la sottoscrizione” di uno dei soggetti abilitati. Si tratta di una nullità testuale prevista dalla legge, riguardante un requisito formale essenziale di riferibilità dell’atto all’autorità competente, e proprio per questo non sanabile nemmeno per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c.. In altri termini, un avviso non firmato validamente è insanabilmente nullo, anche se il contribuente ne ha compreso il contenuto.
- Modalità ammesse di firma sull’atto impositivo: tradizionalmente la firma è autografa (firma di pugno) del funzionario sull’originale cartaceo. Tuttavia, da tempo la legge consente modalità alternative. Una prima deroga è la cosiddetta “firma a stampa”: per gli atti formati con sistemi informatici, è ammessa l’indicazione a stampa del nominativo del responsabile al posto della firma autografa, in forza di una norma speciale (art. 1, co.87 L. 549/1995, richiamata per le Agenzie fiscali dalla L. 296/2006 art.1 co.162). Questa firma automatica “a stampa” è legittima però solo a precise condizioni (es. provvedimento dirigenziale che autorizza la firma meccanizzata, indicazione nell’atto della fonte normativa che la consente, ecc.). La giurisprudenza ha confermato la validità di tale modalità se le condizioni di legge sono rispettate. Oltre alla firma a stampa, l’ordinamento prevede oggi l’uso della firma elettronica qualificata/digitale: si tratta di una sottoscrizione apposta con un certificato digitale, che garantisce l’identità del firmatario e l’integrità del documento. La firma digitale è equiparata alla firma autografa su piano legale: l’art. 21 CAD dispone che il documento informatico sottoscritto con firma digitale ha la stessa efficacia probatoria dell’originale cartaceo. In altre parole, un avviso di accertamento firmato digitalmente dal funzionario soddisfa l’obbligo di sottoscrizione allo stesso modo di uno firmato a penna, a condizione che sia possibile verificarne autenticità e integrità.
- Documento “nativo digitale” e copie analogiche conformi: quando l’atto viene formato in origine come documento informatico, esso può essere notificato al destinatario in due modi: (1) trasmettendo direttamente il file digitale (tipicamente via PEC, la posta elettronica certificata) oppure (2) consegnandone una copia analogica (cartacea). Nel primo caso non vi sono particolari problemi: il contribuente riceve il documento informatico originale, che può verificare con gli strumenti opportuni (software di verifica firma digitale, ecc.), avendo la certezza della provenienza e dell’immodificabilità. Il secondo caso – ovvero la notifica in forma cartacea di un documento che in origine esiste solo in digitale – è più complesso. Il Codice dell’Amministrazione Digitale fornisce però la soluzione: l’art. 23 CAD stabilisce che le copie su supporto analogico di documenti informatici (anche firmati digitalmente) hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. In pratica, se l’ente che emette l’atto produce una copia cartacea del suo documento digitale, qualcuno dotato di pubblici poteri deve dichiararne la conformità all’originale affinché quella copia abbia valore legale pari all’originale elettronico. Chi può fare tale attestazione? Nel caso degli atti amministrativi e tributari, la funzione di pubblico ufficiale può essere svolta dallo stesso funzionario emanante (dirigente o delegato) nell’ambito delle sue attribuzioni. Spesso, infatti, in calce agli avvisi notificati per posta si trova una formula tipo: “Documento prodotto e sottoscritto digitalmente. Copia analogica conforme all’originale informatico ai sensi dell’art. 23 D.Lgs. 82/2005”, seguita dal nominativo (e talvolta la firma autografa o timbro) del responsabile. In alternativa o ad integrazione, l’art. 23 co.2-bis CAD consente di apporre sulla copia analogica un “contrassegno” (ad es. un QR code o un codice univoco) che permette di accedere all’originale digitale e verificarne la corrispondenza. Tale contrassegno sostituisce a tutti gli effetti la firma autografa del pubblico ufficiale sulla copia. Dunque, per essere valida la copia cartacea di un atto nativo digitale deve riportare o un’attestazione di conformità formale, oppure un contrassegno elettronico equivalente – in assenza di ciò, la copia non può garantire l’autenticità dell’atto.
- Notifica via PEC vs notifica postale: fino dal 2017 la legislazione consente la notificazione degli atti tributari tramite PEC (posta elettronica certificata) ai destinatari che abbiano un domicilio digitale. La PEC consente di inviare direttamente il file informatico originale (p.es. un PDF firmato digitalmente con estensione .p7m) nella casella del contribuente. Se il contribuente ha un indirizzo PEC registrato, l’ente è tenuto a utilizzare prioritariamente tale mezzo. Tuttavia, la notifica a mezzo posta rimane ammessa come modalità residuale o alternativa, in particolare se il soggetto non possiede un domicilio digitale attivo. Il legislatore non ha imposto l’uso esclusivo della PEC per gli avvisi di accertamento. Quindi, notificare un avviso digitale tramite raccomandata A/R è lecito, purché – come visto – la copia cartacea sia resa conforme all’originale. La disciplina della notifica cartacea segue le regole generali: normalmente avviene mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, eseguita dall’ufficio postale o da messo notificatore, e si perfeziona con la ricevuta di ritorno firmata dal destinatario o per compiuta giacenza. In ambito tributario, la notifica a mezzo posta degli avvisi è prevista e disciplinata dall’art. 14 L. 890/1982 e dall’art. 60 del D.P.R. 600/1973. In ambito previdenziale (INPS), l’avviso di addebito può essere notificato (i) via PEC (in via prioritaria) o (ii) tramite i messi comunali/polizia municipale o (iii) tramite raccomandata A/R. Dunque la forma cartacea continua ad avere un ruolo, ma dev’essere utilizzata con le cautele sopra descritte quando l’atto originale è digitale.
- Norme speciali per altri enti e atti: il principio della necessità di firma del responsabile vale anche per enti diversi dall’Agenzia delle Entrate. Ad esempio, l’INPS per gli avvisi di addebito (introdotti dall’art. 30 D.L. 78/2010) richiede che l’atto sia sottoscritto dal responsabile dell’ufficio, anche mediante firma elettronica. Analogamente, negli enti locali (Comuni) gli avvisi di accertamento per tributi come IMU, TARI, ecc. devono essere firmati dal funzionario incaricato. Molti Comuni si avvalgono di società concessionarie per la riscossione, e la stessa giurisprudenza ha chiarito che la firma a stampa o digitale può essere utilizzata anche dai concessionari dei tributi locali, sempre nel rispetto dei presupposti normativi. Inoltre, dal 2020 in avanti, sia gli avvisi dell’Agenzia Entrate sia molti avvisi locali sono atti “impo-esecutivi”, cioè contengono anche l’intimazione ad adempiere e, trascorsi i termini di pagamento senza ricorso, valgono essi stessi come titolo esecutivo per la riscossione coattiva (senza bisogno della cartella esattoriale). Ciò rende ancora più importante la verifica della regolarità formale di tali atti: un vizio di forma (come la mancanza di valida firma) potrebbe infatti evitare che un atto altrimenti immediatamente esecutivo produca effetti contro il contribuente.
Giurisprudenza recente: validità o nullità degli atti digitali notificati in forma cartacea
Negli ultimi anni, le controversie su avvisi di accertamento nativi digitali ma notificati per posta (su carta) sono approdate frequentemente in Commissione Tributaria e fino in Corte di Cassazione, producendo orientamenti talora contrastanti, poi chiariti dalle pronunce più recenti. Esaminiamo l’evoluzione giurisprudenziale, distinguendo tra le decisioni di merito (Commissioni/Tribunali) e gli interventi nomofilattici della Cassazione.
I primi contrasti nelle Commissioni Tributarie (2018-2020)
All’indomani della diffusione degli atti impositivi firmati digitalmente, alcune Commissioni Tributarie di merito avevano adottato un indirizzo rigoroso: se l’avviso digitale non veniva notificato via PEC, ma in copia cartacea, esso era considerato nullo. In particolare, si riteneva che la firma digitale potesse dispiegare la sua efficacia solo con la notifica telematica, unico modo per consentire al contribuente di verificare direttamente l’identità del firmatario e l’integrità del documento. Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli in una sentenza del 2019 ha affermato che “la firma digitale con cui viene sottoscritto l’atto ha validità solo nell’ipotesi in cui la notifica viene eseguita tramite PEC, poiché solo in questo modo è possibile verificare l’identità dell’autore, l’integrità del documento e la riconducibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere… Nel caso in cui un atto cartaceo riporti una firma digitale questa non ha alcun valore, in quanto priva dei requisiti essenziali di validità… pertanto l’avviso di accertamento firmato digitalmente ma notificato in via ordinaria, per mezzo posta, deve considerarsi nullo”. Analogamente, altre pronunce di merito (CTP Salerno 664/2020, CTP Vicenza 74/2018, CTP Treviso 55/2018, etc., citate nelle rassegne) avevano invalidato avvisi “cartacei” contenenti la mera dicitura “firmato digitalmente” senza ulteriori garanzie.
