Hai ricevuto un accertamento fiscale per sconti in fattura ritenuti non spettanti e non sai come difenderti?
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sugli sconti in fattura legati a bonus edilizi e incentivi fiscali. Se il Fisco ritiene che non ci siano i requisiti per l’agevolazione, può chiedere la restituzione dell’importo maggiorato di sanzioni e interessi. Sapere come funziona il procedimento e come contestarlo è fondamentale per evitare esborsi ingiustificati.
Quando può scattare un accertamento sugli sconti in fattura
– Quando l’intervento non rientra tra quelli ammessi dal bonus fiscale utilizzato
– Quando mancano documenti tecnici o amministrativi a supporto della detrazione
– Quando le spese sono considerate non congrue rispetto ai lavori effettuati
– Quando l’asseverazione tecnica o la certificazione dei requisiti non è valida
– Quando il committente o il fornitore non rispettano le tempistiche e le modalità previste dalla normativa
Cosa può accadere dopo un accertamento
– Notifica di atto di recupero dell’imposta con richiesta di restituzione dell’intero sconto in fattura
– Applicazione di sanzioni e interessi sull’importo contestato
– Iscrizione a ruolo e successiva cartella esattoriale
– Possibili azioni cautelari come pignoramenti o ipoteche
– Coinvolgimento solidale di committente e fornitore nel pagamento
Come difendersi da un accertamento su sconti in fattura non spettanti
– Far esaminare la contestazione da un avvocato tributarista per verificare la legittimità della pretesa
– Richiedere copia di tutti gli atti e dei documenti su cui si basa l’accertamento
– Dimostrare con documentazione tecnica e contabile che l’intervento rientra nei requisiti previsti
– Contestare eventuali errori di calcolo, valutazione o interpretazione della normativa
– Presentare memorie difensive nei termini per ridurre o annullare la pretesa
– Valutare l’accertamento con adesione per ridurre le sanzioni se la contestazione è fondata solo in parte
Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale
– L’annullamento totale o parziale dell’atto di recupero
– La riduzione di sanzioni e interessi tramite accordi o procedure agevolate
– La sospensione di cartelle e azioni esecutive
– La tutela del patrimonio personale e aziendale da pignoramenti e ipoteche
– La regolarizzazione della posizione fiscale evitando future contestazioni
Attenzione: gli accertamenti sugli sconti in fattura possono coinvolgere sia chi ha usufruito dell’agevolazione sia le imprese che l’hanno applicata. Agire rapidamente e predisporre una difesa documentale solida è essenziale per limitare i danni.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, bonus edilizi e difesa del contribuente – ti spiega cosa fare se ricevi un accertamento su sconti in fattura non spettanti, come proteggerti e come risolvere la controversia.
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Introduzione
L’accertamento su sconti in fattura non spettanti è il procedimento attraverso cui l’Amministrazione finanziaria recupera i benefici fiscali indebitamente fruiti tramite lo sconto in fattura. Negli ultimi anni, specie con l’introduzione di agevolazioni come il Superbonus 110%, l’opzione dello sconto in fattura (in alternativa alla detrazione diretta o alla cessione del credito) è divenuta prassi comune nei lavori edilizi. Tuttavia, l’assenza dei requisiti richiesti comporta il recupero dell’agevolazione indebitamente usufruita – anche se sotto forma di sconto in fattura o cessione del credito – maggiorata di interessi e sanzioni. In altre parole, se il contribuente (beneficiario dell’agevolazione) non aveva diritto allo sconto, il Fisco può accertare l’irregolarità e richiedere al “debitore” la restituzione di quanto indebitamente detratto. Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamina in dettaglio la normativa italiana sull’argomento, incluse le novità legislative e giurisprudenziali più recenti, e fornisce indicazioni operative e strumenti difensivi dal punto di vista del debitore (il contribuente tenuto alla restituzione). Il taglio è avanzato, adatto a professionisti (avvocati, consulenti fiscali) ma in linguaggio chiaro e divulgativo per consentire anche a privati e imprenditori di orientarsi. Troverete tabelle riepilogative, una sezione di Domande e Risposte, e casi pratici simulati, per comprendere meglio come affrontare un accertamento relativo a sconti in fattura non spettanti.
Normativa di riferimento e definizioni chiave
Lo sconto in fattura è stato introdotto nell’ordinamento tributario italiano dall’art. 121 del Decreto Rilancio (D.L. 34/2020, convertito in L. 77/2020) come opzione alternativa alle detrazioni fiscali dirette per una serie di bonus edilizi (es. ecobonus, sismabonus, bonus ristrutturazioni e Superbonus 110%). In pratica, il beneficiario dei lavori può concordare con il fornitore uno sconto sul corrispettivo dovuto (fino all’importo della detrazione fiscale prevista); il fornitore recupera poi tale importo sotto forma di credito d’imposta compensabile o cedibile ad altri soggetti, incluse banche e intermediari finanziari.
Quando uno sconto in fattura è “non spettante”? Si parla di sconto in fattura non spettante (ossia di credito d’imposta non spettante) quando l’agevolazione fiscale sottesa allo sconto non poteva essere legittimamente fruita dal contribuente. Ciò avviene, ad esempio, se mancano i requisiti previsti dalla legge per il bonus (opere non rientranti tra quelle agevolabili, limiti di spesa superati, difetto di adempimenti obbligatori, ecc.), oppure se la detrazione spettante è inferiore a quanto scontato. In altri termini, il credito d’imposta associato allo sconto eccedeva quanto stabilito dalla normativa o è stato utilizzato in violazione delle modalità previste. Diverso è il caso del credito “inesistente”, che indica una agevolazione totalmente priva di basi fattuali o giuridiche (ad esempio lavori mai eseguiti, documentazione ideologicamente falsa), non riscontrabile neppure tramite controlli formali automatizzati. Approfondiremo a breve la distinzione tra credito non spettante e credito inesistente, cruciale per determinare sanzioni e termini di accertamento.
“Credito non spettante” vs “credito inesistente”
Nel regime previgente fino al 2024, la normativa non forniva definizioni analitiche di credito non spettante e credito inesistente, dando luogo a incertezze interpretative. La giurisprudenza di legittimità ha a lungo dibattuto sul confine tra le due fattispecie. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34419 dell’11 dicembre 2023, hanno risolto il contrasto: in materia di compensazione di crediti d’imposta, si applica il termine di accertamento lungo (otto anni) previsto dall’art. 27, c. 16, D.L. 185/2008 (conv. in L. 2/2009) solo se il credito utilizzato è inesistente, condizione che ricorre allorquando congiuntamente: a) il credito deriva da una rappresentazione artificiosa o manca dei presupposti costitutivi (oppure era già estinto al momento dell’utilizzo); e b) l’inesistenza non è riscontrabile dai controlli automatizzati. In tutti gli altri casi, il credito va considerato non spettante, con applicazione del termine ordinario di accertamento (di norma 5 anni). In pratica, la Cassazione identifica il credito inesistente con le ipotesi di situazione non reale o fraudolenta, non rilevabile tramite i normali controlli ex art. 36-bis e 36-ter DPR 600/1973 o 54-bis DPR 633/1972, mentre definisce non spettante il credito indebitamente fruito in violazione della disciplina ma riferibile a operazioni reali e riscontrabili.
Questa distinzione è stata recepita e precisata a livello normativo con la riforma delle sanzioni operata dal D.Lgs. 14 luglio 2024 n. 87 (attuativo della delega per la riforma fiscale). Tale decreto – in vigore per la parte penale dal 29 giugno 2024 e per le sanzioni amministrative dalle violazioni commesse dal 1° settembre 2024 – ridefinisce le fattispecie di credito spettante, non spettante e inesistente all’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 e all’art. 1 del D.Lgs. 74/2000. In sintesi, secondo la nuova normativa e le nozioni ora codificate:
- Crediti inesistenti: quelli per cui mancano in tutto o in parte i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla norma agevolativa, oppure i crediti fondati su elementi fraudolenti (documenti falsi, simulazioni, artifici). In altri termini, rientrano qui sia l’ipotesi di carenza assoluta dei presupposti del bonus, sia la frode conclamata. Il D.Lgs. 87/2024 introduce inoltre la categoria del credito fraudolento (sub-specie dell’inesistente), definito dal ricorso a documentazione o rappresentazioni fraudolente, cui corrisponde un trattamento sanzionatorio aggravato.
- Crediti non spettanti: sono i crediti d’imposta che derivano da fatti reali ma al di fuori dell’ambito di applicazione della norma agevolativa per mancanza di specifici elementi o qualità richiesti, oppure i crediti fruiti oltre i limiti quantitativi previsti o in violazione delle modalità di utilizzo stabilite. Ad esempio, se un intervento edilizio è realmente eseguito ma non rientra tra quelli agevolabili, il relativo sconto in fattura è “non spettante”; ugualmente, se la spesa supera il massimale agevolabile, la parte eccedente del credito è non spettante.
- Crediti formalmente spettanti ma con irregolarità sanabile: il nuovo art. 13 D.Lgs. 471/97 identifica anche la nozione di credito spettante ma non utilizzato correttamente, riferita ai casi in cui il credito è fondato su fatti reali e rientranti nella disciplina (quindi sarebbe spettante in sé), ma il contribuente è incorso in una violazione meramente formale o procedurale (adempimenti strumentali omessi) non essenziali ai fini del riconoscimento del credito. Se tali violazioni sono regolarizzate entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui sono commesse (o entro un anno, se non v’è dichiarazione), il credito resta spettante e le irregolarità sono punite con una sanzione fissa minima (prevista oggi in €250). Questa previsione incentiva la correzione tempestiva di errori formali (ad esempio, comunicazioni tardive non a pena di decadenza) senza far perdere l’agevolazione al contribuente.
