Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per presunti incassi POS non dichiarati e non sai come reagire?
Negli ultimi anni il Fisco ha intensificato i controlli incrociando i dati trasmessi dagli istituti di credito con quelli dichiarati nelle dichiarazioni fiscali. Se emerge una differenza tra gli importi registrati dal POS e i ricavi dichiarati, l’Agenzia delle Entrate invia una comunicazione preventiva invitando il contribuente a regolarizzare la posizione o a fornire spiegazioni.
Quando si riceve una lettera di compliance per incassi POS
– Quando gli importi registrati tramite terminale POS risultano superiori ai ricavi dichiarati
– Quando i flussi POS non risultano coerenti con il regime fiscale applicato (forfettario o ordinario)
– Quando ci sono transazioni POS non contabilizzate in contabilità o registri IVA
– Quando ci sono incassi personali effettuati con il POS dell’attività e non dichiarati
– Quando il volume di incassi elettronici appare incompatibile con quanto dichiarato al fisco
Cosa può accadere dopo la lettera di compliance
– Se non si forniscono chiarimenti o non si regolarizza, l’Agenzia delle Entrate può avviare un accertamento vero e proprio
– Applicazione di sanzioni e interessi sugli importi ritenuti non dichiarati
– Iscrizione a ruolo del debito e possibile cartella esattoriale
– Maggiori controlli negli anni successivi sull’attività
– Nei casi più gravi, contestazioni per dichiarazione infedele o omessa
Cosa fare per difendersi da una lettera di compliance POS
– Far esaminare la comunicazione da un avvocato tributarista o un commercialista esperto in contenzioso fiscale
– Richiedere all’Agenzia delle Entrate il dettaglio delle transazioni POS contestate
– Dimostrare, con documenti e giustificativi, che alcune transazioni non costituiscono reddito imponibile (ad esempio rimborsi, caparre, movimentazioni personali)
– Presentare osservazioni e memorie difensive entro i termini indicati
– Se la differenza è effettivamente dovuta, valutare la regolarizzazione spontanea per ridurre le sanzioni
– Coordinare la gestione della risposta con eventuali altre pendenze fiscali per evitare nuovi accertamenti
Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale e fiscale
– L’annullamento totale o parziale delle somme contestate
– La riduzione di sanzioni e interessi in caso di regolarizzazione
– La chiusura del procedimento senza ulteriori accertamenti
– La tutela del patrimonio personale e aziendale da azioni esecutive future
– Il ripristino della correttezza fiscale evitando danni alla reputazione dell’attività
Attenzione: le lettere di compliance non sono solo un avviso “amichevole”, ma il primo passo verso un accertamento fiscale. Rispondere in modo superficiale o non rispondere affatto può portare a conseguenze molto più gravi. Un intervento tempestivo e mirato è fondamentale per difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, difesa del contribuente e tutela del patrimonio – ti spiega cosa fare se ricevi una lettera di compliance per presunti incassi POS non dichiarati, come proteggerti e come evitare accertamenti più pesanti.
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Introduzione
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate (AE) ha intensificato l’utilizzo delle “lettere di compliance” per segnalare ai contribuenti alcune anomalie fiscali, tra cui il caso – sempre più frequente – di incassi tramite POS non dichiarati. Queste comunicazioni preventive nascono dall’incrocio tra i dati dei pagamenti elettronici (carte di credito/debito) e i corrispettivi dichiarati (fatture elettroniche o scontrini telematici). In pratica, se l’AE rileva che l’ammontare totale delle transazioni giornaliere registrate dai terminali POS di un esercente supera quanto da lui certificato nei registratori di cassa telematici o nelle fatture, scatta una segnalazione di anomalia per possibili ricavi non dichiarati.
Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un’analisi approfondita delle lettere di compliance relative agli incassi POS, illustrando il quadro normativo italiano più recente, gli orientamenti giurisprudenziali, e fornendo consigli pratici dal punto di vista del contribuente destinatario (il “debitore” fiscale). Con un taglio giuridico divulgativo e un livello di approfondimento avanzato, affronteremo come funzionano queste comunicazioni, come reagire e difendersi in modo efficace, quali sono le sanzioni amministrative e i possibili profili penali collegati. Troverete inoltre esempi concreti, domande e risposte ai quesiti più comuni, tabelle riepilogative delle opzioni difensive e riferimenti a normative, prassi e sentenze aggiornate. L’obiettivo è fornire uno strumento utile tanto ai professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) quanto ai titolari di piccole imprese e ai privati che vogliano comprendere e gestire al meglio queste nuove forme di controllo fiscale preventivo.
1. Cosa sono le lettere di compliance sugli incassi POS non dichiarati
Le lettere di compliance sono comunicazioni inviate dall’Agenzia delle Entrate per invitare il contribuente a verificare e regolarizzare spontaneamente la propria posizione fiscale in presenza di anomalie riscontrate attraverso controlli automatizzati. Nel caso specifico degli incassi tramite POS non dichiarati, la lettera informa che per un dato periodo d’imposta (es. l’anno fiscale 2022 o 2023) risultano discrepanze tra gli importi dei pagamenti elettronici ricevuti e gli importi dichiarati nei corrispettivi/fatture. In sostanza, l’AE ha rilevato che in alcuni mesi le transazioni con carta o bancomat accreditate sul conto dell’esercente superano quanto quest’ultimo ha certificato attraverso scontrini o fatture. Tali scostamenti sono considerati indizi di possibili ricavi non contabilizzati, su cui il Fisco invita a fare chiarezza.
Le lettere di compliance non sono un atto impositivo formale (non costituiscono un avviso di accertamento né una contestazione immediata di violazione): si tratta invece di un alert preventivo. L’amministrazione finanziaria segnala l’anomalia e sollecita il contribuente a fornire spiegazioni o a correggere spontaneamente eventuali errori od omissioni. Questo approccio rientra nella strategia di “adempimento spontaneo” promossa dallo Statuto del Contribuente e potenziata negli ultimi anni: l’idea è di ridurre il tax gap incentivando i contribuenti a regolarizzare da sé situazioni a rischio, prima che scattino verifiche formali o sanzioni severe. Nel Documento di Economia e Finanza 2023, ad esempio, era stata anticipata l’introduzione di controlli incrociati su POS e corrispettivi proprio con questa finalità.
Come è strutturata la lettera? In genere, la comunicazione indica: (a) il periodo d’imposta di riferimento (ad es. anno 2022); (b) il numero di mensilità in cui è stata riscontrata una discordanza tra incassi elettronici e importi dichiarati; (c) l’ammontare complessivo di incassi presunti non dichiarati. La lettera spiega inoltre che, accedendo al proprio cassetto fiscale online, il contribuente può scaricare un prospetto di dettaglio con tutte le transazioni elettroniche giornaliere segnalate e un prospetto riepilogativo degli scostamenti mese per mese. In allegato o via link, viene fornito anche un fac-simile di risposta o le indicazioni per contattare l’ufficio competente. L’AE precisa infine che si tratta di una opportunità di confronto: chi riceve la lettera potrà chiarire la propria posizione o regolarizzarla, evitando così l’emissione di avvisi di accertamento futuri.
È importante sottolineare che l’anomalia segnalata è definita “presunta”. Ciò significa che la difformità è stata rilevata in via automatica e che potrebbero esistere spiegazioni legittime per tale scostamento. L’Agenzia, infatti, non accusa formalmente il contribuente di evasione in questa fase, ma gli dà modo di “dir la sua”. In altri termini, la lettera rappresenta un invito al contraddittorio anticipato: mette il contribuente a conoscenza dei dati in possesso del Fisco e lo invita a collaborare, prima di attivare qualsiasi procedimento sanzionatorio.
2. Come nascono queste segnalazioni: controlli incrociati e obblighi normativi
L’invio delle lettere di compliance sugli incassi POS è reso possibile da una serie di innovazioni normative e tecnologiche introdotte a partire dal 2019-2020, volte a tracciare le transazioni ed incrociare automaticamente i dati fiscali. Di seguito riepiloghiamo il quadro normativo di riferimento e il funzionamento del meccanismo di controllo incrociato.
- Obbligo di memorizzazione e invio dei corrispettivi telematici: dal 1° gennaio 2020 tutti i commercianti al minuto e soggetti assimilati devono utilizzare il registratore di cassa telematico per memorizzare e trasmettere all’AE i dati giornalieri dei corrispettivi. Ciò avviene per via telematica (server dell’Agenzia) ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 127/2015 e relative modifiche. In pratica, ogni scontrino fiscale emesso viene registrato elettronicamente e confluisce in un flusso dati giornaliero comunicato al Fisco. Questo sistema – equivalente alla fatturazione elettronica per le operazioni B2C – fornisce all’Amministrazione finanziaria la panoramica dei ricavi dichiarati giorno per giorno.
- Obbligo per gli operatori finanziari di comunicare i dati delle transazioni elettroniche: parallelamente, l’art. 22 del D.L. 124/2019 (conv. L. 157/2019) ha previsto che i prestatori di servizi di pagamento (banche, società che forniscono i POS) trasmettano mensilmente all’Agenzia delle Entrate le informazioni relative ai pagamenti elettronici accettati dagli esercenti. Questo obbligo, operativo dal 2020 e perfezionato con provvedimenti del Direttore AE nel 2022 e nel 2025, comporta che per ciascun terminale POS vengano comunicati al Fisco: il codice fiscale dell’operatore e dell’esercente, l’identificativo del contratto POS, l’identificativo univoco del terminale, la tipologia di operazione (pagamento o storno), la data contabile e l’importo complessivo giornaliero delle transazioni effettuate. Tali dati vengono inviati telematicamente all’Agenzia (inizialmente via infrastruttura PagoPA, poi direttamente via Sistema di Interscambio flussi) entro la fine del mese successivo a quello di riferimento. In sintesi: l’AE riceve dalle banche l’ammontare totale dei pagamenti elettronici incassati da ciascun esercente, suddiviso per giorni.
- Incrocio dei dati POS vs corrispettivi: combinando queste due fonti informative – corrispettivi giornalieri da registratori di cassa e transazioni giornaliere da POS – l’Agenzia può verificare automaticamente se, per ogni contribuente, l’ammontare dichiarato (scontrini/fatture) copre o meno tutti i pagamenti elettronici ricevuti. Se dai POS risultano più incassi di quelli certificati, c’è un’evidente incoerenza che suggerisce mancata emissione di scontrini per alcune vendite. Viceversa, se tutto funziona correttamente, gli importi dovrebbero corrispondere (salvo lievi differenze per arrotondamenti o tempistiche di accredito).
- Presupposti legali per l’accertamento induttivo: va ricordato che il nostro ordinamento tributario già prevedeva, da tempo, strumenti per accertare redditi non dichiarati in base a presunzioni semplici tratte da dati finanziari. Ad esempio, l’art. 39, comma 1, lett. d) del DPR 600/1973 consente all’ufficio di determinare maggiori ricavi d’impresa quando le scritture contabili risultano incomplete o inattendibili, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. Inoltre, l’art. 32 del DPR 600/1973 stabilisce che i movimenti bancari non giustificati si presumono ricavi occulti (salvo prova contraria del contribuente). Ebbene, la giurisprudenza ha equiparato i dati POS ai movimenti bancari come indizio di ricavi: la Corte di Cassazione ha affermato in più occasioni che la discordanza tra incassi da carte/POS e ricavi dichiarati “integra senz’altro una presunzione (legale) di maggiori ricavi” in capo al contribuente, analoga a quella derivante da versamenti bancari non giustificati. Citando una decisione seminale, Cass. 13494/2015, la Cassazione ha statuito che dati i poteri di accertamento analitico-induttivo ex art. 39 DPR 600/73, “l’inesattezza degli elementi dichiarati può derivare dalla non veridicità delle registrazioni contabili, desumibile anche da altri documenti relativi all’impresa”, e nel caso specifico “la discordanza tra le somme riscosse tramite carta di credito/POS e i ricavi dichiarati dalla società integra una presunzione legale di maggiori ricavi”, salvo onere del contribuente di provare una diversa destinazione di quegli accrediti. Questo orientamento, ormai consolidato, costituisce il fondamento logico-giuridico su cui l’AE basa le proprie segnalazioni: i pagamenti elettronici in eccesso rispetto agli scontrini sono un fatto noto e oggettivo che fa presumere vendite non fatturate.
In sintesi, le lettere di compliance POS sono rese possibili da un sistema integrato di tracciamento dei pagamenti elettronici e dei corrispettivi, introdotto dal legislatore negli ultimi anni. L’AE sfrutta tali banche dati incrociate per far emergere possibili sacche di evasione “tecnologica” (vendite in nero nonostante l’uso del POS). Questa forma di controllo – inserita in una cornice di collaborazione col contribuente – mira a colmare il tax gap nel settore del commercio e dei servizi, dove la diffusione dei pagamenti digitali rende sempre più difficile nascondere i ricavi. Del resto, anche su impulso del PNRR e degli impegni con l’UE, l’Italia ha adottato misure stringenti per aumentare la trasparenza fiscale: dalle fatture elettroniche obbligatorie agli scontrini telematici, fino alla condivisione di dati sui pagamenti (si pensi anche alla DAC7 europea per le piattaforme digitali). Le lettere di compliance rientrano proprio in questo quadro di innovazione digitale anti-evasione.
3. Il “flop” iniziale (2023) e il successivo invio mirato delle lettere
Prima di esaminare come difendersi, è utile ripercorrere brevemente la storia recente di queste comunicazioni, perché la vicenda spiega alcuni accorgimenti adottati dall’Agenzia e possibili errori nei dati da tenere presenti. L’AE ha cominciato ad inviare le lettere di compliance sugli incassi POS presumibilmente non dichiarati per la prima volta nell’autunno 2023, con riferimento all’anno d’imposta 2022. Tuttavia, questa prima ondata di comunicazioni si è rivelata problematica: molti contribuenti e consulenti si sono trovati di fronte a segnalazioni di importi del tutto irrealistici o doppi rispetto alla realtà.
In particolare, con il Provvedimento n. 352652 del 3/10/2023 l’Agenzia delle Entrate aveva dato il via all’invio massivo di migliaia di lettere, ma ben presto sono emersi errori macroscopici nei calcoli e nei prospetti allegati. In alcuni casi, gli importi di incassi POS risultavano addirittura duplicati o triplicati rispetto a quelli effettivi realizzati dal contribuente. Ciò significa che, a causa di un malfunzionamento nel flusso di dati, la stessa transazione o lo stesso importo erano stati conteggiati più volte. Ad esempio, certi esercenti si sono visti contestare incassi presunti doppi con lo stesso importo e nella stessa data – un evento statisticamente assurdo – segno che il dato era stato trasmesso due volte dall’operatore finanziario. È emerso infatti che alcuni gestori dei circuiti di moneta elettronica avevano trasmesso dati errati all’Agenzia, generando anomalie inesistenti.
Di fronte a questa situazione, l’AE è dovuta correre ai ripari: ha chiesto scusa pubblicamente e ha annullato in autotutela le lettere di compliance inviate ad ottobre 2023 relative all’anno 2022, invitando i contribuenti a non tenerne conto. Con un comunicato stampa dell’11/10/2023, l’Agenzia ha riconosciuto gli errori dovuti ad “inesattezze commesse da alcuni operatori finanziari in fase di invio dei dati” e ha proceduto a bloccare e stornare quelle comunicazioni.
Successivamente, l’Amministrazione ha lavorato per migliorare la qualità dei dati e ripetere il controllo in maniera più accurata. È stato avviato un “confronto tecnico continuo con gli operatori finanziari” per affinare le procedure ed evitare il ripetersi degli errori. Dopo aver “scremato” i dati manifestamente errati (quelli duplicati/triplicati) relativi al 2022, l’AE ha riaggiustato il tiro: a partire da luglio 2024 ha riemesso le segnalazioni per l’anno d’imposta 2022 in modo non più massivo, ma mirato ai soli soggetti selezionati che, una volta ripuliti i dataset, risultavano ancora presentare uno scostamento significativo tra dichiarato e incassato. In pratica, invece di inviare migliaia di lettere “al buio”, l’Agenzia ha preferito concentrarsi su posizioni filtrate con dati affidabili. Ciò ha ridotto il rischio di falsi positivi e inutili allarmismi.
Parallelamente, l’Agenzia ha annunciato che avrebbe esteso la compliance anche all’anno d’imposta 2023, ma solo dopo aver consolidato la metodologia. In un comunicato di settembre 2024 si parla di “compliance potenziata” per il 2023: le nuove lettere saranno inviate solo dopo un’approfondita analisi dei dati, resa più efficiente dal dialogo costante con gli operatori finanziari. L’esperienza del 2022 ha insegnato dunque a procedere con maggiore prudenza.
