Sei un ex socio di una libreria e ti ritrovi con debiti da pagare?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi, pignoramenti o solleciti per forniture, finanziamenti o tasse non pagate dalla libreria e temi di dover rispondere con il tuo patrimonio personale? In questi casi è fondamentale capire quali sono le tue effettive responsabilità, come difenderti legalmente e quali strumenti puoi usare per ridurre o chiudere i debiti.
Quando un ex socio di libreria può ritrovarsi con debiti
– Quando era socio di una società di persone (SNC o SAS) e risponde in solido dei debiti contratti durante il periodo di partecipazione
– Quando ha prestato garanzie personali (fideiussioni) per mutui, forniture o contratti della libreria
– Quando il recesso dalla società non è stato formalizzato correttamente e i creditori continuano a richiedere il pagamento
– Quando restano pendenti pendenze fiscali, contributive o debiti verso fornitori maturati in passato
– Quando vertenze legali o cause avviate durante la gestione si concludono con condanne al pagamento
Cosa può accadere a un ex socio con debiti
– Pignoramento di conti correnti, stipendi o pensioni
– Iscrizione di ipoteche su immobili di proprietà
– Pignoramento presso terzi di crediti e somme a lui dovute
– Segnalazione come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie
– Aumento del debito per interessi, sanzioni e spese legali
Cosa può fare un ex socio di libreria per difendersi dai debiti
– Far analizzare da un avvocato la natura dei debiti e verificare la propria effettiva responsabilità, valutando se sono prescritti o contestabili
– Se si tratta di cartelle esattoriali, valutare la possibilità di rateizzazione, rottamazione o saldo e stralcio
– Attivare la procedura di sovraindebitamento per ridurre o azzerare legalmente le somme dovute
– Trattare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per evitare azioni esecutive
– Contestare o revocare fideiussioni personali se vi sono i presupposti di legge
– Proteggere beni personali e familiari con strumenti giuridici legittimi
Cosa può ottenere un ex socio con la giusta assistenza legale
– L’esclusione dalla responsabilità per debiti contratti dopo l’uscita dalla società
– La sospensione di pignoramenti e altre azioni esecutive
– La riduzione del debito complessivo tramite accordi o procedure giudiziarie
– La tutela del patrimonio personale e delle entrate
– La chiusura definitiva delle posizioni debitorie e la possibilità di ripartire senza vincoli
Attenzione: anche se non sei più socio della libreria, potresti essere ancora responsabile per i debiti maturati durante la tua partecipazione o garantiti personalmente. Per questo è essenziale agire subito, verificare la tua reale posizione e utilizzare tutti gli strumenti di difesa disponibili.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti commerciali, responsabilità degli ex soci e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se sei un ex socio di libreria con debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la situazione.
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Introduzione
Essere un ex socio di una libreria (ad esempio di una società che gestiva un negozio di vendita libri) e ritrovarsi sommerso dai debiti dell’attività può sollevare questioni cruciali: i creditori (Fornitori, Banche, Agenzia delle Entrate, INPS, ecc.) possono rivalersi sul tuo patrimonio personale? Entro quali limiti e a quali condizioni? La risposta varia in base a diversi fattori chiave: il tipo di forma giuridica dell’attività (società di persone, società di capitali o ditta individuale), il ruolo che avevi (socio amministratore, socio accomandante, garante di finanziamenti, ecc.) e la natura del debito in questione (debiti tributari verso il Fisco, debiti contributivi verso enti previdenziali, esposizioni con fornitori privati o banche, ecc.).
In generale, nel diritto italiano vige il principio che nelle società di capitali (come S.r.l. o S.p.A.) i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti della società, mentre nelle società di persone (S.n.c., S.a.s., società semplici) i soci illimitatamente responsabili rispondono solidalmente dei debiti sociali con tutti i loro beni personali. Tuttavia vi sono importanti eccezioni e precisazioni a questo schema di base. Ad esempio: un socio unico di S.r.l. può perdere il beneficio della responsabilità limitata in certe circostanze (ad es. mancata integrale liberazione dei conferimenti o inosservanza di obblighi di legge); oppure, l’ex socio di una società di persone rimane obbligato per i debiti sorti durante la sua partecipazione. Inoltre, normative speciali come l’art. 2495 c.c. e l’art. 36 del D.P.R. 602/1973 disciplinano la responsabilità post-chiusura di soci e liquidatori per alcuni debiti (ad esempio i debiti fiscali o contributivi non pagati in sede di scioglimento societario).
Dal punto di vista del debitore: in questa guida esamineremo le strategie difensive che un ex socio debitore può adottare. Ci concentreremo su come contestare richieste di pagamento ritenute infondate o eccessive – ad esempio cartelle esattoriali notificate indebitamente all’ex socio, decreti ingiuntivi da fornitori per fatture non saldate, diffide di pagamento di banche, ecc. – sfruttando tutti gli strumenti previsti dalla legge per escludere o limitare la responsabilità personale. In particolare, vedremo come far valere il beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale (nelle società di persone), come opporre ai creditori la propria uscita dalla società per debiti sorti successivamente, e come utilizzare a proprio favore le più recenti sentenze (anche a Sezioni Unite della Cassazione) che hanno chiarito i confini della responsabilità degli ex soci.
Struttura della guida: inizieremo delineando le diverse tipologie di società ed il relativo regime di responsabilità dei soci, distinguendo anche il caso dell’impresa individuale. Proseguiremo analizzando le varie situazioni a seconda del tipo di debito: debiti tributari verso il Fisco, debiti contributivi verso l’INPS e altri enti, debiti verso fornitori, banche o altri creditori privati. Per ciascuna categoria evidenzieremo cosa rischia l’ex socio. In seguito, presenteremo le strategie generali di difesa e gli strumenti previsti dall’ordinamento (incluse le nuove procedure di composizione negoziata della crisi e di esdebitazione per liberarsi dai debiti). Saranno incluse domande frequenti con risposte puntuali, tabelle riepilogative dei principi chiave e alcune simulazioni pratiche ispirate a casi reali (ad esempio la difesa contro una cartella esattoriale intestata all’ex socio, o la richiesta di una banca verso un ex socio che aveva prestato garanzia personale). Infine, forniremo un elenco di fonti normative e giurisprudenziali aggiornate per ulteriori approfondimenti. (Nota: tutte le norme e sentenze citate si riferiscono all’ordinamento italiano; le situazioni ipotizzate assumono che l’attività della libreria si sia svolta in Italia).
Tipologie di società e responsabilità dei soci
Prima di affrontare le specifiche dei vari debiti, è fondamentale capire come varia la responsabilità dei soci a seconda della forma giuridica dell’impresa. Le principali fattispecie in cui può rientrare una libreria sono:
- Società di persone (ad esempio Società in Nome Collettivo – S.n.c., Società in Accomandita Semplice – S.a.s., società semplice o società di fatto);
- Società di capitali (tipicamente Società a Responsabilità Limitata – S.r.l., ma in teoria anche S.p.A. o cooperativa, sebbene poco comuni per piccole librerie);
- Impresa individuale (ditta individuale, cioè la libreria intestata a una persona fisica senza società).
Esaminiamo ciascuna forma evidenziando il regime di responsabilità dei soci (o del titolare) e il trattamento dell’ex socio una volta usciti dall’attività.
Società di persone (S.n.c., S.a.s., società semplice)
Nelle società di persone vige il principio della responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali (fatta eccezione per i soci accomandanti nelle S.a.s., come vedremo). Ciò significa che i creditori della società possono rivalersi sull’intero patrimonio personale di ciascun socio per l’intero importo del debito sociale, salvo poi il diritto di regresso interno tra soci. Questa responsabilità è però sussidiaria: il creditore deve prima escutere (aggredire) il patrimonio sociale e solo in via subordinata quello personale dei soci. In termini pratici, l’art. 2304 c.c. sancisce il beneficio di escussione preventiva: i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dai singoli soci finché non abbiano escusso – senza successo – i beni della società. Questo beneficio opera solo in sede esecutiva (cioè di recupero forzoso del credito), ma non impedisce al creditore di chiedere ed ottenere un titolo esecutivo (come una sentenza o un decreto ingiuntivo) anche contro i soci prima di aver tentato sulla società. In altre parole, il creditore può citarvi in giudizio insieme alla società e ottenere una condanna anche a vostro carico, ma potrà pignorare i vostri beni solo se i beni sociali risultano insufficienti.
Nell’ambito delle società di persone è utile distinguere:
- S.n.c. (Società in nome collettivo): tutti i soci sono illimitatamente e solidalmente responsabili per i debiti sociali (artt. 2291 e 2298 c.c.). L’ex socio di una S.n.c. continua a rispondere dei debiti contratti fino al momento in cui è uscito dalla società. L’art. 2290 c.c. prevede infatti che, nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi (o i suoi eredi) rimane responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno dello scioglimento. Invece, per le obbligazioni sorte successivamente all’uscita, l’ex socio normalmente non risponde. Attenzione però: lo scioglimento del rapporto sociale deve essere reso conoscibile ai terzi con mezzi idonei, tipicamente mediante iscrizione della cessazione del socio nel Registro delle Imprese. In mancanza di tale pubblicità, lo scioglimento non è opponibile ai terzi che lo abbiano ignorato in buona fede. Ciò significa che, se non avete iscritto tempestivamente la vostra uscita dal Registro Imprese, un creditore che abbia contratto con la società ignorando (senza sua colpa) che non eravate più soci potrebbe considerarvi ancora responsabili. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha confermato che il socio cedente di una S.n.c. risponde verso i terzi – compreso il Fisco – delle obbligazioni sorte fino all’iscrizione della cessione della quota nel Registro Imprese, a meno che il terzo fosse altrimenti a conoscenza dell’uscita. Dunque, per l’ex socio è cruciale provare di aver reso pubblica e conoscibile la propria uscita (esibendo ad esempio una visura camerale aggiornata) per evitare responsabilità su debiti successivi alla stessa. Inoltre, il socio uscente resta responsabile solo delle obbligazioni già esistenti al momento dell’uscita: se un debito sorge dopo, non potrà essergli imputato, purché la sua uscita sia stata formalizzata e comunicata correttamente.
- S.a.s. (Società in accomandita semplice): in questa forma societaria vi sono due categorie di soci:
- I soci accomandatari, che hanno poteri di gestione e sono illimitatamente e solidalmente responsabili dei debiti sociali (come i soci di S.n.c.).
- I soci accomandanti, che non partecipano alla gestione (pena la perdita della limitazione) e godono di responsabilità limitata alla quota conferita. Un socio accomandante non risponde personalmente dei debiti sociali né durante la partecipazione né dopo la sua uscita, salvo che abbia indebitamente ingerito nella gestione diventando di fatto responsabile. Dunque un ex socio accomandante, in condizioni normali, non può essere obbligato a pagare i debiti della S.a.s., nemmeno su pressioni dei creditori: egli potrà eccepire, se necessario, che ex art. 2313 c.c. solo i soci accomandatari rispondono illimitatamente. Va però ricordato che se il socio accomandante ha prestato garanzie personali (es. una fideiussione bancaria a favore di un fornitore), dovrà onorarle secondo i termini contrattuali indipendentemente dal fatto di essere accomandante – perché in tal caso agisce come garante e non come socio. In assenza di garanzie personali, dunque, l’ex accomandante può opporsi alle richieste di pagamento sostenendo il proprio difetto di legittimazione passiva (cioè che legalmente non è tenuto a quel pagamento). È comunque prudente assicurarsi che i creditori conoscano la posizione di accomandante (basta verificare la visura: se il nome non figura come amministratore, quel soggetto era accomandante) e, in caso di contestazioni, comunicare formalmente ai creditori la propria qualifica di mero accomandante, così da dissuaderli da eventuali azioni infondate.
- Altre società di persone:
- Società semplice (S.s.): raramente utilizzata per un’attività commerciale come una libreria (la società semplice non può svolgere attività commerciale in forma abituale). In ogni caso, anche nella S.s. vige la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci (non essendovi distinzione di accomandanti), con meccanismi analoghi: l’ex socio di S.s. risponde dei debiti sorti prima della sua uscita, se non opponibile ai terzi.
- Società di fatto (irregolare): se la libreria è stata gestita come società di fatto (senza atto costitutivo formale né iscrizione al Registro Imprese), i soci di fatto rispondono comunque illimitatamente. L’uscita informale di un socio di fatto è più difficile da provare verso i terzi, quindi l’ex socio di fatto potrebbe incontrare maggiori difficoltà nel liberarsi delle pretese dei creditori, dovendo dimostrare la cessazione del rapporto societario con altri mezzi.
Nota: in tutte le società di persone, se la società viene sciolta e liquidata, dopo la cancellazione dal Registro Imprese i creditori insoddisfatti possono agire contro gli ex soci illimitatamente responsabili senza limiti di importo (a differenza dei soci di S.r.l., come vedremo). L’art. 2312 c.c. dispone infatti che i creditori non soddisfatti nella liquidazione di una società di persone possono far valere i loro crediti sui soci. Non esiste un limite quantitativo legato a somme riscosse (poiché i soci di persone rispondevano già illimitatamente), ma ovviamente l’azione contro gli ex soci rimane soggetta alla prescrizione ordinaria dei crediti (generalmente 10 anni per crediti contrattuali). Alcune pronunce giurisprudenziali hanno inoltre ritenuto che la cancellazione della società dia luogo a un termine di decadenza di 5 anni entro cui i creditori devono attivarsi verso gli ex soci, pena la perdita del diritto di agire. Tale orientamento – non pacifico – deriva per analogia da quanto previsto per le società di capitali e da alcune indicazioni della Cassazione a Sezioni Unite. In pratica, se sono trascorsi più di 5 anni dalla cancellazione della società di persone, l’ex socio potrebbe eccepire che l’azione nei suoi confronti è tardiva (anche se il credito in sé non è prescritto). È bene tuttavia affidarsi a un legale per valutare questa eccezione, dato che non tutti i giudici la accolgono uniformemente.
