Accertamento Su Agevolazioni Prima Casa Non Spettanti: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale perché l’Agenzia delle Entrate ritiene che non avessi diritto alle agevolazioni “prima casa”?
Le agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa consentono di pagare imposte ridotte su registro, IVA e ipotecarie-catastali, ma sono subordinate a requisiti precisi. Se il Fisco ritiene che tali requisiti non fossero presenti al momento dell’acquisto o siano venuti meno successivamente, può chiedere il pagamento delle imposte ordinarie, con sanzioni e interessi.

Quando può scattare un accertamento sulle agevolazioni “prima casa”
– Quando l’immobile non si trova nel Comune di residenza né in quello in cui si svolge l’attività lavorativa
– Quando non viene trasferita la residenza nel Comune dell’immobile entro 18 mesi dall’acquisto
– Quando l’acquirente possiede già un’altra abitazione acquistata con i benefici “prima casa” nello stesso Comune
– Quando si vende l’immobile prima di 5 anni senza ricomprare, entro 12 mesi, un’altra abitazione da adibire a prima casa
– Quando emergono dichiarazioni mendaci o omissioni nella richiesta delle agevolazioni

Cosa può accadere dopo l’accertamento
– Richiesta di pagamento della differenza tra imposta agevolata e imposta ordinaria
– Applicazione di sanzioni (generalmente pari al 30% delle maggiori imposte)
– Calcolo degli interessi di mora dal momento dell’acquisto
– Iscrizione a ruolo e successiva cartella esattoriale se non si paga nei termini
– Possibili azioni cautelari in caso di mancato pagamento

Come difendersi da un accertamento sulle agevolazioni “prima casa”
– Far analizzare l’atto di acquisto e la contestazione da un avvocato esperto in diritto tributario e immobiliare
– Verificare se i requisiti erano presenti al momento dell’acquisto o sono venuti meno per cause indipendenti dalla propria volontà
– Dimostrare con documenti (residenza, contratto di lavoro, atti notarili) la sussistenza delle condizioni previste dalla legge
– Contestare eventuali errori formali o di calcolo dell’Agenzia delle Entrate
– Presentare memorie difensive nei termini di legge
– Se la contestazione è fondata solo in parte, valutare l’accertamento con adesione per ridurre sanzioni e interessi

Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale
– L’annullamento totale o parziale della pretesa fiscale
– La riduzione di sanzioni e interessi tramite accordi o definizioni agevolate
– La sospensione di cartelle e procedure esecutive
– La tutela del patrimonio da ipoteche e pignoramenti
– Il mantenimento delle agevolazioni in presenza dei requisiti di legge

Attenzione: non tutte le contestazioni sull’agevolazione “prima casa” sono fondate. Spesso il Fisco applica in modo rigido la normativa senza considerare eccezioni o circostanze particolari. Una difesa documentata e tempestiva può evitare di dover restituire migliaia di euro.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità immobiliare, contenzioso tributario e difesa del contribuente – ti spiega cosa fare se ricevi un accertamento sulle agevolazioni “prima casa”, come tutelarti e come ridurre o annullare le somme richieste.

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Introduzione

L’acquisto della prima casa in Italia gode di importanti agevolazioni fiscali, previste dalla normativa tributaria per favorire l’accesso alla proprietà immobiliare. In particolare, chi possiede i requisiti per il bonus “prima casa” beneficia di imposte ridotte: ad esempio, l’imposta di registro è dovuta al 2% invece che al 9%, oppure l’IVA al 4% invece che al 10%, oltre a imposte ipotecarie e catastali in misura fissa minore. Queste agevolazioni si applicano però solo se l’acquirente rispetta rigorosamente una serie di condizioni di legge (soggettive e oggettive) e formula apposite dichiarazioni nell’atto di acquisto. In caso contrario – se i requisiti non erano presenti sin dall’inizio oppure vengono meno successivamente – scatta la decadenza dall’agevolazione, con recupero delle maggiori imposte e l’applicazione di sanzioni anche pesanti.

Nel linguaggio comune si parla di “agevolazioni prima casa non spettanti” quando il Fisco contesta al contribuente di aver indebitamente fruito del beneficio fiscale prima casa. Tipicamente ciò avviene mediante un avviso di liquidazione (o accertamento) dell’Agenzia delle Entrate, che ricalcola le imposte nella misura ordinaria e aggiunge una sanzione amministrativa (generalmente pari al 30% della maggiore imposta dovuta) oltre agli interessi di mora. Per il contribuente, ricevere un simile accertamento significa trovarsi di fronte a una richiesta di pagamento potenzialmente molto onerosa, spesso inaspettata perché legata a un acquisto avvenuto anni prima. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere i propri diritti e le strategie difensive disponibili: esistono infatti strumenti per evitare o attenuare le sanzioni (come il ravvedimento o la rinuncia volontaria al beneficio entro certi termini), nonché possibilità di contestare l’atto in sede di contenzioso tributario invocando cause di forza maggiore, errori formali o interpretazioni giurisprudenziali favorevoli. Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamina in dettaglio la normativa italiana sulle agevolazioni prima casa, le cause di decadenza del beneficio (sia in materia di imposta di registro che di IVA), le sanzioni previste, e illustra come difendersi efficacemente da un accertamento per agevolazioni non spettanti. Il taglio è avanzato, con riferimenti a fonti normative e alle più recenti sentenze della Corte di Cassazione, ma il linguaggio rimane il più possibile chiaro e divulgativo per risultare utile tanto ai professionisti (avvocati, consulenti fiscali) quanto ai privati cittadini e imprenditori alle prese con questa problematica.

In breve: chi acquista con il bonus prima casa deve rispettare precise condizioni (nessun altro immobile agevolato, trasferire la residenza entro 18 mesi, non rivendere entro 5 anni senza “reinvestire” in una nuova casa, ecc.). In caso di violazione, l’Agenzia delle Entrate può richiedere il pagamento della differenza d’imposta ordinaria più una sanzione del 30% e interessi. Il contribuente, tuttavia, può difendersi: a seconda dei casi potrà regolarizzare la posizione (ad esempio presentando un’istanza di rinuncia al beneficio entro i termini, o avvalendosi del ravvedimento operoso per ridurre la sanzione), oppure potrà impugnare l’atto sostenendo l’inesistenza della violazione o circostanze esimenti (come eventi di forza maggiore o errori dell’amministrazione). Nei paragrafi seguenti analizzeremo prima i requisiti normativi e le condizioni per la prima casa, poi le cause di decadenza e i relativi effetti sanzionatori, e infine gli strumenti di tutela del contribuente con esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte frequenti.

Quadro normativo e requisiti dell’agevolazione “prima casa”

Le agevolazioni fiscali per l’acquisto della “prima casa” sono disciplinate principalmente dal Testo Unico dell’imposta di registro (D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131) e, in ambito IVA, dalle corrispondenti disposizioni del D.P.R. 633/1972. Il riferimento centrale è la Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986, che stabilisce i requisiti per usufruire del regime agevolato. Tali requisiti possono riassumersi come segue:

  • Immobili non di lusso: l’agevolazione riguarda solo case di civile abitazione che non siano di categoria catastale A/1, A/8 o A/9 (abitazioni signorili, ville, castelli o palazzi di pregio storico/artistico). In altre parole, l’immobile acquistato deve avere caratteristiche “ordinarie” (es. appartamento, casa unifamiliare non di lusso) e risultare in categoria catastale agevolabile. (Riferimento normativo: art. 1, Tariffa Parte I, Nota II-bis, lett. d)).
  • Assenza di altre case nel Comune: l’acquirente non deve essere già titolare (esclusivo o in comunione col coniuge) di un’altra casa di abitazione nel medesimo Comune in cui si trova l’immobile che intende acquistare con i benefici. Questo vale sia per proprietà intera che per quote, e anche per titolarità di diritti parziali (usufrutto, uso, abitazione) su altra abitazione nello stesso Comune. Se l’acquirente possiede già un’altra casa nello stesso Comune, non può godere dell’aliquota ridotta (salvo che la venda prima del nuovo acquisto – vedi oltre). (Riferimento: Nota II-bis, lett. b)).
  • Assenza di altre “prime case” sul territorio nazionale: oltre a non avere case nello stesso Comune, il beneficiario non deve aver già usufruito in passato dell’agevolazione prima casa su altri immobili in Italia. In pratica, non si può ottenere lo sconto fiscale due volte: se in passato l’acquirente ha comprato un’abitazione con i benefici prima casa, non può chiederli di nuovo (a meno che nel frattempo sia intervenuta la perdita del beneficio stesso per rivendita entro 5 anni, con “trasferimento” del bonus su un nuovo acquisto, come vedremo). Questa regola del “divieto di reiterazione” è tassativa. (Riferimento: Nota II-bis, lett. c)).
  • Residenza nel Comune dell’immobile entro 18 mesi: se, al momento dell’atto, l’acquirente non risiede ancora nel Comune in cui si trova la casa, deve impegnarsi a trasferire la residenza entro 18 mesi dall’acquisto. Questo è un requisito fondamentale: la dichiarazione di voler stabilire la residenza entro 18 mesi va resa nell’atto notarile di compravendita, ed è un vero e proprio impegno a futura condotta. Se l’acquirente è già residente nel Comune dell’immobile, il requisito è ovviamente soddisfatto (ma spesso comunque si dichiara in atto la residenza già esistente). Se invece proviene da altro Comune, dovrà effettivamente trasferire la residenza anagrafica entro il termine previsto. La giurisprudenza più recente ha chiarito che tale termine di 18 mesi è perentorio e non prorogabile: la Corte di Cassazione (sent. n. 26599/2022) ha confermato che decorre dalla data del rogito e non ammette deroghe se non in casi di forza maggiore comprovata. (Riferimento: Nota II-bis, lett. a)).

In aggiunta a questi requisiti principali, la legge prevede alcuni casi particolari. Ad esempio, se l’acquirente è cittadino italiano emigrato all’estero, può ottenere l’agevolazione anche senza obbligo di residenza, purché l’immobile acquistato sia la “prima casa” sul territorio italiano. Oppure, in caso di personale delle Forze dell’Ordine trasferito per servizio, vi sono normative specifiche che lo esentano dal requisito della residenza immediata. Tali situazioni particolari esulano però dall’ambito di questa guida, che è focalizzata sulle fattispecie generali di decadenza dal beneficio. È importante sottolineare che nell’atto di acquisto il contribuente deve rendere una serie di dichiarazioni formali relative a tutti i requisiti sopra elencati. Ad esempio, dovrà dichiarare di non essere proprietario di altri immobili nel Comune, di non aver già fruito dell’agevolazione prima casa altrove, e – se del caso – di voler fissare la residenza entro 18 mesi. Tali dichiarazioni, rese dinanzi al notaio (pubblico ufficiale), hanno valore probatorio e impegnativo: eventuali dichiarazioni false o mendaci comportano la decadenza dall’agevolazione e possono avere ulteriori conseguenze (in astratto, configurano anche un illecito penale di falso in atto pubblico, se consapevolmente mendaci, sebbene in pratica il profilo sanzionatorio rimanga quasi sempre quello tributario).

Novità dal 2025: acquisto di nuova casa possedendo un’altra prima casa

Tradizionalmente, la lettera c) della Nota II-bis vietava tout court il beneficio se l’acquirente aveva già usufruito dell’agevolazione prima casa su un altro immobile. La Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015) ha introdotto una deroga importante: è ora consentito ottenere l’agevolazione per un nuovo acquisto anche se si è ancora proprietari di un’altra abitazione acquistata con i benefici, a condizione che l’altra casa venga venduta entro un anno dal nuovo acquisto. Questa modifica ha aggiunto alla Nota II-bis un ulteriore comma (spesso indicato come comma 4-bis), che permette quindi il “doppio bonus” temporaneo: l’acquirente può comprare la nuova casa al 2% (o IVA 4%) impegnandosi a alienare l’immobile precedente (già agevolato) entro 12 mesi. Se l’impegno viene rispettato (la vecchia casa è effettivamente venduta o donata entro un anno), il contribuente conserva il beneficio su entrambe le transazioni: in pratica non decade né sul primo né sul secondo acquisto. Viceversa, se non aliena l’altro immobile entro l’anno, decade dall’agevolazione fruita sul secondo acquisto (quello nuovo) e dovrà restituire la differenza d’imposta con sanzioni e interessi.

Questa disposizione ha ampliato le possibilità di accesso al bonus prima casa, permettendo ad esempio a chi cambia casa di comprare la nuova prima di riuscire a vendere la vecchia, senza perdere subito il beneficio fiscale. Va però usata con cautela, perché l’obbligo di vendere entro 12 mesi è tassativo. Aggiornamento 2025: la Legge di Bilancio 2025 (L. 197/2024) ha raddoppiato questo termine: per gli atti stipulati dal 1° gennaio 2025, il contribuente ha due anni di tempo per vendere la precedente abitazione senza perdere le agevolazioni. Inoltre, la nuova norma si applica anche retroattivamente a chi ha acquistato nel 2024 e, al 31/12/2024, non aveva ancora venduto la vecchia casa. In pratica: fino a fine 2024 il termine era di 1 anno, dal 2025 è di 2 anni (con salvaguardia per i rogiti 2024 non ancora “scaduti”). Dunque, chi ad esempio ha comprato casa a marzo 2024 con l’impegno di vendere l’altra, avrà tempo fino a marzo 2026 per completare la vendita senza decadenza (in quanto il suo termine originario – marzo 2025 – cadeva dopo il 1° gennaio 2025, rientrando così nell’estensione biennale). Resta inteso che chi invece aveva già violato il termine annuale prima del 2025 non beneficia della proroga.

Ricapitolando i requisiti principali: la tabella seguente elenca le condizioni per il bonus prima casa e le relative fonti normative.