È importante che i contribuenti sappiano di questo precedente: se ricevete una lettera di compliance POS, specie nel periodo 2024-2025, è probabile che i dati siano già stati verificati due volte dall’Agenzia. Gli errori clamorosi del 2023 dovrebbero essere stati corretti e non dovrebbero più ripetersi su larga scala. Inoltre, a seguito di quella vicenda, il legislatore ha anche rafforzato gli obblighi per gli operatori finanziari: il D.L. 39/2024 ha introdotto sanzioni specifiche (fino a 21.000 euro) per le banche o provider di pagamento che omettono o sbagliano l’invio dei dati sulle transazioni. Questo nuovo meccanismo sanzionatorio mira a responsabilizzare gli intermediari e assicurare che l’Agenzia disponga di informazioni corrette e tempestive. In altri termini, oggi le banche rischiano multe salate se non trasmettono i dati POS esatti, quindi è nel loro interesse evitare duplicazioni o omissioni. Per il contribuente, ciò significa meno probabilità di ricevere una segnalazione infondata. Tuttavia, come vedremo oltre, permangono possibili cause di disallineamento (legate per esempio a tempistiche o situazioni particolari) che possono dare origine a scostamenti pur in presenza di dati formalmente corretti. È quindi fondamentale analizzare nel merito ogni segnalazione ricevuta.
4. Come comportarsi se si riceve una lettera di compliance POS
Passiamo ora al cuore della questione: dal punto di vista pratico, cosa deve fare un contribuente che riceve una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per presunti incassi tramite POS non dichiarati? Di seguito indichiamo i passi consigliati, distinguendo i vari scenari possibili (dati errati, dati corretti con giustificazione, effettiva omissione di ricavi). L’obiettivo è difendersi in modo efficace, evitando sia di subire accertamenti ingiustificati, sia – nel caso di irregolarità reali – di aggravare la propria posizione tardando nella regolarizzazione.
a) Mantenere la calma e prendere atto della segnalazione: Anzitutto, leggere con attenzione la comunicazione. Essa conterrà un riassunto dell’anomalia (es: “Per l’anno 2022 risultano incassi elettronici per €150.000 a fronte di corrispettivi dichiarati per €100.000, con possibili ricavi non dichiarati pari a €50.000”) e le indicazioni su come procedere. È importante non farsi prendere dal panico: come detto, non è una multa immediata né una condanna, ma un invito a verificare. Ignorare la lettera non farà sparire il problema – anzi, come vedremo, un comportamento passivo porterà quasi certamente a un controllo formale o un accertamento d’ufficio – tuttavia c’è spazio per chiarire. Quindi, niente panico: prendete nota dei dati segnalati e passate alle fasi successive di analisi.
b) Accedere al dettaglio dei dati (cassetto fiscale): Utilizzate le credenziali SPID, CNS o Entratel per accedere al vostro Cassetto Fiscale sul portale dell’Agenzia delle Entrate. Nella sezione “Compliance” o in allegato alla lettera, dovreste trovare il prospetto dettagliato delle transazioni POS contestate. Qui potrete vedere, tipicamente per ciascun mese o giorno, l’importo aggregato dei pagamenti elettronici segnalati dall’operatore finanziario e l’importo dei corrispettivi registrati (fatture o scontrini) risultanti all’AE. Viene evidenziata la differenza. Scaricate questi prospetti (PDF o Excel) perché saranno la base per capire da dove nasce lo scostamento. Talvolta sono indicate anche informazioni aggiuntive, come l’ID del terminale POS o il numero di transazioni effettuate in un dato giorno. Questi dettagli possono aiutare a collegare le voci a specifiche giornate o casse.
c) Confrontare i dati con la propria contabilità e documentazione: Questo è il passaggio cruciale: dovete ricostruire la vostra versione dei fatti e capire se l’anomalia segnalata corrisponde a un effettivo mancato adempimento oppure se esistono cause giustificative. In pratica, bisogna affiancare i dati AE con i propri: registri dei corrispettivi, libro giornale (se contabilità ordinaria), estratti conto bancari con gli accrediti POS, eventuali report del sistema POS in vostro possesso, copia di scontrini/fatture. Procedete in questo modo:
- Verificate mese per mese quali sono i periodi con scostamento. Ad esempio, la lettera indica “scostamento a gennaio, marzo, settembre 2022”. Concentratevi su quei mesi. Può essere utile fare una tabella riassuntiva con tre colonne: Data, Incassi POS (da banca), Corrispettivi dichiarati (da registratore).
- Identificate eventuali “disallineamenti temporali”: Un primo motivo di scostamento potrebbe essere legato alle tempistiche di contabilizzazione. I prospetti AE potrebbero considerare gli incassi secondo la data contabile comunicata dalla banca, che spesso coincide col giorno di accredito sul conto (quando l’acquirer versa le transazioni cumulate). Può accadere che un pagamento effettuato dal cliente il 31 di un mese venga accreditato il 1° del mese successivo, creando un’apparente eccedenza in quest’ultimo. Verificate se alcune transazioni a cavallo di fine mese possano spiegare parte dello scostamento. Se ad esempio avete chiuso l’incasso POS del 31 luglio insieme a quello di agosto 1, potreste avere in agosto un totale POS leggermente superiore ai corrispettivi (che includevano solo le vendite di agosto). Sono dettagli, ma vanno controllati.
- Casi di pagamenti cumulativi: I dati bancari dei POS spesso compaiono come accrediti cumulativi, soprattutto se avete più transazioni al giorno. Ad esempio, il 15 giugno potreste vedere un unico accredito di €1.000 che aggrega 20 transazioni da 50€ ciascuna. Verificate se per caso un singolo accredito raggruppa vendite di più giorni (nel weekend alcune banche accreditano lunedì) o vendite e storni insieme. In pratica, l’estratto conto riporta importi finali che non sempre corrispondono one-to-one a uno scontrino. Questo non dovrebbe creare differenze se tutto è registrato, ma rende più complessa la riconciliazione manuale. In caso di contestazione formale, però, sarà importante spiegare eventuali disallineamenti dovuti a queste aggregazioni tecniche.
- Pagamenti elettronici tracciati ma non fiscalizzati: Qui entriamo nelle possibili cause sostanziali di discrepanza. Domandatevi: esistono incassi con carte per cui non ho emesso lo scontrino fiscale o la fattura? Se la risposta è sì, allora la segnalazione del Fisco è fondata: avete effettivamente omesso di certificare dei corrispettivi nonostante abbiate incassato denaro via POS. I motivi possono essere vari: una distrazione, un malfunzionamento del registratore di cassa, oppure – nei casi più gravi – una deliberata scelta di non battere alcuni scontrini confidando nella difficoltà di controllo. Ad esempio, alcuni commercianti poco onesti emettevano scontrini “di cortesia” non fiscali anche per pagamenti carta, oppure utilizzavano due POS (uno ufficiale e uno “in nero”). Se riconoscete che parte dell’incasso elettronico non è stata registrata, conviene ammetterlo a sé stessi e passare alla regolarizzazione (vedi punto d). Ricordate che l’Agenzia può già presumere il mancato scontrino come prova di maggiori ricavi, e l’onere di smentire ricade su di voi. Negare l’evidenza non gioverà in sede di eventuale accertamento.
- Incassi tramite POS di terzi o piattaforme: Una casistica particolare: potreste aver incassato somme attraverso un POS non direttamente intestato a voi, ad esempio tramite piattaforme di delivery food o marketplace digitali. Pensiamo a un ristorante affiliato a un servizio di consegne: il rider presenta un POS della piattaforma per far pagare il cliente, e poi la piattaforma riversa al ristorante l’incasso (magari al netto di commissioni). In questi casi, l’accredito bancario potrebbe risultare come pagamento POS ma formalmente l’operazione fiscale è documentata diversamente (talvolta la piattaforma emette fattura per le commissioni e il ristorante dovrebbe emettere ricevuta per il cliente finale). Verificate se parte degli importi contestati derivino da canali di incasso indiretti. Se sì, preparate la documentazione: rendiconti della piattaforma, eventuali fatture emesse, e spiegate che quei volumi non andavano certificati dal vostro registratore perché già trattati diversamente. Ad esempio, la piattaforma potrebbe aver inviato al Fisco i dati di quei pagamenti (in quanto soggetto obbligato DAC7 o simili). Questo aspetto è sottile, ma può succedere che l’AE veda in banca un “incasso SumUp/UberEats” e lo consideri vendita non scontrinata, mentre in realtà il documento fiscale c’è (sebbene in altro modo). Dovrete segnalare questi elementi all’Agenzia, perché non può saperli di default.
- Transazioni annullate o rimborsate: Un’altra causa che può generare scostamenti: i rimborsi su carta o gli storni. Ad esempio, un cliente paga €500 con carta per un bene, voi registrate lo scontrino, ma il giorno dopo rende la merce e lo rimborsate stornando il pagamento sulla carta. Nei dati comunicati potrebbe risultare un pagamento di €500 e poi uno storno di €500 (a seconda di come vengono riportati). Se il sistema non compensa correttamente, l’AE potrebbe vedere €500 incassati ma non trovare vendite corrispondenti (perché poi avete stornato lo scontrino con nota di credito). Individuate eventuali storni: se presenti, dovete evidenziarli. Fortunatamente i nuovi tracciati dati dal 2025 prevedono che gli operatori segnalino anche la tipologia di operazione (pagamento o storno), ma per gli anni passati magari non era chiaro. Munitevi delle ricevute di storno e delle note di accredito corrispondenti, in modo da dimostrare che quelle transazioni non costituivano ricavi effettivi.
- Differenze dovute a errori tecnici (doppie transazioni): Come accennato, a volte i POS possono registrare un doppio pagamento per errore, ad esempio quando il terminale dà un messaggio di transazione rifiutata e si riprova, ma poi entrambi gli addebiti compaiono sul conto (con successivo riaccredito di uno). Chi usa spesso i POS sa che può succedere; in tali casi, potreste avere conteggiato correttamente un solo incasso, ma la banca inizialmente ne ha registrati due. Se avete documentazione (estratto conto con accredito e successivo storno, segnalazioni di chargeback, ecc.), preparatela. Sarà fondamentale anche l’appoggio della banca: potete chiedere al vostro istituto un attestato o report ufficiale che certifichi che determinati importi non erano incassi effettivi ma errori tecnici poi stornati.
Dopo aver svolto questa analisi interna, sarete in grado di categorizzare la situazione in uno dei seguenti scenari: (1) la segnalazione è infondata o esagerata perché basata su dati errati (doppie contabilizzazioni, etc.); (2) c’è uno scostamento ma giustificabile con elementi oggettivi (storni, pagamenti di gruppo, POS di terzi, timing); (3) effettivamente avete omesso di battere scontrini per alcuni pagamenti elettronici, quindi la segnalazione è sostanzialmente corretta. A seconda dello scenario, l’approccio difensivo sarà diverso.
d) Dialogare con l’Agenzia: fornire spiegazioni e documentazione (scenario 1 e 2): Se ritenete di avere elementi validi per giustificare la discordanza (errori di terzi, particolarità nelle operazioni), non aspettate passivamente. L’Agenzia stessa, nel Provvedimento attuativo 352652/2023, incoraggia i contribuenti a richiedere informazioni o segnalare elementi e circostanze non conosciuti dall’ufficio per evitare poi l’accertamento. Potete dunque attivarvi così:
- Contattare l’ufficio competente: Nella lettera dovrebbe essere indicato un riferimento (email PEC o un servizio online dedicato, oppure un numero di telefono) per interloquire con l’Agenzia. Spesso si può rispondere tramite il canale CIVIS (il servizio di assistenza online) allegando documenti, oppure fissare un appuntamento presso l’ufficio territoriale. Alcune Direzioni Provinciali hanno email dedicate per le compliance. Scrivete una comunicazione formale, meglio se a mezzo PEC, in cui richiamate la lettera ricevuta (con protocollo e data) e fornite le vostre controdeduzioni.
- Spiegare in modo chiaro e sintetico: Nella risposta, indicate per ciascun elemento di anomalia la spiegazione: ad es. “Nel mese di marzo 2022 risultano €5.000 non dichiarati, in realtà tali importi si riferiscono a transazioni avvenute il 28-31/02 e accreditate i primi di marzo, ma regolarmente scontrinate a febbraio; si allega prospetto di riconciliazione”. Oppure: “Dei €50.000 contestati, €30.000 provengono dal POS della società XY (piattaforma online) come da estratto conto allegato; tali vendite sono state fatturate dalla piattaforma e il relativo imponibile dichiarato come ricavo da provvigioni”. L’importante è mettere l’AE in condizione di capire perché i suoi numeri non collimano con i vostri, senza giri di parole. Se avete identificato un errore palese nei dati (doppio conteggio), evidenziatelo subito: “Come si nota dal prospetto AE allegato, in data 10/07 vi sono due accrediti identici di €123,45: si tratta evidentemente di un duplicato. L’incasso reale era uno solo di €123,45 (corrispondente allo scontrino n. 35 del 10/07). Allego estratto conto bancario e copia scontrino.”.
- Allegare la documentazione probatoria: Alle vostre spiegazioni, allegate tutta la documentazione utile: copie di estratti conto con evidenziati gli accrediti in questione, copie di scontrini fiscali, ricevute di annullo, report di terzi, ecc. È consigliabile redigere anche un prospetto di riconciliazione fatto da voi: ad esempio un file Excel dove per ogni giorno contestato elencate le transazioni carta e le abbinate ai documenti fiscali corrispondenti, evidenziando quelle che sono state già fiscalizzate. Più la documentazione è chiara, maggiori le chances che l’ufficio accolga le vostre giustificazioni senza procedere oltre. Tenete conto che l’AE dispone anch’essa dei vostri dati di corrispettivi: se voi indicate, per dire, che “il pagamento X del POS era riferito a scontrino n.5 del 02/03 da 100€”, l’ufficio potrà verificare nel suo sistema se lo scontrino n.5 del 02/03 esiste per 100€. Se tutto combacia, la spiegazione sarà credibile.
- Tempestività e follow-up: Idealmente, inviate le vostre spiegazioni prima possibile, comunque entro il termine indicato nella lettera (spesso 30 giorni). L’Agenzia potrebbe aver fissato una sorta di deadline entro cui attendono riscontri prima di passare al passo successivo. Se non ricevete conferma di ricezione, potete contattare l’ufficio telefonicamente per assicurarsi che la vostra risposta sia arrivata e in lavorazione. Conservate ricevute di invio PEC o protocolli.
L’obiettivo di questo dialogo è evitare che la lettera si trasformi in un vero e proprio atto impositivo. Infatti, come avverte la stampa specializzata, un silenzio del contribuente “porterà inevitabilmente a trasformare la lettera di compliance in un avviso di controllo formale ai sensi del DPR 600/73”, cioè in un controllo ex post sui dati dichiarativi, preludio di un accertamento. Invece, presentando elementi giustificativi, se questi risultano fondati, l’Agenzia potrebbe archiviare la segnalazione o comunque sospendere l’emissione di accertamenti. In gergo, questa è una forma di contraddittorio preventivo: l’ufficio valuta le vostre controdeduzioni e, se le ritiene valide, desiste (magari inviandovi una comunicazione di riscontro che tutto è chiarito, o semplicemente non facendo seguire ulteriori atti). Nel dubbio, potete anche chiedere espressamente una risposta: “Resto a disposizione per eventuali chiarimenti e chiedo, ove possibile, di essere informato qualora la mia posizione venga ritenuta regolare a seguito della presente documentazione”. Non è un obbligo per loro rispondervi formalmente, ma spesso, in caso di esito positivo, lo fanno (ad esempio, con una breve lettera che comunica che la posizione è stata regolarizzata o che la segnalazione è stata annullata).
e) Regolarizzare la propria posizione con ravvedimento operoso (scenario 3): Se dalla vostra analisi emerge che effettivamente avete omesso di dichiarare dei ricavi corrispondenti a transazioni elettroniche, la scelta più saggia e conveniente è procedere a una rapida regolarizzazione tramite ravvedimento operoso. In altre parole, prima che il Fisco passi alle maniere forti (accertamento e sanzioni piene), potete autodenunciarvi e versare il dovuto con sanzioni ridotte. Questa opzione è espressamente prevista e incoraggiata dall’Agenzia nelle lettere di compliance: viene ricordato che il contribuente può “regolarizzare la propria posizione secondo le modalità previste dall’articolo 13 del D.Lgs. 472/1997, beneficiando della riduzione delle sanzioni”. Dunque, l’aver ricevuto una lettera di compliance NON preclude il ravvedimento – a differenza del caso in cui fosse già stato notificato un processo verbale di constatazione da parte della Guardia di Finanza, evento dopo il quale il ravvedimento è inibito. La lettera non è considerata formale inizio di un’attività di verifica, quindi siete ancora in tempo per il pentimento operoso.