La ratio di questo orientamento era chiara: una semplice stampa cartacea di un file digitale con l’indicazione del nome del funzionario e la nota “firmato digitalmente” veniva equiparata ad un atto privo di sottoscrizione, poiché su quel foglio non compariva né una firma autografa né un’attestazione ufficiale di conformità. Mettevano insomma in dubbio che il documento ricevuto fosse genuinamente riconducibile all’originale firmato in digitale. Tali sentenze sottolineavano che, mancando la sottoscrizione legalmente riconosciuta sull’atto notificato, difettava la “volontà certificativa” dell’organo amministrativo e ciò integrava la nullità ex art. 42 DPR 600/73.
Va detto che in questa fase qualche Commissione aveva invece salvato gli atti muniti di attestazione: ad esempio, sentenze di merito coeve richiamavano già l’art. 23 CAD sostenendo che la notificazione della copia analogica è legittima se vi è l’attestazione di conformità all’originale. Il quadro però restava disomogeneo fino all’intervento chiarificatore della Cassazione a partire dal 2021.
I principi della Corte di Cassazione (2021-2024)
La Corte di Cassazione è stata investita più volte della questione, soprattutto nell’ambito di ricorsi dell’Agenzia delle Entrate contro decisioni di Commissione che avevano annullato avvisi digitali notificati per posta. Le pronunce della Suprema Corte hanno progressivamente definito un orientamento saldo, che può riassumersi così: un avviso di accertamento “nativo digitale” può essere validamente notificato anche in forma cartacea, a condizione che la copia analogica rechi l’attestazione di conformità all’originale digitale (o equivalente contrassegno) prevista dall’art. 23 CAD; in mancanza di tale attestazione, l’atto è nullo per difetto di sottoscrizione.
Già con due sentenze del 2021 (Cass. nn. 1150 e 1557/2021), la Cassazione aveva inaugurato questo percorso, ritenendo legittima la notifica di copia analogica conforme di un atto impositivo digitale. La Corte richiamò espressamente l’art. 23 CAD, affermando che la presenza della dicitura di conformità era sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto e a conferirgli lo stesso valore probatorio dell’originale informatico. Dunque, un avviso digitale stampato su carta non è nullo se riporta un’attestazione ufficiale di conformità all’originale: in tal caso, la copia cartacea “tiene luogo dell’originale” e vale quanto quest’ultimo. Viceversa – ha chiarito la Cassazione – qualora la copia cartacea notificata sia priva di attestazione di conformità (né vi sia contrassegno ex art. 23 co.2-bis), l’atto deve considerarsi nullo ex art.42 DPR 600/73, in quanto privo di sottoscrizione valida. Su quest’ultima ipotesi la Suprema Corte si è espressa in particolare con l’ordinanza n. 24681 dell’11/08/2022, molto citata nelle pronunce successive. In tale decisione si è affermato il principio che l’indicazione “firmato digitalmente” stampata accanto al nominativo del funzionario, se non accompagnata dall’asseverazione di conformità, equivale ad assenza di sottoscrizione. Trattandosi di una nullità formale espressamente prevista dalla legge a presidio della riferibilità dell’atto all’ufficio, non è applicabile la sanatoria per raggiungimento dello scopo (art.156 c.p.c.). In altre parole: un avviso così notificato resta nullo anche se il contribuente ne ha preso conoscenza e magari ne ha discusso nel merito, perché la legge impone la sottoscrizione come requisito indefettibile e la sua mancanza non può essere sanata postuma.
La Cassazione ha ribadito e affinato questi concetti in epoca recente. Di particolare rilievo sono due pronunce gemelle del giugno 2024: Cass. Sez. Trib. n. 16293/2024 (dep. 12 giugno 2024) e Cass. Sez. Trib. n. 16846/2024 (dep. 19 giugno 2024). Entrambe riguardavano avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate (per annualità 2012-2013) firmati digitalmente e notificati via posta, che le Commissioni di merito avevano annullato. La sentenza n. 16293/2024 in particolare contiene una motivazione estesa e autorevole, che conferma in pieno il filone inaugurato nel 2021. La Suprema Corte vi affronta due aspetti: (a) la presunta inapplicabilità del CAD agli avvisi di accertamento in un certo periodo, e (b) la validità della notifica cartacea.
Sul punto (a), alcuni contribuenti sostenevano che nel periodo 2016-2018 il Codice dell’Amministrazione Digitale, per espressa previsione dell’art. 2 co.6 CAD (nel testo allora vigente), escludeva l’uso di strumenti informatici per l’esercizio delle attività ispettive e di controllo fiscale – e quindi, a loro dire, gli avvisi non potevano essere emessi con firma digitale. La Cassazione ha smentito questa lettura: ha chiarito che l’esclusione temporanea riguardava solo la fase ispettiva di controllo (ad es. i processi verbali di constatazione) e non gli atti impositivi successivi. Dunque, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 217/2017 (che dal 27/01/2018 ha inserito il nuovo comma 6-bis all’art.2 CAD, estendendo esplicitamente il CAD agli atti di accertamento tributario), nulla vietava all’Amministrazione di emettere avvisi in formato elettronico e di sottoscriverli digitalmente. In ogni caso, dal 2018 in avanti il quadro normativo è inequivoco: gli atti di liquidazione, accertamento e irrogazione sanzioni devono poter essere formati in digitale (il CAD è pienamente applicabile). I giudici di legittimità richiamano anche l’art. 40 CAD, che impone alle PA di formare gli originali dei propri documenti con mezzi informatici, e lo Statuto del Contribuente che distingue fase di controllo e fase di accertamento. Insomma, oggi l’uso del digitale è la regola e il cartaceo l’eccezione.
Passando al punto (b), la Cassazione 16293/2024 si esprime in modo definitivo sulla questione firma digitale + notifica cartacea: la copia analogica di un avviso digitalmente sottoscritto, se correttamente dichiarata conforme all’originale digitale ai sensi dell’art. 23 CAD, tiene luogo dell’originale ed è validamente notificata al contribuente anche a mezzo del servizio postale. Nella stessa frase, la Corte aggiunge che la notifica può avvenire sia via PEC sia via posta, senza che vi siano preclusioni legali in tal senso. Nel caso concreto, ha quindi dato torto alla Commissione regionale che aveva preteso obbligatoria la PEC: l’invio tramite raccomandata è stato ritenuto valido, poiché l’atto conteneva la dicitura di conformità ed era firmato digitalmente in modo regolare. La sentenza 16846/2024, dal canto suo, pur essendo un’ordinanza “motivata in modo semplificato”, conferma gli stessi principi. In essa la Corte richiama anche precedenti rilevanti (Cass. 20628/2017, Cass. 9079/2015) che avevano avallato l’uso della firma a stampa e rimarca come nell’atto impugnato vi fosse l’attestazione di conformità oltre alla firma digitale. Inoltre, c’è un passaggio importante in cui si cita l’ordinanza Cass. 24681/2022: “Tale attestazione è sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto… Consegue che l’avviso… contenente la sola indicazione ‘firmato digitalmente’… è nullo ai sensi dell’art. 42, c.3… in quanto privo di sottoscrizione.”. Questa frase, inserita nella motivazione del 2024, integra ormai il principio di diritto consolidato.
In sintesi, ad esito della giurisprudenza attuale (2024-2025), possiamo fissare i seguenti punti fermi:
- Un avviso di accertamento elettronico (nativo digitale), firmato con firma digitale qualificata dal funzionario delegato, è valido e soddisfa l’obbligo di sottoscrizione (art.42 DPR 600/73); non è causa di nullità aver utilizzato la firma digitale invece di quella autografa. Eventuali previgenti limitazioni normative (CAD ante 2018) non incidono su questa validità, perché non estese agli atti impositivi.
- La notifica tramite PEC di un atto del genere è sempre consigliabile e sicura, in quanto il destinatario riceve il file originale firmato digitalmente e può immediatamente verificarlo. In caso di notifica telematica, la giurisprudenza richiede semplicemente che l’atto allegato sia effettivamente firmato (se per errore venisse inviata via PEC una copia non firmata digitalmente, sarebbe nullo). Ad esempio, Cass. 10226/2024 ha confermato la nullità di un ricorso notificato via PEC privo di firma digitale, equiparando la mancanza di firma digitale alla mancanza di sottoscrizione secondo il CAD. Dunque, in via telematica vale la regola speculare: niente firma digitale sul documento informatico = atto nullo.
- La notifica tramite servizio postale di un avviso nativo digitale è legittima, ma a condizione indispensabile che l’atto cartaceo consegnato al contribuente sia una copia conforme all’originale informatico in tutte le sue componenti. Ciò può avvenire tramite l’attestazione di conformità apposta da pubblico ufficiale (di solito lo stesso emittente) oppure mediante un contrassegno a stampa (QR code o similare) che consenta di accedere all’originale digitale. Quando tale formalità è rispettata, la copia analogica ha la stessa efficacia probatoria dell’originale e l’atto si considera regolarmente sottoscritto e notificato.
