Hai ricevuto o temi di ricevere un controllo dell’Agenzia delle Entrate sui tuoi investimenti in criptovalute?
Negli ultimi anni il Fisco ha aumentato la vigilanza sulle operazioni in Bitcoin, Ethereum e altre crypto, utilizzando dati provenienti da exchange, intermediari finanziari e segnalazioni internazionali. Se non hai dichiarato correttamente le tue operazioni o le plusvalenze, rischi sanzioni pesanti, ma esistono strumenti legali per difendersi e regolarizzare la posizione.
Quando possono partire i controlli sulle criptovalute
– Quando l’Agenzia delle Entrate riceve segnalazioni da exchange italiani o esteri sul volume delle operazioni effettuate
– Quando ci sono movimenti di denaro consistenti da e verso conti bancari collegati a piattaforme di trading crypto
– Quando non sono stati dichiarati i wallet detenuti all’estero nel quadro RW
– Quando non sono state dichiarate plusvalenze derivanti da vendite o conversioni in valuta fiat
– Quando le operazioni risultano incoerenti con il reddito complessivo dichiarato
Cosa può accadere in caso di controllo fiscale sulle crypto
– Richiesta di documentazione dettagliata su wallet, transazioni e conti collegati
– Contestazione di imposte non versate sulle plusvalenze realizzate
– Applicazione di sanzioni e interessi per omessa o infedele dichiarazione
– Iscrizione a ruolo del debito e successiva cartella esattoriale
– Nei casi più gravi, segnalazione per ipotesi di riciclaggio o reati tributari
Come difendersi da un accertamento crypto
– Far analizzare la contestazione da un avvocato tributarista o un commercialista esperto in fiscalità delle criptovalute
– Dimostrare la provenienza lecita delle somme e la corretta classificazione delle operazioni (trading, holding, staking, mining, NFT)
– Presentare memorie difensive con dati tecnici e tracciamenti blockchain per ridurre o annullare la pretesa
– Valutare la regolarizzazione spontanea tramite ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni
– Negoziare piani di pagamento sostenibili per importi non contestabili
– Coordinare la gestione fiscale delle crypto con eventuali altre posizioni debitorie
Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale e fiscale
– L’annullamento totale o parziale della pretesa tributaria
– La riduzione significativa di sanzioni e interessi
– La sospensione di cartelle e azioni esecutive
– La tutela del patrimonio personale da pignoramenti e sequestri
– La regolarizzazione completa della posizione fiscale evitando nuovi controlli
Attenzione: le criptovalute non sono più un territorio “non regolamentato” agli occhi del Fisco. Gli scambi e i guadagni possono essere facilmente monitorati, soprattutto grazie agli accordi internazionali sullo scambio di informazioni. Agire subito, con una strategia di difesa e documentazione chiara, è l’unico modo per evitare conseguenze pesanti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, fiscalità delle criptovalute e difesa del patrimonio – ti spiega tutto quello che devi sapere sui controlli dell’Agenzia delle Entrate sulle crypto, come proteggerti e come regolarizzare la tua posizione.
Hai ricevuto una richiesta di informazioni o un accertamento per le tue operazioni in criptovalute?
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Introduzione
Aggiornamento luglio 2025 – Negli ultimi anni il Fisco italiano ha rivolto un’attenzione crescente al mondo delle criptovalute (Bitcoin, Ethereum, NFT, token DeFi, stablecoin, ecc.), considerandole ambiti potenziali di evasione fiscale e riciclaggio. Con le recenti Leggi di Bilancio e i chiarimenti ufficiali dell’Agenzia delle Entrate, si è delineato un quadro normativo specifico per le cripto-attività. Questa guida – pensata per avvocati, privati investitori e imprenditori – affronta in dettaglio la disciplina fiscale italiana sulle criptovalute, gli strumenti di indagine utilizzati dall’Amministrazione finanziaria, le conseguenze in caso di omessa dichiarazione (sanzioni amministrative e penali), nonché le possibili strategie di regolarizzazione e difesa dal punto di vista del contribuente (il “debitore” verso il Fisco). Vengono illustrate le norme nazionali più aggiornate, le circolari e risoluzioni ufficiali, la giurisprudenza recente (sentenze di Cassazione 2024-2025) e casi pratici con tabelle riepilogative, domande e risposte, per fornire un quadro avanzato ma divulgativo su tutto quello che c’è da sapere sui controlli fiscali in materia di criptovalute.
Quadro normativo e definizioni
Cripto-attività: La normativa italiana definisce le cripto-attività come “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia a registro distribuito (DLT) o analoga”. Questa definizione, introdotta nella disciplina fiscale dalla Legge n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), è volutamente ampia e ricomprende criptovalute, token di varia natura, NFT e in generale qualsiasi asset digitale basato su blockchain. L’ambito applicativo della norma copre ogni fenomeno economico collegato alla detenzione, al trasferimento e al rimborso di tali valori o diritti digitali.
Inquadramento giuridico: Prima del 2023 mancava in Italia una disciplina fiscale ad hoc per le valute virtuali. In assenza di norme specifiche, l’Agenzia delle Entrate (AdE) e la prassi applicativa assimilavano le criptovalute alle valute estere o alle attività finanziarie ai fini fiscali. Ad esempio, già con la Risoluzione AdE n. 72/E del 2016 si era affermato il principio che le operazioni in bitcoin andavano trattate, per le persone fisiche, secondo le regole del trading di valuta estera. In concreto, prima del 2023 si riteneva che i guadagni da criptovalute fossero tassabili come redditi diversi di natura finanziaria al ricorrere di certe condizioni analoghe a quelle previste per le valute tradizionali (ad esempio, superamento di determinate giacenze o soglie di esenzione). Parimenti, sul piano del monitoraggio fiscale, i wallet e conti crypto detenuti all’estero erano equiparati a conti esteri da indicare nel Quadro RW della dichiarazione. Questa impostazione è stata confermata anche dalla giurisprudenza di merito e dall’Amministrazione: ad esempio, la Circolare AdE 38/E/2013 ribadiva che attività finanziarie estere vanno dichiarate anche se detenute fuori da intermediari, principio esteso poi alle criptovalute in wallet privati.
Legge di Bilancio 2023 – L. 197/2022: una svolta normativa è avvenuta con la legge 29 dicembre 2022 n. 197 (commi 126–147). Dal 1° gennaio 2023 le plusvalenze da cripto-attività realizzate da persone fisiche (al di fuori dell’esercizio d’impresa o lavoro) sono qualificate per legge come redditi diversi di natura finanziaria, grazie all’introduzione della lettera c-sexies) nel comma 1 dell’art. 67 del TUIR. Ciò ha conferito dignità normativa a quella che fino ad allora era una posizione di prassi. In sostanza: le criptovalute e affini producono redditi tassabili al pari di azioni, valute estere e altri investimenti finanziari, se detenute da soggetti privati. La stessa legge ha fissato un’aliquota unica del 26% su tali redditi (in linea con l’aliquota applicabile alle rendite finanziarie in Italia). Inoltre, è stata prevista una soglia di esenzione di 2.000 euro annui: le plusvalenze totali sotto tale importo, realizzate in un anno, non scontano imposta. Questa franchigia riprendeva e semplificava la previgente soglia relativa alle valute estere.
Di pari passo, la normativa del 2023 ha introdotto regole chiare su altri fronti: la permuta tra cripto-attività “aventi eguali caratteristiche e funzioni” è stata dichiarata non realizzativa ai fini fiscali (in altri termini, scambiare tra loro due cripto con la stessa natura non genera reddito imponibile). Ciò mira a evitare tassazioni infrannuali quando si passa, ad esempio, da un token ad un altro di pari funzione (anche se l’esatta portata pratica di questa clausola è oggetto di interpretazione). Contestualmente, la legge ha formalizzato l’obbligo di monitoraggio fiscale per i detentori di criptovalute, indipendentemente dal luogo di detenzione: il nuovo art. 4, c.1, D.L. 167/90 (modificato dalla L.197/2022) dispone che le cripto-attività vadano indicate nel Quadro RW prescindendo dal fatto che siano custodite in Italia o all’estero. In pratica, il legislatore ha voluto fugare dubbi: anche le valute virtuali su exchange italiani o in wallet personali vanno dichiarate (non solo quelle su conti esteri).
Legge di Bilancio 2024 – L. 197/2023: la successiva manovra finanziaria (approvata a fine 2023) ha consolidato la disciplina, senza stravolgerla. Ha prorogato alcuni termini (come vedremo per le sanatorie) e affinato la terminologia, ma il vero cambiamento è giunto con la legge di bilancio seguente.
Legge di Bilancio 2025 – L. 207/2024: con decorrenza 1° gennaio 2025 il legislatore ha previsto un inasprimento del regime fiscale sui redditi da criptovalute. In particolare: (i) è stata abolita la franchigia dei 2.000 € annui a partire dal periodo d’imposta 2025, per cui qualsiasi importo di plusvalenza sarà tassabile; (ii) è stato disposto l’aumento dell’aliquota dal 26% al 33%, ma solo a partire dal 1° gennaio 2026. Dunque, il 2025 funge da anno “ponte” in cui ancora si applica il 26% (ma senza esenzione), mentre dal 2026 i guadagni da cripto-attività sconteranno un’imposta sostitutiva al 33%. Questa modifica è stata introdotta con l’intento di equiparare la tassazione delle cripto-attività a quella delle aliquote marginali IRPEF più elevate (33% è vicino all’aliquota IRPEF mediana), nonché di aumentare il gettito fiscale futuro. Tali novità sono state confermate nel testo finale della L. 207/2024 e anticipate nelle discussioni parlamentari di fine 2024.
Per riassumere i punti chiave dell’evoluzione normativa, si consideri la seguente tabella:
Periodo | Regime fiscale cripto | Franchigia esenzione | Aliquota sostitutiva |
---|---|---|---|
Fino al 2022 | Nessuna norma ad hoc. Applicazione analogica regole valute estere e attività finanziarie (prassi AdE) | Soglia implicita da prassi (es. equiparazione a valuta estera) | N/A (26% in caso di applicazione regole valute estere) |
2023 – 2024 (L.197/2022) | Regime introdotto art.67 co.1 c-sexies TUIR: plusvalenze cripto = redditi diversi finanziari | 2.000 € di plusvalenze annue esenti | 26% imposta sostitutiva |
2025 (L.207/2024) | Regime modificato senza franchigia | 0 € (franchigia abolita) | 26% (aliquota invariata per 2025) |
Dal 2026 (L.207/2024) | Regime a regime con aliquota aumentata | Nessuna franchigia | 33% imposta sostitutiva |
Nota: Restano fuori dal campo dei “redditi diversi” i casi in cui l’attività in criptovalute configuri reddito di altra natura. Ad esempio, se il contribuente opera professionalmente o in forma imprenditoriale nel settore (come un broker abituale, un’azienda di mining o un artista che vende le proprie opere digitali tramite NFT), i relativi proventi possono qualificarsi rispettivamente come redditi d’impresa o redditi di lavoro autonomo, soggetti alla tassazione ordinaria IRPEF/IRES e, se del caso, ad IVA. Su questo punto torneremo, anche alla luce della giurisprudenza (es. Cass. penale 8269/2025 sul caso NFT).