Riassumendo, uno sconto in fattura “non spettante” implica che i lavori agevolati sono stati effettivamente eseguiti e documentati, ma non vi era diritto alla detrazione (per ragioni sostanziali o di lieve irregolarità non fraudolenta). Lo sconto “inesistente” invece presuppone situazioni inesistenti o simulate, spesso con profili di frode. Questa distinzione ha riflessi diretti sulle sanzioni e sulla portata temporale dell’azione di accertamento, come vedremo nelle sezioni successive.
Accertamento e recupero degli sconti in fattura non spettanti
Quando l’Agenzia delle Entrate riscontra che un contribuente ha fruito di uno sconto in fattura non spettante, attiva la procedura di recupero del credito d’imposta indebito. Dal punto di vista pratico, ciò può avvenire a seguito di controlli automatizzati sulle comunicazioni e sulle compensazioni nel modello F24, di verifiche documentali (controlli formali) o di vere e proprie attività di accertamento sul campo.
Procedimento di controllo e atti emessi
In prima battuta, per le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito, la normativa prevede uno strumento di controllo preventivo: l’art. 122-bis D.L. 34/2020 consente all’Agenzia, entro 5 giorni dall’invio della comunicazione dell’opzione, di sospendere gli effetti della comunicazione per un massimo di 30 giorni qualora emergano profili di rischio (indicatori di possibili frodi). Se a seguito delle verifiche i rischi risultano fondati, la comunicazione dell’opzione si considera non effettuata, con conseguente annullamento dello sconto o cessione; tale esito è comunicato al soggetto che aveva trasmesso la comunicazione. In caso contrario (rischi non confermati o decorso infruttuoso dei 30 giorni) la comunicazione produce i suoi effetti regolari.
Dunque, una prima forma di “accertamento” è rappresentata dall’annullamento della comunicazione dell’opzione nei casi sospetti. Questo atto – di natura amministrativa – equivale in sostanza a un diniego dell’agevolazione, ed è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come autonomamente impugnabile dal contribuente dinanzi al giudice tributario (si veda la sezione Domande e Risposte per approfondimenti sulla tutela in questi casi). L’annullamento della comunicazione comporta che lo sconto in fattura non è riconosciuto: il fornitore (o cessionario) non può più utilizzare il credito d’imposta, e il beneficiario originario torna ad essere debitore dell’intero importo dei lavori verso l’impresa esecutrice. Spesso, come vedremo negli esempi pratici, in tali situazioni il contribuente può procedere spontaneamente a “riversare” (restituire) il credito non spettante tramite ravvedimento operoso, al fine di sanare la violazione ed evitare ulteriori sanzioni.
Se l’irregolarità emerge invece al di fuori della fase di controllo preventivo iniziale (ad esempio durante una verifica successiva, o perché non era stata intercettata subito), l’Amministrazione finanziaria procederà all’emissione di un atto di recupero o di un avviso di accertamento. Nel caso di crediti d’imposta indebitamente compensati, l’atto tipico è l’“atto di recupero del credito” ai sensi dell’art. 1, c. 421 L. 311/2004, che ha natura di accertamento esecutivo. In altri casi, il recupero può avvenire tramite un avviso di accertamento (ad esempio, se il credito era indicato in dichiarazione e ritenuto non spettante). In entrambi i casi, il contenuto sostanziale è simile: il Fisco contesta la non spettanza dello sconto in fattura e chiede il pagamento di:
- una somma pari all’importo dell’agevolazione indebitamente utilizzata (in genere corrispondente alla detrazione fiscale di cui si è usufruito tramite sconto);
- gli interessi maturati (calcolati al tasso legale, dal momento in cui il credito è stato utilizzato in compensazione o dalla data in cui sarebbe stata versata l’imposta risparmiata);
- la sanzione amministrativa pecuniaria prevista per l’utilizzo indebito del credito.
È importante notare che, in base ai chiarimenti ufficiali, il recupero dell’importo della detrazione non spettante avviene nei confronti dei soggetti beneficiari, ossia i titolari originari dell’agevolazione fiscale. Nel contesto dello sconto in fattura, il “beneficiario” è il contribuente che avrebbe avuto diritto alla detrazione (ad esempio il proprietario dell’immobile che ha fatto eseguire i lavori). Questo principio è stato affermato dall’Agenzia delle Entrate (Circolare 33/E del 6.10.2022) e confermato dalla prassi: l’assenza dei requisiti dell’agevolazione determina il recupero a carico del beneficiario originario, anche se il beneficio si è concretizzato in forma diversa (sconto/cessione).
Tuttavia, la responsabilità solidale di altri soggetti (fornitore che ha applicato lo sconto, o cessionari che hanno acquistato il credito) può essere coinvolta in caso di concorso nella violazione con dolo o colpa grave. L’art. 121, c.6, D.L. 34/2020 – come modificato dal D.L. 11/2023 convertito in L. 38/2023 – prevede infatti che, oltre al beneficiario, rispondono in solido del recupero dell’agevolazione non spettante anche il fornitore e i cessionari, qualora abbiano partecipato alla violazione con dolo o colpa grave. In assenza di dolo o colpa grave, invece, fornitori e acquirenti del credito non sono chiamati a restituire il bonus: la legge, a partire dal 2022-2023, ha volutamente limitato la loro responsabilità ai casi più gravi, escludendo la responsabilità per semplice negligenza.
Quando sussiste dolo o colpa grave? Secondo le indicazioni del Fisco, il dolo ricorre quando ad esempio il cessionario (o il fornitore) ha consapevolmente concordato con il beneficiario originario le modalità fraudolente di ottenimento e utilizzo del credito. La colpa grave, invece, sussiste quando il cessionario/fornitore ha omesso in modo macroscopico la diligenza richiesta, ad esempio acquistando crediti in assenza della documentazione obbligatoria o di qualsiasi verifica (omissioni tali da evidenziare negligenza grave). Per contro, l’onere di provare il dolo/colpa grave spetta all’Amministrazione, e la responsabilità solidale è esclusa se il cessionario/fornitore dimostra la propria diligenza o l’assenza di colpa grave.
Inoltre, la legge (art. 121 commi 6-bis e seguenti D.L. 34/2020, introdotti dal D.L. 11/2023) ha previsto un “scudo” per i soggetti che entrano in possesso del credito d’imposta (fornitori e cessionari): non concorrono nella violazione – e dunque non hanno responsabilità in solido – se sono in possesso di una specifica documentazione che attesta l’effettiva realizzazione dei lavori. Tra i documenti elencati (comma 6-bis) figurano, a titolo esemplificativo: il titolo edilizio abilitativo degli interventi (o autodichiarazione per l’edilizia libera), la notifica preliminare ASL (se dovuta), la visura catastale dell’immobile, le fatture e i relativi bonifici dei pagamenti, le asseverazioni tecniche e di congruità delle spese con visto di conformità (quando previste), l’eventuale delibera condominiale di approvazione lavori, l’APE e la relazione tecnica “Legge 10” per gli interventi energetici, etc. In pratica, se il fornitore o il cessionario può esibire tutti i documenti richiesti dalla legge a comprova della realtà e regolarità dell’intervento, la normativa (salvo ipotesi di dolo) esclude il concorso nella violazione. Questo meccanismo tutela i cessionari in buona fede – ad esempio banche o imprese che abbiano effettuato la dovuta diligenza – evitando che vengano penalizzati per frodi altrui. Va precisato che tale esonero opera limitatamente ai crediti per i quali sia stata acquisita la documentazione prescritta (visto di conformità, attestazioni e asseverazioni quando obbligatori). Ad esempio, per i crediti da Superbonus (dove il visto e l’asseverazione tecnica erano obbligatori fin dall’inizio) l’esclusione di responsabilità è integrale fin dall’origine; per altri bonus “minori” ceduti prima che tali adempimenti diventassero obbligatori (cioè prima del novembre 2021), è necessario aver acquisito ora per allora la documentazione richiesta per godere della stessa protezione.
In sintesi, il debitore principale chiamato a restituire lo sconto non spettante sarà quasi sempre il beneficiario originario dell’agevolazione fiscale. Fornitori e intermediari finanziari potranno essere coinvolti solo se emerge un loro comportamento complice o gravemente negligente nella circolazione del credito, e comunque con la possibilità di andare esenti da responsabilità presentando la documentazione di rito che attesta la regolarità dell’operazione.
Termini di decadenza per l’accertamento
Un aspetto cruciale per il debitore è capire fino a quando il Fisco può contestare uno sconto in fattura non spettante. I termini di decadenza dell’azione accertativa dipendono, come visto, dalla qualificazione del credito:
- Per crediti non spettanti (violazioni “ordinarie” non fraudolente), si applicano i termini ordinari di accertamento previsti dal DPR 600/1973 per le imposte dirette o dal DPR 633/1972 per l’IVA. In genere, il termine è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è avvenuto l’utilizzo del credito. Nel caso in cui il credito non spettante sia stato utilizzato in compensazione senza essere indicato in una dichiarazione (ipotesi frequente), il termine decorre dall’anno di utilizzo stesso: di norma l’Ufficio ha 5 anni dalla fine dell’anno in cui il credito è stato indebitamente compensato. Ad esempio, se un credito non spettante è stato utilizzato in F24 nel 2021, l’accertamento potrà intervenire fino al 31/12/2026.