Società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a., cooperative)
Nelle società di capitali vige il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta: la società è un soggetto giuridico distinto e risponde solo con il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali. I soci di regola hanno responsabilità limitata alle somme conferite (art. 2462 c.c. per le S.r.l.). Dunque, se la libreria era gestita tramite una S.r.l., l’ex socio semplice (cioè privo di ruoli di amministrazione e che non abbia prestato garanzie personali) non è personalmente obbligato a ripagare i debiti sociali. Questo vale sia durante la vita della società sia dopo l’eventuale uscita o cessione delle quote. Un creditore non potrà agire sul patrimonio personale di un ex socio di S.r.l. per debiti della società, a meno che ricorra una circostanza particolare tra quelle che ora vedremo.
Le principali eccezioni al principio di limitazione della responsabilità del socio di società di capitali sono:
- Conferimenti non liberati: se al momento dell’uscita il socio non aveva ancora versato interamente il capitale sottoscritto, la società (o eventualmente il curatore fallimentare in caso di insolvenza) potrà esigere quel residuo anche dopo la cessazione. L’obbligo di versare i conferimenti dovuti persiste fino a completa liberazione della quota. Ad esempio, se avevi una quota di S.r.l. di €10.000 e ne avevi versati solo €5.000, potresti essere chiamato a versare i €5.000 residui qualora la società non abbia mezzi per pagare i debiti, anche dopo aver ceduto la quota.
- Socio unico e osservanza delle formalità: se la S.r.l. era a socio unico, la legge richiede che tale situazione sia pubblicizzata e che il conferimento sia interamente versato (art. 2470 e 2462 c.c.). In mancanza, il socio unico perde la responsabilità limitata e risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’unicità non risultava legalmente dichiarata. Ad esempio, il socio unico che non deposita presso il registro delle imprese la dichiarazione di sottoscrizione/versamento del capitale sociale secondo legge, può essere ritenuto personalmente responsabile dei debiti sociali contratti in quel frangente.
- S.r.l. cancellata con debiti residui: se la società di capitali viene sciolta e cancellata dal Registro Imprese ma restano debiti insoddisfatti, i creditori possono farli valere contro gli ex soci entro certi limiti. L’art. 2495 c.c. prevede infatti che, dopo la cancellazione, i creditori sociali insoddisfatti possono agire verso i soci nei limiti delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. In altre parole, ciascun ex socio di S.r.l. può essere chiamato a rispondere dei debiti residui solo fino all’importo che ha eventualmente ricevuto dalla liquidazione (ad esempio per rimborso di capitale, riparto di utili o distribuzione di attivi). Se non ha ricevuto nulla, non gli si può chiedere nulla. Inoltre, sempre secondo la normativa, l’eventuale responsabilità del socio non esclude quella del liquidatore se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da colpa di quest’ultimo (art. 2495 c.c.). Va sottolineato che la pretesa del creditore verso il socio di S.r.l. ex art. 2495 c.c. non è automatica: deve essere attivata con uno specifico atto formale nei confronti del socio, motivato e notificato singolarmente a ciascun ex socio, e spetta al creditore provare il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme da parte del socio. Su questo punto la Cassazione a Sezioni Unite n. 3625/2025 ha di recente sancito principi molto importanti (che vedremo meglio più avanti): in sintesi, il Fisco o altro creditore non può limitarsi a “riutilizzare” un avviso o una cartella intestata alla società estinta per colpire i soci, ma deve emettere un nuovo atto autonomo e motivato ad hoc, provando quanto l’ex socio ha incassato. Inoltre, esiste un termine entro cui agire: se la domanda del creditore è proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso la sede dell’ultima società (art. 2495 ult. co. c.c.), ma ciò non significa che dopo un anno l’azione sia preclusa – la pretesa resta azionabile finché il credito non è prescritto, sebbene debba essere notificata personalmente al socio. La giurisprudenza ha tuttavia discusso se dopo 5 anni dalla cancellazione l’obbligazione dei soci si estingua per decorso del termine di prescrizione quinquennale ex art. 2945 c.c. (tesi minoritaria) o se invece il limite dei 5 anni riguardi solo la legittimazione processuale dei soci in continuità con la società (tesi maggioritaria Cass. SS.UU. 6070/2013). In ogni caso, l’orientamento attuale – consolidato dalla Cass. SS.UU. 3625/2025 – impone un rigoroso accertamento: niente può essere richiesto agli ex soci di S.r.l. se non pro quota e solo in base a quanto effettivamente ricevuto in liquidazione, con onere della prova a carico del creditore.
- Comportamenti illeciti o frode fiscale: se il socio (specialmente se amministratore di fatto o di diritto) ha compiuto atti illeciti, frodi o distrazioni di beni a danno dei creditori, la sua responsabilità può essere chiamata in causa al di là della limitazione. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate può contestare all’ex socio il concorso in condotte elusive o fraudolente (come l’aver svuotato la società trasferendo beni a sé prima di chiuderla) e in tal caso cercare di recuperare le imposte evase direttamente dal socio coinvolto. Anche in ambito fallimentare, se il socio ha aggravato il dissesto o confuso il suo patrimonio con quello sociale (ipotizzando una “esterovestizione” o altri abusi della personalità giuridica), si può tentare un’azione di responsabilità o revocatoria per far rientrare quei beni a favore dei creditori. Questi però sono casi estremi, di rilevanza per lo più penale o per azioni di responsabilità civili specifiche (es. art. 2476 c.c. responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali). Nel prosieguo resteremo sul piano ordinario delle responsabilità legali dei soci ex lege.
Riassumendo: se la libreria era gestita tramite S.r.l., l’ex socio di norma non deve rispondere dei debiti della società (salvo il caso del socio unico inadempiente a obblighi formali). Se però la società è stata liquidata e cancellata con passività non pagate, i creditori (incluso il Fisco) possono chiedere il pagamento agli ex soci ma solo fino a concorrenza di quanto questi abbiano eventualmente ricevuto in sede di liquidazione. Ogni pretesa superiore o priva di specifica motivazione è illegittima e impugnabile. Più avanti vedremo come difendersi in concreto in questi frangenti.
Impresa individuale (ditta individuale)
Un caso a parte è la ditta individuale, ovvero l’impresa non costituita in società ma facente capo a una persona fisica titolare di partita IVA. Molte piccole librerie sono costituite in questa forma. Dal punto di vista giuridico, il titolare dell’impresa individuale coincide con la persona fisica: non c’è separazione patrimoniale tra i debiti dell’azienda e il patrimonio personale dell’imprenditore. Pertanto, l’ex titolare di una libreria individuale che abbia chiuso l’attività risponde con tutti i propri beni di tutti i debiti contratti nell’esercizio dell’attività, anche dopo la cessazione. La chiusura della partita IVA o la cessazione dell’attività non cancella i debiti pregressi: ogni debitore, ai sensi dell’art. 2740 c.c., risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri. Ciò significa che se la nostra libreria era una ditta individuale, la semplice cessazione amministrativa (comunicazione di chiusura al Registro Imprese/Agenzia Entrate) non estingue i debiti verso fornitori, banche, Fisco o altri creditori. Essi possono ancora agire contro l’ex titolare personalmente, senza limiti di importo, proprio come avrebbero potuto prima.
È frequente, ad esempio, che dopo la chiusura di un negozio individuale il titolare riceva:
- Solleciti e diffide di pagamento da ex fornitori o dal locatore del locale;
- Cartelle esattoriali dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per tasse non pagate o per contributi INPS relativi ai periodi di attività;
- Richieste di rientro immediato da parte delle banche per scoperti di conto o mutui intestati all’impresa;
- Decreti ingiuntivi o atti di pignoramento su beni personali (conto corrente, auto, ecc.) qualora i creditori abbiano già un titolo esecutivo.
In tutti questi casi, l’ex titolare non può eccepire “non sono più imprenditore, quindi non devo pagare”: dal punto di vista legale il debito è suo e continua ad esserlo. Ciò non significa però che sia privo di difese – può darsi, ad esempio, che alcune richieste siano illegittime (perché il debito è prescritto, o già pagato, o gli atti sono viziati), o che esistano strumenti per ridurre o eliminare l’esposizione debitoria (come le procedure di sovraindebitamento di cui diremo più avanti).
Conclusione su forme giuridiche: conoscere la forma in cui operava la libreria è il primo passo per capire la posizione dell’ex socio. In una S.n.c. o S.a.s. l’ex socio (illimitatamente responsabile) resta obbligato per i debiti sorti fino all’uscita; in una S.r.l. l’ex socio di norma non risponde, salvo eccezioni specifiche (socio unico, atti di liquidazione, garanzie prestate); nella ditta individuale l’ex titolare risponde sempre personalmente di tutti i debiti d’impresa. Tenendo presente questo quadro, passiamo ora a esaminare le diverse tipologie di debito e come vengono trattate rispetto all’ex socio.
Debiti tributari: ex socio e Agenzia delle Entrate
I debiti tributari includono imposte e tasse dovute all’Erario: ad esempio l’IVA non versata sulle vendite di libri, le imposte sui redditi (IRPEF o IRES) relative al reddito prodotto dalla libreria, l’IRAP, eventuali ritenute fiscali non versate, oltre a interessi e sanzioni. Affrontiamo separatamente il caso in cui la libreria era gestita tramite una società di persone rispetto al caso di società di capitali (o impresa individuale).
Socio di società di persone e debiti fiscali
Durante la vita sociale, in una S.n.c. o S.a.s. i debiti fiscali della società (es. IVA non pagata, IRAP, ecc.) sono considerati obbligazioni sociali al pari di qualunque altro debito. L’ente legalmente obbligato verso il Fisco è la società; tuttavia, data la responsabilità solidale e illimitata dei soci, Agenzia Entrate Riscossione (AER) può rivalersi anche sui soci (in base all’art. 2291 c.c. e all’art. 129 del TUIR per le imposte sui redditi delle società di persone).
In pratica, se la società non paga volontariamente le imposte, l’Agente della Riscossione può iscrivere a ruolo l’importo a nome della società e notificare una cartella di pagamento anche ai soci illimitatamente responsabili, in quanto coobbligati. Tuttavia, vale il beneficio di escussione: la cartella (o altro atto di riscossione) rivolta al socio deve menzionare che si procede nei suoi confronti in qualità di coobbligato solidale e che l’escussione sul patrimonio sociale ha priorità. Se ciò non avviene, l’atto potrebbe essere nullo per violazione del beneficium excussionis. Ad esempio, la Cassazione ha annullato un’iscrizione a ruolo fatta a carico di un ex socio di S.n.c. perché Equitalia non aveva prima escusso la società né indicato tale presupposto (Cass. 4959/2017).
Per l’ex socio di una società di persone, valgono le regole viste prima: egli risponde dei debiti fiscali sorti fino alla data della sua uscita (o fino all’iscrizione della cessazione nel registro, se successiva). Ad esempio, se al momento in cui Tizio è uscito dalla S.n.c. vi erano già debiti IVA non pagati riferiti agli anni precedenti, Tizio ne resta corresponsabile; se però la società (con altri soci rimasti) ha continuato l’attività ed ha accumulato nuovi debiti fiscali l’anno dopo, Tizio – che ormai era uscito – non ne risponde, sempre che abbia curato la pubblicità della sua uscita. È importante segnalare all’Agenzia delle Entrate (e a Equitalia/AER) l’avvenuto recesso: INOLTRE, l’art. 36, co.4, D.P.R. 602/1973 prevede che in caso di trasformazione, fusione o scissione societaria, o in generale per far valere la responsabilità dei soci, l’Amministrazione finanziaria debba notificare atti ai soci entro determinati termini. Per le società di persone non trasformate, si applica la norma generale del Codice Civile (art. 2290) e del Codice di procedura civile (notifica entro 1 anno alla vecchia sede). In ogni caso, se l’ex socio riceve una cartella per debiti fiscali sociali:
- Deve verificare quando quel debito fiscale è sorto (periodo d’imposta di riferimento): se successivo alla sua uscita, può eccepire che non era più socio e quindi non è tenuto.
- Se era precedente, può invocare il beneficium excussionis: la cartella deve essere preceduta da quella alla società e l’Agenzia deve escutere prima i beni sociali. In difetto, l’ex socio può fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (entro 60 giorni) per ottenere l’annullamento.
- Inoltre, l’ex socio può verificare se il debito fiscale è ormai prescritto (ad esempio le cartelle esattoriali per IVA si prescrivono in 5 anni se non ci sono stati atti interruttivi, le imposte dirette in 10 anni) e, in caso, opporre la prescrizione.
Un elemento particolare: l’IVA è un tributo considerato “di legge” e la Cassazione ha statuito (Cass. Sez. V n. 20447/2011) che il socio uscente di S.n.c. risponde anche dell’IVA non versata se il presupposto d’imposta (operazioni imponibili) è sorto prima della cessione della quota – anche se la liquidazione e versamento sarebbero avvenuti dopo. Questo perché l’IVA maturata durante la sua permanenza è vista come obbligazione sociale già in essere. Comunque, il Fisco per esigerla deve notificare un atto al socio nei termini, non potendosi limitare a pretendere il pagamento automatico.
Infine, attenzione all’INPS in caso di recesso da S.n.c./S.a.s.: l’INPS è un ente previdenziale ma il meccanismo è simile a un debito fiscale quando richiede contributi non pagati. Esiste una norma (art. 2 D.L. 352/1978 conv. in L. 467/1978) che impone di comunicare all’INPS le variazioni nell’assetto societario (come l’uscita di un socio). Se questa comunicazione non viene fatta, l’INPS potrebbe continuare a ritenere obbligato il socio uscente per contributi successivi (come vedremo meglio nella sezione contributi). Cassazione ha infatti affermato che l’ex socio di S.n.c. può essere chiamato a rispondere di contributi sorti dopo il recesso se non c’è stata comunicazione all’INPS, anche se l’uscita era iscritta al Registro Imprese (Cass. 13240/2013). Dunque, è buona norma inviare sempre la comunicazione di cessazione all’INPS e, se non fatta a suo tempo, farla anche tardivamente, per dimostrare la volontà di regolarizzare la posizione.