Tassazione delle plusvalenze e altri redditi da cripto
Quando un’operazione genera “plusvalenza”: secondo l’Agenzia Entrate, ogni cessione di criptovaluta idonea a realizzare un valore economico configura una plusvalenza tassabile, se il valore di realizzo eccede il costo storico. In pratica qualunque vendita, conversione in valuta fiat o utilizzo di crypto per acquistare beni/servizi genera una plusvalenza determinata come differenza tra il corrispettivo (o controvalore) ottenuto in euro e il costo di acquisto delle unità cedute. Ad esempio, se un privato compra 1 Bitcoin a 10.000 € e poi lo usa per comprare un’auto del valore di 18.000 €, ha realizzato una plusvalenza di 8.000 €, soggetta a tassazione del 26% (imposta dovuta 2.080 €). Non conta che non vi sia un “incasso” in euro: il pagamento in natura (in criptovaluta) di un bene equivale fiscalmente a una vendita di crypto seguita da un acquisto del bene stesso. Su questo principio insiste anche la Cassazione, sottolineando che la mancata conversione in moneta legale non esclude l’imponibilità del ricavo in criptovalute.
Permuta tra criptovalute: come accennato, la legge esclude la tassazione immediata solo nel caso di scambio fra cripto-attività “aventi uguali caratteristiche e funzioni”. Ad esempio, convertire un certo stablecoin in un altro stablecoin (entrambi legati al dollaro USA) potrebbe non generare plusvalenza fiscalmente rilevante, trattandosi di asset analoghi per natura e funzione. Diversamente, la conversione di Bitcoin in Ether (due criptovalute con caratteristiche diverse) realizza una plusvalenza in capo al cedente Bitcoin, calcolata usando il valore di mercato degli Ether ricevuti come corrispettivo. In altre parole, lo swap tra cripto eterogenee viene assimilato a due operazioni speculari di vendita e acquisto. La portata esatta della clausola “cripto di eguali caratteristiche” sarà probabilmente oggetto di interpretazione ufficiale (ad oggi, la prudenza suggerisce di considerare non tassabile solo la permuta fra token effettivamente identici nella sostanza economica).
Aliquota d’imposta e dichiarazione: le plusvalenze nette da cripto realizzate da persone fisiche non imprenditori sono soggette a un’imposta sostitutiva (in luogo di IRPEF) attualmente pari al 26%. Questa tassazione “flat” al 26% rimarrà in vigore fino al 2025 incluso; dal 2026 salirà al 33%. Il contribuente deve riportare tali redditi nel quadro RT – Sezione II del Modello Redditi PF (persone fisiche) relativo all’anno in cui sono realizzati, indicando l’ammontare delle plusvalenze e calcolando l’imposta dovuta. In alternativa, come vedremo, può affidarsi a un intermediario finanziario abilitato in Italia optando per un regime amministrato.
La soglia di esenzione di €2.000 si applicava al computo annuale delle plusvalenze fino all’anno d’imposta 2024 incluso. Ciò significa che, per gli anni fino al 2024, se la somma di tutte le plusvalenze (al netto di eventuali minusvalenze compensabili) non superava 2.000 €, esse non generavano imposta. Attenzione: la franchigia era “unica” per anno, non per singola operazione, e valeva solo per privati non esercenti impresa. Dal 2025 in poi, come detto, qualunque importo di plusvalenza sarà tassato (anche 50 € di guadagno dovranno essere dichiarati e colpiti dall’imposta sostitutiva).
Costi e metodo di calcolo: la determinazione della plusvalenza avviene con criteri analoghi a quelli per azioni e valute estere. Il costo di acquisto delle criptovalute vendute dev’essere documentato e può comprendere gli oneri accessori (commissioni di exchange, fee di transazione, ecc.). In mancanza di distinta indicazione delle unità cedute, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che si applica il metodo LIFO (Last In, First Out), ovvero si considerano cedute per prime le unità acquistate più di recente. Questo criterio – mutuato dall’art. 68 TUIR – incide sul calcolo della plusvalenza quando il prezzo di acquisto delle criptovalute è variato nel tempo. È comunque facoltà del contribuente adottare metodi specifici se in grado di tracciare ogni singolo lotto (ad es. identificando precisamente quali Bitcoin sono stati venduti). In assenza di tali informazioni, il LIFO è lo standard di legge.
Se il contribuente non è in grado di dimostrare il costo di acquisto (ad esempio perché ha ricevuto criptovaluta in regalo, mining o in tempi in cui non ha conservato documentazione), ai fini fiscali si presume spesso costo zero. Ciò comporta che l’intero ricavo della cessione sarà tassato come plusvalenza. È quindi fondamentale conservare estratti conto, cronologie degli exchange e ogni evidenza delle transazioni di acquisto, per poter calcolare correttamente l’eventuale reddito tassabile e non subire un’imposizione eccessiva in caso di controlli.
Altri redditi da cripto-attività: la legge fa riferimento non solo alle plusvalenze (capital gain) ma anche agli “altri proventi” derivanti da operazioni aventi a oggetto cripto-attività. Rientrano in questa categoria, ad esempio: i proventi da staking, gli interessi o ricompense ottenuti con il lending di criptovalute, gli airdrops e fork che attribuiscono nuove monete al detentore, e simili. Tali proventi, se percepiti da soggetti privati non imprenditori, sono anch’essi inquadrati come redditi diversi di natura finanziaria (art.67 TUIR) e tassati al 26% (33% dal 2026) in sede di dichiarazione. L’Agenzia delle Entrate ha infatti precisato che ogni beneficio economico ottenuto nel mondo crypto – non riconducibile a redditi di capitale o lavoro – confluisce in questa nuova categoria residuale. Un caso particolare è il mining di criptovalute: l’estrazione di nuova criptovaluta mediante calcolo computazionale può generare reddito d’impresa (se svolta con mezzi organizzati abitualmente) oppure un reddito diverso occasionale. In generale, i “miner” professionali dovrebbero aprire una partita IVA e dichiarare i ricavi in crypto come reddito di impresa, assoggettandoli a tassazione ordinaria (IRES/IRPEF e contributi, e tendenzialmente fuori campo IVA secondo la giurisprudenza UE), mentre chi mina saltuariamente piccole quantità potrebbe dichiarare i proventi come redditi diversi occasionali. Data la complessità e specificità, è bene inquadrare caso per caso questo tipo di attività.
Compensazione delle perdite: esattamente come per gli altri redditi finanziari, le eventuali minusvalenze da cripto-attività possono essere portate a riduzione delle plusvalenze tassabili. Le regole ordinarie prevedono che le perdite realizzate siano compensabili con i guadagni della stessa natura entro i quattro anni successivi, tramite indicazione nel quadro RT. In altri termini, se in un dato anno l’investitore subisce una perdita da vendita di criptovalute, potrà utilizzarla per abbattere future plusvalenze crypto negli anni seguenti (fino al quarto). Fino al 2024, tuttavia, le minusvalenze erano “sterilizzate” dalla franchigia: non si poteva creare un credito da perdita sotto la soglia dei 2.000 € (per esempio, se un anno si perdeva 1.000 €, quella perdita non era deducibile in quanto entro la no-tax area). Dal 2025, abolita la franchigia, tutte le minusvalenze dichiarate diventano interamente compensabili nei 4 anni, nei limiti della capienza di future plusvalenze. La circolare AdE 30/E/2023 conferma l’applicabilità degli artt. 67 e 68 TUIR anche al computo di plusvalenze/minusvalenze crypto. È importante dichiarare le minusvalenze nel quadro RT dell’anno in cui si realizzano, per poterle poi riportare. Non è ammessa invece la compensazione tra redditi di natura diversa: ad es. una perdita su Bitcoin non può ridurre il reddito di lavoro o d’impresa, ma solo compensare altri redditi diversi finanziari (criptovalute, valute estere, ecc.).
Esempio di calcolo: un investitore nel 2024 ottiene una plusvalenza di 5.000 € dalla vendita di alcune criptovalute, ma nello stesso anno ha anche realizzato una minusvalenza di 2.500 € su altre operazioni crypto. Il risultato netto è +2.500 €. Poiché la franchigia 2024 è 2.000 €, rimangono 500 € imponibili al 26%. Supponendo un’imposta di 130 €, egli la dichiarerà e verserà nel 2025 (relativa al 2024). La parte di minusvalenza non usata (2.000 € compensati e 500 € eccedenti?) in questo caso è in parte “mangiata” dalla franchigia. Dal 2025 in poi, scenario simile (5.000 di guadagni e 2.500 di perdite) porterebbe a tassare l’intero netto di 2.500 € senza esenzione.
Intermediari e regime opzionale: il Decreto Legislativo 461/1997 prevede per i redditi di natura finanziaria tre possibili regimi fiscali: (a) dichiarativo (il contribuente calcola e paga l’imposta nella propria dichiarazione annuale, come descritto finora), (b) risparmio amministrato e (c) risparmio gestito. Con la Legge di Bilancio 2023, il legislatore ha esteso la possibilità anche alle cripto-attività di rientrare nei regimi amministrato/gestito qualora vi sia un intermediario finanziario italiano disposto ad assumersi gli obblighi di sostituto d’imposta. In pratica, se ci si avvale di un exchange o broker italiano (iscritto all’albo OAM) che offre l’opzione del regime amministrato, l’intermediario applicherà direttamente la ritenuta del 26% sulle plusvalenze realizzate dal cliente, liberandolo dall’incombenza di dichiararle. Questo è un sistema analogo a quello per cui le banche italiane tassano alla fonte i guadagni di Borsa: l’utente riceve già il profitto netto. Tuttavia, ad oggi pochi operatori crypto in Italia offrono il regime amministrato, data la complessità di monitorare costi fiscali e movimentazioni in blockchain. La Risposta ad interpello n. 135/2025 dell’Agenzia Entrate ha fornito istruzioni proprio a un exchange italiano che intendeva introdurre il regime amministrato per i suoi clienti, chiarendo ad esempio come comportarsi se il cliente trasferisce criptovalute fuori dalla piattaforma o le introduce da wallet esterni. In tali casi, l’intermediario cessa di fungere da sostituto d’imposta quando le cripto escono verso un wallet privato (non potendo più monitorare le successive operazioni) e deve fare attenzione a riconoscere il costo fiscale delle cripto che eventualmente rientrano da fuori (richiedendo documentazione al cliente). Questi dettagli interessano soprattutto gli addetti ai lavori; per l’utente medio, il concetto è: se un exchange italiano applica la ritenuta, non dovrai dichiarare tu i redditi crypto, viceversa se usi exchange esteri o self-wallet sarai in regime dichiarativo.
Riepilogo: i redditi da cripto-attività per privati rientrano nei redditi diversi finanziari e sono tassati attualmente al 26% oltre 2.000 € annui di guadagni (26% su tutto dal 2025). Vanno monitorati in dichiarazione annuale (salvo regime amministrato). Le perdite compensano i profitti futuri. L’assenza di prelievo alla fonte (se si opera da soli o su piattaforme estere) implica che il contribuente deve attivarsi spontaneamente per dichiarare e versare l’imposta entro i termini (tipicamente il 30 giugno dell’anno successivo, con saldo e acconto). Nel prossimo paragrafo approfondiamo gli obblighi dichiarativi, oltre alla dichiarazione reddituale, relativi al monitoraggio fiscale e alla patrimoniale IVAFE.
Obblighi dichiarativi e monitoraggio fiscale
Oltre alla tassazione dei redditi, chi detiene o ha operazioni in criptovalute deve rispettare specifici adempimenti dichiarativi verso il Fisco italiano, principalmente legati al monitoraggio delle attività estere e all’imposta patrimoniale sul valore delle cripto detenute.