In cosa consiste, concretamente, il ravvedimento in questo contesto? Si tratta di presentare una dichiarazione integrativa per l’anno d’imposta interessato, includendo i maggiori ricavi non dichiarati, e versare le relative imposte (IVA, Irpef/Ires, Irap se dovute) con i relativi interessi e le sanzioni ridotte in misura proporzionale al tempo trascorso dalla violazione. Facciamo un esempio: avete omesso €50.000 di ricavi nel 2022, corrispondenti a ~€11.000 di IVA e a (supponiamo) €13.000 di maggior Irpef. La violazione consiste in dichiarazione infedele (art. 1 D.Lgs. 471/1997 per l’IVA e art. 5 D.Lgs. 471/1997 per le imposte dirette). La sanzione base per infedele dichiarazione è generalmente il 90% dell’imposta evasa. Nel nostro esempio: 90% di €11.000 (IVA) = €9.900, 90% di €13.000 (Irpef) = €11.700, totale sanzioni base €21.600. Tuttavia, queste sanzioni beneficiano del ravvedimento: la riduzione dipende quando ravvedete. Se fate tutto nel 2024 (entro due anni dall’omissione del 2022), si applica 1/7 del minimo; se fosse entro un anno, 1/8, entro 90 gg 1/9, etc. Dunque, ipotizzando ravvedimento nel 2024 su 2022, paghereste 1/7 delle sanzioni: nel nostro esempio circa €3.085 invece di €21.600, un risparmio enorme. Più ovviamente il pagamento integrale delle imposte (€24.000) e interessi (calcolati al tasso legale sul ritardato versamento). In sintesi: il ravvedimento vi permette di mettervi in regola pagando molto meno sanzioni.
Vediamo il procedimento passo passo:
- Calcolo dei maggiori imponibili e imposte: se non siete pratici, fatevi assistere da un commercialista. Occorre determinare quanti ricavi non sono stati dichiarati in ogni anno e ricalcolare le imposte dovute su di essi. Solitamente questi ricavi sommersi vanno ad aggiungersi al reddito d’impresa o di lavoro autonomo del contribuente per quell’anno, con aliquote marginali relative. Parallelamente, va calcolata l’IVA dovuta su quei corrispettivi (che se erano operazioni al dettaglio, sarà al 22% salvo aliquote ridotte per beni particolari).
- Presentazione della dichiarazione integrativa: si compila un modello “Redditi integrativo” per l’anno in questione, indicando i maggiori imponibili e le maggiori imposte dovute. La dichiarazione integrativa può essere presentata entro i termini di decadenza dell’accertamento (oggi entro il 5° anno successivo), quindi siete certamente in tempo per il 2022 e 2023. Nella dichiarazione va barrata l’apposita casella di integrativa a favore del fisco.
- Versamento spontaneo di imposte, sanzioni e interessi: contestualmente, dovete versare il dovuto tramite modello F24. Si utilizzano i codici tributo delle imposte (“telefono” per IVA etc.) e il codice tributo 8904 per le sanzioni da ravvedimento relative a infedele dichiarazione IVA, 8905 per imposte dirette, più il codice 1991 o analoghi per gli interessi. Le sanzioni vanno calcolate al minimo edotte dalla riduzione ravvedimento: tipicamente il 90% ridotto a 1/7 = 12.86% dell’imposta evasa (oppure 90% a 1/8 = 11.25% se ravvedete entro un anno, etc.). Nota: in materia di corrispettivi non certificati, oltre alle sanzioni da infedele dichiarazione si applicano anche quelle per violazione degli obblighi di certificazione (art. 6 D.Lgs. 471/97). Questa prevede, per ogni mancato scontrino, una sanzione del 100% dell’IVA corrispondente con un minimo di €500 a documento. Ciò significa che, anche se l’importo evaso era piccolissimo (es. un caffè da 1€ con IVA 0,10€), la sanzione minima è comunque 500€. Nel vostro ravvedimento dovrete considerare anche questo aspetto formale: di fatto, ravvedersi per i corrispettivi omessi implica sanare sia le imposte evase sia le sanzioni sui singoli mancati scontrini. Fortunatamente, anche queste sanzioni fisse beneficiano di riduzione: ad esempio, €500 ridotto a 1/7 = circa €71 per ciascun scontrino omesso (violazione 2022 ravveduta nel 2024). Se gli importi omessi erano più alti del minimo, si prende il 100% dell’imposta relativa. Il calcolo esatto può farsi scontrino per scontrino, ma spesso si ragiona per masse (soprattutto se non si conosce il numero di documenti, conviene comunque regolarizzare almeno in base al minimo per prevenire guai).
- Esempio pratico di calcolo sanzioni: Ipotizziamo 10 operazioni non scontrinate, ciascuna di importo medio €100+IVA22 (€22 di IVA l’una). La sanzione formale sarebbe 100% dell’IVA: €22 per ciascuna, ma essendo inferiore a €500, scatta il minimo €500 per ognuna. Totale €5.000. Ravvedendo entro 2 anni, si riduce a 1/7 = circa €714 totale (71,4 * 10). Oltre a ciò, la sanzione da infedele dichiarazione sui €1.000 di IVA evasa totali (90% = 900, ridotta a 1/7 = ~€129) e sull’eventuale Irpef evasa. Come si vede, le sanzioni ravvedute risultano ben inferiori a quelle piene. Attenzione: se gli importi omessi sono molto numerosi ma di piccolo importo, questo meccanismo del “minimo 500€” può produrre una sanzione teorica enorme (esempio in letteratura: 5 caffè da 1€ non scontrinati -> IVA evasa €0,50, sanzione base sarebbe €0,45 ma minimo 500€ ciascuno -> €2.500). Il ravvedimento in tali casi salva perché riduce sensibilmente, ma resta comunque oneroso su tanti episodi. È una ragione in più per non incorrere in violazioni reiterate.
In ogni caso, effettuato il ravvedimento, andrete a comunicare all’Agenzia di aver regolarizzato. Potete farlo rispondendo alla lettera: ad esempio “Ho riscontrato la correttezza dei dati segnalati. In data XX/XX/2024 ho presentato dichiarazione integrativa per il 2022 e versato quanto dovuto (F24 quietanzato allegato) ai sensi dell’art.13 D.Lgs.472/97, sanando così l’omissione”. A quel punto, la vostra posizione dovrebbe considerarsi sistemata sotto il profilo amministrativo, e l’Agenzia non emetterà alcun avviso di accertamento perché avete già pagato spontaneamente. Beneficerete di sanzioni ridotte e eviterete ulteriori conseguenze.
Vale la pena notare che questa procedura di ravvedimento è ammessa anche se la lettera è già arrivata, come confermato dalla stessa AE e dagli esperti. L’unico caso in cui il ravvedimento sarebbe precluso è se foste stati già oggetto di verifica fiscale con constatazione formale della violazione (PVC della Guardia di Finanza, ad esempio). Ma ricevere una lettera di compliance non equivale affatto ad un PVC: siete ancora in tempo per il pentimento operoso. Persino nel caso in cui l’Agenzia avesse già avviato un “controllo formale” (ex art.36-ter DPR 600/73) a seguito di mancata risposta, finché non arriva un avviso bonario con esito di quel controllo, si può ravvedere.
f) Conseguenze della mancata risposta o mancata regolarizzazione: Cosa accade se ignorate la lettera di compliance, oppure se rispondete ma le vostre giustificazioni non convincono l’ufficio e non fate alcun ravvedimento? In tal caso, purtroppo, l’epilogo sarà quasi certamente l’avvio di un accertamento fiscale vero e proprio a vostro carico. L’Agenzia, come detto, considera il silenzio come mancanza di collaborazione e prosegue d’ufficio: la lettera di compliance diventerà un avviso di accertamento o, in prima battuta, un invito al contraddittorio pre-accertamento (nelle procedure che lo prevedono). Va segnalato che l’AE negli ultimi documenti di programmazione ha esplicitamente avvertito che terrà d’occhio chi non risponde alle lettere di compliance e anzi intensificherà i controlli su costoro: nella direttiva sui controlli 2025 il vicedirettore AE ha scritto che sarà monitorata “la corretta valorizzazione delle posizioni di contribuenti che, pur avendo ricevuto una comunicazione di stimolo della compliance, non si sono attivati per giustificare l’anomalia e non hanno utilizzato il ravvedimento operoso”. In altre parole, i “disobbedienti” saranno nel mirino per accertamenti.
Una volta scattato l’accertamento, la posizione del contribuente si complica notevolmente. L’ufficio a quel punto contesterà ufficialmente i maggiori ricavi presunti, emettendo un atto (avviso di accertamento) con cui richiederà le imposte evase più le sanzioni piene e interessi. È molto probabile che utilizzi la metodologia analitico-induttiva basata sulle presunzioni sopra descritte: ossia, dichiara inattendibili le scritture contabili nella parte in cui non registrano quegli incassi elettronici e determina un maggior reddito pari agli importi non giustificati. Dal punto di vista probatorio, come visto, la Cassazione considera legittimo tale accertamento e ritiene che il Fisco assolva il suo onere probatorio semplicemente producendo i dati dei pagamenti POS e evidenziando la discordanza. Si forma dunque una presunzione legale relativa di evasione, che il contribuente può vincere solo fornendo prova contraria concreta. Se non l’ha fatto prima, dovrà farlo ora in sede di contraddittorio o contenzioso.
g) Strategie difensive in sede di accertamento o contenzioso: Se siete arrivati a questo stadio (mancata compliance spontanea), le strade sono due: cercare un accordo bonario con l’ufficio oppure prepararsi al ricorso tributario presso la Commissione Tributaria. Prima dell’avviso, potreste essere convocati per un contraddittorio preventivo (specie se il vostro caso rientra tra quelli per cui è obbligatorio, ad esempio accertamenti basati su indagini finanziarie ex art. 32 DPR 600 o in ambito IVA). In tale sede, dovrete giocare le vostre carte difensive: presentare finalmente quelle spiegazioni e documenti che eventualmente possano far rivedere le pretese dell’AE. Tenete conto però che, se non lo avete fatto prima, ora l’atteggiamento dell’ufficio potrebbe essere più “rigido”. Potrebbero concedervi riduzioni sanzioni tramite accertamento con adesione se riconoscete le maggiori imposte, ma difficilmente annulleranno tutto senza un motivo oggettivo forte.
Nel caso in cui riteniate che l’accertamento sia infondato (ad esempio, perché davvero i dati pos erano sbagliati ma non siete riusciti a farlo capire prima, o perché l’AE non ha considerato adeguatamente le vostre spiegazioni), potete presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento. In giudizio, la vostra linea difensiva dovrà puntare su ciò che scardina la presunzione dell’ufficio. Ad esempio:
- Dimostrare, con documenti, che quegli incassi elettronici erano stati comunque dichiarati sotto altra forma (es: ricavi già inclusi ma magari con diversa allocazione temporale, oppure incassi di terzi come detto).
- Oppure provare che non si trattava di corrispettivi imponibili: casi limite potrebbero essere versamenti che sembrano pagamenti ma erano finanziamenti soci, o movimenti interni erroneamente passati sul POS (ci sono stati casi di imprenditori che si auto-addebitavano sul POS per trasferire fondi… pratica anomala e rischiosa, ma in teoria esistente). Se potete provare che quell’accredito POS non era una vendita ma qualcos’altro di non tassabile, è una difesa.
- Fornire riscontri tecnici di errori di contabilizzazione: per esempio perizie informatiche sul malfunzionamento del POS, corrispondenza col provider di pagamento che ammette un errore tecnico, ecc.
- Sottolineare eventuali incongruenze procedurali dell’AE: ad esempio, se l’Agenzia ha utilizzato i dati dei conti bancari senza autorizzazione o non ha rispettato i termini di contraddittorio (anche se su questo è difficile prevalere, data la legittimità del metodo).
Nella pratica, la giurisprudenza di merito (CTR/CTP) non è monolitica: in passato alcune Commissioni hanno dato ragione ai contribuenti in casi particolari, specie quando le differenze erano minime o c’erano spiegazioni ragionevoli che l’ufficio aveva ignorato. Ad esempio, nella vicenda poi finita in Cassazione 2015, la CTR Toscana inizialmente annullò l’accertamento ritenendo che il Fisco non avesse assolto all’onere della prova, giudicando irrilevante la presunzione di maggiori ricavi basata solo sulle operazioni carta di credito. Tale pronuncia fu poi cassata dalla Suprema Corte, ma indica che nelle fasi di merito ci può essere spazio per convincere i giudici soprattutto se le somme contestate sono piccole e l’evasione ipotizzata appare illogica (es: differenze di pochi euro dovute a sconti non riportati sullo scontrino). A tal proposito, Cass. 26322/2020 ha confermato che anche modeste discrepanze (nel caso di specie appena €1,50 totale su più scontrini con differenza 0,50€ ciascuno) costituiscono violazione e, se ripetute, giustificano sanzioni accessorie. Quindi appellarsi alla tenuità potrebbe non bastare, ma in sede di merito qualche giudice potrebbe applicare il principio del “3%” di infedeltà non punibile con sanzione (art. 6, co.5-bis, D.Lgs. 472/97, riduzione 1/3 se differenze sotto 3% del dichiarato e <€30.000).
In definitiva, arrivare al contenzioso su questo tipo di accertamenti significa trovarsi in posizione non semplice: la presunzione del Fisco è robusta e consolidata giurisprudenzialmente. Per vincere, dovrete presentare elementi davvero convincenti o sfruttare eventuali errori formali dell’accertamento. Il consiglio è di giocare d’anticipo, sfruttando la fase di compliance per evitare di giungere allo scontro giudiziario.
h) Ravvedimento operoso “rafforzato” post-accertamento: Una nota: se siete arrivati tardi a ravvedervi (dopo la notifica dell’accertamento), non potrete più beneficiare delle riduzioni come sopra. Potreste tuttavia valutare l’opzione di adesione all’accertamento o definizione agevolata se disponibili (spesso, nelle leggi di bilancio, vengono offerte definizioni agevolate per gli accertamenti in corso, con sanzioni ridotte). Nel 2023, ad esempio, il Decreto Energia ha eccezionalmente permesso di ravvedere entro il 15/12/2023 anche violazioni già contestate (come alcune sanzioni sui corrispettivi). Sono finestre straordinarie, ma da tenere d’occhio. In generale, però, dopo l’accertamento potrete al massimo spuntare il 1/3 di abbattimento sanzioni se aderite o non fate ricorso. Meglio evitare di arrivarci.
5. Sanzioni amministrative in caso di ricavi POS non dichiarati
Passiamo ora in rassegna le possibili sanzioni amministrative che il contribuente può subire in relazione ai ricavi non dichiarati derivanti da incassi POS, distinguendo tra la situazione in cui si provvede autonomamente al ravvedimento e quella in cui invece interviene l’accertamento dell’ufficio. Questo è importante per capire il “costo” di eventuali omissioni e i vantaggi del ravvedimento.
– Sanzioni pecuniarie per infedele dichiarazione: Quando un contribuente ha dichiarato meno ricavi di quelli effettivi, si configura la violazione di dichiarazione infedele (art. 1, co.2 D.Lgs. 471/97 per le imposte sui redditi e IRAP; art. 5, co.4 D.Lgs. 471/97 per l’IVA). La sanzione amministrativa base è compresa tra il 90% e il 180% della maggiore imposta dovuta. Normalmente si applica il 90% (il minimo edittale) salvo aggravanti, e può salire fino al 180% in casi di particolare gravità o condotte fraudolente. Nel caso di omessi ricavi da POS, se non vi sono altri elementi fraudolenti, si configurerà una normale infedeltà dichiarativa con sanzione intorno al 90% dell’imposta evasa. È prevista una riduzione di 1/3 della sanzione (quindi range 60%-120%) se la maggior imposta accertata non supera il 3% di quella dichiarata e comunque €30.000 – ipotesi di lieve infedeltà, non applicabile se c’è condotta fraudolenta. Ad esempio, se un contribuente dichiarò €100.000 di IVA e ne ha evasi €2.000 (2%), la sanzione si riduce del terzo.
Nel nostro contesto, l’“imposta evasa” comprende sia l’IVA non versata sulle vendite non scontrinate, sia le imposte dirette su quel reddito non dichiarato. Entrambe rientrano nell’infedeltà. Tali sanzioni, come spiegato, possono essere notevolmente ridotte col ravvedimento operoso: a seconda del momento, si paga 1/8, 1/7, 1/6, 1/5 della sanzione minima. Prima si ravvede, meno paga. Se invece si arriva all’accertamento, il contribuente perde queste riduzioni e anzi, se fa ricorso senza successo, la sanzione può arrivare fino al 180%. In caso di acquiescenza all’accertamento (accettazione senza ricorso entro 30 gg), è previsto uno sconto del 1/3 sulle sanzioni irrogate: quindi, ipotizzando sanzione 90%, scende a 60%.