Tabella 1 – Requisiti “prima casa” e riferimenti normativi

RequisitoRiferimento normativoNote
Immobile non di lussoD.P.R. 131/1986, Tariffa Parte I, Nota II-bis, lett. d) + D.M. 2/8/1969 (definizione case di lusso)Escluse cat. A/1, A/8, A/9 (abitazioni di lusso). L’immobile deve essere civile abitazione “ordinaria”.
Nessun altro immobile abitativo posseduto nel ComuneNota II-bis, lett. b)Neanche quota di proprietà o usufrutto nello stesso Comune (salvo cessione prima del nuovo acquisto).
Nessun’altra “prima casa” già acquistata con benefici in ItaliaNota II-bis, lett. c) (come modificata da L. 208/2015)Divieto di doppio beneficio. Eccezione (dal 2016): ammessa nuova agevolazione se l’altra casa agevolata verrà venduta entro 1 anno (2 anni per acquisti dal 2025).
Residenza nel Comune (impegno a trasferirla entro 18 mesi)Nota II-bis, lett. a)Termine perentorio di 18 mesi dalla stipula. Possibile rinuncia al bonus entro tale termine se non si riesce a trasferire (vedi oltre).
Dichiarazioni nell’atto di acquistoArt. 1, Nota II-bis T.U.R., comma 1 (incipit)L’acquirente deve dichiarare in atto il possesso di tutti i requisiti sopra elencati. Le dichiarazioni false comportano decadenza.

Cause di decadenza dall’agevolazione

Come visto, l’agevolazione prima casa “si conquista” all’atto del rogito, ma il suo mantenimento è subordinato al rispetto delle condizioni anche dopo l’acquisto. La normativa prevede dunque che in determinate situazioni sopravvenute l’agevolazione decada, ossia vengano meno i benefici fruiti e si debbano versare le imposte in misura ordinaria più le sanzioni. Di seguito elenchiamo le principali cause di decadenza dal beneficio, distinguendo i vari casi tipici previsti dalla legge o emersi dalla prassi:

  • Trasferimento (vendita o donazione) dell’immobile entro 5 anni dall’acquisto: se l’abitazione acquistata con i benefici prima casa viene alienata (a titolo oneroso o gratuito) prima che siano trascorsi 5 anni dal rogito originario, scatta la decadenza. Si tratta di una disposizione volta a evitare intenti speculativi: il legislatore vuole che chi acquista con l’aliquota ridotta mantenga l’immobile come prima casa per almeno un quinquennio. Eccezione: la decadenza non si applica se il contribuente, entro 1 anno dall’alienazione, riacquista un’altra casa da adibire a propria abitazione principale. In altre parole, la legge consente di “trasferire il bonus” su un nuovo immobile: vendendo entro 5 anni ma comprando un’altra casa entro 12 mesi (e adibendola ad abitazione principale), l’agevolazione originaria non viene persa. Il senso è che il contribuente sta semplicemente cambiando prima casa, non dismettendo la proprietà immobiliare a fini lucrativi. Ad esempio: Tizio acquista casa nel 2020 con l’aliquota 2%, poi rivende nel 2024 (dopo 4 anni) ma compra un nuovo appartamento nel 2024 stesso (entro 12 mesi) destinandolo a propria abitazione: Tizio non perde il beneficio per la prima casa venduta. Naturalmente sul nuovo acquisto potrà a sua volta beneficiare dell’aliquota ridotta (se ricorrono gli altri requisiti, come non possedere ulteriori immobili ecc.). Se invece Tizio non riacquista alcuna casa entro l’anno, la vendita infraquinquennale risulta punitiva: l’Agenzia riliquiderà l’imposta del primo acquisto al 9% (invece del 2%) con sanzione.
    • Trasferimento al coniuge in sede di separazione: un caso peculiare di vendita entro 5 anni è quello in cui l’immobile venga trasferito all’ex coniuge in adempimento di accordi di separazione o divorzio. La Cassazione ha stabilito che in tal caso non si verifica la decadenza dal beneficio. Pur trattandosi di un trasferimento ante quinquennio, esso avviene nell’ambito della sistemazione dei rapporti familiari su disposizione del giudice o di accordo omologato, e la ratio è ritenuta diversa da una libera vendita: la finalità è tutelare esigenze familiari, non realizzare una plusvalenza. In base all’art. 19 della L. 74/1987, gli atti tra coniugi in sede di separazione sono esenti dall’imposta di registro proporzionale; la Cassazione ha esteso questo favore anche alle agevolazioni prima casa, evitando la decadenza per chi cede la casa all’altro coniuge in sede di separazione. Ad esempio, Caio compra casa nel 2018 con i benefici, nel 2022 si separa e trasferisce la casa alla moglie come parte degli accordi di separazione: l’agevolazione di Caio rimane valida, non dovrà restituire nulla (Cass. civ. sez. V, n. 7966/2019).
    • Vendita parziale (quota o pertinenza): se entro 5 anni si vende solo una parte dell’immobile acquistato (ad esempio una quota di comproprietà, oppure si vende una pertinenza separatamente), la decadenza opera in misura parziale. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che in tal caso va recuperata l’imposta proporzionale solo sulla parte di immobile alienata, mantenendo il beneficio sulla parte rimasta in possesso del contribuente. Ad esempio, se Sempronio acquistò con agevolazione una casa con box pertinenziale, e dopo 3 anni vende solo il box (pertinenza) separatamente, decade dal beneficio limitatamente al valore del box ceduto (dovrà pagare la differenza d’imposta e sanzione su quella quota).
  • Mancato riacquisto entro il termine in caso di vendita infra 5 anni: come detto, chi vende entro 5 anni può evitare la decadenza se compra un’altra casa entro 12 mesi. Se però non acquista alcun immobile entro l’anno, la decadenza si concretizza. In tal caso l’Agenzia procederà a richiedere la differenza d’imposta (9%-2% = 7% sul valore imponibile) più sanzione 30% e interessi. Tuttavia, è prevista una possibilità di regolarizzazione spontanea: la Risoluzione dell’Agenzia Entrate n. 112/E del 27 dicembre 2012 ha chiarito che il contribuente che sa già di non voler/riuscire a riacquistare entro l’anno può presentare un’istanza all’ufficio entro 12 mesi dalla vendita, rinunciando formalmente all’agevolazione e chiedendo la riliquidazione dell’imposta. In tal modo, pagherà la differenza d’imposta dovuta ma senza la sanzione del 30%. In pratica l’ufficio “perdona” la sanzione se il contribuente stesso, entro un anno dalla cessione, si fa avanti e versa il dovuto. Ad esempio: ho venduto la mia prima casa dopo 3 anni e so di non volerne comprare un’altra, allora entro un anno dalla vendita invio all’Agenzia un’istanza di rinuncia all’agevolazione chiedendo di pagare la differenza del 7% senza multa. Se rispetto questo termine, l’ufficio mi liquiderà il 7% + interessi, ma niente sanzione (che altrimenti sarebbe 30% del 7%). Trascorso l’anno senza né riacquisto né istanza, il contribuente può ancora rimediare con ravvedimento operoso pagando una sanzione ridotta (vedi più avanti). In sintesi, per la vendita infraquinquennale senza nuovo acquisto: entro 12 mesi puoi evitare la sanzione comunicando la rinuncia e pagando il dovuto; dopo 12 mesi, se non l’hai fatto e non hai avuto accertamenti, puoi ravvederti con penalità ridotta invece di 30%.
  • Acquisto di nuova casa senza vendere la precedente entro i termini: questo caso è l’opposto del precedente ed è frutto della normativa post-2016. Se il contribuente beneficia dell’aliquota 2% sul nuovo acquisto avendo già una prima casa agevolata (impegnandosi a vendere l’altra entro 1 anno, ora 2 anni dal 2025), ma non adempie a tale impegno entro il termine previsto, allora decade dall’agevolazione sul secondo acquisto. L’Agenzia procederà a recuperare la differenza d’imposta tra il dovuto ordinario (9% registro, oppure 10% IVA) e quanto pagato in misura ridotta, più il 30% di sanzione su tale differenza e interessi. Ad esempio, Rossi nel 2023 acquista una nuova abitazione con l’aliquota 2% pur avendo ancora intestata la sua “vecchia” prima casa, dichiarando in atto che venderà quest’ultima entro 12 mesi. Se Rossi non vende nulla entro un anno dal rogito 2023, l’ufficio accerterà la decadenza: sul rogito 2023 dovrà versare il 7% mancante + 30% di sanzione + interessi, per aver indebitamente fruito dello sconto. (Nota: dal 2025 il termine è 2 anni, quindi per acquisti dal 2025 l’eventuale decadenza scatterà trascorsi 24 mesi senza alienazione della vecchia casa). Anche qui, per analogia, è ipotizzabile la possibilità di ravvedersi prima che l’ufficio contesti la violazione, versando spontaneamente il dovuto con sanzioni ridotte. Invece un’istanza formale di rinuncia potrebbe non essere contemplata esplicitamente in questo scenario, ma di fatto la risoluzione 112/2012 e la prassi indicano che l’importante è non aspettare l’accertamento: se il termine sta per spirare e si prevede di non riuscire a vendere, il contribuente accorto verserà la differenza d’imposta per proprio conto (con F24 Elide) beneficiando delle sanzioni in misura attenuata da ravvedimento. Si tratta comunque di un caso di decadenza “posticipata” nel tempo: finché il termine (1 o 2 anni) non scade, il beneficio rimane valido.
  • Mancato trasferimento della residenza entro 18 mesi: questa è una delle cause più frequenti di decadenza. Se l’acquirente, dopo aver dichiarato di voler stabilire la residenza nel Comune dell’immobile, non vi provvede entro il termine di 18 mesi dalla data dell’atto, viene meno uno dei requisiti fondamentali e l’agevolazione decade. L’Agenzia delle Entrate effettua controlli incrociati con l’anagrafe comunale e, se trascorsi i 18 mesi il contribuente risulta ancora residente altrove, avvia la procedura di revoca del beneficio. Nessuna tolleranza sul termine: la Cassazione ha chiarito più volte (da ultimo con ord. n. 26599/2022) che i 18 mesi decorrono dalla stipula dell’atto e rappresentano un termine perentorio e tassativo. Ciò significa che neppure l’autorità giudiziaria può “disapplicarlo” se non è stato rispettato: un solo giorno di ritardo oltre i 18 mesi causa la decadenza, a meno che il contribuente possa invocare un caso di forza maggiore. Va però precisato che la forza maggiore viene ammessa in casi estremamente limitati: si intende un evento imprevedibile, inevitabile e indipendente dalla volontà, che abbia impedito oggettivamente il trasferimento della residenza nei tempi. Ad esempio, gravi calamità naturali, eventi bellici, malattie gravissime sopravvenute potrebbero costituire forza maggiore. Guasti o ritardi ordinari (es. lungaggini burocratiche, ristrutturazioni non concluse in tempo, inconvenienti personali di lieve entità) non sono considerati sufficienti. La giurisprudenza è molto rigorosa: ad esempio, è stato negato il “forza maggiore” al contribuente che aveva ritardato il trasloco per problemi di infiltrazioni d’acqua nell’immobile – giudicati problemi tecnici ordinari risolvibili, quindi non imprevedibili né insormontabili (Cass. n. 1392/2010). In sintesi, salvo catastrofi o impedimenti estremi, se non si sposta la residenza entro 18 mesi l’agevolazione cade automaticamente. Le conseguenze sono: pagamento della differenza d’imposta (7% se era registro, oppure il conguaglio IVA se acquisto soggetto a IVA) più sanzione 30% e interessi. Anche benefici accessori collegati cadono: ad esempio, se si era fruito dell’imposta sostitutiva agevolata sul mutuo prima casa, quella sarà ricalcolata. Attenzione: per questa causa di decadenza esiste però uno strumento di tutela ante accertamento, di cui pochi sono a conoscenza. L’Agenzia Entrate ha infatti previsto che, se l’acquirente si rende conto di non poter rispettare l’impegno della residenza (ad esempio perché è sopraggiunto un impedimento o ha cambiato programma), può presentare un’istanza all’ufficio, entro lo scadere dei 18 mesi, per revocare la dichiarazione d’intenti e pagare la differenza d’imposta senza sanzione. Questo equivale a rinunciare all’agevolazione prima casa spontaneamente, prima di cadere in decadenza. Tale facoltà è stata riconosciuta dapprima dalla prassi (Risoluzione AE 105/E del 31/10/2011) e di recente avallata dalla Cassazione (sent. n. 24420 dell’11/09/2024). In sostanza, poiché l’obbligo di residenza è un requisito “a futura azione” del contribuente, finché il termine non scade egli può tirarsi indietro: comunica all’ufficio che non trasferirà la residenza e chiede la riliquidazione delle imposte. Così paga il dovuto (2→9%) ma senza multa perché, tecnicamente, non è ancora avvenuto l’inadempimento allo scadere dei 18 mesi. Decorso il termine, se non ha né trasferito la residenza né presentato tale istanza di revoca, la decadenza si concretizza automaticamente. Questa opzione di rinuncia preventiva è poco conosciuta ma utilissima: ad esempio, se a 1 anno dal rogito capisco che per motivi familiari non potrò più spostare la residenza nel Comune dell’immobile, conviene revocare la dichiarazione ed evitare la sanzione del 30%. Diversamente, aspettando oltre 18 mesi, mi arriverà l’avviso con la multa piena. In conclusione, non trasferire la residenza nei tempi comporta decadenza, salvo ravvedimento entro 18 mesi come sopra.
  • False dichiarazioni nell’atto di acquisto: un’altra causa di decadenza – anzi, potremmo dire la più immediata – si verifica se le dichiarazioni rese in atto dal compratore risultano mendaci o inesatte. Ad esempio, se l’acquirente ha dichiarato di non possedere altri immobili quando invece ne aveva uno, oppure di non aver mai usufruito del bonus quando in realtà l’aveva già ottenuto su un precedente acquisto, l’agevolazione viene revocata d’ufficio non appena l’errore (o la falsità) emergono. In pratica qui non c’è neppure un “termine” da attendere: la decadenza è dovuta al difetto originario dei requisiti. Basterà un controllo incrociato catastale o fiscale per smascherare la dichiarazione non veritiera e far partire l’accertamento. Un caso particolare riguarda gli acquisti in regime di comunione legale tra coniugi: la Cassazione ha chiarito che, se uno solo dei coniugi firma l’atto di acquisto ma la casa cade automaticamente in comunione, entrambi i coniugi devono possedere i requisiti e sottoscrivere le dichiarazioni in atto. Se ciò non avviene, l’agevolazione spetta solo pro quota. Mi spiego: marito e moglie in comunione dei beni, il marito acquista a nome proprio dichiarando i requisiti “prima casa”; la moglie non interviene nell’atto e quindi non dichiara nulla. Secondo la Cassazione, l’Agenzia in questo caso può riconoscere il 50% di agevolazione (quota marito) e negare l’altro 50% (quota moglie) perché quest’ultima, pur divenendo comproprietaria per effetto della comunione legale, non ha reso le dichiarazioni richieste (magari la moglie possedeva un’altra casa altrove, chi lo sa). Questa interpretazione formalistica – confermata da ultimo con ord. Cass. n. 26703/2024 – comporta spesso accertamenti “parziali”: metà imposta al 9% e metà al 2%. In generale, ogni dichiarazione infedele relativa ai requisiti (lettere a, b, c della Nota II-bis) comporta la decadenza. Non sono invece cause di decadenza eventuali dimenticanze formali non sostanziali: ad esempio, se il contribuente aveva effettivamente i requisiti ma ha omesso per errore di rendere una dichiarazione in atto, talora la giurisprudenza ha ritenuto che l’agevolazione spetti comunque (se la volontà di richiederla era desumibile). Ma sono casi limite: la cautela impone di curare attentamente il contenuto dell’atto notarile.
  • Altri casi particolari: esistono poi situazioni più rare che portano a ritenere “non spettante” l’agevolazione. Uno è l’acquisto di un terreno edificabile con l’intenzione di costruire casa: molti pensano che comprando il terreno con il 2% si possa poi costruire la prima casa. Errore: il bonus prima casa non si applica ai terreni edificabili (che scontano registro 9% senza eccezioni). Vale solo per i fabbricati abitativi. Dunque, se per errore un notaio applicasse il 2% a un atto di compravendita di terreno edificatorio dichiarando uso “prima casa futura”, l’Agenzia recupererebbe la differenza al 9% + sanzione. Altro caso: l’agevolazione non spetta se l’immobile, pur formalmente non di lusso al momento dell’acquisto, era destinato per legge a una diversa finalità incompatibile. Ad esempio, immobili di edilizia residenziale pubblica soggetti a vincoli particolari, oppure immobili assegnati su aree PEEP con riscatto: in situazioni simili la disciplina può escludere il bonus. Oppure se dall’atto o dall’istruttoria emergono elementi che l’immobile non poteva rientrare nell’agevolazione (caso estremo: immobile oggettivamente inagibile e mai sistemato, ecc.). Sono ipotesi di scuola: nel 99% dei casi le cause di decadenza rientrano in quelle esposte sopra (vendita entro 5 anni, mancato riacquisto, mancata residenza, doppia agevolazione o dichiarazione mendace).