Quadro RW – Monitoraggio delle attività finanziarie estere: Il quadro RW della dichiarazione dei redditi è destinato a rilevare gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero dai residenti in Italia. Dal 2019 l’obbligo RW si applica anche alle valute virtuali detenute presso exchange esteri o in wallet privati, in quanto assimilabili a “attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia”. La Legge di Bilancio 2023 ha ulteriormente specificato che l’obbligo di monitoraggio sussiste per le cripto-attività indipendentemente dalle modalità di custodia e dal luogo in cui sono detenute. Ciò significa che tutte le criptovalute possedute da un contribuente residente – se non affidate a un intermediario italiano che funge da sostituto d’imposta – devono essere indicate in RW. In pratica:
- Criptovalute su exchange esteri o wallet non italiani: vanno sempre dichiarate in RW, indicando il Paese estero di riferimento (se l’exchange ha sede fuori Italia, codice dello Stato estero; se si tratta di wallet decentralizzato o cold wallet, in assenza di un “Paese” si può indicare ad esempio lo Stato di residenza propria o “WW” – world wide – secondo le istruzioni). L’interpretazione attuale equipara i wallet non custoditi a conti esteri. È richiesto di indicare il valore massimo in euro detenuto nel corso dell’anno e il valore al 31/12 di ogni anno.
- Criptovalute su exchange italiano (soggetto a obblighi di segnalazione in Italia): formalmente, dopo la modifica normativa, anche queste dovrebbero essere indicate in RW, poiché la norma parla di obbligo a prescindere dall’estero. Tuttavia, c’è dibattito: tradizionalmente RW rileva attività “estere”, e alcuni ritengono che se le cripto sono depositate presso un intermediario italiano (banca, società fiduciaria, etc.), allora non vadano in RW ma solo eventualmente segnalate altrove. La L.197/2022 ha reso la questione ambigua. Il principio prudenziale suggerito dall’AdE è di dichiarare comunque tutte le detenzioni di cripto non già soggette a controllo fiscale italiano. In pratica, se le vostre cripto sono su una piattaforma italiana che fornisce i dati al fisco (es. tramite OAM), l’omissione RW potrebbe essere considerata veniale; se invece sono in un wallet privato o su un exchange estero, la mancata compilazione del RW è una violazione certa.
IVAFE/“imposta sul valore” delle cripto: A partire dal periodo d’imposta 2023, l’Italia ha esteso alle cripto-attività la medesima imposizione patrimoniale prevista per le attività finanziarie estere. Si tratta dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero) per chi detiene crypto tramite intermediari esteri o in proprio. L’aliquota è dello 0,2% annuo (pari al 2 per mille) calcolata sul valore di mercato al 31/12 delle criptovalute possedute. Se il valore di mercato non è disponibile (per alcune cripto poco liquide), si può usare il costo di acquisto. Tale imposta patrimoniale si dichiara e versa assieme al saldo delle imposte sui redditi (va indicata nel quadro RW o, per il 730, nel quadro equivalente). Esempio: se al 31 dicembre 2024 un contribuente possiede criptovalute per un controvalore di 50.000 €, dovrà pagare 100 € di IVAFE per il 2024 (oltre, ovviamente, alle imposte sui redditi se nel 2024 ha realizzato plusvalenze). L’IVAFE non si applicava fino al 2022, ma solo dal 2023 in avanti. Inoltre, se le criptovalute sono detenute tramite un intermediario italiano (es. banca o fiduciaria) che emette un rendiconto, si applica in teoria la “imposta di bollo” dello 0,2% su quel rendiconto, anziché l’IVAFE (che è il corrispettivo per attività all’estero). In sostanza 0,2% annuo è dovuto in ogni caso, sia come IVAFE (per chi compila RW) sia come bollo (per chi ha un rapporto in Italia soggetto a bollo). La circolare AdE ha chiarito questi aspetti, ad esempio specificando il codice da usare in RW per le cripto (verosimilmente il codice “14” per altre attività estere finanziarie). Va segnalato che l’IVAFE non ha soglie di esenzione (salvo una minimale di 12€ di imposta sotto cui non si versa), quindi anche poche migliaia di euro in crypto al 31/12 generano qualche euro di imposta patrimoniale.
Come dichiarare in pratica nel Quadro RW: Bisogna indicare, per ogni tipologia di cripto posseduta (o eventualmente per ogni wallet/exchange rilevante): il valore iniziale, finale e il valore massimo avuto nell’anno, convertiti in euro. Di solito il valore di riferimento è quello di mercato al 31/12 su un exchange affidabile o fonte pubblica (AdE può indicare annualmente valori di riferimento medi per le valute virtuali principali). Se un contribuente possedeva, ad esempio, 1.5 BTC su un wallet hardware al 31/12, e il valore unitario del BTC era 30.000 €, indicherà valore finale €45.000. Se durante l’anno aveva raggiunto 2 BTC come picco (valore max supponiamo €60.000), indicherà tale picco come valore massimo. Questa informazione serve al Fisco per il monitoraggio. L’IVAFE dello 0,2% si calcolerà su €45.000. Nel quadro RW 2023 è stata introdotta una sezione specifica per le cripto-attività, segno della volontà di tracciare chiaramente questi asset.
Sanzioni per omessa dichiarazione RW: la mancata compilazione del Quadro RW o l’indicazione incompleta delle criptovalute detenute è considerata una violazione formale di monitoraggio fiscale. Le sanzioni amministrative sono piuttosto onerose: in generale si va da € 3% al 15% dell’importo non dichiarato (valore delle attività estere) per le attività in Paesi collaborativi, che salgono a 6%–30% se le attività sono detenute in Paesi black list (paradisi fiscali non collaborativi). Tali percentuali si applicano per ciascun anno omesso. Inoltre, vi è una sanzione fissa di € 258 per la violazione formale di monitoraggio in sé. La normativa prevede anche l’estensione di un anno del termine di accertamento per i periodi con quadro RW omesso (normalmente il Fisco può accertare entro il 31/12 del quinto anno successivo a quello di imposta, che diventano sei in caso di RW non dichiarato). È importante notare che queste sanzioni RW sono dovute oltre alle eventuali sanzioni per le imposte evase: sono indipendenti. Quindi un contribuente che non dichiara crypto in RW ma dichiara comunque le plusvalenze fiscali (ipoteticamente) incorrerebbe solo nella sanzione RW; viceversa chi omette anche i redditi avrà sanzioni sia sul reddito non dichiarato che sul monitoraggio.
Novità sulla dichiarazione 2023 (redditi 2022): va ricordato che il periodo d’imposta 2022 è stato l’ultimo senza la nuova disciplina legislativa, ma con l’obbligo di RW ancora sussistente in base a interpretazioni. Molti contribuenti potrebbero non aver dichiarato nulla prima del 2023, confidando nella zona grigia normativa. Dal 2023 in poi, con le nuove regole e controlli, il Fisco si aspetta di vedere indicati nei quadri RW tutti gli asset digitali. Questo monitoraggio serve anche a far emergere patrimoni in criptovalute su cui eventualmente calcolare in futuro la capacità contributiva (alcuni commentatori notano come 0,2% di IVAFE possa preludere a eventuali inasprimenti futuri, ma ad oggi è allineato all’imposta di bollo sugli investimenti tradizionali).
Regime per le imprese e professionisti: Se a detenere criptovalute è un soggetto “business” (es. una società, o un imprenditore individuale), il monitoraggio RW non è dovuto (il quadro RW è riservato a persone fisiche, enti non commerciali e società semplici). Le società di capitali e imprese individuali iscriveranno le criptovalute nel proprio bilancio/contabilità. Tuttavia, per analogia, anche alle imprese viene applicata una sorta di monitoraggio tramite la liquidazione dell’IVAFE: infatti la legge di bilancio 2023 non distingue, e prevede l’imposta dello 0,2% sulle cripto detenute da chiunque, privati e imprese. In pratica, un’azienda che a fine anno ha criptovalute tra le proprie attività dovrà versare lo 0,2% del loro valore (questa imposta per l’azienda sarà un costo deducibile). Le istruzioni ministeriali potrebbero richiedere all’impresa di indicare queste attività in dichiarazione dei redditi (quadro RS o analoghi). Data la specificità, è sempre opportuno che un’impresa consulti il commercialista per la corretta rappresentazione contabile e fiscale (es.: le cripto possono essere valutate al costo o al valore corrente se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, ecc., in base ai principi contabili).
Riassumendo gli adempimenti chiave:
- Quadro RW: indicare le consistenze in criptovalute detenute fuori dal circuito degli intermediari italiani, con valore di fine anno e picco annuale.
- IVAFE 0,2%: calcolare e versare annualmente sul valore delle cripto (salvo cripto presso intermediari italiani, dove l’imposta di bollo viene applicata dall’intermediario).
- Quadro RT: dichiarare plusvalenze e altri redditi da cripto, calcolare imposta 26% (o 33% dal 2026) ed effettuare il versamento entro il 30 giugno (saldo e acconti come da regole generali Irpef).
- Documentazione: conservare evidenze di acquisti, vendite, cambi crypto-crypto, report degli exchange, ecc. L’Agenzia può chiedere di esibirle in caso di controllo (specie per giustificare i costi di acquisto dichiarati o i trasferimenti di asset). La mancanza di documenti può portare ad accertamenti induttivi, ove tutto l’incassato in euro (o il valore uscito dal wallet) venga presunto reddito.
Nel prossimo capitolo analizziamo come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza svolgono i controlli e accertamenti in questo settore, quali strumenti utilizzano per “stanare” le criptovalute non dichiarate e cosa succede in caso di irregolarità (sanzioni amministrative, penali e possibilità di ravvedimento).
Strumenti di indagine del Fisco sulle criptovalute
Le criptovalute nascono con l’idea di decentralizzazione e (in parte) anonimato, ma ciò non significa che sfuggano ai radar del Fisco. Anzi, l’Amministrazione finanziaria italiana – spesso con il supporto della Guardia di Finanza – ha sviluppato negli ultimi anni una serie di strumenti investigativi specifici per individuare patrimoni e redditi occultati tramite valute virtuali. Di seguito i principali mezzi di controllo:
- Anagrafe dei rapporti finanziari & Indagini bancarie: L’Agenzia delle Entrate dispone già da tempo di un’enorme mole di dati sui rapporti finanziari tradizionali (conti correnti, bonifici, carte di credito) dei contribuenti, attraverso l’Archivio dei Rapporti Finanziari alimentato dalle banche. Ogni qual volta un soggetto acquista criptovalute usando canali tracciabili (es. bonifico SEPA verso un exchange, carta di credito su piattaforma crypto, ecc.), lascia inevitabilmente un segnale. Le indagini finanziarie ex art. 32 DPR 600/1973 consentono al Fisco, durante un accertamento, di ottenere estratti conto e movimenti bancari del contribuente e cercare entrate/uscite verso controparti note (es. società che gestiscono exchange). Dati del 2022-2023 mostrano un forte incremento dei bonifici bancari originati da conti italiani verso piattaforme di scambio crypto. Tali flussi, se non trovano riscontro nelle dichiarazioni fiscali (ad esempio nessuna plusvalenza dichiarata, nessun quadro RW compilato), possono generare alert di possibile evasione.
- Segnalazioni antiriciclaggio (UIF): Gli operatori finanziari sono obbligati per legge a segnalare operazioni sospette di riciclaggio alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria) di Bankitalia. Dal 2022 anche i prestatori di servizi relativi a valute virtuali sono stati inclusi tra i soggetti obbligati. Ciò significa che un exchange (o una banca che vede transiti verso crypto) potrebbe inviare una segnalazione di operazione sospetta se, ad esempio, un cliente converte importi ingenti in crypto senza chiara giustificazione. La UIF condivide poi analisi e trend con la Guardia di Finanza e può attivare approfondimenti. Esempio: se Tizio bonifica €500.000 ad un exchange estero appena registrato e poi sposta i fondi su wallet anonimi, la banca potrebbe segnalarlo. La Guardia di Finanza verrebbe allertata e potrebbe aprire un’indagine finanziaria e fiscale parallela. Le segnalazioni crypto sono in forte crescita e spesso preludono ad accertamenti fiscali, poiché l’utilizzo di crypto può celare evasione o capitali illeciti.
