Studio Di Ortopedia Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi

Il tuo studio di ortopedia ha debiti e la situazione finanziaria sta diventando insostenibile?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da banche, fornitori, finanziarie o enti pubblici e temi che questo possa compromettere la continuità dell’attività e la tua reputazione professionale? In questi casi è fondamentale conoscere i tuoi diritti, agire legalmente per difenderti e utilizzare strumenti efficaci per proteggere il patrimonio, lo studio e il rapporto con i pazienti.

Quando uno studio di ortopedia può trovarsi con debiti
– Quando ha contratto mutui, leasing o finanziamenti per l’acquisto di apparecchiature, strumentazioni e arredi e non riesce più a pagare le rate
– Quando ha accumulato debiti verso fornitori di dispositivi medici, protesi e materiali specialistici
– Quando ha arretrati fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate, INPS o altri enti
– Quando calo della clientela, concorrenza o mancati pagamenti hanno ridotto la liquidità
– Quando spese impreviste, contenziosi legali o costi del personale hanno aggravato il bilancio

Cosa può accadere a uno studio di ortopedia con debiti
– Pignoramento dei conti correnti aziendali o personali, con blocco delle operazioni ordinarie
– Pignoramento presso terzi dei crediti verso pazienti, assicurazioni o enti convenzionati
– Iscrizione di ipoteche sugli immobili dello studio
– Revoca di affidamenti bancari e difficoltà ad accedere a nuova liquidità
– Perdita di fornitori e interruzione di forniture essenziali
– Nei casi più gravi, rischio di chiusura forzata o avvio di procedure concorsuali

Cosa può fare uno studio di ortopedia per difendersi dai debiti
– Far verificare da un avvocato la natura e la legittimità dei debiti, individuando eventuali importi prescritti o contestabili
– Per i debiti fiscali e contributivi, valutare rateizzazioni, rottamazioni o saldo e stralcio
– Attivare procedure di composizione negoziata della crisi o concordato preventivo per ristrutturare i debiti e mantenere l’attività
– Negoziare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per ridurre interessi e penali
– Proteggere immobili, attrezzature e beni aziendali con strumenti giuridici legittimi
– Bloccare o sospendere azioni esecutive quando ci sono i presupposti legali

Cosa può ottenere uno studio di ortopedia con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione significativa del debito complessivo tramite accordi o procedure giudiziarie
– La tutela degli immobili, delle attrezzature e dell’avviamento professionale
– La possibilità di ristrutturare i debiti senza interrompere l’attività
– Il recupero della stabilità economica e gestionale
– La salvaguardia della reputazione e del rapporto di fiducia con i pazienti

Attenzione: anche uno studio di ortopedia ben avviato può trovarsi in difficoltà finanziarie gravi. Tuttavia, esistono strumenti legali e strategie di difesa che possono evitare il tracollo e permettere di continuare a operare. Agire in tempi rapidi è essenziale per salvaguardare l’attività.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, tutela delle attività sanitarie private e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se il tuo studio di ortopedia ha debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.

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Introduzione

Gestire uno studio di ortopedia indebitato è una sfida complessa che richiede di conoscere gli strumenti legali disponibili per difendersi dai creditori e ristrutturare il debito. Un ambulatorio medico può accumulare debiti di vario tipo – ad esempio verso fornitori di dispositivi sanitari, banche, Fisco e dipendenti – e il titolare (spesso un medico ortopedico) deve affrontare il rischio di azioni esecutive come pignoramenti o sequestri. Fortunatamente, l’ordinamento italiano offre procedure avanzate per affrontare la crisi d’impresa o da sovraindebitamento, mirate a favorire la continuità dell’attività sanitaria quando possibile e a garantire al professionista una “seconda chance” senza restare schiacciato dai debiti residui.

In questa guida aggiornata a luglio 2025 esamineremo tutte le opzioni di difesa dal punto di vista del debitore, con un taglio giuridico ma divulgativo adatto sia a professionisti legali che a imprenditori e privati interessati. Illustreremo le diverse tipologie di debito che possono gravare su uno studio ortopedico e come trattarle, il quadro normativo italiano attuale (in particolare il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII – e le più recenti riforme), e le strategie sia stragiudiziali che giudiziali per gestire e ridurre i debiti. Approfondiremo strumenti come le procedure di sovraindebitamento (piani di ristrutturazione del debito, concordato minore, liquidazione controllata ed esdebitazione) e le procedure concorsuali tradizionali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale ex fallimento) evidenziando le novità introdotte fino al 2024. Particolare attenzione sarà dedicata alle forme di tutela durante le azioni esecutive (pignoramenti di beni mobili, immobili, conti correnti, stipendi) e alle possibili opposizioni, nonché ai limiti di pignorabilità di determinati beni essenziali per l’attività medica.

Nel corso della trattazione citeremo le sentenze più recenti e autorevoli in materia – dalla Corte di Cassazione alle Corti europee – per corroborare i concetti chiave e mostrare come la giurisprudenza applichi concretamente queste norme. Saranno incluse tabelle riepilogative per confrontare requisiti e effetti delle diverse procedure e casi pratici simulati riguardanti uno studio ortopedico indebitato, così da tradurre la teoria giuridica in esempi realistici. In chiusura, una sezione di Domande e Risposte (FAQ) affronterà i dubbi più frequenti (ad esempio: “Possono pignorarmi le attrezzature mediche?”, “Come funziona l’esdebitazione se non ho nulla da offrire ai creditori?” etc.), fornendo risposte puntuali basate sulla normativa vigente.

L’obiettivo finale è fornire al titolare di uno studio medico-professionale una guida completa e avanzata su cosa fare per difendersi dai debiti, mettendolo in grado di dialogare efficacemente con il proprio legale o consulente e di intraprendere per tempo le azioni più opportune per salvare la propria attività e ritrovare la serenità economica.

Tipologie di debito di uno studio ortopedico e relative criticità

Un studio di ortopedia in difficoltà finanziaria può presentare un ventaglio di debiti eterogenei. Comprendere la natura di ogni tipo di debito è fondamentale perché le strategie difensive e le tutele legali variano a seconda del creditore coinvolto e della categoria del credito. Ecco le principali tipologie di debito che uno studio medico-professionale potrebbe trovarsi ad affrontare, con le rispettive criticità:

  • Debiti verso il Fisco (Erario) e enti previdenziali: includono imposte non versate (IRPEF, IVA se dovuta, IRAP) e contributi previdenziali o assistenziali (ad es. contributi ENPAM per i medici, contributi INPS per dipendenti). Questi debiti sono spesso assistiti da privilegi sui beni del debitore e affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) per la riscossione coattiva. La caratteristica principale è che il Fisco ha poteri speciali: può iscrivere ipoteca sugli immobili per crediti sopra determinate soglie, può attivare fermi amministrativi su veicoli e procedere a esecuzioni forzate anche senza bisogno di un giudizio (mediante la cartella esattoriale e il successivo atto di pignoramento). Va ricordato però che – in base alla normativa vigente – l’Agente della Riscossione non può pignorare la “prima casa” del debitore se essa è l’unico immobile di proprietà, non di lusso, e vi risiede anagraficamente il debitore. La Cassazione con ordinanza n. 32759/2024 ha infatti ribadito il principio dell’impignorabilità della prima casa da parte del Fisco (anche per procedure già pendenti all’entrata in vigore della legge), dichiarando improcedibile l’esecuzione e disponendo la cancellazione del pignoramento in tali casi. Ciò offre una tutela importante al professionista che abbia la propria abitazione come unico bene, ma non si applica ai creditori privati (come banche o fornitori). I debiti tributari presentano anche profili penali se superano certe soglie: ad esempio, l’omesso versamento di IVA oltre 250.000 € annui o di ritenute oltre 150.000 € costituisce reato. Dunque, il debitore deve affrontare questi crediti con tempestività, valutando strumenti come la rateizzazione delle cartelle (fino a 72 o 120 rate in casi di temporanea difficoltà) o la definizione agevolata (le cosiddette rottamazioni delle cartelle esattoriali previste da provvedimenti temporanei). In sede concorsuale (procedura di crisi), i debiti fiscali e contributivi possono essere inclusi in piani di ristrutturazione solo rispettando regole rigorose di trattamento (c.d. transazione fiscale), come vedremo.
  • Debiti bancari e finanziari: riguardano mutui accesi per acquistare l’immobile dello studio, finanziamenti per macchinari medici costosi, fidi di cassa per la liquidità, leasing su attrezzature, ecc. Spesso questi debiti sono garantiti da ipoteca (es. su immobili dello studio o sull’abitazione) o da fideiussioni personali del medico e dei soci. In caso di insolvenza, la banca ha facoltà di avviare rapidamente procedure esecutive: se c’è un’ipoteca su un immobile, può attivare il pignoramento immobiliare e la successiva vendita all’asta; se ci sono garanzie personali, può escutere i garanti sul loro patrimonio. Un particolare problema in ambito professionale è che il fallimento (o la liquidazione concorsuale) di una società non libera automaticamente il fideiussore: il professionista che abbia garantito un finanziamento della società potrà essere escusso dalla banca per l’intero importo residuo, salvo poi eventualmente insinuarsi al passivo come creditore di regresso. Le banche tendono però a preferire soluzioni negoziali prima di procedere forzosamente, soprattutto se intravedono la possibilità di recuperare più credito tramite un piano di ristrutturazione concordato invece che tramite aste giudiziarie lunghe e costose. È importante sapere che nell’ambito di procedure concorsuali o di sovraindebitamento, i crediti bancari ipotecnari vengono trattati come crediti privilegiati da soddisfare sui beni dati in garanzia, ma con possibilità di accordi ad hoc: ad esempio, la nuova normativa consente, in certi casi, la prosecuzione del mutuo ipotecario sulla prima casa del debitore in concordato minore, anziché liquidarla, purché ciò non leda gli altri creditori (vedremo oltre questa importante novità introdotta nel 2024).
  • Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: uno studio medico può aver dilazionato pagamenti ai fornitori di protesi, materiali di consumo sanitario, servizi (utenze, consulenze), oppure trovarsi debitore di canoni arretrati al proprietario dei locali (locatore). Questi debiti sono chirografari (non assistiti da garanzie reali o privilegio generale) e, se insoluti, espongono il debitore a decreti ingiuntivi e successivi pignoramenti su qualsiasi bene disponibile. Un aspetto da considerare: i locatori di immobili godono di una prededuzione sui frutti dei beni pignorati che si trovano nell’immobile affittato e di un privilegio mobiliare legale sui beni mobili presenti nei locali affittati (ad esempio, i macchinari nello studio) per i canoni non pagati degli ultimi due anni (art. 2764 c.c.). Pertanto, il proprietario dei locali può avere un vantaggio rispetto ad altri creditori nel soddisfarsi su attrezzature dello studio in caso di pignoramento. I fornitori non privilegiati, invece, concorreranno in sede concorsuale come creditori chirografari e spesso sono disponibili a trattare accordi a saldo e stralcio (accettando il pagamento parziale e chiudendo la posizione) se comprendono che l’alternativa è una procedura concorsuale con recupero incerto. Nelle procedure di concordato o accordi di ristrutturazione, i chirografari possono essere suddivisi in classi e soddisfatti in percentuale: starà al debitore formulare una proposta equa e credibile, bilanciando i sacrifici richiesti.
  • Debiti verso il personale e collaboratori: se lo studio ha dipendenti (es. infermieri, segretarie) o collaboratori continuativi, possono esservi retribuzioni non pagate, tredicesime arretrate, trattamento di fine rapporto (TFR) e contributi previdenziali omessi. Il diritto del lavoro e fallimentare accorda ai dipendenti una tutela forte: i crediti di lavoro godono di privilegio generale mobiliare sui beni del datore di lavoro, in parte superprivilegio (fino a un certo importo e periodo, ad es. gli ultimi tre mesi di retribuzione godono di privilegio di grado elevato, art. 2751 bis c.c.). In caso di insolvenza conclamata con apertura di liquidazione concorsuale, i dipendenti possono accedere al Fondo di Garanzia INPS che anticipa TFR e ultime mensilità, surrogandosi poi nelle pretese verso il datore. Tuttavia, finché non si attiva una procedura, i lavoratori possono agire in via esecutiva con pignoramenti (anche presso terzi, ad esempio pignorando gli incassi dello studio se identificabili, o i conti correnti). Per difendersi, il professionista può cercare un accordo transattivo (dilazionare i pagamenti dovuti ai dipendenti, magari con l’assistenza dei sindacati) oppure includere i dipendenti tra i creditori da soddisfare con precedenza in un eventuale piano di concordato. Attenzione: il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sui dipendenti (ad esempio i contributi INPS trattenuti in busta paga) per oltre una certa soglia (attualmente intorno a 10.000 €) configura reato; inoltre l’omesso versamento di stipendi può causare dimissioni per giusta causa con ulteriori costi. Quindi, i debiti verso il personale vanno gestiti con priorità sia per motivi etici che giuridici.
  • Debiti da responsabilità professionale e risarcimenti: un aspetto peculiare per un ortopedico è il rischio di cause per responsabilità medica. Se lo studio (o il medico in proprio) è condannato a risarcire un paziente per malpractice, si genera un debito da risarcimento danni (spesso ingente). Di solito questi debiti rientrano tra i chirografari (salvo eventuali privileggi processuali per spese legali) e, se assicurati, saranno pagati dall’assicurazione professionale nei limiti del massimale. Ma se il risarcimento eccede le coperture o l’assicurazione non opera (ad es. in caso di colpa grave esclusa), il medico risponde coi propri beni personali. Debiti da risarcimento per danno alla persona non sono esclusi dall’esdebitazione: la legge italiana non prevede una non-dischargeability generale dei debiti aquiliani (contrariamente ad alcuni ordinamenti esteri), per cui anche tali debiti possono essere falcidiati in un concordato o essere oggetto di esdebitazione finale, purché il comportamento non sia stato doloso. Infatti, se il debito deriva da dolo del debitore, la legge esclude il beneficio dell’esdebitazione per ragioni di ordine pubblico (non sarebbe “meritevole” un debitore che ha causato scientemente un danno). Nella pratica, la meritevolezza del debitore verrà valutata dal giudice: ad esempio, se si tratta di colpa professionale non intenzionale e il medico ha cooperato (magari cedendo volontariamente parte del patrimonio), potrà comunque aspirare a liberarsi del debito residuo tramite le procedure concorsuali. Va menzionato che una condanna penale a carico del professionista (ad es. per lesioni colpose gravi in ambito sanitario) può complicare la sua posizione nelle procedure: non tanto sul versante strettamente civilistico del debito, quanto per eventuali sanzioni accessorie o restrizioni (ad es. sospensione dall’albo) che indirettamente influiscono sulla possibilità di proseguire l’attività lavorativa e generare reddito.