- Se invece la copia cartacea notificata difetta dell’attestazione di conformità (e non contiene altra indicazione equivalente, come il contrassegno di cui sopra), allora secondo la Cassazione “l’avviso di accertamento contenente la sola indicazione ‘firmato digitalmente’… è nullo […] in quanto privo di sottoscrizione”. È come se mancasse la firma, perché quel foglio non porta né firma autografa né certificazione dell’esistenza di una firma digitale a monte. In tal caso l’atto è viziato da nullità insanabile ex lege e il vizio potrà essere fatto valere dal contribuente in sede di impugnazione, con ottime probabilità di annullamento.
La posizione della Suprema Corte, specie dopo le sentenze del 2024, è ritenuta “diritto vivente” in materia tributaria. Vale la pena aggiungere che anche in ambito non tributario vi sono conferme analoghe: per esempio, in ambito civilistico la Cassazione (Sez. III, ord. n.23213 del 28/08/2024) ha statuito che, per contestare la conformità di una copia analogica all’originale digitale, il destinatario deve operare un disconoscimento chiaro e circostanziato, altrimenti la conformità si dà per ammessa. Ciò indirettamente rafforza l’idea che basta l’attestazione ufficiale perché la copia faccia piena prova, a meno di specifica contestazione. Nel processo tributario, comunque, è sufficiente eccepire la mancanza della dicitura di conformità per far valere la nullità – non occorre procurarsi l’originale digitale, sarà semmai l’ente impositore a doverlo esibire se ne ha interesse (cosa che però, in difetto di attestazione, non sana il vizio originario).
Riassumiamo quindi i possibili scenari relativi alla firma e notifica degli atti, con gli effetti sulla validità, nella Tabella 1 seguente.
Tabella 1: Modalità di sottoscrizione e notifica – validità dell’atto
Scenari di sottoscrizione e notifica | Esito sulla validità dell’atto |
---|---|
Originale cartaceo, firma autografa, notifica cartacea (originale o copia) | Valido. L’atto reca sottoscrizione autografa originale; la notifica cartacea è la modalità naturale. (Esempio: avviso analogico firmato a penna dal dirigente e spedito per posta.) |
Originale cartaceo, firma a stampa (nome stampato) autorizzata, notifica cartacea | Valido (previa verifica condizioni). La firma a stampa è equiparata per legge alla firma autografa se l’ente segue la procedura prevista (automazione, provvedimento autorizzativo, indicazione di legge in calce). In tal caso l’atto è valido e notificabile su carta. (Esempio: cartella di pagamento con indicazione a stampa del responsabile, ex art.25 D.Lgs. 46/1999 e L.549/95.) |
Originale informatico con firma digitale, notifica telematica (PEC) | Valido. L’atto informatico è regolarmente sottoscritto digitalmente e viene recapitato al destinatario in originale, che può verificarne la firma. Nessun adempimento ulteriore richiesto. (Esempio: avviso Agenzia Entrate .pdf/.p7m inviato via PEC al contribuente.) |
Originale informatico con firma digitale, notifica cartacea con attestazione di conformità (o contrassegno ex art.23 co.2-bis CAD) | Valido. La copia analogica conforme tiene luogo dell’originale digitale; l’attestazione di conformità (o il codice verificatore) garantisce l’esistenza della firma digitale originale e attribuisce alla copia stessa piena efficacia probatoria. (Esempio: avviso IMU comunale firmato digitalmente, stampato con dicitura “Copia conforme all’originale informatico ai sensi art.23 CAD” e notificato per posta.) |
Originale informatico con firma digitale, notifica cartacea senza attestazione/contrassegno | Nullo. L’avviso, in forma cartacea, risulta privo di una sottoscrizione legalmente riconosciuta. La dicitura “firmato digitalmente” da sola non vale a validare la copia, mancando la certificazione di un pubblico ufficiale. L’atto è nullo ex art.42 DPR 600/73 per difetto di sottoscrizione e tale nullità non è sanabile. (Esempio: avviso di addebito INPS ricevuto per posta, che reca solo il nominativo stampato del funzionario e la nota “documento firmato digitalmente” senza attestazione: atto nullo impugnabile). |
(Legenda: per originale informatico si intende il documento elettronico firmato digitalmente e conservato nei sistemi dell’ente; per copia analogica si intende la stampa su carta di tale documento.)
Profili di nullità e strategie di difesa (dal punto di vista del debitore)
Dal punto di vista di chi riceve l’atto – sia esso un contribuente soggetto a un accertamento fiscale, un cittadino/imprenditore destinatario di un avviso di pagamento IMU/TARI, o un debitore contributivo verso l’INPS – è fondamentale saper riconoscere i vizi formali che possono inficiare l’atto e conoscere le modalità e i termini per farli valere. In questa sezione vedremo come difendersi concretamente, assumendo il punto di vista del debitore che intenda far valere la nullità dell’avviso firmato digitalmente e notificato in cartaceo.
Verifiche immediate sull’atto ricevuto
Non appena si riceve un avviso (per posta cartacea o via PEC), occorre innanzitutto esaminarne il contenuto e la forma. In particolare:
- Controllare la presenza della firma o attestazione: Se l’atto è arrivato per posta in forma cartacea, guardate nelle pagine finali. Cercate un segno di sottoscrizione: su un documento analogico tradizionale ci sarebbe la firma autografa del funzionario con penna blu/nera. Su un atto stampato da originale digitale, invece, potreste trovare:
- la scritta “Firmato digitalmente da NOME COGNOME” (spesso vicino al nominativo del funzionario responsabile);
- eventualmente un QR code o un codice alfanumerico univoco;
- una frase tipo “Si attesta la conformità della presente copia cartacea all’originale informatico ai sensi dell’art. 23 CAD”, seguita dal nome (e a volte firma) di un dirigente.
Se manca sia una firma autografa sia una dicitura di conformità/QR code, il documento presenta un vizio: è una mera fotocopia non autenticata di un atto informatico. In tal caso, come visto, la giurisprudenza ritiene l’avviso nullo. Questo è un elemento di difesa molto forte per il destinatario. Se invece trovate la dicitura di conformità, l’ente ha adempiuto al requisito formale e non sarà possibile contestare la sottoscrizione: dovrete eventualmente valutare altri motivi di ricorso (motivi di merito, difetti di motivazione ecc., fuori dallo scopo di questa guida).
- Modalità di notifica e documentazione: Se la notifica è avvenuta per raccomandata, conservate con cura la busta e la ricevuta di ritorno. Controllate che sull’avviso ci sia indicata la data di formazione dell’atto e confrontatela con il timbro postale: in rari casi, può capitare che l’atto sia stato formato (e magari firmato digitalmente) dopo la spedizione, il che configurerebbe un’irregolarità (la notifica di un atto inesistente al momento della spedizione). Questa è una verifica di dettaglio. Se avete ricevuto l’atto via PEC, controllate che l’email provenga da un indirizzo PEC ufficiale dell’ente e che contenga effettivamente l’allegato del documento firmato (es. file .p7m). Se l’allegato fosse una semplice scansione PDF non firmata digitalmente, ciò potrebbe costituire un vizio (in ambito tributario tuttavia la notifica PEC di copia informatica di originale cartaceo senza firma digitale dell’atto è generalmente ritenuta valida, grazie alla presunzione di conformità legata all’invio da PEC istituzionale, ma la questione è complessa e oltre il nostro tema).
- Identità del funzionario e delega: Verificate che sull’atto sia indicato chiaramente chi lo sottoscrive (nome e qualifica). Se è presente solo un nome senza firma autografa, è probabile sia una firma digitale; se è un atto locale con firma a stampa, deve essere citata la norma di autorizzazione (ad es. “firma apposta ai sensi dell’art.1 co.87 L.549/95”). Inoltre, se non è il capo ufficio ma un delegato, deve risultare che c’è stata delega di firma. Un vizio frequente in passato era la mancanza di prova della delega: la Cassazione ha stabilito che la carenza di delega o la sottoscrizione da parte di soggetto non titolato comporta nullità. Dunque, un occhio anche a questo: se il firmatario (digitale) non è il dirigente, si può chiedere in giudizio la prova della delega.
- Completezza e motivazione dell’atto: Oltre agli aspetti di firma, controllate sempre che l’atto contenga tutti i requisiti di legge (indicazione dell’anno d’imposta o periodo, dell’imponibile accertato, delle aliquote, della motivazione chiara delle riprese a tassazione, ecc.). La mancata indicazione del responsabile del procedimento o la motivazione incomprensibile/generica possono costituire ulteriori motivi di nullità o annullabilità (ad es. ex art.7 L.212/2000 per difetto di motivazione). Nel caso degli avvisi di addebito INPS, ad esempio, la legge richiede a pena di nullità l’indicazione del codice fiscale del debitore, del periodo del credito, causale, ripartizione importi, ecc.. Anche la mancata preventiva notifica di un avviso bonario in materia previdenziale può essere eccepita come motivo di illegittimità (in alcuni casi le procedure richiedono un preavviso). Insomma, è bene far esaminare l’atto a un professionista per individuare tutti i possibili vizi da far valere insieme.