Socio di società di capitali e debiti fiscali
Come anticipato, il socio (non amministratore) di una società di capitali normalmente non è debitore d’imposta: il soggetto passivo delle imposte è la società stessa. Quindi, se la libreria era una S.r.l., l’Agenzia delle Entrate non può iscrivere a ruolo le imposte a nome del socio per il solo fatto che questi era proprietario di quote. Neppure l’IVA o le ritenute possono essere chieste ai soci (a meno che il socio stesso non sia sostituto d’imposta per qualche ragione, il che esula dal nostro caso).
Vi sono però due situazioni fondamentali in cui l’ex socio di S.r.l. può trovarsi destinatario di pretese fiscali:
- Società estinta con debiti tributari: come già spiegato, in base all’art. 2495 c.c. e all’art. 36 D.P.R. 602/1973, l’Amministrazione finanziaria può chiedere il pagamento delle imposte rimaste dovute dalla società ai suoi ex soci, entro i limiti di quanto dagli stessi ricevuto in sede di liquidazione. L’art. 36 citato prevede dettagliatamente che i soci che hanno ricevuto, nei due periodi d’imposta antecedenti la messa in liquidazione, denaro o beni sociali in assegnazione dagli amministratori, ovvero beni in assegnazione dai liquidatori durante la liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società nei limiti del valore dei beni stessi. Questa norma specializza il principio di cui al 2495 c.c. per il campo fiscale. In pratica, il Fisco guarda agli ultimi due anni di vita della società: se hai prelevato utili o riserve in quel periodo, oppure se durante la liquidazione hai avuto assegnazioni di beni, puoi essere chiamato a rispondere delle imposte non pagate, fino a concorrenza di quei valori. Se non hai ricevuto nulla, o se hai ricevuto meno del debito fiscale residuo, la tua responsabilità è limitata a zero (nel primo caso) o a quel minore importo (nel secondo caso). La Cassazione SS.UU. 3625/2025 ha chiarito che la riscossione di somme da parte del socio non è solo un limite quantitativo, ma un vero presupposto di azionabilità della pretesa del Fisco. In assenza di tale presupposto (ad esempio socio che non ha riscosso nulla), l’Agenzia non ha interesse ad agire e se il socio contesta di non aver ricevuto attivi, sarà l’Agenzia a doverlo provare. Inoltre, le Sezioni Unite hanno precisato che l’interesse a procedere può sussistere anche se il socio ha ricevuto beni o utilità non risultanti formalmente dal bilancio finale (per esempio beni assegnati extra bilancio, o garanzie escusse poi dal creditore), ma in ogni caso la verifica di tali somme deve avvenire tramite un apposito accertamento indirizzato personalmente al socio. Ne consegue che un ex socio di S.r.l. a cui venga notificata una cartella esattoriale per intero importo dei debiti tributari della società, senza alcuna motivazione sul perché la debba pagare, ha ottime possibilità di successo impugnandola: l’ADER (Agenzia Entrate Riscossione) non può pretendere da lui l’intero se non prova e specifica quanto egli ha incassato. Come strategia immediata, in tal caso l’ex socio farà ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, eccependo che:
- egli non è coobbligato solidale illimitato (essendo socio di S.r.l., non socio illimitato);
- non è stato emanato nei suoi confronti alcun avviso di accertamento specifico ex art. 36 DPR 602/73;
- egli non ha ricevuto somme in liquidazione (se ciò è vero), dunque manca il presupposto per qualunque pretesa.
Molto probabilmente il giudice tributario annullerà la cartella, in base proprio ai principi sanciti dalla Cassazione. Solo se l’Agenzia provasse che il socio ha incassato ad esempio €50.000 dalla liquidazione, potrebbe esserci spazio per chiedere al socio quel pagamento (ma comunque servirebbe un atto motivato ad hoc per €50.000, non una cartella casuale da €100.000 come nell’esempio).
- Concorso in violazioni tributarie o altri illeciti: se l’ex socio era anche amministratore (o di fatto gestiva la società) e ha commesso violazioni tributarie gravi, l’Agenzia potrebbe tentare di ritenere il socio stesso soggetto passivo d’imposta in solido per via di quelle condotte. Un esempio è l’indebita compensazione di crediti fiscali o la creazione di società fantasma per evadere: in questi casi estremi, l’amministrazione può emettere avvisi di accertamento contestando al socio amministratore un concorrente obbligo di pagamento per abuso del diritto o per essere stato parte di una frode (ex art. 37-bis DPR 600/73, ora abrogato, o principi generali antielusivi). Tali situazioni esulano dalla normale responsabilità del “socio in quanto tale” e ricadono in ambiti sanzionatori specifici. Ai fini della nostra guida, basti sapere che uscire dalla società non protegge da eventuali azioni del Fisco fondate su comportamenti fraudolenti del passato: in presenza di accuse simili, servirà una difesa personalizzata, spesso in sede penale oltre che tributaria.
Caso particolare – cessione d’azienda o ditta individuale: se la libreria è stata venduta come azienda (non quote societarie, ma proprio il complesso aziendale) e il venditore ha debiti tributari, l’art. 14 D.Lgs. 472/1997 prevede la responsabilità solidale anche dell’acquirente dell’azienda per i debiti tributari relativi all’anno di cessione e ai due precedenti, entro però il limite del valore dell’azienda ceduta. Questo non riguarda esattamente l’“ex socio” ma l’ex titolare. Significa che se avete ceduto la vostra libreria individuale a un altro imprenditore, il Fisco potrebbe escutere anche l’acquirente per alcune imposte non pagate. Per l’ex titolare, tuttavia, non vi è liberazione: risponderete comunque in solido. È bene saperlo perché in sede di trattativa di vendita a volte si concorda che l’acquirente paghi (o trattenga dal prezzo) gli eventuali debiti fiscali pregressi.
Riassumendo la difesa per ex soci di società di capitali su debiti fiscali: se vi viene richiesto un pagamento dal Fisco, verificate scrupolosamente la legittimità della pretesa. Molto spesso, l’atto è impugnabile perché:
- siete estranei al debito (il socio non è debitore se non dopo liquidazione e nei limiti delle somme percepite);
- manca un atto impositivo specifico a vostro nome (necessario per legge, come da Cass. SS.UU. 3625/2025);
- voi non avete incassato nulla dalla società, quindi non c’è base per chiedervi soldi.
Debiti tributari nella ditta individuale
Nel caso di ex titolare di ditta individuale, come accennato, non c’è distinzione tra persona e impresa: tutti i debiti tributari dell’attività (IVA, IRPEF, IMU su eventuali locali, tasse comunali, ecc.) restano a carico del titolare anche dopo la cessazione. Non esiste neppure il beneficio di escussione, perché non c’è personalità giuridica distinta su cui fare preventiva escussione. L’unica possibile “limitazione” è per i debiti di registro o successione in caso di cessione d’azienda, come sopra detto (l’acquirente risponde in solido per alcuni debiti, ma ciò aggiunge un coobbligato, non libera il cedente).
Dunque, l’ex titolare dovrà concentrarsi su altre difese: ad esempio, verificare se il debito tributario è stato definito correttamente, se vi sono state vizi di notifica degli avvisi o cartelle (una cartella mai notificata regolarmente non è esigibile), oppure valutare la possibilità di rateazione con Agenzia Entrate Riscossione o di definizione agevolata (rottamazione) se prevista da norme temporanee. Può anche valutare strumenti come il piano del consumatore o la liquidazione controllata (che vedremo in seguito) per gestire l’intero ammontare dei debiti fiscali insieme agli altri debiti.
In sintesi, dal punto di vista del Fisco:
- Socio ex S.n.c./S.a.s.: risponde dei tributi sorti prima dell’uscita, con beneficio di escussione; difese basate su verifica data debito e corretta notifica.
- Socio ex S.r.l.: normalmente no responsabilità, salvo attivazione ex art. 36 DPR 602 e art. 2495 c.c. entro limiti somme ricevute; difese basate su mancanza atti specifici e onere prova in capo al Fisco.
- Ex titolare ditta indiv.: risponde di tutto personalmente; difese su vizi formali, prescrizioni, procedure di sollievo (dilazioni, concordati).
Debiti contributivi e previdenziali (INPS, INAIL, ecc.)
I debiti contributivi verso enti come INPS (contributi previdenziali dovuti per i dipendenti o per i soci stessi artigiani/commercianti) e INAIL (premi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro) spesso affiancano i debiti fiscali. Una libreria con dipendenti potrebbe avere debiti per contributi non versati, così come un piccolo imprenditore potrebbe avere contributi personali INPS (gestione commercianti) non pagati. Anche il TFR dei dipendenti non saldato al termine del rapporto rientra nelle obbligazioni verso enti previdenziali se interviene il Fondo di Garanzia INPS. Vediamo la posizione dell’ex socio.
Società di persone e contributi INPS
Se la libreria era strutturata come società di persone (S.n.c. o S.a.s.) con dipendenti o con obblighi contributivi verso l’INPS (ad esempio i contributi IVS commercianti dovuti dai soci stessi), i soci illimitatamente responsabili sono parimenti obbligati in solido per tali debiti. Il meccanismo è analogo a quello dei debiti fiscali: l’INPS può richiedere il pagamento sia alla società sia ai soci. In particolare:
- I contributi previdenziali dipendenti non versati sono trattati come debiti della società verso l’ente; l’INPS spesso notifica un Avviso di Addebito che ha efficacia di titolo esecutivo. Questo avviso può essere emesso sia a nome della società sia nei confronti dei soci (coobbligati).
- I contributi dei soci stessi (IVS commercianti/artigiani) sono in realtà dovuti personalmente da ciascun socio iscritto alla gestione, ma la società di persone funge da tramite. In pratica l’obbligo è individuale, ma se il socio non paga l’INPS potrebbe escutere l’azienda o viceversa.
Per l’ex socio, vale che risponde dei contributi relativi al periodo della sua partecipazione. Ad esempio, se nel 2023 la S.n.c. non ha pagato i contributi dipendenti e Tizio era socio fino a dicembre 2023, l’INPS potrà chiedere a Tizio di pagare (in solido con gli altri) quei contributi 2023. Se invece nel 2024 (dopo la sua uscita) la società accumula altri omessi versamenti, Tizio – uscito – non ne risponderà, purché l’uscita sia stata comunicata e registrata ufficialmente (come già discusso). Occhio alla comunicazione all’INPS: come già accennato, se non avete comunicato all’INPS il recesso, l’ente potrebbe considerare ancora voi come soggetti obbligati e notificare a voi gli avvisi anche per periodi successivi. In tal caso, la strategia è:
- presentare ricorso amministrativo all’INPS (Comitato Provinciale) entro 90 giorni dall’atto, allegando prova della vostra uscita e sostenendo che i contributi successivi non vi competono;
- eventualmente, fare anche ricorso giudiziario al Tribunale del Lavoro entro 40 giorni (se si tratta di Avviso di Addebito);
- citare nella difesa l’art. 2290 c.c. (non responsabile per debiti sorti dopo) e sentenze come Cass. 13240/2013 che conferma tale principio (pur evidenziando l’obbligo di comunicazione INPS);
- se la comunicazione ex DL 352/78 non fu fatta, effettuarla anche tardivamente e segnalare che comunque l’INPS avrebbe potuto rilevare la modifica dal Registro delle Imprese (soprattutto oggi con la comunicazione unica).
Spesso, dimostrando tutto ciò, l’INPS stesso può riconoscere l’errore ed annullare in autotutela la diffida per l’ex socio, concentrandosi semmai sulla società o sui soci rimasti. In mancanza, il giudice del lavoro generalmente dà ragione all’ex socio, poiché l’obbligo contributivo è chiaramente sorto dopo la sua uscita e dovrà gravare solo sugli altri soci ancora in attività.
In definitiva, per contributi INPS riferiti a periodi fino all’uscita, l’ex socio di S.n.c./S.a.s. rischia di dover pagare (sempre con beneficium excussionis in teoria); per contributi successivi, no, a condizione di far valere l’avvenuto recesso.
Socio di società di capitali e contributi INPS
Per le società di capitali (S.r.l., S.p.A.), un socio non amministratore non è debitore verso l’INPS dei contributi dovuti dalla società per i dipendenti o altri obblighi. L’INPS potrà agire solo sul datore di lavoro, cioè la società. Dunque se la libreria era gestita da una S.r.l. e questa non versa i contributi, l’INPS insisterà contro la S.r.l.; i soci non possono essere chiamati a risponderne in via ordinaria.
Fanno eccezione anche qui i casi di scioglimento della società: quando una S.r.l. viene cancellata, l’INPS, in analogia all’art. 36 DPR 602/73, tende a rivalersi sugli ex soci per i contributi non pagati, entro i limiti di quanto da essi riscosso in liquidazione (la base normativa è meno esplicita per i contributi, ma si applicano i principi civilistici generali e l’art. 2495 c.c.). La Cassazione (Sez. Lav. n. 20686/2022) ha infatti affermato che i soci di S.r.l. cancellata sono responsabili per i debiti contributivi nei limiti della quota di liquidazione percepita, con onere della prova a carico del creditore (INPS). Il liquidatore invece risponde illimitatamente solo se vi è stata colpa nel mancato pagamento dei contributi (es. ha pagato altri creditori lasciando indietro l’INPS in violazione della prelazione).