Come si vede, non tutti i debiti sono uguali. Alcuni creditori (Stato, dipendenti) hanno armi più affilate di altri, e il grado di privilegio incide su come il debito verrà trattato nelle varie soluzioni (pagato integralmente, parzialmente o postergato). In tabella 1 riassumiamo le principali categorie di debito rilevanti per uno studio professionale e le rispettive caratteristiche:

Tabella 1 – Tipologie di debito e caratteristiche principali

Categoria di debitoEsempiCaratteristiche e rischi
Tributari e contributiviIrpef, Iva, Irap, contributi INPS/ENPAMPrivilegiati; riscossione tramite cartelle esattoriali; Agente pubblico (AER) con divieti su prima casa; possibili ipoteche, fermi; rischio sanzioni e reati per omesso versamento.
Bancari e finanziariMutuo ipotecario, leasing, fido bancarioSpesso garantiti (ipoteche, pegni, fideiussioni); banche privilegiate sui beni in garanzia; possibili pignoramenti immobiliari rapidi; negoziabilità maggiore (ristrutturazioni, moratorie) anche in concordato.
Fornitori e commerciali (chirografari)Fornitori materiali sanitari, utenze, affitto localiNon garantiti (tranne privilegio legale locatore su beni nello studio); azioni esecutive ordinarie (decreto ingiuntivo→pignoramento); in concordato subiscono falcidia; spesso disponibili a saldo e stralcio.
Personale dipendenteStipendi arretrati, TFR, ferie non pagateSuper-privilegio e privilegio generale sui mobili del debitore (tutele altissime); Fondo di garanzia INPS attivabile in concorso; rischio decreti ingiuntivi immediati e pignoramento conti; omesso versamento contributi può essere reato.
Risarcimenti da responsabilitàDanni a pazienti (malpractice), danni a terziChirografari (salvo dolo); importi potenzialmente elevati; se assicurati paga l’assicurazione (entro massimale); se eccedono, sono debiti personali; possibili transazioni in appello; esdebitabili se debitore meritevole (non dolo).
Altre passivitàUtenze, multe, sanzioni amministrativeLe utenze insolute (luce, telefono) di regola chirografarie; le multe e sanzioni pecuniarie non sono esdebitabili (ad es. sanzioni penali o amministrative rimangono dovute anche post-concorsuale); possibile rateazione amministrativa.

Nota: Le sanzioni pecuniarie per violazioni (tributarie o amministrative) generalmente non rientrano nelle procedure di esdebitazione, in quanto considerate di carattere punitivo: il Codice della crisi (riprendendo il divieto previgente) esclude dall’esdebitazione “le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario” e “l’obbligo di mantenimento e alimentare” (art. 280 comma 2 CCII). Il debitore dovrà dunque pagarle, anche se può ottenerne la dilazione o riduzione per via amministrativa (si pensi alle “definizioni agevolate” delle sanzioni tributarie). In compenso, tutti gli altri debiti – fiscali inclusi – sono oggi esdebitabili: la Corte di Giustizia UE e la Cassazione hanno chiarito che anche i debiti IVA e tributari possono essere cancellati se il legislatore lo consente, e il nuovo CCII va in questa direzione, subordinando il beneficio unicamente alla buona fede del debitore.

Quadro normativo italiano aggiornato al 2025

Il contesto normativo in cui si collocano le soluzioni per uno studio professionale indebitato è notevolmente cambiato negli ultimi anni. Il fulcro è rappresentato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), introdotto con D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore in via definitiva dal 15 luglio 2022, che ha riorganizzato e innovato l’intera materia concorsuale. Questo Codice ha sostituito sia la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – applicabile agli imprenditori commerciali – sia la Legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) – che dal 2012 consentiva procedure concorsuali anche per debitori “civili” non fallibili (consumatori, professionisti, piccoli imprenditori). Nel CCII troviamo dunque, in un testo unificato, sia le procedure tradizionali di regolazione della crisi d’impresa (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, accordi di ristrutturazione, ecc.) sia le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento per i soggetti non fallibili (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, ecc.).

La normativa è stata poi oggetto di successivi interventi correttivi e integrativi: in particolare, il D.Lgs. 83/2022 ha adeguato il Codice alla direttiva UE 2019/1023 (cd. direttiva insolvency), mentre il più recente D.Lgs. 136/2024 (pubblicato in G.U. il 27 settembre 2024) ha apportato ulteriori modifiche puntuali, in vigore dal marzo 2025. Quest’ultimo – noto come “terzo Decreto correttivo” – ha toccato vari aspetti importanti per i debitori, tra cui: le soglie di segnalazione della crisi, la composizione negoziata (introdotta nel 2021), la disciplina della transazione fiscale, il concordato preventivo e semplificato, la liquidazione giudiziale e l’esdebitazione. Dal punto di vista di un professionista indebitato, le novità più significative del correttivo 2024 riguardano le procedure da sovraindebitamento: è stata estesa da uno a due anni la moratoria accordabile per il pagamento dei creditori privilegiati nei piani di ristrutturazione dei debiti; è stato introdotto il diritto di reclamo (appello) contro i provvedimenti del giudice nelle procedure di sovraindebitamento; ed è stata inserita una norma che consente di mantenere il mutuo sulla prima casa nel concordato minore (art. 75, co. 2-bis CCII) se il debitore persona fisica è in regola o si mette in regola col pagamento delle rate scadute. Quest’ultima innovazione, inserita dall’art. 20 D.Lgs.136/2024, permette al professionista di non perdere l’abitazione principale ipotecata: in sostanza, se alla data di domanda di concordato il debitore è adempiente (o paga subito le rate arretrate autorizzato dal giudice), può prevedere di continuare a pagare il mutuo alle scadenze originarie, mantenendo la casa fuori dalla liquidazione, a condizione che ciò non pregiudichi gli altri creditori (l’OCC deve attestare che, vendendo la casa sul mercato, il creditore ipotecario sarebbe comunque soddisfatto interamente, e che lasciare il mutuo attivo non danneggia gli altri creditori). Si tratta di un bilanciamento rilevante tra tutela del debitore (conserva la casa e la sua abitabilità) e garanzie per i creditori (la banca ipotecaria ottiene comunque il rispetto del piano di ammortamento, e gli altri non avrebbero ricavato nulla di più dalla vendita forzata dell’immobile gravato da ipoteca).

Sul fronte della esdebitazione (la liberazione dai debiti residui), le modifiche del 2024 hanno recepito la tendenza giurisprudenziale più favorevole al debitore onesto: è stato eliminato ogni riferimento alla necessità di un pagamento parziale dei creditori quale condizione per concedere l’esdebitazione. In altre parole, oggi conta solo la meritevolezza e collaborazione del debitore, non la percentuale di debito soddisfatta; anche chi ha pagato i creditori concorsuali in misura minima (es. pochi punti percentuali) può accedere al beneficio, come confermato dalla Cassazione (sent. n. 26303/2024) che ha ritenuto non “irrisoria” una soddisfazione del 4% e ha concesso l’esdebitazione a un imprenditore fallito che aveva adempiuto solo in tale misura. Inoltre, il CCII ora esplicita il diritto del debitore di ottenere l’esdebitazione entro 3 anni dall’apertura della liquidazione, anche se la procedura non è ancora chiusa. Questo attua il principio europeo per cui un debitore sovraindebitato meritevole deve poter ripartire entro un periodo massimo (tre anni) dalla messa a disposizione del suo attivo, evitando di rimanere troppo a lungo “morto civilmente”. Per i professionisti, ciò significa che avviare tempestivamente la procedura di liquidazione controllata e collaborare pienamente può portare a essere liberi dai debiti già tre anni dopo, invece di attendere magari dieci anni la chiusura formale della procedura.

Altre norme da menzionare brevemente includono il Codice di procedura civile per quanto riguarda le azioni esecutive individuali: le regole sul pignoramento, sulle opposizioni, sui beni impignorabili ecc. (artt. 474 c.p.c. e ss. e in particolare 514–515 c.p.c. per i limiti di pignorabilità, art. 543 c.p.c. per pignoramenti presso terzi, ecc.). È importante sapere che molte di queste norme processuali sono state modificate dalla riforma del processo civile (L. 206/2021, c.d. riforma Cartabia, in vigore dal giugno 2022 in parte e dal 2023 in altra parte). Ad esempio, oggi il pignoramento immobiliare è soggetto a termini più stringenti (se la vendita non avviene entro certi tempi, l’esecuzione si estingue), e sono state introdotte semplificazioni nelle opposizioni. Questi aspetti pratici li tratteremo nella sezione dedicata alle esecuzioni, ma è bene contestualizzare che il quadro normativo di riferimento non è statico: restare aggiornati al 2025 significa tener conto sia delle leggi sostanziali fallimentari (CCII e correttivi) sia delle leggi processuali di tutela.

Da ultimo, vale la pena citare i riferimenti normativi fondamentali per le procedure che vedremo nel dettaglio più avanti, con indicazione di dove sono disciplinate nel CCII:

  • Concordato preventivo: artt. 84–120 CCII (procedura per imprenditori soggetti a liquidazione giudiziale, con voto dei creditori in adunanza).
  • Liquidazione giudiziale (ex fallimento): artt. 121–270 CCII (dichiarazione di insolvenza, nomina curatore, ecc.).
  • Accordi di ristrutturazione: artt. 57–64 CCII (accordo omologato con almeno 60% dei crediti, con eventuale cram-down sui dissenzienti se certe condizioni).
  • Piani attestati di risanamento: art. 56 CCII (accordo stragiudiziale ma “pubblicato” e attestato per esenzione revocatoria).
  • Composizione negoziata: D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021, ora inglobato nel CCII agli artt. 12-25 (procedura volontaria e riservata con esperto, per tentare un accordo fuori dalle procedure formali).
  • Strumenti di allerta: artt. 3–11 CCII (segnalazioni organi di controllo e creditori pubblici; attualmente operanti in forma attenuata dopo le modifiche, con centralità della composizione negoziata).
  • Procedure da sovraindebitamento (per professionisti e piccoli imprenditori):
    • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: artt. 67–73 CCII (per persone fisiche non imprenditori, i “consumatori”).
    • Concordato minore: artt. 74–88 CCII (per imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up e altri debitori non maggiori).
    • Liquidazione controllata del sovraindebitato: artt. 268–277 CCII (liquidazione giudiziale “minore”).
    • Esdebitazione del sovraindebitato incapiente: art. 283 CCII (procedura speciale di esdebitazione “a zero”, senza attivo, per il debitore persona fisica meritevole).

Questo quadro normativo è la base entro cui muoversi. Nei prossimi paragrafi passeremo all’analisi operativa degli strumenti di difesa, partendo dalle soluzioni stragiudiziali (che non richiedono l’intervento diretto del tribunale) per arrivare poi alle soluzioni concorsuali giudiziali, distinguendo il caso di uno studio ortopedico non soggetto a fallimento (tipicamente il libero professionista o la piccola società sotto soglia) dal caso – meno frequente ma possibile – di uno studio strutturato in forma societaria fallibile.

Soluzioni stragiudiziali: negoziare e prevenire la crisi

Prima di addentrarci nelle procedure concorsuali vere e proprie, è importante valutare le soluzioni stragiudiziali, ossia quelle che si svolgono fuori dalle aule di tribunale e mirano a evitare che la situazione degeneri in insolvenza conclamata. Dal punto di vista del debitore (il titolare dello studio), queste soluzioni hanno il vantaggio di essere più flessibili, riservate e rapide. Tuttavia, richiedono la cooperazione dei creditori e un’attenta pianificazione. Ecco gli strumenti principali:

  • Autodiagnosi e riorganizzazione interna: sembra banale, ma la prima difesa è intervenire tempestivamente quando si profilano difficoltà finanziarie. Ciò significa fare un check-up dei conti dello studio: rivedere costi, tagliare spese non essenziali, valutare se alienare beni non strategici (es. una seconda macchina, apparecchiature inutilizzate) per fare cassa, negoziare con fornitori nuovi termini di pagamento. Spesso uno studio professionale può ritrovare equilibrio riducendo l’organico o esternalizzando servizi, oppure cercando soci finanziatori. La legge 155/2017 (che ha delegato il CCII) enfatizzava l’obbligo per tutti gli imprenditori – inclusi quelli piccoli – di dotarsi di “adeguati assetti organizzativi” per rilevare precocemente la crisi (art. 3 CCII). In uno studio medico questo si traduce in tenere una contabilità ordinata e monitorare indicatori come indebitamento e flussi di cassa. Un buon commercialista può avvisare il professionista quando i debiti iniziano a superare certi parametri, così da agire subito. Ricordiamo infatti che la responsabilità dell’imprenditore (o professionista) include il dovere di non aggravare indebitamente la crisi: in ambito societario, gli amministratori che ritardano colpevolmente il ricorso a una procedura concorsuale possono essere chiamati a rispondere dei danni verso creditori (ad esempio per continuazione abusiva dell’attività). Dunque, anche per il professionista individuale, agire per tempo è una forma di difesa – anche legale – perché evita comportamenti che un domani potrebbero far dubitare della sua buona fede.
  • Negoziazione diretta con i creditori: se il sovraindebitamento non è ancora fuori controllo, spesso la via più efficace è parlare con i creditori. Ciò può avvenire informalmente: il medico (o il suo legale) contatta la banca, il fornitore o l’Agenzia Entrate Riscossione e prospetta un accordo. Ad esempio:
    • Con la banca si può chiedere una moratoria sul mutuo (sospensione temporanea delle rate) o una rischedulazione del debito (allungamento del piano di ammortamento per ridurre l’importo delle singole rate). Dal 2019 esiste in Italia un accordo ABI per la moratoria PMI esteso anche ai professionisti, e durante la pandemia COVID queste misure sono state potenziate. In aggiunta, se lo studio è solo momentaneamente illiquido ma solvibile sul lungo termine, la banca potrebbe accettare un periodo di soli interessi (interest only) rinviando la quota capitale.
    • Con i fornitori, soprattutto se sono interessati a mantenere il cliente, si può concordare un piano di rientro dilazionato o anche una riduzione del credito in cambio di pagamento immediato di una percentuale (pratica del saldo e stralcio). Molti fornitori commerciali, sapendo che un concordato o un fallimento li farebbe pagare magari al 20-30%, preferiscono prendere ad esempio il 50% subito e chiudere la partita.
    • Con l’Agenzia Entrate-Riscossione (per debiti fiscali) esistono procedure formalizzate di rateazione amministrativa: fino a €120.000 si può ottenere una dilazione automatica in 72 rate mensili, oltre tale importo occorre provare la temporanea difficoltà (crisi di liquidità) e si può arrivare fino a 120 rate (10 anni). Inoltre, periodicamente, le leggi di bilancio propongono sanatorie/rottamazioni in cui pagando il dovuto si cancellano sanzioni e interessi: ad esempio, la “rottamazione-quater” del 2023 ha permesso di definire i carichi affidati dal 2000 al 2017 pagando solo l’imposta e una quota ridotta di interessi. Sebbene queste misure siano una tantum, è utile monitorare la normativa fiscale perché potrebbe presentare opportunità di alleggerimento del debito erariale.
    Queste negoziazioni dirette hanno il pregio di evitare le formalità e la pubblicità (nessuno verrà a sapere che stiamo rinegoziando il debito, a differenza di un concordato che iscrive la procedura nel registro imprese). Tuttavia, non sempre funzionano: può bastare un creditore riottoso perché il castello crolli. Inoltre, anche se tutti i creditori fossero collaborativi, potrebbe emergere l’esigenza di vincolare anche le minoranze dissenzienti e ciò solo una procedura giudiziale può farlo (es: se l’80% dei creditori accetta uno stralcio ma il 20% no, un concordato omologato dal tribunale può imporlo anche a questi, mentre un accordo stragiudiziale rimane vincolante solo per chi aderisce).
  • Piani attestati di risanamento (ex art. 56 CCII): questo strumento è un ibrido tra il puro accordo privato e la procedura concorsuale. Consiste nel predisporre un piano di risanamento aziendale, con l’ausilio di professionisti (es. un financial advisor e un attestatore indipendente iscritto all’albo) che verifichino la fattibilità economica del piano e attestino che con esso si può riequilibrare la posizione debitoria. Il piano, con l’attestazione, viene pubblicato nel registro delle imprese. Il vantaggio principale del piano attestato è che le operazioni compiute in sua esecuzione godono di protezione dalla revocatoria fallimentare (art. 56 comma 3 CCII): significa che, se malauguratamente il risanamento fallisce e l’impresa viene dichiarata insolvente, i pagamenti e le garanzie concessi a creditori in attuazione del piano non potranno essere annullati dal curatore, purché il piano fosse idoneo e veritiero. Ciò incentiva i creditori ad aderire. Ad esempio, se lo studio ortopedico elabora con un attestatore un piano in cui la banca concede nuova finanza o rinegozia il debito in cambio di una garanzia sugli strumenti medicali, quella garanzia non sarà revocabile in seguito. Il piano attestato non richiede percentuali di adesione definite per legge: può bastare convincere i principali creditori. Tuttavia, non è vincolante per chi non partecipa: di nuovo, la “minoranza rumorosa” può agire per conto proprio. Per un piccolo studio professionale, il piano attestato è forse uno strumento troppo oneroso (serve un attestatore indipendente, costi di consulenza elevati) a meno che il volume d’affari e debiti in gioco non sia significativo. È più usato da PMI strutturate.
  • Composizione negoziata della crisi: si tratta di una procedura stragiudiziale assistita introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora parte integrante del CCII. È accessibile a qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, senza limiti di dimensione, e probabilmente anche ai professionisti iscritti a ordini (la norma parla di “imprenditore” ma la prassi ha visto ammettere anche piccoli imprenditori non societari; per i professionisti c’è qualche incertezza giuridica ma diversi Ordini hanno creato Organismi di Composizione della Crisi che assistono anche professionisti). Funziona così: il debitore in difficoltà chiede al segretario della Camera di Commercio la nomina di un esperto indipendente. L’esperto (di solito un commercialista o avvocato esperto in crisi) esamina la situazione e aiuta il debitore a predisporre un piano di ristrutturazione da proporre ai creditori, facilitando le trattative. La procedura è riservata (non viene pubblicata, salvo si chiedano misure protettive) e volontaria. Durante la composizione negoziata, il debitore rimane in carica nella gestione ma deve seguire le indicazioni dell’esperto per non aggravare il dissesto. Può richiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee: ad esempio, una sospensione di 120 giorni delle azioni esecutive dei creditori mentre si tratta (ottenibile con un decreto se sussistono i presupposti). Questo è un enorme vantaggio: è un modo di “congelare” i pignoramenti per guadagnare tempo e negoziare, senza però entrare subito in una procedura concorsuale formale. Nel 2024 il legislatore ha affinato questo istituto, ad esempio chiarendo che anche nell’ambito della composizione negoziata si possono fare accordi fiscali transattivi (dunque includere il Fisco nelle trattative, anche con falcidia di parte del credito). Se la composizione va a buon fine, può sfociare in un contratto di ristrutturazione (privato) o in uno degli strumenti del CCII (es. concordato, accordo di ristrutturazione omologato). Se non va a buon fine, l’esperto chiude la relazione. Per evitare che la procedura venga usata in malafede solo per prendere tempo, il legislatore ha previsto che, se l’esperto constata l’assenza di soluzioni e l’aggravamento dello stato, lo segnali al debitore. In ogni caso, entro la fine, il debitore può sempre ripiegare su un concordato semplificato per la liquidazione (uno strumento previsto dall’art. 25-sexies CCII, di fatto un concordato senza voto dei creditori per vendere i beni residui). Nel contesto di uno studio ortopedico, la composizione negoziata potrebbe essere utile se la crisi è soprattutto finanziaria ma l’attività è ancora valida (ad esempio, forte debito accumulato per l’acquisto di macchinari, ma lo studio è profittevole al netto di quello): in tal caso con l’esperto si potrebbe convincere la banca a convertire parte del debito in un nuovo strumento, o trovare un investitore, ecc., salvando la continuità dello studio.

In sintesi, le soluzioni stragiudiziali puntano a evitare la “formale” insolvenza attraverso accordi. Il loro successo dipende dalla credibilità del piano (da qui l’importanza di farsi assistere da professionisti competenti nel redigere i piani) e dalla fiducia dei creditori. Quando queste misure non bastano o falliscono, occorre considerare le procedure concorsuali giudiziali, che esaminiamo nelle sezioni seguenti, tenendo presente la distinzione tra debitori fallibili e non fallibili.

Procedure concorsuali per studi ortopedici fallibili (società commerciali)

Cominciamo con l’ipotesi meno frequente: quella in cui lo studio di ortopedia sia organizzato in una forma soggetta alle ordinarie procedure concorsuali d’impresa. In genere, i professionisti (medici, avvocati, ecc.) operano come ditte individuali o studi associati e non sono considerati imprenditori commerciali, quindi storicamente non falliscono (erano coperti dalla L.3/2012 sul sovraindebitamento). Tuttavia, potrebbero esservi casi particolari: ad esempio, una clinica ortopedica privata gestita tramite una S.r.l. o S.p.A. (che evidentemente è fallibile), oppure un medico che, oltre all’attività professionale, gestisce una vendita di protesi in forma di impresa commerciale. Inoltre, con la riforma, contano i parametri dimensionali: anche un imprenditore commerciale in piccolo che stia sotto certe soglie di attivo, ricavi e debiti può essere considerato “minore” e rientrare nel sovraindebitamento (come vedremo nel paragrafo successivo). Ma ipotizziamo qui il caso di uno studio strutturato come società di capitali o cooperativa di medici, o comunque soggetto a liquidazione giudiziale: quali strumenti ha a disposizione? I principali sono:

  • Concordato preventivo: è la procedura principe per evitare la liquidazione giudiziale (ex fallimento). Consiste in una proposta che l’impresa insolvente fa ai propri creditori di regolamentare i debiti in maniera concordata, che può prevedere una continuità aziendale (proseguimento dell’attività, magari ristrutturando l’impresa, vendendo rami d’azienda, ecc.) oppure la liquidazione del patrimonio (vendita di beni con cessazione attività, ma con distribuzione concordata ai creditori). Il concordato preventivo è regolato dagli artt. 84–118 CCII. Per presentarlo occorre essere in stato di crisi o insolvenza imminente/attuale. Lo studio ortopedico societario potrebbe, ad esempio, proporre un concordato in continuità dove mantiene aperta la clinica, paga integralmente i debiti privilegiati (o secondo transazione per quelli fiscali) nell’arco di tot anni e offre ai chirografari una certa percentuale di soddisfazione, garantita dai flussi di cassa futuri e magari dalla cessione di un immobile non più utile. I creditori votano la proposta in adunanza (serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto) e il tribunale omologa se la maggioranza è raggiunta e se il piano è fattibile e conveniente rispetto alla liquidazione. Il concordato preventivo è quindi partecipativo: tutti (o quasi) i creditori devono aderire, salvo possibilità di cram-down fiscale per l’Erario e gli enti previdenziali con alcune condizioni. Una differenza da notare rispetto al concordato minore (che vedremo dopo) è che nel concordato preventivo anche i creditori privilegiati votano se subiscono una qualche falcidia o dilazione oltre i 2 anni. Nel concordato minore, invece, i privilegiati sono “fuori dal voto” e devono essere trattati secondo legge (full payment salvo eccezioni con loro assenso). Inoltre, il concordato preventivo è più complesso: prevede un commissario giudiziale, un’udienza pubblica, possibilità di proposte concorrenti dei creditori, ecc. È pensato per realtà di dimensioni medio-grandi. Nel contesto di uno studio medico, quindi, si ricorrerà al concordato preventivo solo se la struttura è effettivamente assimilabile a una piccola impresa commerciale sopra soglia, con diversi creditori e la necessità di coinvolgerli formalmente.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR): disciplinati dagli artt. 57–64 CCII, sono accordi omologati dal tribunale ma di natura contrattuale. Il debitore deve raggiungere l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (per gli accordi ordinari; percentuale ridotta al 30% per gli accordi “agevolati” introdotti dalla riforma 2022 in certi casi, ma con pagamento integrale dei non aderenti). Una volta firmato l’accordo coi principali creditori, lo sottopone al tribunale per l’omologazione: se tutto è regolare e i creditori estranei sono comunque pagati per intero, il tribunale omologa e l’accordo diventa vincolante per chi ha firmato (non per gli estranei, che però non subiscono decurtazioni dei loro crediti). In sostanza è una via di mezzo tra concordato (che coinvolge tutti anche i dissenzienti) e il piano attestato privato (che coinvolge solo chi vuole). Nel nostro scenario, un accordo di ristrutturazione potrebbe funzionare se lo studio ha pochi grandi creditori (es. due banche e il fisco) disposti a sottoscrivere l’intesa. Ad esempio, le banche accettano di rinunciare al 20% del credito e di spalmare il resto su 5 anni, il fisco accetta una transazione fiscale con pagamento del 50% del debito IVA e integrale del debito previdenziale; gli altri piccoli creditori verranno pagati a parte per intero. Un tale accordo, se formalizzato e omologato, mette lo studio al riparo da azioni esecutive dei partecipanti e consente di proseguire. Gli ADR sono stati anch’essi oggetto di miglioramenti: dal 2022 esistono gli accordi ad efficacia estesa (possibile estendere ai dissenzienti di una certa categoria l’accordo se si raggiunge il 75% in quella categoria, art. 61 CCII) e, come detto, gli accordi agevolati col 30% di consenso ma pagamento integrale degli altri. Inoltre, durante le trattative per un ADR, il debitore può chiedere misure cautelari di sospensione delle azioni esecutive simili a quelle del concordato (la cosiddetta convenzione di moratoria con i creditori che rappresentano il 75% di una classe può sospendere per 90 giorni le azioni anche di dissenzienti, ex art. 62). In pratica però, per un piccolo debitore non fallibile, l’ADR era raro con la L.3/2012 e rimane poco comune anche ora, perché se uno è non fallibile tanto vale usare il concordato minore. Dunque, questa opzione è più pertinente ad aziende di dimensioni rilevanti.
  • Liquidazione giudiziale: è la procedura che ha preso il posto del fallimento (artt. 121–270 CCII). Se lo studio societario è insolvente e nessuno strumento di composizione funziona, il tribunale su istanza di un creditore, del debitore stesso o del PM, apre la liquidazione giudiziale. Gli effetti sono la spossessessamento dei beni in capo a un curatore, la cristallizzazione dei debiti (che andranno accertati nello stato passivo), la vendita di tutti i cespiti e la distribuzione ai creditori secondo l’ordine dei privilegi. Per il professionista coinvolto (ad esempio se è socio illimitatamente responsabile, come nelle SNC, o se ha garantito i debiti della società) la liquidazione giudiziale è l’extrema ratio: comporta la fine dell’attività, possibili responsabilità personali (il curatore può agire contro gli amministratori per insolvenza cagionata da mala gestione), e un tempo portava anche a incapacità personali (oggi le incapacità civili del fallito sono abolite, quindi non c’è più interdizione dai pubblici uffici o incapacità di esercitare professioni). Tuttavia, in àmbito ordinistico, alcune categorie professionali valuteranno l’etica: va verificato nei regolamenti se il fallimento di un socio può costituire un illecito deontologico. Ad esempio, per i medici non risulta una norma che sanzioni il fallimento, mentre per gli avvocati in passato la legge fall. ne prevedeva addirittura la radiazione, norma poi abrogata. Quindi oggi un medico fallito (in liquidazione giudiziale) non perde l’abilitazione professionale, a meno che il dissesto sia accompagnato da condotte fraudolente che integrino reati (in tal caso l’Ordine potrebbe intervenire per indegnità legata al reato, non al fallimento in sé). Dalla liquidazione giudiziale si può comunque uscire attraverso l’esdebitazione finale: le persone fisiche fallite (imprenditori individuali, soci) possono chiedere al termine la liberazione dai debiti non soddisfatti, come già accennato, se hanno collaborato lealmente. Oggi questo è un diritto sancito, salvo casi di frode o malafede. La Cassazione ha più volte ribadito che l’esdebitazione va concessa quando ricorrono le condizioni tassative di legge, senza introdurre surrettiziamente criteri arbitrari come la “soddisfazione minima” dei creditori. Ad esempio, con sentenza n. 19964/2024 la Corte ha sottolineato che sono solo le cause di esclusione previste dalla norma a poter impedire il beneficio (comportamento doloso o mancata cooperazione), mentre aver pagato poco o nulla ai chirografari non è, di per sé, motivo ostativo. In definitiva, la liquidazione giudiziale per un professionista è un evento drammatico ma non irreversibile: con l’esdebitazione potrà ripartire, e oggi la legge consente di ottenerla anche se nella procedura fallimentare i creditori non hanno ricevuto somme apprezzabili.