- Registro OAM dei operatori crypto: Dal 2022 è operativo in Italia il Registro tenuto dall’OAM (Organismo degli Agenti e Mediatori) in cui devono iscriversi tutti i soggetti (società o persone) che vogliono operare come exchange di criptovalute, wallet provider o comunque prestatori di servizi relativi a crypto-attività con clienti in Italia. L’iscrizione all’OAM comporta anche un obbligo periodico di comunicazione dei dati: gli operatori devono inviare trimestralmente all’OAM una serie di informazioni aggregate sulle operazioni effettuate dai propri utenti (numerosità, volumi, ecc.), e su richiesta anche dettagli specifici. Queste informazioni possono essere messe a disposizione dell’Autorità giudiziaria, della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. In pratica, il Fisco sa chi sono gli exchange attivi in Italia e può ottenere da loro dati sui movimenti degli utenti. Ad esempio, se Caio ha un account su un exchange italiano, l’Agenzia può chiederne lo storico delle transazioni e dei saldi. L’OAM è uno strumento di regolamentazione ma anche di intelligence: abbinato alle segnalazioni antiriciclaggio, consente di avere mappe di dove si stanno spostando grandi capitali in crypto.
- Software di blockchain analysis: la Guardia di Finanza si è dotata di strumenti informatici avanzati per l’analisi delle blockchain pubbliche (come Bitcoin ed Ethereum). Attraverso software di blockchain forensics (ad es. noti prodotti commerciali come Chainalysis, Elliptic, CipherTrace), è possibile tracciare i flussi di criptovaluta individuando gli indirizzi (wallet) che interagiscono con gli exchange e ricostruendo percorsi anonimi. Contrariamente a quanto molti pensano, le criptovalute non garantiscono anonimato assoluto: la maggior parte delle blockchain pubblica tutte le transazioni in forma pseudonima (indirizzi alfanumerici). Incrociando i dati noti (ad es. indirizzi di exchange, indirizzi associati a persone identificate in indagini, ecc.), i software sono in grado di clusterizzare i wallet e spesso attribuirli a specifici utilizzatori. La GdF ha dichiarato che in un caso recente è riuscita a individuare una serie di wallet molto capienti e ad attribuirli con certezza a un contribuente italiano evasore. Questo è stato possibile seguendo le tracce on-chain e collegandole ai movimenti su conti bancari ed exchange registrati.
- Operazioni investigative speciali: quando vi è il sospetto di evasione rilevante tramite crypto, la Procura della Repubblica può delegare alla Guardia di Finanza un’indagine approfondita (anche penale, se ci sono ipotesi di reato tributario). Ad esempio, nel caso di Ravenna emerso a febbraio 2025, i finanzieri hanno condotto la prima grande indagine fiscale in Italia sul trading di criptovalute, scoprendo un contribuente che aveva accumulato 270 milioni di euro in cripto non dichiarate. In quel caso, l’operazione ha coinvolto il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria locale e il Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche di Roma, impiegando tecniche investigative complesse: sono stati identificati indirizzi crypto, ricondotti al soggetto faentino, e quindi è scattato un sequestro preventivo di criptovalute (Bitcoin e Avalanche) per un controvalore di 11 milioni di €, corrispondente all’“illecito profitto” ritenuto oggetto di evasione. Il caso Ravenna è esemplare non solo per le cifre, ma anche perché il contribuente, una volta scoperto, ha collaborato sanando parte del pregresso: ha presentato dichiarazioni integrative per diversi anni e ha aderito al contraddittorio con l’Agenzia Entrate, versando circa 12,5 milioni di euro di imposte, sanzioni e interessi. Ciò dimostra come un approccio cooperativo possa ridurre le conseguenze (in quel caso probabilmente ha evitato guai peggiori, magari penali, per gli anni successivi al 2019).
- Cooperazione internazionale e “crypto intelligence”: su scala internazionale, anche l’UE si sta muovendo per uniformare i controlli. È in fase di approvazione definitiva la direttiva DAC8, che estenderà lo scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali includendo i dati sulle criptovalute detenute dai contribuenti europei. In parallelo, il Regolamento europeo MiCA (Markets in Crypto-Assets), applicabile a partire dal fine 2024, imporrà obblighi di trasparenza e registrazione agli operatori crypto a livello europeo. Questo significa che nel giro di pochi anni gli exchange europei trasmetteranno alle autorità fiscali dati analoghi a quelli oggi scambiati per i conti correnti. Già ora, l’Agenzia Entrate italiana può inoltrare richieste di assistenza amministrativa all’estero per ottenere informazioni su conti crypto detenuti presso intermediari in altri Paesi (in virtù di accordi OCSE e scambio info su richiesta). Inoltre, operazioni transnazionali di polizia (coordinate da Europol) hanno individuato piattaforme illegali e sequestrato portafogli in vari stati.
- Analisi di rischio e machine learning: l’Agenzia delle Entrate dispone di un cervellone informatico (il sistema Serpico) che incrocia decine di banche dati per individuare anomalie dichiarative. Con l’enorme sviluppo delle crypto, è plausibile che siano stati implementati specifici indicatori di rischio: ad esempio, soggetti con elevati movimenti finanziari ma nessun reddito dichiarato, giovani che acquistano immobili in contanti dopo aver incassato da exchange, ecc. Segnalazioni in tal senso possono far scattare controlli mirati. Anche il semplice confronto tra il nuovo quadro RW (se compilato) e i quadri reddituali potrà evidenziare situazioni incoerenti (es: in RW risultano 100.000 € in crypto, ma nessun reddito da esse mai dichiarato: il Fisco potrebbe chiedere spiegazioni su come quell’importo si sia formato e se non vi fossero plusvalenze tassabili nel frattempo).
In sintesi, come “becca” il Fisco chi evade con le crypto? Principalmente incrociando tracce finanziarie tradizionali (soldi che entrano/escono dal circuito bancario verso il mondo crypto) con tracce digitali (dati OAM, segnalazioni, analisi blockchain). Laddove emergano incongruenze – come patrimoni virtuali ingenti non giustificati dai redditi dichiarati – scattano prima verifiche fiscali (accertamenti) e, se i numeri lo giustificano, anche indagini penali per reati tributari o riciclaggio. Va sfatato il mito che Bitcoin & co. garantiscano l’anonimato perfetto: “la Guardia di Finanza, con software di blockchain analysis, può identificare i proprietari dei wallet” e i casi concreti lo dimostrano. Un alto ufficiale GdF ha recentemente dichiarato: «adottiamo tre tipologie di intervento: indagini di polizia giudiziaria, ispezioni antiriciclaggio e verifiche fiscali» per contrastare gli illeciti con cripto, data la “plethora di reati” che si prestano a questo ambito (evasione, riciclaggio, abusivismo finanziario).
Per il contribuente onesto, tutto ciò significa che è ormai rischioso ignorare gli obblighi fiscali sulle criptovalute: le chance di essere scoperti sono in aumento. Nel prossimo capitolo vedremo cosa accade quando parte un accertamento fiscale sulle crypto, quali sanzioni sono previste e come ci si può eventualmente rimediare (ravvedimento operoso, definizione agevolata, ecc.), nonché le pronunce giurisprudenziali più recenti in materia (incluse quelle penali della Cassazione).
Accertamenti fiscali, sanzioni e ravvedimento operoso
Accertamento e contestazione: Se l’Agenzia delle Entrate (o la Guardia di Finanza) individua discrepanze o omissioni relative a cripto-attività, può avviare un accertamento fiscale. Spesso il primo passo è un questionario o invito a comparire: il contribuente riceve una comunicazione in cui si chiedono chiarimenti (es. “risultano movimenti verso l’estero – exchange X – non giustificati in dichiarazione, fornisca spiegazioni e documentazione”). In altri casi, soprattutto se l’indagine parte dalla GdF, si può procedere direttamente con una verifica fiscale (accesso, ispezione e richiesta documenti). Qualora emergano redditi non dichiarati, l’Ufficio emetterà un avviso di accertamento per i vari anni d’imposta interessati, recuperando le imposte evase più sanzioni e interessi.
Sanzioni amministrative per omessa/imprecisa dichiarazione dei redditi: I redditi di criptovalute non dichiarati sono equiparati a redditi sottratti a tassazione. Le sanzioni previste dal D.Lgs. 471/1997 sono:
- Dichiarazione infedele (art.1, co.2): si ha quando il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi ma ha omesso di indicarvi componenti positivi di reddito (ad esempio, plusvalenze crypto) per un importo superiore al 10% del reddito dichiarato o comunque oltre €2.000 (soglia assoluta), oppure ha indicato indebite detrazioni/deduzioni >10% del dichiarato. In tal caso la sanzione va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Ad esempio, se Tizio avrebbe dovuto pagare €5.000 di imposte sulle plusvalenze crypto non dichiarate, rischia una sanzione tra €4.500 e €9.000, oltre ovviamente ai €5.000 di imposta evasa e interessi. L’ufficio normalmente applica il minimo edittale (90%) aumentato in base alla gravità, con possibilità di riduzioni se il contribuente aderisce (vedi oltre). Se la violazione riguarda il quadro RW (monitoraggio) ma c’è anche evasione di imposta, queste sanzioni si sommano a quelle sul reddito.
- Omessa dichiarazione (art.1, co.1): se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione annuale pur essendovi obbligato (situazione possibile se l’unico reddito rilevante erano grandi plusvalenze crypto e il soggetto, magari inesperto, non ha fatto la dichiarazione), la sanzione sale dal 120% al 240% dell’imposta dovuta. Inoltre, non presentare la dichiarazione preclude alcune attenuanti e comporta spesso l’applicazione dei massimali se l’omissione è totale. In caso di omessa dichiarazione, l’Agenzia può emettere accertamento entro il 31/12 dell’ottavo anno successivo (anziché il quinto) poiché l’assenza di dichiarazione allunga i termini.
- Violazioni minori: se l’errore riguarda ad esempio una compilazione sbagliata che non incide sull’imposta (violazione formale) le sanzioni sono meno pesanti, ma nel contesto cripto tipicamente si tratta di omissioni di redditi o monitoraggio, quindi sanzioni sostanziali come sopra.
Interessi: Su ogni imposta evasa vanno calcolati gli interessi di mora dal giorno in cui andava versata (es. 30/06 dell’anno successivo) fino alla data di pagamento effettivo. Il tasso di interesse legale in Italia è variato (nel 2023 era al 5% annuo, nel 2024 al 5%, ecc.). Quindi su evasioni protratte per anni gli interessi possono aumentare il dovuto di un ulteriore 10-20%.
Sanzioni penali tributarie: Oltre alle sanzioni amministrative, se gli importi non dichiarati superano certe soglie, scatta anche l’illecito penale di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione (previsti dal D.Lgs. 74/2000):
- Reato di dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000): si configura quando il contribuente, presentando una dichiarazione annuale, occulta redditi per un importo superiore a €100.000 di imposta evasa e contemporaneamente l’ammontare dei redditi non dichiarati supera il 10% del totale dichiarato o comunque è superiore a €2 milioni. La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni. Nel caso delle crypto, ciò potrebbe accadere ad esempio se Caio dichiara redditi per €20.000 ma omette plusvalenze per €3 milioni con imposta evasa di €780.000 (supera sia 100k di imposte che 2M di base). Importante: recenti pronunce hanno stabilito che “l’omessa indicazione dei proventi da cessione di NFT e criptovalute in dichiarazione può configurare il reato di dichiarazione infedele se supera la soglia di punibilità”. La Cassazione penale n. 8269 del 28/02/2025 ha confermato il sequestro preventivo di €836.000 nei confronti di un indagato che aveva omesso di dichiarare ricavi in crypto da vendita di opere digitali, ribadendo che il pagamento in criptovalute non esclude la natura di reddito imponibile. Inoltre, la Corte ha chiarito che il mero possesso di criptovalute non dichiarate non è reato in sé, ma lo diventa se si omettono i redditi generati dalla loro cessione. Anche la “buona fede” nel ritenere non tassabile il ricavo in crypto non esime dalla responsabilità penale, perché l’obbligo di dichiarare c’era già secondo le norme esistenti (non è un errore scusabile).