– Sanzioni per mancata certificazione dei corrispettivi (mancati scontrini): Indipendentemente dalla dichiarazione infedele, ogni operazione non certificata con scontrino o ricevuta fiscale costituisce violazione dell’obbligo di emissione del documento fiscale (art. 6, co.3 D.Lgs. 471/97). La sanzione è pari al 100% dell’IVA corrispondente all’importo non documentato, con un minimo di €500 per ciascuna operazione. Questo minimo fisso fa sì che, per piccoli importi, la sanzione sia sproporzionata (come nell’esempio dei caffè: 5 scontrini omessi da 1€ l’uno -> sanzione €2.500). Se però l’IVA sull’operazione eccede €500, si prende il 100% di quella (es: per un’operazione da €10.000+IVA22%, IVA evasa €2.200, sanzione €2.200). Queste sanzioni si applicano cumulativamente per ogni mancata emissione. Tuttavia, quando l’ufficio scopre un’omissione di più operazioni, c’è una regola sul cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97): in pratica, si applica la sanzione per la violazione più grave aumentata fino al doppio. Nel caso di scontrini, la prassi è considerare la violazione più grave quella col maggior importo, però se sono tutte minimi da 500€ potrebbe semplicemente essere 500 aumentato fino a 1000 se tante. In ogni caso, all’atto pratico, l’Agenzia se fa un accertamento su base annua può contestare un’unica violazione di infedele dichiarazione comprendente l’intero importo evaso e forse evitare di contestare singolarmente ogni scontrino (talvolta per semplicità l’ufficio preferisce colpire l’omesso incasso in un’unica soluzione come infedele, senza star a dettagliare ogni mancato scontrino – ma dipende). In dottrina si discute se omessa certificazione e infedele dichiarazione siano due violazioni distinte entrambe sanzionabili: la tendenza è sì, sono autonomamente punibili (una è violazione formale, l’altra sostanziale). Quindi il rischio è di doppia sanzione: 90% imposta evasa e 100% IVA per ciascuna operazione. Col ravvedimento, il contribuente di solito regolarizza entrambe: emette ora i documenti mancanti e paga la sanzione fissa ridotta, e integra la dichiarazione pagando il 90% ridotto sull’imposta.
– Sanzioni accessorie (sospensione attività): Il nostro ordinamento prevede misure accessorie molto severe in caso di reiterate violazioni di mancata emissione di scontrino/ricevuta. In particolare, l’art. 12, co.2 D.Lgs. 471/97 stabilisce che se a un esercente sono contestate quattro violazioni dell’obbligo di emettere scontrino in giorni diversi, nell’arco di un quinquennio, scatta la sospensione della licenza o attività per un periodo da 3 giorni a 1 mese (da 15 giorni a 2 mesi se già recidivo). Questa norma, pensata per chi viene colto più volte in flagranza dalla Finanza senza fare ricevuta, può applicarsi anche a seguito di un controllo induttivo: se l’accertamento dimostra che in almeno 4 giorni diversi l’esercente ha effettuato vendite senza scontrino (cosa quasi certa se ha decine di transazioni occultate), l’AE può proporre la chiusura temporanea. Non rileva l’importo non documentato: la Cassazione ha chiarito che la sospensione prescinde da un ammontare minimo evaso. Dunque, anche pochi euro in 4 giorni diversi bastano. Nella pratica, comunque, l’AE spesso usa un criterio di soglia quantitativa: ad esempio, ha fatto sapere che se l’importo complessivo dei corrispettivi non documentati supera €50.000, farà scattare la sospensione in tempi brevi. Ciò è stato riportato dagli esperti: “laddove l’ammontare dei corrispettivi contestati superi €50.000, sarà applicata (entro qualche mese) la sanzione accessoria della sospensione dell’attività da tre giorni a un mese”. Quindi, chi nasconde grossi importi rischia seriamente la chiusura temporanea del negozio. Questa è un’arma potentissima in mano al Fisco, che ha anche effetto reputazionale (cartello di chiusura per violazioni fiscali).
Una novità: con la Legge di Bilancio 2025 (L. 197/2024), l’obbligo di collegamento POS-registratore telematico (di cui diremo tra poco) è stato anch’esso incluso tra le violazioni che, se reiterate 4 volte, comportano la sospensione. Dunque dal 2026 sarà sanzionabile con chiusura non solo non fare lo scontrino, ma anche scollegare il POS per non far comunicare i dati. In generale, il messaggio è chiaro: lo Stato intende usare il deterrente della sospensione per chi continua ad evadere malgrado le tecnologie di tracciamento.
– Esempio finale combinato (scenario peggiore): Un commerciante ignora la lettera di compliance e viene accertato per €100.000 di ricavi non dichiarati (IVA 22k, Irpef supponiamo 27k). L’AE applica sanzione infedele 90% su ciascun tributo evaso: ~€19.800 (IVA+Irpef). Contesta inoltre 100 operazioni non scontrinate, sanzione 100% IVA minima €500 ciascuna: €50.000, che essendo > infedele, tramite cumulo giuridico potrebbe essere portata a, poniamo, €75.000 totali. Totale sanzioni pecuniarie oltre €90.000. Inoltre, essendoci sicuramente >4 giorni di evasione, propone la sospensione per 15 giorni (essendo importo alto). Il contribuente dovrà pagare (oltre alle imposte €49k e interessi) anche queste sanzioni, salvo riduzioni se definisce l’accertamento (60% infedele = €13k e cumulo magari ridotto). Resta la sospensione, che potrà al massimo farsi ridurre in giudizio per proporzionalità, ma difficile. Questo scenario mostra come ignorare la compliance può costare carissimo, rispetto magari a ravvedersi pagando qualche migliaio di euro di sanzioni.
– Vantaggi concreti del ravvedimento: Riprendendo l’esempio, se quel commerciante avesse ravveduto spontaneamente prima, avrebbe pagato: imposte €49k + interessi modesti + sanzione infedele ridotta (diciamo 1/6 del 90% = 15% ≈ €7.350) + sanzione corrispettivi ridotta (500*100=50k, 1/6 = ~€8.333). Totale sanzioni ~€15.683 invece di 90.000, e niente sospensione attività. La differenza è enorme.
In conclusione su questo punto: il ravvedimento operoso conviene sempre, appena ci si rende conto di aver commesso l’irregolarità. È un salvagente offerto dal sistema per rimediare pagando il giusto senza rovinarsi. Le lettere di compliance sono proprio studiate per incentivare a sfruttare questo istituto prima che sia troppo tardi. L’Agenzia stessa preferisce incassare subito le somme dovute, se possibile, piuttosto che avviare lunghi contenziosi.
6. Profili penali: quando l’omessa dichiarazione di ricavi diventa reato
Oltre alle sanzioni amministrative, la vicenda dei ricavi non dichiarati potrebbe – in casi gravi – assumere rilievo anche sotto il profilo penale tributario. Occorre dunque chiedersi: dichiarare meno ricavi rispetto agli incassi POS può portare a una denuncia per evasione fiscale? La risposta dipende dall’entità dell’evasione. Esaminiamo la normativa e le soglie.
La disciplina penale in materia tributaria è contenuta nel D.Lgs. 74/2000 (come modificato da vari interventi normativi fino alla L. 157/2019). In particolare, due fattispecie potrebbero rilevare qui:
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): si verifica quando qualcuno, al fine di evadere le imposte, indica elementi attivi inferiori al vero (o elementi passivi fittizi) nella dichiarazione annuale, se ricorrono due condizioni contemporaneamente: (a) l’imposta evasa supera €100.000 per singola imposta (IVA o imposta sui redditi); e (b) l’ammontare degli elementi attivi sottratti a imposizione supera il 10% di quanto dichiarato (o comunque €2.000.000). Se entrambe le soglie sono superate, il fatto è reato penale, punito con la reclusione da 2 a 5 anni (questo è l’attuale quadro dopo l’inasprimento del 2019, che abbassò la soglia imposta evasa da 150k a 100k e alzò le pene). Esempio: un’impresa dichiara ricavi per €1 milione, ma in realtà erano €1,2 milioni (200k evasi); l’IVA evasa è ~€44k – non scatta il penale perché l’imposta evasa <100k. Invece, se avesse evaso IVA per €120k, ricavi occultati €550k su €1M (55%, >10%), allora sarebbe reato.
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): qui l’ipotesi è più grave – non presentare affatto la dichiarazione annuale pur essendovi obbligati. Nel nostro caso, se un esercente avesse dichiarato zero pur avendo incassi (anche con POS), rientrerebbe in questo. La soglia di punibilità è imposta evasa > €50.000. La pena va da 2 a 5 anni di reclusione. Tuttavia, nel caso che trattiamo, di solito una dichiarazione c’è (solo che è infedele, non omessa). L’omessa dichiarazione potrebbe applicarsi ai fini IVA se uno non presenta proprio la liquidazione annuale. Non andiamo fuori tema: rileva più l’infedele.
Nel contesto delle lettere di compliance POS, il reato che può configurarsi è la dichiarazione infedele (art.4), se le somme non dichiarate superano le soglie dette. Facciamo un esempio concreto: un ristorante ha occultato incassi per €300.000 + IVA (dunque ~€366.000 lordo) in un anno, evadendo IVA per €30.000 e IRPEF per poniamo €80.000. L’imposta evasa totale (sommando IVA + IRPEF) non conta, conta per singola imposta: IVA 30k (<100k, niente reato per IVA; Irpef 80k quasi, <100k; anche sommando non rileva). Dunque non c’è reato perché nessuna imposta supera 100k evasa. Se però l’occultato fosse 1 milione, IVA evasa ~€220k (>100k) e reddito evaso tale da generare >100k IRPEF, allora scatta reato (anche uno solo dei due tributi superando soglia, è sufficiente). Occorre anche che l’occultato superi il 10% del dichiarato o 2M: su 1M dichiarato, 1M occultato è 100% e 1M > 2M? No, 1M < 2M ma >10%, quindi condizione b) c’è comunque (basta una delle due: 10% del dichiarato oppure 2M euro, in realtà la norma è un po’ complessa, ma in pratica 10% se >2M non serve guardarlo, e se omessi >2M a prescindere percentuale). Con quell’importo, l’art.4 sarebbe integrato: reclusione 2-5 anni.
E se i ricavi occultati derivano da molte piccole operazioni? La norma penale non distingue: conta il totale annuo. Non importa se erano 1000 scontrini non emessi, rileva la somma dell’imposta evasa. Quindi anche tanti piccoli importi possono sommarsi e superare la soglia penale.
Chi accerta e segnala il reato? Di solito, se l’Agenzia delle Entrate scopre con l’accertamento un’evasione oltre soglia, trasmette la notizia di reato alla Procura della Repubblica competente. Lo stesso può fare la Guardia di Finanza se coinvolta nell’ispezione. In queste situazioni, si apre un procedimento penale a carico dell’imprenditore (legale rappresentante se società) per dichiarazione infedele. Attenzione: la Guardia di Finanza ha un ruolo cruciale qui, perché spesso l’AE si appoggia a loro per gli approfondimenti o per le verifiche sul campo. È possibile che, dopo una lettera di compliance ignorata, l’Agenzia decida di inviare la pratica alla GdF per un controllo. In tal caso, i militari potrebbero fare un’ispezione presso l’esercizio, acquisire registri, estratti conto e magari scoprire anche altri elementi. Se riscontrano i presupposti penali, redigono loro il verbale di constatazione con notizia di reato.
Come evitare o gestire il rischio penale? La prima cosa da dire è che, utilizzando il ravvedimento operoso e pagando il dovuto, si può evitare il processo penale. La normativa prevede infatti cause di non punibilità legate al pagamento del debito tributario: l’art. 13 D.Lgs.74/2000 stabilisce che i reati di omesso versamento e di infedele dichiarazione non sono punibili se il debito tributario (imposta, sanzioni e interessi) viene estinto prima dell’apertura del dibattimento. Nel caso di dichiarazione infedele, questo significa che se il contribuente paga integralmente le imposte evase, con relative sanzioni amministrative, prima che inizi il processo penale (fase dibattimentale), il reato è estinto. In scenari di compliance, il pagamento avviene addirittura prima di qualsiasi notizia di reato, per cui l’estinzione del reato è certa. Anche qualora l’ufficio avesse già trasmesso la notizia di reato, se il contribuente paga tutto prima del dibattimento, il giudice dovrà dichiarare il non luogo a procedere per intervenuta causa di non punibilità. Questo incentivo è stato rafforzato dalle riforme: l’art.13 fu modificato nel 2019 per estendere la non punibilità anche ai reati di infedele/omessa dichiarazione (prima era solo per omessi versamenti). Quindi, un contribuente che ravvede e salda il suo conto col Fisco tempestivamente si mette al riparo non solo dalle sanzioni amministrative pesanti, ma anche da possibili guai penali.
Poniamo che Tizio avesse evaso €150k di IVA (reato). Riceve lettera compliance, ravvede e paga tutto. La Procura, se pure informata, dovrà prendere atto che l’art.13 lo salva, e archivierà il caso. Insomma, la compliance letter offre una via d’uscita anche penale: correggi prima che arrivino, paga, e nessuno ti può più accusare di nulla (perché manca l’offesa al bene giuridico, avendo tu versato le imposte).
Se invece il contribuente non regolarizza e si va avanti, in caso di superamento soglie partirà la denuncia. Da lì in avanti, scatteranno potenzialmente anche misure come il sequestro preventivo delle somme evase (la Procura può chiedere di congelare beni per l’equivalente delle imposte evase). La Guardia di Finanza condurrà le indagini penali, raccogliendo prove dell’intenzionalità dell’evasione (anche se per l’infedele il dolo richiesto è generico di evasione, non occorre una manovra fraudolenta). Il processo poi farà il suo corso: la difesa potrà sostenere ad esempio che non c’era volontà di evadere ma errore (anche se l’errore non scrimina se importi e percentuali sono oltre soglia, però può incidere sulla valutazione del dolo). In ogni caso, l’esperienza insegna che la maggioranza dei procedimenti penali tributari si chiude con patteggiamenti o condanne sospese, specie se il contribuente risarcisce (paga). Quindi, ancora una volta, pagare conviene – se non prima, almeno durante il processo – per ottenere magari la sospensione condizionale o l’estinzione del reato.
Nota: un caso particolare è se il contribuente, per occultare i ricavi POS, trucca la contabilità o usa artifici (ad esempio, usa POS intestati a terzi consapevolmente per mascherare le vendite, o emette fatture false a compensazione). In tali ipotesi estreme, si potrebbe configurare un reato più grave, la dichiarazione fraudolenta (art.3 o 2 D.Lgs.74/2000), punita più severamente (fino a 6-8 anni) e con soglie più basse. Ma richiede proprio condotte fraudolente (falso in bilancio, doppie scritture, documenti falsi). Generalmente, l’omessa fatturazione di corrispettivi risulta nell’art.4 (infedele) se non ci sono altri artifici. Quindi è difficile arrivare a ipotesi di frode fiscale in questi casi, a meno di schemi sofisticati.
Riassumendo: il rischio penale esiste solo per evasioni molto consistenti. La stragrande maggioranza dei destinatari delle lettere di compliance POS rientrerà sotto soglia, trattandosi spesso di piccole/medie attività. Ma è bene esserne consapevoli. E soprattutto, chi dovesse trovarsi a superare i limiti penali deve assolutamente attivarsi per sanare – magari facendosi assistere da un legale esperto – in modo da usufruire della non punibilità per pagamento.
7. Ruolo della Guardia di Finanza e altri controlli sul campo
Abbiamo sinora parlato dei controlli automatizzati e per via epistolare. Ma non va dimenticato il ruolo della Guardia di Finanza (GdF) e degli altri organi ispettivi (Agenzia Entrate sul campo, Siae per scontrini, Polizia locale per ricevute turistiche, ecc.) nel controllo dei corrispettivi. Infatti, le lettere di compliance sono uno strumento di “moral suasion” a distanza, ma la lotta all’evasione sui corrispettivi continua anche tramite i metodi tradizionali: verifiche, ispezioni, operazioni sotto copertura.
La Guardia di Finanza può intervenire su segnalazione dell’AE oppure autonomamente, analizzando gli stessi dati incrociati. Ad esempio, l’AE, come detto, per il 2025 sta predisponendo “liste” di soggetti da controllare che presentano incongruenze tra entrate tracciate e ricavi dichiarati. È probabile che tali liste vengano trasmesse ai Reparti Operativi della GdF per effettuare controlli mirati in loco. La GdF ha infatti competenza a svolgere verifiche fiscali complete e può acquisire sia i dati telematici sia riscontri fisici (ad esempio, può presentarsi presso il negozio e chiedere di vedere i registri del registratore telematico, confrontandoli con estratti conto). Spesso, la Finanza utilizza l’elemento sorpresa: possono inviare un cliente in borghese a effettuare un acquisto pagando con carta e verificare se viene emesso regolare scontrino. Oppure, ancor più efficace, fanno un controllo incrociato a posteriori: acquisiscono dall’AE i dati mensili del POS di un certo soggetto e poi si presentano chiedendo di esibire i registri dei corrispettivi di quei mesi, verificando così sul campo la corrispondenza.