Un esempio concreto: la nostra libreria S.r.l. chiude nel 2024 senza aver versato alcuni contributi ai dipendenti. L’INPS interviene pagando il TFR ai dipendenti tramite il Fondo di Garanzia, e poi cerca di recuperare questa somma dai responsabili. La società però è cancellata, quindi l’INPS invia una richiesta ai due ex soci per €16.500 (mettiamo €15.000 di TFR anticipato + €1.500 di contributi non versati). In tal caso, come nel Caso pratico 3 che vedremo, i soci di S.r.l. formalmente rispondono ai sensi dell’art. 2495 c.c. in proporzione a quanto incassato. Se ad esempio ciascun socio, sciogliendo la società, si è ripreso €20.000 di capitale, l’INPS potrebbe pretendere fino a €16.500 (suddivisi) sostenendo che quei soldi dovevano essere usati per pagare i dipendenti (che, notiamo, avevano diritti privilegiati sui beni sociali: il TFR gode di privilegio generale sui mobili dell’azienda, i contributi pure). La difesa dei soci in questo caso consisterà nell’esaminare se effettivamente hanno percepito attivo dalla liquidazione e in quale misura, contestando ogni importo eccedente tale valore e pretendendo che sia l’INPS a provare l’entità delle somme incassate dai soci. Inoltre, se vi fossero errori procedurali (ad es. l’INPS non ha notificato nulla alla società prima, oppure non ha rispettato termini), andranno fatti valere. In definitiva: l’ex socio di S.r.l. anche sui contributi è tutelato dal limite della quota di liquidazione. Non c’è un’obbligazione illimitata come per i soci di S.n.c.
Ditta individuale: inutile dire che per l’ex titolare di ditta individuale valgono le stesse regole generali: egli continua ad essere il debitore principale dei contributi non versati. In caso di dipendenti, se l’INPS paga il TFR, si rifarà direttamente sul datore (ex titolare) senza bisogno di invocare responsabilità altrui. Anche qui, la cessazione dell’attività non evita cartelle INPS future per omissioni passate.
In sintesi contributi:
- Ex socio illimitato (società di persone): può essere perseguito per contributi non versati fino all’uscita, ma non per quelli successivi (se ben comunicata la cessazione). Notifiche da impugnare se riguardano periodi post-uscita.
- Ex socio di S.r.l.: in vita sociale non paga, dopo liquidazione può essere chiamato a coprire debiti contributivi limitatamente a quanto incassato. Forti tutele giurisprudenziali impongono prova a carico di INPS e atto dedicato.
- Ex titolare: risponde sempre in proprio, con possibili soluzioni solo tramite rateazioni o procedure concorsuali personali se il debito è insostenibile.
Debiti verso fornitori, banche e altri creditori privati
Passando ai debiti commerciali e finanziari (fornitori, affitti non pagati, fornitori di utenze, banche per mutui o fidi, leasing, ecc.), il quadro normativo è più lineare: non ci sono discipline speciali come per il Fisco, si applicano le regole civilistiche generali e quelle proprie dei contratti sottoscritti. Tuttavia, le differenze tra società di persone e di capitali rimangono decisive per capire chi può essere chiamato a pagare.
Ex socio di società di persone e debiti verso fornitori/banche
Se la società di persone (S.n.c., S.a.s.) ha lasciato debiti verso fornitori o altri creditori contrattuali, gli ex soci illimitatamente responsabili ne rispondono in solido, purché le obbligazioni siano sorte nel periodo in cui erano soci. Ad esempio, se la libreria S.n.c. ha acquistato libri da un distributore nel 2023 e non li ha pagati, un socio uscito a fine 2023 potrà essere richiesto di quel pagamento; viceversa se la società ha stipulato un contratto di fornitura nel 2024 quando quel socio non c’era più, egli non ne risponde.
Un fornitore privato, diversamente dal Fisco, non ha particolari oneri di notificare prima alla società (anche se per cortesia commerciale spesso tenta prima con la società stessa). Potrebbe dunque accadere che un fornitore ottenga un decreto ingiuntivo contro la società e, se non pagato, inizi subito un pignoramento verso un ex socio, adducendo la sua responsabilità solidale. Come già spiegato, quell’ex socio non può bloccare il decreto sul merito “avevo solo il 30%”: la solidarietà implica che il creditore può chiedere l’intero importo a uno qualsiasi dei coobbligati. L’ex socio potrà al massimo invocare in sede esecutiva il beneficio di escussione (chiedendo di escutere prima i beni sociali), ma se la società è insolvente o priva di beni, la sua opposizione servirà solo a prendere tempo, non a evitare il pagamento. Dovrà quindi pagare per evitare guai peggiori (es. pignoramento della casa o del conto) e semmai agire in regresso verso gli altri co-soci per recuperare le loro quote di debito. È importante notare che il regresso (cioè il diritto di farsi rimborsare dagli altri soci la parte eccedente la propria) esiste legalmente, ma spesso è più teorico che pratico: di solito, se un creditore si rivale su un ex socio è perché gli altri o la società non sono solvibili, quindi anche dopo aver pagato, quell’ex socio potrebbe non riuscire a farsi restituire nulla dagli altri (insolventi).
Debiti bancari (mutui, fidi): le banche in genere, per società di persone, fanno firmare ai soci dei contratti in cui rinunciano espressamente al beneficio di escussione. Questo significa che, anche se per legge il beneficio c’è, i soci illimitati spesso contrattualmente accettano che la banca possa escutere direttamente loro senza prima aggredire la società. È una clausola legittima e comune nei fidi bancari concessi alle S.n.c. Dunque, l’ex socio di S.n.c. garante o coobbligato in un contratto di apertura di credito potrà vedersi chiedere il rientro immediato dell’esposizione bancaria indipendentemente dall’escussione del conto aziendale. Inoltre, sovente i soci di piccole società di persone firmano fideiussioni personali a garanzia di mutui o leasing intestati alla società: ciò li rende debitori diretti della banca in base al contratto di garanzia.
In conclusione per i privati: l’ex socio illimitato può far poco per negare il debito verso fornitori/banca se questo è sorto ante uscita. Potrà semmai:
- Verificare se il debito è prescritto (ad esempio, fatture commerciali normalmente prescrivono in 5 anni se nessun sollecito è intervenuto; mutui in 10 anni rata per rata).
- Controllare se l’importo richiesto è corretto (magari una parte era già stata pagata o il calcolo interessi è errato).
- Se la pretesa arriva molti anni dopo l’uscita, valutare la difesa della decadenza quinquennale come detto prima (alcuni giudici applicano 5 anni dalla cancellazione società come termine di azione verso i soci).
- Nel caso di socio accomandante (responsabilità limitata), opporre semplicemente di non essere tenuto (come visto, accomandante non paga debiti sociali).
Ex socio di società di capitali e debiti verso fornitori/banche
Per i creditori privati, la differenza tra società di persone e di capitali è netta: nelle società di capitali il socio non è garante per legge, quindi:
- Un ex socio di S.r.l. non può essere obbligato a pagare i debiti contrattuali della società solo per la sua qualità di socio. Il creditore dovrà rivalersi sulla società stessa; se questa non paga o è stata chiusa, potrà eventualmente insinuarsi nella liquidazione fallimentare o concordataria della società, ma non andare contro i soci (salvo quanto diremo riguardo alla distribuzione di attivo).
- Fa eccezione, di nuovo, l’ipotesi di liquidazione: se la S.r.l. è stata cancellata dal registro e un creditore rimane non soddisfatto, può agire contro gli ex soci nei limiti di quanto quelli hanno riscosso (art. 2495 c.c.). Ciò vale per qualsiasi creditore, non solo il Fisco. Quindi, se la nostra libreria S.r.l. si è sciolta distribuendo ai soci un attivo (per esempio €10.000 a testa) e un fornitore è rimasto impagato per €5.000, quel fornitore può chiedere agli ex soci di coprire il suo credito, pro quota, fino a €10.000 ciascuno (ovvero interamente se ciascuno ha ricevuto almeno €5.000). Se però la società non aveva attivo e i soci non hanno ricevuto nulla, il fornitore non potrà legalmente ottenere nulla dai soci. È importante: molti piccoli imprenditori pensano che chiusa la S.r.l. nessuno potrà toccarli; questo è vero solo se hanno rinunciato a qualsiasi distribuzione in loro favore in presenza di debiti. Se invece hanno ritirato denaro o beni, tali valori vanno prima ai creditori e se ciò non è avvenuto, i creditori li inseguiranno presso i soci.
- Garanzie personali: un ex socio di società di capitali può comunque essere tenuto a pagare se ha firmato garanzie volontarie. Ad esempio, nelle piccole S.r.l. è prassi che i soci (spesso amministratori) firmino fideiussioni alla banca per ottenere un fido. Quella è un’obbligazione contrattuale autonoma: il socio-garante promette che pagherà lui se la società non paga. Uscire dalla società o vendere le quote non libera automaticamente da una fideiussione già firmata. Bisognerebbe che la banca acconsentisse formalmente a liberare il garante (cosa rara) oppure, se si cede l’azienda o le quote, che l’acquirente si impegni a farvi liberare e che la banca accetti tale sostituzione (spesso non accade). Quindi, un ex socio garante rimane tale anche dopo: se la società (o il nuovo proprietario) smette di pagare il mutuo, la banca verrà da chi aveva firmato la fideiussione, a nulla rilevando che “ormai non c’entra più con la società”. A quel punto dovrà pagare per evitare il default e gli interessi di mora, e poi rivalersi internamente sul compratore o sulla società (se ha ancora beni) secondo gli accordi contrattuali. Ma sul piano esterno, verso la banca, non potrà opporre la sua cessata qualità di socio.
- Ci sono tuttavia possibili tutele contrattuali: se nel contratto di cessione quote o cessione d’azienda c’era una clausola in cui l’acquirente si impegnava a farvi liberare dalle garanzie o a farsene carico, voi potrete far causa all’acquirente inadempiente per recuperare quanto pagato alla banca. Inoltre, controllate sempre il testo della fideiussione: se dopo che siete usciti la banca ha modificato le condizioni del mutuo (ad es. aumentando importo o durata) senza il vostro consenso, potreste eccepire l’estinzione parziale della fideiussione ai sensi dell’art. 1956 c.c. (il garante è liberato per le obbligazioni future eccedenti i patti conosciuti, se il creditore ha aggravato il rischio senza avvertirlo). È una difesa tecnica ma in qualche caso efficace per ridurre l’esposizione.
- Infine, va menzionata la questione delle società “chiuse” ma non liquidate correttamente: se una S.r.l. cessa attività ma non viene formalmente liquidata e cancellata, alcuni creditori potrebbero agire contro ex amministratori o soci sostenendo che la società è ancora esistente (se non cancellata) oppure che vi è stata una distribuzione di fatto di beni senza rispettare la par condicio creditorum. In tali casi si configurano responsabilità ultracontrattuali (es. action dei creditori sociali verso gli amministratori ex art. 2476 c.c. o verso i soci se hanno avuto assegnazioni fraudolente). Sono cause complesse che esulano dal perimetro standard, ma che un ex socio deve considerare se ha percepito pagamenti in pregiudizio dei creditori: potrebbe doverli restituire.
In sintesi: l’ex socio di S.r.l. non amministratore, per debiti verso privati, non deve pagare salvo:
- beneficio di liquidazione: se ha ricevuto attivo, può doverlo restituire ai creditori insoddisfatti;
- garanzie firmate: in tal caso resta obbligato come garante contrattuale indipendentemente dalla qualità di socio.
L’ex titolare individuale, invece, è direttamente obbligato verso tutti i creditori privati come già detto; potrà solo cercare accordi o invocare prescrizioni.
Come difendersi: strategie generali e strumenti
Abbiamo analizzato i diversi scenari di debito e la posizione dell’ex socio in ciascuno. Ora riassumiamo in modo organico le possibili strategie difensive e gli strumenti a disposizione dell’ex socio-debitore, indipendentemente dalla natura specifica del debito. In qualità di ex socio con debiti contestati, è opportuno agire secondo un piano che includa:
- Verificare la propria effettiva posizione e il tipo di obbligazione:
- Data di insorgenza del debito: è anteriore, contemporanea o successiva alla vostra uscita? Questa è la prima discriminante. Se il debito è sorto dopo la vostra cessazione dalla società, avete in genere un forte argomento per respingere la pretesa (non eravate socio quando si è formato il debito). Se è sorto prima, rientrate nei casi di responsabilità visti (illimitata per soci di persone, limitata per soci di S.r.l. nei limiti di attivo percepito).
- Titolo del debito: è un debito contrattuale (es. fornitura non pagata, mutuo) o legale (tasse, contributi)? I debiti contrattuali potrete valutarli in base ai contratti firmati (c’erano garanzie personali? Clausole di escussione immediata?). I debiti legali vanno valutati alla luce di norme speciali (beneficio di escussione, art. 36 DPR 602, ecc.).
- Documentazione disponibile: recuperate copia dei contratti, delle fatture, dei piani di ammortamento, degli eventuali atti societari di cessione quota o di liquidazione, e degli atti ricevuti (cartelle, diffide, decreti). È essenziale avere un quadro documentale completo per impostare la difesa.
- Iscrizione del recesso nel Registro e comunicazioni varie: se siete ex socio di società, assicuratevi di avere evidenza dell’iscrizione della cessione/recesso nel Registro Imprese con la data; se siete ex titolare, la cessazione partita IVA. E, come ripetuto, verifica di aver fatto comunicazione all’INPS se dovuta.
- Distinguere le pretese fondate da quelle illegittime: non dare per scontato che ogni richiesta di pagamento sia dovuta. Ci sono diversi motivi per cui una pretesa può essere illegittima:
- Prescrizione: se il creditore non ha fatto atti interruptivi per anni, il debito può essere prescritto (5 anni per forniture, contributi; 10 anni per alcuni tributi, mutui, ecc.). Ad esempio, se ricevete nel 2025 una richiesta di pagamento per una fornitura del 2015 senza solleciti nel mezzo, potreste eccepire la prescrizione.
- Pagamento già avvenuto o importo errato: controllate se magari quel debito era stato saldato (conservate quietanze, estratti conto). Oppure se l’importo lievitato include interessi non dovuti o calcolati male. Qualunque errore di conteggio o duplicazione va fatto valere.
- Vizi di notifica o procedurali: ad esempio, una cartella esattoriale mai notificata regolarmente non può passare in giudicato; un decreto ingiuntivo notificato a un indirizzo sbagliato può non essere esecutivo. Se scoprite che un atto vi è stato inviato a una vecchia residenza e non l’avete mai ricevuto, potete opporlo appena ne venite a conoscenza.