- Reato di omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs.74/2000): scatta se non viene presentata alcuna dichiarazione e l’imposta evasa supera €50.000. La pena va da 2 a 5 anni di reclusione. Ipotizziamo: un contribuente nel 2024 avrebbe dovuto versare €60.000 di imposte su plusvalenze crypto, ma non ha fatto la dichiarazione; commette reato. Se l’imposta evasa fosse stata 40.000, non integrerebbe reato penale (resta solo sanzione amministrativa).
- Altri reati possibili: se si usano artifici per occultare le crypto (falso in bilancio, o frode fiscale art.3 D.Lgs.74/2000, ecc.), potrebbero configurarsi altri illeciti, ma nel contesto tipico del privato con crypto, i due reati suindicati sono i più pertinenti.
In generale, le soglie penali sono elevate, quindi il piccolo risparmiatore difficilmente rischia il carcere per crypto non dichiarate. Diverso per chi movimenta milioni: come visto, nel caso dell’artista digitale con NFT, l’omesso dichiarato di circa €836.000 ha portato a un procedimento penale. La Cassazione ha rigettato la sua difesa (che sosteneva non fossero redditi imponibili o che mancasse il dolo) e ha affermato principi importanti: le crypto sono “proventi in natura tassabili” e il loro valore dev’essere dichiarato come reddito in euro. Inoltre l’obbligo fiscale esisteva già prima della circolare 2023, quindi non c’è vuoto normativo utilizzabile come scusa.
Confisca e sequestro: In presenza di reati tributari, la GdF può ottenere il sequestro preventivo delle somme corrispondenti all’imposta evasa. Nel caso crypto, questo significa sequestrare, se reperibili, criptovalute o altri beni fino a concorrenza dell’evaso. Nel caso Cass. 8269/2025 abbiamo visto un sequestro di oltre €836.000 in crypto. La Cassazione ha dovuto anche affrontare un caso (sent. n.1760/2025) relativo alla qualificazione delle criptovalute sequestrate: ha chiarito che i bitcoin sequestrati non possono essere automaticamente considerati “denaro” frutto del reato fiscale senza prima determinarne l’origine e il valore (ciò per dire che c’è attenzione anche a come gestire i sequestri di asset volatili: serve perizia sul valore al momento del profitto illecito, ecc.).
Ravvedimento operoso: Prima che l’Ufficio contesti formalmente le violazioni, il contribuente può attivarsi spontaneamente per sanare la sua posizione con sanzioni ridotte. Il ravvedimento operoso (art.13 D.Lgs.472/97) consente di regolarizzare versando l’imposta dovuta, gli interessi legali e una sanzione calcolata in misura ridotta proporzionalmente al ritardo. In particolare, per omesso versamento o infedele dichiarazione:
- Se si presenta una dichiarazione integrativa entro 90 giorni dalla scadenza (dichiarazione tardiva), la sanzione fissa per tardiva dichiarazione è ridotta a 1/10 del minimo (€25 circa) e le sanzioni sull’imposta sono al 1/10 del 90% (cioè 9%).
- Se il ravvedimento avviene oltre 90 giorni ma entro 1 anno dal termine, la sanzione sul tributo evaso è ridotta a 1/8 del minimo (90%), quindi circa 11,25% dell’imposta dovuta (in luogo di 90%).
- Se entro 2 anni, 1/7 del minimo (~12,86%); oltre 2 anni, 1/6 del minimo (15%).
Ciò significa che, ad esempio, se un contribuente nel 2023 non ha dichiarato €10.000 di plusvalenze crypto (tassazione 26% = €2.600 imposta) e se ne accorge nel 2025 prima di essere scoperto, potrebbe presentare una dichiarazione integrativa per il 2023: pagherebbe i €2.600 di imposte, circa €390 di sanzioni (15% di 2.600, ipotizzando ravvedimento dopo più di 2 anni) e gli interessi legali maturati. La sanzione piena sarebbe stata €2.340 (90% di 2.600), quindi il risparmio è notevole. Il ravvedimento è escluso solo se sono già iniziati controlli (notifica di avviso di accertamento o PVC della Guardia di Finanza). Se invece è solo arrivata una lettera di compliance (invito bonario), è ancora possibile ravvedersi, magari con sanzione ridotta ad 1/5 se l’irregolarità è già constatata.
Il ravvedimento operoso si applica anche alle sanzioni del quadro RW in modo simile (riduzione delle percentuali 3-15% a 1/8 etc.). Spesso chi regolarizza pagherà il 3% ridotto a seconda del ravvedimento sul valore non dichiarato, importo generalmente non elevatissimo (es: su €10.000 non dichiarati, 3% sarebbero €300, ridotti a 50€ se ravvedimento in tempi brevi).
Definizione agevolata e adesione: Se invece l’accertamento è già avviato, il contribuente ha ancora strumenti deflattivi. Può aderire all’accertamento con adesione: in pratica negozia con l’Agenzia Entrate l’ammontare delle imposte e sanzioni. In caso di adesione, c’è la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo. Può quindi valere la pena se ci sono margini di trattativa (es. discutere il valore di talune transazioni). Se l’ufficio sbaglia interpretazione (non di rado in ambito crypto, vista la novità), il contribuente può presentare osservazioni e far correggere l’atto in autotutela. In ultima analisi, resta la via del ricorso tributario davanti al giudice (Commissione Tributaria Provinciale): qui potrebbero farsi valere questioni di diritto (ad esempio, in passato si discuteva se la normativa pre-2023 fosse applicabile alle crypto, se un wallet decentralizzato possa dirsi “estero”, ecc.). Col nuovo quadro normativo, però, lo spazio per contestare la debenza delle imposte è molto ridotto, essendo tutto scritto in legge.
Sanatoria 2023 (regolarizzazione straordinaria): Merita un accenno la speciale procedura di “emersione” prevista dalla L.197/2022 per far emergere le criptovalute non dichiarate fino al 2021. Questa regolarizzazione una tantum permetteva, presentando un’istanza entro il 30 novembre 2023, di sanare le violazioni passate con una sanzione agevolata. In particolare:
- Chi non aveva realizzato redditi (ossia aveva solo omesso il RW) poteva sanare pagando lo 0,5% del valore delle cripto possedute al termine di ciascun anno non dichiarato (in luogo del 3-15%).
- Chi invece aveva anche omesso plusvalenze doveva pagare, oltre allo 0,5%, un’imposta sostitutiva del 3,5% sul valore delle cripto detenute al termine di ciascun periodo d’imposta (o al momento di dismissione). Questo 3,5% sostitutivo copriva le imposte evase su eventuali guadagni realizzati negli anni sanati.
La regolarizzazione richiedeva anche di attestare la provenienza lecita delle somme investite (bisognava allegare una relazione sulla non provenienza da reati). Chi vi ha aderito ha potuto “ripulire” la propria posizione pregressa a costi relativamente bassi (es: su €100.000 in crypto non dichiarati al 2021, pagava €500 di RW e €3.500 di imposta). Questa finestra però si è chiusa a fine 2023 e non è replicabile ora (salvo future iniziative legislative). Resta comunque la possibilità del ravvedimento ordinario come sopra descritto per le annualità ancora emendabili.
Focus: la difesa del contribuente (punto di vista del debitore) – Dal lato pratico, se un contribuente riceve un accertamento su criptovalute, cosa dovrebbe fare? Prima di tutto, non ignorare la comunicazione: i termini per reagire sono stringenti (in genere 60 giorni per un ricorso, 15 giorni per presentarsi a un invito, ecc.). È consigliabile rivolgersi immediatamente a un professionista (avvocato tributarista o commercialista esperto in crypto) per analizzare il caso. Occorre raccogliere tutta la documentazione delle operazioni crypto (registri di exchange, hash di transazioni, screenshot wallet, email di conferma) e ricostruire il flusso finanziario contestato. Spesso il Fisco procede con presunzioni (ad es. vede €100k usciti dal conto verso Binance e pretende siano reddito non dichiarato): il contribuente può dimostrare che magari quei €100k erano capitali propri già tassati, convertiti in crypto e ancora detenuti (quindi nessun reddito realizzato), oppure che li ha riaccreditati dopo averli reconvertiti (mostrando che ha avuto perdite, ecc.). La strategia difensiva può puntare a ridurre l’imponibile contestato (dimostrando costi di acquisto elevati, o che certe transazioni erano mere permute non tassabili). Se l’accertamento appare fondato, conviene valutare l’adesione con sanzioni ridotte. In caso di numeri importanti, concordare un piano di rateazione (fino a 8 rate trimestrali per somme oltre 5.000 €) per diluire il pagamento. Sul piano penale, l’atteggiamento collaborativo (pagare il dovuto) può evitare il processo: la legge prevede cause di non punibilità se i debiti tributari vengono estinti prima del giudizio (nei limiti dell’art.13 D.Lgs.74/2000). Nel caso Ravenna, ad esempio, la collaborazione e il versamento dei 12,5 milioni hanno probabilmente evitato guai peggiori all’indagato.
Sentenze recenti da ricordare:
- Cass. pen. sez. III n.8269/2025: conferma imponibilità dei corrispettivi in crypto (NFT) e configurabilità del reato di dichiarazione infedele per omessa indicazione di redditi da criptovalute. Principio: le criptovalute ricevute come pagamento hanno valore economico e vanno dichiarate anche se non convertite, integrando reddito imponibile. La buona fede sull’assenza di norme non esonera dalla responsabilità.
- Cass. pen. n.1370/2024: (massima di gennaio 2024) ha sancito anch’essa l’assoggettamento a tassazione dei redditi in criptovalute, respingendo le tesi difensive che negavano la natura di reddito alle valute virtuali prive di corso legale.
- Comm. Trib. Reg. Lombardia (o altre) 2023: pronunce di merito hanno talora annullato sanzioni RW su criptovalute detenute in wallet personali, in casi in cui l’annualità era anteriore alla L.197/2022, ritenendo che senza una norma ad hoc il contribuente poteva non avere certezza sull’obbligo. Ma dopo il 2023 queste difese non reggono più.
- Cass. pen. n.1760/2025: ha affrontato il tema del sequestro di criptovalute nell’ambito di reati fiscali, affermando che esse non possono essere considerate automaticamente profitto del reato senza approfondire la loro provenienza e valorizzazione. Questo tutela i contribuenti da sequestri esagerati, ma al contempo riconosce che le cripto sono asset sequestrabili.
In conclusione, il panorama attuale vede le criptovalute pienamente inserite nel radar del Fisco: gli strumenti normativi e tecnologici ci sono, le sanzioni (soprattutto pecuniarie) sono severe, ma al contempo esistono opportunità di ravvedimento e vie di confronto per regolarizzare. È fondamentale per chi investe in crypto adottare fin da subito un approccio compliant: tenere traccia di ogni operazione, dichiarare spontaneamente quando dovuto (anche avvalendosi di interpelli all’Agenzia Entrate in caso di dubbi interpretativi), e in generale considerare le criptovalute non più come un far west fiscale ma come un’area sorvegliata. Le autorità italiane, dal canto loro, continueranno a perfezionare le tecniche di controllo – e a tal proposito l’evoluzione UE (MiCA, DAC8) renderà ancora più difficile nascondersi.