La GdF è particolarmente attenta ai fenomeni dei cosiddetti “POS in nero”. L’espressione, comparsa anche sui media, indica quelle situazioni in cui un esercente usa un POS non dichiarato o intestato a un’altra entità, per cercare di far transitare incassi senza collegarli alla propria partita IVA. Ad esempio: un commerciante potrebbe aprire un secondo POS intestato a un parente o a una società estera, facendo finire lì parte dei pagamenti elettronici; in questo modo, penserebbe di sfuggire all’incrocio dati, perché l’AE vede quei pagamenti associati al codice fiscale di un altro soggetto. La GdF sta “cacciando” questi furbetti: incrociando archivi finanziari, può individuare soggetti che accettano pagamenti tracciati senza farli corrispondere a scontrini perché magari li dirottano su altri conti. È noto ad esempio che controllano chi ha spese (fatture di acquisto, bollette) importanti ma dichiara poco, eppure risulta aver attivato pos e transato somme: in parole semplici, evasori del POS. La stessa Agenzia delle Entrate, nella direttiva 2025, parla di focalizzarsi su soggetti che “sebbene accettino pagamenti tracciati, non coordinano il pagamento tracciato con l’emissione dello scontrino”. Questo può implicare proprio i casi di POS occulti o utilizzo improprio.
Se la GdF scopre un POS non dichiarato (magari rintracciando i contratti con acquirer diversi), può contestare evasione fiscale aggravata e sequestrare i relativi conti. Ci sono stati casi di cronaca dove la Finanza ha scovato milioni di euro transitati su POS intestati a prestanome, configurando reati di occultamento di ricavi e riciclaggio. Per un piccolo commerciante è improbabile arrivare a tanto, ma è bene sapere che la collaborazione AE-GdF è stretta: le banche dati sono sempre più condivise (dal 2020 la GdF ha accesso diretto alla fatturazione elettronica, e con la L. 197/2024 pure all’archivio corrispettivi/POS con l’ADM). Dunque, tentare la via “furba” di usare un POS alternativo è altamente rischioso e sconsigliato.
Inoltre, la GdF durante le sue verifiche contesterà immediatamente le violazioni di mancato scontrino e potrà far scattare la sanzione accessoria: come nel caso esaminato in Cass. 26322/2020, dove la Finanza aveva redatto un unico verbale con quattro violazioni (anche se di pochi centesimi) e l’ufficio aveva applicato la chiusura per 3 giorni. La Cassazione, in quella occasione, ha ribadito che non serve neppure che le quattro violazioni siano contestate in momenti separati: anche con un unico verbale che ne rileva quattro, la sospensione è legittima. Quindi la GdF, se scopre in un controllo a posteriori 4 giornate con mancati scontrini, può proporre seduta stante la chiusura.
In sintesi, il contribuente destinatario di una lettera di compliance deve sapere che il mancato adeguamento può attrarre sul campo la Guardia di Finanza, con tutti i poteri di polizia tributaria: accessi, perquisizioni (in caso di reato), indagini finanziarie più approfondite (possono esaminare i conti correnti in dettaglio, ex art. 32 DPR 600, e quindi scoprire transiti di denaro contante prelevato, ecc.). Pertanto, dal punto di vista del “debitore” conviene risolvere la questione nella fase bonaria, piuttosto che affrontare i militari in azienda. Se tuttavia dovesse capitare un’ispezione GdF su questi temi, è ancor più importante farsi trovare preparati: esibire spontaneamente i registri, fornire le spiegazioni e collaborare, perché atteggiamenti ostruzionistici possono aggravare la posizione (ad es. far scattare l’ipotesi di reato di occultamento scritture se mancano registri, ecc.).
Va segnalato che dal 2024 anche altri enti concorrono al data mining: con la DAC7 europea le piattaforme digitali comunicano i redditi degli utenti alle Entrate, e le polizie locali trasmettono all’AE gli esiti dei controlli amministrativi (ad esempio su strutture ricettive). Quindi si va verso un’interoperabilità totale: i controlli anti-evasione diventano multi-ente e incrociati. Il contribuente deve esserne consapevole e agire di conseguenza.
8. Novità 2025-2026: verso il collegamento obbligatorio POS-registratore di cassa
Uno sviluppo fondamentale da tenere presente – che cambierà lo scenario nei prossimi anni – è l’obbligo di collegamento permanente tra i terminali POS e i registratori telematici, introdotto dalla Legge di Bilancio 2025. Questa misura, destinata ad entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2026, mira proprio a eliminare alla radice le discrepanze tra incassi elettronici e corrispettivi dichiarati.
Ad oggi, molti commercianti operano con sistemi POS indipendenti dal registratore di cassa: sta alla diligenza dell’operatore battere lo scontrino ogni volta che passa un pagamento carta. Dal 2026, invece, la memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi dovrà essere effettuata con strumenti che garantiscano la piena integrazione tra la fase di pagamento elettronico e la registrazione fiscale. In pratica, la legge impone un collegamento tecnico permanente tra il dispositivo POS e il registratore di cassa, in modo che ogni volta che viene accettato un pagamento con carta, il registratore ne venga informato e registri automaticamente l’importo come corrispettivo giornaliero. Ciò significa che sarà impossibile incassare via POS senza emettere lo scontrino: i due processi diventeranno un tutt’uno. Anche i pagamenti digitali tramite smartphone o app dovranno passare per il “collegamento” col sistema di cassa.
Contestualmente, la normativa ha previsto specifiche sanzioni per chi non si adegua a questo obbligo. In particolare: la mancata integrazione POS-registratore verrà punita con la stessa sanzione attualmente prevista per la mancata installazione del registratore di cassa, ovvero una sanzione pecuniaria da €1.000 a €4.000. Inoltre, se un esercente continua a non collegare il POS e viene colto in violazione ripetuta, scatterà la sospensione dell’attività da 15 giorni fino a 2 mesi (in caso di recidiva), come estensione dell’art.12 D.Lgs. 471/97 citato. Quindi dal 2026 non ci sarà scampo: o colleghi il POS o ti chiudiamo il locale.
Dal lato degli operatori finanziari, come già detto, sono state introdotte sanzioni severe (da €2.000 a €21.000 per ogni invio omesso/errato) per chi non trasmette i dati POS all’AE. Insomma, l’intera filiera verrà blindata: banche obbligate a dare dati giusti, negozianti obbligati a far dialogare cassa e POS.
Queste misure sono state concepite proprio per abbattere l’evasione nei pagamenti elettronici. Si stima infatti che alcuni esercenti, pur di non dichiarare una parte dei ricavi, finora abbiano escogitato stratagemmi o semplicemente confidato nella difficoltà di controllo. Col collegamento obbligatorio, ciò diventa tecnicamente infattibile: il POS non potrà funzionare se non trasmette i dati al registratore, e il registratore trasmette tutto all’AE. Ogni incoerenza emergerebbe in tempo reale. Si parla anche di invio giornaliero in tempo reale di queste informazioni.
Per il contribuente onesto, questo significherà meno adempimenti manuali e forse fine delle lettere di compliance (perché non ci saranno più difformità). Per chi invece cercava zone grigie, significherà tolleranza zero. Vale la pena citare che già nel 2024 il D.L. 39/2024 aveva rafforzato l’apparato sanzionatorio sugli operatori finanziari per migliorare la tempestività e completezza dei dati incrociati. L’obbligo di collegamento fisico nel 2026 (inserito nei commi 74-77 dell’art.1 L.197/2024) è il tassello finale tecnologico di questa strategia.
In prospettiva, dunque, dal 2026 l’Agenzia delle Entrate disporrà di flussi integrati POS-corrispettivi, rendendo probabilmente superfluo l’invio di lettere di compliance come quelle oggetto di questa guida. Nel frattempo, per gli anni 2022-2025, queste restano uno strumento transitorio ma importante. Chi riceve oggi una lettera di compliance POS sta vivendo una “fase ibrida” del sistema: il Fisco sta affinando gli incroci e intanto dà la possibilità di spiegare o ravvedersi. Fra poco, con i sistemi interconnessi, l’anomalia verrà bloccata sul nascere (si pensi: se POS e cassa sono collegati, forse il sistema stesso potrebbe rifiutare una transazione se non si emette lo scontrino, o segnalare immediatamente lo scostamento). In altre parole, ci stiamo muovendo verso un regime in cui l’evasione di questo tipo sarà quasi impossibile senza lasciare tracce evidenti.
Perciò il consiglio, anche a futura memoria, è: adottate sin d’ora buone pratiche di allineamento incassi-dichiarazioni. Se avete un POS, assicuratevi che ogni transazione corrisponda a uno scontrino o fattura. Formate il personale a farlo. Tenete registri giornalieri di controllo: ad esempio, a fine giornata, confrontate lo z-report del registratore (totale scontrini) con il totale carte strisciate del POS. Molti POS moderni stampano uno scontrino riepilogativo di fine giornata con il totale incassato con carte: pinatelo al report di cassa. Così, se un domani arriva una verifica, avrete già una pezza giustificativa immediata. Queste buone pratiche diventeranno obbligatorie con il collegamento, ma è utile avviarle già ora.
9. Domande frequenti (FAQ) e risposte
D1: Cos’è esattamente una “lettera di compliance” dell’Agenzia delle Entrate? Si tratta di un atto ufficiale?
R: Una lettera di compliance è una comunicazione informale che l’AE invia al contribuente per segnalare possibili anomalie nei dati fiscali. Non è un atto impositivo né una sanzione: è piuttosto un invito a verificare la propria posizione e a mettersi in regola spontaneamente. Nel caso in questione, la lettera segnala che, secondo i dati in possesso del Fisco, gli incassi tramite POS superano i corrispettivi dichiarati, suggerendo ricavi non dichiarati. La lettera tipicamente offre al contribuente la possibilità di fornire spiegazioni o di correggere l’errore senza subire subito conseguenze. Va però presa sul serio: ignorarla potrebbe portare a successivi atti ben più vincolanti.
D2: Come fa l’Agenzia a sapere quanto incasso con il POS? Non era un dato privato tra me e la banca?
R: Ormai questi dati sono scambiati regolarmente. Dal 2020 esiste l’obbligo per banche e altri operatori di comunicare all’AE ogni mese il totale delle transazioni effettuate tramite i POS concessi ai commercianti. L’Agenzia incrocia tali importi con quelli risultanti dai registratori di cassa telematici (scontrini) o dalle fatture elettroniche. Se c’è uno scostamento rilevante, il sistema lo evidenzia. Dunque, sì, il Fisco sa (per via ufficiale) quanto hai transato con carte e bancomat. La normativa sulla privacy consente questi flussi per finalità di contrasto all’evasione.
D3: Ho ricevuto la lettera per l’anno 2022. Possono ancora farmi un accertamento su quell’anno?
R: Sì. La scadenza per l’accertamento dell’anno d’imposta 2022 è il 31 dicembre 2027 (essendo 5 anni dopo la presentazione della dichiarazione 2023). Quindi l’AE è perfettamente nei termini per contestare differenze sul 2022. Anzi, ha scelto di inviarti la lettera proprio per evitare di arrivare all’accertamento contenzioso, dandoti modo di ravvederti prima. In generale, l’Agenzia invia queste lettere entro 2-3 anni dal periodo interessato: per il 2022 le prime sono partite nel 2023 e proseguite nel 2024; per il 2023 ci si aspetta invii nel 2024-25. Se non facessi nulla, entro il 2027 potrebbe arrivare l’avviso formale.
D4: Se rispondo alla lettera spiegando che c’è un errore, rischio comunque l’accertamento?
R: Dipende dalla bontà delle spiegazioni. Se il tuo riscontro convince l’ufficio, non seguirà alcun accertamento: la situazione verrà chiarita in fase di compliance e lì si chiuderà. L’Agenzia invita proprio a comunicare elementi e fatti non conosciuti per evitare l’accertamento. Tuttavia, se le tue spiegazioni risultano inconsistenti o non provate, oppure se l’AE le ritiene insufficienti a giustificare lo scostamento, allora potresti comunque ricevere un atto formale successivamente. Diciamo che rispondere con buoni argomenti riduce moltissimo la probabilità di un accertamento (che invece è quasi certa se non rispondi affatto). Il consiglio è di essere chiaro e documentato nella risposta. In alcuni casi, se le spiegazioni coprono solo una parte dell’importo contestato, l’ufficio potrebbe ridurre le pretese a quel che resta ingiustificato.
D5: Quanto tempo ho per rispondere o ravvedermi dopo la lettera?
R: Di solito nella lettera stessa l’Agenzia indica un termine (ad esempio 30 giorni dal ricevimento) entro cui il contribuente può attivarsi. Anche senza un termine specifico, conviene muoversi entro poche settimane. Non c’è però un termine tassativo di legge, perché la lettera di compliance non è un atto processuale. In teoria, finché non parte l’accertamento, sei libero di ravvederti. Tieni presente però che l’Agenzia, se non vede reazioni entro un ragionevole lasso di tempo (un paio di mesi), potrebbe procedere. Inoltre, se decidi di ravvederti, c’è un vantaggio a farlo prima: le riduzioni di sanzioni sono maggiori quanto più è tempestivo il ravvedimento (entro 90 giorni 1/9, entro 1 anno 1/8, entro 2 anni 1/7, oltre 2 anni 1/6). Ad esempio, ravvedersi nel 2024 per il 2022 dà 1/7 delle sanzioni, mentre attendere il 2026 darebbe 1/6. Quindi, prima lo fai meglio è. Se stai preparando la risposta con documenti, comunica all’AE che sei all’opera, magari chiedendo una breve proroga se serve.
D6: Devo per forza recarmi presso l’Agenzia Entrate di persona per spiegare?
R: No, non necessariamente. In molti casi puoi gestire la compliance a distanza. Puoi inviare una PEC con le tue spiegazioni e allegati, oppure usare il canale CIVIS sul sito AE, se attivo per questa comunicazione. Alcune lettere forniscono un indirizzo email o un riferimento telefonico. Se però preferisci un contatto diretto, puoi prenotare un appuntamento presso l’ufficio territorialmente competente (indicando che vuoi discutere la comunicazione di compliance). Durante l’incontro, porta tutta la documentazione. Grazie ai sistemi telematici, comunque, non è obbligatorio un incontro fisico. Molti professionisti gestiscono queste risposte via mail/PEC con ottimi risultati. Conserva sempre copia di ciò che invii.
D7: La lettera parla di anomalia “nei versamenti 2022 ricevuti con strumenti tracciabili rispetto ai corrispettivi dichiarati”. Io però nel 2022 ero in regime forfettario: cosa vuol dire “non dichiarati”?
R: Anche se eri forfettario (quindi senza obbligo di IVA né di registri IVA), avevi comunque l’obbligo di certificare i corrispettivi (emettendo ricevute fiscali o scontrini) e, in dichiarazione dei redditi, di indicare il volume d’affari conseguito. Se la lettera segnala anomalie, significa che confrontando l’ammontare dei pagamenti elettronici che hai incassato (risultanti dai dati bancari) con i ricavi che hai indicato nella tua dichiarazione forfettaria, emerge un delta. Ad esempio: da POS risultano incassi per €50.000 ma tu hai dichiarato compensi per €30.000 – in forfettario non c’è IVA, ma comunque i ricavi li dichiari. Questo può succedere perché magari hai superato il limite di €65.000 senza accorgertene (o €85.000 nel 2023) oppure hai omesso di conteggiare alcune operazioni credendo che nel forfettario non importasse (errore: anche se la tassa è forfettaria, devi dichiarare tutti i ricavi percepiti). Dunque “non dichiarati” in questo contesto vuol dire non inclusi nell’ammontare di ricavi/compensi indicato nel quadro LM (forfettari) della dichiarazione. Se confermato, occhio: potresti aver sforato i requisiti del forfettario. Infatti, se i tuoi ricavi reali 2022 superavano il limite, perdi il regime agevolato dall’anno seguente e dovresti passare alla contabilità semplificata, con tutte le imposte ordinarie. L’AE in questi casi oltre a chiedere le imposte potrà recuperare l’IVA non addebitata e la differenza di tassazione. Quindi per i forfettari è doppiamente importante rispondere: se c’è un errore, spiegalo (ad es. incassi POS che erano rimborsi di spese anticipate – eventualità rara ma possibile); se c’è omissione, ravvedi subito perché rientrare nei ranghi ordinari può essere complesso (ti farai aiutare da un commercialista per sanare). La lettera è un assist per evitare guai peggiori come l’esclusione retroattiva dal regime.
D8: La differenza segnalata è piccola (qualche centinaio di euro). Posso ignorarla senza che succeda nulla?