- Difetto di legittimazione passiva: come abbiamo visto, se non siete legalmente obbligati (es. accomandante, socio S.r.l. senza attivo ricevuto, debito post-uscita) dovete contestarlo apertamente: “Non sono tenuto perché…”. Molti creditori provano comunque a chiedere anche quando sanno che l’ex socio potrebbe non essere responsabile, sperando in un pagamento per ignoranza o paura. Una lettera formale di contestazione al creditore, in cui spiegate perché non siete obbligati, può a volte fermare sul nascere richieste infondate.
- Invocare il beneficio di escussione (se applicabile): se siete ex socio illimitatamente responsabile e il creditore non ha prima agito sulla società (ad esempio avete ancora una S.n.c. formalmente attiva, oppure beni residui della società), potete richiedere espressamente che prima vengano escussi i beni sociali. Attenzione: come detto, questo è un meccanismo limitato all’esecuzione forzata e spesso i creditori lo aggirano perché la società è vuota. Ma ha un peso maggiore in ambito tributario, dove è codificato (la cartella al socio deve rispettarlo). Dunque, nelle opposizioni a cartella o a pignoramento, ricordate di eccepire la preventiva escussione se non avvenuta.
- Contestare immediatamente tramite i rimedi previsti: a seconda del tipo di atto ricevuto, non restate inerti. Ogni atto ha i suoi termini di opposizione:
- Cartella esattoriale (Agenzia Entrate Riscossione): 60 giorni per ricorso tributario (se tributi) o ricorso al giudice ordinario (se contributi INPS, in tal caso 40 giorni se è Avviso di Addebito).
- Decreto ingiuntivo: 40 giorni per fare opposizione in tribunale civile.
- Atto di citazione: termine indicato nell’atto (tipicamente 90 giorni se in Cassazione, 20-40 in primo grado).
- Pignoramento: 20 giorni per opposizione agli atti esecutivi (vizi formali) o per opposizione di merito (se contestate il diritto del creditore, da valutare caso per caso).
- Diffida di pagamento extra-giudiziale: in genere non c’è obbligo di risposta, ma è spesso utile rispondere per contestare e guadagnare tempo.
Non rispettare i termini significa vedersi consolidare la pretesa: un decreto ingiuntivo non opposto diventa definitivo, una cartella non impugnata nei termini diventa inoppugnabile. Quindi la tempestività è metà della difesa.
- Dimostrare la propria estraneità quando applicabile: se l’ex socio non c’entra (ad esempio debito sorto dopo la sua uscita, o accomandante, o socio SRL senza attivo percepito), deve produrre prove:
- Visura camerale aggiornata che mostra la cessione quote o recesso con data certa.
- Eventuali attestazioni o dichiarazioni del nuovo titolare o dei soci rimasti che confermino la data di uscita.
- Bilanci o documenti contabili al momento della cessione per provare che non ha ricevuto utili/capitale significativi (utile per difendersi da pretese ex art. 2495 c.c.).
- Copia del contratto di cessione quote/azienda, con eventuali clausole di manleva, per mostrare che altri si assumevano i debiti (non opponibile al terzo creditore, ma utile a capire chi internamente doveva pagare).
Tutto ciò serve a rafforzare la vostra posizione in giudizio e spesso, se ben presentato in un ricorso o in una memoria difensiva, induce l’ente creditore a desistere o transigere.
- Nel dubbio, coinvolgere gli altri obbligati: se ricevete un atto, chiedetevi: chi altro è obbligato con me? Per esempio, una cartella per debito sociale può essere arrivata solo a voi ma riguarda anche gli altri ex soci: informate immediatamente gli altri interessati e, se fate ricorso, valutatene uno congiunto o quantomeno chiamateli in causa. Così condividete oneri e coordinamento difensivo. Se siete garante e la banca viene da voi, avvisate subito il debitore principale (la società o chi l’ha rilevata) chiedendo di adempiere o di partecipare alla soluzione, anche questo potrebbe essere utile in futuro per il regresso.
- Valutare transazioni o piani di rientro: non sempre conviene fare guerra totale. Se il debito è effettivamente dovuto e la legge vi pone come coobbligati, potreste considerare una trattativa col creditore. Questo vale specialmente con i creditori privati (banche, fornitori) che potrebbero accettare una soluzione rapida:
- Offrire un pagamento parziale a saldo e stralcio può trovare interesse: meglio ottenere subito qualcosa dall’ex socio piuttosto che niente inseguendo una società fallita o altri soci nullatenenti.
- Attenzione però: se voi siete l’unico ex socio solvibile e il creditore se ne accorge, la vostra posizione contrattuale è debole – anche se giuridicamente non dovreste pagare tutto, di fatto siete “il bersaglio concreto” e potrebbe cercare tutto da voi. In tal caso fatevi assistere da un legale per negoziare al ribasso, evidenziando i vostri possibili mezzi di opposizione così da convincere il creditore ad accettare meno subito piuttosto che lunga incertezza.
- Se raggiungete un accordo, formalizzatelo per iscritto con clausola di liberatoria totale in vostro favore (“a saldo e stralcio di ogni pretesa presente e futura relativa a… il creditore dichiara di non aver più nulla a che pretendere da Tizio”).
- Se pagate un debito sociale per intero, ricordatevi che avete diritto di regresso verso gli altri coobbligati: potete legalmente chiedere agli ex soci la loro parte. Spesso, come detto, ciò è solo teorico (gli altri non pagano perché insolventi), ma se per caso gli altri hanno risorse, vale la pena tentare il recupero pro-quota di quanto versato.
- Proteggere il patrimonio personale: se temete azioni esecutive, muovetevi in anticipo:
- Beni impignorabili: la legge prevede che alcuni beni essenziali non possano essere pignorati (in certi limiti). Ad esempio, la prima casa non ipotecata è impignorabile da Agenzia Entrate Riscossione per debiti sotto €120.000 e non di lusso, per i privati (legge n. 69/2013). Conoscere queste tutele aiuta a gestire la paura: se avete solo un modesto appartamento come abitazione, Equitalia non può mettervi un’ipoteca illimitata o vendervelo per un debito fiscale piccolo.
- Dilazione e sospensione: con Agenzia Entrate Riscossione, se la cartella è legittima ma non potete pagarla subito, potete chiedere una rateizzazione (fino a 72 rate standard o 120 rate in casi di grave difficoltà) che sospende le azioni esecutive, a patto di pagare le rate. Questo può dare respiro.
- Verifica ipoteche/pignoramenti in corso: fate controllare le banche dati (es. Conservatoria) per vedere se magari Equitalia ha iscritto ipoteca sulla casa a vostra insaputa (spesso inviano avvisi). Se c’è, valutate l’opposizione se illegittima (es. se il debito era sotto soglia, o se notifiche mancate).
- Strumenti di protezione legale del patrimonio: consulenze trust, fondi patrimoniali, etc., in extremis. Però attenzione: molti di questi, se fatti quando i debiti sono già noti, rischiano di essere revocati come atti in frode. Meglio concentrarsi sulle difese nel merito dei debiti.
- Valutare procedure di esdebitazione personale: se l’ammontare dei debiti che vi vengono richiesti è enorme e realisticamente non potrete mai sostenerlo (es. la società fallita aveva milioni di debiti poi riversati sui soci illimitati), considerate l’accesso a procedure di sovraindebitamento o di “fallimento personale” che possano liberarvi dai debiti residui. Questa è l’extrema ratio, ma una via di uscita legale da tenere a mente se ogni difesa fallisce ed i debiti rischiano di rovinarvi a vita. In concreto:
- Un ex socio illimitatamente responsabile che venga dichiarato fallito insieme alla società (estensione ex art. 147 L.F. o art. 256 Cod. Crisi) affronterà la liquidazione del proprio patrimonio personale sotto il controllo del curatore, ma al termine potrà ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui non soddisfatti). È un effetto paradossalmente positivo del fallimento: dopo, si riparte da zero.
- Un ex socio non fallibile (ad esempio socio di piccola S.n.c. non fallita, o socio accomandante, o ex socio di S.r.l. che non può fallire come persona) se oberato da debiti può ricorrere alle procedure di cui alla Legge 3/2012 (ora integrate nel Codice della Crisi): ad esempio un Piano del consumatore se i debiti sono per lo più personali/privati, oppure un Concordato minore se i debiti riguardano una sua attività residua, oppure la Liquidazione controllata del sovraindebitato se occorre liquidare il suo patrimonio sotto controllo giudiziale. In ogni caso, se il debitore è meritevole (cioè non ha colpe gravi nel sovraindebitamento), queste procedure portano alla liberazione dai debiti residui (esdebitazione) una volta eseguito il piano o liquidato il possibile.
- Addirittura, dal 2021 esiste l’Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 Cod. Crisi): se una persona fisica non è in grado di offrire nulla ai creditori, può chiedere ugualmente al Tribunale di essere esdebitata subito, a patto che il suo sovraindebitamento non dipenda da mala fede o frode e che nei 4 anni successivi paghi ai creditori il sopravvenuto (in caso le sue condizioni migliorino). È una norma di “fresh start” pensata proprio per chi, magari come ex socio illimitato, si trova nullatenente dopo aver perso tutto, con debiti impagabili.
In sintesi, la strategia difensiva dell’ex socio deve combinare conoscenza tecnica dei propri diritti (limiti di responsabilità, vizi formali delle pretese) con un’analisi pragmatica delle alternative (pagare in parte, rateizzare col Fisco, chiamare in causa altri, ecc.). Mai ignorare le comunicazioni: un decreto ingiuntivo non opposto diventa esecutivo; una cartella non impugnata diventa definitiva. Reagire tempestivamente è già metà della difesa. Ancora meglio, se possibile, è prevenire al momento di lasciare la società: fare un check di eventuali esposizioni e risolverle o contrattualizzare chi se ne farà carico. Purtroppo, spesso chi esce tende a disinteressarsi dei debiti sociali (non essendo più coinvolto negli affari), salvo poi scoprirli quando arriva la richiesta: un exit plan ben fatto dovrebbe includere la mappatura dei debiti e delle garanzie e come gestirli.
Nei paragrafi successivi, presentiamo alcune domande e risposte comuni, che sintetizzano molte delle situazioni già discusse, e successivamente alcuni casi pratici con le relative soluzioni applicate.
Domande frequenti (FAQ) su ex socio e debiti
D: “Ero socio al 30% di una S.n.c. (libreria a conduzione familiare). Ho ceduto la mia quota un anno fa. Ora un fornitore della società mi chiede il pagamento integrale di una fattura non pagata di due anni fa. Possono davvero chiedere a me tutto l’importo anche se avevo solo il 30%?”
R: Sì, purtroppo il creditore può esigere l’intero importo da un ex socio di S.n.c. per un debito sorto quando questi era in carica, a prescindere dalla percentuale di partecipazione agli utili. Nelle società di persone la responsabilità verso i terzi è solidale e illimitata: ciascun socio risponde per intero verso il creditore, salvo poi rivalersi sugli altri soci per la parte eccedente la propria. Quindi il fornitore, non pagato dalla società, è legittimato a chiedere a lei l’intero importo della fattura (e, se non paga spontaneamente, a pignorare beni suoi personali). Lei potrà successivamente chiedere agli ex co-soci di rimborsarle la loro quota parte (secondo le percentuali di partecipazione) ma ciò rientra nei rapporti interni tra voi. Come difesa immediata, può invocare il beneficio di escussione per tentare di far escutere prima i beni sociali; ma se la società non paga perché insolvente o inattiva, dovrà pagare lei per evitare pignoramenti più onerosi. In seguito potrà agire in regresso verso gli altri soci per il 70% (nel suo esempio) recuperando almeno una parte, sempre che essi siano solvibili.
D: “Sono ex socio accomandante di una S.a.s. con debiti verso fornitori e banca. Mi sono arrivate lettere di diffida di pagamento. Devo pagare anche io?”
R: In generale no, il socio accomandante non risponde personalmente dei debiti sociali, né durante né dopo la partecipazione (a meno che abbia perso la limitazione ingerendo nella gestione, ma è un caso eccezionale). Spesso le diffide standard dei creditori vengono inviate a tutti i soci che risultano nei documenti, senza distinguere la qualifica; ma legalmente un accomandante può rispondere ai creditori: “Non sono obbligato al pagamento ex art. 2313 c.c., la S.a.s. risponde solo col patrimonio sociale e illimitatamente solo l’accomandatario”. Se però lei ha prestato garanzie personali (es. una fideiussione bancaria su un finanziamento alla società), dovrà onorarle secondo i termini, perché in quel caso sta pagando da garante, non da socio. In assenza di garanzie, può ignorare (o meglio, contestare per iscritto) le diffide, e se mai fosse convenuto in giudizio opporre il difetto di legittimazione passiva (non è soggetto obbligato al pagamento). Verifichi comunque che i creditori abbiano chiara la sua posizione: basta la visura camerale, dove risulta che lei era accomandante (se non compare come amministratore). Nel dubbio, comunichi formalmente ai creditori la sua qualifica di ex accomandante, intimando di cessare richieste infondate.
D: “Ero socio amministratore al 50% di una S.r.l. (libreria SRL). Ho venduto le quote e sono uscito dalla società un anno fa; però adesso la società ha debiti IVA e cartelle di Agenzia Entrate per €100.000. L’ADER mi ha notificato una cartella a mio nome per quell’importo. Devo pagarla?”