Riassumiamo le principali cause di decadenza e i relativi effetti fiscali nella tabella seguente:

Tabella 2 – Eventi che fanno decadere l’agevolazione e conseguenze

Causa di decadenzaEffetto fiscale principaleNote / Eccezioni
Rivendita (o donazione) entro 5 anni dall’acquisto agevolato, senza riacquisto entro 1 anno.Recupero imposta registro 9% (o IVA ordinaria) sul valore, al netto di quanto già pagato al 2% (o 4%); sanzione 30% sulla differenza; interessi.Niente decadenza se entro 1 anno si riacquista altra casa come abitazione principale. Se non si riacquista, ma si rinuncia volontariamente entro 12 mesi, si paga differenza senza sanzione.
Riacquisto entro 1 anno ma di solo usufrutto/nuda proprietà (no piena proprietà).Decadenza: l’acquisto di un diritto reale parziale non vale a evitare la perdita del beneficio sul primo immobile.Cass. n. 17148/2018: il nuovo acquisto dev’essere piena proprietà, altrimenti non soddisfa l’obbligo di destinazione a “prima casa”. (Nota: l’usufrutto acquistato può però fruire a sua volta di agevolazione se chi vende è soggetto IVA).
Decorso del termine (1 anno, 2 anni dal 2025) senza vendere l’altra casa agevolata posseduta (in caso di nuovo acquisto beneficiato).Recupero imposta differenziale (registro 9% – 2%, oppure IVA 10% – 4%) sul nuovo acquisto; sanzione 30% su tale differenza; interessi.Termine originario 12 mesi dall’acquisto nuovo. Dal 2025 elevato a 24 mesi. Possibile ravvedimento per ridurre la sanzione se ci si attiva spontaneamente prima dell’accertamento.
Trasferimento al coniuge per accordo di separazione (entro 5 anni).Nessuna decadenza.Cass. 7966/2019 e 8104/2017: l’atto in favore dell’ex coniuge non fa perdere il beneficio.
Mancato trasferimento di residenza nel Comune entro 18 mesi.Recupero imposta (7% se registro) + sanzione 30% + interessi.Termine perentorio. Forza maggiore ammessa solo se eventi gravissimi impediscono il trasloco. Possibile rinuncia entro 18 mesi: niente sanzione se si revoca l’impegno prima del termine.
Dichiarazioni false in atto (es. su possesso di altri immobili, precedenti benefici).Recupero imposta (differenza 7% registro o 6% IVA) + sanzione 30% + interessi.La decadenza avviene perché i requisiti in realtà non c’erano. In comunione legale, se un coniuge non firma le dichiarazioni, l’agevolazione spetta solo pro-quota (quota acquirente) e l’altra quota è revocata.
Acquisto di terreno edificabile con beneficio prima casa.L’agevolazione non spettava: recupero imposta registro 9% totale + sanzione 30% + interessi.Il bonus prima casa non si applica ai terreni edificabili (solo a fabbricati abitativi).

(N.B.: in tutti i casi sopra, la sanzione indicata è del 30% della maggiore imposta. Tuttavia sono possibili riduzioni o azzeramento della sanzione se il contribuente regolarizza nei termini previsti, come dettagliato oltre.)

Conseguenze fiscali: imposte, sanzioni e interessi

Quando l’Amministrazione finanziaria accerta una decadenza dall’agevolazione prima casa, emette un avviso di liquidazione (per imposta di registro) oppure un avviso di accertamento (in ambito IVA) indicando gli importi dovuti. Le somme richieste tipicamente comprendono:

  • Differenza di imposta principale: il contribuente deve pagare la differenza tra quanto avrebbe pagato senza agevolazione e quanto ha pagato al momento dell’atto in misura agevolata. Ad esempio, se era soggetto a imposta di registro, la differenza è tra il 9% del valore imponibile e il 2% già corrisposto. Se era soggetto a IVA, la differenza è tra l’IVA ordinaria (generalmente 10% per immobili non di lusso) e l’IVA agevolata 4% già pagata. Nota: in caso di immobile di lusso erroneamente trattato come non di lusso, la differenza IVA sarebbe addirittura tra 22% e 4%. Inoltre, per atti soggetti a imposta di registro, occorre ricalcolare anche le imposte ipotecaria e catastale: con il bonus prima casa erano fisse (€.50 + €.50), senza bonus sarebbero in genere proporzionali (2% e 1% rispettivamente sul valore, per trasferimento di abitazione non prima casa). L’avviso liquida dunque anche queste eventuali differenze.
  • Interessi di mora: calcolati sulla differenza d’imposta dovuta, dal giorno in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata (di solito la data di registrazione dell’atto) fino alla data dell’avviso di accertamento. Il tasso di interesse legale varia di anno in anno (negli ultimi anni è stato molto basso, poi in rialzo); gli interessi comunque, su imposte di importo limitato e per alcuni anni, incidono in misura moderata.
  • Sanzione amministrativa del 30%: questo è l’onere più gravoso, comminato a titolo di penalità per aver fruito indebitamente del beneficio. La legge (art. 1 Nota II-bis ult. comma e art. 76 T.U. Registro) prevede espressamente una sanzione pari al 30% delle maggiori imposte dovute in caso di decadenza. Ad esempio, se la differenza d’imposta è € 10.000, la sanzione sarà € 3.000. Se la differenza è € 2.000, sanzione € 600, e così via. La sanzione del 30% è fissa nella misura (non modulabile dall’ufficio salvo riduzioni per definizione agevolata) ma può essere ridotta dal contribuente che vi ottemperi spontaneamente (vedi ravvedimento) o che aderisca a istituti deflattivi (vedi accertamento con adesione, acquiescenza). Da notare: il 30% si applica separatamente su ogni imposta non versata. Nell’avviso di liquidazione, però, spesso viene indicato un importo sanzionatorio unico riferito al totale.

Per rendere concreto: esempio di calcolo – Rossi aveva comprato da un privato una casa valore catastale € 100.000, pagando registro 2% = € 2.000. Se decade dall’agevolazione, dovrà registro 9% = € 9.000; differenza = € 7.000. Sanzione 30% = € 2.100. Interessi (supponiamo 3 anni al 1% annuo) ~ € 210. Totale ~ € 9.310 da pagare. Se invece Bianchi aveva comprato da impresa con IVA 4% su prezzo € 200.000 (pagando € 8.000 IVA), e risulta non spettante: doveva IVA 10% = € 20.000; differenza € 12.000; sanzione 30% = € 3.600; interessi su IVA (3 anni al 1%) ~ € 360; totale circa € 15.960. Dunque la somma può essere significativa.

L’avviso indica un termine (generalmente 60 giorni dalla notifica) per effettuare il pagamento. Se non si paga né si contesta entro tale termine, l’avviso diventa definitivo ed esecutivo: il debito viene affidato all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate – Riscossione) che potrà procedere con iscrizione a ruolo e successiva notifica della cartella di pagamento o altre azioni esecutive. Anche per questo è importante agire tempestivamente, valutando se pagare con eventuali riduzioni o presentare ricorso.

Riduzione delle sanzioni: esistono alcune possibilità per ridurre l’impatto del 30%, ove il contribuente decida di definire la pendenza senza arrivare a sentenza. In particolare:

  • Acquiescenza all’avviso: se il contribuente non presenta ricorso e paga quanto richiesto entro il termine di legge (solitamente 60 giorni), ha diritto a una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (un terzo). Quindi invece del 30% pagherà il 10% circa. Nel nostro esempio di differenza € 7.000, la sanzione sarebbe ridotta da € 2.100 a € 700 (più interessi). L’ufficio solitamente indica nell’avviso stesso l’importo ridotto per acquiescenza. Attenzione: l’acquiescenza comporta la rinuncia a impugnare l’atto. È una scelta da ponderare se si ritiene che il ricorso avrebbe scarse chance e si vuole chiudere subito la partita con uno sconto sulla multa.
  • Accertamento con adesione: è un procedimento deflattivo in cui, dopo la notifica dell’avviso, il contribuente può chiedere all’ufficio un incontro per concordare un eventuale rideterminazione delle somme dovute (ad esempio discutere su elementi contestati). In materia di imposta di registro, l’accertamento con adesione è applicabile: se si raggiunge un accordo, si stende un atto di adesione e le sanzioni sono ridotte a 1/3 (come l’acquiescenza). L’adesione consente anche di rateizzare le somme (fino a 8 rate trimestrali se importo elevato) e sospende i termini per ricorrere. Se l’ufficio però su questi casi ha poco margine (spesso sono contestazioni “binarie”: o spetta o non spetta), l’adesione potrà magari ridursi a un mero beneficio sulle sanzioni uguale all’acquiescenza. La differenza è che con l’adesione il contribuente non “subisce” passivamente ma partecipa a definire i termini (es. potrebbe farsi riconoscere qualche spesa detraibile, o contestare il valore imponibile se era diverso, etc.).
  • Ravvedimento operoso: questo strumento opera prima che l’ufficio notifichi l’accertamento (o comunque prima che l’irregolarità sia già stata formalmente contestata). Consiste nel versare spontaneamente il dovuto con sanzioni ridotte in base al tempo trascorso. Nelle ipotesi di decadenza prima casa, il ravvedimento è utilizzabile soprattutto per i casi in cui il termine è decorso da poco (residenza 18 mesi, vendita 1 anno). Ad esempio, se sono passati 2 mesi dal 18° mese e mi rendo conto ora del problema, posso pagare la differenza imposta con sanzione molto ridotta (anche 3% circa se ravvedo entro 90 giorni dal termine). Più tempo passa, meno riduzione otterrò (il ravvedimento prevede aliquote sanzionatorie via via crescenti, sino a 1/8 del 30% se pago oltre un anno ma entro due, ecc.). In ogni caso il ravvedimento esclude del tutto l’intervento accertativo, perché il contribuente sana la violazione per proprio conto. La condizione è che non sia già intervenuto un formale avvio di verifiche o una notifica di atto. Da notare: la prassi consente ormai il ravvedimento anche oltre i termini dell’anno successivo, purché entro i termini di decadenza dell’accertamento (3 o 4 anni): quindi, finché l’Agenzia potrebbe ancora accertare, il contribuente può anticiparla ravvedendosi. Ad esempio, se non ho trasferito residenza nel 2022 e ad oggi (2025) non ho ricevuto nulla, potrei ancora ravvedermi pagando sanzione ridotta, prima che scadano i termini di controllo. Più avanti vedremo i dettagli sul ravvedimento.