- Per crediti inesistenti (operazioni inesistenti/fraudolente), la legge speciale consente un termine più lungo. La richiamata disposizione dell’art. 27, co.16, D.L. 185/2008 (L. 2/2009) fissa in otto anni dalla violazione il termine per il recupero di crediti inesistenti non rilevabili dai controlli automatizzati. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2023 ha confermato che tale termine lungo è applicabile solo in presenza dei requisiti congiunti dell’inesistenza (mancanza del presupposto e non rilevabilità con controlli automatici) e non invece per i semplici crediti non spettanti. Pertanto, per frodi complesse sui bonus edilizi il Fisco potrebbe agire anche oltre il quinquennio, entro l’ottavo anno successivo al fatto.
- Crediti spettanti con violazioni formali sanabili: come accennato, se il contribuente regolarizza certi errori formali entro la dichiarazione successiva, l’agevolazione resta salva. In tali casi non si pone un recupero a posteriori del credito (vi sarà semmai la sanzione fissa di €250). Inoltre, la normativa più recente (D.Lgs. 87/2024) prevede addirittura che in caso di violazioni formali rientranti nell’ambito del nuovo comma 4-ter dell’art. 13 D.Lgs. 471/97 (adempimenti non essenziali, sanati tempestivamente), il controllo dell’Amministrazione deve avvenire entro l’anno successivo all’utilizzo del credito. Superato tale termine breve, l’atto di recupero non sarebbe più legittimo, a maggior tutela del contribuente diligente che ha corretto l’errore. Questa disposizione innovativa mira a dare certezza immediata sulle spettanze dei crediti quando si tratta solo di verifiche formali.
Per il debitore, conoscere i termini di decadenza è fondamentale: se l’Agenzia emette un accertamento oltre il termine previsto, questo potrà essere contestato e annullato per decadenza. Ad esempio, se un contribuente sa di aver fruito di uno sconto potenzialmente non spettante nel 2018 e non ha ricevuto atti entro il 2024, potrebbe ragionevolmente confidare nella decadenza dell’azione accertativa (salvo casi di credito “inesistente” con termini più ampi). Si noti però che atti interruttivi o sospensioni di termini (ad es. adesioni, mediazioni, ecc.) possono influire caso per caso.
Sanzioni amministrative applicabili
L’accertamento per sconto in fattura non spettante comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, proporzionate alla gravità della violazione (oltre agli interessi come visto). Il regime sanzionatorio ha subito modifiche nel 2022 e, più incisivamente, nel 2024. Possiamo distinguere:
- Violazioni commesse fino al 31 agosto 2024: si applica l’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 nel testo previgente alla riforma. Esso prevedeva che, in caso di utilizzo in compensazione di crediti in misura eccedente il dovuto o in violazione delle modalità di legge, si applica una sanzione pari al 30% del credito utilizzato (salvo altre sanzioni speciali). Se invece si tratta di crediti inesistenti (cioè privi di fondamento e non rilevabili dai controlli), la sanzione è molto più elevata, dal 100% al 200% del credito indebitamente utilizzato. Queste percentuali riflettono la maggiore pericolosità delle condotte fraudolente. Dunque, per uno sconto in fattura non spettante “ordinario” la sanzione era al 30%, mentre per una frode conclamata poteva arrivare fino al doppio del credito. Esempio: se €10.000 di sconto non spettante sono stati compensati, la sanzione è €3.000; se fossero considerati credito inesistente (fittizio), la sanzione può variare da €10.000 a €20.000.
- Violazioni commesse dal 1° settembre 2024 in poi: si applicano le nuove misure introdotte dal D.Lgs. 87/2024 (riforma sanzioni). Le novità principali sono:
- Sanzione ridotta al 25% per l’utilizzo di crediti non spettanti. Quindi, lo sconto in fattura non spettante è ora punito con un quarto dell’importo indebitamente utilizzato (in luogo del previgente 30%). La riduzione si collega all’introduzione delle definizioni più puntuali: in pratica, molti casi prima trattati genericamente al 30% ora ricadono in questa nuova fattispecie al 25%.
- Sanzioni graduate per i crediti inesistenti: 70% del credito se si tratta di un credito inesistente “semplice” (mancano i requisiti oggettivi/soggettivi); dal 105% al 140% del credito se il credito inesistente è frutto di condotte fraudolente (documenti falsi ecc.). In sostanza, la riforma distingue il caso di credito inesistente non fraudolento (70%) da quello con fraudolenza (aumento fino a raddoppio del 70%). Ciò sostituisce la precedente forbice 100%-200%. L’inasprimento massimo (fino al 140%) è riservato alle ipotesi più gravi di credito fraudolento.
- Sanzione fissa €250 per violazioni formali rientranti nel comma 4-ter (adempimenti non essenziali non adempiuti ma poi sanati entro la scadenza prevista). Questa è una novità: invece di applicare il 25% sul credito, se lo sconto in fattura era in sé spettante ma c’è stata una mancanza formale poi regolarizzata, si chiude tutto con €250 di sanzione, senza perdere il bonus.
Le sanzioni amministrative sopra indicate possono essere definite in via agevolata se il contribuente decide di non fare ricorso e di pagare. In base all’art. 17, c.2, D.Lgs. 472/1997, è prevista una riduzione a 1/3 della sanzione in caso di acquiescenza (pagamento entro termini senza impugnare) o di accordo in accertamento con adesione. Ad esempio, a fronte di una sanzione del 25%, pagandola in acquiescenza si riduce al ~8,3% (un terzo del 25%). La riforma 2024 estende la possibilità di definizione agevolata anche ai crediti inesistenti (prima dubbia): ora anche le sanzioni del 70% o 105-140% possono essere ridotte a 1/3 tramite adesione o acquiescenza. Fa eccezione solo il caso di accertamento con adesione per crediti inesistenti fraudolenti: su quelli l’adesione non è ammessa (verosimilmente per ragioni di particolare gravità).
Di seguito una tabella riepilogativa semplificata delle sanzioni amministrative e termini di accertamento per le diverse categorie di credito (considerando il regime dal 2024, ma con note sul previgente):
Tipologia di credito d’imposta | Definizione sintetica (post riforma 2024) | Sanzione amministrativa (violazioni dal 1/9/2024) | Termine di accertamento |
---|---|---|---|
Credito spettante (con violazione formale) | Credito fondato su fatti reali e spettante, ma con violazione strumentale poi sanata entro termini. | €250 (sanzione fissa) | 1 anno dall’utilizzo (controllo preventivo) |
Credito non spettante | Credito derivante da fatti reali non rientranti nella disciplina per mancanza di requisiti, oppure utilizzato oltre i limiti/modalità previste. | 25% del credito (30% se violazione ante 2024) | 5 anni (termine ordinario) |
Credito inesistente (non fraudolento) | Credito privo in tutto o in parte dei presupposti oggettivi/soggettivi, ma riscontrabile solo tramite controlli complessi (non automatizzati). | 70% del credito (100%-200% se ante 2024) | 8 anni (termine lungo) |
Credito inesistente fraudolento | Credito fondato su documenti o fatti falsi/fraudolenti (es. lavori fittizi, documentazione falsa). | 105% – 140% del credito (100%-200% se ante 2024) | 8 anni (termine lungo) |
Nota: Le sanzioni indicate possono essere ridotte a 1/3 in caso di definizione agevolata (acquiescenza o adesione). In caso di ravvedimento operoso antecedente all’accertamento, le sanzioni sono ulteriormente ridotte secondo i termini di ravvedimento (si veda oltre). Sul piano penale, invece, rileva solo la distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti (vedi infra).
Profili penali
Dal punto di vista penale, l’indebito utilizzo di crediti d’imposta in compensazione è sanzionato dall’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000. La norma punisce con la reclusione chi, mediante compensazione di crediti, non versa le somme dovute al Fisco, superando determinate soglie:
- Se l’importo annuo compensato indebitamente supera €50.000 ed è relativo a crediti non spettanti, la pena è la reclusione da 6 mesi a 2 anni.
- Se la compensazione indebita oltre €50.000 riguarda crediti inesistenti, la pena sale da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni.
Queste soglie fanno sì che non ogni violazione amministrativa sfoci in reato: occorre un importo rilevante (oltre 50.000 € per anno) e un effettivo mancato versamento di imposte dovute. Inoltre, la riforma del 2024 ha introdotto un importante comma 2-bis all’art. 10-quater, che esclude la punibilità del contribuente per il reato di compensazione di crediti non spettanti quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla spettanza del credito, specialmente per elementi di natura tecnica. Questa clausola di salvaguardia tutela chi potrebbe aver interpretato in buona fede e in modo plausibile una norma agevolativa poi rivelatasi non applicabile: se la non spettanza dipende da valutazioni tecniche incerte (ad es. una difformità edilizia di cui non era chiara la rilevanza), l’uso del credito non viene considerato penalmente rilevante.
Per il debitore che subisce un accertamento su sconto in fattura non spettante, in pratica, il rischio penale sussiste solo nelle ipotesi più gravi: importi elevati e utilizzo doloso di crediti inesistenti. Nella maggior parte dei casi di sconto non spettante (ad esempio errori documentali, requisiti formali mancati, ecc.), si rimarrà nell’ambito amministrativo (sanzioni pecuniarie) senza conseguenze penali, a meno che l’importo non superi la soglia e non vi sia volontà di evasione. Va da sé che nei casi di frode organizzata sui bonus edilizi (crediti fittizi per centinaia di migliaia di euro) scatteranno invece sia le sanzioni amministrative massime sia le indagini penali per violazioni tributarie e possibili altri reati (truffa ai danni dello Stato, falso, etc.).