R: Con ogni probabilità no, non deve pagarla, ma deve reagire immediatamente. Se la cartella è intestata a lei per l’intero importo, senza motivazione specifica, è impugnabile perché illegittima. In una S.r.l., come detto, i soci non rispondono dei debiti sociali se non nei limiti dell’attivo di liquidazione percepito. L’ADER (Agenzia Riscossione) può chiederle soldi solo se la S.r.l. è stata cancellata e lei ha ricevuto distribuzioni di attivo (ad es. rimborsi di capitale, utili, beni) e comunque solo fino a concorrenza di quell’attivo. Inoltre serve un atto motivato nuovo nei suoi confronti (un avviso ex art. 36 DPR 602/73): non basta “girarle” l’avviso fatto alla società. Nel suo caso dunque: presenti ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria competente entro 60 giorni, eccependo che la pretesa è illegittima perché lei non è coobbligato solidale illimitato (essendo socio di S.r.l.) e perché manca un atto impositivo a suo carico. Aggiunga che, avendo venduto le quote a terzi, lei non ha ricevuto alcuna somma dalla società (nessun attivo di liquidazione), quindi non sussiste alcuna responsabilità ex art. 2495 c.c. Evidenzi che “nessuna distribuzione = nessuna responsabilità”. È molto probabile che il giudice annulli la cartella, in base proprio ai principi di Cass. SS.UU. 3625/2025, che escludono ogni automatismo e richiedono prova dell’indebito arricchimento del socio. Solo se l’Agenzia dimostrasse che lei ha avuto, poniamo, €50.000 dalla liquidazione, si potrebbe ipotizzare un suo obbligo limitato a quella somma (ma comunque servirebbe un atto specifico). Quindi non paghi senza far valere i suoi diritti: l’essere stato socio di S.r.l. non la rende debitore d’imposta automaticamente.
D: “Ho lasciato da 6 mesi una S.n.c. (era una libreria in società). Ora l’INPS mi manda una diffida di pagamento per contributi non versati dei dipendenti relativi a questi ultimi 6 mesi (dopo la mia uscita). È possibile? Come mi difendo?”
R: In linea di principio, no, non è possibile obbligarla per contributi maturati dopo che lei non era più socio. Probabilmente l’INPS non è stata informata del suo recesso, quindi burocraticamente la considera ancora socio obbligato in solido. Ex art. 2290 c.c., lei non è responsabile dei debiti (contributivi inclusi) sorti dopo la cessazione. La strategia è:
- Presenti ricorso amministrativo al Comitato Provinciale INPS entro 90 giorni dalla diffida; e, se la diffida è già un Avviso di Addebito esecutivo, ricorso giudiziario al Tribunale in funzione di giudice del lavoro entro 40 giorni.
- Nel ricorso, alleghi la prova della sua uscita (visura camerale con la cessione quota/recesso) con la data certa. Sottolinei che l’obbligo contributivo successivo non può gravare su un soggetto che non era più titolare dell’impresa. Citerà magari Cass. 13240/2013 a supporto (la quale però avverte anche dell’obbligo di comunicazione diretta all’INPS).
- Se scopre che la comunicazione ex art. 2 DL 352/78 all’INPS non fu fatta dal rappresentante della società, la faccia ora (anche tardivamente) e argomenti che l’INPS avrebbe comunque potuto rilevare la modifica dal Registro Imprese.
- Spesso, presentando questi ricorsi con le prove, l’INPS annulla in autotutela la diffida nei confronti dell’ex socio, spostando la richiesta sulla società o sui soci effettivi rimasti. Se così non fosse, il giudice del lavoro quasi certamente le darà ragione: l’obbligazione è chiaramente sorta dopo la sua uscita e l’INPS può semmai rivalersi sugli altri soci rimasti o sulla società ancora iscritta.
D: “Nel caso di una società di persone cancellata dal Registro Imprese, i creditori privati (non il Fisco) possono chiedere ai soci uscenti il pagamento? Anche molti anni dopo?”
R: Sì, ai sensi dell’art. 2312 c.c. (per le società di persone) – analogamente a quanto previsto dall’art. 2495 c.c. per le società di capitali – i creditori non soddisfatti possono agire contro i soci illimitatamente responsabili anche dopo la cancellazione, senza limiti di importo (perché erano illimitatamente responsabili) ma entro il limite di tempo della prescrizione. Di solito la prescrizione del credito originario è decennale (per i crediti da contratto), quindi anche “molti anni dopo” il creditore può ancora citarvi se il credito non è prescritto. Tuttavia – come accennato – c’è un orientamento giurisprudenziale secondo cui la cancellazione della società farebbe decorrere un termine di 5 anni entro il quale i creditori devono far valere i loro diritti verso i soci, trascorso il quale l’obbligazione dei soci si considererebbe estinta (a prescindere dalla prescrizione del credito in sé). Questo orientamento non è pacifico al 100%, ma alcune corti lo applicano. Significa che, ad esempio, se la S.n.c. è estinta dal 2018, dopo il 2023 i creditori potrebbero aver perso il diritto di agire contro i soci sul piano processuale. In pratica, un ex socio, se citato dopo molti anni, può provare a eccepire la decadenza quinquennale dell’azione contro di lui. Non c’è garanzia assoluta che funzioni, ma è una carta da giocare. In conclusione: sì, un fornitore insoddisfatto può citare i soci illimitati per debiti della società estinta anche a distanza di anni, e non deve dimostrare che abbiate percepito attivo (quello è richiesto solo per società di capitali). Le vostre difese saranno:
- Verificare se il credito o l’azione sono prescritti/decaduti (come spiegato sopra).
- Contestare nel merito il debito se ci sono ragioni (ad es. la società aveva già pagato in parte, o la merce era difettosa – se siete in grado di sostenere questo).
- Se avevate già pagato qualcosa come socio in precedenza, far valere quel pagamento a detrazione del dovuto residuo.
- Ricordare che i soci di persone sono solidalmente responsabili, quindi il creditore può scegliersi il bersaglio: se colpisce voi perché più solvibili, non potete opporre “perché non chiedi all’altro socio?”. Giuridicamente non è una difesa ammessa: la solidarietà gli consente di scegliere. Potrete poi rivalervi sull’altro socio per la sua parte, ma intanto dovrete pagare voi.
D: “Ero titolare di una libreria come ditta individuale. Ho chiuso l’attività l’anno scorso ma ho ancora debiti (fornitori, banca e una cartella esattoriale). Devo pagarli anche se la partita IVA è cessata? Cosa posso fare?”
R: Sì, deve pagarli: la cessazione della partita IVA non estingue i debiti contratti durante l’attività. In una ditta individuale non c’è distinzione tra patrimonio dell’impresa e patrimonio personale: lei rimane l’unico debitore di quelle obbligazioni. Anche dopo la chiusura, i creditori possono agire sui suoi beni personali (conto, stipendio, casa, ecc.) per recuperare i propri crediti. Ciò detto, lei dispone di alcuni strumenti:
- Verificare legittimità e importi: controlli ogni voce: alcuni debiti potrebbero essere prescritti o non più esigibili (ad es. contributi o bollette vecchie senza solleciti da anni), oppure importi gonfiati da interessi e sanzioni che magari può contestare. Se ha ricevuto cartelle esattoriali, verifichi le notifiche e i termini (magari alcune si possono annullare).
- Opporsi tempestivamente: se riceve atti (es. decreto ingiuntivo di un fornitore), li opponga nei termini, almeno per prendere tempo o negoziare.
- Trattare con i creditori privati: molti fornitori preferiscono prendere qualcosa piuttosto che niente: può proporre pagamenti parziali a saldo e stralcio (es. offrire il 50% dilazionato). Metta per iscritto ogni accordo di riduzione del debito.
- Rateizzare la cartella esattoriale: l’Agenzia Entrate Riscossione concede piani fino a 6-10 anni, che congelano le procedure esecutive se rispettati.
- Proteggere beni essenziali: ad esempio, se la sua prima casa rientra nelle condizioni di impignorabilità da parte di AER (non di lusso, debito sotto soglia, ecc.), conosca e faccia valere questa protezione. Per i fornitori, la prima casa è comunque aggredibile (ma spesso i fornitori non ipotecano se non per cifre alte, per costi).
- Sovraindebitamento: valuti se rientra nelle procedure ex L.3/2012 (ora Codice della Crisi): essendo ex imprenditore ora consumatore, potrebbe accedere a un Piano del consumatore con cui proporre di pagare solo una percentuale dei debiti (anche molto ridotta) ai creditori, ottenendo l’esdebitazione sul resto. Tipicamente, in un piano del consumatore, se lei ha uno stipendio o dei beni, li mette a disposizione parzialmente e dopo alcuni anni di pagamenti viene liberato dal residuo.
- Liquidazione controllata: se non ha modo di pagare nulla, può attivare la liquidazione controllata del sovraindebitato: un procedura giudiziale dove un liquidatore vende i suoi eventuali beni disponibili (salvaguardando quelli impignorabili) e alla fine del processo il giudice cancella tutti i debiti rimanenti. Se addirittura non ha proprio nulla da offrire, c’è – come accennato – la possibilità di chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente una tantum.
In sintesi: deve agire proattivamente. La vita continua anche dopo la chiusura dell’attività, ma ogni giorno perso senza fare nulla peggiora la situazione e dà vantaggio ai creditori. Con il giusto intervento legale può riprendere il controllo, bloccare pignoramenti e magari ridurre drasticamente l’esposizione (attraverso un piano da sovraindebitamento si possono talvolta stralciare fino al 70-80% dei debiti).
D: “Ho garantito personalmente un mutuo bancario della S.r.l. di cui ero socio al 100%. Ho venduto l’azienda e la società è stata messa in liquidazione (restano ancora rate da pagare). Ora la banca mi chiede di saldare perché la SRL non paga. Posso evitarlo visto che non sono più socio e l’azienda è stata venduta?”
R: Purtroppo no, non può evitarlo invocando la cessazione dalla società. La fideiussione che lei ha firmato è un obbligo contrattuale a sé stante: lei è coobbligato in solido con la società verso la banca. Dunque la banca può legittimamente escutere lei per le rate non pagate, indipendentemente dal fatto che lei abbia ceduto azienda o quote. Avrebbe potuto liberarsi solo se la banca l’avesse liberata esplicitamente (evento raro) oppure se nel contratto di cessione d’azienda l’acquirente si impegnava a farla liberare e lo avesse ottenuto dalla banca. Se ciò non è accaduto, la banca resta titolare del suo impegno iniziale. Come muoversi ora:
- Paghi le rate dovute per evitare ulteriori interessi di mora e segnalazioni negative (in Centrale Rischi).
- Contestualmente, si rivalga sul compratore o sulla società (se ha ancora attivo in liquidazione) in base agli accordi di vendita. Se nel contratto c’era una clausola che l’acquirente avrebbe preso in carico il mutuo liberando la sua garanzia, può citarlo per inadempimento contrattuale chiedendo il risarcimento di quanto paga alla banca.
- Verifichi il testo della fideiussione: se la banca ha fatto modifiche al mutuo (es. aumentato importo o esteso durata) dopo la vendita e senza il suo consenso, lei potrebbe eccepire di essere liberato per la parte eccedente (art. 1956 c.c.). Cioè, se la banca sapendo che lei usciva ha accordato nuove condizioni alla società senza più il suo “controllo morale”, la fideiussione potrebbe decadere per l’aggravamento del rischio senza avviso.
- In ogni caso, non c’è una difesa diretta tipo “non pago perché non sono più socio”: la banca replicherà (giustamente, dal suo punto di vista) che la fideiussione prescinde dalla qualifica sociale. Quindi concentri la difesa sui rapporti interni: far pagare chi ha comprato la società/azienda, o se possibile trovare un accordo di indennizzo. Verso la banca, se non adempie, rischia solo di aggravare la posizione (pignoramenti, segnalazioni). Può tuttavia negoziare con la banca un saldo a stralcio se anche la società è inadempiente e in crisi: talvolta le banche accettano ad esempio l’80% subito per chiudere la posizione garantita, rinunciando al resto, specie se sanno che lei potrebbe impugnare qualche clausola o allungare le cose.
D: “Che succede se la mia ex società (S.n.c.) fallisce un anno dopo che ne sono uscito? Posso fallire anch’io come ex socio?”
R: Sì, è possibile. La legge fallimentare prevedeva (art. 147 R.D. 267/42) e il nuovo Codice della Crisi prevede (art. 256 D.Lgs. 14/2019) che la sentenza dichiarativa di fallimento (liquidazione giudiziale) di una società con soci illimitatamente responsabili produca automaticamente la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) anche dei soci medesimi. Questa estensione si applica ai soci attuali e a quelli che lo erano fino a un anno prima dallo scioglimento del rapporto sociale, purché l’insolvenza riguardi in parte debiti sorti quando erano soci. Quindi, se lei è uscito meno di un anno prima della dichiarazione di fallimento della S.n.c., il tribunale può estendere il fallimento alla sua persona (lo fa d’ufficio il giudice delegato). Se invece era uscito da più di un anno, non può essere dichiarato fallito come ex socio.
Cosa comporta questo? Se la società fallisce e includono anche lei, il suo patrimonio personale entra nella procedura concorsuale: i suoi creditori personali e quelli sociali concorreranno sui suoi beni secondo le regole fallimentari. D’altro canto, alla fine lei otterrà l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui non pagati. È un’arma a doppio taglio: da un lato essere trascinati in fallimento è impegnativo (perdita gestione dei propri beni, limitazioni, etc.), dall’altro può “pulire” la sua situazione debitoria dandole un nuovo inizio.
Difendersi dall’estensione: può presentare opposizione alla dichiarazione di fallimento personale se ritiene che i presupposti non c’erano – ad esempio se la sua uscita era oltre l’anno prima, oppure se l’insolvenza riguarda solo debiti sorti dopo la sua uscita. L’opposizione va fatta entro 30 giorni dalla notifica della sentenza di fallimento nei suoi confronti. Le conviene farsi assistere da un avvocato fallimentarista. Se la società è già fallita e lei teme l’estensione, può informare il curatore della sua uscita e fornire prova che eventuali debiti rilevanti sono sorti dopo la sua uscita: magari il curatore (nell’istruttoria) eviterà di coinvolgerla. Ma la decisione finale spetta al tribunale e se effettivamente c’erano debiti prima, difficilmente eviterà l’estensione.
D: “Ho scoperto che l’ex socio di maggioranza (che mi ha comprato le quote di una S.r.l.) non sta pagando i debiti tributari della società e io temo che l’Agenzia venga da me. Posso fare qualcosa preventivamente per tutelarmi?”