Di seguito proponiamo una serie di Domande e Risposte frequenti e alcune tabelle riepilogative per fissare i concetti chiave emersi.
Domande frequenti (FAQ)
D: Le criptovalute vanno sempre dichiarate al Fisco?
R: Sì. Se sei residente fiscale in Italia, devi dichiarare sia il possesso di criptovalute (nel Quadro RW) sia gli eventuali redditi derivanti da esse (nel quadro RT per plusvalenze e altri proventi). L’obbligo di monitoraggio RW vale anche per cripto detenute in Italia, ma è particolarmente stringente per quelle presso exchange esteri o in self-custody. Non dichiarare le criptovalute espone a sanzioni (3-15% del valore non monitorato per RW) e, se hai realizzato guadagni, anche al recupero delle imposte evase con multa (90%–180% dell’imposta). Fanno eccezione solo i casi in cui le cripto siano affidate a un intermediario italiano che funge da sostituto d’imposta: in tal caso l’intermediario applica le tasse e tu non devi riportare i redditi nella dichiarazione (ma, secondo AdE, l’obbligo RW formalmente rimane, anche se alcuni lo ritengono non dovuto per attività in Italia).
D: Se non ho mai convertito le mie crypto in euro, devo comunque pagare tasse?
R: Dipende. La tassazione scatta quando si realizza una plusvalenza, cioè quando disinvesti o utilizzi le criptovalute ottenendo un valore superiore a quello di acquisto. Non è necessario convertire in euro: anche se spendi direttamente le crypto per acquistare un bene/servizio, fiscalmente hai realizzato un valore in euro pari al prezzo di quel bene, e su quell’eventuale differenza devi pagare le imposte. Invece, se ti limiti a detenere le criptovalute senza mai venderle o usarle, non hai plusvalenze tassabili (non c’è “realizzo”). Il mero possesso non genera imposta sul reddito, ma comporta comunque l’IVAFE dello 0,2% annuo sul loro valore. Riassumendo: finché holdi e basta, niente capital gain tax (fino al momento in cui venderai/spenderai), però devi dichiarare il possesso e pagare l’eventuale imposta patrimoniale relativa.
D: Lo scambio fra due criptovalute è tassato come plusvalenza?
R: Nella generalità dei casi, sì. Convertire, ad esempio, Bitcoin in Ethereum equivale a cedere Bitcoin (realizzando un controvalore in ETH) e ad acquistare ETH. Se il valore degli ETH ricevuti supera il costo d’acquisto originario dei BTC ceduti, quella differenza è una plusvalenza da dichiarare. L’unica eccezione prevista dalla legge è quando i due asset scambiati abbiano “uguali caratteristiche e funzioni”, il che potrebbe applicarsi a scambi di token veramente equipollenti (cosa rara nella pratica, a parte stablecoin con stesso underlying). Dunque, per sicurezza, considera ogni trade crypto-crypto come potenzialmente generatore di plusvalenza e tieni traccia dei relativi valori in euro per calcolare l’eventuale guadagno da dichiarare.
D: Ho solo comprato crypto ma non ho mai venduto: devo fare qualcosa a livello fiscale?
R: Sì, devi comunque compilare il Quadro RW per comunicare l’investimento estero (se le hai su exchange esteri o wallet privato) e assolvere l’IVAFE annuale sul loro valore. Non dovrai invece dichiarare plusvalenze, perché non ne hai realizzate. Ad esempio, se hai acquistato 1 ETH a €1.000 e lo detieni, in RW indicherai il controvalore a fine anno (supponiamo €1.500) e pagherai 0,2% di IVAFE (€3). Finché non vendi l’ETH, nessuna imposta sul reddito. Quando un domani lo venderai (o userai), dichiarerai la plusvalenza rispetto al costo di €1.000. Nel frattempo, però, il Fisco vuole comunque sapere che possiedi quell’ETH.
D: Le piattaforme italiane comunicano i miei dati all’Agenzia delle Entrate?
R: Indirettamente, sì. Gli exchange e gli altri operatori crypto attivi in Italia sono obbligati a registrarsi presso l’OAM e trasmettere dati trimestrali sulle operazioni degli utenti. Queste informazioni possono essere fornite all’Agenzia delle Entrate su richiesta. Inoltre, se l’exchange applica il regime amministrato, riferisce annualmente le ritenute effettuate. Quindi l’Agenzia può facilmente sapere chi ha conti su exchange italiani e con quali volumi generali. Per gli exchange esteri, invece, al momento non vi è comunicazione automatica, ma come detto è in arrivo lo scambio dati a livello UE (DAC8). In più, le autorità possono sempre chiedere collaborazione a piattaforme straniere in sede di indagini specifiche, specie se sono grandi aziende che cooperano (alcuni grandi exchange hanno fornito dati su utenti sospetti in vari Paesi a seguito di rogatorie).
D: Cosa rischio se non ho mai dichiarato nulla sulle mie crypto negli anni scorsi?
R: Se ti accorgi ora di non aver dichiarato crypto dal 2018-2019 in poi, e in quei periodi magari hai realizzato guadagni, rischi – se vieni scoperto – un accertamento con recupero di tutte le imposte arretrate, interessi e sanzioni fino al 180% dell’imposta per ogni anno omesso. Inoltre, se gli importi sono alti (imposta evasa > €50k in un anno, o >100k in più anni con soglie relative), potresti incorrere in un procedimento penale per dichiarazione infedele/omessa. Il Fisco ha 5 anni (o 7 in caso di omessa dichiarazione) per controllare, quindi ad esempio fino a fine 2025 può accertare l’anno d’imposta 2020. È vivamente consigliato valutare un ravvedimento operoso: puoi ancora presentare dichiarazioni integrative per il 2020, 2021, 2022, pagando il dovuto con sanzioni ridotte (ad esempio ~15% dell’imposta invece che 90%, se sono passati oltre 2 anni). Per gli anni fino al 2021 c’era la sanatoria speciale entro nov. 2023 (ormai scaduta). In assenza di quella, resta il ravvedimento ordinario come unica via per mitigare sanzioni. Se hai solo detenuto crypto senza vendere, l’omissione riguarda il quadro RW: puoi compilare ora l’RW arretrato (con ravvedimento delle sanzioni 0,5%-3%). In conclusione, ignorare il problema espone a rischi crescenti man mano che l’Agenzia intensifica i controlli; agire spontaneamente riduce sensibilmente la penalità e azzera il rischio penale.
D: Ho ricevuto una “lettera di compliance” dall’Agenzia Entrate sulle crypto: cosa devo fare?
R: Le lettere di compliance sono avvisi bonari con cui l’Agenzia ti segnala anomalie (es: “abbiamo evidenza di vendite di criptovalute non dichiarate”). Non sono accertamenti, ma è un chiaro segnale che ti hanno individuato. È opportuno rispondere entro il termine indicato, fornendo spiegazioni e, se effettivamente hai omesso qualcosa, approfittare per ravvederti. Puoi presentare una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, versare il dovuto con sanzione ridotta e comunicare all’Agenzia di aver regolarizzato. Questo di solito chiude la questione senza ulteriori atti (a meno che i dati forniti non convincano e l’AdE proceda comunque). Ignorare la lettera potrebbe portare a un accertamento formale. Quindi, da un lato niente panico (hai ancora chance di sistemare), dall’altro non procrastinare. Magari confrontati con un fiscalista su come meglio giustificare eventuali differenze (ad esempio può darsi che l’Agenzia abbia conteggiato come ricavo lordo un importo, mentre tu puoi dimostrare che una parte era capitale investito, riducendo l’imponibile).
D: È vero che se trasferisco le mie crypto su un hardware wallet (chiavetta) il Fisco non può più tracciarle?
R: Spostare le criptovalute su un wallet privato al di fuori degli exchange le rende certamente più difficili da tracciare, perché non c’è un intermediario con KYC che ne attesti la titolarità. Tuttavia, non significa che sei al sicuro: in caso di controlli, se emergono bonifici o acquisti di crypto, l’Agenzia può chiederti conto di dove siano finite. Se dichiari “in un mio wallet”, allora sei comunque tenuto a inserirle in RW. Se negassi di possederle più e poi si scopre che controlli quei wallet, sarebbero guai seri (dichiarazione mendace). Inoltre, la GdF può aver individuato l’indirizzo del tuo wallet già durante l’indagine (ad esempio incrociandolo dall’exchange da cui hai ritirato). La pseudonimia può essere rotta con tecniche investigative, specie se in futuro userai di nuovo quell’indirizzo per convertire in fiat. Insomma, il wallet privato ti toglie dall’immediata visibilità, ma se lasci altre tracce (e.g. rientri su exchange per vendere) sarai individuabile. Dal punto di vista fiscale poi, come detto, il mero trasferimento su wallet personale non è operazione tassabile in sé (nessuna plusvalenza), ma non ti esonera dagli obblighi dichiarativi.
D: Ho minato criptovalute come attività hobbistica: devo dichiararle?
R: Il mining occasionale, svolto in ambito privato (senza organizzazione d’impresa), genera probabilmente un reddito diverso per la persona fisica, da dichiarare nell’anno in cui vengono vendute le monete minate. C’è un dibattito se il mining in sé generi reddito solo al momento della vendita della moneta creata, oppure già al momento della creazione (in teoria quando trovi un blocco, acquisisci crypto aventi un valore di mercato e quindi un reddito in natura). L’Agenzia Entrate in passato ha assimilato il mining alla creazione di beni, tassando il ricavo solo a realizzo. È prudente dichiarare eventuali criptovalute ottenute da mining al momento della loro cessione sul mercato, come redditi diversi (26% sul valore ricavato). Se invece hai impostato un’attività sistematica di mining (farm di GPU/ASIC, elevati consumi, ecc.), l’Agenzia potrebbe inquadrarla come attività di impresa: in tal caso andrebbe aperta partita IVA, e i proventi (crypto minate convertite in euro) vanno dichiarati come ricavi aziendali soggetti a tassazione ordinaria (IRES/IRPEF, e contributi se ditte individuali). La qualifica non è sempre chiara: conta il grado di organizzazione e continuità. Un singolo PC a casa che mina ogni tanto Ethereum probabilmente no, un capannone con 100 ASIC sicuramente sì (attività d’impresa). Anche in caso di mining non dimenticare il quadro RW: se conservi le monete minate in un wallet, devi indicarle (il fatto che siano “create da te” non le esenta dal monitoraggio, in quanto sempre attività finanziarie estere detenute).
D: Ho venduto un mio disegno digitale tramite NFT e ho ricevuto criptovalute: è diverso da trading crypto?
R: Sì, è diverso nella natura del reddito: non è una plusvalenza da investimento finanziario, bensì un reddito da attività artistica (lavoro autonomo) o da diritto d’autore, a seconda dei casi. La Cassazione nel 2025 ha chiarito che gli incassi in crypto dalla cessione di NFT legati ad opere digitali costituiscono reddito di lavoro autonomo ex art.53 TUIR. In pratica, l’artista deve dichiarare il corrispettivo in crypto come se fosse stato pagato in euro. Se l’attività è occasionale, sarà un reddito autonomo occasionale; se professionale, con partita IVA. Analogamente, se un libero professionista (es. consulente informatico) viene pagato in criptovaluta per i suoi servizi, deve convertire il valore in euro alla data del pagamento e fatturare/dichiarare quel importo come compenso, soggetto a imposte e contributi come qualsiasi altro compenso. Questi casi esulano dalla disciplina delle plusvalenze finanziarie (26%) e vanno tassati con le regole ordinarie IRPEF (aliquote progressive) perché non sono investimenti ma pagamenti per attività svolte. L’aver ricevuto crypto “in natura” non evita le tasse: la legge prevede espressamente che i redditi in natura sono equiparati a quelli in denaro.