Strumenti difensivi e rimedi per il contribuente (punto di vista del debitore)
Di fronte a un accertamento che recupera sconti in fattura non spettanti, il contribuente-debitore ha a disposizione diversi strumenti difensivi. Alcuni rimedi sono preventivi (evitando che si arrivi all’atto impositivo pieno), altri sono successivi e finalizzati a contestare o definire l’atto una volta notificato. È fondamentale valutare attentamente le opzioni, preferibilmente con l’assistenza di un professionista, per mitigare sanzioni e oneri o per far valere le proprie ragioni. Di seguito esaminiamo i principali strumenti: ravvedimento operoso, autotutela, accertamento con adesione, acquiescenza e ricorso tributario, evidenziando per ciascuno finalità, condizioni e vantaggi.
Ravvedimento operoso
Il ravvedimento operoso è lo strumento che consente al contribuente di correggere spontaneamente violazioni fiscali commesse, beneficiando di una riduzione significativa delle sanzioni. Nel contesto di uno sconto in fattura non spettante, il ravvedimento consiste essenzialmente nel restituire spontaneamente il credito indebito prima di essere formalmente contestati, versando l’imposta (o il credito) dovuta, gli interessi e una sanzione ridotta.
Quando è possibile ravvedersi? Il ravvedimento è ammesso fino a che la violazione non sia già stata constatata dall’Ufficio o non siano iniziati accessi/ispezioni/verifiche dei quali il contribuente abbia avuto formale notizia (art. 13 D.Lgs. 472/97). In pratica, il debitore può ravvedersi anche dopo eventuali controlli automatizzati con esito di irregolarità, ma non oltre la notifica di un atto di accertamento o di contestazione. Nel caso degli sconti in fattura, spesso il contribuente viene a conoscenza dell’errore o dell’indebita fruizione in modi diversi: ad esempio, può ricevere una comunicazione di irregolarità dall’Agenzia, oppure rendersi conto di un errore nella comunicazione dell’opzione. Se il contribuente riconosce il problema prima che venga emesso un formale atto di recupero, il ravvedimento è altamente consigliabile.
Come si effettua? Occorre versare tramite modello F24:
- un importo pari alla detrazione non spettante da restituire (che, tecnicamente, può essere considerato come imposta o credito indebito da riversare);
- gli interessi moratori calcolati al tasso legale dal giorno dell’indebita fruizione (es. dal giorno della compensazione del credito in F24);
- la sanzione in misura ridotta. La sanzione base, come visto, sarebbe del 30% (o 25% per violazioni recentissime) se il credito è non spettante, oppure dal 100% in su se fosse inesistente. Col ravvedimento, questa sanzione si riduce in base al tempo trascorso:
- Ravvedimento sprint: entro 30 giorni dalla violazione – sanzione ridotta a 1/10 del minimo (ad esempio, 3% invece di 30%);
- Breve: entro 90 giorni – 1/9 del minimo (3.33%);
- Entro un anno (dalla violazione o dal termine dichiarativo) – 1/8 del minimo (3.75%);
- Entro due anni – 1/7 (circa 4.28%);
- Oltre due anni – 1/6 (5%);
- Dopo constatazione (ma prima di notifica accertamento) – 1/5 (6%);
Esempio: Una ditta individuale ha applicato nel 2022 uno sconto in fattura di €50.000 per lavori che però eccedevano il massimale di spesa agevolabile di €40.000 (quindi €10.000 di credito non spettante). Accortasi dell’errore a metà 2023, prima di ricevere accertamenti, può ravvedersi versando i €10.000 indebitamente compensati, più interessi legali (poco più dell’1% annuo in quel periodo) e sanzione ridotta: entro un anno la sanzione sarebbe 3.75% di €10.000 = €375 (anziché €3.000 che sarebbe il 30%). Il risparmio di sanzioni è consistente.
Conseguenze del ravvedimento: Il pagamento con ravvedimento operoso sana la violazione evitando l’irrogazione di ulteriori sanzioni. L’Agenzia, se non ha già emesso atto, prenderà atto del versamento ed eviterà di emettere l’accertamento (o emetterà eventualmente un atto di regolarizzazione). Da notare che, secondo l’Amministrazione finanziaria, il ravvedimento è possibile anche dopo l’eventuale annullamento di una comunicazione di sconto in fattura. Ad esempio, in un caso esaminato dall’Agenzia (Risposta interpello n. 348/2023), un errore nella comunicazione aveva comportato l’annullamento dell’opzione e il contribuente ha potuto riversare tramite ravvedimento la quota di credito già utilizzata. L’Agenzia ha confermato che, in tale ipotesi, la sanzione applicabile – sul credito da restituire – è quella per credito non spettante (30%) e che essa può essere oggetto di ravvedimento anche tramite il cosiddetto “ravvedimento speciale” introdotto dalla legge di Bilancio 2023. Il ravvedimento speciale era una forma straordinaria di ravvedimento con sanzione ridotta a 1/18, utilizzabile fino al 30 settembre 2023 per regolarizzare violazioni di anni passati. In generale, comunque, in assenza di tale regime straordinario (oggi non più attivo), resta sempre utilizzabile il ravvedimento ordinario.
In conclusione, il ravvedimento operoso è lo strumento ideale se il contribuente riconosce l’errore e intende collaborare prima di ricevere un avviso formale: così facendo limita la sanzione al minimo e chiude la vicenda in via deflattiva. Bisogna però fare attenzione ai tempi: se infatti l’Ufficio notifica un atto prima che il ravvedimento sia perfezionato (cioè prima che il pagamento integrale sia effettuato), il ravvedimento non è più ammesso per quella violazione.
Autotutela (annullamento d’ufficio)
Lo strumento dell’autotutela consiste nel poter ottenere dall’Amministrazione finanziaria l’annullamento o la rettifica di un atto impositivo senza dover ricorrere al giudice, quando l’atto sia palesemente viziato o illegittimo. In materia di sconti in fattura, l’autotutela può rilevare in situazioni ad esempio di errore palese da parte dell’Ufficio (es. un accertamento emesso oltre i termini di decadenza, oppure calcoli errati nell’atto, o situazioni in cui il contribuente riesce a dimostrare documentalmente la spettanza del bonus che l’Agenzia aveva disconosciuto).
Per attivare l’autotutela, il contribuente (o il suo difensore) deve presentare un’istanza motivata all’ufficio che ha emesso l’atto, evidenziando le ragioni di illegittimità o errore e chiedendone l’annullamento (totale o parziale). L’amministrazione ha facoltà di accogliere l’istanza e annullare d’ufficio l’atto, ma non vi è un obbligo giuridico a farlo (salvo casi estremi di nullità insanabile).
Nel contesto di un accertamento su sconto non spettante, l’autotutela potrebbe ad esempio essere efficace se:
- Il contribuente reperisce nuovi documenti o attestazioni che provano la spettanza dell’agevolazione (o l’assenza di colpa grave del cessionario) prima non valutati dall’Ufficio. Ad esempio, se un bonus era stato negato per mancanza di un’asseverazione, ma poi si dimostra che l’asseverazione era stata in realtà inviata nei termini (e l’Ufficio non l’aveva ricevuta per disguidi).
- L’atto presenta errori macroscopici (es. contesta importi già restituiti col ravvedimento, oppure applica sanzioni in maniera evidentemente errata rispetto alla legge).
Va detto che l’autotutela in materia tributaria viene esercitata con estrema cautela dagli uffici, specialmente su questioni interpretative o di merito (dove preferiscono demandare la decisione al giudice tributario). Tuttavia, vale la pena tentare un’istanza di autotutela quando vi siano argomenti oggettivamente fondati, poiché il suo accoglimento risolverebbe la controversia in via amministrativa e gratuita. Anche in caso di mancato accoglimento, l’istanza di autotutela presentata può dimostrare la buona fede e cooperazione del contribuente, ed eventualmente essere riproposta come motivo nel ricorso (sottolineando che l’Ufficio ha ignorato elementi probatori portati alla sua attenzione).
Importante: L’istanza di autotutela non sospende i termini per il ricorso. Dunque, se si riceve un avviso di accertamento, non bisogna fare affidamento solo sull’autotutela: occorre comunque predisporre il ricorso nei 60 giorni (salvo attivazione di adesione), perché se l’ufficio rifiuta l’annullamento d’ufficio e i termini di impugnazione sono scaduti, l’atto diventa definitivo. In pratica, l’autotutela può essere percorsa parallelamente ad altre azioni, ma senza compromettere i diritti in sede contenziosa.
Accertamento con adesione
L’accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 218/1997) è uno strumento deflattivo del contenzioso che consente al contribuente e all’Ufficio di concordare il contenuto dell’accertamento, evitando il giudizio. Quando il contribuente riceve un avviso di accertamento (o anche solo un processo verbale di constatazione), può presentare istanza di accertamento con adesione all’ente impositore, al fine di avviare una negoziazione.
Nel caso di sconti in fattura non spettanti, l’adesione può rivelarsi utile soprattutto per ottenere una riduzione delle sanzioni e una definizione rapida. Infatti, se le parti trovano un accordo sull’ammontare del tributo da recuperare (ad esempio confermando l’indebito utilizzo del credito per una certa somma) e sulle sanzioni, il contribuente beneficia per legge della riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo previsto. Questo coincide, in effetti, con la stessa riduzione prevista per l’acquiescenza, ma l’adesione ha alcuni vantaggi aggiuntivi:
- Permette un confronto con l’ufficio, in cui il contribuente può far valere le proprie ragioni, eventuali circostanze attenuanti, e cercare di far riconoscere una minore gravità della violazione. Ad esempio, potrebbe emergere che l’errore è stato indotto da istruzioni poco chiare, ecc., e talvolta l’ufficio può decidere di qualificare la violazione in modo più favorevole (es. come non spettante anziché inesistente) per venire incontro al contribuente aderente.