In questa sede ci concentriamo sul vizio specifico della sottoscrizione/validità formale, che è spesso decisivo. Se, dalle verifiche di cui sopra, emergono elementi come “atto privo di attestazione di conformità”, “firma digitale non verificabile su carta”, assenza del nominativo del firmatario, ecc., avete individuato un punto forte per la difesa.
Come impugnare l’atto e far valere la nullità
Individuato il vizio, occorre agire tempestivamente per far valere la nullità davanti all’autorità competente. È importante capire che, salvo rarissimi casi, le nullità degli atti tributari non producono l’annullamento automatico: se il contribuente destinatario non presenta ricorso nei termini di legge, l’atto – ancorché viziato – diverrà definitivo. In altre parole, non bisogna mai ignorare un avviso confidando che sia nullo: occorre presentare ricorso e ottenere una pronuncia che ne dichiari l’invalidità. Solo così ci si tutela da cartelle e azioni esecutive successive.
Le modalità e i termini di impugnazione variano in base al tipo di atto e di ente emittente:
- Per un avviso di accertamento fiscale (es. Agenzia Entrate per imposte sui redditi, IVA, registro, oppure avvisi di tributi locali come IMU/TARI), il destinatario deve proporre un ricorso alla Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Il termine è generalmente di 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto. Attenzione: dal 1° gennaio 2023 le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria, ma la sostanza del processo non è cambiata. Il ricorso deve essere notificato all’ente impositore (di solito tramite PEC all’ufficio legale dell’ente) entro i 60 giorni, e successivamente depositato telematicamente. Se il vizio è la nullità della firma, esso rientra nei motivi di ricorso da esporre. Nel ricorso si dedurrà, ad esempio: “Nullità dell’avviso impugnato per difetto di sottoscrizione ex art.42 DPR 600/73, in quanto l’atto – formato digitalmente – è stato notificato in copia cartacea priva di attestazione di conformità all’originale informatico, risultando così la copia non sottoscritta da pubblico ufficiale”. Si allegherà copia dell’atto evidenziando la dicitura “firmato digitalmente” e l’assenza di attestazione. Sarà poi onere dell’ente controparte provare eventualmente il contrario (ma se la dicitura non c’è sul documento, difficilmente potranno rimediare). Il giudice tributario, verificato il vizio, dichiarerà la nullità dell’avviso, con conseguente annullamento integrale della pretesa.
- Per un avviso di addebito INPS (credito previdenziale), la giurisdizione è del Tribunale Ordinario in funzione di giudice del lavoro. Si tratta di un’opposizione ad atto esecutivo, assimilabile a quelle contro le cartelle. Il termine è molto più breve: 40 giorni dalla notifica per depositare il ricorso in tribunale. Anche qui, nel ricorso andrà eccepita la nullità dell’atto se ad esempio manca la firma o l’attestazione di conformità sulla copia notificata. È bene farsi assistere da un avvocato esperto di diritto previdenziale, data la tecnicità del rito del lavoro. In tale sede si può anche chiedere la sospensione dell’esecuzione se nel frattempo l’INPS (tramite Agenzia Riscossione) ha avviato misure come fermi amministrativi o pignoramenti – evenienza possibile visto che l’avviso di addebito è immediatamente esecutivo dopo 60 giorni dalla notifica. Generalmente, se si agisce entro 40 giorni, l’atto esecutivo viene sospeso automaticamente dalla legge fino alla decisione sull’opposizione.
- Per un atto di accertamento di un ente locale (es. avviso IMU/TASI emesso dal Comune o dal concessionario), la sede è ancora la Giustizia Tributaria (essendo tributi locali, si segue il processo tributario come per l’Agenzia Entrate). Quindi 60 giorni per il ricorso alla Corte Giustizia Tributaria provinciale competente (di solito quella della provincia del Comune). La procedura è la medesima del ricorso tributario spiegata sopra. Anche qui, chiaramente si allegherà l’atto impugnato e se manca l’attestazione di conformità lo si farà rilevare al giudice. Si segnala che, in base all’art. 1 co.162 L. 296/2006, anche gli avvisi dei Comuni devono essere sottoscritti dal funzionario responsabile; inoltre dal 2020 molti avvisi locali sono anch’essi “esecutivi” dopo 60 giorni. Il vizio di firma, quindi, è parimenti rilevante.
- Altre tipologie di atti: se il destinatario riceve, ad esempio, un’ingiunzione fiscale ex R.D. 639/1910 (strumento usato da alcuni enti locali in alternativa alla cartella), l’atto deve essere firmato dal dirigente o dal concessionario e può essere digitalmente firmato. In caso di vizi, l’impugnazione avviene in sede di giudice ordinario (trattandosi di entrate extra-tributarie) con i termini dell’opposizione agli atti esecutivi (30 giorni). Questo esula un po’ dal nostro focus, ma conferma che la prima cosa da fare è individuare a chi e entro quando presentare ricorso.
Nella tabella seguente riepiloghiamo i termini di impugnazione e i giudici competenti per i casi più comuni dal punto di vista del debitore:
Tabella 2: Termini e modalità di impugnazione degli atti (firme digitali)
Atto ed ente emittente | Termine per il ricorso | Autorità competente |
---|---|---|
Avviso di accertamento – Agenzia Entrate (atto tributario erariale) | 60 giorni dalla notifica (sospesi dal 1° agosto al 31 agosto) | Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (ex Comm. Trib. Prov.) del territorio dell’ufficio emittente. Ricorso in via telematica. |
Avviso di accertamento – Comune (tributi locali es. IMU, TARI) | 60 giorni dalla notifica (sospensione feriale 1/8–31/8) | Corte Giustizia Tributaria di Primo Grado competente (provincia del Comune). Ricorso simil-tributario. |
Avviso di addebito – INPS (credito contributivo previdenziale) | 40 giorni dalla notifica (termine perentorio, no sospensione feriale poiché rito lavoro) | Tribunale Ordinario – sezione Lavoro, competente per territorio (sede INPS creditrice). Ricorso ex art. 24 D.Lgs. 46/1999. |
Cartella di pagamento – Agenzia Entrate-Riscossione (ruoli fiscali o previdenziali) | 60 giorni dalla notifica per i tributi – ricorso Giustizia Tributaria; 40 giorni per contributi INPS – ricorso Tribunale Lavoro (stesse regole di avviso INPS). (Nota: la cartella è spesso notificata via PEC come copia informatica di originale cartaceo; se contestate vizi di firma qui, la giurisprudenza è in genere meno favorevole al debitore perché la cartella cartacea può essere priva di firma autografa per legge – firma a stampa – e la notifica PEC di copia semplice è considerata valida da Cassazione, es. Cass. 12997/2025).) | Giudice Tributario per cartelle da entrate tributarie; Giudice del Lavoro per cartelle da crediti INPS. |
(N.B.: i termini sopra indicati decorrono dalla data di perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario. Prestare attenzione alle eventuali comunicazioni di irreperibilità o giacenza: se non avete ricevuto materialmente l’atto perché eravate assenti, potrebbero scattare termini di compiuta giacenza.)
Difesa in giudizio: argomentazioni e richiami giurisprudenziali
Nel predisporre il ricorso, l’obiettivo del difensore del contribuente sarà di convincere il giudice della nullità dell’atto per vizio di sottoscrizione/notifica. Le argomentazioni giuridiche da sviluppare, sulla scorta di quanto visto, potranno essere:
- Richiamo all’art.42 DPR 600/1973 (o altra norma equivalente, ad es. art. 1 co.87 L.549/95 per tributi locali, art. 30 DL 78/2010 per avvisi INPS) che prevede l’obbligo di sottoscrizione a pena di nullità. Si ribadirà che la firma è elemento essenziale e la mancanza della stessa comporta nullità insanabile.
- Descrizione del fatto: l’atto impugnato è “nativo digitale” (come risulta dalla dicitura “firmato digitalmente” in calce) ma la copia cartacea notificata non reca attestazione di conformità all’originale digitale né altro contrassegno di verifica. Dunque è una copia analogica non asseverata. Si può sottolineare che, in assenza di attestazione ex art.23 CAD, la copia analogica non ha la stessa efficacia probatoria dell’originale.
- Richiamo all’art.23 del CAD: si citerà espressamente la disposizione secondo cui le copie analogiche di documenti informatici hanno valore solo se la loro conformità è attestata da pubblico ufficiale. Nel caso concreto, tale attestazione manca del tutto; pertanto il documento cartaceo notificato al contribuente non può considerarsi conforme né far fede dell’originale informatico.