R: È una situazione delicata. Formalmente, se lei ha ceduto le quote e non è più socio né amministratore, non è tenuto per quei debiti (a parte il caso di somme ricevute in liquidazione di cui abbiamo parlato). Tuttavia capisco la preoccupazione: magari la società verrà chiusa lasciando debiti, e l’Agenzia Entrate potrebbe provare a colpire lei per recuperare. Cose da fare preventivamente:
- Accertarsi che la cessione delle quote sia stata registrata tempestivamente: se per il mondo lei risulta ancora socio perché l’acquirente non ha iscritto il passaggio, è quasi certo che il Fisco coinvolgerà lei nelle notifiche future. Quindi solleciti l’acquirente a depositare l’atto di cessione e aggiornare la visura subito.
- Documentare lo stato patrimoniale alla data di cessione: procurarsi copia dei bilanci o di una situazione contabile al momento in cui ha venduto. Questo per poter dimostrare eventualmente che lei non ha prelevato attivi significativi in quel momento. Ad esempio, se la società aveva già debiti tributari e lei l’ha venduta a prezzo simbolico o senza utili distribuiti, può provare che lei non ha ottenuto benefici economici e quindi non dovrà nulla ex art. 2495 c.c..
- Prevedere clausole di manleva nel contratto di cessione: se non l’ha già fatto, qualsiasi promessa dell’acquirente di farsi carico dei debiti sociali le dà un diritto di rivalsa contrattuale nel caso in cui poi il Fisco chieda a lei. Purtroppo tali clausole non vincolano l’Erario, ma le permetteranno di rifarsi sul venditore (sempre che solvibile).
- Eventualmente, segnalare all’acquirente (per iscritto) i debiti noti e metterlo sull’avviso che si attivi per pagarli o regolarizzarli, così da creare traccia della sua buona fede e della responsabilità dell’altro.
In sintesi, non può impedire all’Agenzia di provare a coinvolgerla se la società verrà chiusa con debiti. Ma può attrezzarsi per opporre che lei non ha percepito attivo (e l’onere della prova spetta a loro), e preparare le munizioni per rivalersi poi sull’acquirente inadempiente. È una magra consolazione, ma quantomeno si tutela da un doppio danno (pagare il Fisco e rimetterci anche economicamente senza rimedio).
Casi pratici e soluzioni (simulazioni)
Vediamo ora alcuni scenari concreti ispirati a situazioni reali, riassumendo il problema e mostrando come l’ex socio può reagire efficacemente. I nomi sono di fantasia, ma i casi riflettono questioni tipiche di ex soci di piccole imprese (come una libreria) con debiti.
Caso 1: Ex socio di S.n.c. con fornitore non pagato
Scenario: Anna era socia al 40% e anche amministratrice di “Alpha SNC”, una libreria a conduzione familiare. A gennaio 2024 cede la sua quota al socio restante e lascia la società, con regolare iscrizione della cessione al Registro Imprese. Nel 2025, un fornitore di libri (distributore) notifica ad Anna un decreto ingiuntivo chiedendole €8.000 per forniture consegnate alla libreria nel 2023 e mai pagate. Anna rimane sorpresa perché pensava di essersi “tolta di mezzo” uscendo dalla società. Il fornitore, dal canto suo, sa che l’attività è in difficoltà (l’altro socio ha poi chiuso la libreria a fine 2024 senza liquidare i debiti) e ritiene Anna più solvibile in quanto insegnante con stipendio.
Problema: Anna si trova davanti un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo) a suo nome. Ha poche settimane per fare opposizione, altrimenti il decreto diventerà definitivo. Giuridicamente, essendo ex socio illimitatamente responsabile, Anna può essere tenuta a pagare quel debito, poiché contratto dalla società quando lei era ancora socia. Inoltre, il fornitore può scegliere lei per il recupero dell’intero importo, senza dover inseguire l’altro ex socio o la società ormai inattiva. Anna però ha pagato molti fornitori minori prima di uscire e ritiene ingiusto doverne coprire altri da sola.
Soluzione – Azione/resistenza: Anna, assistita da un legale, presenta opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni, guadagnando tempo (l’opposizione trasforma il decreto in una causa civile ordinaria). Nella sua difesa:
- Non nega il debito (la fornitura c’è stata e non risulta pagata), ma contesta l’importo: dal suo controllo emerge che €2.000 di quei libri erano stati resi al fornitore ma lui non ha emesso nota di credito. Dunque il debito effettivo sarebbe €6.000, non 8.000. Porta le bolle di reso come prova.
- Eccepisce la violazione del beneficio di escussione: il fornitore ha agito solo contro di lei senza tentare sulla società o sull’altro socio. Chiede al giudice di subordinare l’azione esecutiva sui suoi beni all’escussione preventiva dei beni sociali ex art. 2304 c.c.. (Il giudice potrà accogliere l’eccezione, ma dato che la società è di fatto priva di beni, avrà portata limitata: tuttavia serve a dimostrare la buona fede di Anna nel chiedere che prima si colpisca la società).
- Chiama in causa l’altro ex socio (suo fratello) affinché sia condannato a manlevarla per la sua quota del debito. Questa mossa trasforma il processo in un giudizio anche tra ex soci, dove Anna chiede che qualsiasi somma sarà tenuta a pagare al fornitore, per il 60% le venga restituita dall’altro socio (che era titolare del 60%).
- Nel frattempo, tramite il suo avvocato, contatta il fornitore per tentare una transazione: offre €5.000 subito a saldo e stralcio. Motiva l’offerta segnalando che sta opponendo €2.000 di forniture rese e che comunque, essendo finita la società, se il giudizio si protrae rischia di non vedere nulla (fa presente che l’altro ex socio è nullatenente e lei stessa se costretta potrebbe aprire un sovraindebitamento).
- Il fornitore, valutati i rischi e visto che Anna si mostra collaborativa, accetta la transazione: €5.500 in un’unica soluzione entro 30 giorni, e rinuncia al resto. Viene formalizzato un accordo scritto dove il fornitore dichiara di “non aver più nulla a pretendere da Anna e dalla società Alfa SNC” una volta incassati i 5.500 €.
Esito: Anna paga €5.500, il decreto ingiuntivo viene revocato per cessata materia del contendere. Nell’accordo, Anna non ottiene dal fornitore la liberatoria per l’altro socio (che rimane coobbligato per legge), ma poco importa: il fornitore avendo transatto non agirà oltre. Anna ha speso 5.500 anziché potenzialmente 8.000 più spese legali, e ha chiuso la vicenda in pochi mesi. Potrà volendo agire contro il fratello per recuperare parte dei 5.500 €, forte anche dell’accordo e delle prove che era debito comune: ma sapendo che il fratello è disoccupato, probabilmente eviterà altre spese legali. Avrà quindi sostenuto un costo maggiore della sua quota (5.500 vs 40% di 6.000 = 2.400), ma ha evitato un pignoramento che poteva colpire il suo stipendio e le spese legali di un lungo giudizio. Lezione: a volte transigere pagando più della propria quota conviene comunque, se gli altri coobbligati sono insolventi e se si riesce a strappare uno sconto sul totale. Importante è aver formalizzato il saldo e stralcio, così il creditore non potrà più rifarsi né su Anna né (di fatto) sull’altro socio.
Caso 2: Ex socio accomandatario e debito fiscale non pagato
Scenario: Bruno era socio accomandatario (illimitatamente responsabile) al 50% di “Beta SAS”, una libreria all’ingrosso di testi scolastici. Esce dalla società nel 2022, cedendo il suo ruolo di accomandatario a un nuovo socio. Durante la sua permanenza, Beta SAS aveva accumulato debiti IVA per €20.000 nel 2021. Nel 2023, l’Agenzia delle Entrate notifica a Beta SAS un avviso di accertamento per quell’IVA evasa, ma la società nel frattempo è inattiva e non impugna l’atto. Nel 2024 la società viene cancellata dal Registro Imprese senza aver pagato nulla. A giugno 2025, Bruno riceve una cartella esattoriale dall’ADER che gli intima di pagare €25.000 (IVA 2021 più sanzioni e interessi) in qualità di coobbligato ex socio accomandatario.
Problema: Bruno, pur essendo uscito prima che l’accertamento divenisse definitivo, era socio accomandatario all’epoca dell’omesso versamento IVA, quindi in linea di principio è responsabile del debito fiscale 2021. Tuttavia, contesta il fatto di non aver mai ricevuto un atto specifico a suo nome. L’ADER infatti ha emesso la cartella direttamente a Bruno, “ereditando” l’accertamento fatto alla società. Ciò potrebbe violare i principi su notifica e autonomia delle obbligazioni del socio ex art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602. Inoltre, Bruno non ha ricevuto alcuna distribuzione dalla liquidazione di Beta SAS: è uscito prima e non ha preso utili.
Soluzione – Azione/resistenza: Bruno presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) nei 60 giorni dalla notifica della cartella. Nelle sue difese solleva vari punti:
- Mancata notifica di atto presupposto al socio: richiama Cass. SS.UU. 19704/2015 sul fatto che, a seguito di estinzione della società, serve un nuovo titolo notificato al socio entro determinati termini. Sottolinea che la cartella a lui è stata emessa senza che egli ricevesse alcun avviso di accertamento intestato personalmente.
- Violazione del beneficio di preventiva escussione: evidenzia che l’IVA 2021 era debito sociale e che l’art. 8 D.Lgs. 472/97 e Cass. SS.UU. 16412/2007 richiedono la notifica dell’atto alla società prima di colpire i soci illimitati. Nel caso in questione, l’ADER ha notificato l’accertamento alla società ma non la cartella (che è il primo atto di riscossione) prima al socio. Inoltre la società, seppur cancellata, aveva ancora un immobile invenduto (Bruno lo segnala) su cui il Fisco non ha escusso.
- Assenza di somme ricevute: Bruno allega una dichiarazione giurata del liquidatore da cui risulta che lui non ha ricevuto alcuna somma o bene dalla società Beta SAS né prima né durante la liquidazione.
- Calcolo sanzioni: contesta anche l’importo della sanzione (40% per omesso versamento) chiedendo eventualmente clemenza o riduzione.
Parallelamente, Bruno, tramite il suo consulente, invia una istanza in autotutela all’Agenzia Entrate per segnalare la peculiarità del caso (ex socio uscito, nessun beneficio economico percepito) e chiede l’annullamento della cartella almeno limitatamente alla sua posizione.
Esito: In sede giudiziale, la Corte di Giustizia Tributaria accoglie il ricorso di Bruno e annulla la cartella nei suoi confronti. Motiva che:
- l’Agenzia avrebbe dovuto emettere un atto impositivo specifico ex art. 36 DPR 602/73 e notificarlo al socio, invece di procedere direttamente con la cartella;
- non è provato che Bruno abbia riscosso somme dal patrimonio sociale, e l’onere di tale prova grava sull’ente creditore (principio ribadito da Cass. SS.UU. 3625/2025);
- la società risulta estinta da oltre 1 anno senza atti verso Bruno in tale termine, in violazione altresì dell’art. 2495 co.2 c.c. per la notifica (anche se questo punto è discusso, il giudice lo cita come argomento sussidiario).
Di conseguenza Bruno non deve pagare i €25.000. L’ADER non appella, anche perché nel frattempo un altro ex socio (accomandatario subentrato) ha pagato parte del debito avendo ricevuto attivo. Bruno si ritiene soddisfatto: ha evitato un esborso ingente grazie a una tempestiva difesa tecnica. Lezione: con il Fisco, soprattutto su società estinte, la differenza la fanno i dettagli procedurali – farli valere può salvare decine di migliaia di euro all’ex socio.
Caso 3: Ex socio di S.r.l. e cartella INPS per TFR dipendenti
Scenario: Carla era socia al 50% (non amministratrice) di “Delta Srl”, una società che gestiva due librerie. Nel 2023 la società Delta Srl chiude l’attività, licenzia i dipendenti e viene posta in liquidazione. Purtroppo, a causa di debiti bancari, in liquidazione non restano fondi per pagare i TFR maturati dai 3 dipendenti (circa €15.000 in totale) né i contributi relativi all’ultimo trimestre (€1.500). La società viene cancellata nel 2024 senza aver saldato questi debiti verso i lavoratori. L’INPS interviene e anticipa ai dipendenti i loro TFR tramite il Fondo di Garanzia. Nel 2025 l’INPS – in qualità di surrogato – emette un provvedimento chiedendo a Delta Srl (estinta) e, in solido, ai due ex soci il rimborso di €16.500 (15.000 di TFR + 1.500 di contributi). Carla riceve quindi una lettera dall’INPS in cui le si chiede di pagare €16.500 quale ex socio, ai sensi dell’art. 2495 c.c. e in analogia all’art. 36 DPR 602/73 (pur citato impropriamente magari).
Problema: Carla non era amministratrice e non era nemmeno al corrente fino in fondo del buco finanziario; di fatto dalla liquidazione non ha ricevuto nulla, perché tutto è andato alle banche garantite da ipoteche. Si ritrova però con una richiesta INPS pesante. Sa (anche grazie a questa guida!) che l’INPS può pretendere dai soci di S.r.l. solo ciò che hanno incassato, ma come dimostrarlo? Inoltre nella lettera c’è scritto che “i soci rispondono in solido illimitatamente” citando art. 2291 c.c., come se fosse una società di persone – un evidente errore dell’ufficio.
Soluzione – Azione/resistenza: Carla decide di:
- Inviare subito una PEC di risposta all’INPS (Direzione provinciale) spiegando che la società era una S.r.l., i soci hanno responsabilità limitata, e citando la Cass. 24186/2021 e Cass. SS.UU. 3625/2025 che confermano l’onere della prova a carico del creditore sulle somme percepite dai soci. Nella PEC allega copia del bilancio finale di liquidazione della società, da cui risulta chiaramente che i soci non hanno preso nulla (anzi il bilancio chiudeva in perdita). Invita l’INPS a revocare in autotutela la richiesta, minacciando altrimenti ricorso giudiziario.
- Contestualmente, non ignorare i termini: poiché il provvedimento INPS potrebbe avere natura di “Avviso di addebito” immediatamente esecutivo, Carla ricorre al Tribunale (sezione Lavoro) entro 40 giorni dalla notifica, per sicurezza. Nel ricorso ribadisce: i soci di S.r.l. rispondono solo entro i limiti dell’attivo di liquidazione percepito, e lei non ha percepito nulla; dunque l’obbligo è insussistente.