Tempi di accertamento e decadenza dell’azione fiscale

Un aspetto importante per il debitore è sapere fino a quando l’Agenzia delle Entrate può notificare l’accertamento di decadenza. Per le imposte indirette (registro, ipotecaria, catastale) la legge fissa un termine di decadenza triennale per l’accertamento. Il riferimento è l’art. 76 del D.P.R. 131/1986, che stabilisce in generale 3 anni dalla registrazione dell’atto per rettifiche e liquidazioni. In passato c’è stata incertezza sull’individuazione del dies a quo (specialmente per i casi in cui l’evento decadenziale avviene dopo la stipula, come il mancato riacquisto entro 1 anno): alcuni sostenevano che in tali casi il termine decorresse dal momento della scadenza dell’anno, altri dalla registrazione originaria. La Cassazione più recente ha fatto chiarezza: ad esempio, con ord. n. 20265/2018 ha stabilito che per la decadenza da riacquisto entro l’anno, il termine triennale decorre dallo spirare dell’anno dall’atto di vendita (cioè dal momento in cui la violazione si concretizza). Analogamente, se il requisito è non trasferimento di residenza entro 18 mesi, parrebbe logico far decorrere i 3 anni dallo scadere del 18° mese. In generale, per prudenza l’Agenzia notifica gli avvisi entro 3 anni dal momento in cui ha certezza della decadenza. Ad esempio: rogito giugno 2020, residenza non trasferita entro dicembre 2021 (18 mesi); l’ufficio avrà tempo fino a dicembre 2024 per notificare. Se la vendita infraquinquennale avviene a marzo 2020 e l’anno per riacquistare scade a marzo 2021 senza riacquisto, l’ufficio dovrebbe notificare entro marzo 2024. Questa interpretazione “dinamica” è confortata dalla giurisprudenza di legittimità. La Cassazione ha anche ribadito (ord. n. 27528/2023) che 3 anni è il termine standard, rigettando tesi più estensive che parlavano di 5 anni. Tuttavia, va segnalato che in alcune situazioni eccezionali – ad esempio dichiarazioni mendaci – l’ufficio potrebbe teorizzare l’applicabilità di termini più lunghi (qualora configurasse la falsità come un’ipotesi di reato tributario, i termini potrebbero ampliarsi, ma ciò è raro perché le false dichiarazioni in atto prima casa di solito non integrano evasioni d’imposta di entità penalmente rilevante, trattandosi di imposta indiretta sull’atto). In pratica, 3 anni sono la regola.

Da notare che durante la recente pandemia Covid-19 tali termini hanno subito sospensioni e proroghe normative. Ad esempio, il Decreto “Milleproroghe” e altre disposizioni hanno sospeso i termini per adempiere ai requisiti (18 mesi, 12 mesi) e di riflesso anche i termini di accertamento sono slittati. In particolare, per acquisti effettuati prima e durante il periodo 2020-2021, molti termini sono stati congelati fino al 30 ottobre 2023 grazie a successive proroghe emergenziali. Ad esempio, se il 18° mese cadeva nel 2020, non si contava il periodo di sospensione e il termine riprendeva nel 2022-2023. Ormai, al luglio 2025, queste sospensioni sono cessate e si torna al regime ordinario. Ma per situazioni pregresse potrebbe essere utile verificare se il proprio termine di decadenza fosse prorogato per legge.

Prescrizione e decadenza: se l’Agenzia notifica l’avviso oltre i termini, il contribuente potrà far valere la decadenza dell’azione accertatrice e quindi l’estinzione del debito. Ad esempio, se un atto 2019 senza residenza entro 18 mesi (scadenza marzo 2021) viene accertato con notifica nel 2025, si potrà eccepire che sono trascorsi più di 3 anni (marzo 2024) e quindi l’atto è tardivo e nullo. In sede di ricorso, l’eccezione di decadenza è fondamentale in questi casi.

Infine, dal momento in cui l’avviso diventa definitivo (ossia non impugnato o confermato in giudizio), il debito tributario risultante segue le regole ordinarie di riscossione: cartella, ingiunzione, ecc., con prescrizione decennale dalla definitività (o inferiore in certi casi). Ma ciò attiene più alla fase esecutiva.

Strategie di difesa e strumenti di regolarizzazione per il contribuente

Di fronte a un accertamento di decadenza dall’agevolazione prima casa, il contribuente ha diverse strategie difensive. Queste vanno dal far valere cause di non debenza (per dimostrare che il beneficio spettava, evitando così il pagamento) fino all’utilizzo di strumenti per limitare le sanzioni o definire la controversia in via agevolata. È opportuno valutare caso per caso quale strada intraprendere, considerando l’importo in gioco, la solidità delle proprie argomentazioni e i costi/benefici di un eventuale contenzioso. Esaminiamo i principali strumenti e profili di difesa:

  • Istanza di autotutela o riliquidazione volontaria: prima di tutto, se il contribuente ritiene che l’avviso sia erroneo (ad esempio perché ha effettivamente rispettato i requisiti, e l’ufficio ha commesso uno sbaglio di fatto), può presentare una richiesta in autotutela all’Agenzia delle Entrate. L’autotutela è un’istanza con cui si chiede all’ufficio di riesaminare il caso e annullare o correggere l’atto per errori palesi. Ad esempio, se il contribuente ha trasferito la residenza in tempo ma per un disguido l’ufficio non lo ha visto, allegando i certificati di residenza potrà chiedere l’annullamento in autotutela dell’avviso. Oppure se c’è un errore di persona, di calcolo, ecc. L’autotutela è discrezionale per l’ufficio (non sospende i termini di ricorso), ma vale la pena tentare in presenza di errori evidenti, perché spesso l’Agenzia vi provvede per evitare un contenzioso perso. Similmente, nel caso in cui il contribuente accetti di aver perso i requisiti ma voglia limitare i danni, può presentare un’istanza di riliquidazione spontanea (come visto per la rinuncia entro 12 mesi o entro 18 mesi, se è ancora in tempo). Ad esempio, se l’avviso è arrivato ma il contribuente era ancora entro l’anno dalla vendita, potrebbe interloquire col funzionario chiedendo l’applicazione della rinuncia senza sanzioni (anche se tecnicamente avrebbe dovuto farla prima: a volte l’ufficio può chiudere un occhio se il termine è appena scaduto, applicando la sanzione minima in adesione). In sintesi, il dialogo preventivo con l’ufficio – anche attraverso un professionista – può portare o a un annullamento in autotutela (se il contribuente ha ragione) o a una definizione prima del contenzioso (ad esempio pagamento del solo dovuto senza multa, se rientra nei casi in cui la prassi lo consente). Non sempre l’ufficio aderisce, ma tentare non costa (se fatto entro i 60 giorni dall’avviso, in modo da poter comunque ricorrere se va male).
  • Ravvedimento operoso (post violazione ma pre-accertamento): se il contribuente non ha ancora ricevuto alcun avviso ma si accorge di aver violato i termini (o se li ha violati da poco), può come detto utilizzare il ravvedimento per sanare la posizione pagando spontaneamente con sanzione ridotta. Il ravvedimento va formalizzato mediante il pagamento (mod. F24) dell’imposta dovuta e degli interessi, applicando la sanzione in misura ridotta secondo il tempo trascorso. Es: residenza non trasferita, 6 mesi di ritardo; sanzione ridotta a 1/8 (circa 3.75%). Oppure vendita non seguita da riacquisto, ravvedo a 15 mesi: sanzione 1/7 (≈4.285%). I codici tributo e le modalità di calcolo vanno seguiti con attenzione (le percentuali sono previste dall’art. 13 D.Lgs. 472/97). Importante: il ravvedimento è possibile anche dopo che è scaduto il termine ordinario (tipo i 12 mesi), a patto che l’ufficio non abbia ancora notificato niente e non si siano innescate verifiche formali. In tal senso, la prassi più recente è elastica: consente ravvedimenti anche a termini scaduti da anni, se l’accertamento non è partito e rientriamo nel periodo accertabile. Un ravvedimento tardivo comporta sanzione ridotta sì, ma meno ridotta (può essere 1/6 se paghi oltre 2 anni ma prima di 5). Ad ogni modo, il ravvedimento presenta il vantaggio di abbattere la sanzione (fino al 3% come minimo, contro il 10% dell’acquiescenza). Un contribuente diligente, se sa di essere in difetto, spesso preferisce ravvedersi subito piuttosto che aspettare la mazzata del 30%. Oltretutto così evita l’iscrizione a ruolo e ulteriori aggravi. Ovviamente ravvedersi significa rinunciare a contestare successivamente la fondatezza della decadenza, perché pagando si riconosce il dovuto. Sarà quindi scelto se effettivamente non ci sono appigli difensivi sul merito.
  • Accertamento con adesione o conciliazione giudiziale: se l’avviso è già stato notificato e non si è pagato in acquiescenza, un’ulteriore possibilità è cercare una definizione concordata con l’Agenzia. L’istituto dell’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) consente, su istanza del contribuente entro 60 giorni, di avviare un contraddittorio con l’ufficio. Nel caso di imposte indirette, l’adesione può riguardare eventuali questioni controverse (ad es. si discute se un requisito era soddisfatto o meno). Spesso però l’ufficio non ha potere di “concedere” l’agevolazione se i termini non ci sono, quindi l’adesione potrebbe limitarsi alla sanzione o rateazione. Comunque, se conclusa positivamente, comporta sanzioni ridotte a 1/3 come detto. In alternativa, se si arriva a proporre ricorso, c’è la possibilità di una conciliazione giudiziale: nel corso del giudizio (tipicamente in primo grado) le parti possono accordarsi su una soluzione transattiva (magari il contribuente paga qualcosa in meno, o solo una parte delle sanzioni, ecc.), sottoponendola come conciliazione alla Commissione Tributaria. La conciliazione, specie con la riforma 2023 del processo tributario, è incentivata: consente riduzione delle sanzioni fino al 50% o 60% a seconda del momento. Quindi il contribuente potrebbe trovare conveniente proporre una conciliazione, ad esempio pagando l’imposta e interessi ma dimezzando la sanzione. Se l’ufficio accetta (cosa probabile se capisce che magari per la forza maggiore ci sarebbe rischio di perdere, per dire), il giudizio si chiude lì con risparmio di tempo e denaro per entrambi. Esiste anche l’istituto della mediazione tributaria (obbligatorio per controversie di valore fino a €50.000, fino al 2023, poi soglia elevata a € 3 milioni dal 2023 per le nuove liti, con novità normative): in pratica prima di andare in giudizio formale si deve presentare reclamo all’ufficio che può formulare una proposta di mediazione. In tema di decadenza prima casa, però, l’ufficio di solito non ha molta discrezionalità (la legge o concede o non concede l’agevolazione). Quindi mediazione e conciliazione possono al più ridurre la sanzione o consentire un pagamento dilazionato. Sono comunque strumenti da tenere presenti, specie dopo aver presentato ricorso, per chiudere anticipatamente la disputa a condizioni vantaggiose.
  • Ricorso in Commissione Tributaria (CTP) e gradi successivi: la difesa giudiziale vera e propria consiste nel presentare ricorso tributario contro l’avviso, entro 60 giorni dalla notifica di quest’ultimo, alla Commissione Tributaria Provinciale competente. Nel ricorso occorrerà sollevare tutti i motivi di opposizione avverso l’atto. Su cosa ci si può difendere? In generale, le linee di difesa possono riguardare:
    (a) Questioni formali/procedurali: ad esempio, contestare che l’avviso sia nullo per vizi formali (mancata motivazione adeguata, carenza di firma, notifica irregolare, mancata indicazione dell’aliquota sanzionatoria, difetto di contraddittorio se previsto, ecc.). Talora gli avvisi di liquidazione possono presentare lacune (ad esempio non indicare il calcolo degli interessi o la norma di riferimento); non sempre ciò basta per annullarli, ma ogni vizio va valutato. Anche la tardività (prescrizione) è un’eccezione processuale da sollevare subito.
    (b) Contestazione sul merito dei requisiti: il contribuente può sostenere di aver rispettato i requisiti e che la decadenza non è legittima. Ad esempio, se viene contestato il mancato trasferimento di residenza ma il contribuente in realtà ha trasferito entro i 18 mesi (magari l’errore sta in registri anagrafici), o se è contestato che possedesse altro immobile ma quell’altro era in realtà pervenuto per successione e rivenduto prima, ecc. Sono difese fattuali che mirano a smentire la ragione del Fisco. Bisognerà produrre prove (certificati, documenti).
    (c) Forza maggiore o cause di esclusione: se la violazione c’è stata (es. residenza tardiva), si può provare a giustificarla con eventi di forza maggiore. Come detto, la giurisprudenza è stata severa, ma non del tutto chiusa: in qualche caso estremo, giudici di merito hanno accolto scuse come gravi impedimenti oggettivi. Ad esempio, se la casa era inagibile per un terremoto entro i 18 mesi, e la residenza non fu trasferita perché l’immobile non c’era più, questo potrebbe esser riconosciuto. Anche se l’acquirente è deceduto prima di trasferire residenza (evento imprevedibile per lui), dottrina e prassi concordano che la morte dell’acquirente entro 18 mesi esclude la decadenza – non essendo imputabile un obbligo ultraterreno. In generale, però, far leva su forza maggiore è difficile: occorre documentare in modo stringente l’evento e il nesso causale.
    (d) Interpretazioni normative controverse: talvolta le norme sulle agevolazioni prima casa sono state soggette a interpretazioni diverse. Ad esempio, prima del 2018 vi era dibattito se il termine 18 mesi fosse perentorio o ordinatorio; oppure se in comunione legale servissero entrambe le firme (prima del 2015 molti notai ritenevano di no). Se il contribuente ha seguito un’interpretazione precedente (magari avallata da circolari o commissioni tributarie di merito) poi smentita dalla Cassazione, si può provare a far valere la buona fede e l’assenza di colpa. La L. 212/2000 (Statuto del Contribuente) prevede che non siano applicate sanzioni se il comportamento conforme a indicazioni ufficiali poi mutate. Ad esempio, se una vecchia circolare diceva che la residenza poteva essere anche del coniuge e poi la Cassazione dice di no, il contribuente potrebbe invocare l’affidamento. Non sempre queste tesi vengono accolte, ma si possono spendere.
    (e) Principi UE o costituzionali: in via subordinata, si può perfino eccepire che talune previsioni di decadenza o sanzioni siano in contrasto con principi di rango superiore. Ad esempio, qualcuno ha sostenuto che la sanzione del 30% su un’agevolazione può essere sproporzionata (specie se la mancanza è formale e non c’è evasione di base imponibile). Oppure che la regola che vieta il doppio bonus sia eccessiva rispetto alla libertà di circolazione se uno si trasferisce all’estero. Sono argomenti di difficile successo, ma in sede di ricorso nulla vieta di proporli, magari come extrema ratio o per preparare un eventuale ricorso in Cassazione su punti di diritto. Nel processo tributario, il contribuente ha l’onere di provare i fatti che giustificano l’agevolazione (ad es. di aver trasferito davvero la residenza in tempo, o la sussistenza di forza maggiore) mentre l’ufficio deve provare i presupposti per disconoscerla (es. che un’altra casa era posseduta, ecc.). La giurisprudenza di legittimità tende a dare un’interpretazione rigorosa delle norme agevolative (principio: le agevolazioni, essendo eccezionali, non si presumono e vanno interpretate restrittivamente). Ciò significa che spesso la Cassazione si schiera col Fisco nel dubbio. Tuttavia, vi sono anche sentenze favorevoli ai contribuenti su punti specifici: abbiamo visto quella sulle cessioni tra coniugi, o alcune su errori scusabili. Un avvocato tributarista farà leva su qualunque precedente utile: es. Cass. 8053/2016 (coniuge non residente ma famiglia sì, niente decadenza – anche se poi smentita da SU 2023), Cass. 13148/2019 (accoglimento di scuse per ritardo?), etc. Va costruita una linea difensiva coerente. In primo grado, se si perde, si può fare appello in Commissione Regionale (CTR) entro 60 gg dalla sentenza di CTP, e infine ricorso per Cassazione per motivi di legittimità. I tempi del contenzioso vanno dai 1-2 anni (primo grado) fino a oltre 5-6 anni in Cassazione. Bisogna valutare costi (spese legali, rischio di dover poi pagare anche spese di giudizio se si perde) e benefici (chance di vittoria o di riduzione importi). A volte, il solo avvio di un ricorso ben motivato può indurre l’ufficio a trattare una conciliazione per chiudere la partita.
  • Definizioni agevolate e strumenti di sovraindebitamento: infine, qualora il contribuente perda in tutto o in parte la causa e il debito resti consistente, può valutare eventuali misure di definizione agevolata se previste da normative temporanee. Negli ultimi anni vi sono state le cosiddette “rottamazioni” delle cartelle, che consentivano di pagare solo imposte e interessi ridotti, condonando le sanzioni. Ad esempio, la rottamazione-quater 2023 ha permesso di estinguere i carichi fino al 2017 senza interessi di mora e sanzioni. Se l’avviso è già diventato cartella, può rientrare in tali sanatorie. Oppure, in caso di grave difficoltà economica personale, il contribuente potrebbe accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (Legge 3/2012 e Codice della Crisi), per proporre un piano ai creditori (incluso il Fisco) con stralcio parziale dei debiti. Queste sono considerazioni extra-giudiziali, che esulano dalla difesa tecnica sul merito ma fanno parte delle opzioni per chi materialmente non riesce a pagare l’importo integrale. Naturalmente, sono ultima spiaggia: l’obiettivo primario è cercare di evitare la decadenza o la sanzione tramite i rimedi sopra detti.