- Richiamo alle pronunce di Cassazione più aggiornate a supporto: ad esempio, si potrà citare Cass. 24681/2022 (indicando massima e estremi) per la proposizione che l’assenza di attestazione rende nullo l’avviso firmato digitalmente notificato via posta. Ancor meglio, le sentenze gemelle del 2024: Cass. 16293/2024 e Cass.16846/2024. Di quest’ultima è utile riportare la massima: “la copia analogica dell’avviso di accertamento, sottoscritta digitalmente… e dichiarata conforme all’originale informatico… tiene luogo dell’originale ed è validamente notificata… anche a mezzo del servizio postale”, congiunta però al principio che viceversa, senza dichiarazione di conformità, l’atto è nullo. Citare testualmente alcuni passaggi autorevoli (come quelli riportati nella sezione precedente) darà forza alla tesi. In un ricorso tributario scritto, ad esempio, si potrebbe scrivere: “Ed invero, la Suprema Corte ha di recente statuito che l’avviso informatico firmato digitalmente è valido se notificato in copia cartacea attestata conforme, mentre ‘l’avviso… contenente la sola indicazione “firmato digitalmente”… è nullo’ (Cass. 24681/2022; cfr. anche Cass. 16293/2024)”.
- (Eventuale) Richiamo a pronunce di merito concordanti, se ce ne sono nel proprio distretto, giusto per completare il quadro. Spesso gli uffici legali delle Entrate replicano citando le pronunce di Cassazione 2021-2024, quindi è improbabile che insistano su tesi contrarie.
- Sottolineare che si tratta di nullità radicale e insanabile, che non può essere sanata dal fatto che il contribuente abbia comunque ricevuto la copia (principio confermato esplicitamente: “trattandosi di nullità concernente un requisito formale di riferibilità dell’atto all’Ufficio, non opera la sanatoria di cui all’art.156 c.p.c.”). Questo per prevenire eventuali difese dell’ente tipo “il contribuente ha capito di cosa si tratta, quindi vale lo stesso” – obiezione che, come visto, non regge giuridicamente per questo vizio.
Se impostata correttamente, la difesa del contribuente ha ottime chance: i giudici tributari di primo grado oggi sono ben consci di questo indirizzo di Cassazione e tendenzialmente accolgono i ricorsi in casi simili, annullando l’atto viziato. Lo stesso dicasi per i Tribunali del lavoro in ambito INPS (molti decreti ingiuntivi INPS sono stati annullati per difetti formali quali assenza di firma o di indicazione del responsabile).
Cosa accade dopo l’annullamento? In genere, l’ente potrà emettere un nuovo avviso (sanando i difetti) entro i termini di decadenza se ancora aperti; ma spesso accade che, trascorsi anni di contenzioso, i termini siano decaduti e dunque il contribuente non debba più nulla. Ad esempio, se un avviso 2012 viene annullato nel 2024 per vizio di forma, l’Agenzia non potrà re-emetterlo oltre il termine di decadenza (ordinariamente quattro anni dall’anno in cui la dichiarazione è stata presentata, salvo maggior termine per sospensioni). Anche in materia previdenziale, l’INPS potrebbe riemettere un avviso corretto, ma deve stare nei 5 anni di prescrizione dei contributi: se questi sono trascorsi, il nuovo avviso non potrà più essere emesso. Quindi, far valere i vizi formali non è affatto inutile, anzi può definitivamente chiudere la partita.
Naturalmente, qualora invece il giudice respinga il ricorso ritenendo l’atto valido (ipotesi possibile se, ad esempio, la Commissione interpreta che la dicitura presente era sufficiente come attestazione, o considera sanato il vizio – evenienza rara ma non impossibile), il contribuente potrà appellare la decisione in secondo grado (Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado, ex Commissione Regionale, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). In appello si insisterà sui principi di diritto della Cassazione. In ultimo, c’è sempre la possibilità di ricorrere in Cassazione (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello) se la questione rimane controversa in merito alla validità dell’atto digitale cartaceo: ma, come abbiamo visto, la Suprema Corte oggi è molto chiara nel dare ragione al contribuente quando manchi l’attestazione di conformità.
Esempi pratici di difesa (simulazioni)
Per concretizzare quanto esposto, immaginiamo due casi pratici in cui un debitore si trovi a dover gestire un avviso firmato digitalmente e notificato in cartaceo. Illustreremo come procedere e quale potrebbe essere l’esito, alla luce delle norme e sentenze viste.
Caso 1 – Avviso di accertamento IMU del Comune, firmato digitalmente e notificato per posta senza attestazione.
Scenario: Il Sig. Rossi, proprietario di un immobile, riceve nel giugno 2025 un avviso di accertamento IMU dal Comune Alfa, con cui gli viene richiesto il pagamento di €5.000 per differenze d’imposta 2020. L’avviso gli viene recapitato tramite raccomandata A/R. Esso consiste in un documento di 3 pagine stampate. Nell’ultima pagina, dopo il calcolo dell’imposta, c’è indicato: “Il Funzionario Responsabile: Dott. Mario Bianchi – Firmato digitalmente”. Non vi è alcuna firma a penna, né timbro. Sotto, non compare alcuna dicitura di conformità all’originale informatico, né alcun QR code. Rossi, insospettito, si rivolge al suo avvocato. Analisi: l’atto in questione è chiaramente un documento nativo digitale (lo indica la nota “firmato digitalmente”) che però è stato notificato in copia analogica. La mancanza della formula di attestazione di conformità è un serio vizio. In assenza di tale attestazione, infatti, la copia cartacea non ha valore di documento ufficiale firmato. L’avvocato conferma a Rossi che l’atto è presumibilmente nullo per difetto di sottoscrizione. Procede quindi a predisporre un ricorso tributario innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, eccependo la nullità ex art.42 DPR 600/73. Nel ricorso richiama Cass. 24681/2022 e Cass. 16846/2024, evidenziando che manca totalmente l’attestazione richiesta dall’art.23 CAD. Esito possibile: La Commissione, verificato l’atto, concorda che esso non reca alcuna sottoscrizione valida. Richiamando a sua volta la giurisprudenza di legittimità, pronuncia la nullità dell’avviso IMU notificato al Sig. Rossi. Ciò comporta l’annullamento integrale della pretesa di €5.000. Il Comune, se ancora nei termini, potrebbe riemetterlo sanando il vizio (ad es. allegando attestazione); tuttavia, nel caso IMU 2020 i termini di decadenza scadono il 31/12/2025. Se la sentenza arriva dopo tale data, il Comune non potrà più recuperare l’imposta per quell’anno. Il Sig. Rossi avrà dunque evitato il pagamento grazie alla difesa sul vizio formale.
(Variante: supponiamo che nell’avviso del caso 1 fosse invece presente un QR code che, scansionato, rimanda al documento originale sul sito del Comune con firma digitale verificabile. In tal caso la copia sarebbe conforme ex art.23 co.2-bis CAD; il ricorso di Rossi verrebbe probabilmente respinto sul punto firma, dovendo lui pagare l’IMU salvo altri motivi di ricorso. Ecco perché è cruciale individuare se c’è o meno l’attestazione/contrassegno.)*
Caso 2 – Avviso di addebito INPS notificato cartaceo con firma digitale non autenticata.
Scenario: La ditta individuale XYZ di Marco Verdi riceve nel luglio 2025, tramite posta, un plico dall’INPS contenente un “Avviso di Addebito con valore di titolo esecutivo” per €20.000 di contributi non versati anni 2018-2019. Il documento è stampato e presenta in alto un logo INPS e l’intestazione dell’agenzia di riscossione. In fondo al documento, dopo i dettagli del debito, c’è scritto: “Documento prodotto in originale informatico da INPS e sottoscritto digitalmente ai sensi dell’art.24 D.Lgs. 82/2005. La presente copia analogica, ai sensi dell’art. 23 co.1 D.Lgs. 82/2005, è conforme all’originale informatico. Responsabile del procedimento: Dott. Giovanni Rossi, Direttore Sede INPS Beta”. Non c’è firma a penna, ma accanto a questa dichiarazione c’è un timbro dell’INPS. Verdi si chiede se l’atto sia regolare. Analisi: qui notiamo che l’INPS ha inserito un’attestazione di conformità nella copia cartacea (“la presente copia è conforme all’originale informatico…”). Questo soddisfa il requisito dell’art.23 CAD. Dunque, anche se la firma è solo digitale e non visibile, la copia è resa legale dall’attestazione. L’avviso non parrebbe nullo sotto il profilo firma. L’avvocato di Verdi esamina allora altri aspetti: ad esempio verifica se l’avviso riguarda importi prescritti o se manca un precedente avviso bonario. Supponiamo che emerga che una parte dei contributi 2018 è prescritta al 31/12/2023 (5 anni) e che l’avviso è partito nel 2025. Allora il ricorso verterà su prescrizione, non su nullità per firma. Esito possibile: il giudice (Tribunale) potrebbe accogliere parzialmente, annullando l’avviso limitatamente ai contributi prescritti ma confermandolo per il resto. In ogni caso, in questo scenario la difesa non avrebbe potuto puntare sulla nullità della firma, poiché l’INPS si era cautelata rispettando la procedura di conformità. Questo esempio evidenzia l’importanza per il debitore di distinguere quando c’è un vizio formale sfruttabile e quando invece l’atto è formalmente in regola (nel qual caso bisognerà concentrarsi su altri tipi di difesa, come vizi di merito o prescrizioni).