In Tabella 2 qui sotto si riportano in sintesi le principali differenze tra concordato preventivo, accordo di ristrutturazione e liquidazione giudiziale, per un debitore commerciale:

Tabella 2 – Principali procedure concorsuali “maggiori” (imprese fallibili)

ProceduraSoggetti ammessiCaratteristicheEsiti per il debitore
Concordato preventivoImprese soggette a liquidazione giud. (anche sovra-soglia)Procedura volontaria. Debitore propone un piano (continuità o liquidatorio) ai creditori. Necessario voto favorevole >50% crediti. Controllo tribunale su fattibilità e convenienza. Commissario nominato. Effetti: sospende le azioni esecutive (automatic stay) dalla pubblicazione della domanda (salvo crediti lavoratori entro limiti), consente gestione protetta.Se omologato, il debitore esegue il piano ed evita la liquidazione giudiziale. Eventuali debiti residui non soddisfatti (se il piano prevede stralci) sono estinti solo se il piano viene eseguito e a condizione di esdebitazione finale (se persona fisica). Se il concordato fallisce (non approvato/omologato), segue di regola liquidazione giudiziale.
Accordo di ristrutturazione (omologato)Imprese in crisi/insolvenza (fallibili)Accordo contrattuale col consenso di almeno 60% (o 30% agevolato) dei creditori. Deve assicurare pagamento integrale dei creditori estranei nei 120 giorni dall’omologa (salvo diversa adesione). Viene omologato dal tribunale, senza voto formale dei creditori (basta la percentuale di adesione richiesta). Effetti: una volta omologato vincola solo i creditori aderenti (a meno di efficacia estesa ad intera categoria con 75%). Possibile blocco temporaneo delle azioni esecutive durante le trattative (concordato in bianco o misure protettive su istanza).Il debitore prosegue l’attività secondo i termini dell’accordo. Evita la dichiarazione di insolvenza. L’accordo è flessibile nel contenuto (può prevedere dilazioni, stralci, conversione di crediti in capitale, ecc.). Se l’accordo non regge e il debitore torna insolvente, si può finire in liquidazione giudiziale; tuttavia, i pagamenti fatti e le garanzie date in esecuzione dell’accordo non sono soggetti a revocatoria (tutela della stabilità accordi). Debiti residui: se qualche creditore non aderente resta fuori, il debitore ne risponde comunque per la parte non pagata (non c’è esdebitazione automatica per crediti esclusi).
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)Imprese insolventi fallibili; estesa anche a soci illimitatamente responsabiliProcedura giudiziale aperta con sentenza dichiarativa di insolvenza. Nomina di curatore, giudice delegato e comitato creditori. Il curatore gestisce il patrimonio, verifica i crediti (stato passivo) e liquida i beni. Creditori soddisfatti secondo prelazioni (par condicio). Effetti: spossessamento del debitore sui suoi beni (non può disporne), sospensione di diritto di tutte le azioni esecutive individuali. Scioglimento di contratti in corso secondo norme specifiche. Il debitore persona fisica subisce alcune limitazioni (dovere di collaborazione, obbligo di dimora se previsto, ma nessuna interdizione civile come in passato).L’impresa cessa (salvo esercizio provvisorio se utile ai creditori). Il patrimonio viene liquidato. La procedura termina con un riparto finale; se società, questa si estingue. Il debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio) può chiedere l’esdebitazione per liberarsi dei debiti rimasti insoddisfatti. Tale beneficio è condizionato alla condotta meritevole (nessuna frode, cooperazione) ma non al pagamento di una soglia minima ai creditori. Oggi è prevista la liberazione entro 3 anni dall’apertura, anche se la liquidazione continua. Se il debitore ha tenuto comportamenti dolosi o gravemente colposi nella crisi, può andare incontro a azioni di responsabilità o a diniego dell’esdebitazione, nonché a eventuali condanne penali per bancarotta (se applicabile).

Nota: Le procedure sopra indicate riguardano soggetti “fallibili”. I professionisti e piccoli imprenditori sotto soglia di norma accedono invece agli strumenti di sovraindebitamento, di cui ora discutiamo. La soglia attualmente è definita dall’art. 2, co.1, lett. d) CCII: non devono essere superati, nei tre esercizi precedenti, due dei seguenti limiti: 300.000 € di attivo di bilancio, 200.000 € di ricavi lordi annui, 500.000 € di debiti (questi valori riprendono in sostanza quelli della legge fallimentare per l’esonero dal fallimento). Inoltre, restano comunque esclusi da liquidazione giudiziale i professionisti intellettuali che non esercitano attività d’impresa in forma societaria e gli imprenditori agricoli (art. 1 CCII). Ad esempio, un ortopedico con partita IVA individuale, anche se fattura 1 milione l’anno, non è soggetto a fallimento perché la sua è attività professionale, non d’impresa commerciale. Viceversa, una S.r.l. medica con 50.000 € di ricavi ma che esercita attività di poliambulatorio potrebbe essere soggetta a fallimento (se considerata impresa commerciale, a prescindere dalle soglie, perché le soglie valgono solo per imprenditori individuali e società di persone, non per le società di capitali). Nel dubbio, il debitore stesso, con il supporto legale, valuterà la strada corretta: se c’è incertezza sulla fallibilità, si può presentare in via prudenziale un ricorso per concordato minore (che è accessibile anche ai fallibili come procedura alternativa minore, se i requisiti dimensionali sono rispettati). A tal proposito, passiamo ora alle procedure cucite su misura per i debitori non fallibili.

Procedure di sovraindebitamento per professionisti e piccoli imprenditori (debitori non fallibili)

Questa è la sezione cruciale per la maggior parte dei titolari di studi ortopedici, i quali rientrano tipicamente nella categoria dei “debitori civili” sovraindebitati che non possono essere assoggettati a liquidazione giudiziale. Grazie alla L. 3/2012 prima, e ora al Codice della crisi (che l’ha sostituita ed ampliata), esistono procedure concorsuali semplificate per gestire il sovraindebitamento di privati, professionisti, imprenditori minori e consumatori. L’idea di fondo è offrire anche a queste categorie una via d’uscita ordinata dalla crisi, sul modello del fallimento ma con adattamenti (meno formalismi, maggiore tutela personale).

Le procedure oggi previste dal CCII, come accennato, sono principalmente tre (più una speciale):

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – riservato alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale. In pratica il classico piano del consumatore per famiglie sovraindebitate (es. un paziente con troppe finanziarie, ecc.), non direttamente il caso di uno studio ortopedico se i debiti riguardano l’attività. Tuttavia, un medico può avere anche debiti personali (mutuo casa, finanziamenti personali) e se la sua attività non è strutturata come impresa, potrebbe ricorrere a questo strumento per i debiti non professionali. Nel nostro caso, approfondiremo meno questa figura poiché assumiamo che i debiti siano legati allo studio (professionali).
  2. Concordato minore – la procedura cardine per i debitori “non fallibili” che esercitano un’attività (imprenditoriale sotto soglia, professionale, artistica, agricola, etc.). È l’equivalente semplificato del concordato preventivo per i piccoli. Il concordato minore merita un’attenzione particolare, che dedicheremo tra breve.
  3. Liquidazione controllata del patrimonio – è la liquidazione concorsuale per i soggetti sovraindebitati, parallela alla liquidazione giudiziale ma semplificata. Viene disposta dal tribunale su istanza del debitore o del creditore (nel sovraindebitamento anche il creditore può chiederla in certi casi, ad esempio se un piano concordatario viene rigettato per dolo del debitore). Un liquidatore (spesso un gestore della crisi nominato dall’OCC) vende i beni e distribuisce ai creditori. Al termine, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti residui. Questa procedura è l’ultima ratio nel sovraindebitamento, simile a un piccolo fallimento ma con costi minori e portata più personale.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente – una procedura speciale introdotta dall’art. 283 CCII per la persona fisica meritevole che non ha nulla da offrire ai creditori, nemmeno in prospettiva futura. Consente di ottenere l’esdebitazione immediata “a zero”, senza liquidazione di beni (perché non ce ne sono), al fine di evitare che chi è totalmente indigente resti per sempre oppresso da debiti irrecuperabili. Ne parleremo specificamente più avanti.

Vediamo ora in dettaglio il concordato minore, che per un professionista con studio indebitato è spesso la soluzione più interessante quando c’è la volontà di proseguire l’attività ristrutturando i debiti, evitando di chiudere bottega.

Concordato minore: ristrutturare i debiti e continuare l’attività

Il concordato minore (artt. 74-88 CCII) è pensato per imprenditori sotto soglia, professionisti, start-up innovative e imprenditori agricoli che si trovano in condizione di sovraindebitamento. In pratica, chi non può accedere al concordato preventivo perché non “fallibile”, oppure chi – pur essendo fallibile – rientra in parametri dimensionali modesti, può proporre ai creditori un concordato minore.

Le condizioni soggettive per accedere sono:

  • Essere un debitore non consumatore: il concordato minore non è aperto a chi ha debiti solo personali-consumistici (in tal caso c’è il piano del consumatore). Quindi, bisogna avere debiti riferibili a un’attività economica o professionale. Un medico con debiti in gran parte derivanti dalla gestione dello studio (fornitori, fisco, banca per mutuo studio) rientra; se avesse solo debiti privati (es. credito al consumo, bollette) andrebbe col piano del consumatore.
  • Non avere in corso altre procedure concorsuali maggiori: se ad esempio una società è già in liquidazione giudiziale, i soci non possono più avviare un concordato minore per gli stessi debiti; oppure se il debitore ha già fatto un concordato negli ultimi 5 anni, potrebbe esservi preclusione (il CCII prevede alcuni limiti per evitare uso reiterato).
  • Trovarsi in stato di sovraindebitamento: definito come l’incapacità di adempiere regolarmente alle obbligazioni. Non serve essere insolventi conclamati, basta l’incapacità prospettica di pagare con regolarità.
  • Requisiti dimensionali: l’art. 2 CCII definisce l’imprenditore minore colui che sta sotto i parametri di fallibilità (visti prima). Anche i professionisti e le startup innovative, pur potendo superare tali parametri, sono ammessi perché per legge esclusi da fallimento. Dunque un medico è sicuramente ammesso; una S.r.l. potrebbe cercare di accedere al concordato minore se sta sotto soglia (c’è un po’ di dibattito se una società di capitali sotto soglia possa utilizzare concordato minore: alcuni dicono di sì, come estensione analogica, altri di no perché comunque soggetta a fallimento ex art. 121 CCII. La Cassazione nel 2023 (n. 22699) ha escluso che un imprenditore cancellato dal registro imprese potesse accedere, estendendo la regola pre-CCII di L.3/2012, ma un Tribunale recente (Modena 2025) pare abbia dato un’interpretazione più favorevole al debitore per includere casi dubbi).

Dal punto di vista procedurale, il concordato minore si avvia depositando un ricorso presso il tribunale del luogo di residenza o sede principale. Il ricorso deve includere una proposta di piano dettagliata e tutti i documenti contabili aggiornati (elenco dei creditori con importi, inventario dei beni, bilanci, dichiarazioni fiscali, ecc.). Deve inoltre essere attestato da un OCC – Organismo di Composizione della Crisi – o da un professionista indipendente nominato dal tribunale, che valuta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. L’OCC è una figura centrale: in pratica è l’esperto che affianca il debitore nel predisporre il piano e poi ne attesta le prospettive di riuscita.

Una volta depositato il ricorso completo, il tribunale ammette il debitore alla procedura se rileva che ci sono i presupposti (sovraindebitamento conclamato, completezza documenti, piano non manifestamente inidoneo). Da quel momento scattano alcuni effetti protettivi fondamentali:

  • Sospensione delle azioni esecutive: tutti i pignoramenti, sequestri e altre iniziative dei creditori restano sospesi e nessun nuovo creditore può iniziarne di ulteriori. Ciò garantisce al medico di non subire, ad esempio, il pignoramento del conto o la vendita all’asta dei macchinari durante la trattativa concordataria. Questa protezione (il “automatic stay” concorsuale) è cruciale e simile a quella del concordato preventivo.
  • Divieto di acquisire titoli di prelazione su crediti anteriori: il debitore non può concedere garanzie preferenziali a qualche creditore precedente (per non alterare la par condicio).
  • Possibilità di continuare l’attività sotto vigilanza: il debitore rimane in possesso dei suoi beni e continua a gestire lo studio (diversamente dal fallimento dove subentra il curatore). L’OCC e il tribunale vigilano su atti straordinari eventualmente (es. vendite di beni fuori dall’ordinario vanno autorizzate).
  • Formazione del ceto creditorio votante: l’OCC prepara l’elenco dei crediti da ammettere al voto. Nel concordato minore, i creditori chirografari votano la proposta, mentre i creditori privilegiati di regola non votano (perché dovrebbero essere soddisfatti integralmente dal piano). Se però il piano prevede che anche ai privilegiati venga chiesto uno stralcio o una dilazione oltre due anni, serve il loro assenso individuale (non voto, ma consenso espresso).
  • Unico grado di votazione: non c’è adunanza fisica; l’OCC raccoglie le manifestazioni di voto dei creditori (di solito per pec o modulo scritto). Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (più del 50% del totale chirografario) per approvare. Non sono previste distinte classi di voto (anche se il piano può suddividere i creditori in classi di trattamento omogenee, ma il voto è unico aggregato).

La proposta di piano nel concordato minore è libera nei contenuti, ma il codice richiede alcune tutele:

  • Dev’essere assicurato che i crediti impignorabili per legge siano comunque pagati (ad esempio, se il debitore ha debiti di mantenimento verso figli, non possono essere toccati dall’esdebitazione; se includesse sanzioni amministrative, non sarebbero falcidiabili).
  • I crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca vanno soddisfatti per almeno il valore di realizzo del bene su cui insistono (principio della “best interest test”): significa che, se propongo di non pagarli integralmente, devo comunque garantire che riceveranno almeno quanto avrebbero ottenuto liquidando quel bene. Spesso questo implica che la parte eccedente la capienza del bene viene degradată a chirografo (regola simile all’art. 7, co.1 L.3/2012 e ora negli artt. 74 e 86 CCII). Ad esempio: ipoteca su immobile, debito €200k, valore immobile stimato €150k → il piano può prevedere di pagare €150k (anche in forma dilazionata) al creditore ipotecario e trattare i restanti €50k come credito chirografario da falcidiare.
  • Debiti fiscali e contributivi: qui la legge prevede regole speciali inderogabili. Tali crediti sono privilegiati per buona parte (IVA, ritenute e contributi hanno privilegio generale, ipotecario o speciale). Non concorrono al voto. Il piano deve trattarli in modo non deteriore rispetto agli altri dello stesso grado, e comunque entro i limiti di legge: non si può proporre di pagare meno di quanto si pagherebbe in una transazione fiscale ordinaria. In pratica, non si può discriminare in peggio il Fisco: se offro ai chirografari il 30%, devo offrire almeno il 30% (se non di più) alla parte chirografaria del Fisco; se per altri privilegiati offro il 80%, al Fisco privilegiato devo dare 80%. Il CCII ha introdotto anche la possibilità di cram-down fiscale nel concordato minore: se l’Erario o l’ente previdenziale non aderiscono alla proposta, il tribunale può omologare lo stesso se ritiene che la proposta di pagamento di quei crediti è conveniente e non inferiore a quanto otterrebbero altrimenti. Questo evita il potere di veto del Fisco che in passato spesso affossava i piani.