- Consente di definire in adesione anche profili impositivi correlati. Nel caso di sconto in fattura, ad esempio, potrebbero esserci riprese a tassazione indirette (IVA indetraibile, registro, ecc.) connesse all’agevolazione persa: l’adesione può includere tutti gli aspetti per chiudere in modo omnicomprensivo la vicenda fiscale.
- Dà diritto a un pagamento rateale agevolato: le somme dovute dall’atto definito in adesione possono essere rateizzate (normalmente fino a 8 rate trimestrali, o 16 rate se importi elevati), con interessi legali, offrendo respiro finanziario al contribuente.
Proceduralmente, il contribuente deve presentare l’istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento. Ciò comporta la sospensione dei termini per fare ricorso per 90 giorni. L’ufficio convocherà il contribuente per un contraddittorio e, se si giunge a un accordo, si redigerà un atto di adesione con gli importi concordati. A quel punto, il contribuente deve pagare (o iniziare a pagare rate) entro 20 giorni la somma dovuta. L’adesione preclude il ricorso: una volta perfezionata col pagamento, estingue la materia del contendere.
Se l’adesione non va a buon fine (manca l’accordo o l’ufficio non risponde entro 90 giorni), il contribuente ha altri 30 giorni per proporre ricorso (complessivamente quindi 150 giorni dalla notifica originaria, grazie alla sospensione). In assenza di accordo, nulla è perduto in termini di difesa: si potrà contestare l’atto in commissione tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria).
Va evidenziato che l’accertamento con adesione non è ammesso per alcune materie, e tra queste ora vi sono i crediti inesistenti fraudolenti. Ciò significa che se l’ufficio contesta allo sconto in fattura una natura fraudolenta (es. il caso di pratica fittizia), potrebbe rifiutare l’adesione. Tuttavia, spesso nelle contestazioni su bonus edilizi di tipo fraudolento interviene direttamente la sfera penale (cui l’adesione non si applica) e situazioni del genere difficilmente si risolvono con un accordo amministrativo. Per i casi “normali” di non spettanza, invece, l’adesione è pienamente accessibile e anzi incentivata.
Acquiescenza (definizione agevolata dell’accertamento)
L’acquiescenza consiste nel comportamento del contribuente che accetta integralmente l’accertamento ricevuto e provvede al pagamento, beneficiando in cambio di uno sconto sulle sanzioni. Tecnicamente, la definizione agevolata per acquiescenza (art. 15 D.Lgs. 218/97) prevede che, per gli avvisi di accertamento non impugnati e pagati entro 60 giorni dalla notifica, le sanzioni irrogate siano ridotte a 1/3 (come nell’adesione).
In pratica, se il contribuente ritiene fondata la contestazione del Fisco oppure non intende intraprendere una lite, può optare per pagare quanto dovuto entro i 60 giorni, versando imposta, interessi e il 1/3 della sanzione inizialmente contestata. Questo consente di chiudere la pendenza immediatamente, evitando il ricorso e ulteriori aggravi (nel contenzioso, se si perde, si pagherebbero sanzioni intere, interessi di mora e eventualmente spese di giudizio). La scelta dell’acquiescenza va ponderata: conviene quando l’ufficio ha chiare evidenze e il contribuente riconosce la violazione, oppure quando i costi/incertezze di una causa superano il beneficio di provare ad annullare l’atto.
Nel caso di sconti in fattura non spettanti, l’acquiescenza può essere vantaggiosa se l’atto è corretto e, ad esempio, il contribuente non ha elementi validi di difesa. Accettando l’accertamento, la sanzione (poniamo del 25% sul credito) si riduce al circa 8.3%. Inoltre, anche per l’acquiescenza è possibile chiedere la rateazione delle somme (fino a 8 rate trimestrali) qualora si superi una certa soglia di importo, se previsto nell’atto. Bisogna però fare attenzione: il pagamento oltre 60 giorni non dà diritto allo sconto delle sanzioni e fa decadere l’acquiescenza, trasformando l’atto in definitivo e con iscrizione a ruolo delle somme. Pertanto occorre essere tempestivi.
Da segnalare che le leggi di Bilancio 2023 e 2024 hanno introdotto varie forme di definizione agevolata speciale (c.d. tregua fiscale) per alcune controversie e carichi pendenti, ma nel perimetro di queste norme gli avvisi di recupero di crediti d’imposta non spettanti non rientravano specificamente (salvo il già menzionato ravvedimento speciale per errori dichiarativi). Perciò l’acquiescenza standard rimane lo strumento principale per definire l’accertamento con beneficio di riduzione sanzioni.
Ricorso tributario
Qualora il contribuente non condivida le contestazioni mosse riguardo allo sconto in fattura (ritenendole errate in fatto o in diritto), ha pieno diritto di difendersi davanti alla Giustizia Tributaria presentando ricorso. Il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (salvo sospensioni per adesione come detto). Dal 2023, con la riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022), le Commissioni Tributarie sono state rinominate in Corti di Giustizia Tributaria di primo e di secondo grado, ma la sostanza del processo non cambia per il contribuente.
Nel proporre ricorso su un avviso di recupero di sconto in fattura non spettante, le possibili linee difensive possono includere:
- Contestazione dei presupposti di fatto: ad esempio, dimostrare che invece i requisiti dell’agevolazione erano presenti. Ciò può capitare se l’ufficio ha basato l’atto su informazioni errate o incomplete. Ad esempio, il Fisco potrebbe aver ritenuto non agevolabile un intervento, ma il contribuente in giudizio produce perizia e documenti che attestano che quell’intervento rientrava pienamente nelle previsioni di legge.
- Questioni giuridiche: interpretazione della norma agevolativa. Spesso la definizione di requisiti tecnici (tipo di immobile, percentuali di efficienza energetica, ecc.) può essere controversa. Il contribuente può sostenere una certa interpretazione più favorevole e citare eventuali circolari o sentenze a supporto.
- Vizi procedurali: ad esempio, se l’atto è stato notificato fuori termine, o privo di motivazione sufficiente, o senza considerare le osservazioni del contribuente (nel caso siano state presentate documentazioni integrative).
- Errata qualificazione come credito inesistente: questo è un punto chiave. Se l’Ufficio ha applicato la sanzione del 100-200% qualificando il credito come “inesistente”, il contribuente può contestare che invece era un credito “non spettante”. In passato, su questo i giudici hanno dato ragione ai contribuenti in molti casi di bonus edilizi, sostenendo che se i lavori erano reali e documentati (ma magari non spettava il bonus) si tratta di credito non spettante, con sanzione quindi del 30% e non 200%. Ora con le SU 2023 e la nuova norma la questione è più definita, ma potrà comunque essere oggetto di eccezione se l’Amministrazione facesse un uso improprio della categoria “inesistente”.
- Applicazione di cause di non punibilità: ad esempio invocare l’obiettiva incertezza normativa (ex art. 6, c.2, D.Lgs. 472/97 per le sanzioni amministrative, e ora anche 10-quater 2-bis per il penale). Se la disciplina del bonus era poco chiara e interpretata diversamente da fonti autorevoli, il contribuente potrebbe chiedere l’annullamento delle sanzioni amministrative per incertezza normativa, o l’archiviazione in sede penale per mancanza di dolo.
- Proporzionalità e buona fede: sottolineare eventuale diligenza mantenuta (es. il contribuente si era affidato a professionisti, aveva ottenuto un visto di conformità, ecc.) per ottenere quantomeno una riduzione sanzioni o l’esclusione della responsabilità solidale per i cessionari.
Il processo tributario in primo grado di regola non richiede il pagamento integrale delle somme contestate, ma è previsto il versamento di un terzo delle imposte (e interessi) dovute a titolo provvisorio entro 60 giorni dall’impugnazione (nel caso di avviso di accertamento esecutivo). Nel caso di atti di recupero di crediti indebitamente utilizzati, spesso l’atto stesso contiene l’intimazione a pagare un terzo entro 60 giorni, pena l’iscrizione a ruolo coattivo. Il ricorso sospende la riscossione solo per la parte eccedente tale importo. È comunque possibile chiedere al giudice tributario una sospensione dell’atto se si dimostra un danno grave dalla riscossione e la fondatezza del ricorso.
Se il contribuente vince in giudizio, l’atto viene annullato (in toto o in parte) e non dovrà restituire l’agevolazione. Se perde, dovrà pagare quanto dovuto con sanzioni e interessi, potendo eventualmente appellare in secondo grado e poi in Cassazione. Dato il costo e la durata del contenzioso, conviene intraprenderlo solo quando si hanno argomenti solidi o la somma in gioco e la reputazione giustificano la battaglia legale (ad esempio, l’impresa convinta di essere nel giusto sul bonus potrebbe voler fare causa anche per una questione di principio, oltre che economica).
Va segnalato che le pronunce giurisprudenziali recenti in materia di bonus edilizi sono ancora in evoluzione. Ci sono state alcune sentenze delle Corti di Giustizia Tributaria di merito favorevoli ai contribuenti su aspetti procedurali. Ad esempio, come anticipato, alcune Corti hanno stabilito che l’annullamento della comunicazione dell’opzione da parte dell’Agenzia è un atto impugnabile dal contribuente proprio per garantire il suo diritto di difesa. Quindi, qualora il Fisco annulli unilateralmente la cessione/lo sconto (magari ritenendolo a rischio frode), il contribuente può ricorrere subito senza aspettare l’avviso di recupero, per far valutare al giudice la legittimità di tale annullamento. Questo ha un impatto importante, perché consente di giocare d’anticipo e magari ottenere la conferma del bonus se l’annullamento era infondato.