In sintesi, il contribuente ha a disposizione un ventaglio di opzioni che possiamo schematizzare così:

Tabella 3 – Strumenti di regolarizzazione e fasi difensive

Strumento/FaseQuando e come si applicaEffetti / Vantaggi
Istanza in autotutela / Riliquidazione volontariaSubito dopo la notifica dell’avviso (o anche prima, se ci si accorge dell’errore) – presentando istanza motivata all’ufficio.L’ufficio può annullare o correggere l’atto in caso di errore palese. Oppure può riliquidare senza sanzioni se il contribuente rientra nelle casistiche di rinuncia entro termini (entro 12 mesi vendita, entro 18 mesi residenza). Non sospende termini ricorso, ma può evitare il contenzioso.
Ravvedimento operosoPrima che l’ufficio contesti la violazione (entro termini di accertamento). Pagamento spontaneo con F24 dell’imposta e sanzione ridotta (proporzionale al ritardo), più interessi.Estingue la violazione evitando l’emissione dell’avviso. Sanzione ridotta (minimo circa 3% se ravvedimento tempestivo). Niente iscrizione a ruolo né spese successive. Richiede liquidità immediata per pagare.
Accertamento con adesioneDopo la notifica dell’avviso, su istanza del contribuente (entro 60 gg). Incontro col Fisco per concordare importi.Sanzioni ridotte a 1/3 (10% circa) se si perfeziona l’adesione. Possibilità di rateazione fino a 8 rate trimestrali. Evita il giudizio. Non sempre l’ufficio concede riduzioni sull’imposta, ma sulla sanzione sì (per legge).
Acquiescenza (definizione immediata)Entro 60 gg dalla notifica avviso, pagando l’importo dovuto con sanzioni ridotte a 1/3. (Spesso indicato direttamente nell’atto).Sanzione ridotta a ~10%. Chiusura rapida del caso. Evita spese legali. Però implica accettare integralmente la pretesa fiscale (nessun taglio su imposta o interessi).
Ricorso in CTPEntro 60 gg dalla notifica (se non adesione). Presentazione ricorso e documenti, eventuale mediazione se prevista.Si apre la via del contenzioso per ottenere annullamento/riduzione dell’avviso. Permette di far valere ragioni di merito (forza maggiore, ecc.) e vizi di forma. Decisione terza del giudice. Tempi lunghi, costi legali. Rischio di esito incerto. Durante causa, possibilità di conciliazione con ulteriore riduzione sanzioni (fino 50%).
Appello in CTR e CassazioneEntro 60 gg da sentenza sfavorevole di primo grado (e poi 60 gg da appello per Cass.).Ulteriori gradi di giudizio se si ritiene vi sia error di diritto. Cassazione valuta solo legittimità, non fatti. Può uniformare l’interpretazione (es. Cass. 2022 su termine perentorio). Tempi molto lunghi.
Definizioni agevolate (rottamazione)Se il debito è iscritto a ruolo (cartella) e interviene una norma di condono/rottamazione (come 2018, 2023, ecc.).Pagamento scontato di sanzioni e interessi. Es: rottamazione-quater 2023 azzerava le sanzioni. Vantaggioso, ma subordinato alla presenza di norme ad hoc e al pagamento rate entro scadenze.
Sovraindebitamento (piano del consumatore, ecc.)Dopo definitività del debito, se il contribuente è persona fisica insolvente, può attivare procedure ex L. 3/2012.Possibile taglio parziale dei debiti sotto controllo del giudice, in casi di grave difficoltà economica. Estrema ratio, con effetti generali (non solo sul debito fiscale).

Come si vede, le vie d’uscita non mancano. La scelta dipenderà dalla posizione del contribuente: c’è chi preferirà sanare subito (magari per importi modesti, conviene pagare in acquiescenza con sconto e chiudere la vicenda), e chi invece vorrà combattere in giudizio (se ritiene di avere solide ragioni o se le somme sono ingenti e vale tentare di risparmiare). Fondamentale è valutare con un esperto le probabilità di successo del ricorso. Ad esempio, se il cliente mi dice “non ho trasferito la residenza perché ho sottovalutato il termine, ma l’immobile era pronto e potevo farlo”, onestamente le chance sono quasi nulle (la legge è inflessibile su ciò). In tal caso, punteremo a ridurre sanzioni con ravvedimento o adesione. Se invece ci sono elementi peculiari (es. ritardo per cause indipendenti dal contribuente, oppure vizio procedurale dell’ufficio), allora il ricorso può portare vantaggi. Da notare che, in sede giudiziale, Cassazione ha già fissato alcuni paletti interpretativi: ad esempio Cass. 17148/2018 ha sancito che l’acquisto della sola nuda proprietà non salva dal decadere (come visto), Cass. 26599/2022 ha sancito la perentorietà assoluta del termine di 18 mesi, Cass. 24420/2024 ha ammesso la rinuncia al bonus entro 18 mesi per residenza, Cass. 26703/2024 ha ribadito l’obbligo di dichiarazioni per entrambi i coniugi, etc. Quindi il contenzioso dovrà tener conto di questi precedenti, sfruttando quelli favorevoli e cercando di distinguere i casi da quelli sfavorevoli.

In ogni caso, dall’ottica del debitore, la parola d’ordine è: tempestività. Appena ricevuto l’atto (o appena ci si accorge della violazione), muoversi subito per evitare escalation di costi. E soprattutto, per il futuro, fare attenzione fin dall’atto notarile e dal rispetto dei termini, perché un piccolo errore può costare caro anni dopo.

Casi pratici e simulazioni (esempi di applicazione)

Per comprendere meglio come operano queste regole, vediamo alcuni scenari pratici, con l’esito fiscale e le possibili strategie di difesa:

  • Esempio 1: Vendita entro 5 anni con riacquisto entro 1 anno – Anna acquista nel 2019 un appartamento come prima casa (registro pagato 2%). Nel 2023 (dopo 4 anni) vende l’immobile. Entro 6 mesi dalla vendita (quindi entro 1 anno) acquista un’altra abitazione, nella quale trasferisce la residenza dopo qualche mese. Esito: Anna mantiene il beneficio sulla prima casa venduta, non dovrà restituire nulla. Ha “scambiato” il bonus sul nuovo immobile. Sul secondo acquisto ha usufruito nuovamente dell’imposta 2% (le è concesso perché ha venduto il precedente). Non ci saranno accertamenti: i requisiti sono rispettati (nuovo acquisto e residenza trasferita). – Difesa: (non necessaria perché il Fisco non contesta nulla in questo caso).
  • Esempio 2: Vendita entro 5 anni senza riacquisto entro l’anno – Marco compra nel 2018 con agevolazione prima casa. Nel 2022 vende l’immobile a terzi e decide di non comprare altro (magari perché si trasferisce in affitto all’estero). Esito: Marco decade dall’agevolazione del 2018. Doveva attendersi questo: avendo venduto a 4 anni senza nuovo acquisto, la legge lo prevede. L’Agenzia nel 2023/2024 gli notificherà un avviso chiedendo la differenza d’imposta (7% registro) + 30% di sanzione + interessi. Supponiamo differenza € 5.000, sanzione € 1.500, interessi € 200. – Difesa: Marco poteva evitare la sanzione se avesse presentato entro 12 mesi dalla vendita (cioè entro il 2023) un’istanza di rinuncia all’agevolazione ai sensi della Ris. 112/2012. Se l’ha fatto, ora pagherà solo € 5.000 + interessi modesti, e 0 di sanzione. Se non l’ha fatto, potrebbe comunque nel 2023 aver effettuato un ravvedimento operoso tardivo, pagando ad esempio sanzione ridotta al 5% (se ravveduto dopo un paio d’anni). In mancanza di ciò, quando arriva l’avviso con 30%, può ancora aderire chiedendo riduzione a 1/3 (10%). Se invece volesse fare ricorso, non avrebbe molto da contestare sul merito (la vendita entro 5 anni è palese). Potrebbe solo attaccarsi a eventuali errori formali o chiedere clemenza per motivi personali (di solito non accolti). Dunque, in scenario come questo, la strategia migliore è rinuncia/ravvedimento precoce.
  • Esempio 3: Mancato acquisto di nuova casa dopo vendita agevolata – (Simile al 2, ma sottolineiamo il caso di ravvedimento). Luigi vende la sua prima casa dopo 2 anni dall’acquisto (2020 vendita su acquisto 2018), non riacquista e non presenta istanza entro l’anno. Nel 2022 realizza che avrebbe dovuto farlo e decide di ravvedersi: calcola la differenza d’imposta € 3.000, e la sanzione ridotta del 3,75% (perché paga oltre 1 anno ma entro 2 dalla violazione), quindi € 112,50 invece di € 900 (30%). Paga tutto spontaneamente. Esito: Luigi ha sanato, l’Agenzia verosimilmente non emetterà avviso (vedendo il pagamento effettuato). Anche se l’avesse già emesso, Luigi avrebbe potuto chiedere sgravio dimostrando l’avvenuto ravvedimento (in genere, l’ufficio se incassa con ravvedimento non duplica la pretesa). – Difesa: ravvedimento operoso tempestivo. Nessun contenzioso.
  • Esempio 4: Residenza non trasferita entro 18 mesi – Paola acquista casa a gennaio 2021 con dichiarazione di trasferire la residenza nel Comune entro 18 mesi. Tuttavia, per ragioni lavorative rimane residente altrove e non effettua il cambio entro luglio 2022. Esito: decadenza dall’agevolazione. A fine 2022 l’Agenzia verifica l’anagrafe e nel 2023 le notifica l’avviso: differenza d’imposta € 8.000, sanzione € 2.400 (30%), interessi ~ € 200. – Difesa: se Paola non aveva motivi di forza maggiore, le sue chance in giudizio sono scarse, perché il superamento del termine è oggettivo e la Cassazione lo reputa inderogabile. Se invece c’erano motivi seri (es. nel frattempo grave malattia che le ha impedito il trasloco), potrebbe tentare di farli valere in ricorso come causa di forza maggiore, documentando tutto. Altrimenti, le conviene ridurre le sanzioni: se avesse revocato l’agevolazione prima di luglio 2022 (istanza all’ufficio), avrebbe pagato solo gli € 8.000 + interessi senza multa. Non avendolo fatto, quando arriva l’avviso può fare accertamento con adesione o acquiescenza per tagliare il 30% a 10% (risparmiando € 1.600 di sanzione). In ricorso potrebbe verificare se l’atto ha vizi (es. è stato notificato dopo il 3° anno?), ma di solito l’ufficio è puntuale. In casi come questo, spesso si opta per concordare e evitare ulteriori spese, salvo situazioni eccezionali. Una curiosità: se Paola avesse venduto l’immobile entro i 18 mesi e comprato un altro altrove dove aveva già residenza, sarebbe scampata alla decadenza (è la fattispecie della Cass. 20158/2024: vendendo prima dello scadere dei 18 mesi e riacquistando altrove, la decadenza non scatta). Ma non è il suo caso.
  • Esempio 5: Dichiarazione mendace (altra casa posseduta) – Carlo acquista casa nel 2020 dichiarando in atto di non avere altro immobile nello stesso Comune. In realtà possedeva già da prima un piccolo appartamento (ereditato) proprio nello stesso Comune, ma omette di dichiararlo tentando di ottenere lo sconto. L’Agenzia, tramite controlli catastali, scopre l’esistenza di quell’immobile. Esito: decadenza immediata dell’agevolazione, in quanto il requisito era insussistente ab origine. Carlo riceve un avviso per differenza imposta + 30% sanzione. – Difesa: in questo caso Carlo è soccombente: ha fatto una falsa dichiarazione. Non può certo sostenere di avere il requisito. L’unica possibilità sarebbe verificare se la casistica rientrasse in un’interpretazione dubbia (ma qui è lampante: stesso Comune, possesso c’era, quindi niente bonus). Potrebbe eventualmente chiedere un “trattamento di favore” in adesione, ma in realtà per la legge la sanzione è dovuta. Quindi l’obiettivo sarà semmai rateizzare o definire con sanzione ridotta via adesione (10%). Un aspetto da considerare: la dichiarazione mendace di questo tipo potrebbe configurare il reato di falsità ideologica in atto pubblico, ma l’Agenzia delle Entrate in genere non procede penalmente per i casi di prima casa (non c’è un’evasione d’imposta nel senso tradizionale, c’è fruizione indebita di esenzione, e la giurisprudenza penale spesso archivia per particolare tenuità, trattandosi di dichiarazione contestuale all’atto notarile). Quindi Carlo probabilmente affronterà solo la sanzione amministrativa.
  • Esempio 6: Coniuge in comunione non dichiarante – Scenario: Daniela è sposata in comunione dei beni con Enrico. Nel 2021 Enrico acquista una casa intestandola a sé e richiede l’agevolazione prima casa, dichiarando di avere i requisiti (non possiede altri immobili, ecc.). Daniela non interviene al rogito e non rilascia dichiarazioni. Dopo l’atto, l’Agenzia rileva che, essendo l’acquisto in comunione, metà dell’immobile spetta civilisticamente a Daniela, la quale però non ha dichiarato nulla. Inoltre risulta che Daniela possedeva già una casa (sebbene in altro Comune). Esito: l’Agenzia revoca l’agevolazione sulla quota di Daniela. In pratica emette avviso chiedendo il 7% e la sanzione solo sul 50% del valore dell’immobile (la quota imputabile a Daniela). La quota di Enrico resta agevolata (perché lui aveva requisiti e dichiarazioni a posto). – Difesa: Enrico e Daniela potrebbero contestare sostenendo che l’acquisto era stato fatto formalmente solo da Enrico e che la comunione si è estesa ex lege a Daniela senza necessità di dichiarazioni di quest’ultima. In passato alcune Commissioni Tributarie avevano sposato questa tesi “civilistica” (la residenza si riferisce alla famiglia, ecc.), e addirittura di recente una pronuncia ha detto che conta la residenza familiare e non serve che entrambi siano residenti (Cass. Sez. Unite nn. 31188/2021, 30594/2023 su casi simili). Tuttavia la Cassazione del 2024 (ord. 26703) ha ribadito che per il Fisco ciò che conta è la dichiarazione fiscale, non il regime patrimoniale: se un coniuge non ha dichiarato, su quella metà niente bonus. Dunque la difesa è in bilico su un contrasto interpretativo. In tal caso un ricorso avrebbe senso, citando magari pronunce favorevoli (ce ne sono alcune a sezioni semplici, ma la tendenza è sfavorevole). Potrebbero anche, in via subordinata, chiedere clemenza sulla sanzione per la parte di Daniela, ma difficilmente concessa se la legge è chiara. Insomma, questo scenario evidenzia l’importanza di far firmare entrambi i coniugi negli atti in comunione: una dimenticanza può costare mezzo beneficio.
  • Esempio 7: Separazione con trasferimento immobile all’ex coniuge – Francesca acquista con il marito una casa nel 2017 (agevolata). Nel 2021, in sede di separazione, concordano che la casa venga trasferita interamente a lui come parte dell’accordo di separazione. Francesca quindi, a 4 anni dall’acquisto, cede la sua quota al marito. Esito: per Francesca niente decadenza del beneficio fruito nel 2017. Anche se la cessione è avvenuta prima di 5 anni, siccome è intervenuta nell’accordo di separazione omologato, rientra nell’esclusione prevista dalla giurisprudenza (Cass. 7966/2019). L’Agenzia non richiederà differenze. – Difesa: se per caso l’Agenzia ignorasse la circostanza e notificasse comunque, Francesca potrebbe facilmente vincere il ricorso richiamando la suddetta Cassazione e l’art. 19 L. 74/1987. Probabilmente però l’ufficio applicherà direttamente l’esenzione (in genere chiedono copia dell’omologa di separazione per archivio).
  • Esempio 8: Acquisto di abitazione in costruzione – Giorgio compra nel 2019 un fabbricato ancora in costruzione (categoria catastale F/3 – in corso di costruzione) con l’intento di finirlo e renderlo casa sua. Il notaio applica l’agevolazione prima casa (possibile se l’immobile, una volta terminato, avrà caratteristiche non di lusso). Giorgio dichiara che la casa finita sarà non di lusso e che avrà residenza lì. La legge richiede che i lavori vengano completati entro 3 anni dal rogito, altrimenti scatta la decadenza. Poniamo che Giorgio per vari motivi non riesca a ultimare i lavori entro il 2022. Esito: l’Agenzia può revocare l’agevolazione perché il fabbricato non è stato accatastato come abitazione entro 3 anni. Emetterà atto per differenza d’imposta + sanzione + interessi. – Difesa: questo è un caso particolare. Giorgio potrebbe sostenere che comunque la casa è stata completata al 90% ed era per cause di forza maggiore che ha sforato il termine. L’ufficio potrebbe essere non rigido se si tratta di pochi mesi, ma la norma è analoga alle altre: i 3 anni vengono dal fatto che l’ufficio non può aspettare in eterno la conclusione (Circ. AE 38/E/2005). In giudizio, Giorgio può provare a chiedere un’interpretazione estensiva ma il più delle volte se a 3 anni non c’è la casa finita e accatastata, la decadenza è sancita. Quindi la strategia migliore sarebbe stata chiedere proroghe (in alcuni casi normative Covid hanno sospeso anche questo termine), o altrimenti rassegnarsi al pagamento e magari cercare uno sconto sanzione con adesione. Se Giorgio finisce i lavori al 4° anno e la casa risulta effettivamente non di lusso, a volte i giudici tributari potrebbero chiudere un occhio (valutando che l’obiettivo sostanziale è stato raggiunto, benché in ritardo). Ma è un azzardo.

Questi esempi mostrano come la casistica sia varia. La chiave per difendersi con successo sta nel prevenire quando possibile (utilizzando gli strumenti di regolarizzazione prima che arrivi l’accertamento) e, quando l’accertamento arriva, nell’analizzare a fondo i dettagli del proprio caso per trovare eventuali appigli normativi o giurisprudenziali. Ogni storia può avere un elemento singolare che fa la differenza in giudizio.

FAQ – Domande frequenti sulla decadenza “prima casa”

1. Ho venduto la mia prima casa prima che trascorressero 5 anni dall’acquisto, ma ho comprato un nuovo immobile entro un anno. Devo pagare qualcosa all’Agenzia delle Entrate?
No, se hai rispettato l’obbligo di riacquisto entro 12 mesi, non perdi l’agevolazione. La legge prevede che la rivendita infra-quinquennale non comporti decadenza se entro un anno acquisti un’altra casa da adibire a abitazione principale. Dovrai ovviamente dichiarare le agevolazioni anche sul nuovo acquisto e trasferire la residenza nel nuovo immobile entro 18 mesi, come di regola. Ma non ti verrà richiesto nulla per la casa venduta: in pratica conservi il beneficio sulla prima operazione. Ad esempio, se avevi pagato il 2% sul primo acquisto, non dovrai restituire il 7% risparmiato, a condizione che il nuovo acquisto avvenga nei termini e rispetti i requisiti. L’Agenzia potrebbe chiederti documentazione (es. atto di acquisto nuovo) per verificare, ma nessuna imposta aggiuntiva è dovuta.

2. Ho venduto la casa agevolata entro 5 anni e non intendo comprarne un’altra. Posso evitare la multa del 30%?
Sì. La normativa ti consente di rinunciare spontaneamente al beneficio prima casa entro 1 anno dalla vendita, pagando la sola differenza d’imposta senza sanzione. Devi presentare un’istanza all’ufficio delle Entrate dove era stato registrato l’atto, dichiarando che non intendi più fruire dell’agevolazione e chiedendo la riliquidazione. L’Agenzia, in base alla Risoluzione 112/E/2012, liquiderà le maggiori imposte dovute ma non applicherà la sanzione del 30%. Attenzione ai termini: l’istanza va fatta entro 12 mesi dall’atto di vendita. Se è già trascorso oltre un anno, puoi comunque ricorrere al ravvedimento operoso: pagando spontaneamente la differenza più una sanzione ridotta (ad esempio il 5% anziché il 30%, a seconda di quanto ritardo hai accumulato). Questo ti mette al riparo dalla multa piena. In pratica, se ti accorgi in ritardo ma prima di ricevere un avviso, versa il dovuto con F24 e sanzione ridotta. Se invece ricevi già l’avviso con il 30%, a quel punto puoi solo aderire per ridurla a 10% (acquiescenza/adesione).

3. Non ho trasferito la residenza entro 18 mesi dall’acquisto. Posso conservare l’agevolazione invocando un ritardo giustificato?
In linea di massima no. La regola è molto rigida: il trasferimento di residenza nel Comune entro 18 mesi è un requisito imprescindibile e il termine è considerato perentorio. Solo situazioni di forza maggiore possono costituire eccezione, ma devono essere eventi straordinari, imprevedibili e che abbiano oggettivamente impedito il trasferimento. La giurisprudenza li ammette raramente (es. un terremoto che rende inagibile la casa, una grave malattia che immobilizza l’acquirente per mesi). Ad esempio, semplici ritardi nei lavori di ristrutturazione, problemi burocratici, dissidi familiari, non sono stati considerati sufficienti – la Cassazione ha negato l’esimente in molti casi analoghi. Dunque se non hai trasferito la residenza nei 18 mesi, di norma perderai il beneficio. L’unica cosa che potevi fare era revocare per tempo la dichiarazione: entro i 18 mesi presentando istanza all’Agenzia per rinunciare all’agevolazione, in modo da pagare solo la differenza d’imposta senza sanzione. Se i 18 mesi sono già trascorsi e non c’è stata residenza, l’Agenzia ti liquiderà la maggiore imposta con la multa. Potrai al massimo chiedere clemenza sulle sanzioni (adesione per ridurle al 10%). In tribunale, provare a far valere un “ritardo giustificato” è quasi sempre perdente, salvo tu abbia documentazione di eventi gravissimi.

4. Se trasferisco la casa agevolata a mio marito/moglie in sede di separazione, perdo l’agevolazione?
No. La cessione dell’immobile al coniuge in conseguenza di accordi di separazione o divorzio non fa decadere dalle agevolazioni prima casa. Lo ha chiarito la Cassazione: pur essendo una cessione infra-5 anni, si tratta di un trasferimento effettuato in attuazione di un accordo omologato dal tribunale (o di una sentenza di separazione) e rientra nella previsione di favore dell’art. 19 della legge 74/1987. Quella norma esenta da imposte alcune transazioni tra coniugi in sede di separazione; la Cassazione vi ha collegato anche la non decadenza dal bonus. In pratica, la legge tutela chi regola la crisi coniugale senza aggiungere un aggravio fiscale. Quindi puoi stare tranquillo: se, ad esempio, nell’atto di separazione consensuale viene stabilito che l’immobile intestato a te venga trasferito all’ex coniuge, tu non dovrai restituire le imposte risparmiate con il 2%. Importante: assicurati che la cessione sia inserita nell’accordo di separazione e che l’accordo sia omologato dal giudice o avvenga secondo le procedure legali; se invece vendessi “privatamente” al coniuge prima di 5 anni al di fuori di un accordo di separazione, la decadenza si applicherebbe (perché sarebbe vista come vendita ordinaria).