R: Sconsigliato. Anche se l’importo è modesto, la lettera di compliance indica che formalmente c’è un’irregolarità. L’Agenzia, avendo già rilevato la difformità, potrebbe comunque procedere a un accertamento, sebbene magari in via prioritaria dia precedenza a casi di importi maggiori. Non c’è una garanzia che “pochi euro non li guardano”: la Cassazione ha affermato che anche importi minimi costituiscono violazione e la legge non prevede soglie di tolleranza amministrative (se non quella del 3% per ridurre le sanzioni). Inoltre, come visto, persino €1,50 di evasione su 3 scontrini è bastato per la sospensione in un caso portato in giudizio. Dunque, non assumere che un piccolo importo passi inosservato. Il consiglio: se la differenza è piccola ed effettivamente è un errore tuo, ringrazia la buona sorte che la sanzione in assoluto sarà bassa e ravvedi subito. Pagherai qualche decina di euro di sanzione e finisce lì. Se invece la differenza è piccola ma hai una spiegazione (es. storno non considerato), comunicala ugualmente all’AE, così chiudono la segnalazione. Ignorare, per pigrizia, può far irritare l’ufficio che a quel punto – per principio – ti manda un accertamento (costringendoti magari a pagare 500€ di sanzione minima su una differenza di 50€… non conviene).
D9: Ho controllato e in effetti mi ero dimenticato di battere alcuni scontrini per un totale di ~€5.000 (IVA €1.100). Posso semplicemente emetterli ora “in ritardo” per regolarizzare?
R: Tecnicamente, non puoi emettere ora degli scontrini riferiti a vendite di un anno fa. Gli scontrini (o le fatture) vanno emessi al momento dell’operazione. Emetterne di tardivi fuori contesto temporale non avrebbe validità fiscale e rischierebbe di confondere la contabilità attuale. La corretta procedura è quella descritta: presentare una dichiarazione integrativa per quell’anno, inserendo i maggiori corrispettivi non certificati, e versare le imposte con sanzioni e interessi. Se vuoi un “documento” a sanatoria interna, potresti emettere delle fatture riepilogative ad hoc (ad esempio, potresti fatturare ora quei corrispettivi come se li incassassi ora, ma non è una soluzione ortodossa e genererebbe IVA ora – non combacia con periodo). Meglio evitare pasticci: il ravvedimento operoso è il modo previsto dalla legge per regolarizzare omissioni pregresse. Emissioni tardive di scontrini non sono contemplate (lo erano un tempo con le ricevute fiscali, si poteva fare ricevuta “dimenticata” se ti autodenunciavi entro breve, ma ora con telematici non c’è). Quindi no, non puoi semplicemente “battere ora”: devi passare per la dichiarazione integrativa e il versamento spontaneo.
D10: Se faccio il ravvedimento operoso, l’Agenzia poi verrà a controllarmi lo stesso?
R: In linea di massima, se ravvedi compiutamente, l’AE non ha interesse né base giuridica per un ulteriore accertamento sul medesimo fatto. Hai ammesso l’errore e pagato tutto con sanzioni, quindi il Fisco ha ottenuto quel che voleva (gettito e compliance). La lettera di compliance non dovrebbe più avere seguito se hai regolarizzato. Potrebbe esserci al massimo una verifica formale che hai calcolato tutto correttamente. Spesso l’ufficio chiude la pratica e magari annota la tua posizione come “ravveduta a seguito compliance”. Certo, nulla impedisce in assoluto che tu possa essere controllato in futuro per altre annualità o altri aspetti, ma riguardo all’oggetto della lettera, una volta pagato sei a posto. Tieni presente che l’AE ha anche obiettivi di gettito da compliance: le direzioni centrali valutano positivamente i casi di contribuenti che, dopo la lettera, ravvedono. Quindi per loro è un caso di successo, non hanno motivo di infierire oltre. Diverso sarebbe se dal ravvedimento emergesse qualche incongruenza grave o se tu ravvedessi solo parzialmente: ma perché farlo, paga tutto correttamente e dormi tranquillo.
D11: La lettera viene inviata anche al commercialista/intermediario che trasmette la dichiarazione?
R: In genere no, viene inviata al contribuente destinatario (all’indirizzo PEC dell’azienda o tramite raccomandata se persona fisica senza PEC). Tuttavia, spesso l’Agenzia invia copia conoscenza al Cassetto fiscale dell’intermediario che ha delega sulla tua posizione. Inoltre, alcuni commercialisti ricevono segnalazioni tramite il portale Entratel (in una sezione dedicata alle anomalie dei clienti). Quindi, se hai un commercialista, è probabile che sia già al corrente della lettera o che tu debba informarlo per coinvolgerlo nel rispondere. In ogni caso, coinvolgere il proprio consulente è utile: ha esperienza su come formulare le risposte e fare i conteggi di ravvedimento. Se sei un contribuente fai-da-te, valuta se è il caso di farti assistere almeno in questa fase (costi contenuti rispetto ai rischi). La comunicazione formale, comunque, è rivolta a te; il professionista non è obbligato a rispondere a meno che tu lo incarichi.
D12: Queste lettere di compliance riguardano solo ricavi da POS? Ne ho sentite anche per affitti, estero, ecc.
R: Esatto, l’AE ha esteso la pratica della compliance a vari ambiti. Ci sono lettere per anomalie nei redditi esteri (monitoraggio quadro RW), per affitti brevi o canoni di locazione non dichiarati, per disallineamenti IVA (ad es. differenze tra fatture emesse e dichiarazione annuale), per incongruenze negli indici ISA, ecc. Ogni anno attivano campagne mirate. Le lettere per incassi POS sono una delle ultime novità (introdotte a fine 2023) e rispecchiano l’impegno a sfruttare i pagamenti elettronici nella lotta all’evasione. Quindi potresti ricevere lettere differenti se hai altre posizioni anomale (es: hai un’attività online con vendite all’estero non dichiarate, ecc.). Il modus operandi è simile: segnalazione, invito a ravvedersi o chiarire, eventuale accertamento se silenzio. La regola d’oro: non ignorare mai queste comunicazioni, qualunque sia l’oggetto. Sono opportunità per sistemare con costi ridotti.
D13: Nel periodo oggetto di controllo, ho avuto un accertamento IVA per altri motivi. Possono cumulare le due cose?
R: Se ad esempio c’è già un accertamento in corso sul 2022 (mettiamo, per un’altra ragione – es. indagini finanziarie su conti correnti), l’anomalia POS potrebbe emergere in quel contesto e venire inclusa in quell’accertamento. Se però la lettera è arrivata, probabilmente l’AE la sta gestendo separatamente. In teoria potrebbero riunire le istruttorie. In ogni caso, tu rispondi alla lettera o ravvedi; poi segnala all’ufficio che sta curando l’altro accertamento che hai sanato quell’aspetto tramite compliance. Se invece l’accertamento è già chiuso (atto emesso) e si erano dimenticati la questione POS, attenzione: potrebbero emettere un secondo atto integrativo per questa parte (se ancora nei termini). Finché non c’è un formale avviso, il ravvedimento è possibile. Se c’è già un PVC concluso dalla GdF, occorre capire se includeva o meno i ricavi POS. Se li includeva e tu non hai potuto ravvederti per quelli, ormai quell’atto seguirà la sua strada (non ravvedibile se contestato in PVC salvo eccezioni temporanee come DL 131/2023). Situazione complessa: in sostanza, fai presente all’Agenzia se la materia è oggetto di altro procedimento, per coordinare le cose. Spesso le strutture compliance e accertamento sono diverse: mettendole a conoscenza eviterai duplicazioni o confusioni.
D14: E se la lettera di compliance l’avessi ricevuta ma non l’ho vista (es. PEC non letta) e ora mi arriva direttamente l’accertamento? Posso ancora fare qualcosa spontaneamente?
R: Se è già arrivato un avviso di accertamento, ormai il ravvedimento operoso non è più ammesso su quanto contestato lì (perché l’accertamento interrompe la possibilità di ravvedersi per quelle imposte). A quel punto puoi solo utilizzare gli strumenti post-accertamento: aderire con sanzioni ridotte a 1/3, oppure fare ricorso e tentare un accordo in mediazione, etc. Non c’è più lo sconto 1/8-1/7. È un peccato, ma succede se uno trascura la PEC o la lettera cartacea. Impara la lezione: tieni monitorata la tua PEC regolarmente (è obbligo di legge per imprese/partite IVA). L’AE considera la notifica PEC come valida notifica. Quindi, purtroppo, in tal caso potrai solo cercare di limitare i danni con gli istituti deflattivi o difenderti in giudizio se hai prove che il POS data era erroneo. Magari, se non hai risposto perché non avevi visto la lettera ma avevi buone giustificazioni, prova a contattare l’ufficio anche dopo l’accertamento per vedere se transano (es: in sede di adesione, porta le stesse prove, forse riducono). Non c’è garanzia, però.
D15: Ho letto che l’Agenzia ha addirittura annullato alcune lettere perché sbagliate. Come faccio a sapere se la mia rientra tra quelle annullate?
R: Si riferisce al caso di ottobre 2023, quando l’AE ha annullato massivamente le lettere inviate il 3/10/23 per errori nei dati. Se tu avessi ricevuto quella lettera proprio in quei giorni, probabilmente hai successivamente ricevuto una comunicazione di annullamento (via PEC) che diceva di non tenerne conto. Se hai dubbi, contatta il call center AE o verifica nel tuo cassetto fiscale: se la lettera è stata annullata dovrebbe esserci traccia (ad es. la segnalazione potrebbe risultare chiusa). Nel 2024 non risultano altre revoche massime. In ogni caso, se la lettera che hai ricevuto è fondata sui tuoi riscontri (cioè i dati sono giusti e tu hai davvero omesso qualcosa), sicuramente non è annullata e devi procedere. Se pensi sia affetta da quegli errori (ad es. noti duplicazioni evidenti nei prospetti), menzionalo nella risposta: “Rilevo che i dati allegati presentano evidenti duplicazioni (…): chiedo conferma se la comunicazione rientra tra quelle annullate dall’AE l’11/10/2023”. È improbabile comunque che nel 2024 ti mandino ancora dati sbagliati: come detto, hanno scremato gli errori.
D16: In futuro, se avrò di nuovo differenze incassi POS/corrispettivi, mi manderanno un’altra lettera o partirà subito l’accertamento?
R: Difficile dare certezza. La prassi attuale è di tentare sempre la strada compliance prima dell’accertamento vero e proprio, salvo casi di frode conclamata. Quindi, se dovessi replicare l’errore in anni successivi, è probabile che tu riceva nuovamente una comunicazione bonaria. Però attenzione: se uno continua a ignorare la compliance, l’Agenzia potrebbe irrigidirsi e passare direttamente al controllo. Inoltre, con l’arrivo dal 2026 del POS collegato al registratore, in teoria non dovrebbero più verificarsi differenze (il sistema stesso le impedirà). Fino al 2025 compreso, se persiste uno scostamento e la cifra aumenta, potresti avere un controllo sul campo prima ancora della lettera. Specialmente se rientri in quel novero di “soggetti che non hanno aderito al ravvedimento nonostante stimolo”, su cui AE ha detto che farà pressing. Quindi, se questa volta sistemi tutto, impegnati a non cadere più nell’irregolarità: oltre che moralmente giusto, conviene per non ricevere in futuro né lettere né verifiche. In caso (sfortunato) di nuovo scostamento onesto (es. rifai un errore involontario), quasi certamente ripartiranno da compliance perché ha dato buoni risultati.
D17: Queste lettere riguardano anche chi emette solo fatture elettroniche? Io sono un professionista, non faccio scontrini ma fatture: potrei ricevere lettera POS?
R: Sì, le anomalie POS possono riguardare sia esercenti al minuto (scontrini) sia professionisti o imprese che fatturano. Il meccanismo è analogo: se sei un professionista e incassi parcelle con POS o carta, dovresti emettere fattura elettronica per quell’incasso. L’AE incrocia i dati: se risultano incassi elettronici e non ci sono fatture corrispondenti, ecco l’anomalia. Infatti, tra i casi segnalati, c’è per esempio il professionista che ha fatturato €80.000 ma incassato con POS €120.000. Magari ha dimenticato di fatturare qualche prestazione pagata con carta. Dunque sì, anche i professionisti/aziende con sole fatture possono ricevere la lettera di compliance POS. La differenza è che per loro la violazione non è “mancato scontrino” ma fattura omessa (che ha sanzione simile, 90% imposta con minimo €500). La difesa e il ravvedimento sono analoghi: fattura immediatamente le operazioni mancate (in realtà qui si può ancora emettere tardivamente la fattura, ancorché fuori tempo, per regolarizzare, pagando sanzione ridotta per fattura tardiva) e integra la dichiarazione se necessario. Quindi non pensi il professionista di essere esente: i POS vengono incrociati anche per loro, eccome.
D18: I pagamenti con Bancomat o carte di credito sono considerati tutti allo stesso modo? E i pagamenti via Bonifico?
R: La comunicazione degli operatori finanziari copre tutti i pagamenti elettronici tracciabili, il che include carte di credito, carte di debito (bancomat), carte prepagate e presumibilmente anche altre forme come pagamenti via smartphone se passano da circuiti (ApplePay, etc., ma in genere sono legati a carte). Non include i bonifici bancari, in quanto quelli sono rilevati diversamente: i bonifici transitano sui conti correnti e, se vogliono controllarli, usano l’archivio dei conti (indagini finanziarie classiche). Le lettere in oggetto parlano di incassi POS, quindi circuiti di pagamento. Un bonifico ricevuto per una vendita non rientra in questi dati (non è transato via POS). Questo però non significa che un bonifico per ricavo evaso non sia a rischio: semplicemente, sarebbe un’altra tipologia di controllo (l’Agenzia incrocia magari i conti correnti con il fatturato dichiarato). In futuro integreranno DAC7 per bonifici da piattaforme. Ma restando sul tema: carta di credito, bancomat o app di pagamento associata a carta per AE pari sono – sono tutti segnalati come “pagamenti elettronici”. Anche i pagamenti con codici tipo Satispay? Satispay tecnicamente non è carta ma wallet, però è probabile che rientri perché la società di pagamento avrà obbligo comunicativo (Satispay ha licenza di istituto di moneta elettronica). Per l’esercente, qualsiasi incasso non in contanti dev’essere considerato potenzialmente monitorato. Il contante resta fuori da questi incroci (per quello c’è magari il redditometro, o se depositato, poi appare in banca). Dunque il focus è su carte e affini. Non distingue se Bancomat o Visa, li somma.
D19: Se un cliente paga con carta ma poi chiede la fattura a posteriori (esempio: ricevuto scontrino, poi vuole fattura, e io stornai scontrino e feci fattura un mese dopo), questo può creare un disallineamento temporaneo. Come gestirlo?
R: Casi particolari come questo possono succedere. Idealmente, se emetti una fattura differita devi avere lo scontrino parlante o annullare lo scontrino e far la fattura contestualmente al pagamento. Se invece è passata molta acqua (fattura fatta successivamente in un altro mese), potrebbe risultare che nel mese del pagamento POS manca un corrispettivo (perché hai stornato scontrino) e appare nel mese dopo (la fattura). L’AE potrebbe segnalare anomalia su base mensile. Infatti si è notato che le compliance attuali ragionano per mese, il che complica se operazioni a cavallo. Se hai documentazione che collega pagamento e fattura emessa successivamente, spiegherai così. Magari l’AE potrebbe già averlo visto (perché guardando totali annuali torna, erano solo mesi sfasati). Non è escluso che segnalino comunque su mensilità, come sembra facciano. In tal caso, nella risposta di compliance lo segnali: es. “Il pagamento di €XYZ di maggio risulta non fatturato in quel mese poiché, su richiesta cliente, ho emesso fattura a giugno (allegata), avendo stornato il corrispettivo di maggio. Pertanto non vi è evasione, ma solo differimento.”. Dovrebbe bastare. È anche vero che la norma vorrebbe fattura contestuale se richiesta, ma vabbè. Questi tecnicismi, se tutto risulta, non portano sanzioni.
D20: La lettera di compliance incassi POS può essere usata come prova a mio favore se un domani dicono che ho evaso?
R: Curiosità: in teoria, se il Fisco in un altro contesto ti contestasse ricavi non dichiarati senza aver prima fatto compliance, tu potresti dire “non mi avete dato la possibilità del contraddittorio come fate di solito”. Ma non è un diritto esigere la lettera di compliance; l’AE potrebbe legittimamente accertare direttamente. Quindi non molto utilizzabile come pretesa. Però, supponiamo tu abbia risposto alla lettera fornendo spiegazioni e la cosa sia rimasta in sospeso: se poi ti facessero accertamento ignorando quelle spiegazioni, potrai portarle a tua difesa evidenziando di averle già comunicate. La lettera e la tua risposta fanno parte del fascicolo amministrativo. In generale, la compliance è un favore che fanno al contribuente, non un obbligo procedurale. Non esiste nullità di un accertamento per mancata compliance. Diverso è il contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio in alcune ipotesi (es. soggetti con studi di settore/ISA, o accertamenti finanziari in sede verifiche in loco). Ma qui siamo in fase volontaria. Quindi direi: la lettera serve a evitare un atto, non a difenderti dopo che l’atto c’è.
10. Esempi pratici e casi simulati
Per rendere più chiari i concetti, proponiamo di seguito alcuni esempi pratici (ispirati a casi reali o plausibili) di anomalie riscontrate e di possibili risposte/soluzioni adottate dal contribuente, con esito.