Un elemento chiave nella valutazione del tribunale per omologare un concordato minore (oltre al voto favorevole dei creditori richiesto) è la “affidabilità del debitore”. L’art. 80 CCII stabilisce che, in sede di omologa, il giudice verifica la meritevolezza del debitore e le cause dell’indebitamento. Se il debitore ha agito con colpa grave o malafede nell’assumere i debiti, potrebbe negare l’omologa. Questo concetto è simile a quello già presente per il piano del consumatore (“meritevolezza”) ed è stato oggetto di recenti pronunce. Ad esempio, Cass. civ. n. 2963/2024 ha sottolineato che nel concordato minore la diligenza e affidabilità del debitore sono criteri essenziali per giudicare la fattibilità del piano. Un Tribunale (Ferrara, dec. 27/12/2024) ha applicato questo principio rigettando il piano di un’azienda agricola in concordato minore perché il debitore aveva accumulato ingenti debiti fiscali per gestione negligente e il piano appariva poco credibile (era fondato sulla prosecuzione dell’attività senza reali cambiamenti). In altre parole, se il medico ha colpevolmente ignorato i debiti per anni (es. non pagando imposte pur avendo liquidità, facendo spese personali sproporzionate, ecc.), il giudice potrebbe dubitare della sua affidabilità nell’eseguire un piano e negare l’omologa. Ciò non toglie che, come visto, la legge dà la possibilità di correggere il tiro: il correttivo 2024 consente al giudice di dare fino a 15 giorni al debitore per integrare o modificare il piano in caso di lacune, e di concedere una moratoria fino a 2 anni sui debiti privilegiati, purché la proposta sia trasparente e condivisa dai creditori. Quindi un debitore inizialmente poco chiaro può ravvedersi, aggiustare il piano e dimostrare buona fede.

Se il concordato minore viene approvato dai creditori e omologato dal tribunale, produce effetti vincolanti per tutti i creditori anteriori (anche i dissenzienti). Il debitore dovrà eseguire il piano sotto la vigilanza dell’OCC (che periodicamente riferisce sullo stato dei pagamenti). Completato con successo il piano, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione automatica dei debiti residui inclusi nella procedura (cioè la liberazione da eventuali percentuali non pagate). Questa è una novità del CCII: prima, nella L.3/2012, serviva un provvedimento del giudice per esdebitare; oggi l’esdebitazione è di diritto a fine concordato, salvo revoca se emergono comportamenti fraudolenti occultati. Se invece il debitore non rispetta il piano durante l’esecuzione, i creditori possono chiederne la risoluzione e si tornerebbe a una liquidazione (con rischio di perdere i benefici, anche se quanto pagato resta acquisito per i creditori). È però ammesso richiedere modifiche al piano o sospensioni in caso di eventi imprevedibili, per evitare che un inciampo temporaneo mandi all’aria tutto.

Se il concordato minore fallisce in fase di omologazione (manca la maggioranza di voti, o il giudice lo rigetta per manifesta inattuabilità o frode), la legge prevede il passaggio alla liquidazione controllata. Il tribunale cioè, su istanza del debitore stesso (o d’ufficio se rileva irregolarità gravi), dichiara aperta la procedura liquidatoria concorrente, nominando un liquidatore che liquiderà i beni. In tal caso, il debitore perde il beneficio concordatario – ossia perde il controllo dell’attività – e si entra in una fase liquidativa assimilabile a un fallimento in piccolo. Ciò non impedisce, comunque, di accedere all’esdebitazione finale a chiusura della liquidazione controllata, sempre se il debitore ha cooperato in buona fede. Un’eccezione: se il concordato è stato respinto per comportamenti fraudolenti del debitore, quei creditori vittime di frode possono essere esclusi dall’esdebitazione (art. 280, co. 5 CCII) – ad esempio, se il medico ha nascosto deliberatamente un bene per non farlo concorrere e ciò viene scoperto, i creditori danneggiati potrebbero vedere il loro credito non perdonato nemmeno dopo la liquidazione.

Riassumiamo i punti di forza del concordato minore per un professionista:

  • Blocca i pignoramenti e dà respiro immediato.
  • Permette di ridurre i debiti a quanto effettivamente sostenibile, mediante falcidie e dilazioni.
  • Consente di continuare l’attività (nessun curatore che spossessa il debitore) e quindi di generare utili con cui pagare i creditori secondo il piano.
  • Ha tempi relativamente brevi e iter semplificato: niente adunanza affollata, voto per iscritto, omologa su base documentale. Spesso in meno di un anno si può ottenere l’omologa.
  • Conclude con la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione) se tutto va a buon fine.
  • Comprende strumenti di flessibilità: si può modificare il piano in corsa (entro certi limiti), ottenere una moratoria su privilegiati, utilizzare eventuale finanza esterna (fondi di terzi da destinare ai creditori, che non passano per la massa attiva).

I punti di attenzione invece sono:

  • La necessità di ottenere almeno il 50% di adesione in valore dai creditori chirografari. Ciò implica che se ci sono pochi grandi creditori, uno di essi potrebbe bloccare il piano. Ad esempio, se un fornitore detiene il 60% del debito chirografo e non accetta la proposta, il concordato minore non passa. In questi casi conviene trattare con quel creditore prima di presentare il piano, per assicurarsi del suo supporto.
  • I crediti privilegiati vanno trattati correttamente: non si possono tagliare arbitrariamente tasse o stipendi dovuti; serve rispettare la par condicio e coinvolgere l’Erario in un’eventuale transazione (che normalmente richiede il pagamento di almeno il 20% del credito fiscale privilegiato, salvo casi particolari, e integrale dell’IVA salvo eccezioni per incapienza). La Cassazione UE 2024 (causa C-20/23) ha infatti affermato che non è possibile escludere interamente categorie di debiti dall’esdebitazione se non quelle tassative (tipo alimenti), e non si può discriminare i tributi, pena violazione della direttiva europea.
  • Il debitore deve mantenere una condotta trasparente e diligente: il concordato minore non è un condono gratuito, ma un patto di buona fede. Se emergono frodi (es. documenti falsificati, beni occultati) si rischiano sanzioni severe: revoca della procedura, azioni penali (per ricorso abusivo o frode ai creditori) e preclusione dell’esdebitazione.
  • C’è un costo: occorre pagare l’OCC e le spese di procedura (sia pure più contenute di un fallimento). Di solito l’onorario dell’OCC viene inserito nel piano come credito prededucibile da pagare man mano o all’omologa. Lo Stato ha previsto un Fondo di solidarietà ex L.3/2012 (oggi rifinanziato) che in taluni casi copre le spese dell’OCC per i debitori nullatenenti, ma per un professionista con patrimonio modesto è improbabile accedervi. Quindi bisogna considerare anche questa voce.

In conclusione, il concordato minore rappresenta per un medico indebitato la migliore opportunità di rimettere in sesto lo studio senza chiuderlo. Come recita uno slogan efficace: “Il concordato minore blocca i pignoramenti, riduce i debiti e ti consente di mantenere l’attività”. Naturalmente, va utilizzato con assistenza specializzata (avvocati e consulenti esperti in crisi) e con piena consapevolezza degli impegni da rispettare.

Liquidazione controllata e esdebitazione: chiudere i debiti e ripartire

Se la situazione debitoria è talmente grave da non permettere un piano sostenibile, o se la prosecuzione dell’attività non è possibile/utile (ad esempio perché lo studio è cessato, o il medico preferisce chiudere e andare a lavorare come dipendente altrove), allora la strada è la liquidazione controllata del patrimonio. Può essere richiesta dallo stesso debitore sovraindebitato che si rende conto di non poter offrire nulla di appetibile in un concordato. A differenza di un concordato minore, qui il fine non è salvare l’attività ma soddisfare i creditori con il patrimonio disponibile in modo ordinato e poi liberare il debitore dal peso dei debiti residui.

La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) si avvia con ricorso al tribunale, anche qui nominando un OCC o gestore della crisi. Il tribunale, verificati i presupposti (sovraindebitamento e inesistenza di atti in frode recenti, ecc.), dichiara aperta la liquidazione. Da quel momento:

  • Il debitore è spossessato dei suoi beni (analogamente a un fallimento): non li amministra più lui, ma un liquidatore nominato (spesso lo stesso OCC nominato a tale ruolo).
  • Tutte le azioni esecutive cessano e i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo (entro termini stabiliti dal giudice).
  • Il liquidatore redige l’inventario, vende i beni (con modalità semplificate rispetto al fallimento, ma di fatto li può vendere all’asta o a trattativa privata previa autorizzazione).
  • Il ricavato viene distribuito ai creditori rispettando cause di prelazione. Non c’è voto dei creditori né piano da approvare: è una liquidazione giudiziale in miniatura.
  • Il debitore ha obbligo di collaborazione e può mantenere per sé solo i beni impignorabili e quello che guadagna successivamente (ad eccezione di eventuali sovraredditi che in certi casi possono essere messi a disposizione per la procedura, ma non c’è in CCII un obbligo di versamento di parte di stipendio futuro come nel diritto francese; nella L.3/2012 c’era una previsione di durata massima 4 anni della procedura di liquidazione, ora non c’è un termine fisso per chiuderla, ma come detto c’è il limite dei 3 anni per chiedere l’esdebitazione anticipata).
  • Se durante la liquidazione emergono profili di frodi passate, il liquidatore o i creditori possono agire in revocatoria per recuperare beni alienati prima (c’è l’art. 270 CCII che prevede la revocabilità di atti compiuti in tempo sospetto analogamente al fallimento, ma con termini più brevi: 2 anni retroagendo dall’apertura procedura, e non si revocano pagamenti di importi modici).

L’effetto finale è che, esaurito tutto l’attivo, i creditori ricevono le percentuali spettanti e la procedura viene chiusa. A quel punto il debitore persona fisica può presentare istanza di esdebitazione (art. 282 CCII) per farsi cancellare i debiti rimasti insoddisfatti. L’esdebitazione, come abbiamo già sottolineato, è ormai quasi automatica se il debitore ha cooperato onestamente. Il giudice verifica:

  • che il debitore non abbia ritardato o aggravato la crisi volontariamente,
  • che non abbia violato obblighi di collaborazione o compiuto atti in frode (occultamento di patrimoni, documenti falsi, ecc.),
  • che non abbia già ottenuto altra esdebitazione nei 5 anni precedenti,
  • che non sia punito per bancarotta fraudolenta o altri reati concorsuali (per i sovraindebitati non fallibili, i reati tipici del fallimento non si applicano, ma se avesse commesso ad es. sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ciò potrebbe rilevare),
  • e in generale, la meritevolezza (concetto di onestà e diligenza).

Se queste condizioni sussistono, il tribunale emette decreto che dichiara inesigibili tutti i crediti concorsuali residui verso il debitore. Ciò significa che il medico rinasce pulito dai debiti, con le eccezioni delle categorie non esdebitabili (sanzioni, mantenimenti, come detto). Ai creditori insoddisfatti non resta che prendere atto: non possono più perseguire il debitore su quei crediti (diventano inesigibili). È il concetto del fresh start. È rilevante notare che la riforma 2024, come riportato nella Guida Normativa, ha eliminato dal testo dell’art. 282 CCII il requisito che “i creditori siano stati parzialmente soddisfatti”, accogliendo l’orientamento costituzionale per cui l’esdebitazione deve poter essere data anche se il pagamento ricavato è zero, laddove il soggetto sia incolpevole. In passato alcune corti respingevano l’esdebitazione se il realizzo era stato giudicato troppo esiguo (casi estremi di riparto zero); oggi tale prassi non ha più base normativa, e anzi Cassazione e legge convergono che non si nega la seconda chance a chi è povero ma onesto.

E se il debitore non ha nulla da liquidare sin dall’inizio? In tal caso, obbligarlo a una liquidazione controllata sarebbe inutile dispendio. Qui interviene l’istituto innovativo: l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII). Questo strumento consente al debitore persona fisica “che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura” di ottenere subito l’esdebitazione, senza passare dalla vendita dei beni (perché non ci sono beni né redditi aggredibili). I requisiti sono molto stringenti:

  • Il debitore deve essere meritevole (analoghi criteri di onestà, assenza di dolo o colpa grave nell’indebitarsi).
  • Non deve proprio avere beni né redditi disponibili da destinare ai creditori (si intende al netto di quanto serve per il sostentamento suo e della famiglia). Anche cessioni del quinto in corso contano come utilità futura, quindi se ne hai in corso, non sei incapiente totale. Una recente pronuncia ha specificato ad es. che se il debitore ha uno stipendio da cui ha ceduto volontariamente il quinto per un prestito, quell’importo ceduto costituisce utilità già destinata a creditori, quindi non è “incapiente puro” finché dura la cessione.
  • Dev’essere persona fisica (società escluse, queste se non hanno beni semplicemente si vedono chiusa la liquidazione con zero, ma le società poi si estinguono comunque).
  • È richiesta l’assenza di atti in frode nei 5 anni precedenti e che non abbia già usato questo beneficio nei 8 anni precedenti.

La procedura prevede che il debitore deposita un ricorso dichiarando la propria totale incapienza. Il tribunale nomina un OCC per verificare la veridicità e magari gestire eventuali attivi sopravvenuti. Se tutto è regolare, viene emesso un decreto di esdebitazione immediata che cancella i debiti. Attenzione: per i successivi 4 anni il debitore ha un obbligo di “catching-up”: se dovesse sopravvenire una utilità rilevante (ad esempio, un’eredità, una vincita) entro 4 anni dal decreto, quella deve essere destinata in parte ai vecchi creditori (oltre una certa franchigia). Questa clausola evita che uno faccia l’incapiente e poi magari l’anno dopo incassi somme importanti per pura fortuna.

Per fare un esempio pratico, se il nostro ortopedico avesse chiuso lo studio, venduto già tutto magari per pagare spese correnti, restando con zero beni e un piccolo stipendio da dipendente, e i debiti residui fossero improponibili da pagare, potrebbe chiedere l’esdebitazione incapiente. Se il giudice gliela concede, azzera i debiti all’istante e lui riparte da capo. Se però entro 4 anni riceve – poniamo – un’eredità dalla zia di 50.000 €, dovrà informare il tribunale: quella somma in gran parte andrà ai creditori di prima (redivivi per quell’importo), altrimenti il beneficio può essere revocato.

L’esdebitazione incapiente è inedita nel panorama italiano ed è stata introdotta per recepire lo spirito della direttiva UE sulla seconda opportunità. Ovviamente è uno strumento da usare solo in casi estremi, perché di fatto i creditori non ricevono nulla (se non forse la speranza di qualcosa nei 4 anni) e si potrebbe temere abuso. Ecco perché la legge è severa nella valutazione della meritevolezza in questi casi: qualunque ombra (un bene anche modesto nascosto, o un indebitamento “spericolato” volutamente) farà rigettare l’istanza. Ad esempio, un Tribunale ha negato il beneficio a un debitore incapiente che però aveva generato i debiti con colpa grave, giudicando che l’istituto non potesse premiarne l’irresponsabilità.

In sintesi, liquidazione controllata ed esdebitazione (ordinaria o incapiente) sono il capitolo finale della storia: sono ciò che chiude i conti col passato. Un professionista deve conoscerli per non temere che una procedura concorsuale significhi “fine della vita”: al contrario, la liquidazione più esdebitazione è spesso un atto liberatorio. Naturalmente va considerato l’impatto patrimoniale: in liquidazione si perdono i beni (casa, attrezzature, ecc., fatti salvi quelli impignorabili come la fede nuziale, letto, vestiti, strumenti di lavoro in parte…). E qui torniamo a un punto trattato prima: quali beni sono al sicuro?

