Ex socio di negozio di articoli sportivi con debiti: cosa fare per difendersi

Sei un ex socio di un negozio di articoli sportivi e ti ritrovi con debiti da pagare?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi, pignoramenti o solleciti per finanziamenti, forniture o tasse non pagate dal negozio e temi di dover rispondere con il tuo patrimonio personale? In questi casi è fondamentale sapere quali sono le tue responsabilità effettive, come difenderti legalmente e quali strumenti puoi usare per ridurre o chiudere i debiti.

Quando un ex socio può ritrovarsi con debiti del negozio
– Quando era socio di una società di persone (SNC o SAS) e risponde ancora in solido dei debiti contratti durante il periodo di partecipazione
– Quando ha prestato garanzie personali (fideiussioni) per mutui, leasing o forniture del negozio
– Quando il recesso dalla società non è stato formalizzato correttamente e i creditori continuano a richiedere il pagamento
– Quando, pur avendo ceduto le quote, restano in sospeso pendenze fiscali o contributive maturate in precedenza
– Quando vertenze o cause legali relative alla vecchia gestione si concludono con condanne al pagamento

Cosa può accadere a un ex socio con debiti
– Pignoramento di conti correnti e beni personali
– Iscrizione di ipoteche su immobili di proprietà
– Pignoramento presso terzi dei crediti vantati verso datori di lavoro o altri soggetti
– Segnalazione come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie
– Aumento dell’importo dovuto per interessi e spese legali

Cosa può fare un ex socio di negozio di articoli sportivi per difendersi dai debiti
– Far verificare da un avvocato la natura dei debiti e la propria effettiva responsabilità, valutando se vi sono importi prescritti o contestabili
– Se si tratta di cartelle esattoriali, valutare la possibilità di rateizzazione, rottamazione o saldo e stralcio
– In caso di debiti eccessivi, valutare la procedura di sovraindebitamento per ridurre o azzerare legalmente le somme dovute
– Trattare con banche e fornitori un accordo di rientro che eviti ulteriori azioni esecutive
– Revocare o contestare eventuali fideiussioni se ci sono i presupposti
– Proteggere beni personali e familiari con strumenti giuridici legittimi

Cosa può ottenere un ex socio con la giusta assistenza legale
– L’esclusione dalla responsabilità per debiti contratti dopo l’uscita dalla società
– La sospensione di pignoramenti e azioni esecutive in corso
– La riduzione del debito complessivo tramite accordi o procedure giudiziarie
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La chiusura definitiva delle posizioni debitorie e la possibilità di ripartire senza vincoli

Attenzione: anche se non fai più parte della società, potresti essere ancora responsabile per i debiti maturati durante la tua partecipazione o per quelli garantiti personalmente. Per questo è essenziale agire subito, verificare la tua reale posizione e attivare gli strumenti di difesa disponibili.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti commerciali, responsabilità degli ex soci e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se sei un ex socio di un negozio di articoli sportivi con debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la situazione.

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Introduzione

Essere un ex socio di un negozio di articoli sportivi (o di qualunque attività d’impresa) alle prese con i debiti della società può generare numerosi dubbi e preoccupazioni. Dal punto di vista giuridico, la posizione dell’ex socio debitore è complessa: occorre districarsi tra norme di diritto societario, responsabilità personali per le obbligazioni sociali, e gli strumenti di tutela del patrimonio e di esdebitazione (liberazione dai debiti) previsti dall’ordinamento italiano. In questa guida – aggiornata a luglio 2025 – affronteremo dettagliatamente cosa rischia l’ex socio di una società con debiti e come può difendersi, con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro e divulgativo. Il focus sarà sul punto di vista del debitore, ossia del socio uscente che si trova inseguito dai creditori, tenendo conto sia delle esigenze di avvocati e professionisti sia di privati imprenditori.

Esamineremo anzitutto come varia la responsabilità per i debiti a seconda del tipo di società (società di persone come S.n.c. o S.a.s., vs società di capitali come S.r.l.), distinguendo le situazioni prima e dopo l’uscita del socio. Approfondiremo poi le possibili azioni dei creditori (fornitori, banche, Fisco, ecc.) nei confronti dell’ex socio e le relative strategie difensive che quest’ultimo può adottare, sia in sede stragiudiziale che giudiziale. Verranno illustrati gli strumenti offerti dalla legge per gestire o azzerare i debiti, come le procedure di sovraindebitamento introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche), incluse le novità recentissime (ad esempio la “esdebitazione del debitore incapiente” introdotta nel 2023/2024). Non mancheranno tabelle riepilogative per confrontare le varie situazioni, esempi pratici e domande e risposte per chiarire i dubbi più frequenti. Al termine, una sezione elencherà tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, comprese le sentenze più recenti (fino al 2025) della Corte di Cassazione rilevanti in materia.

Nota bene: le responsabilità e tutele qui descritte riguardano la normativa italiana e situazioni tipiche in Italia. Il caso tipico considerato è quello di un socio che è uscito dalla società (mediante recesso o cessione della propria quota) e che si trova di fronte a debiti contratti dalla società stessa. Ogni caso concreto può presentare particolarità: è sempre consigliabile farsi assistere da un esperto (avvocato o commercialista) per valutare la propria posizione specifica. Questa guida fornirà comunque un quadro avanzato e aggiornato al 2025 per orientarsi sulle possibili responsabilità e soluzioni difensive a disposizione dell’ex socio debitore.

Tipologie di società e responsabilità dei soci

Il primo fattore da considerare è il tipo di società di cui facevi parte. In Italia esiste una differenza fondamentale tra le società di persone (come la società in nome collettivo, S.n.c., e la società in accomandita semplice, S.a.s.) e le società di capitali (come la società a responsabilità limitata, S.r.l., o la S.p.A.). Questa differenza incide direttamente sulla responsabilità personale dei soci per i debiti sociali:

  • Nelle società di persone, vige normalmente la responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni della società. Ciò significa che tutti i soci (almeno quelli accomandatari, nel caso di S.a.s.) rispondono con tutto il proprio patrimonio personale dei debiti della società, e ciascun socio può essere chiamato a pagare l’intero debito sociale (salvo poi il diritto di rivalersi sugli altri soci per la quota di competenza). Un eventuale patto interno che limiti la responsabilità di uno dei soci non ha effetto verso i creditori terzi.
  • Nelle società di capitali, vige invece la responsabilità limitata: i soci non rispondono con il proprio patrimonio personale delle obbligazioni sociali, ma rischiano solo il capitale investito (quote o azioni sottoscritte). I creditori della società possono far valere i loro diritti solo sul patrimonio sociale della società stessa. Fa eccezione il caso in cui la società venga cancellata (estinta) con debiti non pagati: in tal caso la legge consente ai creditori di agire contro i soci entro certi limiti (come vedremo, principalmente nei limiti di quanto da essi eventualmente riscosso in sede di liquidazione).

Di seguito, una tabella riassume le principali differenze:

Tabella 1 – Responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali in base al tipo di società

Tipo di societàResponsabilità dei soci durante la societàResponsabilità dei soci dopo l’uscita o scioglimento
Società di persone (S.n.c., S.a.s. – soci accomandatari)Illimitata e solidale. Tutti i soci rispondono con tutto il proprio patrimonio dei debiti sociali. I creditori possono agire direttamente sui soci (fermo restando il patrimonio sociale).L’ex socio rimane responsabile dei debiti sorti fino alla data di uscita. Dopo l’uscita, non risponde di nuovi debiti (vedi infra), salvo obblighi non ancora noti insiti in quelli precedenti. In caso di scioglimento/cancellazione, i soci illimitati restano responsabili in via sussidiaria di tutti i debiti residui (potranno poi rivalersi sugli altri soci pro-quota).
Società di personesoci accomandanti (S.a.s. limitatamente responsabili)Limitata al conferimento. Il socio accomandante (che non partecipa alla gestione) risponde solo nei limiti della quota conferita in società (di norma già versata). Non ha obbligazioni ulteriori verso i creditori sociali, salvo abbia ingerito nella gestione (perdendo la limitazione).Dopo l’uscita, non risponde di alcun debito sociale (già prima era limitato al conferimento). In caso di scioglimento, tuttavia, anche il socio accomandante può essere chiamato a rispondere fino a concorrenza di quanto abbia eventualmente percepito in sede di liquidazione (es.: se ha riscosso somme dall’attivo finale). Non oltre tali somme.
Società di capitali (S.r.l., S.p.A., coop)Limitata al capitale sottoscritto. I soci non rispondono personalmente: i creditori possono rivalersi solo sui beni della società. Il patrimonio personale dei soci è separato (autonomia patrimoniale perfetta).L’ex socio non è personalmente obbligato per i debiti della società, né pregressi né successivi, salvo i casi previsti dalla legge: p.es. se la società viene estinta con debiti, i creditori possono agire contro i soci entro il limite delle somme o beni ricevuti dai soci medesimi in sede di liquidazione. (In pratica, il socio di S.r.l. risponde al massimo fino a quanto incassato con distribuzione di utili o attivo finale; se non ha ricevuto nulla, non può essergli chiesto nulla). Restano inoltre le responsabilità extravaganti, ad es. garanzie personali prestate dal socio, o obblighi risarcitori per illeciti dei soci/amministratori, che prescindono dal ruolo di mero socio.

Legenda: illimitata = il socio risponde con tutto il proprio patrimonio, senza limiti di importo; solidalmente = ciascun socio può essere chiamato a pagare l’intero debito sociale (il socio che paga potrà poi chiedere agli altri la loro parte); sussidiaria = i creditori devono prima escutere il patrimonio sociale e, se insufficiente, possono rivolgersi ai soci; limitata = il socio risponde solo fino a un certo ammontare (es. conferimento sottoscritto o somme ricevute).

Come emerge dalla tabella, la forma giuridica della società incide enormemente: un socio di S.n.c. o accomandatario di S.a.s. è esposto (anche dopo l’uscita) al pagamento integrale dei debiti sociali non onorati dalla società, mentre un ex socio di S.r.l. di regola non può essere obbligato oltre a quanto eventualmente ricevuto dalla società stessa. Ci concentreremo soprattutto sul caso più problematico – l’ex socio illimitatamente responsabile – senza trascurare le peculiarità delle altre situazioni.

Prima di addentrarci nei dettagli della posizione dell’ex socio, è utile chiarire brevemente come si può uscire da una società e quale effetto ciò produce sul rapporto sociale e sui terzi creditori.