Caso 3 – (Extra) Cartella di pagamento via PEC senza firma digitale.
Scenario: La società Alpha Srl riceve via PEC da Agenzia Entrate-Riscossione una cartella di pagamento per IRAP non versata, importo €10.000. La PEC contiene un allegato PDF “Cartella_123.pdf” che è la copia informatica della cartella. La cartella originale (che esiste negli archivi AE-R) reca la firma a stampa del direttore dell’ente di riscossione (come consentito dal DM 321/1999), ma il PDF ricevuto non è firmato digitalmente né vi è attestazione di conformità del file rispetto all’originale cartaceo. L’amministratore si chiede: posso contestare la cartella perché l’ho ricevuta via PEC senza firma digitale? Analisi: Questo caso è l’inverso degli avvisi trattati finora (qui originale cartaceo, copia informatica via PEC). La giurisprudenza ha generalmente ritenuto valida la notifica PEC di una cartella non firmata digitalmente, perché la cartella cartacea originaria è già considerata legittima con firma a stampa per legge, e la PEC garantisce comunque la provenienza (il gestore PEC attesta l’avvenuta consegna dal mittente ufficiale). Cassazione ha più volte respinto ricorsi che denunciavano la mancanza di firma digitale sulla cartella inviata via PEC, ritenendo che non sia un vizio invalidante. Infatti, la firma digitale non è obbligatoria per notificare copie informatiche di atti originali analogici se la notifica avviene tramite PEC da indirizzo istituzionale, in quanto l’art. 48 del CAD e la normativa sulle notifiche telematiche nella riscossione prevedono forme di attestazione implicita. Esito: La Alpha Srl può provare a impugnare in Commissione la cartella sostenendo il difetto di firma elettronica, ma con ogni probabilità il ricorso sarà respinto in base all’orientamento consolidato (si veda ad es. Cass. 13010/2018, Cass. 22437/2020). Le situazioni da contestare con successo restano dunque quelle dell’atto digitale notificato su carta senza attestazione, più che l’atto cartaceo notificato via digitale. (Abbiamo incluso questo caso solo per completezza e per evitare confusione: è bene sapere che la simmetria tra le due fattispecie non è perfetta, e ciò che è vizio in un caso può non esserlo nell’altro, per via delle diverse norme applicabili.)
Domande frequenti (FAQ)
D: Ho ricevuto un avviso di accertamento per posta con dicitura “firmato digitalmente”. Posso ignorarlo perché tanto è nullo?
R: No. Anche se l’atto presenta un potenziale vizio, non devi ignorarlo! Al contrario, devi attivarti per far valere la nullità nelle sedi opportune entro i termini (60 giorni in genere). Se ignorassi l’atto, lasciandolo decadere senza ricorso, esso potrebbe diventare definitivo e l’ente potrebbe procedere a riscossione coattiva. La nullità, infatti, va dichiarata da un giudice su eccezione di parte. Solo in casi eccezionali (inesistenza della notifica) un atto potrebbe essere trattato come inesistente senza bisogno di ricorso, ma è una situazione limite. Quindi, anche se ritieni l’atto nullo, presenta ricorso e fai valere lì le tue ragioni.
D: Quali sono i segnali che l’avviso ricevuto è un “atto nativo digitale” stampato?
R: Di solito: (1) l’assenza di una firma autografa a penna sul cartaceo; (2) la presenza di formule come “documento firmato digitalmente” accanto al nome del funzionario; (3) la presenza di codici QR o stringhe alfanumeriche di verifica; (4) riferimenti al Codice dell’Amministrazione Digitale sull’atto (es. citazioni dell’art. 23 CAD). Se trovi questi elementi, l’originale è elettronico. Se invece c’è una firma grafica oppure la dicitura “firma autografa omessa ai sensi di…” può trattarsi di firma a stampa (analogica). In sintesi, la frase “Firmato digitalmente” è l’indizio principale di un atto nativo digitale.
D: Chi può attestare la conformità di una copia analogica all’originale digitale? Deve essere un notaio?
R: Non serve un notaio (anche se nulla vieterebbe di usare un notaio, non è pratica comune né necessaria). La legge consente l’attestazione a “un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”. Nel caso di avvisi amministrativi/tributari, il pubblico ufficiale è in genere il funzionario stesso che emette l’atto, il quale nell’esercizio delle sue funzioni ha pubbliche potestà. Spesso è lo stesso dirigente/funzionario che firma digitalmente ad inserire anche la dichiarazione di conformità sulla copia destinata alla notifica. In alternativa, potrebbe farlo un altro funzionario incaricato (ad es. il messo notificatore potrebbe certificare di aver consegnato copia conforme). L’importante è che sia figura abilitata per legge a compiere autentiche o certificazioni nell’ambito dell’ente.
D: L’attestazione di conformità deve avere una forma specifica?
R: La normativa non detta una formula tassativa, ma richiede che sia espresso che la copia analogica è conforme all’originale digitale in tutte le sue componenti. Solitamente la dicitura comprende: gli estremi del documento originale (numero/protocollo, data, oggetto) e la dichiarazione di conformità ai sensi dell’art. 23 del CAD, con luogo, data e firma/timbro del funzionario attestante. Nei casi più evoluti, l’attestazione può essere “incorporata” in un contrassegno digitale (es. un QR code) che però quando viene letto espone un certificato di conformità. In altri termini: non basta che l’atto riporti una firma digitale “invisibile”, serve un qualche elemento aggiuntivo sulla carta che certifichi quella firma. Un mero timbro “Agenzia Entrate” senza testo non sarebbe sufficiente; viceversa, una frase come “Copia conforme all’originale informatico, firmato digitalmente da XY, ai sensi dell’art.23 CAD – Il Direttore, Dr. XY” è un’attestazione valida.
D: Nel mio avviso c’è un QR code: devo comunque preoccuparmi della firma?
R: Il QR code (o codice simile) probabilmente è il contrassegno ai sensi dell’art. 23 comma 2-bis CAD. Se accanto al QR code c’è scritto che tramite esso si accede all’originale digitale, allora sei a posto: quel codice sostituisce la firma autografa del funzionario sulla copia ed è considerato per legge equivalente. Scansionando il QR code di solito si viene indirizzati a un portale dove, inserendo magari un PIN, si può visualizzare o scaricare l’originale con firma digitale. Se il QR code funziona così, l’atto è formalmente regolare. Dunque non potrai contestare un vizio di sottoscrizione. (Fai comunque altre verifiche: ad es. controlla che il QR code funzioni; se fosse illeggibile e l’ente non provasse il contenuto originale, si potrebbe riaprire il discorso, ma è una situazione limite). In sintesi, QR code presente = conformità assicurata = firma ok.
D: Ho ricevuto via PEC un avviso dall’Agenzia Entrate, ma l’allegato PDF sembra non avere firma digitale visibile (non è .p7m). È valido lo stesso?
R: Qui bisogna fare attenzione: alcuni PDF firmati digitalmente in modalità “PAdES” (firma PDF) non hanno estensione .p7m ma contengono al loro interno un certificato. Aprendo il PDF con Adobe Reader dovresti vedere nelle proprietà la firma digitale. Se invece è un semplice PDF senza alcuna firma incorporata, potrebbe essere la scansione di un cartaceo. In ambito tributario, l’invio via PEC di un atto scansionato (es. copia della cartella) è considerato valido – come accennato – perché la PEC istituzionale fa fede che provenga dall’ente e si presume la conformità. Tuttavia, nel caso di avviso di accertamento, l’ente dovrebbe inviare l’originale informatico. Se così non fosse (es: ti mandano scansione di un avviso cartaceo con firma autografa), si potrebbe eccepire la mancata attestazione di conformità della copia informatica all’originale analogico (il contrario del caso di cui trattiamo). La legge, infatti, prevede anche per le copie informatiche di documenti analogici una attestazione di conformità (art.22 CAD). Comunque, nella pratica l’Agenzia Entrate invia per PEC file firmati digitalmente. Quindi prima di tutto verifica bene con un software se c’è firma. Se proprio non c’è, potresti sollevare il vizio, ma aspettati resistenze su questo: le Commissioni tendono a ritenere valida la notifica PEC finché il documento proviene dall’ente, salvo manomissioni. In sintesi: se l’allegato PEC non è firmato, consulta un legale per valutare il da farsi, ma sappi che è un terreno meno battuto rispetto al caso opposto (digitale->cartaceo).
D: Il mio avviso risulta nullo per firma, ma contiene anche altri vizi (es. calcoli errati). Devo comunque contestare anche quelli?