Va ribadito che, anche in procedure concorsuali, i beni dichiarati impignorabili dalla legge rimangono tali. Ad esempio, gli strumenti indispensabili per l’esercizio della professione (il lettino ortopedico, le protesi campione, il PC gestionale, ecc.) sono protetti dall’art. 514, n. 4 c.p.c. e dunque non possono essere pignorati né forzosamente né messi in liquidazione, fino a un certo limite. La norma infatti elenca tra i beni impignorabili assoluti “gli strumenti, gli oggetti e i libri necessari per l’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore”. Tuttavia, la successiva art. 515 c.p.c. prevede una relativa pignorabilità: se non ci sono altri beni sufficienti, tali strumenti possono essere pignorati entro il limite di 1/5 del loro valore complessivo, e questa limitazione non vale se il debitore è una società o se il capitale investito prevale sul lavoro del debitore. Ciò si traduce così: un ortopedico individuale non rischierà di vedersi portare via tutti i macchinari; al massimo, in mancanza di altro attivo, se ha apparecchiature costose, se ne potrebbe liquidare una parte, mantenendone comunque l’80%. In pratica questa è una tutela per permettergli di continuare a lavorare. Diverso se lo studio è di una società: in quel caso tutti i beni aziendali sono pignorabili (non c’è “minimo vitale” per l’azienda).

Inoltre, l’art. 545 c.p.c. protegge in parte i redditi da lavoro: se il medico ha uno stipendio da dipendente presso una struttura pubblica o privata, esso è pignorabile al massimo per 1/5 (20%) per crediti ordinari, e per crediti alimentari può salire a 1/3, mentre per crediti erariali ci sono aliquote ridotte progressive. Se invece i suoi guadagni sono da libero professionista, tecnicamente non c’è un salario fisso da pignorare, ma i creditori potrebbero provare a pignorare i crediti verso terzi (es. pagamenti dovuti da pazienti o convenzioni). Tuttavia, spesso per un professionista in proprio è arduo individuare tali crediti (a meno di contratti specifici).

Difendersi dalle azioni esecutive: pignoramenti e sequestri

Non sempre si riesce a prevenire in tempo l’azione dei creditori: può accadere che un fornitore o una banca abbiano già avviato un pignoramento contro lo studio ortopedico. Vediamo dunque, in termini pratici, come difendersi dalle procedure esecutive individuali e quali sono i diritti del debitore in queste fasi, anche al di fuori o in attesa di una procedura concorsuale.

Opposizione al pignoramento e altri rimedi processuali

Quando un creditore munito di titolo (es. decreto ingiuntivo definitivo, sentenza, cartella esattoriale esecutiva) procede a pignorare un bene del debitore, la prima domanda da porsi è: è legittimo questo pignoramento? Ci sono vari motivi per cui potrebbe non esserlo:

  • Pagamento o accordo già avvenuto: se il debitore ha già pagato il dovuto o ha un accordo col creditore, magari non formalizzato, può opporsi all’esecuzione sostenendo che il credito non è più esigibile (art. 615 c.p.c. – opposizione all’esecuzione). Deve però provare con documenti il pagamento o l’accordo.
  • Titolo inesistente o viziato: ad esempio, il creditore procede con una copia non conforme del titolo, oppure sbaglia persona (pignora beni di un omonimo). In tali casi c’è opposizione all’esecuzione per mancanza di titolo o difetto di legittimazione.
  • Vizi formali negli atti esecutivi: se l’atto di precetto o il pignoramento contengono irregolarità (mancata indicazione di qualcosa essenziale, notifica nulla ecc.), si può proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) entro termini brevi (5 o 20 giorni a seconda dei casi). Questo può far annullare il singolo atto (es. l’atto di pignoramento) e far tornare la procedura al punto precedente.
  • Beni impignorabili o oltre i limiti: se l’ufficiale giudiziario o il creditore hanno pignorato un bene che la legge tutela (es. strumenti di lavoro indispensabili, come visto, o il letto di casa, o la vettovaglia mensile), il debitore può fare ricorso al giudice dell’esecuzione per far dichiarare il pignoramento inefficace su quei beni. Ad esempio, se venisse pignorata l’unica autoclave indispensabile per la sterilizzazione in studio, si può eccepire che rientra tra gli strumenti di lavoro imprescindibili. Il giudice valuterà caso per caso e potrebbe liberare quei beni. Analogamente, se viene pignorato il conto corrente dove affluiscono stipendio o pensione, la legge oggi tutela una somma pari a circa 1.000 euro (importo pari al triplo dell’assegno sociale) che deve rimanere libera se presente sul conto al momento del pignoramento. Quindi il debitore può chiedere di svincolare tale somma “minima vitale” ove bloccata.
  • Mancata notifica di atti presupposti: in caso di cartelle esattoriali, a volte accade che il contribuente non abbia mai ricevuto la cartella e scopra il debito solo col pignoramento. In tal caso, si può fare opposizione sostenendo la nullità della cartella non notificata e quindi l’illegittimità dell’esecuzione (anche se su questo punto la giurisprudenza tributaria è un po’ complessa, potendosi dover agire in Commissione tributaria per far annullare la cartella, salvo che siano decorsi i termini).

L’opposizione all’esecuzione (art. 615) e l’opposizione agli atti (art. 617) sono gli strumenti processuali classici. Vanno proposti davanti al giudice competente (Tribunale, se il pignoramento è mobiliare o immobiliare di valore sopra soglia; Giudice di Pace in rarissimi casi di esecuzioni minori) e di solito inibiscono o sospendono il procedimento esecutivo se il giudice concede la sospensione. Non è automatica: bisogna chiedere istanza di sospensione e dimostrare il fumus (la fondatezza) e il periculum (il danno in caso prosegua). Ad esempio, se stiano per vendere all’asta la sede dello studio ma il debitore dimostra di aver pagato il debito, il giudice sospenderà la vendita in attesa di decidere. Se l’opposizione viene accolta, l’esecuzione viene estinta (in tutto o in parte). Se rigettata, si riprende da dov’era.

Un altro strumento è la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): il debitore può chiedere al giudice di sostituire ai beni pignorati una somma di denaro. In pratica, depositando in cancelleria un importo pari al debito, interessi e spese (o almeno una parte sostanziale, tipicamente 1/5, come acconto) può ottenere di “liberare” i beni pignorati e pagare il debito a rate alla procedura esecutiva. Questa facoltà è utile se, ad esempio, hanno pignorato i macchinari dello studio e il medico riesce a reperire un prestito o dei fondi per evitare la vendita: versa l’importo calcolato e i beni gli vengono restituiti, e poi il tribunale distribuisce quel denaro tra i creditori pignoranti. La conversione ha però soglie e formalità: va richiesta prima che inizi la vendita o l’assegnazione dei beni.

Strategie difensive durante l’esecuzione

Oltre agli strumenti giudiziari, il debitore può adottare comportamenti strategici per limitare i danni:

  • Indicare beni da pignorare meno pregiati: l’ufficiale giudiziario, quando fa un pignoramento mobiliare, spesso chiede al debitore “quali beni intende indicare per il pignoramento”. Il debitore, conoscendo la regola che i beni strumentali di lavoro sono protetti salvo mancanza di altri, può indirizzare l’ufficiale verso beni non essenziali o di minor valore, salvaguardando quelli vitali. Ad esempio, in uno studio, far pignorare l’arredamento della sala d’attesa piuttosto che l’unica macchina a raggi X.
  • Collaborare per vendite private: se l’esecuzione è inevitabile, a volte conviene suggerire al custode o al liquidatore di vendere certi beni a trattativa privata a un prezzo equo, magari individuando un acquirente. Questo perché le vendite all’asta spesso deprimono i valori. Un macchinario medicale molto specializzato potrebbe avere mercato tra pochi operatori: se il debitore ne conosce uno interessato, può facilitare una vendita concordata che soddisfi meglio il credito e magari gli consenta di riacquistare l’asset (ad es., convincere un collega a comprare l’attrezzatura e fargliela usare in compartecipazione).
  • Opporsi alle assegnazioni di crediti futuri: ad esempio, se un creditore chiede di pignorare i futuri crediti del medico verso i pazienti (non facile, ma ipotizziamo convenzioni ASL), si può far valere che non sono crediti certi ed esigibili e quindi non pignorabili perché meramente eventuali.
  • Sfruttare eventuali vizi degli atti del creditore procedente: un occhio tecnico può trovare errori in come è redatto un atto di precetto o un pignoramento. Ad esempio, se un precetto fiscale non rispetta i 30 giorni di attesa dopo la notifica della cartella o se un pignoramento immobiliare non è stato correttamente trascritto. Qualsiasi appiglio può portare a far dichiarare estinto il procedimento e guadagnare tempo prezioso (il creditore dovrà ricominciare da capo magari).
  • Negoziare all’ultimo momento: paradossalmente, a volte la trattativa più efficace con un creditore avviene dopo che ha avviato l’esecuzione. Molti creditori preferiscono un accordo (anche leggermente a sconto) invece di proseguire con aste che implicano costi e incertezze. Dunque, il debitore può, parallelamente alle opposizioni, proporre un pagamento parziale immediato al creditore pignoratizio per far cessare l’azione. Ad esempio, “ti pago subito il 50% di quanto mi chiedi se ritiri il pignoramento” – ciò formalmente si traduce in una rinuncia del creditore alla procedura, che è sempre possibile. Questa è una transazione extragiudiziale che si può tentare in qualunque fase (tenendo presente però che, se ci sono più creditori intervenuti nell’esecuzione, bisogna fare i conti con tutti quelli che hanno partecipato).

Sequestro conservativo: come reagire

Un caso particolare è il sequestro conservativo: si tratta di un provvedimento cautelare, richiesto dal creditore prima di avere un titolo definitivo, per “congelare” i beni del debitore in vista di una successiva esecuzione. Ad esempio, un paziente avvia una causa di risarcimento per malasanità e, temendo che il medico possa nel frattempo svuotare il patrimonio, chiede al tribunale un sequestro conservativo sui beni (conto corrente, immobile, ecc.) fino a concorrenza dell’importo richiesto. Se il giudice lo accorda, tali beni vengono bloccati: il debitore ne conserva la proprietà ma non può alienarli né disporne, e spesso vengono affidati a un custode. Il sequestro non soddisfa il creditore, ma gli garantisce che i beni resteranno lì per quando avrà la sentenza favorevole.

Come difendersi? Innanzitutto, il debitore può opporsi alla concessione del sequestro nella stessa procedura cautelare, sostenendo che mancano il fumus boni iuris (cioè che la causa del creditore non ha fondamento prima facie) o il periculum in mora (che non c’è rischio che si disperda il patrimonio). Ad esempio, il medico può provare di avere assicurazione attiva che coprirà il danno, quindi il paziente non rischia nulla e il sequestro non è necessario. Se il giudice comunque ha emesso il decreto di sequestro senza sentire il debitore (spesso avviene inaudita altera parte), il debitore può proporre ricorso in opposizione/reclamo (art. 669 c.p.c.) per farlo revocare o limitare.

Se il sequestro viene confermato, resta un’ancora: il debitore può chiedere di convertire il sequestro in cauzione. Cioè, invece di tenere il bene sequestrato immobilizzato, offre al tribunale una garanzia equivalente (ad esempio, una fideiussione bancaria o un deposito cauzionale in denaro) e si fa sbloccare il bene. Il giudice solitamente accetta se la cauzione offerta è adeguata, perché anche l’ordinamento preferisce liberare i beni a fronte di garanzia, per non paralizzare inutilmente l’attività del debitore. Nell’esempio, se hanno sequestrato il conto corrente con 50.000 €, il medico potrebbe offrire una fideiussione di pari importo rilasciata da un istituto di credito, ottenendo lo sblocco del conto per proseguire la gestione.

Infine, è bene ricordare che il sequestro conservativo si converte automaticamente in pignoramento se il creditore ottiene poi una sentenza favorevole (art. 686 c.p.c.). Quindi, se si arriva a quel punto, tutto quanto detto sui pignoramenti torna a valere (con la differenza che spesso il bene è già sotto custodia). A maggior ragione conviene opporsi per tempo, perché una volta divenuto esecutivo, rimane poco margine salvo pagare o transare.

Responsabilità professionale e conseguenze ulteriori per il debitore

Chiudiamo la guida toccando un aspetto trasversale: quali sono le ripercussioni sulla sfera professionale e personale del medico ortopedico che attraversa una crisi debitoria? Abbiamo già accennato che la normativa concorsuale moderna tende a non stigmatizzare il fallimento economico: il concetto di “fallito indegno” non è più nel nostro ordinamento, anzi vige il principio della seconda opportunità. Tuttavia, alcune responsabilità possono emergere:

  • Responsabilità civile verso terzi: se l’insolvenza dello studio ha causato danni ad altri – ad esempio, un dipendente potrebbe citare il datore per aver tardato a versare contributi con danno pensionistico, oppure i pazienti potrebbero lamentare la chiusura improvvisa del centro con interruzione di cure – il professionista deve essere preparato a gestire queste situazioni con l’ausilio legale. In genere, i dipendenti sono protetti dall’INPS (che subentra per TFR e stipendi, come detto) e i pazienti potrebbero al più chiedere rimborso di anticipi pagati per terapie non fruite (un credito da insinuare nelle procedure). Non emergono, di regola, responsabilità extracontrattuali se non in presenza di condotte fraudolente (es. il medico incassa consapevolmente soldi sapendo che chiuderà e non erogherà il servizio – questo potrebbe configurare truffa). Occorre dunque agire sempre con trasparenza: se si decide di chiudere lo studio per crisi, è bene informare i pazienti e restituire eventuali somme dovute, per evitare contenziosi.
  • Responsabilità penale: l’insolvenza di per sé non è reato. Ma alcuni atti compiuti durante la crisi possono esserlo. Ad esempio, distrarre o occultare beni per sottrarli ai creditori è reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000, se fatto per evadere debiti fiscali) o può essere ricondotto alla bancarotta fraudolenta se poi si apre fallimento (ma per i non fallibili si applicherebbe al limite l’art. 388 c.p. – mancata esecuzione dolosa di un provvedimento, se non si adempie a sentenze, o comunque la fraudolenta alienazione di beni ex art. 641 c.p. se si era fatto un atto dispositivo in pregiudizio di creditori). Pertanto, il debitore deve evitare assolutamente di compiere atti di frode: vendite simulate a parenti, movimentazioni anomale di denaro prima della procedura, distruzione di documenti contabili. Oltre a precludere esdebitazione, possono portare a denunce penali. Per il medico c’è anche la responsabilità penale tributaria: se l’insolvenza lo ha portato a non versare l’IVA di un anno sopra soglia, potrebbe trovarsi imputato. Nelle procedure concorsuali, spesso la soluzione per questi reati è cercare di rimediare col pagamento (l’omesso versamento può estinguersi pagando il dovuto prima della dichiarazione dibattimentale). Ma se è in concordato e non ha fondi per pagare integralmente l’IVA, il rischio penale rimane. In tali casi conviene consultare un penalista per valutare eventuali cause di non punibilità (lo stato di crisi economica può a volte escludere il dolo di evasione, se provato che preferiva pagare stipendi etc.).
  • Responsabilità disciplinare: l’Ordine dei Medici potrebbe intervenire se ravvisa nella condotta del professionista violazioni deontologiche. Ad esempio, se la crisi ha causato interruzione non comunicata di un servizio sanitario o l’abbandono di pazienti senza preavviso, potrebbe configurarsi una violazione dell’obbligo deontologico di continuità di cura. Inoltre, se l’insolvenza deriva da comportamenti poco etici (ad esempio, appropriazione indebita di fondi di una ricerca o mala gestione di fondi pubblici), l’Ordine potrebbe aprire un procedimento disciplinare. Ma il mero fatto di indebitarsi o di ricorrere a procedure concorsuali non costituisce illecito disciplinare. Anzi, agire legalmente per risolvere la crisi è semmai indice di correttezza. Alcuni Ordini professionali storicamente erano severi coi fallimenti, ma quella cultura è superata. Ad esempio, oggi un avvocato fallito non viene più radiato automaticamente come un tempo; analogamente un medico in concordato o fallito non perde l’abilitazione. La Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) impone però al medico di avere un’assicurazione per la responsabilità civile: se il medico l’ha omessa e un paziente danneggiato non viene risarcito anche perché il medico è insolvente, allora l’Ordine potrebbe censurare l’assenza di copertura assicurativa obbligatoria. Dunque è sempre fondamentale mantenere attiva la polizza RC professionale, anche in tempi di crisi (al limite la spesa per premio assicurativo rientra tra quelle prededucibili nei piani, essendo necessaria a proseguire l’attività in sicurezza).
  • Effetti sull’immagine e sul credito: pur non essendoci più infamia legale, va considerato l’aspetto reputazionale. Uno studio medico in concordato potrebbe destare preoccupazione in alcuni pazienti o fornitori. È quindi compito del professionista gestire la comunicazione: spesso la procedura concorsuale viene presentata come un “piano di ristrutturazione approvato dal Tribunale per garantire la continuità assistenziale e il pagamento dei fornitori”, mettendo l’accento sul fatto positivo che lo studio rimane aperto e regolarizzerà i debiti. Dopo l’esdebitazione, se richiesto il certificato dei carichi pendenti civili, risulterà l’avvenuta procedura ma anche la liberazione: è importante conservare copia del decreto di esdebitazione perché funge da “fedina finanziaria pulita” dal quel momento.
  • Rapporti con soci o partners: se l’ortopedico lavorava con altri in forma associata (studio associato professionale) e i debiti erano personali ma contratti per l’attività comune, bisogna considerare eventuali patti interni. Lo studio associato in sé non fallisce, ma i singoli associati rispondono dei debiti verso terzi secondo il mandato conferito. Potrebbe accadere che un associato indebitato ricorra a concordato e ciò incida sugli altri. La normativa su questo è complessa (simile a società di persone). In generale, il concordato minore di un professionista non include automaticamente i patrimoni degli altri associati (che sono terzi estranei), ma se esisteva corresponsabilità su certi debiti, i creditori potrebbero comunque rifarsi sugli altri associati non in procedura. Dunque, in contesti associati, conviene un approccio di studio: magari un accordo con cui tutti insieme trattano il debito (fosse grosso, potrebbero valutare un concordato unitario se la forma giuridica lo consente, tipo una società tra professionisti – STP – costituirebbe soggetto unitario fallibile forse, oppure ognuno attiva la sua procedura coordinata).

Domande frequenti (FAQ)

D: Un medico ortopedico con studio privato può essere dichiarato fallito?
R: In linea generale no, se esercita come professionista intellettuale individuale. I liberi professionisti (medici, avvocati, ecc.) non sono imprenditori commerciali e quindi non sono soggetti a fallimento o liquidazione giudiziale. Rientrano nella categoria dei debitori “civili” che, in caso di insolvenza, accedono alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata). Fanno eccezione i casi in cui l’attività è svolta tramite società di capitale o impresa commerciale: ad esempio, una società di capitale che gestisce una clinica ortopedica può essere dichiarata fallita (ora liquidazione giudiziale) se insolvente. Ma il medico in proprio con P.IVA usa gli strumenti dedicati ai non fallibili. In pratica: piccoli imprenditori o professionisti con debiti professionali possono fare il concordato minore; i consumatori fanno il piano del consumatore. Anche un ex imprenditore “sotto soglia” può usare il concordato minore, purché non abbia volontariamente cessato l’attività solo per evitare il fallimento (secondo Cass. 22699/2023, chi si è cancellato dal registro imprese per sfuggire al fallimento non può poi usufruire del concordato minore).

D: Cosa rischio se il concordato minore non viene approvato dai creditori o non viene omologato dal tribunale?
R: In tal caso, la procedura di concordato viene chiusa senza successo e normalmente si passa alla fase di liquidazione controllata del patrimonio. Questo significa che i beni del debitore verranno liquidati da un liquidatore nominato dal tribunale e il ricavato distribuito ai creditori secondo le priorità di legge. La conversione da concordato a liquidazione può avvenire su istanza del debitore stesso (che preferisce liquidare visto l’esito negativo) o d’ufficio se, ad esempio, il tribunale rileva frodi. Il debitore in liquidazione perde la gestione dei beni (arriva il liquidatore/curatore), l’attività professionale con ogni probabilità viene cessata (a meno che qualche creditore finanzi la continuazione, caso raro). La buona notizia è che, anche dopo la liquidazione controllata, il debitore onesto potrà ottenere l’esdebitazione dei debiti residui. Quindi il fallimento del concordato non preclude la “pulizia” dai debiti, ma semplicemente implica che questa avverrà dopo la liquidazione dei beni e non prima. Naturalmente, la sospensione delle azioni esecutive che vigeva in pendenza del concordato cesserà con l’apertura della liquidazione controllata, ma le azioni individuali restano inibite perché subentra la procedura concorsuale liquidatoria che accentra le pretese. In sintesi: se il concordato non va in porto, l’esito standard è la liquidazione (salvo casi in cui il debitore trovi una soluzione alternativa immediata coi creditori fuori dalle procedure).

D: Durante il concordato minore posso continuare a gestire e lavorare nello studio?
R: Sì. Una differenza fondamentale col fallimento è che nel concordato minore il debitore conserva l’amministrazione dei beni e dell’attività (principio del debtor in possession). Continuerai quindi a curare pazienti, fatturare, incassare – ovviamente nel rispetto del piano e sotto la supervisione dell’OCC. Non ci sarà alcun commissario a sostituirti (il commissario giudiziale, figura presente nel concordato preventivo, nel concordato minore di norma non c’è; l’OCC svolge un ruolo di attestazione e poi di vigilanza). Questo è pensato proprio per permettere alle piccole attività di generare i profitti attesi per pagare i creditori. Dovrai però tenere una gestione regolare e trasparente: se devi compiere atti straordinari (es. vendere un bene importante), l’OCC deve essere informato e, in certi casi, il giudice potrebbe imporre cautele. Ma per l’ordinaria amministrazione (visitare pazienti, acquistare materiale di consumo, pagare le spese correnti come affitto e bollette) continui liberamente, utilizzando le entrate correnti. Tieni presente che il piano di concordato spesso prevede un budget di spesa mensile per l’attività: ad esempio, stima quanti incassi farai e quali costi potrai sostenere pur destinando la quota concordata ai creditori. Dovrai rispettare quel budget. Se l’attività va meglio del previsto – ben venga, potrai pagare anche prima i creditori. Se va peggio, e rischi di deviare dal piano, devi attivarti subito (tramite OCC) per valutare modifiche o integrazioni al piano. In casi eccezionali puoi anche chiedere di sospendere temporaneamente i pagamenti concordatari (una sorta di moratoria interna) se sopravvengono eventi imprevisti che ostacolano l’esecuzione, ma devi giustificarlo. Infine, ricorda che i creditori durante il concordato non possono prendere iniziative individuali: quindi niente più telefonate minacciose di recupero crediti, pignoramenti o ingiunzioni, a meno che qualcuno non chieda la revoca della sospensione per irregolarità gravi. Tu potrai concentrarti sul lavoro e sull’attuazione del piano.

D: Possono pignorarmi le apparecchiature mediche o l’auto che uso per la professione?
R: In parte no, in parte sì, con limiti. La legge protegge gli strumenti essenziali del tuo lavoro. L’art. 514 c.p.c. dice che gli “strumenti, oggetti e libri necessari per l’esercizio della professione” non si possono pignorare. Ciò copre, ad esempio, le apparecchiature diagnostiche, i ferri chirurgici, i testi scientifici e anche l’automobile se è effettivamente necessaria a svolgere visite domiciliari o spostarsi per lavoro (quest’ultimo caso è interpretato con cautela: spesso l’auto viene ritenuta bene pignorabile, a meno che non sia ad uso speciale come un mezzo attrezzato). Attenzione però: la norma successiva (art. 515) permette che, se il debitore non ha altri beni, si possano pignorare fino al 20% di tali beni di lavoro. Ciò significa che se hai, ad esempio, 10 macchinari medicali uguali, il creditore potrebbe farne vendere 2 e lasciartene 8, se proprio non trova nient’altro su cui soddisfarsi. Inoltre, questa protezione non vale per le società: se le apparecchiature appartengono a una S.r.l. dello studio, sono interamente pignorabili perché si considera che per un’impresa (non persona fisica) non c’è “minimo vitale”. In pratica, per un professionista individuale c’è una tutela forte: i creditori preferiranno pignorare saldi di conto, immobili o altri beni piuttosto che i tuoi ferri del mestiere, perché sanno che potrebbero incappare in opposizioni. Nel dubbio, tu stesso potrai eccepire immediatamente all’ufficiale giudiziario che quel bene è indispensabile per la tua professione, facendolo verbalizzare: molti ufficiali evitano la confisca di strumenti professionali proprio per non violare la legge. Ricorda comunque che se non paghi i debiti in altra forma, qualcosa il creditore dovrà pur aggredire: quindi la tutela sugli strumenti di lavoro ti mette al riparo dai colpi letali (non ti smantellano lo studio), ma non impedisce magari che ti pignorino il conto in banca o l’eventuale secondo ecografo meno utilizzato. L’auto, se è l’unica e la usi anche per lavoro, di solito è considerata bene necessario solo per specifiche professioni (es. l’artigiano per trasporto attrezzi). Un medico potrebbe avere difficoltà a dimostrare che senza auto non può lavorare, a meno che faccia assistenza domiciliare costante. In alcuni casi i giudici dell’esecuzione hanno ritenuto impignorabile l’unica auto utilitaria del debitore perché necessaria al sostentamento (anche fuori dall’art. 514, in analogia con beni di prima necessità), ma non è un orientamento uniforme. Comunque, se ti pignorano l’auto e ti serve per motivi lavorativi o familiari, puoi chiedere al giudice la sostituzione del bene con altro o la conversione come visto, magari riscattandola.

D: Ho un mutuo sulla casa in cui ho lo studio: rischio di perderla?
R: Dipende dalla situazione. Se la casa è di tua proprietà, adibita ad abitazione principale e non di lusso, il Fisco non può pignorarla (come già menzionato), ma una banca o altro creditore sì, specie se la casa è data in garanzia ipotecaria. Nel caso di mutuo ipotecario non pagato, la banca ha diritto di avviare espropriazione immobiliare e vendita all’asta. Tuttavia, ci sono più strade per difendersi:

  • In sede concorsuale (concordato minore), come abbiamo spiegato, c’è la possibilità – introdotta nel 2024 – di mantenere il mutuo sulla prima casa continuando a pagarne le rate. Ciò significa che nel tuo piano di concordato puoi prevedere: “la casa resta al debitore, il mutuo verrà pagato alle scadenze convenute fuori dal piano”. Devi essere in regola con le rate al momento della domanda (o comunque pagarle fino a quella data) e dimostrare che vendendo la casa il creditore ipotecario avrebbe preso l’intero credito (ossia l’ipoteca è capiente sul valore). Se il tribunale approva questo, salvi la casa e prosegui a pagare il mutuo normalmente, con la protezione che gli altri creditori non potranno toccarla (perché la causa ipotecaria li prevale e perché l’hai esclusa dal patrimonio liquidabile con quell’escamotage previsto dalla legge).
  • Se non sei in procedura concorsuale o se la norma non applica al tuo caso, puoi comunque tentare una trattativa con la banca. Ad esempio, chiedere una moratoria (sospensione rate) se c’è un accordo ABI/consumatori attivo, o persino proporre una vendita privata dell’immobile a un prezzo giusto, con la banca che acconsente a prendere il ricavato e chiudere il debito anche se leggermente inferiore (il cosiddetto “short sale” in ambito anglosassone). Le banche a volte preferiscono questo a lunghe aste che svalutano l’immobile del 30-40%.
  • Se il pignoramento è già partito, valuta l’opposizione: se per esempio la banca ha accelerato il debito (decaduta dal beneficio del termine) ma tu in realtà avevi chiesto una sospensione Covid o simili, potresti avere appigli.
  • In extremis, puoi considerare la conversione del pignoramento immobiliare: consiste nel trovare la somma per coprire il dovuto (magari vendendo volontariamente altri beni o cercando un finanziatore) e chiedere al giudice di chiudere l’esecuzione pagando il debito residuo più spese. Questo salva la casa se trovi i fondi, ma chiaramente se li avessi non saresti in quella situazione.

Nel contesto di uno studio professionale, a volte la casa è anche il luogo dello studio (es. pianoterra adibito a ambulatorio, piano superiore abitazione). Se la pignora la banca, quell’immobile va all’asta in blocco, quindi perdi sia abitazione che luogo di lavoro. Difenderla è prioritario. Il CCII con la nuova norma ti dà un’arma potente se usi il concordato minore come detto. Fuori da lì, rimangono solo la trattativa e la tecnica processuale (opposizioni, dilazioni). Purtroppo, se il creditore è ostinato e non accetta soluzioni, e non imbocchi una procedura concorsuale, la casa può essere venduta. A quel punto comunque hai tempo: le procedure immobiliari durano molti mesi se non anni, e puoi sempre trovare un accordo finché l’asta non è avvenuta. Se arriva l’aggiudicazione, poi diventa definitivo.