Uscita del socio: recesso e cessione della quota

Si parla di “ex socio” in genere perché il soggetto ha perso la qualità di socio prima che emergesse (o venisse richiesto) il pagamento di debiti sociali. Le modalità tipiche di uscita sono:

  • il recesso: facoltà unilaterale di uscire dalla società, esercitabile nei casi previsti dalla legge o dal contratto sociale (ad esempio, nelle società di persone a tempo indeterminato, il socio può recedere con preavviso; nelle S.r.l., il recesso è ammesso in alcune ipotesi stabilite per legge o dallo statuto). Il recesso comporta lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a quel socio: la società continua con gli altri, mentre al socio uscente va liquidata la sua partecipazione (pagandogli il valore della quota, salvo diversi accordi).
  • la cessione della quota: vendita o trasferimento a titolo oneroso (o anche gratuito) della propria partecipazione sociale a un altro soggetto. Nelle società di persone ciò spesso richiede il consenso degli altri soci e una modifica del contratto sociale; nelle S.r.l. la quota può essere ceduta per atto notarile a un terzo o a soci esistenti, con conseguente ingresso del cessionario al posto del cedente.

In entrambi i casi, il risultato è che Tizio smette di essere socio della società a una certa data. Da quel momento, cessano i suoi poteri di gestione, i suoi diritti agli utili futuri, ma occorre capire cosa accade alle obbligazioni sociali (debiti) che sono sorti prima e dopo tale evento.

La legge (codice civile) detta una regola fondamentale all’art. 2290 c.c., applicabile alle società di persone (e per richiamo anche alle S.n.c. e S.a.s.):

“Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi […] è responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato”.

Questa disposizione, in parole semplici, significa due cose:

  1. Limite temporale di responsabilità: il socio uscente (o i suoi eredi, in caso di morte) risponde dei debiti della società fino alla data della sua uscita. Non è responsabile, invece, per le obbligazioni sorte dopo quello scioglimento (cioè successivamente alla sua cessazione come socio).
  2. Opponibilità ai terzi: l’uscita del socio deve essere resa pubblica o comunque portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (p.es. con l’iscrizione dell’atto di recesso o cessione nel Registro delle Imprese). In mancanza di adeguata pubblicità, l’uscita non può essere opposta ai terzi che abbiano ignorato senza colpa il cambiamento. Ciò tutela l’affidamento dei creditori: un terzo che abbia continuato a contrarre con la società credendo che Tizio ne fosse ancora socio (perché nessuna informazione pubblica diceva il contrario) potrà considerare Tizio ancora responsabile verso di lui.

È dunque cruciale che l’uscita del socio sia formalizzata e pubblicizzata correttamente. Nella pratica:

  • per le società iscritte al Registro delle Imprese (S.n.c., S.a.s., S.r.l., ecc.), l’atto di recesso unilaterale o il trasferimento della quota sociale deve essere depositato e iscritto nel Registro tenuto dalla Camera di Commercio. L’iscrizione rende l’evento legale e conoscibile da chiunque (pubblicità legale) a partire dalla data di iscrizione. Ad esempio, la Cassazione ha precisato che il socio che cede la propria quota o recede risponde verso i terzi solo delle obbligazioni sorte fino al momento in cui la cessione o recesso siano stati iscritti nel Registro delle Imprese, o fino al momento anteriore in cui il terzo abbia avuto effettiva conoscenza dell’uscita.
  • se un creditore contrattuale della società viene direttamente informato (per iscritto) dell’uscita di Tizio, da quel momento non potrà più fare affidamento sulla sua responsabilità per nuovi rapporti. Ma è sempre prudente procedere all’iscrizione camerale comunque, perché molti creditori fanno affidamento su quanto risulta dal Registro.
  • in generale, la pubblicità costituisce un “fatto impeditivo” della responsabilità altrimenti gravante sul socio uscente; l’onere di allegare e provare di aver reso nota ai terzi la propria uscita (es. mediante certificato camerale aggiornato) ricade sul socio medesimo, qualora voglia andare esente da responsabilità per debiti successivi.

Oltre alla registrazione, attenzione alla ragione sociale: nelle società di persone, la denominazione spesso contiene il cognome di uno o più soci. Se il nome dell’ex socio rimane nella ragione sociale con il suo consenso, può ingenerarsi nei terzi la convinzione che egli faccia ancora parte della società. La legge (art. 2314 c.c. per le accomandite, ma il principio è generale) stabilisce che se un accomandante consente che il proprio nome sia compreso nella ragione sociale, assume responsabilità illimitata verso i creditori. Allo stesso modo, la Cassazione ha di recente affermato che l’ex accomandatario di una S.a.s., il cui nome sia rimasto nella ragione sociale anche oltre un anno dalla sua uscita, può essere dichiarato fallito e risponde illimitatamente dei debiti contratti dalla società nel periodo in cui il nome è rimasto nell’intestazione, a prescindere dal fatto che i terzi sapessero della sua uscita. Conclusione: se esci da una società di persone il cui nome includeva il tuo, assicurati che venga subito modificata la ragione sociale eliminando il tuo nome, oltre a formalizzare l’uscita. In caso contrario potresti essere considerato responsabile come “socio apparente” per il solo fatto che il tuo nome campeggia ancora sull’insegna o negli atti ufficiali.

Riassumendo, recesso o cessione della quota segnano il momento di uscita del socio; da quel momento:

  • Debiti pregressi: l’ex socio rimane responsabile per quelli già esistenti (vedremo in dettaglio a breve).
  • Nuovi debiti: l’ex socio non dovrebbe risponderne, purché l’uscita sia stata resa nota (altrimenti i creditori in buona fede possono ancora chiamarlo in causa).
  • Liquidazione della quota: nel caso di recesso, il socio ha diritto a una somma pari al valore della propria partecipazione, al netto di tutto quanto è dovuto ai creditori sociali (i crediti dei terzi hanno priorità). Qualsiasi attribuzione all’ex socio che leda il diritto dei creditori può essere contestata. Ad esempio, se la società ti liquida la quota mentre ha debiti non pagati, quei creditori potranno rivalersi su di te almeno fino a concorrenza di quanto incassato (come una sorta di “risposta patrimoniale” per ciò che hai prelevato).

Chiariti questi aspetti generali, possiamo ora analizzare due scenari distinti: i debiti sorti prima dell’uscita e i debiti sorti dopo l’uscita del socio, verificando in che misura l’ex socio ne risponda e con quali difese.

Debiti sorti prima dell’uscita: responsabilità dell’ex socio

Se un’obbligazione (un debito) è sorta quando eri ancora socio, la regola generale è che tu ne rimani responsabile anche dopo la tua uscita. Ciò vale soprattutto se eri socio di una società di persone a responsabilità illimitata (S.n.c. o socio accomandatario di S.a.s.): in tal caso, infatti, già in origine eri obbligato personalmente verso i creditori per quei debiti, in forza della responsabilità solidale e illimitata prevista dagli artt. 2291-2292 c.c.. La tua uscita non cancella queste obbligazioni pregresse nei confronti dei terzi. Vediamo meglio:

  • Società in nome collettivo (S.n.c.): il socio uscente risponde di tutti i debiti sociali sorti fino al giorno in cui è avvenuto lo scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti. Sorte significa che la causa del debito (il contratto, l’atto o il fatto illecito che genera l’obbligazione) si è verificata prima della tua uscita. Ad esempio, se la società aveva stipulato un contratto di fornitura o un mutuo bancario quando tu eri socio, l’obbligazione di pagare quei fornitori o la banca ti riguarda, anche se le scadenze di pagamento sono fissate dopo la tua uscita. Allo stesso modo, se la società ha causato un danno o assunto un’obbligazione legale (es. un debito tributario) durante la tua permanenza, ne rispondi. Non conta che il pagamento sia richiesto quando tu ormai sei uscito: rileva il momento in cui l’obbligazione è sorta (contratta). La Cassazione ha infatti chiarito che il recesso del socio non esclude affatto la sua responsabilità per gli obblighi sociali validamente assunti dall’ente prima del recesso. In sostanza, uscire dalla società non fa magicamente sparire i debiti che già c’erano.
  • Società in accomandita semplice (S.a.s.): se eri un accomandatario (socio gestore illimitatamente responsabile), vale lo stesso principio della S.n.c. Sopporterai quindi i debiti sorti fino alla data di efficacia del tuo recesso o cessione. Se invece eri un accomandante, per definizione non avevi responsabilità personale verso i creditori (se non per la quota conferita); pertanto, per i debiti sorti prima della tua uscita, in teoria non rispondi oltre a quanto già eventualmente versato in società. Va però verificato di non aver svolto di fatto attività gestionale: un accomandante che agisce come amministratore perde la limitazione e viene trattato alla stregua di un accomandatario illimitatamente responsabile (art. 2320 c.c.).
  • Società a responsabilità limitata (S.r.l.): il socio (in quanto tale) non è responsabile dei debiti sociali sorti prima della sua uscita, così come non lo era neppure prima. In una S.r.l., i debiti della società restano della società. Dunque, se Tizio aveva il 50% di una S.r.l. ed esce cedendo la quota a Caio, un debito verso un fornitore contratto mentre Tizio era socio non può essere richiesto a Tizio personalmente (a meno che Tizio avesse assunto separatamente un’obbligazione, come una garanzia personale, di cui diremo). Il creditore potrà agire contro la S.r.l. e, semmai, escutere la società e i suoi beni; ma non può pretendere il pagamento da Tizio solo perché era socio al tempo. Eccezione: se la S.r.l. dovesse poi sciogliersi e cancellarsi senza pagare quel debito, il creditore può rifarsi sui soci, ma nei limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). In altri termini, se la società viene liquidata distribuendo dei beni o somme ai soci, i creditori insoddisfatti possono chiederne la restituzione pro-quota dai soci; ma se la società non ha distribuito nulla (perché magari insolvente), il socio di S.r.l. non è tenuto a ripianare di tasca propria. Su questo punto torneremo parlando di società estinte.

In qualità di ex socio illimitatamente responsabile, quindi, potresti essere chiamato dai creditori a pagare debiti antecedenti alla tua uscita. Cosa possono fare i creditori e che difese hai?

Azione diretta e beneficium excussionis: i creditori sociali, in virtù della solidarietà, possono in teoria agire direttamente contro un socio (anche ex socio) per il pagamento. Tuttavia, il socio convenuto può eccepire il beneficio di escussione preventiva (art. 2268 c.c.), cioè chiedere che prima siano escussi i beni della società. Questo “beneficio” opera però solo come dilazione tattica: il creditore dovrà dimostrare che il patrimonio sociale è insufficiente a soddisfare il debito, dopodiché il socio torna ad essere esposto in prima persona. Nella pratica, se la società è insolvente o non paga, opporre il beneficio può solo rallentare la procedura, ma non evitarti il pagamento. Inoltre, se la società è stata già cancellata o cessata, non c’è un patrimonio sociale escutibile, per cui il creditore potrà rivolgersi immediatamente ai soci. In ogni caso, ricorda che l’onere di provare di essere uscito prima che il debito sorgesse (o di provare l’avvenuta pubblicità dell’uscita) è tuo, se vuoi sottrarti ai debiti successivi: per i debiti pre-uscita questa difesa non è spendibile (eri socio all’epoca, quindi sei obbligato).