- Per ulteriore sicurezza, chiede anche al liquidatore della società di fornire una dichiarazione scritta dove attesta la ripartizione nulla ai soci, e deposita tale dichiarazione in giudizio.
Esito: L’INPS, dopo aver ricevuto la PEC e verificato i documenti, annulla in autotutela la diffida verso Carla, concentrandosi piuttosto sull’altro ex socio (che però pure non aveva preso nulla, quindi sarà un buco nell’acqua anche lì, ma questa è la realtà dei crediti INPS in simili casi). Il legale di Carla e l’INPS si accordano per cessare la materia del contendere nel giudizio, con compensazione delle spese. Carla non paga nulla.
Commento: Questo caso evidenzia come, per i debiti verso dipendenti e contributi, l’INPS applichi analogamente l’azione verso ex soci di società di capitali. È fondamentale rispondere e documentare immediatamente la propria posizione. Carla ha anche beneficiato delle pronunce favorevoli:
- Cass. Sez. Lav. 20686/2022 che già aveva affermato i limiti di responsabilità dei soci ex S.r.l. e l’onere a carico di INPS.
- Cass. 24186/2021 che stabilisce chiaramente che è onere del creditore provare l’attivo percepito dal socio.
- Cass. 4959/2017 per analogia sul beneficio di escussione (anche se quella era su SNC, fa cultura generale).
Alla fine, Carla si è tutelata e l’INPS ha riconosciuto l’errore.
Caso 4: Ex socio garante di società con debito bancario
Scenario: Davide era socio al 33% di “Omega Srl”, società che vendeva libri scolastici all’ingrosso. Nel 2024 vende le sue quote agli altri due soci e lascia la società. Già nel 2022, però, Omega Srl aveva contratto un mutuo bancario di €90.000 per allestire un magazzino, e Davide lo aveva garantito personalmente con fideiussione omnibus. La società continua dopo la sua uscita, ma nel 2025 entra in crisi e smette di pagare le rate del mutuo. La banca, trovandosi di fronte a un insoluto, prima chiede alla società (ancora esistente) di regolarizzare, poi – viste le difficoltà – si rivolge direttamente a Davide, inviandogli una lettera in cui intima il pagamento immediato di €50.000 (rate scadute più interessi e spese) in virtù della sua fideiussione, minacciando in difetto l’escussione forzata su casa e conto.
Problema: Davide pensava che uscendo dalla società non avrebbe più avuto a che fare con i debiti di Omega Srl. Scopre però che la fideiussione che firmò non è stata affatto revocata dalla banca (lui non aveva neppure pensato di chiederlo) e pertanto è ancora pienamente efficace. Purtroppo, nel contratto di cessione delle sue quote ai due soci restanti, non c’è alcuna clausola chiara che li obblighi a sollevarlo da quella fideiussione; c’è solo una generica dichiarazione che “i debiti sociali restano in capo alla società acquirente”, che però per la banca non significa nulla. Davide ha inoltre saputo che la società ha rinegoziato il mutuo nel 2023 allungandone la durata e aumentando l’importo finanziato a €100.000, e lui non è stato consultato (ovviamente, essendo già uscito). Vorrebbe far leva su questo per liberarsi.
Soluzione – Azione/resistenza: Davide:
- Si rende conto che deve pagare per evitare guai peggiori (pignoramenti, ecc.). Quindi concorda rapidamente con la banca un piano di rientro delle rate scadute: ad esempio, paga subito €20.000 e il restante €30.000 lo spalma su 12 mesi aggiungendosi alle rate correnti (che comunque, essendo la società insolvente, finirà per pagare sempre lui).
- Nel frattempo, incarica un avvocato di esaminare la fideiussione. Si scopre che la banca, nel 2023, quando ha rinegoziato il mutuo con gli altri soci, ha aumentato il fido di €10.000 senza avvisare Davide né chiedere conferma della sua garanzia. Questo configura un possibile scenario di applicazione dell’art. 1956 c.c.: il garante può essere liberato se il creditore, sapendo dell’uscita del garante, concede un’operazione che aggrava il rischio (aumentare il debito) senza consenso del garante. In pratica, Davide potrebbe sostenere di non essere tenuto per quei €10.000 extra.
- Forte di questo argomento, l’avvocato di Davide avvia una trattativa con la banca: chiede che, una volta pagati i €50.000 arretrati, la banca liberi Davide dalla fideiussione residua (sul capitale ancora da rimborsare, ~€50.000) o quanto meno riduca la sua esposizione al vecchio importo (€90.000 anziché €100.000). La banca inizialmente resiste, ma quando Davide minaccia di fare causa per accertare la liberazione parziale dalla garanzia (causa che bloccherebbe i pagamenti futuri), la banca accetta un compromesso: se Davide paga tutto l’arretrato e continua a pagare le rate correnti per un altro anno, la banca acconsentirà a liberarlo dalla fideiussione e a proseguire il mutuo solo con gli altri soci (che nel frattempo cercano di vendere l’immobile per estinguere il debito).
- Parallelamente, Davide attiva un’azione legale verso i due ex co-soci acquirenti (ancora solvibili perché proprietari di immobili) basata sulla violazione degli obblighi contrattuali nel contratto di cessione: chiede che vengano condannati a rifondergli tutto quanto sta pagando alla banca, invocando il principio che comprando le sue quote dovevano farsi carico dei debiti sociali (o almeno indennizzarlo se lui costretto a pagarli). Questo contenzioso è complesso, ma sapendo di aver torto moralmente, i due soci offrono a Davide un accordo: gli cedono la proprietà di alcune attrezzature e libri invenduti di valore (che Davide poi rivende recuperando circa €10.000) e lui ritira la causa.
Esito: Davide paga il dovuto alla banca, ma riesce a:
- Ridurre il suo impegno futuro e liberarsi dalla garanzia dopo un certo periodo, evitando di dover pagare tutto il mutuo residuo (€50k risparmiati potenzialmente).
- Recuperare circa €10.000 dagli ex soci, mitigando la perdita economica.
- Imparare la lezione di pretendere sempre una liberatoria espressa quando esce da società con debiti bancari garantiti.
Lezione appresa: La fideiussione rimane uno dei rischi maggiori per l’ex socio di S.r.l. Anche se non legalmente dovuto per i debiti sociali, il contratto di garanzia firmato in banca sopravvive alla cessione delle quote. Occorre occuparsene attivamente: includere clausole di manleva nei contratti di cessione, e soprattutto ottenere dall’istituto di credito la liberazione, cosa non scontata. Inoltre, modifiche successive al rapporto garantito senza consenso del garante possono offrire appigli legali per liberarsi almeno parzialmente (come l’art. 1956 c.c.), da sfruttare negozialmente.
Conclusione
Diventare un ex socio di un’azienda indebitata non significa automaticamente liberarsi di tutte le preoccupazioni finanziarie legate all’impresa. In Italia, a seconda della forma giuridica e del ruolo ricoperto, l’ex socio può trovarsi ancora coinvolto nei debiti sociali, ma non è privo di tutele. Abbiamo visto che:
- La legge prevede limiti precisi alla responsabilità degli ex soci (es. il socio di S.r.l. non risponde illimitatamente, il socio di S.n.c. non risponde per debiti successivi all’uscita, ecc.).
- I creditori (compreso il Fisco) devono seguire procedure corrette e spesso onerose per poter escutere l’ex socio: ciò offre margini per difendersi, soprattutto se il creditore è incorso in qualche errore formale.
- Esistono strumenti sia stragiudiziali (trattative, accordi a saldo e stralcio, piani di rientro) sia giudiziali (opposizioni, ricorsi, procedure concorsuali minori) che l’ex socio può attivare per ridurre o annullare le pretese ingiuste.
- In extremis, l’ordinamento consente anche di azzerare i debiti residui tramite esdebitazione (sia quella post-fallimentare sia quella da sovraindebitamento), offrendo un vero fresh start al debitore meritevole.
Il messaggio fondamentale per un ex socio debitore è: non subire passivamente. Appena ricevete un atto di richiesta pagamento:
- Informatevi (anche con l’aiuto di un professionista) sui vostri diritti e sulla legittimità della pretesa.
- Agite tempestivamente con gli strumenti appropriati (ricorso, opposizione, risposta al creditore).
- Documentate la vostra posizione (uscita dalla società, eventuale assenza di benefici ricevuti, ecc.).
- Negoziate ove possibile, senza però cedere oltre il dovuto.
Con la giusta assistenza è possibile evitare richieste illegittime, bloccare azioni esecutive ingiuste e difendere il proprio patrimonio dagli effetti negativi di un’avventura imprenditoriale finita male. Essere un ex socio con debiti è una situazione difficile, ma gestibile: la legge vi offre sia scudi per proteggervi da responsabilità che non vi competono, sia opportunità per chiudere in modo equo ciò che vi compete davvero. L’importante è muoversi con cognizione di causa e tempestività.
Nota finale: questa guida si è concentrata sull’ordinamento italiano e su un livello avanzato di approfondimento. Ogni caso concreto può presentare sfumature specifiche: per dubbi applicativi, è consigliabile consultare un professionista legale esperto in diritto societario/fallimentare o in gestione della crisi d’impresa, che possa adattare i principi generali alla vostra situazione particolare.
Fonti e Riferimenti
- Codice Civile: artt. 2267, 2290, 2304, 2312 c.c. (responsabilità soci società di persone); artt. 2313 c.c. (accomandanti); artt. 2462, 2470 c.c. (responsabilità soci S.r.l. e socio unico); art. 2495 c.c. (responsabilità ex soci e liquidatori a seguito di liquidazione).
- Codice di Procedura Civile: art. 477 c.p.c. (titolo esecutivo contro coobbligati solidali); art. 2495 c.c. ult. comma richiamato in giurisprudenza per termine quinquennale.
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942): art. 147 (fallimento esteso ai soci illimitatamente responsabili entro un anno dal recesso).
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza): art. 256 (liquidazione giudiziale di società con soci illimitati ed estensione ai soci entro un anno); artt. 12–25 quinquies (Composizione negoziata della crisi d’impresa); artt. 65–83 (procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata); art. 283 (esdebitazione del debitore incapiente).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602: art. 36 (responsabilità dei liquidatori e dei soci per pagamento imposte di società estinte, limiti ai due esercizi precedenti e tempo di liquidazione).
- D.L. 30/09/1978 n. 352, conv. L. 467/1978: art. 2 (obbligo di comunicazione all’INPS delle variazioni dei soggetti obbligati – es. cessazione socio – pena opponibilità limitata).
- D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241: art. 8 (responsabilità solidale soci per sanzioni tributarie in società di persone); D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472: art. 14 (responsabilità solidale acquirente d’azienda per debiti tributari del cedente nei limiti 1 anno antecedente e anno in corso).
- Cassazione Civile – Sezioni Unite:
- Sent. n. 3625/2025 (12 febbraio 2025): principi sulla responsabilità fiscale degli ex soci di società di capitali; necessario atto autonomo ai soci con prova delle somme riscosse; conferma azionabilità entro 5 anni post-cancellazione.
- Sent. n. 19704/2015: notifica degli atti ai soci di società estinte; bisogno di nuovo titolo e distinzione tra socio e società (influenza sulle notifiche tributarie).
- Sent. n. 16412/2007: beneficio d’escussione in ambito fiscale: per debiti IVA di S.n.c. soci obbligati solo dopo notifica atto alla società; sancisce anche concetto di termine quinquennale per azione verso soci (successivamente richiamato).
- Cassazione Civile – Sezioni semplici:
- Sez. Lavoro n. 20686/2022: ex socio e liquidatore di S.r.l. cancellata; i soci rispondono nei limiti della quota di liquidazione percepita, onere della prova a carico del creditore (INPS); liquidatore responsabile solo se colpevole (omessa soddisfazione crediti previdenziali privilegiati).
- Sez. V n. 20447/2011: socio uscente di S.n.c. risponde anche di obbligazioni fiscali di legge sorte fino alla cessione registrata (es. IVA maturata prima dell’uscita).
- Sez. V n. 4959/2017: l’iscrizione a ruolo di tributi violando il beneficium excussionis rende nulla la cartella verso il socio illimitato (necessario tentare prima su società).
- Sez. III n. 22629/2020: chiarisce che il beneficio di escussione per il socio illimitatamente responsabile è solo di carattere esecutivo (non preclude cioè di ottenere un titolo di condanna anche contro il socio prima dell’escussione, ma ne limita l’esecuzione in concreto fino a infruttuosa escussione della società).
- Sez. VI-5 ord. n. 24186/2021: onere del creditore di provare la distribuzione di attivo al socio per pretenderne il pagamento ex art. 2495 c.c.; se il creditore non prova l’arricchimento del socio, la pretesa va rigettata.
- Sez. Lavoro n. 13240/2013: il socio uscente di S.n.c. può rispondere di contributi INPS sorti dopo il recesso se ha omesso di comunicare la cessazione all’INPS, nonostante l’iscrizione del recesso a registro imprese; l’INPS incolpevole può quindi considerarlo ancora obbligato.
- Sez. I n. 25123/2010: in caso di cessione di quota di S.n.c., il socio cedente resta obbligato verso i creditori sociali per i debiti anteriori alla cessione (fino a pubblicità), e l’acquirente della quota non può essere destinatario di azioni dei creditori pregressi se non pattuito (interna corporis).
- Prassi amministrativa: Circolare Agenzia Entrate 34/E-2022 (dopo Cass. SS.UU. 2021) e successivi chiarimenti sulla riscossione ex art. 36 DPR 602/73 in caso di società estinte; Messaggio INPS n. 3600/2021 (responsabilità solidale dei soci per TFR anticipato dal Fondo di Garanzia, con rimando a Cass. 20686/2022). (Fonti informative provenienti da siti istituzionali: portale Corte di Cassazione, Normattiva, portal INPS, Agenzia Entrate.)
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