In definitiva, il ricorso tributario rimane l’arma finale del debitore per far valere le proprie ragioni, ed è opportuno prepararlo con dovizia di prove e argomentazioni giuridiche. Spesso l’esito dipenderà da questioni tecniche (urbanistiche, edilizie, ecc.), per cui può essere utile allegare perizie o consulenze di esperti del settore a supporto.
Domande frequenti (FAQ) su sconti in fattura non spettanti
- Che cosa significa “sconto in fattura non spettante”?
Significa che il contribuente ha usufruito di uno sconto immediato sul corrispettivo dei lavori, coperto da un credito d’imposta, senza averne diritto secondo la legge. Ciò avviene quando il bonus edilizio sottostante non poteva essere legittimamente applicato (ad esempio per mancanza dei requisiti richiesti, errori sostanziali, lavori non agevolabili, ecc.). In pratica, il Fisco considera quello sconto come un beneficio indebito che deve essere restituito. Da non confondere con lo “sconto inesistente”, che presuppone addirittura che i lavori o le spese siano fittizi o fraudolenti: nello sconto non spettante i lavori sono reali ma il bonus non andava applicato in quel contesto. - Chi deve restituire allo Stato l’importo di uno sconto in fattura non spettante?
Il soggetto principalmente obbligato al recupero del credito d’imposta è il beneficiario originario dell’agevolazione, cioè colui che avrebbe avuto diritto alla detrazione fiscale. Ad esempio, se Tizio fa fare lavori a casa sua e ottiene dal fornitore Caio uno sconto in fattura, e risulta che Tizio non aveva diritto al bonus, l’Agenzia delle Entrate richiederà a Tizio la restituzione dell’importo (maggiorato di interessi e sanzioni). Il fornitore Caio (che ha applicato lo sconto e maturato il credito) o eventuali cessionari (banche, ecc.) saranno chiamati in causa solo se si dimostra una loro partecipazione dolosa o gravemente negligente alla violazione. In assenza di dolo/colpa grave, fornitori e cessionari non rispondono in solido dello sconto non spettante. Quindi, ad esempio, una banca che ha acquisito il credito in buona fede con tutti i documenti a posto non dovrà restituire nulla al Fisco (perderà semmai il credito utilizzato), mentre l’utente finale sì. - Quali sanzioni si applicano in caso di sconto in fattura non spettante?
Si applicano le sanzioni previste per l’utilizzo di crediti d’imposta non spettanti: in generale la sanzione è una percentuale del credito indebito. Fino al 2024 era pari al 30% del credito utilizzato; per violazioni dal 2024 in poi è scesa al 25%. Se però lo sconto viene considerato dal Fisco come credito inesistente (caso di frode grave), le sanzioni sono molto più alte: dal 100% al 200% del credito (regime ante 2024) o, dal 2024, 70% se non fraudolento oppure 105-140% se con profili fraudolenti. Oltre alle sanzioni amministrative, se l’importo indebitamente compensato supera €50.000 annui ci possono essere conseguenze penali: reato di indebita compensazione punito con reclusione (6 mesi-2 anni per crediti non spettanti, fino a 6 anni per crediti inesistenti). In sede penale però è richiesto il dolo; la legge esclude il reato se c’era obiettiva incertezza sui requisiti del bonus. - Entro quanto tempo il Fisco può accertare uno sconto in fattura non spettante?
Può farlo entro i normali termini di accertamento, che sono di regola 5 anni dall’anno in cui è avvenuta la violazione (l’utilizzo del credito). Ad esempio, per uno sconto fruito nel 2021, l’accertamento deve arrivare entro il 31/12/2026. Fanno eccezione i casi di credito inesistente (non spettanza frutto di frode): in tal caso c’è un termine esteso a 8 anni. La Cassazione ha stabilito chiaramente che l’estensione a 8 anni vale solo per i crediti inesistenti in senso stretto (mancanti dei presupposti e non controllabili automaticamente), mentre per i crediti semplicemente non spettanti resta il termine ordinario. Vi è poi una particolarità: se l’irregolarità è solo formale e viene sanata entro l’anno seguente, la legge prevede che il controllo debba avvenire entro 1 anno dall’utilizzo, altrimenti l’agevolazione si considera confermata. - Si può regolarizzare spontaneamente uno sconto in fattura non spettante ed evitare le sanzioni?
Sì, tramite il ravvedimento operoso. Se il contribuente si accorge di aver fruito indebitamente dello sconto (o riceve un primo avviso bonario) prima che parta un formale accertamento, può riversare il credito non spettante volontariamente. Occorre versare l’importo dello sconto, interessi e una sanzione ridotta (che può essere molto bassa: es. ~3-5% invece del 30%, se ci si ravvede entro un anno). In questo modo si evitano le pesanti sanzioni piene e si chiude la posizione. L’Agenzia stessa, in vari chiarimenti, incoraggia il ravvedimento in caso di errori: ad esempio se una comunicazione di sconto è stata annullata per errore materiale, è possibile ravvedersi e restituire il credito indebito senza sanzioni elevate. Importante però farlo prima che arrivi l’avviso di accertamento; dopo, non è più ammesso ravvedersi su quella violazione. - Che differenza c’è tra “credito non spettante” e “credito inesistente” ai fini delle sanzioni?
La differenza è rilevante: un credito non spettante è un credito indebito ma relativo a operazioni effettive e che può emergere da controlli normali. Un credito inesistente invece è privo di base reale, spesso frutto di falsità, e non rilevabile se non con indagini approfondite. Per il non spettante la sanzione amministrativa (ante riduzioni) è 25-30%, per l’inesistente 70-140% (o 100-200% nelle violazioni passate). Anche i termini di accertamento raddoppiano (5 vs 8 anni). Se manca anche solo uno dei requisiti di un credito inesistente (cioè se il credito ha un qualche presupposto reale oppure è rilevabile da controlli base), allora va trattato come non spettante e non come inesistente. Ad esempio: un’asseverazione tecnica mancante rende il bonus non spettante (perché il requisito formale non c’è, ma i lavori sono reali e l’assenza del documento è riscontrabile a controllo), mentre una fattura per lavori mai fatti con documenti falsi configura credito inesistente (perché manca il fatto economico reale e serve un’indagine per scoprirlo). - Posso fare qualcosa se l’Agenzia annulla la comunicazione dello sconto in fattura sostenendo che è irregolare?
Sì. Innanzitutto, hai diritto a conoscere la motivazione: l’art. 122-bis D.L. 34/2020 consente l’annullamento se dai controlli emergono dati incoerenti o di rischio. Se ritieni che l’annullamento sia ingiustificato, puoi impugnarlo in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria) perché è considerato un atto equivalente a un diniego di agevolazione. Diversi giudici di merito (es. CGT Pavia, sent. 434/2024) hanno dato ragione ai contribuenti, affermando che l’annullamento della comunicazione è impugnabile ex art. 19, c.1, lett. h) D.Lgs. 546/92 come atto lesivo. Ciò significa che puoi fare ricorso subito, senza aspettare un successivo avviso di recupero, per chiedere al giudice di esaminare la legittimità di quella revoca. Se nel ricorso dimostri che in realtà avevi diritto al bonus (o che l’errore formale non doveva portare all’annullamento), potresti far ripristinare gli effetti dell’opzione. Nel frattempo, però, l’annullamento produce effetti: il fornitore non ha più il credito utilizzabile e tu, come beneficiario, dovresti pagare i lavori. Se hai elementi, conviene quindi attivarsi subito legalmente per sospendere e annullare tale provvedimento. - Cosa succede se mi arriva un avviso di accertamento per sconto in fattura non spettante?
Hai di fronte diverse opzioni:- Se concordi con la contestazione (ad esempio effettivamente mancava un requisito e sei consapevole), puoi valutare di definire il tutto con acquiescenza: paghi entro 60 giorni e ottieni lo sconto della sanzione a 1/3. In alternativa, puoi chiedere un accertamento con adesione: presenti istanza, discuti con l’ufficio e probabilmente arrivi allo stesso risultato (imposta + interessi + 1/3 sanzioni) ma con possibilità di rateizzare e magari chiarire alcuni punti minori. In entrambi i casi eviti il contenzioso.
- Se non concordi o hai dubbi, puoi presentare istanza di adesione comunque (per guadagnare tempo e tentare una mediazione) oppure passare direttamente al ricorso entro 60 giorni. Col ricorso puoi far valere tutte le tue difese (vedi sopra). È importante in tal caso anche versare il terzo provvisorio se richiesto, per non avere problemi di riscossione durante la causa. La scelta dipende dalla fondatezza delle tue ragioni: se ad esempio l’ufficio ti nega il bonus per un cavillo ma tu hai un parere favorevole o documenti dalla tua parte, vale la pena ricorrere.
- In ogni caso, verifica se ci sono errori nell’atto (termini, calcoli) e valuta se inviare una richiesta di autotutela all’ufficio: magari riesci a far correggere o annullare l’atto senza ricorso, ma ricordati che l’autotutela non sospende i termini del ricorso.
- Come posso evitare la responsabilità solidale se acquisto un credito o applico uno sconto in buona fede?