Diritto di regresso: se l’ex socio finisce per pagare un debito sociale interamente, egli ha il diritto di chiedere agli altri soci (che erano obbligati per quel debito) di rimborsargli la loro parte. Ad esempio, Tizio e Caio erano soci illimitati al 50%. Se un creditore sociale esige €100.000 da Tizio e Tizio li paga da solo, Tizio potrà poi agire in regresso contro Caio per €50.000 (la quota di competenza di Caio). Il regresso può essere esercitato sia verso i soci attuali sia, presumibilmente, verso gli altri ex soci che erano obbligati al tempo. Naturalmente, ciò presuppone che gli altri soci siano solvibili; spesso, purtroppo, accade che il socio più solvibile (o più facilmente aggredibile) paga e gli altri sono nullatenenti o irreperibili, lasciandolo a bocca asciutta. Ma il principio è riconosciuto dal codice (art. 1299 c.c. in tema di condebitori solidali) e dalla giurisprudenza. Anche in una recente sentenza, ad esempio, è stato ribadito che il socio illimitatamente responsabile che paghi un debito sociale ha azione di regresso verso gli altri soci per la parte di ciascuno (principio pacifico).

Accordi interni di manleva: se hai ceduto la tua quota ad altri (ad es. al nuovo socio subentrante) spesso l’atto di cessione contiene clausole in cui l’acquirente si impegna a farsi carico dei debiti sociali futuri o anche di quelli presenti, manlevando (tenendo indenne) il venditore. È importante capire che tali patti valgono solo tra le parti (cedente e cessionario) ma non vincolano i creditori: questi potranno comunque rivalgersi su di te ex socio per i debiti pregressi, e in tal caso l’unica utilità del patto è che poi potrai chiedere al nuovo socio di rimborsarti quanto hai dovuto pagare (azione di manleva basata sul contratto). Simili considerazioni valgono se la tua uscita è avvenuta per recesso con liquidazione della quota: può darsi che nell’accordo di recesso la società (o i soci rimasti) abbiano dichiarato di accollarsi i debiti e liberarti; ciò tuttavia non impedisce al creditore di esigere il pagamento anche da te (che per lui resti coobbligato), salvo poi eventualmente tu possa rivalerti internamente.

Esempio pratico 1: Mario era socio al 40% di una S.n.c. “Sport Gamma”, assieme ai soci Luigi (al 40%) e Anna (20%). Nel 2022 Mario recede dalla società. All’epoca del recesso, la società aveva un debito di €50.000 verso un fornitore di attrezzature sportive (per merce consegnata nel 2021). Nel 2024, quel fornitore – non avendo ricevuto i pagamenti dalla società – decide di agire contro Mario, in quanto co-obbligato solidale. Mario è effettivamente tenuto a pagare? – Sì, perché si tratta di un debito sorto quando egli era ancora socio (2021). Il recesso non lo libera da tale obbligo. Mario potrà chiedere, eventualmente, che il fornitore escuta prima la società “Sport Gamma” e i soci attuali, ma se questa è inattiva o insolvente, il fornitore può legittimamente pretendere da Mario l’intero importo. Dopo aver pagato, Mario avrà diritto di chiedere a Luigi e Anna di rimborsare la loro quota parte (interna) del debito – 40% Luigi, 20% Anna – ossia €20.000 da Luigi e €10.000 da Anna. Se Luigi e Anna però non hanno beni aggredibili, Mario subirà in definitiva il danno economico maggiore. L’unica consolazione per Mario sarebbe se nell’atto di recesso Luigi e Anna si erano impegnati a pagare quel fornitore: in tal caso Mario potrà citarli in giudizio invocando la manleva contrattuale, ma agli occhi del fornitore ciò non rileva (lui può comunque escutere Mario direttamente).*

In sintesi, per i debiti pre-uscita la posizione dell’ex socio illimitatamente responsabile è praticamente la stessa che aveva da socio: resta obbligato in solido con la società e gli altri soci. Le sue difese verso i creditori sul merito del debito sono limitate (può contestare eventualmente l’esistenza o l’ammontare del debito, ma non certo la titolarità, visto che era socio quando è nato). Può tuttavia:

  • assicurarsi di aver documenti che provino la data effettiva della sua uscita, così da circoscrivere chiaramente quali obbligazioni sono “pregresse” e quali “successive”;
  • se convenuto in giudizio o destinatario di un decreto ingiuntivo, valutare con l’avvocato eventuali eccezioni tecniche (prescrizione del debito, vizi formali nell’azione del creditore, ecc.) oltre eventualmente eccepire il beneficio di escussione;
  • cercare di coinvolgere gli altri coobbligati (soci attuali) facendoli intervenire nel giudizio, oppure informando il creditore dell’esistenza di altri patrimoni aggredibili (a volte il creditore può ignorare chi siano i soci attuali e conviene renderglielo noto per non apparire come unico bersaglio);
  • prepararsi eventualmente ad azioni di regresso o manleva post-pagamento, come già detto.

NB: Se i debiti pre-uscita sono debiti fiscali o verso enti (Es. debiti tributari, contributi INPS, ecc.), esistono particolarità che tratteremo in seguito nella sezione dedicata ai debiti verso il Fisco. In generale, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate o l’ente di riscossione può richiedere le imposte non pagate ai soci illimitatamente responsabili per il periodo in cui erano in carica, e la tua uscita non ti protegge per i debiti fiscali maturati prima.

Passiamo ora al caso opposto, quello più favorevole all’ex socio: i debiti sorti dopo la sua uscita.

Debiti sorti dopo l’uscita: esclusione della responsabilità dell’ex socio

Come anticipato, uno dei principi cardine sanciti dall’art. 2290 c.c. è che il socio uscente non è responsabile per le obbligazioni sociali sorte dopo lo scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti. In altre parole, se il debito nasce quando tu non sei più socio, quel debito non dovrebbe riguardarti. Questa regola tutela il socio uscente dal dover rispondere di attività compiute dalla società in un momento successivo alla sua partecipazione.

Per rendere concreto il concetto, consideriamo un esempio tipico: la società aveva stipulato un contratto di locazione (affitto del locale commerciale). Tu eri socio quando il contratto è stato firmato, ma poi recedi. Dopo la tua uscita, la società continua ad usare l’immobile e maturano canoni di affitto mensili. I canoni scaduti dopo la data della tua uscita sono da considerarsi “obbligazioni sorte successivamente” (pur discendendo da un contratto precedente). Ebbene, secondo la Cassazione, non ne rispondi tu, ma solo la società e i soci rimasti. Proprio una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 29306/2023) ha stabilito che, una volta accertata la regolare pubblicità dello scioglimento del rapporto sociale con un socio (nel caso di specie, tramite esercizio del recesso e iscrizione nel registro delle imprese), quel socio risponde solo dei canoni di locazione maturati fino alla data dello scioglimento e deve escludersi qualsiasi sua responsabilità per i canoni successivi alla cessazione del rapporto. Non rileva che il contratto fosse stato originariamente sottoscritto quando egli era socio; ciò che conta è il momento in cui sorge la singola obbligazione di pagamento (i canoni mensili, successivi all’uscita).

Questo principio si applica in generale: se dopo che te ne sei andato, la società contrae nuovi debiti (nuovi fornitori, nuovi finanziamenti, nuove obbligazioni di qualsiasi tipo), tu sei estraneo a tali vicende. I creditori non possono chiamarti in causa per quei nuovi rapporti, in quanto tu non eri parte (né diretta né “di fatto”) della società al momento.

Attenzione: condizione essenziale è che la tua uscita sia stata resa pubblica o comunque conosciuta ai terzi, come spiegato in precedenza. Infatti, se un terzo ignorava in buona fede che tu fossi uscito, perché ad esempio la notizia non era stata iscritta al Registro Imprese, la legge gli consente di considerarti ancora socio e quindi responsabile. In pratica, l’uscita “non opponibile” ai terzi ignari equivale a dover rispondere anche di quei debiti successivi, come se tu fossi rimasto socio. Questa è una situazione che ovviamente va evitata curando la pubblicità dell’evento. Se però dovesse capitare (es: dimenticanza di iscrivere la cessazione, o ritardo, e nel frattempo la società fa nuovi debiti), potresti sotto-profilo difensivo provare che quel terzo in realtà sapeva che non eri più socio, oppure contestare l’assenza di “buona fede” nel suo ignorare la tua uscita. Ma sono questioni probatorie complesse, per cui molto meglio poter esibire un certificato camerale con la data di cessazione antecedente al sorgere del debito. In generale, l’onere della prova che lo scioglimento del rapporto sociale è stato reso noto ai terzi grava sul socio uscente che voglia eccepirlo per escludere la propria responsabilità.

Riassumendo la posizione dell’ex socio rispetto ai debiti post-uscita:

  • Socio illimitatamente responsabile (S.n.c./S.a.s.): non risponde dei debiti che la società ha contratto dopo la sua uscita (recesso/cessione), purché l’uscita sia stata regolarmente pubblicizzata. Se la pubblicità è avvenuta (es. iscrizione Registro Imprese), l’ex socio può opporre la sua estraneità a qualsiasi richiesta di pagamento per obbligazioni successive. Ad esempio, Cass. 29306/2023 citata sopra conferma espressamente la “limitazione di responsabilità” del socio receduto ai soli debiti fino alla data di recesso, escludendo la persistenza di responsabilità per i debiti (canoni) sorti dopo.
  • S.r.l. (socio di società di capitali): come già detto, in realtà il socio di S.r.l. non è responsabile né prima né dopo. Quindi per un ex socio di S.r.l. la questione dei debiti post-uscita non si pone, se non nei termini di eventuali garanzie personali (es. se aveva garantito un prestito, rimane vincolato fino a revoca) o altri vincoli contrattuali che prescindono dal suo status. Ma se non vi sono garanzie, l’ex socio di S.r.l. non dovrà rispondere di nuovi debiti contratti dalla società dopo la cessione della sua quota.
  • Casi particolari: come visto, se il tuo nome è rimasto nella ragione sociale e un terzo ha potuto credere tu fossi ancora socio, la tua responsabilità per i debiti post-uscita potrebbe comunque essere affermata in giudizio (sulla base dell’art. 2314 c.c. e dei principi di apparenza). Inoltre, se hai continuato ad ingerirti nella gestione societaria anche dopo l’uscita formale, potresti essere ritenuto un socio occulto o un gestore di fatto e incorrere in responsabilità (ma questo esula dal caso del socio completamente estraneo dopo la cessazione).