5. Ho comprato una seconda casa con il bonus, avendo ancora intestata la prima (acquistata con bonus), ma mi impegno a vendere la vecchia entro un anno. Cosa succede se non riesco a venderla in tempo?
Prima di tutto, questa operazione è possibile grazie alla legge dal 2016: puoi ottenere l’agevolazione su una nuova casa pur possedendone un’altra già agevolata, purché ti impegni a vendere la precedente entro 12 mesi. Dal 2025 il termine è stato esteso a 2 anni. Se non riesci a vendere entro il termine (1 anno per atti fino al 2024, 2 anni per atti dal 2025 in poi), decadi dall’agevolazione sul nuovo acquisto. In pratica, l’Agenzia ti richiederà la differenza d’imposta (dal 2% al 9% registro, oppure dal 4% al 10% IVA, a seconda del caso) più la sanzione 30% su detta differenza e interessi. Non perdi invece nulla sul primo immobile (quello resta tuo, lo avevi comprato legittimamente con il bonus e 5 anni magari sono passati o passeranno; la decadenza riguarda il secondo acquisto). Esempio: hai pagato 2% sul rogito nuovo, dovevi vendere il vecchio entro un anno ma non l’hai fatto – ti arriverà richiesta del restante 7% + multa e interessi sul secondo atto. – Come rimediare? Se sei ancora in termini (es. sono passati 8-9 mesi e vedi che la vendita non si concretizza), potresti valutare di fare un ravvedimento operoso pagandoti la differenza con sanzione ridotta, senza aspettare l’anno. Oppure, alla scadenza dell’anno, presentare un’istanza all’ufficio chiedendo la riliquidazione (non è formalmente prevista come per la vendita entro 5 anni, ma tentare non nuoce). L’importante è non aspettare troppi anni, altrimenti l’accertamento arriverà con la sanzione piena. Qualcuno chiede: “Posso vendere la casa vecchia dopo l’anno e comunque salvarmi?” No, se la vendi dopo il termine, la decadenza si è già materializzata. Quel che potevi fare, eventualmente, era chiedere al legislatore una proroga… infatti la legge di Bilancio 2025 ha prorogato a 2 anni, ma vale per atti nuovi o non ancora scaduti al 2024. Se il tuo termine era già scaduto, purtroppo la nuova norma non ti aiuta.

6. L’Agenzia delle Entrate ha tempo infinito per mandarmi un avviso di decadenza? Ho acquistato 4 anni fa, sono ancora a rischio?
No, l’Agenzia ha un termine di decadenza per legge entro cui può effettuare i controlli e notificare gli avvisi. In generale, per l’imposta di registro (e atti soggetti a registro) il termine è di 3 anni dalla registrazione dell’atto, prorogati di un anno nel caso di eventuale riapertura dei termini (ad esempio se il termine dipende da un evento successivo). Nel tuo caso: se hai acquistato 4 anni fa, dipende cosa è successo. Se tu non hai violato nulla (es. hai messo residenza in tempo, non hai venduto entro 5 anni, ecc.), non riceverai nulla comunque. Se invece hai violato, poniamo, la residenza e sono passati 4 anni, l’ufficio di norma avrebbe dovuto agire entro 3 anni dal decorso dei 18 mesi. Facciamo i conti: rogito gennaio 2019, 18 mesi scadenza luglio 2020, termine 3 anni luglio 2023. Se a oggi (luglio 2025) non ti hanno notificato nulla, il potere di accertamento è decaduto (salvo tu abbia ricevuto qualcosa nel frattempo, come una contestazione interruttiva). Quindi, a regola, dopo 4 anni sei al sicuro. Diverso esempio: compravendita luglio 2021, residenza non messa entro gennaio 2023 (18 mesi). L’ufficio ha tempo fino a gennaio 2026 per notificare. Quindi sei ancora a rischio per altri 6 mesi in quel caso. Idem per vendite infra 5 anni: se vendi al 4° anno, devono aspettare il 5° per vedere se ricompri entro l’anno, quindi il termine 3 anni decorre da lì (Cass. 20265/2018 lo conferma). Diciamo che di solito l’Agenzia è abbastanza celere: molti avvisi arrivano poco dopo il mancato rispetto (ad es. pochi mesi dopo i 18 mesi, o poco oltre l’anno senza riacquisto). Ma se ti sei “scordato” e sono passati più di 3 anni dall’evento, puoi respirare: il debito si è estinto per decadenza dei termini di legge. In ogni caso, i 3 anni decorrono dal momento in cui la violazione è definitiva: quindi 18 mesi per residenza + 3 anni; 12 mesi per riacquisto + 3 anni, etc. Ci sono state complicazioni a causa del Covid – i termini dal 2020 al 2022 sono stati sospesi per legge. Quindi se la tua scadenza cadeva in quel periodo, il conteggio va aggiustato. Ma post-2023 si torna alla normalità.

7. Ho ricevuto un avviso di liquidazione: posso pagare a rate o devo versare tutto entro 60 giorni?
Di regola, l’avviso di liquidazione (per imposta di registro) non prevede automaticamente la rateazione in quella fase. Entro 60 giorni dovresti pagare quanto richiesto per evitare l’iscrizione a ruolo. Tuttavia, se intendi aderire (accertamento con adesione) è possibile ottenere la rateazione dell’importo concordato fino a 8 rate trimestrali (se l’importo supera €50.000 si arriva a 12 rate). Anche in fase di riscossione coattiva (dopo i 60 gg, con la cartella) potrai chiedere la dilazione delle somme iscritte a ruolo (fino a 72 rate mensili se hai i requisiti, o 120 se in grave difficoltà). Quindi, se non riesci materialmente a pagare in unica soluzione entro 60 giorni, hai queste opzioni: presentare istanza di adesione (sospende i 60 gg e ti consente di trattare e poi pagare a rate una volta firmato l’accordo), oppure lasciar decorrere e poi rateizzare in fase di cartella (soluzione meno elegante perché intanto maturano aggi e interessi di riscossione). Un’altra via è la conciliazione giudiziale, se fai ricorso, che prevede anche il pagamento rateale dell’importo conciliato. Quindi sì, è possibile diluire, ma con i giusti strumenti. Attenzione che se fai acquiescenza con sanzioni ridotte, devi pagare tutto entro 60 gg per godere dello sconto; non c’è rateazione per l’acquiescenza.

8. In caso di decadenza dall’agevolazione, devo restituire anche il credito d’imposta di cui ho usufruito?
Domanda complessa ma rilevante: Il credito d’imposta prima casa è un altro beneficio connesso, ovvero la possibilità di detrarre dall’imposta di registro dovuta su un nuovo acquisto l’imposta pagata sul precedente immobile venduto (entro un anno). Se tu hai usufruito di questo credito perché hai venduto e ricomprato entro l’anno, ma poi decadi dall’agevolazione, come ci si comporta col credito? In linea generale, se decadi dal beneficio sul nuovo acquisto, ciò travolge anche il credito d’imposta connesso. Quindi potresti dover restituire (o vederti negato) l’importo di quel credito. Ad esempio, avevi un credito di € 5.000 che hai compensato sulle imposte di registro del nuovo atto; poi risulti decaduto perché non hai venduto il vecchio immobile entro l’anno – allora non avevi diritto né al bonus né al credito, per cui l’ufficio recupererà anche quello. In pratica lo aggiungerà al conto delle imposte dovute. Diverso sarebbe se tu avessi venduto la prima casa e ottenuto credito, e poi decadi per un’altra ragione sul nuovo acquisto (es. residenza): in tal caso il credito era legittimo perché la vendita c’era; però la Cassazione in una pronuncia ha ritenuto che se decadi dal bonus, decade pure il credito correlato perché il credito è parte integrante del regime agevolato. Quindi la prudenza suggerisce: se perdi il beneficio, perdi anche il credito e te lo ricalcoleranno come imposta dovuta.

9. Ho ereditato da mio padre una casa su cui lui aveva goduto dell’agevolazione. Se la vendo prima di 5 anni dalla successione, devo restituire le agevolazioni?
No, il caso delle successioni ereditarie è diverso. L’agevolazione prima casa di cui parliamo qui riguarda atti a titolo oneroso (compravendite) o donazioni, ma non si applica alle successioni mortis causa (dove semmai c’è un’altra agevolazione – l’esenzione dall’imposta di successione per prima casa). Quindi l’ipotesi: tuo padre aveva comprato con agevolazione nel 2018; nel 2021 muore, tu erediti la casa; se vendi nel 2022, non scatta alcuna decadenza a tuo carico, perché tu non hai fruito di un bel niente sull’acquisto (l’acquisto è avvenuto per successione, su cui non c’è imposta di registro prima casa). La “promessa” di non vendere entro 5 anni era riferita a tuo padre, ma essendo deceduto, viene meno. In generale, la morte dell’acquirente estinge qualunque impegno pendente (residenza o detenzione 5 anni) – non è prevista decadenza post mortem, sarebbe assurdo. Quindi puoi vendere senza dover nulla. Caso diverso: tu stesso avevi acquistato con agevolazione e poi l’immobile entra in successione ai tuoi eredi se muori prima di 5 anni – i tuoi eredi non devono restituire nulla, la decadenza per il de cuius non opera causa decesso. Quindi su eredità stai tranquillo.

10. Se perdo l’agevolazione prima casa, quanto tempo rimarrà questo “precedente”? Potrò in futuro richiedere di nuovo il bonus su un altro acquisto?
Una volta fruito del beneficio (anche se poi decaduto), risulta comunque che ne hai usufruito. La normativa (Nota II-bis lett. c) vieta di fruire dell’agevolazione se già la si è avuta in passato salvo il caso di vendita entro 5 anni e riacquisto entro 1 anno. Quindi se tu perdi l’agevolazione, tecnicamente significa che quell’acquisto viene trattato fiscalmente come non agevolato, ma conta comunque come utilizzo ai fini del divieto. Cioè, non è che perché te l’hanno revocata torna come se non avessi mai beneficiato: l’hai richiesta e ottenuta (seppur decaduta) su quell’immobile. Pertanto, in futuro, non potrai chiedere di nuovo l’agevolazione su un altro acquisto, a meno che rientri nella fattispecie di “vendita e riacquisto entro 1 anno”. Facciamo un esempio: Mario compra nel 2015 con bonus, poi decade nel 2020 perché non ha messo residenza. Nel 2025 vuole comprare un’altra casa: non può avere il 2% perché risulta che ha già usufruito del bonus una volta (anche se poi l’ha perso, la norma parla di “aver già fruito in precedenza”, e lui formalmente ne ha fruito nel 2015 anche se l’ha restituito). Ci si potrebbe chiedere se la decadenza “azzera” il contatore, ma la Cassazione ha affermato di no: non esiste rinuncia unilaterale ex post per avere di nuovo il beneficio. L’unico modo sarebbe stato vendere entro 5 anni e acquistare entro 1 anno, che è l’eccezione prevista. Quindi attenzione: il bonus è one-shot; se lo perdi perché non rispettato, non è che poi puoi riprovarci su un altro immobile. Rimane come “consumato”.

11. Le regole sulle agevolazioni prima casa valgono uguale per l’IVA e per l’imposta di registro?
In gran parte . I requisiti soggettivi e oggettivi sono sostanzialmente identici sia che tu compri da un privato (atto soggetto a imposta di registro 2% prima casa) sia che tu compri da un costruttore con IVA 4%. La normativa IVA (Tabella A, Parte II, DPR 633/72, n. 21) infatti rinvia alle condizioni fissate dal Testo Unico Registro: richiede che l’acquirente non possieda altre case, non abbia usato il bonus prima, e che l’immobile non sia di lusso, analogamente. Anche le cause di decadenza sono equiparabili: se decade, dovrai pagare la differenza d’IVA (ad es. dal 4% al 10%) e la sanzione 30% su tale differenza. Formalmente l’atto che arriva potrebbe essere un avviso di accertamento per IVA (invece che avviso di liquidazione), ma la sostanza non cambia. Una differenza è che l’imposta di registro si paga sul “valore catastale” (spesso inferiore al prezzo di mercato se hai optato per il sistema prezzo-valore), mentre l’IVA si paga sul prezzo effettivo. Quindi a volte il colpo per l’IVA può essere più grosso in termini assoluti. E la sanzione 30% su IVA ricalcolata segue le stesse regole (riduzioni, ravvedimento). L’Agenzia notifica questi avvisi per IVA generalmente all’acquirente stesso (anche se l’IVA formalmente la versava il costruttore), perché il regime agevolato fu richiesto da te tramite autocertificazione dei requisiti. Diciamo che se tu dichiaravi il falso per avere IVA 4%, il Fisco recupera dal venditore o da te (solitamente coinvolge entrambi, ma in pratica l’onere ricade sul compratore che ha tratto vantaggio). Quindi comportati come se la disciplina fosse unica. In questa guida infatti non abbiamo distinto molto, parlando di decadenza “prima casa” tout court. Le uniche differenze tecniche: aliquote (4 vs 10 vs 22% in IVA), importi fissi di registro (200 € fissi se c’è IVA indipendentemente da prima casa), ma concettualmente i requisiti e le violazioni sono paralleli.