D: Esistono modi legali per non pagare imposte sulle crypto?
R: L’unico modo per sottrarsi al fisco italiano è non esserne soggetti, ovvero trasferire la propria residenza fiscale in un Paese con fiscalità più favorevole (e senza intenti elusivi). Molti Paesi esteri non tassano o tassano meno le cripto (es. Portogallo, Svizzera su certe operazioni, Emirati Arabi, ecc.). Tuttavia, trasferirsi solo per non pagare tasse può essere poco pratico a meno di patrimoni ingenti, e va fatto realmente (iscrizione AIRE, spostare vita e interessi). Se resti residente in Italia, tutte le scorciatoie “domestiche” – come usare exchange non tracciati, frazionare prelievi sotto soglie, ecc. – oltre a essere di dubbia efficacia, integrano comportamenti elusivi/abusivi e possono configurare reati se c’è falsità nelle dichiarazioni. L’Italia peraltro tassa i residenti sul mondo intero, quindi anche se hai conti in paradisi tropicali, devi dichiararli qui. C’è chi considera l’opzione del “regime forfettario” (per partite IVA con ricavi < €85k) per tassare i redditi crypto al 15% come reddito d’impresa: attenzione, questo vale solo se l’attività in crypto è di tipo commerciale (es. trading svolto come impresa individuale – ipotesi rara e rischiosa da sostenere). In definitiva, al residente medio conviene adeguarsi: dichiarare eventuali guadagni e magari ottimizzare usando le regole (es. compensare perdite, sfruttare la franchigia fino al 2024, valutare l’affrancamento su future plusvalenze).
D: Che cos’è l’“affrancamento” o “rivalutazione” delle cripto al 14%/18% e conviene farla?
R: L’affrancamento fiscale è la possibilità di pagare un’imposta sostitutiva su un valore attuale di un bene, per considerarlo come nuovo costo di acquisto ai fini delle future plusvalenze. La Legge di Bilancio 2023 ha permesso a chi possedeva cripto al 1° gennaio 2023 di “rideterminare il valore di acquisto” pagando il 14% su quel valore entro il 15/11/2023. Ad esempio, se avevi 1 BTC acquistato a €1.000 e al 1/1/2023 valeva €16.000, pagando €2.240 (14%) potevi fissare il costo fiscale a €16.000; se in futuro l’avessi venduto a €20.000, la plusvalenza tassata sarebbe stata solo €4.000 (20k-16k) anziché €19.000 (20k-1k). La Legge di Bilancio 2025 ha riaperto questa chance: rivalutazione al 1° gennaio 2025 pagando il 18% (in 3 rate). Conviene se si prevedono forti plusvalenze future e si vuole “cristallizzare” ora un valore pagando un’imposta più bassa dell’ordinaria. Sconsigliata se invece si pensa di non vendere nel breve o di avere minusvalenze. Va valutata caso per caso, possibilmente con un consulente: ad es., se al 1/1/2025 possiedi crypto per €100k comprate a €10k, pagando 18k fissi riduci molto le future tasse; ma se poi il mercato scende, avrai pagato più del dovuto. È uno strumento di pianificazione fiscale, non obbligatorio ma utile in alcuni scenari, soprattutto con l’aliquota che salirà al 33%.
D: Un’azienda che accetta pagamenti in crypto come deve comportarsi fiscalmente?
R: Un’impresa che incassa vendite in criptovaluta deve comunque emettere fattura/riconoscere ricavo in euro, al valore di mercato della crypto incassata al momento della transazione. Ai fini IVA, la criptovaluta non è considerata moneta legale ma il suo uso come mezzo di pagamento è esente IVA (equiparato alle transazioni finanziarie): ciò significa che se vendi un bene imponibile IVA e il cliente paga in Bitcoin, la fattura sarà con IVA come al solito sul prezzo in euro, ma il pagamento avviene in BTC. L’azienda potrebbe immediatamente convertire quei BTC in euro oppure mantenerli in wallet: in quest’ultimo caso avrà un bene (crypto) iscritto a bilancio. Se in seguito lo rivende a un valore diverso, farà una plusvalenza/minusvalenza aziendale tassata come reddito d’impresa. Dunque l’azienda deve: contabilizzare l’entrata in crypto al cambio del giorno, adempiere agli obblighi IVA e fiscali come se avesse incassato euro, e poi gestire le eventuali variazioni di valore dei token detenuti secondo le regole di bilancio (per imprese IAS adopter, possibili valutazioni fair value; per altre, prudenza valutativa). In generale, un imprenditore farebbe bene a convertire subito in fiat le crypto incassate, per evitare di esporsi a volatilità connessa e complicazioni contabili. Ma se decide di tenerle come riserva, ne risponderà come di qualsiasi asset. Non ultimo: se un’azienda paga fornitori/dipendenti in crypto, quei pagamenti sono fiscalmente come pagamenti in natura, vanno quantificati in euro e soggetti alle stesse ritenute e contribuzioni previste (ad esempio pagare uno stipendio in BTC non evita le ritenute INPS/IRPEF sul valore).
Esempi pratici e casi di studio
- Esempio 1 (piccolo investitore privato): Mario nel 2024 acquista vari altcoin per €5.000 e a fine anno li rivende per €6.500 totalizzando €1.500 di profitto. Ha anche €1.000 di interessi da staking. Totale reddito crypto = €2.500. Poiché la franchigia è €2.000 per il 2024, dovrà dichiarare solo €500 di plusvalenza imponibile (i primi 2.000 esenti). Su €500 pagherà il 26% = €130. Inoltre, deve compilare RW con i valori detenuti (nel suo caso durante il 2024 ha avuto mediamente €5.000 in crypto, valore a fine anno 0 perché ha venduto tutto). Paga anche IVAFE sul valore medio o finale? – per il 2024 pagherà IVAFE su eventuali valori a 31/12, ma ha venduto tutto a fine anno, quindi se a fine anno non detiene crypto, l’IVAFE è irrilevante (pagherà semmai qualche euro per la giacenza media se prevista). Questo esempio mostra che piccoli guadagni possono rientrare nell’esenzione (Mario su 2.500 guadagno ne tassa 500). Dal 2025, stessa situazione pagherebbe su tutti i 2.500 (al 26%).
- Esempio 2 (omessa dichiarazione e ravvedimento): Luca nel 2021 ha realizzato €50.000 di plusvalenze crypto vendendo parte del suo wallet, ma non lo sapeva e non l’ha dichiarato. Nel 2023 viene a conoscenza delle nuove norme e decide di regolarizzare. Se fa ravvedimento ora (2025) per l’anno d’imposta 2021: l’imposta evasa era 26% di 50k = €13.000. La sanzione sarebbe 90% = 11.700, ma col ravvedimento oltre 2 anni è ridotta a 1/6 ≈ 1.950 €. Interessi supponiamo €1.000. Quindi versa circa €13k + €1k + €1.95k = €15.95k e sistema la posizione. Se non facesse nulla e l’Agenzia lo scoprisse entro fine 2027, rischierebbe €13k imposte + €11.7k sanzione + interessi, totale ben oltre €25k, e in più potenzialmente un procedimento penale (per il 2021 l’imposta evasa è >50k? No, è 13k, quindi niente penale in questo caso, ma sanzioni pesanti sì). Con il ravvedimento ha risparmiato almeno €10k e dorme tranquillo.
- Esempio 3 (azienda e IVA): La ditta Alfa vende un macchinario a 1 BTC quando BTC vale €30.000. Emette fattura di vendita: imponibile €30.000 + IVA €6.600 (22%) = totale €36.600, incassati in 1 BTC. Ai fini IVA nulla cambia (deve versare €6.600 allo Stato). In contabilità registra la vendita e contestualmente registra di avere un asset “Bitcoin” valutato €30.000 (come controparte del credito). Se Alfa mantiene quel BTC e l’anno dopo lo rivende a €40.000, realizzerà un provento finanziario di €10.000 tassato tra i suoi redditi d’impresa. Se invece il valore scende a €20.000 e lo vende, avrà una perdita di €10.000 deducibile. Se non lo vende, in bilancio rimarrà iscritto secondo criteri contabili (probabilmente dovrà svalutarlo a €20k per prudenza). Questo esempio evidenzia che per le aziende l’aspetto IVA è importante: la cessione di crypto di per sé è esente IVA (considerata servizio finanziario, come da causa UE Hedqvist 2015), ma se la crypto è usata come pagamento di beni, l’operazione principale resta imponibile IVA normalmente.
- Esempio 4 (caso di evasione e controllo GdF): Il sig. X negli anni 2017-2020 ha accumulato circa 50 BTC con trading e mining, senza mai dichiarare nulla. Nel 2022 inizia a liquidarne una parte trasferendo 10 BTC su un exchange europeo e cambiandoli in € per un totale di 300.000 €, che sposta sul suo conto italiano. La banca segnala movimenti insoliti; l’Agenzia Entrate incrocia e verifica che X non ha dichiarato redditi significativi. Parte un accertamento: la GdF, usando le informazioni dall’exchange estero (fornite su richiesta) e analizzando la blockchain, scopre che X ha ancora 40 BTC in vari indirizzi. Stimano che abbia realizzato plusvalenze per almeno 250.000 € non dichiarati. Scatta un accertamento per 5 annualità: imposte evase ~65.000 € (26% di 250k), sanzioni 90% ~58.500 € per ciascun anno in cui c’è evasione rilevante. Inoltre essendo >50k annui (ipotizziamo in uno degli anni ha superato), viene configurato il reato di omessa dichiarazione per quell’anno. La GdF esegue un sequestro di conti e crypto noti fino a 65k a garanzia. X si vede recapitare un processo verbale di contestazione. A questo punto, X tramite un legale decide di cooperare: fa emergere tutte le cripto rimaste, presenta dichiarazioni integrative per ridurre l’imponibile dimostrando alcuni costi, e aderisce all’accertamento pagando magari 80.000 € complessivi (tra imposte e sanzioni ridotte). In sede penale, potrà invocare la non punibilità avendo estinto il debito (art.13 D.Lgs.74/2000). Questo ipotetico è simile a casi reali come Ravenna, dove la cooperazione ha portato a versare imposte dovute (~12,5 milioni su 270 milioni di asset emersi) ed evitare conseguenze penali più gravi.
- Esempio 5 (utilizzo di interpello): La società Beta opera un exchange e nel 2025 vuole lanciare un servizio di “regime amministrato” per i clienti. Non essendoci totale chiarezza su alcune casistiche (es. come trattare i trasferimenti da/verso wallet esterni in termini di costo fiscale), Beta presenta un interpello all’Agenzia Entrate. Nella Risposta n.135/2025, AdE chiarisce che il trasferimento di crypto dal conto della piattaforma a un wallet privato del cliente non è un evento imponibile (nessuna ritenuta) e che la società, per riconoscere la continuità del costo, dovrà farsi dichiarare dal cliente la proprietà del wallet esterno. Inoltre, per crypto in ingresso da altri wallet, se il cliente opta per l’amministrato, la società dovrà chiedere documentazione sull’originario costo di acquisto; in mancanza, dovrà presumere costo zero (tassando quindi interamente i prelievi futuri). Questo esempio mostra come l’interpello può dare certezza su questioni operative; per un privato, interpellare l’AdE può essere utile in casi particolari – ad esempio chiedere conferma se un certo token rientri tra le cripto-attività tassabili o se una specifica operazione rientri nella permuta non tassata – anche se per la maggior parte delle situazioni comuni ormai la normativa è chiara.