Esempio pratico 2: Chiara era socio accomandatario di una S.a.s. “Sport Beta”. Cede la sua quota nel gennaio 2023, con regolare atto notarile iscritto a febbraio 2023. Nel corso del 2023 e 2024, la società “Sport Beta” (senza Chiara) contrae nuovi debiti verso fornitori e accumula anche debiti IVA. Nel 2025 alcuni di questi creditori, vedendo ancora il nome “Chiara Rossi & C. S.a.s.” su fatture e documenti (perché la ragione sociale non è stata modificata), si rivolgono a Chiara chiedendole il pagamento. Chiara dovrà pagare questi debiti? – In linea di principio no, perché sono sorti dopo la sua uscita. Tuttavia, due cose giocano a suo sfavore: (a) la società ha lasciato il suo nome nella ragione sociale, creando confusione; (b) alcuni creditori potrebbero non essere stati informati del cambio. In sua difesa, Chiara potrà esibire la visura camerale che mostra la sua uscita dal febbraio 2023, eccependo che i crediti sono successivi e che la presenza del suo nome nella ragione sociale è un fatto puramente formale di cui lei non è più responsabile (anzi, potrebbe sostenere di non aver prestato consenso all’uso del nome, se riesce a provarlo). Se però i creditori dimostrano di aver fatto affidamento sul nome in buona fede, Chiara rischia – quantomeno – complicazioni processuali. È verosimile che per i debiti nascenti dopo la sua uscita Chiara venga sollevata, purché sia chiaro il quando sono sorti. Per i debiti IVA (tributari) è diverso: l’Agenzia delle Entrate potrebbe notificarle cartelle per annualità in cui risulta ancora socia (fino al 2023 incluso) ma non per il 2024/25; in caso di errore, Chiara dovrà fare opposizione dimostrando la sua estraneità nel periodo successivo.*

Come si vede, nella prassi tutto dipende dalla documentazione e comunicazione. È buona norma che il socio uscente:

  • verifichi sempre l’avvenuta iscrizione della propria cessazione al Registro delle Imprese (richiedendo una visura aggiornata);
  • comunichi ai principali creditori con cui aveva rapporti (es. banche, fornitori strategici, locatori) di aver lasciato la società, così da evitare malintesi;
  • si premuri che la società modifichi tempestivamente la propria ragione sociale e intestazioni se queste lo citavano;
  • conservi copia di tutti gli atti (atto di cessione, recesso, ricevute di protocollazione in CCIAA, eventuali comunicazioni ai creditori) da poter esibire in caso di contestazioni.

Se queste precauzioni sono state prese, l’ex socio potrà efficacemente chiamarsi fuori dai debiti sopravvenuti dopo la sua uscita. In tribunale, una volta dimostrato di essere uscito prima, la domanda del creditore verso di lui verrà rigettata in quanto infondata (manca il presupposto della sua qualità di socio al tempo del sorgere dell’obbligo).

Riepilogo: l’ex socio risponde solo dei debiti sorti durante la sua appartenenza alla società. I debiti sorti successivamente non gli competono, purché la sua uscita sia stata resa opponibile ai terzi. Questo principio ti consente di delimitare la tua esposizione temporale e di difenderti efficacemente dalle pretese indebite di creditori su fatti posteriori.

Nei paragrafi seguenti esamineremo quali tipi di azioni possono intraprendere i creditori contro l’ex socio e come questi può difendersi, nonché le particolarità dei debiti fiscali (dove intervengono norme ad hoc). Successivamente, passeremo agli strumenti di esdebitazione e sovraindebitamento che il socio debitore ha a disposizione se i debiti sono eccessivi per le sue possibilità.

Cosa rischia l’ex socio: azioni dei creditori e conseguenze patrimoniali

Vediamo ora in pratica quali iniziative possono assumere i vari creditori nei confronti di un ex socio debitore e quali sono i rischi concreti per il suo patrimonio. Distingueremo tra le diverse categorie di creditori e di procedure.

Creditori particolari (fornitori, banche, privati)

Creditori contrattuali (fornitori, locatori, banche): se sei ex socio di una società di persone e la società non paga un debito commerciale sorto mentre tu eri socio, il creditore (ad esempio un fornitore di merci o il padrone dei locali affittati) potrà:

  • Notificarti una richiesta di pagamento (diffida, messa in mora) indirizzata a te personalmente in qualità di coobbligato solidale.
  • Se la somma è certa, liquida ed esigibile, il creditore può richiedere un decreto ingiuntivo contro la società e contro di te ex socio, in solido, ottenendo in tempi brevi un titolo esecutivo. Molto spesso, quando i creditori sanno della presenza di soci illimitatamente responsabili, li inseriscono immediatamente tra i debitori ingiunti. Ad esempio, un locatore può ingiungere i canoni non pagati direttamente sia alla società conduttrice sia ai soci, per maggior garanzia.
  • In alternativa, il creditore può anche agire con citazione in giudizio ordinaria chiedendo al tribunale di condannare la società e i soci in solido al pagamento.

Una volta munito di titolo (ingiunzione non opposta o sentenza), il creditore potrà procedere con l’esecuzione forzata sui beni del debitore. In teoria, dovrebbe prima escutere la società (beneficio di escussione), ma se questa non ha beni, può attaccare subito i beni dei soci. Quindi rischi:

  • Pignoramento dei tuoi conti correnti, stipendio/pensione, o di altri crediti a te dovuti.
  • Pignoramento mobiliare (macchinari, merci se hai un’altra impresa, o beni personali di valore).
  • Pignoramento immobiliare sulla tua casa o altri immobili di tua proprietà, se il debito è cospicuo e non trovi altre soluzioni.

Il rischio è concreto come per qualsiasi debitore civile. L’ex socio, in quanto obbligato solidale, può subire esecuzione per l’intero importo dovuto dal debitore principale (società), fatte salve poi le azioni di regresso interne come viste.

Difese/opposizioni: se ricevi un decreto ingiuntivo, hai normalmente 40 giorni per fare opposizione (in materia ordinaria) e contestare il titolo. Le difese tipiche possono essere:

  • Non ero più socio all’epoca: se il debito ingiunto è successivo all’uscita, potrai opporre la tua carenza di legittimazione passiva, producendo la prova della tua cessazione prima del sorgere del debito. Questo farà verosimilmente cadere l’ingiunzione verso di te. È una difesa di merito (negazione della qualità di coobbligato).
  • Il debito non sussiste o è minore: puoi contestare la fondatezza o l’ammontare dell’obbligazione (ad es. merci non consegnate, importo errato, prescrizione sopravvenuta, ecc.). In ciò le tue difese non differiscono da quelle della società.
  • Beneficio di escussione: in sede monitoria/oppositiva puoi far valere che la società non è stata preventiva escussa. Ma attenzione: se il creditore prova che la società è insolvente o incapiente, il giudice può comunque confermare l’ingiunzione verso di te (in realtà nel decreto ingiuntivo spesso questo beneficio non viene considerato un ostacolo all’ingiunzione solidale).
  • Vizi di procedura: es. notifica irregolare, incompetenza del giudice, ecc.

Se invece vieni citato in causa con atto di citazione, dovrai costituirti in giudizio nei termini (di solito 90 giorni prima dell’udienza) e potrai sollevare simili eccezioni e difese. Ricorda di coinvolgere un legale tempestivamente appena ricevi atti giudiziari.

Garanzie reali: se a suo tempo avevi prestato garanzie reali (pegno, ipoteca) a favore di debiti sociali, il creditore garantito potrà escutere direttamente quelle (es. far vendere il bene ipotecato). Ciò è indipendente dalla tua qualifica di socio: è l’effetto del contratto di garanzia. Se ad esempio avevi ipotecato un tuo immobile per garantire un mutuo alla società, uscirne non libera l’ipoteca (a meno che il creditore abbia acconsentito a liberarti). Pertanto, quell’immobile resta aggredibile dal creditore se la società non paga.

Ex socio di S.r.l.: qui rifacciamo il punto: un creditore contrattuale di una S.r.l. non può citare in giudizio i soci per ottenere il pagamento, né durante né dopo. Fanno eccezione situazioni patologiche come:

  • Fideiussione personale: se avevi firmato da garante, rispondi come tale (contratto di fideiussione, quindi il creditore agirà come contro un qualsiasi garante).
  • Debiti post-liquidazione: se la S.r.l. si è estinta lasciando debiti, come visto il creditore potrebbe agire contro gli ex soci per riprendersi l’attivo distribuito. In tal caso, l’azione tipica è di far valere l’art. 2495 c.c., ossia dimostrare che c’è stato un attivo di liquidazione ripartito e chiederne ai soci la corresponsione fino a concorrenza del debito. In giudizio ciò significa che il creditore deve provare che la società è cancellata e che i soci hanno ricevuto X euro di attivo. Se ci riesce, otterrà una condanna dei soci (pro quota) a pagare. Se non ci riesce (perché non c’è stata distribuzione o non ne ha evidenza), la domanda contro i soci sarà rigettata. Importante: la Cassazione (ord. 32729/2023) ha ribadito che il creditore insoddisfatto deve provare l’avvenuta distribuzione di attivo ai soci, e senza tale prova il socio non è responsabile. Inoltre, se il socio prova di aver usato quelle somme per pagare debiti sociali, può liberarsi mostrando che nulla gli è rimasto realmente. Dunque c’è una sorta di limitazione di responsabilità “di fatto” per l’ex socio di S.r.l., che è ben diversa dall’obbligazione illimitata dell’ex socio di S.n.c.

Crisi d’impresa della società ed estensione del fallimento: un altro rischio da considerare è se la società entra in procedura concorsuale (fallimento o, con la terminologia attuale, liquidazione giudiziale).

  • Se la società di persone fallisce, per legge falliscono anche tutti i soci illimitatamente responsabili (art. 147 R.D. 267/1942, oggi trasfuso nel Codice della crisi). Ciò può coinvolgere un ex socio? Sì, se la dichiarazione di fallimento avviene entro 1 anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata. Trascorso un anno dall’uscita (iscritta), l’ex socio non può più essere dichiarato fallito in estensione. Ma entro quell’anno, se la società viene dichiarata fallita, il tribunale può estendere il fallimento anche al socio uscente. Ad esempio, se recedi da una S.n.c. nel gennaio 2024 e la società fallisce a settembre 2024, tu rischi di essere dichiarato fallito come socio illimitato (nonostante tu non fossi più socio al momento della sentenza, purché l’uscita sia avvenuta meno di 12 mesi prima). Se invece la società fallisce nel 2026, oltre un anno dopo la tua uscita, tu sei salvo dal fallimento personale (resterai debitore verso i creditori sociali, ma non soggetto alla procedura fallimentare). Va notato che il termine annuale decorre dall’iscrizione nel registro imprese dell’atto di recesso/cessione: ecco ancora l’importanza della tempestiva pubblicità.
  • Se la società di capitali fallisce, i soci non falliscono (non essendo essi obbligati illimitatamente). Quindi un ex socio di S.r.l. non sarà mai trascinato in fallimento personale solo perché la società fallisce (salvo il caso, diverso, in cui egli sia anche garante o debitore per altri motivi e venga egli stesso fatto fallire come imprenditore individuale, ipotesi rara e oltre lo scopo qui).