Esempio 1: Duplicazione di dati – il caso del bar di Mario. Mario gestisce un bar. A ottobre 2023 riceve una lettera di compliance che gli contesta per l’anno 2022 incassi POS non dichiarati per €60.000. Mario resta sorpreso: è certo di aver battuto tutti gli scontrini. Analizzando il prospetto AE, nota che in molti giorni gli importi segnalati sono esattamente doppi rispetto al suo z-report di cassa. Ad esempio, il 15/08 vede €1.200 POS vs €600 scontrini (e Mario sa che a Ferragosto incassò sui 600). Appare evidente un errore di duplicazione nei dati trasmessi dalla banca (un tipico caso di quelli che hanno portato all’annullamento). Mario predispone allora una risposta: elenca una decina di esempi di date con importi doppi, allega i suoi report di cassa di quei giorni evidenziando la corrispondenza con la metà degli importi segnalati. Sottolinea che la ripetizione perfetta degli importi è indice di errore sistematico del fornitore POS. Chiede quindi formalmente all’AE di verificare con l’operatore finanziario quei dati. Contestualmente, essendo prudente, Mario verifica i suoi incassi reali: trova solo una piccola svista (un pagamento bancomat di €50 a cui effettivamente non corrisponde scontrino, per distrazione). Decide di ravvedere quel singolo importo (versa IVA €4 con sanzione 500 ridotta). Nella sua lettera lo dichiara apertamente: “a onor del vero, riscontro un’unica operazione non documentata per €50 il 10/07/22, già regolarizzata con scontrino tardivo e ravvedimento, ma ciò non giustifica il contestato importo complessivo di €60.000”. L’Agenzia, ricevuti gli elementi, annulla la comunicazione nell’ambito del blocco generale di quelle errate, inviandogli PEC di scuse. Caso risolto: Mario ha perso qualche ora per analizzare ma ha evitato un accertamento abnorme.
Esempio 2: Terzo intermediario – il ristorante di Lucia e la piattaforma FoodApp. Lucia gestisce un ristorante e aderisce al servizio FoodApp per consegne a domicilio. I clienti che ordinano tramite FoodApp pagano online o con POS del rider. FoodApp raccoglie i pagamenti e a fine mese versa a Lucia, con bonifico, l’importo degli ordini meno la commissione del 20%, allegando report. Lucia inizialmente faceva lo scontrino per ogni ordine al momento della consegna al rider, ma a metà 2022 FoodApp le chiede di non farlo perché emettono loro ricevute digitali al cliente. Lucia smette di battere scontrini per FoodApp, limitandosi a registrare a fine mese un corrispettivo cumulativo pari all’incasso netto ricevuto (per non sballare la contabilità). Morale: per quell’anno FoodApp ha incassato dai clienti circa €100.000 per ordini di Lucia, e ha versato a Lucia €80.000 netti. Lucia ha dichiarato come ricavi €80.000 (tra l’altro forfettaria). A luglio 2024 arriva lettera AE: contestano “incassi POS non dichiarati €100.000” – praticamente l’importo lordo, immagazzinato dai circuiti POS dei rider. Lucia è spaventata: in effetti non ha dichiarato quei 20k di commissioni né l’IVA su di essi. Ma soprattutto, vede duplicazione perché AE la tratta come se avesse incassato 100k quando lei 20k non li ha mai visti (andati a FoodApp). Come si difende? Chiave: FoodApp è soggetto terzo, ma i pagamenti risultano come transazioni elettroniche su POS (probabilmente intestati a FoodApp stessa). Lucia prepara: copia del contratto con FoodApp dove c’è scritto che la piattaforma incassa per conto del ristorante, documenti che mostrano i versamenti netti e la commissione. Spiega all’AE che “gli importi contestati non sono stati incassati direttamente dall’esercente, ma tramite FoodApp, che tratteneva una commissione. I corrispettivi netti sono stati dichiarati; la differenza è la commissione passiva non imponibile per me, su cui semmai FoodApp dovrà dichiarare il suo ricavo”. L’AE analizza e in effetti riconosce che c’è un’intermediazione. Può darsi contatti FoodApp per conferme. La posizione di Lucia viene rettificata: l’AE le chiede solo di dichiarare i 20k come costo e ricavo passante – probabilmente nulla di dovuto. Questo esempio mostra l’importanza di evidenziare le transazioni effettuate “tramite terzi”.
Esempio 3: Omissione volontaria – il negozio di abbigliamento di Carlo. Carlo ha un negozio di vestiti. Nel 2023 ha avuto difficoltà e, credendo di fare il furbo, ha ometto scientemente di battere alcuni scontrini quando i clienti pagavano con carta, pensando che comunque erano importi modesti sparsi. In totale, su €200.000 di incassi via POS, ne ha registrati solo 150.000. A metà 2024 riceve lettera dall’AE: “anomalie incassi POS 2023 per €50.000”. Carlo si rende conto di essere stato scoperto. Decide, su consiglio del commercialista, di correre ai ripari. Analizza mese per mese gli scostamenti: la maggior parte coincide con saldi di fine stagione e altre vendite che aveva deliberatamente non scontrinato. Non ci sono scuse, ha evaso IVA e reddito. Carlo quindi procede immediatamente a predisporre una dichiarazione integrativa 2023, aggiungendo €50.000 di ricavi. Versa l’IVA relativa (€11.000) e l’IRPEF dovuta (~€13.000, supponendo un’aliquota media 26%), più interessi e sanzioni ridotte da ravvedimento (calcolate al 1/8 del 90%, essendo entro un anno: circa €2.475 di sanzione IVA e simile per IRPEF). In totale, con ~€28.000 Carlo si mette in regola, evitando un potenziale accertamento che gli sarebbe costato forse il doppio tra sanzioni piene. Scrive all’AE comunicando di aver regolarizzato ai sensi art.13 DLgs 472/97. L’AE verifica i versamenti e archivia la pratica. Certo, Carlo ha perso quei soldi evasi, ma almeno ha scongiurato sanzioni future e il rischio di denuncia (50k di IVA evasa in questo caso non superava soglia penale, per fortuna sua). La lezione per lui: non sottovalutare il Fisco digitale. Dopo questo episodio, Carlo ha promesso di non farlo più, anche perché la prossima volta potrebbe andargli peggio (sospensione attività se recidivo). Si può dire che la compliance ha funzionato: ha portato a “ravvedimento” sia fiscale che morale.
Esempio 4: Presunto scostamento per pranzi di gruppo – la trattoria di Anna. Anna gestisce una trattoria. Capita spesso che tavolate di 8-10 persone paghino ognuno la sua parte in cassa. Un giorno di aprile 2023, un gruppo di 10 persone ha invece deciso che uno solo pagava l’intero conto con carta (€300), ma ha chiesto ad Anna di fare ricevute separate per ciascuno (ognuno voleva la ricevuta per nota spese personale). Così Anna ha emesso 10 documenti commerciali da €30 l’uno (non fatture, ma scontrini separati) e poi ha incassato un unico pagamento POS da €300. Nel sistema, risultano 10 scontrini per €30 = €300 – fin qui ok – ma la particolarità è che quegli scontrini sono stati emessi uno dietro l’altro in pochi minuti. La AE confrontando dati giornalieri vede: 10 scontrini = €300, 1 transazione POS = €300. In teoria quadrerebbe, ma l’algoritmo forse segnala che c’è 1 transazione vs 10 scontrini, il che potrebbe sembrare “più scontrini che pagamenti”. In effetti è il contrario del solito (di solito anomalia è più pagamenti che scontrini). Questo scenario non dovrebbe generare lettera (perché l’incasso totale coincide). Ma ipotizziamo che per un errore di associazione temporale, la transazione POS sia stata contabilizzata il giorno dopo (essendo a fine giornata). Allora AE vede: giorno 30/4 – 10 scontrini €300, pagamenti POS €0 (perché €300 arrivato il 1/5). E giorno 1/5 – 0 scontrini, €300 POS. Due anomalie speculari. Un funzionario attento capirebbe che combaciano, ma il sistema automatico forse no. Anna a ottobre 2024 riceve lettera che dice “anomalia: aprile 2023 €300 incassi pos non giustificati; maggio 2023 €300 pos senza scontrini” – in realtà incrociando i due mesi si annullano. Anna nella risposta evidenzia l’accaduto: invia copia dei 10 scontrini del 30/4 e spiega che il pagamento cumulativo è stato contabilizzato il 1/5. Dimostra quindi che non c’è evasione alcuna ma solo un timing mismatch. L’Agenzia prende atto e chiude l’anomalia come caso risolto con chiarimenti. Questo esempio (basato su situazioni reali evidenziate dagli esperti) dimostra che a volte servono spiegazioni sofisticate su come funzionano i pagamenti.
Esempio 5: Uso improprio del POS – il caso di Franco. Franco ha un negozio, e ogni tanto aveva bisogno di contanti in più sul conto. Invece di fare versamenti in banca (che potevano insospettire per nero), ha pensato male di auto-farsi transazioni con il proprio POS con carte di familiari: praticamente strisciava 1000€ sul suo POS con la carta del fratello, gli addebitava sul conto e contestualmente lui depositava 1000€ contanti al fratello. Così quei 1000€ apparivano come incasso elettronico (apparentemente una vendita) ma in realtà erano solo spostamento di contante di Franco su conto (forse per evitare girare con troppi contanti). Franco non li registrava come vendita (perché sennò pagherebbe iva/tasse su soldi suoi), quindi dal suo punto di vista non era una vendita. Ebbene, a fine anno AE vede incassi POS X e corrispettivi X-qualcosa: la differenza è proprio il totale di queste transazioni “simulate”, ad esempio 5.000€. Franco riceve lettera per €5.000 non dichiarati. Ora, come spiegarlo? Difficile: formalmente, per AE, se hai passato soldi dal POS sono ricavi salvo prova contraria. Franco dovrebbe provare che quei movimenti erano finanziamenti infruttiferi o movimenti personali. Non c’è documento fiscale perché volontariamente non l’ha fatto. Potrebbe mostrare che nei giorni tali ha prelevato dal suo c/c la stessa cifra o ha bonificato al fratello poi, insomma creare una spiegazione. Resta borderline, l’ufficio potrebbe anche dire: “non esiste, se hai passato la carta nel POS è una vendita, punto”. Franco rischia qui. Forse con un bravo avvocato potrebbe sostenere la tesi che quei movimenti non configuravano cessione di beni o servizi (mancava presupposto IVA della cessione), erano artifici finanziari suoi. Ma così implicitamente ammette violazione normativa (i circuiti vietano di usarli per farsi prestiti). Comunque, Franco prova: scrive all’AE che quei 5k erano operazioni inesistenti commercialmente, fornisce dichiarazione firmata dal fratello che conferma di non aver acquistato nulla ma di aver partecipato a un trasferimento fondi familiare. Difficile da far digerire, ma magari c’è un funzionario comprensivo che preferisce lasciar perdere 5k così piuttosto che aprire un contenzioso incerto. Più probabile però che l’AE rigetti la spiegazione: di fatto, Franco ha creato proprio quello che la presunzione punisce – movimenti finanziari anomali. Se gliela respingono, Franco a quel punto ravvede e paga l’IVA e tasse su quei 5k (poco, ma sanzione minima 500 su ognuno se li trattano come 5 operazioni, ecco che scatta 2.500€ di multa). Dovrà ingoiare il rospo. Questo esempio estremo insegna: non usare il POS per operazioni simulate! La tracciabilità è un’arma a doppio taglio: se fai cose fuori dallo standard, le autorità possono interpretarle come evasione.
11. Tabelle riepilogative
Tabella 1 – Come reagire alla lettera di compliance: opzioni e conseguenze
Opzione del contribuente | Descrizione | Conseguenze previste |
---|---|---|
1. Fornire spiegazioni valide all’AE (entro i termini) | Il contribuente risponde alla lettera, documentando che l’anomalia è dovuta a errori o cause giustificabili (dati duplicati, transazioni stornate, incassi di terzi, sfasamenti temporali, ecc.). | L’AE valuta le prove:• Se le ritiene convincenti, archivia la segnalazione. Nessun accertamento verrà emesso. Il contribuente non subisce sanzioni.• Se parzialmente convincenti, l’AE potrebbe ridurre l’ammontare contestato (es. escludere la parte giustificata) e, per l’eventuale differenza residua, invitare comunque a ravvedersi.• Se non accolte (raramente, se le prove sono deboli), si passa allo scenario 3. |
2. Ravvedimento operoso spontaneo (regolarizzazione) | Il contribuente riconosce la fondatezza della segnalazione (tutti o parte dei ricavi non dichiarati) e provvede a dichiararli e pagarli spontaneamente con ravvedimento. | L’AE, ricevuta notifica della regolarizzazione (o vedendo i versamenti), chiude la pratica. Nessun ulteriore atto impositivo, poiché il contribuente ha assolto il dovuto. Le sanzioni amministrative pagate sono quelle ridotte per ravvedimento (molto inferiori alle ordinarie). Il ravvedimento tempestivo costituisce anche causa di non punibilità penale ex art.13 D.Lgs.74/2000 se erano superate soglie di reato. |
3. Inazione o spiegazioni respinte (“ignora la lettera”) | Il contribuente non risponde affatto oppure le sue spiegazioni sono rigettate dall’AE (perché prive di prove o perché ammette l’irregolarità ma non regolarizza). | La lettera si trasforma in un controllo formale/accertamento. L’AE procederà con emissione di un avviso di accertamento per i ricavi non dichiarati. Conseguenze:• Richiesta delle imposte evase + sanzioni piene (90%-180% imposta evasa, min €500 a operazione omessa) + interessi.• Probabile applicazione della sanzione accessoria sospensione attività se le violazioni giorni ≥4 (soprattutto se >€50k).• Eventuale segnalazione penale se superate soglie (imposta evasa >100k) – con rischio di procedimento penale e sequestro.• Il contribuente può ancora evitare il peggio definendo l’accertamento con adesione (sanzioni ridotte a 1/3) o pagando entro termini (riduzione 1/3) oppure affrontando un contenzioso tributario, dall’esito incerto. In ogni caso, i costi saranno molto più alti rispetto allo scenario 2. Inoltre, l’AE monitorerà con particolare attenzione il soggetto in futuro. |
Tabella 2 – Cause comuni di scostamento POS vs corrispettivi e possibili giustificazioni
Causa dello scostamento | Descrizione della situazione | Elementi di difesa (prova contraria) |
---|---|---|
Errori di trasmissione dati (doppia contabilizzazione) | L’operatore finanziario ha trasmesso importi duplicati o errati, facendo risultare incassi maggiori di quelli reali. | – Esempi nel prospetto: transazioni replicate con stesso importo/data.– Estratti conto bancari che mostrano accrediti doppi seguiti da storno.– Confronto con Z-report del registratore evidenziando la corrispondenza con metà degli importi segnalati. Esito: l’AE verifica con l’operatore; se confermato, annulla la segnalazione. |
**Pagamenti elettronici poi stornati/rimborsati | Alcune vendite pagate con carta sono state annullate/rimborsate al cliente, quindi l’incasso iniziale non costituiva ricavo effettivo. | – Documenti attestanti il rimborso: ricevute POS di storno, note di credito emesse al cliente, movimenti conto con addebito e accredito di pari importo.– Spiegazione scritta caso per caso (es. “cliente ha reso merce, rimborso transazione n…”)Esito: quelle transazioni vanno escluse dal computo ricavi; l’AE ridurrà l’anomalia dell’importo stornato. |
Incassi tramite POS di terzi (intermediari) | Parte dei pagamenti elettronici non è stata incassata direttamente dall’esercente ma da un intermediario (es. piattaforma online, società terza) che poi riversa i fondi al netto commissioni. | – Contratto con l’intermediario che descrive il flusso pagamenti.– Rendiconti della piattaforma che mostrano incassi lordi vs importi netti girati all’esercente.– Eventuale documentazione fiscale: se la piattaforma emette documento per conto del venditore o se le vendite erano fatturate diversamente.Esito: l’AE può comprendere che gli importi lordi POS includono commissioni non dovute dal contribuente o ricavi di competenza altrui. Si rettifica l’anomalia tenendo conto solo del netto dovuto. (Potrebbe emergere necessità di dichiarare le commissioni passive come costi, ma non evasione di ricavi). |
Differenze di tempistica (accrediti vs vendite) | Transazioni effettuate a fine mese o in giorni festivi accreditate in banca in mese diverso, causando disallineamenti mensili. Oppure scontrini emessi in un giorno e pagamento contabilizzato il giorno successivo. | – Dettaglio movimenti di fine mese: mostrare che, ad es., il totale POS di inizio mese X corrisponde a vendite fine mese X-1 già scontrinate.– Prospetto che abbina gli importi scalati da un mese all’altro (es. “31/03 €1000 pagato con carta, accreditato 01/04 €1000”).Esito: l’anomalia mensile viene spiegata; su base annua non vi è scostamento. L’AE generalmente accetta la spiegazione e non procede ad accertamento (può rimodulare eventuali controlli su base annua). |