R: È buona prassi, nel ricorso, contestare tutti i motivi disponibili, sia formali che di merito. Anche se il vizio di firma sembra chiaro, non dare per scontato l’esito: il giudice dovrebbe annullare l’atto per quel motivo, ma può sempre avere un’opinione diversa. Dunque inserisci nel ricorso anche gli ulteriori motivi (errori di calcolo, prescrizione, difetto di motivazione, ecc.). In tal modo, se per ipotesi il giudice non ritenesse fondata l’eccezione di nullità, potrebbe però accogliere sul merito o altri aspetti. Contestare in via subordinata il merito non sana affatto il vizio formale (puoi benissimo dire: “in via principale l’atto è nullo; in subordine, qualora ritenuto valido, è comunque infondato nel merito per XYZ”). Questa è una strategia di “doppia difesa” raccomandabile. Al contrario, non è consigliabile tacere i motivi di merito confidando solo nel vizio formale: se poi la nullità non viene riconosciuta, avrai perso senza discutere il merito (che a quel punto non potrai più far valere in appello, perché considerato assorbito ma non esaminato per tua scelta). Meglio mettere tutto.
D: Se l’atto è nullo, posso chiederne l’annullamento in autotutela senza andare in causa?
R: Puoi provarci, ma non è garantito. L’autotutela è la procedura di annullamento da parte dello stesso ente emittente, su istanza del contribuente. In teoria, essendo la nullità palese (manca la conformità), l’ufficio potrebbe riconoscerla e annullare l’atto senza bisogno di giudice. Alcuni contribuenti hanno inviato istanze di autotutela per avvisi firmati digitalmente e notificati via posta, allegando la giurisprudenza, e talvolta hanno ottenuto l’annullamento interno. Tuttavia, non c’è obbligo per l’ente di accogliere l’autotutela. Spesso gli uffici temono di creare precedenti o preferiscono lasciare che sia la Commissione Tributaria a decidere. Inoltre, l’istanza di autotutela non sospende i termini di ricorso: quindi devi comunque presentare ricorso entro 60 giorni, a meno che l’ente non annulli l’atto in tempo utile e te lo comunichi per iscritto. In pratica, puoi inviare subito l’istanza di autotutela segnalando la nullità e chiedendo l’annullamento; se entro, diciamo, 30-40 giorni non rispondono positivamente, predispone il ricorso. Se poi l’ente annulla dopo che hai fatto ricorso, potrai rinunciare al processo. Ma non affidarti solo all’autotutela perché rischi di sforare i termini di legge.
D: Dopo aver vinto in Commissione per nullità della firma, posso chiedere le spese legali?
R: Sì. Quando il giudice accoglie il ricorso annullando l’atto, di regola condanna l’ente soccombente a rifondere le spese di lite al contribuente (salvo compensazione in casi particolari). Dunque, se hai affrontato spese per l’avvocato, inserisci sempre la richiesta di rifusione spese nel ricorso. Le Commissioni tributarie oggi liquidano le spese secondo parametri ministeriali; in un giudizio di valore €5.000-20.000, ad esempio, potrebbero liquidare qualche centinaio di euro di spese, oltre al rimborso del contributo unificato pagato per il ricorso. Nel processo del lavoro (INPS), ugualmente, il giudice può condannare l’INPS alle spese. Ricorda che se hai ottenuto una sospensione o differimento di pagamento in pendenza di giudizio, una volta vinto potrai far cessare eventuali fermi amministrativi o ipoteche iscritte. In caso di pagamento già eseguito (magari perché avevi rateizzato), hai diritto alla restituzione di quanto versato su un atto poi annullato, presentando istanza di rimborso all’ente.
D: Questo vizio della firma digitale riguarda anche altri atti, ad es. le multe stradali?
R: Le multe stradali (verbali di violazione CdS) in genere sono atti originali cartacei redatti dall’agente accertatore e notificati in copia, oppure verbali informatici sottoscritti con firma digitale del vigile e notificati via PEC ai destinatari digitali (soprattutto alle società). Se ti notificano una multa via PEC, l’originale è digitale con firma digitale del vigile; se la stampano e te la consegnano, dovrebbero attestarne la conformità. In teoria, quindi, lo stesso principio vale: una multa digitale consegnata in cartaceo senza attestazione potrebbe essere nulla. Ci sono stati alcuni ricorsi su questo, ma la materia delle notifiche delle multe ha sue peculiarità (es. le multe possono essere notificate in copia conforme dal comando, ecc.). Non rientra pienamente nell’ambito tributario ma in quello amministrativo sanzionatorio. Il consiglio è: se ricevi una multa con “firma digitale” stampata e nessuna attestazione, evidenzia questo aspetto nel tuo ricorso al Prefetto o al Giudice di Pace. Potrebbe essere un motivo di annullamento. La giurisprudenza in merito però non è così sviluppata come quella tributaria. Ad ogni modo, il denominatore comune è l’art.23 CAD che vale per tutti i documenti informatici delle PA: dunque sì, in linea generale il vizio potrebbe riguardare anche altri atti amministrativi (ingiunzioni, sanzioni, ecc.) notificati su carta senza conformità.
D: Riassumendo, qual è il “punto debole” principale che devo cercare?
R: Cerca questa frase o simile: “Copia conforme all’originale informatico ai sensi dell’art.23 CAD”. Se non c’è, e l’atto è digitale, hai trovato il tallone d’Achille dell’atto. In assenza di attestazione (o di un chiaro elemento equivalente come un contrassegno), l’atto è monco della firma agli occhi della legge. Su questo puoi incentrare la difesa. Tutto il resto – normative, sentenze – ruota attorno a questo dettaglio. Spesso la differenza tra un avviso valido e uno nullo sta in una riga di testo che magari passa inosservata: quella riga fa la differenza di molti soldi. Quindi, occhio a fondo pagina!
Conclusioni
La digitalizzazione degli atti della Pubblica Amministrazione è un processo irreversibile e positivo, ma deve fare i conti con le garanzie formali previste a tutela dei cittadini. Dal punto di vista del debitore/contribuente, conoscere questi aspetti è fondamentale per esercitare i propri diritti di difesa. Un avviso di accertamento firmato digitalmente e notificato in modalità cartacea non è automaticamente nullo – lo è solo se l’ente non ha seguito le procedure corrette (attestazione di conformità). Abbiamo visto come la giurisprudenza, con le ultime pronunce della Cassazione, abbia tracciato un confine netto tra atti regolari e irregolari: oltre quel confine (cioè in assenza di attestazione) l’atto non può produrre effetti e va annullato.
Per i professionisti legali, questo tema è diventato un terreno fertile di eccezioni vincenti nei ricorsi tributari e previdenziali: rappresenta un esempio di come un’apparente formalità “tecnica” si traduca in uno scudo sostanziale per il contribuente. Per i privati e gli imprenditori, significa che non bisogna subire passivamente ogni richiesta dell’erario o degli enti: se l’ente non rispetta le regole, il contribuente ha gli strumenti per far valere la nullità dell’atto e risparmiare somme non dovute.
Dal lato opposto, è auspicabile che le Pubbliche Amministrazioni, fatte tesoro di queste pronunce, si uniformino sempre di più: notificando gli atti digitali preferibilmente via PEC (eliminando ogni problema di copia) oppure, se usano il cartaceo, inserendo chiaramente le attestazioni di conformità o i contrassegni. Alcune realtà, come visto, già utilizzano QR code o diciture standard per evitare contestazioni. Ciò garantisce certezza e riduce il contenzioso. D’altronde, come sottolineato dalla Cassazione, l’obiettivo non è creare trappole procedurali ma assicurare legalità e buon andamento: un atto formalmente valido è nell’interesse di tutti, amministrazione efficiente e contribuente consapevole.
In conclusione, se ricevete un avviso “digitale su carta”, non esitate a farlo analizzare con occhio esperto. Questa guida vi ha fornito gli strumenti per un primo controllo e per capire quando siete nel giusto nel reclamare: “questo avviso è nullo, e lo impugnerò”. Con le fonti normative e giurisprudenziali corrette a supporto, far valere i propri diritti di fronte alle Commissioni e ai Tribunali diventa un percorso più agevole e spesso vittorioso.
Fine della guida. Di seguito, per approfondimento, elenchiamo le principali fonti citate e i riferimenti normativi utili.
Fonti e riferimenti normativa e giurisprudenziale
- D.P.R. 29/09/1973, n.600, art. 42: obbligo di sottoscrizione degli avvisi di accertamento delle imposte dirette, a pena di nullità se manca la firma del capo ufficio o funzionario delegato.
- L. 27/12/2006, n. 296, art. 1 co.162: obbligo di sottoscrizione degli atti impositivi locali dal parte del funzionario responsabile; richiama le norme previgenti sulle firme automatizzate.
- L. 28/12/1995, n. 549, art. 1 co.87: introduce la possibilità della firma a stampa per atti fiscali, considerata norma speciale non abrogata. Stabilisce condizioni per l’uso della firma meccanizzata nei ruoli e atti di accertamento (provvedimento dirigenziale, indicazione fonte normativa sull’atto).