Essere dichiarati falliti personalmente comporta serie conseguenze: il proprio patrimonio viene gestito dal curatore, con limitazioni ai diritti civili, ecc. Quindi evitare il fallimento personale è importante. Un ex socio illimitato dovrebbe monitorare la situazione della società dopo la sua uscita: se vede che entro un anno sta andando verso il dissesto, potrebbe avere interesse a favorire una soluzione diversa (ad es. accordo con creditori) per evitare che si arrivi a un fallimento entro il periodo di rischio.

In sintesi: come ex socio illimitatamente responsabile, sei esposto ad azioni esecutive dirette dei creditori sociali per i debiti fino alla tua uscita. Devi quindi essere pronto a difenderti legalmente (con opposizioni, eccezioni di merito e di procedura) ma spesso, in assenza di contestazioni sul debito, la legge dà ragione al creditore. L’obiettivo realistico è guadagnare tempo e magari negoziare una soluzione invece di subire passivamente l’esecuzione.

Debiti tributari e verso enti previdenziali (Fisco e INPS)

Un capitolo a parte meritano i debiti fiscali e contributivi, perché in questo campo intervengono norme speciali che attribuiscono responsabilità peculiari agli ex soci.

Responsabilità tributaria dei soci (art. 36 DPR 602/1973): questa norma prevede che, in caso di scioglimento di società, i soci e i liquidatori possano essere chiamati a rispondere dei tributi non versati dalla società nei limiti di specifiche condizioni. In particolare, per semplificare:

  • I soci di società di capitali (come S.r.l.) che hanno ricevuto nelle ripartizioni finali attivi sociali sono responsabili verso il Fisco nei limiti di quanto riscosso. Ciò rispecchia esattamente la regola generale dell’art. 2495 c.c. citata sopra: se la società chiude e distribuisce beni ai soci senza pagare le imposte dovute, l’Erario può aggredire i soci per riprendersi quelle somme.
  • Inoltre, la norma fiscale stabilisce che se nei due anni precedenti lo scioglimento la società ha distribuito utili ai soci, questi sono responsabili in solido per le imposte e sanzioni relative a quei utili. L’obiettivo è evitare che i soci svuotino la società a loro beneficio lasciando imposte non pagate. Ad esempio, se una S.r.l. nel 2023 distribuisce un dividendo ai soci e poi nel 2024 si scioglie senza pagare le tasse 2023, i soci rispondono delle imposte su quel dividendo.
  • Importante: la responsabilità solidale tributaria scatta automaticamente in questi casi, ma sempre nei limiti di quanto percepito dal socio. Non diventa mai illimitata per i soci di società a responsabilità limitata. Per i soci di società di persone, invece, essi erano già illimitatamente obbligati per legge, per cui il Fisco li considera coobbligati come qualsiasi altro creditore sociale.

La giurisprudenza tributaria ha avuto sviluppi interessanti: la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3625/2025, ha chiarito che l’assenza di distribuzioni formali non preclude all’Amministrazione finanziaria di agire contro i soci se c’è evidenza che abbiano comunque beneficiato di patrimoni sociali in altro modo (es. prelevamenti occulti, assegnazioni di beni non formalizzate). Però ha anche ribadito che va accertato specificamente, nei confronti di ciascun socio, se e quanto abbia riscosso, e tale prova è a carico dell’Erario. Dunque, in un contenzioso tributario:

  • Se l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ti notifica una cartella per debiti fiscali della società, in qualità di ex socio, potrai fare ricorso contestando la tua responsabilità ultra vires (oltre i limiti). Per vincere, dovrai mostrare magari che non hai ricevuto nulla in liquidazione, mentre l’Agenzia dovrà eventualmente provare il contrario (ad esempio, esibendo il bilancio finale di liquidazione con somme a tuo favore). Se effettivamente non hai percepito nulla, la Cassazione ti dà ragione: il socio che non ha riscosso nulla non può essere chiamato a rispondere di debiti della società estinta. Se invece hai percepito 10, dovrai rispondere fino a 10.
  • Anche senza formale bilancio, il Fisco può cercare di dimostrare che hai beneficiato indirettamente di attività sociali (ad esempio, ti sono stati intestati beni della società prima della chiusura). In tal caso, può pretendere che quei beni vengano aggrediti come “trasferiti ai soci”. Però senza prove concrete, il socio resta non escutibile.
  • Le sanzioni amministrative tributarie (multe, soprattasse) invece di regola non si trasmettono ai soci: su questo c’è un principio consolidato per cui le sanzioni fiscali colpiscono solo la persona giuridica che ha violato la norma, e non soggetti terzi a meno che la legge non disponga diversamente. Ciò significa che se la società ha ricevuto un avviso di accertamento con imposte evase e relative sanzioni, il Fisco potrà chiedere ai soci le imposte (nei limiti visti) ma non le sanzioni, che restano a carico della società (inesigibili se la società sparisce). Fa eccezione il caso in cui la legge preveda espressamente la trasferibilità di certe sanzioni a responsabili solidali (non comune).

Per quanto riguarda i debiti contributivi (INPS per dipendenti, contributi previdenziali, premi INAIL, ecc.): per le società di persone, i soci rispondono illimitatamente allo stesso modo, quindi l’ente potrà pretendere il pagamento da loro. Per le società di capitali, normalmente no (vale il discorso come per altri crediti, con l’eccezione art. 2495 c.c. se hanno avuto attivi). Va menzionato che esistono norme che colpiscono gli amministratori che omettono di versare contributi trattenuti ai dipendenti, ma riguardano il ruolo di amministratore (anche penalmente, per omesso versamento ritenute, ecc.), non il ruolo di socio.

Ex socio amministratore o garante: attenzione ai ruoli cumulati. Spesso nelle piccole società il socio era anche amministratore. Se ricoprivi tale carica al tempo di certi debiti fiscali, potresti avere responsabilità aggiuntive:

  • Esempio, se non hai versato l’IVA o le ritenute quando eri amministratore, potresti incorrere in responsabilità penali personali o nel caso delle ritenute, anche un’obbligazione civile da “responsabile d’imposta”. Questo però è un tema diverso (non deriva dall’essere socio, ma dall’essere legale rappresentante obbligato al versamento).
  • Se hai rassegnato le dimissioni da amministratore, la tua responsabilità diretta cessa per gli obblighi nuovi, ma rimane per eventuali violazioni commesse prima.

Tornando al punto di vista dell’ex socio in quanto tale, possiamo sintetizzare così la situazione fiscale/previdenziale:

  • S.n.c./S.a.s.: l’ex socio illimitato può ricevere cartelle esattoriali per imposte non pagate dalla società riferite al periodo in cui era socio (es. IRAP, IVA, ecc.). Dovrà pagarle, salvo esercitare il diritto di regresso interno verso gli altri soci. Se la cartella include sanzioni, può fare opposizione per stralciare la parte sanzionatoria a lui non imputabile. Per i tributi sorti dopo l’uscita, invece, dovrebbe poter far valere la non debenza (uscita opponibile).
  • S.r.l.: l’ex socio può ricevere cartelle solo in base all’art. 36 DPR 602/73, quindi tipicamente dopo che la società è cessata. Se la società è ancora in essere, l’AdE non può chiedere al socio di pagare. Se la società si estingue con debiti fiscali, allora sì, come detto. In tal caso occorre valutare se proporre un ricorso al giudice tributario per far valere che l’AdE non ha provato utili distribuiti. Ad esempio Cass. ord. 20840/2023 ha confermato che in una S.r.l. “a ristretta base” (pochi soci), l’ufficio può presumere una distribuzione di utili occulta, ma sempre dando modo al socio di provare il contrario. Quindi l’ex socio può difendersi dimostrando di non aver ricevuto provviste, o che eventuali utilità erano giustificate per pagare altri debiti.
  • INPS/INAIL: analogamente, dopo cessazione, potrebbero notificare avvisi di addebito ai soci illimitati. Qui la difesa è minore perché se riguardano periodi antecedenti l’uscita, vali come coobbligato.

In qualunque scenario, se ricevi una cartella esattoriale come ex socio e ritieni sia ingiustificata, devi attivarti entro i termini (tipicamente 60 giorni per proporre ricorso alla Commissione Tributaria per tributi, 40 giorni al Tribunale per contributi) con l’aiuto di un legale esperto, perché sono materie tecniche.

Fallimento e crediti erariali: se la società viene dichiarata fallita, i debiti tributari vanno nella procedura concorsuale. Come ex socio, se sei trascinato in estensione di fallimento, tutti i tuoi creditori (incluso il Fisco) concorreranno nel tuo fallimento. Se invece sfuggi al fallimento ma resti debitore verso il Fisco, l’Agenzia potrà continuare contro di te le azioni esecutive individuali.

Sanzioni penali: un ex socio normalmente non rischia sanzioni penali solo per i debiti della società (a meno che abbia compiuto reati come amministratore). Il fatto di non pagare debiti in sé non è reato (salvo casi di malversazione su contributi pubblici, o mancato versamento di IVA sopra soglie da parte di chi era obbligato a versarla, etc., ma ripetiamo riguarda chi gestiva).

In conclusione su debiti erariali: l’ex socio deve sapere che il Fisco ha strumenti forti ma anche limiti precisi (non può trasformare un socio di S.r.l. in debitore illimitato, e per i soci di persone segue comunque la regola generale con qualche aggravio in caso di utili pre-liquidazione). Molte cause su questo tema vertono proprio su fino a quanto il socio debba pagare. Cassazioni recenti confermano: mai oltre ciò che ha ricevuto, a meno di provate furbizie. Ad esempio, le Sezioni Unite 2025 hanno chiarito che senza utili distribuiti o trasferimenti occulti di beni, il socio non risponde. È un conforto per l’ex socio onesto: se non ha tratto benefici dalla società, non può essere perseguitato per i suoi debiti.

Rischi patrimoniali riassunti

Riassumiamo i rischi patrimoniali per un ex socio debitore, in base ai vari scenari:

  • Esecuzione civile: pignoramento di beni mobili, immobili, crediti, conti, ecc. (vale per ex soci illimitati su debiti civili e fiscali, e per ex soci di S.r.l. solo se garanti o responsabili ex art. 2495 c.c.).
  • Procedura fallimentare personale: possibile se ex socio di società di persone fallita entro 1 anno (comporta spossessamento dei beni in mano al curatore, ecc.).
  • Iscrizione ipotecaria o fermo amministrativo: l’Agente della Riscossione per crediti fiscali può iscrivere ipoteca sulla casa o fermo su auto se sei debitore (basta una cartella non pagata per importi certi soglia).
  • Interessi e sanzioni: i debiti tendono a lievitare con interessi di mora, spese legali, aggio di riscossione, ecc., aggravando il peso sul tuo patrimonio.
  • Segnalazioni creditizie: se eri garante di finanziamenti e non vengono pagati, potresti essere segnalato come cattivo pagatore o subire decadenza dal beneficio del termine su altri tuoi affidamenti.