Pagamenti cumulativi vs documenti multipli (“uno paga per tutti”) | Un singolo pagamento elettronico copre una pluralità di cessioni/servizi documentati separatamente (es. un cliente paga un conto unico ma vengono emessi più scontrini/ricevute intestate ai partecipanti). | – Descrizione della circostanza (es. “10 scontrini emessi per pranzo di gruppo, incassati con un’unica transazione POS”).– Copia dei documenti fiscali interessati e riferimento alla transazione unitaria.Esito: se il totale combacia, l’AE comprende che non c’è evasione ma solo diversa modalità di pagamento. L’anomalia viene ignorata/archiviata. |
Mancata/caratarda fatturazione di operazioni incassate con POS (per contribuenti con fatture) | Il contribuente ha incassato acconti o corrispettivi con carta senza (ancora) emettere la relativa fattura o con fattura emessa tardivamente. | – Se fattura poi emessa: allegarla e spiegare il gap temporale (es. “acconto incassato 01/07, fattura emessa 30/07 regolarizzando”).– Se dimenticata: emissione immediata ora e ravvedimento su tardiva fattura (sanzione art.6, co.1 D.Lgs.471/97) e su imposte annesse.Esito: AE può accettare spiegazione se fattura c’è (anche tardiva) e includerla nel calcolo. Se fattura del tutto omessa, si passa a regolarizzazione con ravvedimento (scenario simile a omesso scontrino). |
Omissione reale di corrispettivi (“vendite in nero”) | L’esercente non ha emesso scontrini/fatture per alcune vendite pur incassando i pagamenti tracciati. (Caso di evasione effettiva) | – Non esistono “prove” a discarico, essendo vero l’omesso incasso dichiarato. L’unica linea difensiva è minimizzare l’intento (es. errore occasionale) ma sul piano fiscale serve regolarizzazione.– Ravvedimento operoso: unica via per sanare, pagando imposte e sanzioni ridotte. Esito: se ravvede, niente accertamento (vedi sopra). Se non ravvede, accertamento con sanzioni piene e possibili guai penali se importi elevati. |
Tabella 3 – Sanzioni: confronto ravvedimento vs accertamento (ipotesi numeriche semplificate)
Si consideri un caso di ricavi non dichiarati per €50.000 + IVA 22% = €61.000 incassati tramite POS. Aliquota IRPEF media 30%. Si confrontino le somme dovute in caso di ravvedimento spontaneo e in caso di accertamento a esito contenzioso:
Voce | Ravvedimento operoso (entro 2 anni) (es. regolarizzazione nel 2024 su anno 2022, riduzione sanzioni 1/7) | Accertamento non definito (es. esito giudizio, sanzioni al minimo intero) |
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Imposta sul reddito evasa (30% di €50k) | €15.000 | €15.000 |
IVA evasa (22% di €50k) | €11.000 | €11.000 |
Totale imposte evase | €26.000 | €26.000 |
Sanzione infedele su IRPEF (90%) | €13.500 ridotta a 1/7 = €1.929 | €13.500 (90% di €15k) |
Sanzione infedele su IVA (90%) | €9.900 ridotta a 1/7 = €1.414 | €9.900 (90% di €11k) |
Sanzioni per mancata emissione di documenti (100% IVA per operazione, supponiamo 5 operazioni da €10k ciascuna, min €500 ognuna) | Base €5 * 500 = €2.500 ridotta a 1/7 = €357 | €2.500 (500€ × 5 operazioni) (in caso di contestazione formale separata, altrimenti potrebbe assorbirsi parzialmente in infedele) |
Totale sanzioni (somma infedeltà + corrispettivi) | ≈ €3.700 | ≈ €25.900 |
Interessi moratori (es.) | ~€800 (su imposte per 2 anni) | ~€800 (fino ad accertamento) |
Grand Total da pagare | ~ €30.500 (regolarizzando spontaneamente) | ~ €52.700 (a seguito di accertamento) |
Sanzione accessoria sospensione attività | Nessuna (ravvedimento evita contestazione ripetuta) | 3-30 giorni di chiusura (4+ violazioni emerse, importo >€50k => sospensione probabile) |
Rischio penale (dich. infedele) | No – pagando tutto prima di accertamento, scatta non punibilità ex art.13 D.Lgs.74/00 | Sì – superate soglie (100k imposta evasa? In questo esempio no, totale imposta evasa 26k<100k, quindi niente reato. Ma se importi maggiori e soglie superate, procedibilità penale) |
Nota: I numeri sopra sono ipotetici ma realistici. Evidenziano come la scelta di ravvedersi riduca l’esborso pecuniario a circa la metà (o meno) rispetto a subire un accertamento, oltre a scongiurare chiusure e possibili denunce. Più il comportamento evasivo è grave, più il divario aumenta (per soglie penali, il ravvedimento evita processi). Questo giustifica la politica del Fisco di spingere sul ravvedimento: conviene a entrambi – al contribuente, che risparmia sanzioni e problemi; all’erario, che incassa rapidamente le imposte dovute.
Conclusioni
Le lettere di compliance sugli incassi POS non dichiarati rappresentano uno strumento innovativo e ormai rodato nel panorama dei controlli fiscali italiani. Invece di colpire immediatamente con un accertamento, l’Amministrazione finanziaria offre al contribuente una sorta di “anticipazione” delle risultanze anomale, invitandolo a collaborare o a correggersi. Dal punto di vista del contribuente (debitore fiscale), questa è un’opportunità preziosa da non sprecare: consente infatti di disinnescare per tempo un potenziale contenzioso, con costi e sanzioni molto inferiori e senza il danno reputazionale di subire sanzioni pubbliche (come la chiusura dell’esercizio).
Come abbiamo visto, le possibili cause di scostamento tra i dati dei pagamenti elettronici e i corrispettivi dichiarati sono diverse: alcune del tutto innocue o tecniche (dati duplicati, timing di accrediti, ecc.), altre legate a situazioni particolari (pagamenti tramite terzi, acconti, ecc.), altre purtroppo riconducibili a evasione vera e propria (mancata certificazione intenzionale di vendite). In qualunque caso, la strategia migliore è affrontare la questione con trasparenza e tempestività:
- Se l’anomalia è frutto di un errore o di un equivoco, fornire all’Agenzia le prove di quanto accaduto, aiutandola a comprendere il perché dei dati apparentemente incoerenti. Nella gran parte dei casi, un funzionario troverà ragionevole la spiegazione corredata da documenti e chiuderà lì la faccenda.
- Se invece realmente non si è in regola, prendere l’iniziativa e regolarizzare spontaneamente evita conseguenze assai peggiori. Il nostro ordinamento, tramite il ravvedimento operoso e le cause di non punibilità penale, premia enormemente chi si pente e paga di sua volontà. Le lettere di compliance sono proprio un “nudge” – una spinta gentile – in questa direzione. Ignorarle è un errore che può costare caro, non solo economicamente ma anche in termini di possibili sanzioni accessorie che impattano sull’attività lavorativa (pensiamo alla sospensione della licenza).
Inoltre, la crescente integrazione dei sistemi informativi (collegamento POS-registratore telematico, banche dati condivise) fa sì che lo spazio per eventuali “zone d’ombra” sia sempre più ridotto. L’evasione dei corrispettivi, che un tempo si consumava nel chiuso di un cassetto, oggi lascia tracce digitali difficili da cancellare: ogni transazione elettronica genera un dato che viaggia e viene analizzato. Siamo in una fase storica in cui la tecnologia fiscale ha raggiunto il bancone del negozio. Per questo, dal punto di vista di un imprenditore o professionista, adeguarsi conviene. Adeguarsi significa implementare procedure interne per allineare perfettamente incassi e registrazioni, formare il personale, utilizzare al meglio gli strumenti (e dal 2026, sarà un obbligo hardware). Significa anche tenere un atteggiamento di compliance spontanea: se per distrazione capita un errore, meglio segnalarlo e ravvederlo subito, senza aspettare la lettera.
In conclusione, “come difendersi” dalle lettere di compliance non va inteso in senso antagonistico – non è una guerra col Fisco – bensì come come difendere la propria posizione fiscale mettendola in ordine prima che diventi un contenzioso. Le armi del contribuente in questa “difesa” sono la collaborazione attiva, la trasparenza e l’utilizzo intelligente degli istituti di legge (ravvedimento, contraddittorio, ecc.). Dall’altra parte, l’Amministrazione mostra (con qualche iniziale inciampo poi risolto) di voler privilegiare il dialogo e il rispetto del contribuente collaborativo, riservando la durezza sanzionatoria a chi persevera nell’inadempimento. Un equilibrio che, se mantenuto, potrà portare benefici reciproci: meno evasione per lo Stato, meno contenziosi e sanzioni per i cittadini, e un rapporto più equilibrato col Fisco improntato alla reciproca fiducia.
Naturalmente, resta essenziale che il contribuente eserciti anche i propri diritti di difesa ove necessario: se mai dovesse arrivare un accertamento ingiusto perché non si è tenuto conto delle spiegazioni fornite, ci sono gli strumenti per farli valere (autotutela, ricorso tributario). Ma confidiamo che, applicando i principi e i consigli di questa guida, la questione non debba arrivare a quel punto. La migliore difesa, in materia di compliance fiscale, è la prevenzione e la correttezza: ciò permette di affrontare con serenità qualunque verifica, lettera o controllo sapendo di poter giustificare ogni voce.
In definitiva, le lettere di compliance per incassi POS non dichiarati non sono un “incubo” punitivo, bensì – citando un commentatore – una “idea fissa” dell’Amministrazione per stanare sacche di evasione senza ricorrere subito al pugno di ferro, ma offrendo al contribuente la chance di rimediare. Sta a noi coglierla al volo.
Fonti normative, prassi e giurisprudenza citate
- Provvedimento AE 3 ottobre 2023 n. 352652/2023, Disposizioni attuative in materia di comunicazioni per la promozione dell’adempimento spontaneo riguardo pagamenti elettronici – (annunciato con comunicato AE 11/10/2023).
- Art. 22 D.L. 124/2019 (conv. L. 157/2019), Obbligo per gli operatori finanziari di comunicazione dei dati delle transazioni elettroniche – e Provv. Attuativi AE 30/06/2022 e 21/03/2025 n. 142285/2025. Stabilisce invio mensile all’AE di codici POS e importi totali giornalieri.
- Art. 2 D.Lgs. 127/2015, Memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi – come modificato da L. 197/2024 (L. Bilancio 2025) commi 74-77. Dal 2026 impone collegamento permanente tra registratore telematico e POS.
- Art. 11 co. 2-quinquies D.Lgs. 471/1997, Omessa o errata trasmissione corrispettivi – esteso ai pagamenti elettronici dal DL 39/2024 art.7 co.5. Sanzione €100 per invio mancante/errato (massimo €1.000 per trimestre).
- Art. 6 co.3 D.Lgs. 471/1997, Mancata emissione di scontrino/ricevuta fiscale. Sanzione pari al 100% dell’IVA relativa non documentata, minimo €500 per ciascuna operazione.
- Art. 12 co.2 D.Lgs. 471/1997, Sanzione accessoria sospensione attività: 3 giorni-1 mese se constatate 4 violazioni di emissione scontrino in 5 anni (15 giorni-6 mesi in caso di recidiva aggravata). Cass. 25281/2017 conferma irrilevanza importo minimo.
- D.L. 39/2024 (conv. L. 58/2024), art. 7 co.5: inserisce sanzione 2.000-21.000€ per operatori finanziari per omissioni/ritardi/errori comunicazione pagamenti POS (nuovo art.10 co.1-ter D.Lgs. 471/97).
- L. 197/2024 (Bilancio 2025), art.1 commi 74-77: obbligo di collegamento POS-cassa dal 2026 e relative sanzioni (estensione art.11 co.5 D.Lgs.471/97: €1.000-4.000 per mancato collegamento; estensione art.12 co.2-3 D.Lgs.471/97: sospensione dopo 4 violazioni di mancato collegamento/memorizzazione).
- D.Lgs. 74/2000, artt. 4 e 5: reati di dichiarazione infedele (>€100k imposta evasa e >10% ricavi occultati/ >€2M) e omessa dichiarazione (>€50k imposta evasa). Pena infedele: reclusione 2-5 anni; omessa: 2-5 anni.
- D.Lgs. 74/2000, art. 13: Causa di non punibilità per pagamento integrale. Estingue reati di cui agli artt. 4 (infedele) e 5 (omessa) se il debito tributario (imposte, sanzioni e interessi) è estinto prima dell’apertura del dibattimento.
- Cass. Civ. Sez. V, 1° luglio 2015 n. 13494 – Presunzione da incassi POS: “la discordanza tra somme riscosse tramite carta/POS e ricavi dichiarati integra presunzione legale di maggiori ricavi, analogamente agli accrediti su c/c bancari”. Onere al contribuente di provare una diversa destinazione di tali accrediti. Conferma legittimità accertamento analitico-induttivo ex art.39 DPR 600/73 in tali casi.
- Cass. Civ. Sez. V, ord. 22 luglio 2020 n. 15586 – Pagamenti tramite POS in numero superiore agli scontrini: costituiscono fatto noto che legittima presunzione di ricavi non dichiarati, spostando l’onere sul contribuente di giustificare ogni incasso rilevato. Nel caso, contribuente non forniva prove documentali (ipotizzava sfasamenti temporali non provati) – accertamento confermato.
- Cass. Civ. Sez. V, ord. 19 novembre 2020 n. 26322 – Sanzione sospensione attività, soglia minima irrilevante: la sospensione ex art.12 co.2 D.Lgs.471/97 scatta con 4 violazioni anche se di importo esiguo (nel caso, 3 scontrini con differenze di 0,50€ ciascuno, totale €1,50). Confermato che non importa la modalità di contestazione (unico verbale con 4 infrazioni vale come 4 distinte).
- Cass. Civ. Sez. V, 30 luglio 2018 n. 20106 – (citata in massima: conferma orientamento su presunzioni da movimenti finanziari; nel testo integrale si menziona Cass. 21078/2018 e 20109/2018 analoghe all’ord. 2020).
- Direttiva UE 2021/514 (DAC7) – obbligo comunicazione importi incassati tramite piattaforme digitali (locazioni brevi, vendite online) a partire dai dati 2023, con scambio automatico. Rilevato in Direttiva AE controlli 2025.
- Direttiva interna AE “Linee guida controllo 2025” – a firma vicedirettore Fabio Iagnocco, anticipata da ItaliaOggi: enfasi su monitoraggio di chi non aderisce a compliance e ravvedimento; focus su “evasori dei POS” (tracciato non coordinato con emissione scontrino); creazione liste di soggetti con incongruenze tra acquisti (dati fatture) e flussi finanziari, segno di utilizzo di contanti da ricavi in nero; verifiche su forfettari fittizi in base ai dati finanziari.
- Circolari e prassi AE: (non direttamente citate nel testo, ma di riferimento) Circ. AE 16/E/2016 su compliance; Circ. AE 19/E/2020 sul rafforzamento adempimento spontaneo; Comunicato stampa AE 11/10/2023 sull’annullamento lettere POS errate.
Lettere di compliance per presunti incassi POS non dichiarati: Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate per presunti incassi tramite POS non dichiarati?
Ti contestano differenze tra i movimenti registrati dal terminale di pagamento e i ricavi dichiarati in dichiarazione dei redditi?
Negli ultimi anni il fisco incrocia i dati trasmessi dai circuiti bancari dei POS con le dichiarazioni fiscali, e in caso di incongruenze invia lettere di compliance per chiedere chiarimenti o invitare alla regolarizzazione. Spesso, però, gli importi contestati comprendono operazioni non imponibili, rimborsi o incassi già dichiarati, generando errori e richieste ingiustificate. In queste situazioni è fondamentale rispondere correttamente per evitare accertamenti formali e sanzioni.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza la lettera di compliance e i dati trasmessi dal tuo POS confrontandoli con le tue dichiarazioni fiscali
📌 Individua eventuali errori nei calcoli o operazioni escluse dall’imponibile
✍️ Predispone risposte formali all’Agenzia delle Entrate per chiarire e regolarizzare la posizione senza sanzioni pesanti
⚖️ Ti assiste in caso di apertura di un vero e proprio accertamento, predisponendo ricorsi e memorie difensive
🔁 Valuta piani di ristrutturazione del debito o definizioni agevolate se emergono somme effettivamente dovute
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e verifiche fiscali su incassi elettronici
✔️ Specializzato nella difesa di professionisti e imprese da accertamenti su POS e pagamenti digitali
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Una lettera di compliance per presunti incassi POS non dichiarati non significa automaticamente che devi pagare quanto richiesto.
Con una risposta corretta e una strategia difensiva mirata puoi evitare sanzioni e tutelare la tua attività.
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