La legge ti tutela se agisci con la dovuta diligenza. In particolare, per i bonus edilizi è fondamentale acquisire tutti i documenti prescritti: visto di conformità rilasciato da un professionista abilitato, asseverazioni tecniche dei requisiti e di congruità delle spese, copie di fatture e pagamenti, titoli abilitativi edilizi, APE e ogni altro documento richiesto per quel bonus. Se hai questa documentazione e non ci sono segnali di frode conclamata, la legge (art. 121 co. 6-bis e 6-ter DL 34/2020) esclude la tua responsabilità per eventuali indebite fruizioni, a meno che non emergano elementi di dolo o colpa grave da parte tua. In pratica, significa che se successivamente si scopre che il beneficiario non aveva diritto al bonus, il Fisco recupererà l’importo da lui e tu che hai acquistato il credito (o il fornitore che ha applicato lo sconto) non dovrai restituire nulla, sempre che tu possa provare di aver agito con normale prudenza. Diverso sarebbe se, ad esempio, avessi comprato crediti a prezzi troppo bassi da intermediari dubbi senza documentazione: quello potrebbe configurare colpa grave. Ma se hai seguito le regole e tutto sembrava regolare, sei protetto. Questo principio, chiarito prima in circolari e poi messo in legge nel 2023, è pensato proprio per non congelare il mercato dei crediti e non punire chi opera onestamente. - Se commetto un errore formale (es. sbaglio il codice fiscale in fattura o nella comunicazione) perdo per sempre il diritto al bonus?
Non necessariamente. Alcuni errori formali o procedurali possono essere corretti. Ad esempio, il caso reale di un fornitore che aveva indicato per sbaglio il codice fiscale sbagliato del condominio sulle fatture e sulle comunicazioni: l’Agenzia inizialmente ha annullato la comunicazione per errore “sostanziale”, ma poi ha permesso di rifare la comunicazione corretta entro l’anno seguente. In quella vicenda, il credito originariamente usato è stato “stornato” e poi rigenerato con la nuova comunicazione corretta. Il risultato è che il contribuente non ha perso il bonus, ma ha dovuto riversare temporaneamente il credito utilizzato a febbraio 2022 (tramite ravvedimento) perché in quel momento era non spettante – mancava il requisito formale corretto. Una volta inviati i dati giusti, il bonus è tornato spettante. Questo per dire che errori come un codice fiscale, un dato catastale, una svista nella comunicazione, possono essere sanati con procedure di correzione (spesso tramite remissione in bonis o appunto annullando e rifacendo la comunicazione entro i termini previsti). Se si corregge in tempo utile, l’agevolazione non è persa in via definitiva. Certo, bisogna fare attenzione: se l’errore viene scoperto solo dopo molto tempo o oltre i termini, potrebbe essere più complicato. In generale comunque, le norme e i chiarimenti hanno cercato di distinguere gli errori formali, che non fanno perdere il bonus se sanati, dalle irregolarità sostanziali, che invece impediscono proprio la spettanza del bonus. Il consiglio è: appena ti accorgi di un errore formale, verifica se esiste uno strumento di correzione (spesso pagando una sanzione minima di €250) per rimediare ed evitare contestazioni future.
Esempi pratici
Di seguito presentiamo alcuni casi pratici simulati per illustrare come possono presentarsi situazioni di sconti in fattura non spettanti e quali sono le possibili conseguenze e soluzioni dal punto di vista del debitore.
Esempio 1: Errore formale nella comunicazione, bonus recuperato ma ripristinato
Scenario: La ditta Alfa S.r.l. realizza lavori trainanti e trainati in un condominio accedendo al Superbonus 110%. Invece di incassare i pagamenti, Alfa accorda al condominio uno sconto in fattura pari all’intera detrazione (110% delle spese). Per errore, però, l’amministratore del condominio comunica a Alfa un codice fiscale errato, e così Alfa emette le fatture intestandole a un altro condominio inesistente. Conseguentemente, anche la comunicazione telematica dell’opzione inviata all’Agenzia delle Entrate riporta il codice fiscale sbagliato. L’Agenzia, tramite i controlli di coerenza, rileva l’anomalia: dopo qualche mese sospende e annulla la comunicazione di opzione per incoerenza nei dati. Di fatto, il Superbonus per quell’intervento viene negato (diniego dell’agevolazione) e Alfa, che nel frattempo aveva già utilizzato in compensazione una quota del credito spettante, si vede ora contestare l’indebita compensazione.
Conseguenze: Formalmente, la detrazione 110% viene disconosciuta ab origine a causa dell’errore di identificazione. Il credito d’imposta già utilizzato da Alfa diviene un credito “non spettante” perché, pur derivando da lavori reali e spese sostenute, al momento dell’utilizzo non c’era una comunicazione valida a supporto (requisito formale mancante). L’Agenzia richiede dunque la restituzione di quel credito. Alfa S.r.l., per evitare sanzioni elevate, provvede subito a ravvedersi: riversa l’importo già compensato (diciamo €20.000), più interessi, e paga la sanzione ridotta al 3% avendo regolarizzato entro pochi mesi. Contestualmente, avendo compreso l’errore, Alfa e l’amministratore del condominio provvedono a emettere note di variazione per stornare le fatture errate e a reintestare correttamente le fatture al condominio giusto. Poi inviano una nuova comunicazione dell’opzione di sconto, questa volta col codice fiscale corretto, suddividendo i lavori come da SAL effettuati (o in unica soluzione se ormai i lavori sono conclusi).
Esito: Grazie alla nuova comunicazione valida, il credito d’imposta viene rigenerato correttamente a favore di Alfa. A questo punto Alfa può di nuovo utilizzarlo in compensazione (o cederlo) per recuperare lo sconto praticato, stavolta legittimamente. In sintesi, l’errore formale ha causato un inconveniente temporaneo: Alfa ha dovuto restituire e poi recuperare il bonus, pagando solo una piccola sanzione per l’errore. Il condominio beneficiario non ha perso il bonus (perché poi riconosciuto sulla comunicazione corretta) e non ha dovuto pagare nulla in più per i lavori. Questo esempio, tratto da un caso reale discusso dall’Agenzia, mostra come un errore formale non pregiudica in via definitiva l’agevolazione, purché venga corretto in tempo. Mostra anche la collaborazione del contribuente tramite ravvedimento per sistemare la faccenda con minima penalità.
Esempio 2: Requisito sostanziale mancante, sconto non spettante da restituire
Scenario: Il sig. Bruno esegue nel 2021 lavori di ristrutturazione edilizia sulla sua seconda casa al mare, ottenendo dal fornitore uno sconto in fattura del 50% (relativo al “bonus ristrutturazioni” previsto dall’art. 16-bis TUIR). Nel 2025, a seguito di controlli incrociati, l’Agenzia accerta che la casa al mare di Bruno è accatastata in categoria A/1 (abitazione di lusso). La normativa sul bonus ristrutturazioni esclude espressamente le abitazioni di categoria A/1, A/8, A/9 dalle agevolazioni. Dunque Bruno non aveva diritto alla detrazione 50%, e lo sconto di cui ha goduto è non spettante per difetto di un requisito oggettivo (l’immobile “di lusso” è fuori dall’ambito agevolativo).
Conseguenze: L’Agenzia delle Entrate notifica a Bruno nel luglio 2025 un avviso di accertamento recuperando lo sconto usufruito. Supponiamo che Bruno abbia ottenuto €30.000 di sconto in fattura dal suo fornitore. L’atto richiede: €30.000 di imposta (detrazione) da restituire, + interessi dal 2021, + sanzione 30% sul credito utilizzato (essendo una violazione del 2021, si applica la misura previgente). La sanzione ammonta quindi a €9.000. In più, essendo un atto esecutivo, intima il pagamento entro 60 giorni di un terzo delle somme (circa €10.000 + interessi) per non incorrere in riscossione.
Bruno consulta un legale: in effetti la norma (all’epoca) vietava il bonus su case A/1, quindi sul merito c’è poco da fare. Non ci sono elementi per sostenere che il bonus spettasse; Bruno peraltro ignorava la limitazione ma la legge era chiara (non si può invocare l’incertezza normativa qui). Anche il fornitore, che ha applicato lo sconto, ha agito senza dolo (non sapeva fosse A/1, magari Bruno non lo ha evidenziato), quindi l’agenzia recupera solo da Bruno stesso.
Opzioni per Bruno: Può fare acquiescenza entro 60 gg, pagando tutto e ottenendo riduzione sanzione a 1/3 (sanzione scende a €3.000 anziché 9.000). In tal modo chiude la partita. Oppure può avviare un accertamento con adesione: presenta istanza, va a colloquio con l’ufficio. Lì magari può ottenere un trattamento sanzionatorio col nuovo regime (25% anziché 30%, se l’ufficio vuol venire incontro applicando la norma sopravvenuta più favorevole) – non è garantito ma potrebbe provarci – e comunque la riduzione a 1/3 per definizione, oltre alla rateizzazione. Supponiamo che in adesione l’ufficio accetti di qualificare la sanzione al 25% (norma nuova) per equità: su €30.000 diventerebbe €7.500, ridotta a 1/3 = €2.500. Bruno firma l’adesione, paga la prima rata, e rateizza il resto in 8 rate trimestrali.
Esito: Bruno ha dovuto restituire integralmente il beneficio indebito. Non avendo basi per contestare, ha preferito evitare un ricorso (che sarebbe stato perso) e definire con sanzioni ridotte. Il fornitore che aveva concesso lo sconto non subisce conseguenze dirette (il Fisco non glielo chiede indietro perché ha appurato che non c’è stato dolo/colpa grave da parte sua – il fornitore magari aveva anche preso il visto di conformità dal commercialista di Bruno, quindi era in buona fede). Bruno ha comunque un esborso notevole, perché deve pagare quei €30.000 che aveva risparmiato e inoltre gli tocca pure il compenso del professionista per l’assistenza. Questo esempio mostra come un’agevolazione fruita indebitamente per mancanza di un requisito sostanziale (categoria immobile esclusa) comporti inevitabilmente il recupero del bonus. Il contribuente in tali casi può solo puntare a ridurre le sanzioni e dilazionare il pagamento, ma non riuscirà a mantenere l’agevolazione.