Dato questo quadro, cosa può fare l’ex socio per difendersi e, possibilmente, liberarsi dei debiti? Nel prossimo capitolo esamineremo le strategie di tutela e gli strumenti legali (comprese le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento e l’esdebitazione) per gestire o azzerare i debiti che gravano sull’ex socio.

Strumenti per difendersi dai debiti: strategie e soluzioni

Dal punto di vista del debitore, difendersi significa sia evitare pagamenti non dovuti (far valere eccezioni di non responsabilità o ridurre l’importo dovuto), sia gestire al meglio i debiti dovuti (tramite dilazioni, accordi, procedure concorsuali) per proteggere il proprio patrimonio e cercare eventualmente la liberazione dai debiti residui (esdebitazione).

Affrontiamo separatamente due ambiti: le strategie difensive immediate contro le pretese dei creditori e, in seguito, le procedure di composizione della crisi e sovraindebitamento che consentono di ristrutturare o cancellare i debiti.

Difese legali immediate e negoziazione

Quando un ex socio riceve richieste di pagamento o atti legali da creditori, dovrebbe:

  • Verificare la fondatezza giuridica della pretesa: accertare se il creditore può effettivamente chiederci quei soldi. Ad esempio, se è un debito sorto post-uscita e la nostra uscita era pubblicizzata, la pretesa è infondata in toto. Se è un debito pre-uscita, ma magari il creditore ha già transatto con la società o è prescritto, potremmo avere difese sul merito. Una consulenza legale rapida è utile per capire “devo pagare sì/no?”.
  • Opporre tempestivamente atti ingiuntivi o esecutivi: come detto, se arriva un decreto ingiuntivo, non ignorarlo! Vanno fatti i passi formali entro le scadenze (opposizione in tribunale, eventualmente chiedendo sospensione). Se arriva un atto di precetto (intimazione a pagare entro 10 giorni sotto minaccia di pignoramento), verificare se il creditore ha un titolo valido. Se no, si può ricorrere al giudice dell’esecuzione. In generale, non lasciare decorrere i termini è cruciale per non precludersi difese.
  • Eccepire il recesso/cessione come motivo di non responsabilità: questa è la prima linea di difesa per debiti successivi all’uscita. Bisogna produrre la prova documentale (visura camerale, atto notarile) che mostra la data di cessazione della qualità di socio anteriore al sorgere del debito. Si invia questa documentazione al creditore e, se del caso, al giudice. Spesso ciò è sufficiente a far desistere il creditore o ottenere una sentenza favorevole.
  • Beneficio di escussione: come detto, se il creditore aggredisce te ignorando il patrimonio sociale ancora esistente, puoi chiedere al giudice che prima vengano escussi i beni della società (art. 2268 c.c.). Devi però indicare quali beni o risorse sociali potrebbero soddisfare il credito. Ad esempio: “La società è ancora attiva, pignori prima il magazzino o i crediti della società verso clienti, e solo se non basta passi a me”. Il giudice può tenere conto di ciò e limitare l’ordine di pagamento per te al residuo insoddisfatto. È una difesa di carattere limitato ma talvolta utile.
  • Negoziare con i creditori: Mai sottovalutare la via negoziale. Se riconosci che il debito è dovuto e temi di subire un’esecuzione pesante, contatta il creditore (direttamente o tramite un legale) e proponi un accordo. Ad esempio: pagamento parziale a saldo e stralcio, oppure un piano di rientro rateale. Molti creditori preferiscono evitare lunghe azioni legali se vedono collaborazione. Puoi far leva magari sul fatto che potresti ricorrere a procedure concorsuali (in cui potrebbero prendere meno) per convincerli a un accordo ragionevole. Attenzione: se negozi, fallo per iscritto e con clausole chiare di liberatoria, in modo che pagando quanto concordato si estingua definitivamente l’obbligazione (accordo transattivo).
  • Tutela del patrimonio personale: un ex imprenditore in difficoltà deve pensare a proteggere almeno i beni essenziali. Ad esempio, la casa di abitazione (se non di lusso) è oggi parzialmente protetta dai pignoramenti dei creditori fiscali sotto certe condizioni (decreto legge 2023 ha introdotto limiti ai pignoramenti sull’abitazione principale da parte di Agenzia Entrate Riscossione, se il debito non supera determinate soglie). Verifica se puoi usufruire di tali tutele. In ogni caso, evita atti di disposizione fraudolenti: vendere o donare beni a parenti per sottrarli ai creditori può portare ad azioni revocatorie (il creditore può far annullare l’atto entro 5 anni) o addirittura a denunce penali (se fatto a ridosso del fallimento, configurerebbe bancarotta fraudolenta). Quindi la protezione del patrimonio va fatta in modo lecito e trasparente. Esiste ad esempio il fondo patrimoniale o il trust, ma istituirli quando i debiti sono già conclamati può essere inutile se non dannoso. Meglio puntare su soluzioni negoziali o concorsuali.
  • Coinvolgere altri corresponsabili: se la pretesa riguarda un debito di cui qualcun altro è parimenti responsabile (es. un altro ex socio, un fideiussore, un coobbligato), valuta di chiamarlo in causa o di informare il creditore della sua esistenza. A volte i creditori agiscono contro chi pare più solvibile e “dimenticano” altri debitori solidali: far emergere altri soggetti può portare a diluire la pressione su di te.
  • Verificare polizze assicurative: in alcuni casi, se il debito deriva da eventi assicurati (es: un risarcimento danni per responsabilità civile), potresti avere coperture assicurative personali o della società che coprono quel rischio. Informati e, se esiste una polizza, denunciare il sinistro all’assicurazione.

L’obiettivo di queste mosse è contenere il danno immediato: prendere tempo, ridurre importi, evitare pignoramenti disastrosi. Tuttavia, se la mole di debiti è enorme rispetto alle tue capacità, o se non c’è accordo con i creditori, può essere necessario passare a soluzioni più strutturate offerte dalla legge: le procedure di sovraindebitamento e l’esdebitazione.

Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ed esdebitazione

Il legislatore ha predisposto, specie negli ultimi anni, una serie di procedure pensate proprio per chi, come un ex piccolo imprenditore, si trova schiacciato dai debiti e non può realisticamente pagarli integralmente. Tali procedure consentono di ristrutturare il debito (pagandone una parte secondo un piano) oppure di liquidare il patrimonio disponibile ottenendo poi la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione). Dal 2020-2022 in poi queste procedure sono state rafforzate e rese più accessibili dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII).

Le principali procedure di sovraindebitamento oggi in vigore (aggiornate al 2025) sono:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “nuovo” piano del consumatore, artt. 67-73 CCII): dedicato a persone fisiche che hanno debiti come consumatori, ossia non derivanti da attività d’impresa o professionale. Consente di proporre al tribunale un piano di pagamento parziale dei debiti, sulla base della propria capacità reddituale e patrimonio, senza necessità di accordo dei creditori (non c’è votazione; il giudice omologa se il piano è fattibile ed equo). Se il piano viene eseguito regolarmente, il debitore è liberato da tutti i debiti inclusi nel piano (anche la parte non pagata viene cancellata). Questo strumento richiede che il debitore sia meritevole (non abbia colpe gravi nell’indebitamento) e che il piano offra ai creditori almeno quello che otterrebbero in una liquidazione. Nel nostro contesto, un ex socio potrebbe accedervi solo se i suoi debiti sono perlopiù personali o da consumatore. Se invece i debiti derivano in gran parte da un’attività imprenditoriale, allora si deve usare il concordato minore.
  • Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è la procedura analoga ma destinata ai debitori “non consumatori” che non sono assoggettabili a fallimento (ora “liquidazione giudiziale”) perché di piccole dimensioni o non imprenditori commerciali. Tipico caso: piccoli imprenditori, ex imprenditori, professionisti, start-up innovative, etc. Un ex socio di S.n.c. indebitato rientra in questa categoria di solito (imprenditore commerciale sotto soglie). Nel concordato minore, il debitore propone un accordo di ristrutturazione ai creditori: offre di pagare una certa percentuale del debito, eventualmente in tempi differiti o con altre modalità, indicando le risorse impiegate (denaro, beni da vendere, nuovi finanziatori, ecc.). I creditori votano sulla proposta; se approvata dalla maggioranza (di crediti) e omologata dal tribunale, diventa vincolante per tutti. Dopo l’esecuzione del concordato, il debitore ottiene l’esdebitazione per la parte di debiti rimasta impagata. Anche qui sono richiesti requisiti di meritevolezza (non frode, non atti in frode ai creditori, ecc.). Il concordato minore è simile a un concordato preventivo semplificato calibrato sui piccoli debitori. È utile se hai qualche asset o capacità di pagamento, tale da offrire ai creditori una soddisfazione parziale migliore di quella che otterrebbero dalla tua liquidazione.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII): è la procedura liquidatoria (deriva dalla vecchia “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012). Si applica a qualsiasi debitore civile o piccolo imprenditore in stato di insolvenza che non possa (o non voglia) proporre un piano/concordato, o anche se piano/concordato è stato respinto. In questa procedura, il tribunale nomina un liquidatore che prende possesso di tutti i beni del debitore, li vende, e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le regole di legge (privilegi, ecc.). È sostanzialmente un “fallimento” in miniatura. La grande differenza è che, decorso un certo periodo, il debitore persona fisica può ottenere la esdebitazione: cioè la cancellazione dei debiti non soddisfatti. Il CCII prevede che tale esdebitazione avvenga di diritto dopo al massimo 3 anni dall’apertura della liquidazione (era un anno nella legge 3/2012, ma col CCII hanno modulato: al massimo 3 anni, riducibili). In pratica se entri in liquidazione controllata nel 2025, entro il 2028 al più tardi il tribunale cancella tutti i tuoi debiti residui, indipendentemente da quanto è stato ricavato, purché tu abbia collaborato lealmente e non siano emerse frodi. È prevista una sorta di “probation”: se nei 4 anni successivi all’esdebitazione emergono attivi non noti, i creditori possono aggredirli, ma altrimenti sei libero definitivamente.
  • Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): è la novità più recente e interessante per i casi disperati. Consente al debitore persona fisica che non ha alcun patrimonio né reddito di chiedere direttamente la cancellazione di tutti i suoi debiti, senza pagare nulla ai creditori. È un’esdebitazione immediata e “a costo zero”, detta anche “esdebitazione senza utilità” o “del debitore incapiente”. Puoi accedervi solo se soddisfi rigorosamente le condizioni: essere meritevole (non aver colpe gravi o atti in frode), non poter offrire nessuna utilità ai creditori (nemmeno minima), e non aver già ottenuto in passato altra esdebitazione simile. Se il tribunale concede questa esdebitazione, per 3 anni dovrai tenere sotto controllo la tua situazione patrimoniale: se entro 3 anni dal provvedimento dovessi ricevere nuovi beni o redditi significativi, dovrai pagarne una parte (almeno il 10%) ai vecchi creditori. Passati i 3 anni senza “colpi di fortuna”, l’esdebitazione diventa definitiva e quei debiti restano per sempre inesigibili. Questa misura è pensata per chi veramente non ha niente da dare – un salvagente per ripartire da zero. Introdotta con il DL 137/2020 (poi nel CCII art. 283), ha visto le prime applicazioni concrete nel 2023-2024 (ad esempio, Tribunale di Torino marzo 2025 ha ammesso un debitore incapiente alla liberazione dai debiti). È utilizzabile una sola volta nella vita. Inoltre, nel 2025 è stato creato anche un Fondo statale per coprire le spese di procedura dei debitori incapienti (perché spesso il problema era che non avevano nemmeno soldi per pagare le spese di giustizia o il gestore): la Legge di Bilancio 2025 ha stanziato 500.000 € a questo scopo, rendendo ancor più accessibile questo strumento a chi è veramente in difficoltà.