D: Cos’è l’esdebitazione e come si ottiene?
R: L’esdebitazione è l’atto finale che cancella i debiti residui del debitore onesto una volta conclusa la procedura concorsuale. In pratica, il giudice dichiara che tutti i crediti non soddisfatti non sono più esigibili, il debitore ne è libero. È il fondamentale meccanismo di “fresh start”. Ci sono tre modi in cui si può ottenere:

  1. Esdebitazione di diritto dopo concordato: se completi con successo un concordato minore (o preventivo), hai pagato quanto promesso ai creditori, i debiti ulteriori vengono automaticamente stralciati e tu sei libero. Questo senza bisogno di ulteriore istanza, a meno che qualcuno contesti gravi irregolarità.
  2. Esdebitazione a domanda dopo liquidazione: se invece vai in liquidazione controllata o giudiziale, al termine (o entro 3 anni dall’apertura, come previsto ora) devi presentare un’istanza al tribunale chiedendo l’esdebitazione. Allegando documenti che provano la tua condotta corretta (ad esempio l’inventario, le relazioni del curatore che dicono che hai cooperato, ecc.). Il tribunale, valutate le condizioni, emette decreto di esdebitazione. Dal 2024, come sottolineato, non è più richiesto nemmeno che i creditori siano stati pagati in parte (quindi anche se hanno preso zero, contano solo buona fede e decorrenza del periodo). Ci sono cause ostative: aver distratto beni, non aver conservato le scritture contabili senza giustificato motivo, aver fatto spese voluttuarie sproporzionate negli anni pre-crisi, ecc. Se nessuna di queste si verifica, il beneficio viene concesso.
  3. Esdebitazione del debitore incapiente: caso speciale in cui non possiedi nulla da liquidare e chiedi subito la liberazione dai debiti. Devi dimostrare di essere “incapiente” (nessun bene né reddito utile) e meritevole. Il tribunale può concederla immediatamente, con la condizione risolutiva di cui dicevamo: se entro 4 anni ottieni utilità, dovrai pagarle ai creditori in misura fino al 10% per riattivare i debiti, altrimenti vieni liberato definitivamente trascorsi i 4 anni senza novità. Questa è una sorta di esdebitazione anticipata “a costo zero”, introdotta proprio per evitare che chi è totalmente nullatenente porti il fardello per tutta la vita. È però ancora poco applicata e va usata con cautela.

In tutti i casi, l’esdebitazione non copre alcuni debiti: in particolare, le obbligazioni alimentari (es: assegni di mantenimento all’ex coniuge o ai figli) e le sanzioni (ammende, multe) restano dovute per legge (art. 280 CCII). Inoltre, se un creditore è stato colpito da tua eventuale frode, il suo credito può essere escluso dalla liberazione (non lo perdona insomma).
Per ottenere l’esdebitazione, la chiave è: comportati bene durante tutta la procedura. Ci sono stati casi in passato di diniego perché il fallito non aveva consegnato i documenti, o perché aveva accumulato debiti in modo “colposo” (es. continuando a giocare in borsa – Cass. 24509/2021). Ma la tendenza attuale, come evidenziato, è molto favorevole al debitore: la Cassazione nel 2024 ha confermato che le uniche cause di rifiuto sono quelle espressamente indicate dalla legge e non è permesso ai giudici aggiungerne altre discrezionali. Quindi se sei onesto ma sfortunato, l’ordinamento vuole darti la possibilità di ripartire, e l’esdebitazione è lo strumento per farlo.

D: Dopo l’esdebitazione posso ancora esercitare la mia professione?
R: Assolutamente . L’esdebitazione incide sui tuoi debiti, non sulle tue abilitazioni o qualifiche. Una volta ottenuta, i creditori passati non potranno più disturbarti (quei debiti sono “dimenticati”). Potrai anche rientrare in circuiti economici normali: ad esempio, richiedere nuovi finanziamenti (ovviamente all’inizio sarà difficile perché le banche vedranno nei database che hai avuto un’insolvenza pregressa, ma legalmente non c’è un impedimento). Dovrai però fare tesoro dell’esperienza: molte procedure di esdebitazione offrono counseling su educazione finanziaria, perché l’idea è non ricadere negli errori. Dal punto di vista professionale, come già detto, le procedure concorsuali non intaccano l’iscrizione all’Ordine. Se durante la procedura hai rispettato il Codice Deontologico (ad esempio mantenendo la continuità delle cure o trovando soluzioni per i pazienti in carico), non avrai nemmeno censure di categoria. Certo, se la tua insolvenza ha fatto scalpore sulla stampa locale, potrebbe esserci qualche pregiudizio da parte di nuovi pazienti o partner: sta a te ricostruire la fiducia spiegando magari che hai risolto i problemi e che ora l’attività è sana. A livello di legge, però, non esiste alcuna “pena accessoria” che ti impedisca di esercitare. Già con la riforma fallimentare del 2006 si abolirono le vecchie sanzioni personali. Oggi un esdebitato è una persona a tutti gli effetti reintegrata nel circuito economico. In più, il CCII prevede che l’esdebitazione ottenuta entro 3 anni favorisca il reinserimento veloce anche in ruoli imprenditoriali: ad esempio, se eri socio di società di persone fallita, una volta esdebitato puoi costituire nuove attività senza attendere lunghi periodi. Anche partecipare a gare pubbliche: dovrai eventualmente segnalare l’avvenuta procedura (per trasparenza), ma l’esdebitazione certifica che non hai debiti pendenti, dunque non sei “inaffidabile”. Alcuni albi o elenchi (es. concorsi pubblici) chiedono se uno ha subito procedure concorsuali: la legge attuale tende a vietare discriminazioni per questo motivo (principio della seconda opportunità, art. 279 CCII per gli imprenditori falliti). Quindi, in sintesi: dopo l’esdebitazione sei libero dai debiti e puoi continuare la tua carriera professionale, auspicabilmente con un’esperienza in più sulla gestione finanziaria. Non dimenticare, tuttavia, l’importanza di mantenere comportamenti corretti: un’abuso dell’accesso all’esdebitazione (cercare di farlo di nuovo entro pochi anni) non è permesso: devi attendere almeno 4 anni per richiederla di nuovo (8 se era incapiente). Pertanto, conviene davvero ripartire con prudenza e tenere i conti in ordine per il futuro.

Conclusione

Affrontare i debiti di uno studio ortopedico è un percorso impegnativo, ma come abbiamo illustrato esistono numerosi strumenti giuridici per difendersi efficacemente. L’ordinamento italiano – aggiornato alle riforme del 2022-2024 – mette a disposizione dei professionisti sovraindebitati procedure avanzate e flessibili: dal concordato minore, che blocca i pignoramenti e consente di ristrutturare l’attività, alla liquidazione controllata con successiva esdebitazione, che offre la liberazione dai debiti residui al debitore meritevole. È fondamentale agire per tempo, con l’assistenza di consulenti esperti in crisi d’impresa, per scegliere la strategia più adatta: negoziare informalmente quando possibile, oppure attivare la protezione del tribunale quando necessario.

Dal punto di vista del debitore, il messaggio chiave è che la crisi finanziaria non è la fine della strada. Grazie al principio della “seconda chance” riconosciuto anche a livello europeo, un fallimento economico può trasformarsi in un’opportunità di ristrutturazione e ripartenza. Certo, servono disciplina, trasparenza e collaborazione: il professionista indebitato dovrà dimostrare di agire in buona fede, mettendo sul piatto tutto il possibile per soddisfare i creditori, almeno in parte, e seguendo le regole procedurali. In cambio, potrà ottenere la tutela del suo nucleo familiare (con la conservazione dei beni primari, come la casa di abitazione e gli strumenti di lavoro entro i limiti di legge) e infine la cancellazione dei debiti pregressi, potendo così continuare ad esercitare la sua professione senza l’ombra costante dei creditori passati.

Abbiamo visto anche come la giurisprudenza recente supporti questo indirizzo: la Cassazione ha legittimato moratorie più lunghe nei piani purché trasparenti, ha affermato che anche una soddisfazione minima dei creditori può bastare per l’esdebitazione, e ha ribadito che il fulcro è la meritevolezza del debitore, non quanto ha pagato in percentuale. Sono segnali importanti per chi teme un giudizio morale sulla propria insolvenza: conta come ti comporti, non la sfortuna che hai avuto.

In conclusione, uno studio di ortopedia indebitato ha vari sentieri davanti a sé per difendersi:

  • Può rinegoziare e riorganizzare, evitando di arrivare al collasso.
  • Può attivare un concordato minore, congelando le pretese e costruendo un piano sostenibile (magari aiutato dalle nuove norme che gli consentono di tenersi casa e strumenti).
  • Se non vi sono soluzioni di continuità, può ricorrere alla liquidazione controllata, chiudere dignitosamente l’attività liquidando il possibile, e poi ottenere l’esdebitazione, tornando una persona libera di intraprendere di nuovo.
  • In casi estremi di indigenza, può persino ottenere l’esdebitazione senza nulla da offrire, sfruttando la disposizione innovativa sul debitore incapiente, a patto di essere stato leale e sinceramente sfortunato.

Ogni scelta comporta implicazioni legali e pratiche che vanno ponderate col supporto di professionisti (avvocati, commercialisti specializzati in crisi). Ma l’elemento fondamentale è la consapevolezza che la legge offre difese concrete ai debitori. Il tempo delle esecuzioni implacabili e dell’infamia perpetua per il debitore insolvente è superato: oggi l’obiettivo è equilibrio tra soddisfacimento dei creditori e recupero del debitore. Come un bravo ortopedico rimette in sesto un paziente con l’osso rotto, così gli strumenti giuridici giusti possono “raddrizzare” la situazione finanziaria di uno studio in dissesto, permettendogli di tornare a camminare sulle proprie gambe economicamente.

Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate:

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), come modificato dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024: articoli rilevanti 2, 67-88 (procedure da sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore), 268-283 (liquidazione controllata ed esdebitazione), 278-281 (esdebitazione post-liquidazione giud.), 74 co. 2-bis (mutuo prima casa in concordato minore) inserito da D.Lgs.136/2024, 80 (affidabilità del debitore nel concordato minore), 283 (esdebitazione debitore incapiente).
  • Codice di Procedura Civile: artt. 514-515 (beni mobili assolutamente e relativamente impignorabili, inclusi strumenti di professione); art. 543 e 545 (pignoramento presso terzi e limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni); art. 615 e 617 (opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi); art. 495 (conversione pignoramento in somme).
  • DPR 602/1973 (riscossione coattiva imposte): art. 76, co.1 lett. a) (divieto espropriazione prima casa da AER introdotto da DL 69/2013) interpretato da Cass. ord. 32759/2024.
  • Cassazione Civile:
    • Sent. Sez. I n. 576/2024 – conferma possibilità di moratoria oltre limite di legge con consenso dei creditori, enfatizzando valutazione convenienza piano e partecipazione parti.
    • Sent. Sez. I n. 2963/2024 – su affidabilità e diligenza del debitore come requisito per omologare concordato minore.
    • Ord. Sez. I n. 22699/2023 – esclude accesso al concordato minore all’imprenditore individuale cancellato volontariamente dal registro imprese (principio estensivo dalla L.F.).
    • Cass. Sez. Unite n. 3819/2021 – afferma compatibilità esdebitazione dei debiti IVA col diritto UE e principio di inclusione di tutti i debiti (richiamata in dottrina).
    • Sent. Sez. I n. 19964/2024 – chiarisce condizioni esdebitazione fallito: nessun divieto se condizioni di legge rispettate, indipendentemente dall’entità della soddisfazione creditori.
    • Ord. Sez. I n. 26303/2024 (9/10/2024) – stabilisce che pagamento anche del 4% dei crediti concorsuali non è irrilevante ai fini esdebitazione; conferma che parziale soddisfacimento, pur minimo, basta.
    • Sent. Sez. I n. 9549/2025 – sul piano del consumatore, interpretazione del termine annuale di moratoria come iniziale e non finale (si può pagare privilegiati oltre l’anno, basta iniziare entro un anno); esclude analogia col concordato preventivo per introdurre voto dei privilegiati nel piano del consumatore, data volontaria scelta legislatore di non farli votare; conferma possibilità falcidia dei privilegiati limitatamente alla capienza e declassamento del residuo a chirografo.
  • Corte di Giustizia UE: sentenza 8/05/2024 (C-20/23) – ha ritenuto che l’art. 23(4) direttiva 2019/1023 non consente di escludere dall’esdebitazione intere categorie di debiti diverse da quelle tassative (mantenimento, danni da reato, etc.), quindi no a esclusioni generalizzate di debiti tributari o previdenziali.
  • Tribunale di Ferrara, decreto 27/12/2024 – caso di rigetto concordato minore per debiti fiscali accumulati con “colpevole negligente gestione” e piano non affidabile, citato come applicazione pratica di Cass. 2963/2024.
  • Tribunale di Modena, decreto 1/05/2025 – interpretazione favorevole al debitore sull’accesso al concordato minore dell’imprenditore cancellato (difforme da Cass. 2023).
  • Tribunale di Rimini, decreto 7/01/2025 – sulla regola del trattamento “non deteriore” dei crediti fiscali/previdenziali nel concordato minore.
  • Linee guida Ministeriali e dottrina: indicazioni su adeguati assetti e doveri dell’imprenditore in crisi; interpretazioni dottrinali in Diritto della Crisi e altre riviste sul nuovo art. 75 co.2-bis CCII (mutuo casa); commentari sull’art. 283 CCII che definiscono “incapiente” il debitore senza utilità nemmeno futura.
  • Articoli di approfondimento e guide specialistiche (Fisco e Tasse, Il Sole 24 Ore, Diritto.it, avvocaticartellesattoriali.com) per dati aggiornati e esempi pratici: es. Servicematica, 15/04/2025“Crisi d’impresa, il correttivo 2024-2025 cambia le regole del gioco” (novità su moratoria 2 anni, reclamo nelle procedure, Cass. 576/2024 sulla trasparenza dilazioni); Servicematica, 11/10/2024“Esdebitazione valida anche col 4% dei debiti” (nota a Cass. 26303/2024, sottolineando che 4,09% non è irrisorio e confermando concessione beneficio); Avv. Monardo (Blog), 11/06/2025 – “Quali sono gli effetti del concordato minore” (descrizione chiara degli effetti: sospensione pignoramenti, riduzione debiti, completamento con esdebitazione; tabella requisiti soggettivi e riferimenti Cass. 22699/2023 e 2963/2024); – “Requisiti per istanza di esdebitazione” (concetti di base e principi generali dell’esdebitazione e seconda chance, riferimenti normativi aggiornatissimi).
  • Studio Cataldi, “Beni impignorabili” (elenco completo ex artt. 514-515 c.p.c., utile per confermare voci specifiche come strumenti professionali e limiti 1/5).
  • Avvocato Andreani news, 13/01/2025, “Prima casa impignorabile” (commento Cass. 32759/2024, efficacia retroattiva del divieto Equitalia e improcedibilità esecuzione pendente).

Studio di ortopedia con debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Il tuo studio di ortopedia sta affrontando debiti fiscali, contributivi o verso fornitori e banche?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi, avvisi di pagamento o pignoramenti sui conti aziendali?

Anche studi medici ben avviati possono trovarsi in crisi economica a causa di investimenti elevati in apparecchiature diagnostiche, aumento dei costi di gestione, ritardi nei pagamenti da parte di enti o assicurazioni, oppure contenziosi fiscali. In queste situazioni, la legge offre strumenti concreti per proteggere l’attività, bloccare i creditori e ristrutturare i debiti.


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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto nella tutela di studi medici e professionali in crisi economica

✔️ Specializzato in sovraindebitamento, diritto fallimentare e contenzioso tributario

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Conclusione
Anche uno studio di ortopedia con debiti può riprendersi e tornare a operare serenamente.
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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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