12. Ho acquistato nel 2024 una nuova casa con bonus, possedendone già una, confidando di vendere la vecchia. A fine 2024 non l’ho ancora venduta. Ho sentito che la legge di Bilancio 2025 dà più tempo: è vero?
Sì, è vero: la Legge di Bilancio 2025 (L. 197/2024) ha esteso da uno a due anni il termine per vendere l’immobile precedente senza perdere il bonus. Inoltre, tale estensione si applica non solo ai rogiti dal 1° gennaio 2025, ma anche a chi ha stipulato nel 2024 e al 31/12/2024 non aveva ancora venduto. Nel tuo caso, avendo acquistato nel 2024 e non avendo venduto entro fine anno, rientri nella proroga: hai tempo fino al 2025 (esattamente fino a compiere 2 anni dal rogito 2024) per vendere la vecchia casa. Così eviterai la decadenza. Questa è una modifica normativa molto recente, concepita per dare maggiore respiro ai contribuenti in un mercato immobiliare non sempre rapido. Quindi non disperare: il tuo “impegno” si considera ora a 2 anni. Assicurati però di adempiere entro il nuovo termine, perché scaduti i 2 anni le stesse conseguenze di decadenza si applicheranno. Se invece avessi già superato il vecchio termine di un anno prima del 2025 (es. hai comprato a gennaio 2023 e non venduto entro gennaio 2024), purtroppo la proroga non è retroattiva per te. Vale solo se il termine annuale era in corso al 1/1/2025 o successivo.

13. Conviene impugnare un avviso di decadenza prima casa? O meglio pagare con lo sconto?
Dipende. Bisogna valutare quanto è fondato l’avviso e quali sono le chance di vincere. Se, ad esempio, l’avviso riguarda un palese mancato requisito (tipo residenza non trasferita senza scuse, o vendita senza riacquisto), la probabilità di perdere in giudizio è alta perché la legge è abbastanza chiara e i giudici tendono ad applicarla. In questi casi, fare ricorso spesso significa solo rinviare l’inevitabile e aggiungere spese (si pagherà poi anche una percentuale di spese legali al fisco se si perde). In situazioni simili, conviene semmai sfruttare i meccanismi di riduzione delle sanzioni (adesione, acquiescenza) e chiudere la questione col minimo esborso di multa (10% anziché 30%). Viceversa, se ci sono argomenti difendibili – ad esempio credi di aver rispettato i tempi, oppure hai un certificato che attesta che per cause esterne non potevi fare diversamente, oppure l’ufficio ha sbagliato a calcolare i termini – allora il ricorso può avere senso. Tieni presente che anche il solo presentare ricorso può portare a una conciliazione in cui l’ufficio magari riduce la sanzione a metà (quindi 15% invece di 30% ad esempio). A volte, se la posta in gioco è alta (€ tens of thousands) e c’è anche solo una possibilità su tre di spuntarla in commissione, molti consigliano di tentare il ricorso, perché male che vada puoi sempre definire transando la sanzione. Se invece la somma non è enorme (diciamo sotto €2.000) e la ragione è chiaramente del fisco, non vale la pena imbarcarsi in cause: è preferibile pagare subito con sanzione ridotta e stop. Un altro elemento: se si fa ricorso, bisogna pagar un terzo del tributo intanto (questo è previsto dalle regole del processo tributario) – anche se a onor del vero, negli avvisi di liquidazione di registro non si applica la riscossione frazionata, quindi potresti non dover pagare nulla fino alla sentenza di primo grado. Ma in caso di esito sfavorevole, scatteranno poi interessi di mora dal 60° giorno, ecc. Quindi ci sono fattori economici da considerare. Riassumendo: conviene ricorrere se hai buoni motivi giuridici o se l’importo/sanzione è molto elevato e vuoi provare a ridurla, oppure se l’ufficio ha fatto errori. Non conviene se la violazione è plateale e l’importo medio-basso (in tal caso sfrutta definizione agevolata). Ogni caso va valutato singolarmente magari con un professionista.

14. Cosa succede se ignoro l’avviso e non pago né faccio ricorso?
Succede che dopo 60 giorni dall’avviso di liquidazione, questo diventa titolo esecutivo e il debito sarà affidato alla Riscossione. Ti verrà quindi notificata una cartella esattoriale o un avviso di pagamento dall’Agenzia Entrate-Riscossione, con aggiunta di oneri (diritto di notifica, compensi riscossione). A quel punto potrai ancora pagare, magari chiedendo una rateazione fino a 72 rate. Se continui a non pagare, il concessionario potrà attivare procedure coattive: fermo amministrativo auto, pignoramento conto, stipendio, ipoteca su immobili, ecc., a seconda dell’importo. Inoltre, non avendo impugnato nei termini, decadono le possibilità di contestare nel merito: il debito diventa definitivo. Potrai solo impugnare eventualmente la cartella se vi fossero vizi autonomi (ma non per discutere del merito del bonus ormai). In pratica, ignorare l’avviso equivale a accettare la pretesa ma senza neanche usufruire dello sconto sulle sanzioni che avresti avuto con acquiescenza. Quindi è la peggiore delle opzioni: ti troverai a pagare il 30% pieno, più extra spese. A volte qualcuno ignora sperando nella prescrizione, ma non è saggio: una volta che c’è l’atto, la prescrizione è decennale e l’Agente di riscossione è piuttosto efficiente nel riscuotere con strumenti forzosi. Dunque, meglio affrontare subito la questione, scegliendo tra pagamento ridotto o ricorso, piuttosto che subire sanzioni piene e aggravio di mora.

15. L’acquisto con bonus prima casa può essere controllato anche ai fini dell’IMU o di altri tributi locali?
Sì, ma è un ambito diverso. Le agevolazioni prima casa riguardano le imposte di registro/IVA statali. Tuttavia spesso il concetto di “abitazione principale” rileva anche per altre tasse. Ad esempio, l’IMU (Imposta Municipale Propria) prevede l’esenzione per l’abitazione principale, che però richiede la residenza anagrafica e la dimora abituale in quell’immobile. Se tu non trasferisci la residenza, rischi non solo la decadenza del bonus registro ma anche di dover pagare l’IMU (che magari non pagavi credendo fosse prima casa esente). Sono due aspetti distinti: l’Agenzia Entrate si occupa del suo, il Comune potrebbe verificare e farti accertamento IMU per gli anni in cui non hai avuto residenza. Quindi attenzione: se per il fisco decadi dal bonus, molto probabilmente non avevi diritto nemmeno all’esenzione IMU per quei periodi, e il Comune può richiederti l’imposta locale arretrata con sanzioni e interessi. Stesso dicasi per la TARI (tariffa rifiuti), che in certi comuni ha riduzioni per residenti nell’immobile. Insomma, la perdita del requisito di residenza ha conseguenze a cascata. Anche per la banca: se hai ottenuto un mutuo con tasso agevolato “prima casa” e non rispetti l’obbligo di residenza (spesso nei contratti di mutuo o nelle norme per l’imposta sostitutiva sul finanziamento c’è scritto che devi mettere residenza entro X mesi per mantenere il tasso agevolato fiscale dello 0,25% sul mutuo), potresti dover pagare differenze. L’avviso di decadenza dall’agevolazione prima casa a volte indica anche il recupero dell’imposta sostitutiva sul mutuo (dallo 0,25% al 2%), perché se perdi il bonus, perdi pure il diritto al mutuo agevolato. Insomma, è un effetto domino. Quindi un controllo sul bonus prima casa può attivare, direttamente o indirettamente, anche altri recuperi.

Conclusioni

L’accertamento sulle agevolazioni prima casa non spettanti è un evento temuto da molti contribuenti che, spesso in buona fede, non hanno compreso o rispettato tutte le condizioni legate al bonus fiscale sulla prima abitazione. Abbiamo visto che la normativa italiana (aggiornata al 2025) è molto dettagliata e stringente: ottenere lo sconto (2% registro o 4% IVA) è facile al rogito, ma conservarlo richiede attenzione nei 5 anni successivi e oltre. Le sentenze più recenti della Corte di Cassazione confermano un orientamento piuttosto rigoroso nell’interpretare queste condizioni, con poche aperture a situazioni eccezionali. Tuttavia, esistono strumenti per difendersi efficacemente: dalla prevenzione (rinuncia volontaria al beneficio quando ci si rende conto di non poter rispettare un impegno) alla definizione agevolata delle sanzioni (ravvedimento, adesione), fino alla battaglia nei tribunali tributari quando sussistono validi argomenti. Il punto di vista del “debitore” – cioè del cittadino che riceve l’avviso – deve essere pragmatico: valutare costi, benefici e probabilità di successo, magari facendosi assistere da un professionista esperto in diritto tributario immobiliare. Spesso, mostrando collaborazione e ravvedimento, si possono evitare sanzioni inutili e chiudere la vicenda senza strascichi pesanti. In altri casi, quando si intravede un abuso o un errore dell’amministrazione, vale la pena far valere i propri diritti in giudizio.

In ogni caso, la miglior difesa è la conoscenza: conoscere in anticipo le regole del gioco permette di non commettere passi falsi nell’acquisto della propria casa. Con questa guida avanzata speriamo di aver fornito un quadro completo – normativo, operativo e pratico – che consenta sia ai privati cittadini di orientarsi, sia ai professionisti legali e fiscali di approfondire i punti critici, con il supporto di riferimenti a fonti autorevoli (norme, circolari, sentenze). Ricordiamo infine che ogni caso concreto fa storia a sé e che le leggi possono cambiare (come è avvenuto con la Legge di Bilancio 2025 per il termine di rivendita). Pertanto è sempre opportuno aggiornarsi sulle ultime novità e, in situazioni complesse, consultare un professionista per costruire la miglior strategia difensiva possibile. La prima casa è un bene fondamentale, e il legislatore offre benefici fiscali proprio per favorirne l’acquisto: assicurarsi di meritare e mantenere questi benefici è responsabilità di ogni contribuente, e difendersi da richieste indebite del Fisco è un diritto da esercitare nelle sedi opportune.


Fonti e riferimenti normativa e giurisprudenziale (aggiornati al 2025)

  • D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Testo Unico dell’Imposta di Registro – Tariffa Parte I, art. 1, Nota II-bis. (Requisiti “prima casa” e cause di decadenza).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, istitutivo dell’IVA – Tabella A, Parte II, n. 21. (Aliquota IVA 4% per cessioni di case non di lusso con requisiti prima casa).
  • Decreto Ministeriale 2 agosto 1969Definizione di abitazioni di lusso. (Esclude categorie A/1, A/8, A/9 dall’agevolazione).
  • Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016)comma 55: modifica Nota II-bis introducendo il comma 4-bis (impegno a vendere entro 1 anno l’altra casa).
  • Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023)art. 1, commi 74-75: proroga emergenziale termini “prima casa” al 31/3/2023 (Covid).
  • Legge 23 dicembre 2023, n. 207 (Legge di Bilancio 2025)commi 109-113: estensione da 12 a 24 mesi del termine per alienare l’immobile posseduto in caso di nuovo acquisto agevolato.
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 105/E del 31/10/2011“Rinuncia agevolazione per mancato trasferimento residenza”. (Consente revoca dichiarazione d’impegno entro 18 mesi senza sanzioni).
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 112/E del 27/12/2012“Mancato riacquisto entro un anno – rinuncia senza sanzione”. (Permette pagamento differenza imposta entro 12 mesi dalla vendita senza applicazione del 30% di sanzione).
  • Circolare Agenzia Entrate 12/E del 1/03/2007Chiarimenti vari su prima casa.
  • Circolare Agenzia Entrate 38/E del 12/08/2005par. 3.3: agevolazione per immobile in corso di costruzione e termine triennale di completamento.
  • Cassazione Civile, Sezioni Unite, sent. n. 30594/2023(Residenza familiare in comunione legale – requisito riferito alla famiglia; parziale difformità con orientamento Agenzia).
  • Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 8104/2017 (29/03/2017)(Trasferimento dell’immobile infra 5 anni al coniuge in sede di separazione – niente decadenza).
  • Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 7966/2019 (21/03/2019)(Conferma principio: cessione al coniuge separando non comporta decadenza).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 17148/2018 (28/06/2018)(Riacquisto di nuda proprietà entro l’anno non evita decadenza – serve piena proprietà).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 20265/2018 (31/07/2018)(Termine triennale accertamento decorre da scadenza anno per riacquisto, non da data atto).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 26599/2022 (12/09/2022)(Termine 18 mesi residenza è perentorio e inderogabile).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 4600/2022 (14/02/2022)(Ribadisce divieto di “rinuncia” ex post al beneficio già fruito, salvo caso residenza entro 18 mesi).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 20158/2024 (22/07/2024)(Nessuna decadenza se contribuente, non avendo trasferito residenza in 18 mesi, vende l’immobile entro quel termine e riacquista entro 1 anno altrove dove già risiede).
  • Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 24420/2024 (11/09/2024)(È possibile rinunciare all’agevolazione entro 18 mesi per mancato trasferimento residenza; confermata irrevocabilità in altri casi).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 26703/2024 (14/10/2024)(Acquisto in comunione legale: necessarie dichiarazioni requisiti da parte di entrambi i coniugi, pena decadenza pro-quota).
  • Cassazione Civile, Sez. V, ord. n. 27528/2023 (28/09/2023)(Termine di 3 anni per accertamento prima casa in caso di immobile in costruzione – decorrenza dopo ultimazione lavori; conferma orientamento triennale).
  • Corte Costituzionale n. 203/2021(Ha escluso profili d’illegittimità dell’impianto sanzionatorio “prima casa”).
  • Agenzia delle Entrate – sito web, “Acquisto della casa: le imposte e le agevolazioni fiscali” – guida aggiornata.

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Le agevolazioni “prima casa” consentono di pagare imposte ridotte al momento dell’acquisto, ma il fisco può revocarle se non vengono rispettati tutti i requisiti di legge, come la residenza nel comune dell’immobile entro 18 mesi, l’assenza di altri immobili acquistati con la stessa agevolazione o la rivendita entro 5 anni senza riacquisto. In caso di contestazione, è possibile difendersi dimostrando la sussistenza dei requisiti o contestando errori dell’Agenzia delle Entrate.


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Conclusione
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