Le procedure sopra descritte possono sembrare complicate, ma in sostanza offrono una via d’uscita legale. Un ex socio travolto dai debiti può, valutate le condizioni, presentare ricorso al tribunale per una di esse, generalmente con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato gestore (figure previste per assistere il debitore nella predisposizione del piano o nella procedura).

Quale procedura scegliere? Dipende dalla tua situazione:

  • Se hai ancora un reddito o prospettive di guadagno future e vuoi evitare di liquidare tutto subito, potresti preferire un piano del consumatore (se i debiti sono personali) o un concordato minore (se i debiti sono professionali/imprenditoriali). In tal caso offri ai creditori una parte del reddito futuro o dei risparmi in modo da chiudere la partita.
  • Se non hai capacità di pagamento sufficiente, ma possiedi dei beni (ad esempio un immobile, un’auto, partecipazioni), e vendendoli potresti pagare una parte dei debiti, la liquidazione controllata è indicata: sostanzialmente metti tutto sul tavolo, lasci che sia liquidato a beneficio dei creditori, e poi ottieni la pace dai debiti residui. Questo è spesso il caso di ex imprenditori che hanno casa di proprietà ma debiti ben superiori al valore di essa.
  • Se non hai né reddito né beni – il caso estremo – vale la pena tentare l’esdebitazione incapiente, che ti libera dai debiti senza doversi trascinare per anni procedure inutili. Ovviamente devi convincere il giudice di essere in buona fede e di non aver scientemente dilapidato o nascosto asset.
  • Considera anche che se sei fallibile (cioè se come imprenditore superavi certe soglie) e qualcuno chiedesse il tuo fallimento, potresti giocare d’anticipo avviando tu una procedura da sovraindebitato, evitando la più gravosa procedura fallimentare. Il CCII cerca di far confluire i piccoli debitori nel percorso del sovraindebitamento anziché nel fallimento classico.

Vantaggi principali di queste procedure:

  • Bloccano o sospendono molte azioni esecutive individuali dei creditori non appena vengono avviate (c’è una sorta di stay delle esecuzioni durante la procedura concorsuale).
  • Permettono di ridurre l’ammontare dovuto: i creditori in genere accettano di non essere pagati integralmente sapendo che l’alternativa è forse nulla. La parte abbuonata viene legalmente cancellata.
  • Consentono di preservare la dignità e la ripartenza del debitore: ad esempio, con un buon piano, potresti mantenere la tua abitazione (magari vendendo altri beni o con un accordo su mutuo), oppure in liquidazione in certi casi il giudice può escludere dalla vendita quei beni di valore insignificante o non strategici per soddisfare i crediti (evitando dispersioni inutili). In ogni caso, dopo aver affrontato la procedura, avrai una posizione pulita: i creditori non potranno più perseguitarti per i vecchi debiti. È il cosiddetto fresh start.
  • Anche psicologicamente, sapere di avere un orizzonte temporale definito (un piano di 4-5 anni, o 3 anni di liquidazione) oltre il quale si è liberi, è meglio che restare a tempo indeterminato sotto minaccia di azioni di recupero.

Svantaggi o ostacoli: ovviamente non è un percorso privo di sacrifici. Bisogna sottoporsi a controllo dell’autorità giudiziaria, esporre tutta la propria situazione economica con trasparenza, spesso vivere con il minimo indispensabile durante la procedura (il giudice può stabilire che devi destinare ai creditori tutta la tua eccedenza di reddito salvo un minimum vitale). Inoltre, se non hai i requisiti di “meritevolezza” (ad esempio hai frodato creditori, o contratto debiti con leggerezza quando già sapevi di essere insolvibile), il tribunale può negare l’accesso o l’omologazione del piano. Ad esempio, un ex socio che avesse svuotato le casse sociali prima di uscire incontrerebbe difficoltà a vedersi considerato “in buona fede”.

Costo e aiuti: queste procedure hanno dei costi (ci sono compensi per l’OCC o gestore, contributi unificati, ecc.), ma come accennato esistono fondi pubblici per casi di indigenza (il nuovo Fondo per l’esdebitazione incapienti coprirà le spese dei più poveri). Inoltre, tali costi spesso sono molto inferiori a quelli che sosterresti in anni di cause disperate con i creditori.

Esempio pratico 3: Luca era socio al 50% di una S.n.c. fallita, e di conseguenza è stato dichiarato fallito personalmente nel 2022. Nel 2025 il suo fallimento (persona fisica) viene chiuso: restano impagati €300.000 di debiti verso banche e fornitori. Luca può chiedere l’esdebitazione? – Sì, ai sensi degli artt. 279-281 CCII (esdebitazione post-fallimento). Se Luca ha collaborato nel fallimento e non ha commesso irregolarità, il tribunale gli cancellerà quei €300.000 residui. Questo è un caso di esdebitazione fallimentare, parallelo a quelle da sovraindebitamento.
Invece Marco, ex socio di una SAS non fallita ma con debiti, nel 2024 avvia una liquidazione controllata dei suoi debiti personali. Mette in vendita la sua casa (unico bene) che vale €100.000, a fronte di €400.000 di debiti totali. Nel 2025 la casa viene venduta e i creditori ricevono riparti per €100.000 (25% di soddisfazione). Nel 2027, passati 3 anni dall’inizio della procedura, il tribunale dichiara l’esdebitazione di Marco per i rimanenti €300.000. Marco riparte da zero. – Questo esempio mostra l’effetto concreto: Marco ha perso la casa, ma in cambio nessuno potrà più avanzare pretese per quei debiti, e se guadagnerà in futuro qualcosa potrà tenerlo (dopo la chiusura della procedura, tranne la condizione dei 4 anni per attivi non noti, che di solito non accade se tutto era già considerato).

Ricapitolando le opzioni per l’ex socio debitore:

  • Accordo stragiudiziale con i creditori (sempre da tentare, quando possibile, per evitare procedure).
  • Procedura di composizione (piano del consumatore o concordato minore) se può pagare almeno parzialmente i debiti in modo organizzato.
  • Liquidazione controllata se non riesce a fare un piano sostenibile: liquida i beni e ottiene la cancellazione dei debiti rimanenti.
  • Esdebitazione incapiente se proprio non ha nulla da offrire: si libera dei debiti dimostrando la sua completa incapienza.

Spesso gli ex imprenditori inizialmente esitano a intraprendere queste vie per mancanza di informazione o per orgoglio. Ma va sottolineato che la legge italiana, specialmente con le riforme recenti, non vuole più lasciare il debitore onesto in una situazione di condanna a vita dai debiti: offre spiragli di ripartenza. Anche ai fini lavorativi, liberarsi dai debiti può consentirti di tornare a fare impresa o attività senza la zavorra del passato (ad es., se sei pieno di debiti non pagati, le banche non ti finanzieranno mai più; dopo esdebitazione, potresti tornare affidabile col tempo).

Un consiglio pratico: rivolgiti a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) nella tua zona, spesso istituito presso le Camere di Commercio o gli Ordini professionali. Hanno esperti che ti aiuteranno a valutare fattibilità di un piano o procedura e predisporre l’istanza al tribunale. Dal 2023 esiste anche la piattaforma telematica per la composizione negoziata (procedura rivolta più alle imprese in attività), ma se sei ex socio probabilmente guarderai più alle procedure sopra discusse.

Simulazioni pratiche ed esempi

Vediamo ora alcune simulazioni pratiche, per fissare i concetti con casi concreti (tutti riferiti all’ordinamento italiano):

Caso 1 – Ex socio di S.n.c. e debiti commerciali: Giovanni era socio al 30% di una S.n.c. di vendita articoli sportivi. Esce dalla società cedendo la quota nel 2023. La società tuttavia aveva ancora debiti per forniture ricevute nel 2022 (mentre Giovanni era socio) pari a €60.000. Nel 2024 il fornitore Alfa, insoddisfatto, fa decreto ingiuntivo contro la S.n.c. (ancora attiva) e Giovanni in solido. Giovanni si oppone sostenendo di essere uscito e chiedendo di escutere prima la società. Il giudice verifica che l’obbligazione è del 2022 (periodo in cui Giovanni era socio) e che la cessione quota è stata iscritta nel Registro Imprese nel 2023. Dunque Giovanni era responsabile al momento in cui il debito è sorto. Il fatto che sia uscito nel frattempo non lo esonera. L’opposizione viene rigettata sul merito (Giovanni deve rispondere del debito), ma il giudice gli concede il beneficio di escussione: ordina prima il pignoramento dei beni sociali. La S.n.c. però nel frattempo è insolvente e non paga; Giovanni finisce col subire un pignoramento sul conto corrente per €60.000 più spese. Dopo aver pagato, Giovanni attiva un’azione di regresso verso i soci rimasti per recuperare il 70% (la loro parte) ma scopre che anche loro sono insolventi. Risultato: Giovanni sopporta l’intero peso del debito. Le sue opzioni ora: valutare la procedura di sovraindebitamento se quei €60.000 (magari sommati ad altri debiti) lo schiacciano economicamente. Diversamente, avendo comunque pagato il creditore, chiude la vicenda con un danno ma senza ulteriori strascichi (se può permetterselo).

Caso 2 – Ex socio accomandatario e debiti tributari post estinzione: Lucia era accomandataria al 50% di “Sport SAS”, sciolta e cancellata nel 2024. La liquidazione ha pagato tutti i creditori tranne €20.000 di IVA arretrata; ai soci accomandatari (Lucia e un altro) sono rimasti €10.000 ciascuno dal riparto finale. Nel 2025 l’Agenzia Entrate notifica a Lucia (e all’altro socio) cartelle esattoriali chiedendo €20.000 ciascuno per IVA non versata più sanzioni. Lucia fa ricorso: evidenzia che ha ricevuto €10.000 dalla liquidazione, quindi al massimo deve quella quota; inoltre invoca la non debenza delle sanzioni in capo a lei. La Commissione Tributaria le dà ragione in parte: conferma la sua responsabilità ma limitatamente a €10.000 (quota di attivo percepita) e annulla l’importo eccedente, comprese le sanzioni tributarie. L’Erario dunque potrà esigere €10.000 da Lucia. Le sue opzioni: paga e chiude il debito fiscale (ha ancora quei 10k ricevuti, idealmente li tiene da parte per questo), oppure, se non li ha, può chiedere una rateazione ad Agenzia Riscossione. Se proprio non riuscisse, potrebbe includere il debito IVA in una procedura di sovraindebitamento (ma i debiti IVA, essendo erariali, richiedono il pagamento almeno di una parte salvo casi di incapienza totale, altrimenti il piano potrebbe non venire omologato – questo dettagliatamente dipende dal tipo di procedura e dal fatto che l’IVA è un debito “non falcidiabile” nel concordato preventivo per fallibili; nel sovraindebitamento i limiti sono meno stringenti, comunque meglio pagarne una frazione).