Esempio 3: Credito inesistente e frode organizzata
Scenario: Una banda di truffatori organizza nel 2021 un sistema per monetizzare falsi crediti Superbonus. Aprono diverse società cartiere (senza reale attività) che dichiarano di effettuare interventi edilizi fittizi presso immobili compiacenti. Emettono fatture per lavori mai eseguiti a fronte di sconti in fattura accordati a proprietari compiacenti, generando crediti d’imposta del 110% totalmente inesistenti (poiché i lavori non sono reali). Questi crediti vengono poi ceduti a intermediari terzi sul mercato, in parte anche a ignare banche che, attratte dal valore, non verificano a fondo la documentazione. Dopo alcuni mesi, l’Agenzia delle Entrate, tramite il controllo incrociato delle comunicazioni e segnalazioni anomale (importi sproporzionati rispetto ai redditi dei beneficiari, ecc.), sospende molte di queste operazioni ai sensi dell’art. 122-bis e avvia indagini.
Conseguenze: Qui siamo nel campo di una frode. I crediti sono “inesistenti” in senso pieno: mancano i presupposti oggettivi (nessun lavoro vero) e sono accompagnati da documenti falsi (asseverazioni false, ecc.), quindi anche fraudolenti. L’Amministrazione finanziaria emanerà atti di recupero per l’intero importo dei crediti verso i beneficiari originari e le società coinvolte, con sanzioni 200% (regime ante 2024) sul credito utilizzato. Ad esempio, se sono stati compensati €500.000 di crediti inesistenti, la sanzione è €1.000.000. Inoltre la questione diventa immediatamente penale: scatta il reato di indebita compensazione > €50k, punito fino a 6 anni, e molto probabilmente anche reati ulteriori (frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita di fondi pubblici, etc.). Le società cartiere e i prestanome amministratori verranno perseguiti; i beni sequestrati; i cessionari che hanno agito con leggerezza rischiano di essere coinvolti come concorrenti (specie se c’è prova che sapevano o sospettavano la frode).
Dal punto di vista del debitore in senso stretto, qui ci sono più debitori: i beneficiari fittizi e le società emittenti delle fatture. Tutti costoro saranno chiamati a rifondere allo Stato l’importo dei crediti incassati/ceduti. I cessionari (ad esempio una banca) cercheranno di difendersi sostenendo di essere stati in buona fede e non in colpa grave. Se la banca ha comunque raccolto tutta la documentazione (visti, asseverazioni, ecc.) e magari i truffatori avevano architettato tutto molto bene, potrebbe riuscire ad evitare la responsabilità solidale, perdendo però i crediti acquistati (che l’Agenzia annullerà). Se invece la banca/intermediario ha omesso controlli basilari, il Fisco potrebbe imputare colpa grave e chiedere il pagamento in solido anche a loro.
Esito: Negli anni successivi, i processi penali faranno luce sul sistema fraudolento. Dal punto di vista fiscale, le somme contestate in questi casi spesso non vengono recuperate interamente (i truffatori magari sono nullatenenti), ma lo Stato cerca di aggredire tutto il possibile. I prestanome dichiarati irreperibili verranno iscritti a ruolo; qualche recupero potrebbe avvenire a carico di cessionari che non riescono a dimostrare la loro diligenza (anche se la normativa del 2022-2023 ha limitato molto la loro responsabilità ai casi di dolo/colpa grave). In questo caso emblematico, vediamo l’estremo opposto: lo sconto in fattura inesistente e fraudolento comporta le sanzioni più pesanti, tempi lunghi di accertamento (in frodi complesse spesso si agisce entro 8 anni o anche oltre se c’è reato, sfruttando la sospensione per processo penale), e implicazioni penali serie. Il “debitore” qui è sostanzialmente un evasore fraudolento, ben diverso dal contribuente che per errore ha sbagliato una comunicazione.
Questo esempio serve a comprendere perché la normativa distingua casi così diversi: il legislatore ha inteso punire in modo esemplare le frodi organizzate (anche per tutelare le finanze pubbliche, date le cifre colossali dei bonus edilizi), mentre ha previsto margini di correzione e sanzioni contenute per i casi di non spettanza non fraudolenta o di errori in buona fede.
Conclusioni
Gli accertamenti sugli sconti in fattura non spettanti rappresentano oggi una materia complessa e di grande rilievo pratico, viste le somme in gioco e la diffusione dei bonus edilizi. Dal punto di vista del debitore – che può essere il committente dei lavori, il fornitore o talvolta anche il cessionario – è fondamentale conoscere i propri diritti e obblighi. Abbiamo visto che la normativa è stata affinata di recente per distinguere meglio le situazioni e calibrare sanzioni e responsabilità: da un lato c’è tolleranza zero verso le frodi, dall’altro si cerca di non punire eccessivamente chi commette errori o imprecisioni senza dolo.
Per il contribuente onesto che incappa in una contestazione, esistono strumenti difensivi efficaci: il ravvedimento operoso per rimediare subito, l’autotutela se l’ufficio ha sbagliato, la definizione agevolata (adesione/acquiescenza) per chiudere il debito con sanzioni ridotte, oppure il ricorso tributario per far valere le proprie ragioni davanti a un giudice terzo. La scelta va ponderata col supporto di un esperto, valutando la prova dei requisiti del bonus, i costi e benefici di un contenzioso, e anche le possibilità finanziarie (pagare subito o dilazionato).
In ogni caso, è consigliabile tenere sempre una documentazione accurata di tutti gli aspetti dei lavori agevolati (permessi, fatture, pagamenti, asseverazioni, visti, fotografie dei cantieri, ecc.), perché questo è il miglior scudo per difendersi in caso di controlli. La collaborazione con professionisti abilitati (tecnici e fiscali) sin dall’inizio consente di evitare passi falsi che potrebbero portare a dire “lo sconto non mi spettava”. Quando però ciò accade, conoscere il quadro normativo aggiornato al 2025 permette di affrontare l’accertamento con consapevolezza, limitando i danni economici e, possibilmente, trovando soluzioni transattive con il Fisco.
L’importante, dal punto di vista del debitore, è non sottovalutare l’accertamento: ignorarlo o reagire tardi può aggravare la situazione (more, aggiunta di aggio di riscossione, iscrizione di ipoteche o fermi). Al contrario, attivandosi prontamente con gli strumenti descritti, si può spesso risolvere la vicenda in modo sostenibile. Infine, l’auspicio è che la normativa fiscale futura mantenga quel giusto equilibrio tra il perseguire gli abusi e consentire ai contribuenti di correggersi senza eccessivi rigori quando c’è buona fede. In tal senso, le novità normative e le pronunce giurisprudenziali citate indicano una direzione: penalità severe per i furbi, ma anche nuove tutele per i contribuenti diligenti. Conoscere queste regole è la prima forma di difesa per chiunque si trovi ad affrontare un accertamento su sconti in fattura non spettanti.
Fonti (normative, prassi e giurisprudenza)
- D.L. 34/2020, art. 121 e ss. – Normativa istitutiva dello sconto in fattura e cessione dei crediti per bonus edilizi (Decreto Rilancio).
- D.L. 11/2023 convertito in L. 38/2023, art. 1 – Modifiche alla responsabilità solidale di fornitori e cessionari nelle cessioni di crediti edilizi.
- Circolare Agenzia Entrate 6 ottobre 2022, n. 33/E – Chiarimenti su responsabilità e procedure relative a opzioni di sconto/cessione; recupero delle detrazioni indebitamente fruite e limiti alla responsabilità solidale (dolo/colpa grave).
- Circolare Agenzia Entrate 7 settembre 2023, n. 27/E – Ulteriori chiarimenti post D.L. 11/2023 sui confini della responsabilità solidale e documentazione richiesta per l’esonero dei cessionari/fornitori.
- Cassazione SS.UU. n. 34419 dell’11/12/2023 – Sentenza di principio su crediti d’imposta non spettanti vs inesistenti: definizioni ai fini sanzionatori e termini di decadenza dell’accertamento.
- D.Lgs. 14/07/2024 n. 87 – Riforma del sistema sanzionatorio tributario (in attuazione legge delega n. 118/2022). Modifiche all’art. 13 D.Lgs. 471/97 e art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, con nuove definizioni di credito spettante/non spettante/inesistente e relative sanzioni.
- D.Lgs. 471/1997, art. 13 (previgente) – Disciplina sanzioni per indebita compensazione di crediti (30% non spettanti; 100-200% inesistenti).
- D.Lgs. 74/2000, art. 10-quater – Reato di indebita compensazione di crediti non spettanti/inesistenti oltre soglia di €50.000 (come modificato dal D.Lgs. 87/2024: pene 6 mesi-2 anni e 1,5-6 anni; clausola di non punibilità per obiettiva incertezza tecnica).
- Art. 122-bis D.L. 34/2020 – Meccanismo di sospensione preventiva delle comunicazioni di opzione per controllo (sospensione 30 gg per profili di rischio, annullamento se rischi confermati).
- Sentenza Corte Giust. Trib. I grado Pavia n. 434/2024 – Giudice di merito che ha riconosciuto la impugnabilità autonoma dell’atto di annullamento della comunicazione dell’opzione di sconto in fattura, qualificandolo come diniego di agevolazione impugnabile ex art. 19 D.Lgs. 546/92.
- Agenzia Entrate – Risposta a interpello n. 348/2023 (14 giugno 2023) – Caso di errore nella comunicazione dello sconto (codice fiscale errato); chiarimenti sulla natura di “credito non spettante” del credito da riversare e applicazione sanzione 30% ravvedibile, con possibilità di nuova comunicazione corretta.
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Conclusione
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