- D.Lgs. 07/03/2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD):
- Art. 2, co.6 e co.6-bis: (nel testo vigente nel 2016-2017) escludeva l’applicazione del CAD alle attività ispettive e di controllo fiscale; dal 27/01/2018, con il comma 6-bis introdotto dal D.Lgs. 217/2017, include espressamente gli atti di liquidazione, accertamento e irrogazione sanzioni tra quelli soggetti alle regole digitali. Cassazione ha chiarito che anche prima del 2018 la firma digitale sugli avvisi era legittima, poiché l’esclusione riguardava solo atti prodromici (controlli) e non gli atti impositivi.
- Art. 21: equipara il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o digitale alla scrittura privata con firma autografa; attribuisce al documento firmato digitalmente efficacia probatoria, e – secondo alcune interpretazioni – per le copie conformi rimanda all’art. 23.
- Art. 23, co.1: le copie analogiche di documenti informatici hanno stessa efficacia probatoria dell’originale se la conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. (Esempi: dirigente che attesta conforme, cancelliere che attesta conforme un atto telematico per uso analogico, ecc.).
- Art. 23, co.2-bis: sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno (es. codice QR) che consente di accedere all’originale o verificare la corrispondenza; tale contrassegno sostituisce a tutti gli effetti la firma autografa del pubblico ufficiale sulla copia e non può richiedersi ulteriore copia con firma autografa. (Introdotto dal D.Lgs. 217/2017).
- Art. 22 e 23-bis: (per completezza) disciplinano l’attestazione di conformità inversa, cioè copie informatiche di documenti analogici, e le notificazioni telematiche di atti della PA. Nel processo tributario telematico, ad esempio, l’art. 23-bis CAD consente la notificazione via PEC di atti con valore legale.
- D.L. 31/05/2010, n. 78, art. 29 (conv. L.122/2010): introduce l’“avviso di accertamento esecutivo” per Agenzia Entrate (dal 01/10/2011) e per gli enti locali (dal 01/01/2020), unendo accertamento e intimazione esecutiva. Ciò non incide sulla firma ma implica che decorsi 60 giorni senza pagamento né ricorso, l’atto è titolo esecutivo.
- D.L. 31/05/2010, n. 78, art. 30 (conv. L.122/2010): introduce l’avviso di addebito INPS dal 01/01/2011, che sostituisce la cartella di pagamento per crediti contributivi. Stabilisce requisiti contenutistici (dati debitore, causale, ecc., a pena di nullità) e prevede che “l’avviso deve essere sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal responsabile dell’ufficio che ha emesso l’atto”. Prevede inoltre la notifica preferenziale via PEC o in alternativa a mezzo posta/messo.
- Cass., Sez. Trib., sent. n.1150/2021 e n.1557/2021: prime pronunce di legittimità che convalidano la firma digitale sugli avvisi nel regime post-CAD, affermando la legittimità della notifica di copia analogica conforme all’originale digitale. Confermano che la presenza della dicitura di conformità è sufficiente a soddisfare il requisito di sottoscrizione.
- Cass., Sez. Trib., ord. n.29820/2021: (cit. in dottrina) conferma legittimità della “firma a stampa” del funzionario sugli avvisi, richiamando la norma speciale del 1995 non abrogata. Ribadisce che la stampa del nome del funzionario (nei casi autorizzati) equivale a sottoscrizione valida.
- Cass., Sez. Trib., ord. n.24681 dell’11/08/2022: fondamentale, stabilisce il principio che l’avviso digitalmente firmato e notificato in cartaceo è nullo se sulla copia compare solo “firmato digitalmente” senza attestazione di conformità. Attestazione sufficiente a dimostrare firma; sua mancanza = atto privo di firma. Vizio non sanabile.
- Cass., Sez. Un., sent. n.6477 del 12/03/2024: (ambito processo civile telematico) affronta il tema della firma digitale mancante su un ricorso per Cassazione telematico. Ha affermato che la mancanza della firma digitale del difensore rende il ricorso inammissibile, richiamando art. 365 c.p.c. (firma dell’avvocato) e ribadendo che nei documenti digitali la firma elettronica è l’equivalente della firma autografa richiesta a pena d’inammissibilità. Rilevante come conferma trasversale dell’importanza della firma digitale come elemento essenziale.
- Cass., Sez. Trib., sent. n.10226 del 16/04/2024: (richiamata nelle ricerche) ha statuito che nel processo tributario telematico, la notifica via PEC di un ricorso senza firma digitale è nulla, equiparando la mancanza di firma digitale all’assenza di sottoscrizione secondo il CAD. Parallelismo col difetto di firma sugli atti sostanziali.
- Cass., Sez. Trib., sent. n.16293 del 12/06/2024: risolve il caso di avviso 2016 firmato digitalmente e notificato per posta. Principi chiave: la firma digitale era legittima anche pre-2018 (esclusione CAD non si applica ad avvisi); la notifica postale è valida se copia analogica conforme; conferma che PEC non è esclusiva. Massima ufficiale: “Pertanto, la copia analogica dell’avviso… sottoscritta digitalmente… e dichiarata conforme all’originale informatico… tiene luogo dell’originale ed è validamente notificata… anche a mezzo del servizio postale”.
- Cass., Sez. Trib., ord. n.16846 del 19/06/2024: in linea con la precedente; aggiunge riferimenti alla normativa sulla firma a stampa e richiama espressamente Cass. 24681/2022. Ribadisce che l’avviso con sola dicitura “firmato digitalmente” senza attestazione è nullo.
- Cass., Sez. III civ., ord. n.23213 del 28/08/2024: chiarisce che per contestare la conformità di una copia analogica a un originale informatico occorre un disconoscimento specifico e non generico. Anche se non tributaria, consolida l’idea che una volta apposta un’attestazione, la copia fa piena prova salvo precisa contestazione.
- Cass., Sez. Trib., ord. n.12997 del 15/05/2025: (menzionata in ricerche di cronaca giuridica) avrebbe statuito sulla validità della notifica via PEC di una cartella senza firma digitale. Anche se non reperibile integralmente, fonti secondarie indicano che la Corte ha ritenuto valida la notifica PEC di copia informatica della cartella esattoriale originariamente cartacea, pur priva di firma digitale e relata, in virtù dell’equipollenza della PEC e delle previsioni del CAD sulle copie informatiche. Ciò viene coerentemente riportato da notizie di settore. È rilevante per distinguere i due contesti (digitale->cartaceo vs cartaceo->digitale).
- Giustizia Tributaria di primo grado Siracusa, sent. n.1750/2023 del 07/06/2023: decisione di merito che ha dichiarato nullo un avviso dell’Agenzia Entrate notificato cartaceo con sola dicitura “firmato digitalmente” e senza attestazione. Ha citato la giurisprudenza di Cassazione 2021-2022 e confermato che l’assenza di attestazione rende l’atto privo di sottoscrizione e nullo ex art.42 DPR 600/73.
- CTR (Giust. Trib. II grado) Lazio, sent. 3848/2019; CTR Liguria, sent. 56/2020; CTP Vicenza 74/2018, etc.: pronunce di merito antecedenti, alcune annullavano atti digitali cartacei (sulla scia dell’orientamento “PEC necessaria”), altre li salvavano se con attestazione. La CTR Liguria 471/2022 è significativa perché convalidò un avviso con QR code, riconoscendo l’efficacia sostitutiva della firma autografa tramite contrassegno ex art.23 co.2-bis.
Avviso di accertamento firmato digitalmente e notificato cartaceo: come difendersi con Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate firmato digitalmente ma notificato in formato cartaceo?
Ti chiedi se questa modalità di notifica sia valida e se puoi contestarla?
Negli ultimi anni molti uffici dell’Agenzia delle Entrate emettono atti firmati con firma digitale del funzionario, ma li notificano al contribuente in copia cartacea. Questo può generare dubbi sulla validità della notifica e sull’autenticità del documento, soprattutto se non viene allegato il certificato di firma digitale o se manca la firma autografa. In alcuni casi, la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di contestare tali atti per vizi formali.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’avviso di accertamento e la modalità di notifica utilizzata dall’Agenzia delle Entrate
📌 Verifica la validità giuridica dell’atto alla luce della normativa sulla firma digitale e sulla notifica cartacea
✍️ Predispone ricorsi e memorie difensive per far valere eventuali vizi formali o di notifica
⚖️ Ti assiste nel merito dell’accertamento per ridurre o annullare le somme richieste
🔁 Ti supporta nella definizione agevolata o nella rateizzazione del debito in caso di conferma dell’atto
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e vizi di notifica degli atti fiscali
✔️ Specializzato in difesa da accertamenti con irregolarità formali e sostanziali
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un avviso di accertamento firmato digitalmente e notificato in formato cartaceo può presentare vizi che ne compromettono la validità.
Con un’analisi legale approfondita puoi capire se contestare la notifica e difenderti dalle pretese fiscali.
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