Tabelle riepilogative
Di seguito, alcune tabelle sintetiche su regole fiscali e sanzioni.
Regime fiscale delle plusvalenze da cripto-attività (persone fisiche residenti):
Voce | Fino al 2024 | 2025 | Dal 2026 |
---|---|---|---|
Inquadramento normativo | Redditi diversi di natura finanziaria (art.67 TUIR) | Idem (nessun cambio di categoria) | Idem |
Franchigia esenzione | €2.000 (plusvalenze annue) | Nessuna (franchigia abolita) | Nessuna |
Aliquota imposta sostitutiva | 26% | 26% (aliquota invariata) | 33% (aumento aliquota) |
Minusvalenze compensabili | Sì, entro 4 anni (eccedenze sotto €2k non utilizzabili) | Sì, entro 4 anni (ora tutte utilizzabili) | Sì, entro 4 anni |
Permuta cripto-cripto | Non imponibile se asset uguali per funzione | Idem | Idem |
Dichiarazione redditi | Quadro RT – imposta da versare entro 30/6 | Quadro RT – imposta da versare entro 30/6 | Quadro RT – imposta da versare entro 30/6 |
Opzione regime amministrato | Possibile se intermediario italiano (dal 2023 in poi) | Idem (pochi operatori offrono) | Idem |
Sanzioni amministrative e penali – violazioni fiscali su cripto:
Violazione | Sanzione amministrativa | Soglie penalmente rilevanti |
---|---|---|
Omessa indicazione in Quadro RW | 3% – 15% del valore non dichiarato (6%–30% se Paese black-list). + €258 fisso. Ravvedimento: 0,5% per anno se solo RW | (Violazione di monitoraggio non penale di per sé) |
Plusvalenze non dichiarate (dich. infedele) | 90% – 180% dell’imposta evasa. Ravvedimento: dal 1/10 al 1/6 del minimo (9% – 15% circa dell’imposta) a seconda del ritardo. | Reato dichiarazione infedele se imposta evasa > €100k e >10% del reddito o >€2 mln base. Pena 2–4 anni reclusione. |
Mancata presentazione dichiarazione (omessa) | 120% – 240% dell’imposta dovuta. Ravvedimento (entro 90 gg): €25 fisso + imposte con sanz. ridotta; oltre 90 gg dichiarazione considerata omessa ma possibile ravvedimento sui tributi. | Reato omessa dichiarazione se imposta evasa > €50k. Pena 2–5 anni reclusione. |
Dichiarazione fraudolenta (es. uso fatture false) | (Ipotesi rara nel contesto crypto personale) sanz. 135% – 270%. | Reato dichiarazione fraudolenta se artifici usati, pena 3–8 anni. (Rileva solo se si attuano schemi fraudolenti, poco comune per crypto) |
N.B.: Le soglie penali sopra indicate sono per singola annualità. Ad esempio, omettere €3 milioni di redditi crypto in un anno con €780k di tasse evase ricade nel penale; omettere €30k di tasse all’anno per più anni non attiva il penale anno per anno, ma può configurare plurime violazioni amministrative gravi. Le sanzioni amministrative sono definibili con adesione o ravvedimento, quelle penali no (ma il pagamento del dovuto può evitare la punibilità in alcuni casi – cause di non punibilità art.13 D.Lgs.74/2000).
Imposte patrimoniali e obblighi RW:
Oggetto | Obbligo | Sanzioni omissione |
---|---|---|
Quadro RW – cripto detenute | Indicare consistenze al 31/12 e massimi annui, indipendentemente da estero o Italia. Codice Stato estero o codice specifico (es. “WW”). | 3% – 15% valore (6%–30% black list) per anno (+258 €). Ravvedimento: 0,5% annuo se senza redditi omessi. |
IVAFE (imposta 0,2%) | Calcolare 0,2% sul valore al 31/12 (o costo) delle cripto estere. Versare con F24 insieme imposte sui redditi. Se crypto presso intermediario italiano: bollo 0,2% applicato dall’intermediario. | Sanzione omesso versamento IVAFE: 30% dell’imposta non versata, ravvedibile (come tributi). Oltre a sanzione RW se non indicato. |
Dati da conservare | Documenti acquisto/vendita crypto, estratti exchange, chiavi e indirizzi wallet, proof of stake/mining. Nota: Obbligo di esibizione in accertamento su richiesta AdE (pena induttivo). | – (Mancata esibizione può portare ad accertamento induttivo con esito sfavorevole al contribuente). |
Conclusioni
La regolamentazione fiscale delle criptovalute in Italia, aggiornata a luglio 2025, è ormai delineata in modo organico e stringente. Le cripto-attività sono soggette a tassazione sulle plusvalenze al 26% (33% dal 2026), monitoraggio nel quadro RW con relativa imposta patrimoniale dello 0,2%, e le omissioni sono punite con sanzioni rilevanti e, nei casi gravi, con sanzioni penali. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza dispongono di strumenti efficaci per individuare gli evasori digitali, combinando analisi finanziarie tradizionali e tecnologie di tracciamento sulla blockchain.
Dal punto di vista del contribuente (sia esso un investitore privato, un professionista o un imprenditore), è cruciale adottare un approccio proattivo e consapevole: mantenere una rigorosa documentazione di tutte le operazioni in criptovalute, dichiarare fedelmente tanto i patrimoni detenuti quanto i redditi generati e, in caso di incertezze, ricorrere agli strumenti di consulenza (interpelli, pareri professionali) piuttosto che confidare nell’anonimato. Le recenti sentenze di Cassazione hanno confermato che “la criptovaluta non è un mondo esentasse”, ma anzi i pagamenti in crypto sono soggetti alle stesse regole dei pagamenti in euro. Allo stesso tempo, il legislatore ha offerto vie di regolarizzazione (come la sanatoria 2023, ormai conclusa, e il ravvedimento operoso sempre ammesso) per far emergere il “sommerso” con penalità mitigate.
Per coloro che in passato non hanno dichiarato nulla, il consiglio è di valutare seriamente la regolarizzazione spontanea prima che i controlli (sempre più estesi) arrivino: i costi del ravvedimento sono nettamente inferiori a quelli di un accertamento subito passivamente. Per chi invece inizia ora a investire in criptovalute, l’invito è a considerare la compliance fiscale come parte integrante dell’attività: informarsi sugli obblighi, magari affidarsi a consulenti specializzati o a piattaforme che offrano assistenza fiscale, tenere traccia periodica delle operazioni ai fini di semplificare le dichiarazioni annuali.
Questa guida ha affrontato gli aspetti principali – normativi, operativi e sanzionatori – dei controlli dell’Agenzia delle Entrate in materia di crypto. Si tratta di un ambito in continua evoluzione: è prevedibile che nuovi chiarimenti (ad es. dall’Amministrazione finanziaria) e nuove normative (a livello UE, con l’implementazione di MiCA e DAC8) interverranno nei prossimi anni. Pertanto, resta fondamentale aggiornarsi costantemente. Le fonti normative e di prassi citate (leggi, circolari AdE, sentenze) costituiscono il riferimento autorevole per orientarsi, e sono elencate nella sezione seguente.
In definitiva, “tutto quello che devi sapere” sui controlli fiscali crypto è che oggi le criptovalute non sono più terra incognita per il Fisco: al contrario, hanno raggiunto un livello di attenzione paragonabile agli altri asset finanziari tradizionali. Conoscere e rispettare le regole permette di investire in questo settore in modo consapevole e sereno, evitando che i guadagni accumulati vengano poi erosi da sanzioni e contenziosi. E qualora il Fisco bussi alla porta, farsi trovare preparati – o quantomeno pronti a collaborare – può fare la differenza tra una semplice seccatura economica e una vera disavventura legale.
Fonti normative e bibliografia
- Legge 29 dicembre 2022 n.197 (Legge di Bilancio 2023), commi 126–147: introduzione definizione di “cripto-attività” e nuovo regime fiscale (art.67 co.1 c-sexies TUIR); regime monitoraggio e sanatoria (commi 138–139).
- Legge 30 dicembre 2024 n.207 (Legge di Bilancio 2025), art.1 commi 25–26: abolizione franchigia €2.000 dal 2025 e aumento aliquota al 33% dal 2026; rivalutazione cripto al 1/1/2025 con imposta 18%.
- D.L. 167/1990 art.4 (monitoraggio fiscale), modificato da L.197/2022: obbligo di dichiarare attività estere, ora esteso esplicitamente alle cripto detenute in Italia o estero.
- D.Lgs. 90/2017 e Provvedimento OAM 2022: istituzione Registro dei Prestatori di servizi di valuta virtuale; obblighi di iscrizione e comunicazione trimestrale per exchange operanti in Italia.
- Circolare Agenzia Entrate 23 dicembre 2013 n.38/E: assimilazione attività finanziarie estere detenute direttamente (valute estere su wallet) all’obbligo RW.
- Risoluzione Agenzia Entrate 2 settembre 2016 n.72/E: chiarimenti su trattamento fiscale di società operante in bitcoin; per privati assimilazione a valuta estera (richiamata in Circ. 30/E/2023).
- Interpello Agenzia Entrate n.956-39/2018: (DRE Lombardia) conferma assimilazione valute virtuali a valute estere per regime capital gain (soglia c.d. “51.645,69€” su giacenza media rilevante ante 2023 – ora superata dalle nuove norme).
- Circolare Agenzia Entrate 27 ottobre 2023 n.30/E: “Trattamento fiscale delle cripto-attività (L.197/2022)” – documento di prassi fondamentale con chiarimenti su definizioni, calcolo plus/minus, regimi opzionali, monitoraggio e bollo.
- Risposta a interpello Agenzia Entrate n.135/2025 (5 maggio 2025): chiarimenti su tassazione plusvalenze cripto in regime amministrato: conferma non tassabilità trasferimento a wallet privato, modalità determinazione costo fiscale in ingresso/uscita.
- Cassazione Penale Sez. III, sentenza 28/02/2025 n.8269: caso NFT, afferma imponibilità redditi in crypto e configura reato di dichiarazione infedele per omessa indicazione (836mila € evasi). Chiarisce che crypto e NFT devono essere dichiarati come corrispettivi in euro, anche se non convertiti, e che la circolare 2023 non è norma nuova ma spiegava obblighi preesistenti.
- Cassazione Penale Sez. III, sentenza 15/01/2025 n.1760: riguarda sequestro di bitcoin per reati tributari, sottolinea necessità di valutare il valore normale dei proventi in crypto ai fini del sequestro (no automatismi).
- Cassazione Penale Sez. III, sentenza 13/01/2024 n.1370: (richiamata in massimari) conferma imponibilità redditi espressi in criptovalute, ribadendo l’equiparazione sostanziale ai fini fiscali.
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📌 Verifica la correttezza delle contestazioni fiscali e la normativa applicabile al periodo d’imposta interessato
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi contro accertamenti ingiustificati o sproporzionati
⚖️ Ti assiste nelle procedure di regolarizzazione e nelle definizioni agevolate per ridurre imposte e sanzioni
🔁 Valuta soluzioni di rateizzazione o piani di ristrutturazione del debito in caso di importi elevati
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e fiscalità delle criptovalute
✔️ Specializzato in difesa da accertamenti fiscali su asset digitali e operazioni internazionali
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un controllo dell’Agenzia delle Entrate sulle tue crypto non significa automaticamente dover pagare cifre esorbitanti.
Con la giusta strategia legale puoi chiarire la tua posizione, ridurre il debito e proteggere i tuoi investimenti digitali.
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