Caso 3 – Sovraindebitamento di ex imprenditore: Marco, ex socio di una ditta individuale (ipotizziamo fosse una impresa individuale, non socio, ma scenario simile di debiti personali) si trova con €150.000 di debiti (tra banche e fornitori) dopo la chiusura dell’attività. Non possiede immobili, ha solo un’auto e un piccolo risparmio, però ha trovato un lavoro dipendente con stipendio €1.500/mese. Sa di non poter mai restituire €150.000. Si rivolge all’OCC, e insieme decidono di presentare un piano del consumatore: propone di pagare €500 al mese per 5 anni (totale €30.000) ai creditori, suddivisi in percentuale tra loro, derivanti dal suo stipendio al netto delle spese di sostentamento. Il piano mostra che i creditori, se pignorassero lo stipendio, in 5 anni prenderebbero comunque circa quella cifra tolte le spese, e che Marco è meritevole (ha chiuso perché clienti insolventi, non per colpa grave sua). Il tribunale omologa il piano senza voto dei creditori. Marco paga regolarmente le 60 rate mensili concordate; al termine, il giudice dichiara esdebitati i €120.000 restanti. I creditori non possono più nulla. – Variante: se Marco fosse qualificato come piccolo imprenditore e non consumatore, avrebbe fatto un concordato minore: in quel caso ci sarebbe stata una votazione dei creditori sul piano. Supponiamo che l’80% di loro abbia votato sì perché consapevoli che diversamente avrebbero pignorato 1/5 di stipendio e forse di meno; il tribunale avrebbe omologato comunque perché conviene anche ai dissenzienti. Marco avrebbe ottenuto lo stesso risultato.

Caso 4 – Esdebitazione incapiente: Anna era socia al 20% di una S.n.c. fallita, ma fortunatamente non è stata coinvolta nel fallimento perché uscita 2 anni prima (quindi oltre l’anno). Tuttavia, i creditori sociali ora la tormentano per €200.000 di debiti rimasti. Anna è disoccupata, madre di tre figli, non ha proprietà né redditi (vive con aiuti familiari). Il suo caso è disperato: non potrà mai pagare nulla di significativo. Nel 2025, assistita da un legale, presenta istanza di esdebitazione da incapienza al tribunale competente. Dimostra di non avere beni pignorabili (allega ISEE, certificati negativi, ecc.) e di non aver compiuto atti in frode (il suo recesso era stato regolare, non ha ricevuto nulla dalla società, l’indebitamento è nato dalla mala gestione di altri soci di cui lei non era a conoscenza). Il tribunale, verificati i requisiti, cancella tutti i suoi debiti con decreto. Ai creditori non resta nulla se non la possibilità, per i prossimi 3 anni, di essere soddisfatti in parte qualora Anna per miracolo ottenesse nuove risorse (ad esempio, eredita una casa o vince alla lotteria). Passati 3 anni senza eventi del genere, la posizione debitoria di Anna sarà pulita definitivamente. – Questo è un caso estremo ma significativo: la legge permette davvero una “pulizia” completa per dare una seconda chance a chi non ha speranze.

Ogni caso reale ha le sue particolarità, ma questi esempi evidenziano come applicare i principi spiegati: responsabilità limitata nel tempo, necessità di provare l’uscita, intervento del giudice per ridurre e cancellare debiti, ecc.

Domande frequenti (FAQ)

D: Dopo che esco dalla società, rispondo ancora automaticamente di tutti i debiti che emergono in seguito?
R: No. Il socio uscente risponde dei debiti sociali solo fino alla data della sua uscita (scioglimento del rapporto sociale). Per gli obblighi sorti successivamente non è responsabile, a condizione che la sua uscita sia stata resa opponibile ai terzi. Quindi, se ad esempio la società contrae un nuovo finanziamento o non paga fornitori dopo che tu sei uscito, quei creditori non possono chiedere a te il pagamento. Faranno eccezione solo i casi in cui la tua uscita non era conoscibile (mancata pubblicità) e il terzo ha contrattato confidando sulla tua presenza: in tal caso, limitatamente a quel terzo, potresti essere considerato ancora obbligato. Ma in generale, fuoriuscito dalla società ti chiami fuori dai futuri debiti.

D: Quali debiti rimangono a mio carico quando esco da una S.n.c. o S.a.s.?
R: Rimangono a tuo carico tutti i debiti ed obbligazioni sorti fino al giorno del recesso/cessione. Ciò include debiti commerciali verso fornitori per contratti chiusi in precedenza, canoni di leasing o affitto maturati fino alla data di uscita, debiti fiscali riferiti ai periodi d’imposta di quando eri socio, ecc. Per questi debiti sarai coobbligato solidale insieme alla società e agli eventuali altri soci. In pratica, rispondi delle esposizioni pregresse come se fossi ancora socio (poiché lo eri al momento in cui si sono generate). Potrai poi rivalerti internamente sugli altri soci per la loro parte, ma verso i creditori resti responsabile in solido. Invece, non rispondi di ciò che succede dopo (salvo eccezione di opponibilità, vedi risposta precedente).

D: Sono un ex socio di S.r.l.: i creditori sociali (banche, fornitori) possono chiedere i soldi a me?
R: Di regola no, i soci di S.r.l. non sono personalmente responsabili dei debiti della società. Anche dopo la tua uscita, i creditori dovranno rivalersi sulla società stessa. Fanno eccezione: (1) se hai prestato una fideiussione personale o altra garanzia per un debito sociale, rimani obbligato come garante secondo i termini del contratto (l’uscita dalla società non estingue la fideiussione automaticamente); (2) se la S.r.l. viene cancellata dal Registro delle Imprese con debiti insoluti, i creditori insoddisfatti possono agire contro i soci, ma solo entro il limite di quanto questi hanno ricevuto in sede di liquidazione. Ad esempio, se in fase di chiusura della società hai incassato €5.000 di attivo finale, i creditori potranno chiederti al massimo €5.000. Se non hai ricevuto nulla, non dovrai nulla. Questa non è responsabilità “personale illimitata”, ma una forma di successione nel limite dell’attivo distribuito (art. 2495 c.c.). Oltre a ciò, non ci sono altre vie: non puoi essere obbligato a ripianare debiti di una S.r.l. solo perché ne eri socio.

D: Se la società aveva debiti fiscali, l’Agenzia delle Entrate e Equitalia possono rivalersi su di me ex socio?
R: Sì, ma con alcune condizioni. Per le società di persone, il Fisco ti vede come coobbligato solidale al pari di altri creditori: quindi ti può chiedere le imposte non pagate relative al periodo in cui eri socio (es. IRPEF sui redditi societari, IVA, ecc.). Inoltre, c’è l’art. 36 DPR 602/73 che prevede, in caso di scioglimento societario, la responsabilità dei soci per le imposte nei limiti di quanto hanno ricevuto nei due anni precedenti lo scioglimento o in liquidazione. Per le società di capitali (S.r.l.), l’Agenzia può procedere contro i soci dopo la cessazione della società e sempre solo fino a concorrenza delle somme o beni da essi riscossi in sede di distribuzione di utili o attivo. In mancanza di distribuzioni, il socio di S.r.l. non paga nulla. Nota che il Fisco spesso presume che nelle S.r.l. piccole i soci si siano spartiti utili occulti, ma deve comunque provare almeno indirettamente tali trasferimenti. Quindi, se ricevi una cartella, puoi fare opposizione sostenendo che non hai ricevuto asset (onere prova poi a carico loro). In sintesi: , l’ex socio può vedersi notificare cartelle per debiti fiscali sociali, ma non illimitatamente – sempre proporzionalmente a eventuali benefici patrimoniali ricevuti. E ricordiamo: le sanzioni tributarie in genere non sono poste a carico dei soci (ti possono chiedere imposta e interessi, ma la multa fiscale rimane a carico della società estinta, quindi inesigibile). Infine, se tu come ex socio eri anche liquidatore o amministratore e hai violato obblighi fiscali (ad es. non hai versato ritenute), potresti avere responsabilità personali extra, ma parliamo di casi specifici da valutare a parte.

D: Posso essere dichiarato fallito come ex socio debitore?
R: Dipende dalla forma societaria e dai tempi. Se eri socio illimitatamente responsabile (S.n.c., accomandatario di S.a.s.) e la società fallisce entro 1 anno dalla tua uscita, il tribunale può dichiarare il fallimento anche tuo in estensione. Ciò significa che potresti subire un fallimento personale con tutte le conseguenze (curatore, liquidazione beni, ecc.). Trascorso un anno dall’uscita, questa possibilità decade. Se invece la società non è fallita ma tu sei sommerso dai debiti individualmente, potresti essere soggetto a fallimento su istanza di creditori solo se sei considerabile un imprenditore fallibile (oggi requisiti dimensionali: fatturato, attivo e debiti sopra certe soglie). Spesso l’ex socio di una piccola S.n.c. rientra tra i “piccoli non fallibili”, per cui i creditori non possono chiederne il fallimento ordinario ma devono accontentarsi di azioni esecutive individuali o procedure di sovraindebitamento. Invece il socio di maggioranza di una S.r.l. normalmente non fallisce per i debiti della società (a meno che abbia altri debiti personali e svolga attività imprenditoriali proprie). Quindi: ex socio di società di persone – rischio fallimento in estensione entro 1 anno; ex socio di società di capitali – nessun rischio di fallimento personale solo per quel ruolo. E se anche dovessi venire dichiarato fallito, ricorda che è possibile poi richiedere l’esdebitazione a fine procedura per ripartire senza debiti.

D: Ho firmato una fideiussione per un mutuo societario, ma ho anche ceduto le quote ed è subentrato un nuovo socio. Sono ancora vincolato come garante?
R: Sì, la fideiussione rimane valida finché la banca non ti libera espressamente. Il fatto che tu abbia ceduto le quote non libera automaticamente dal contratto di garanzia già firmato. Molti ex soci dimenticano questo punto. Avresti dovuto negoziare con la banca una liberatoria o sostituzione del garante (magari il nuovo socio al posto tuo). Se ciò non è stato fatto, la banca può tuttora chiedere a te il pagamento in caso di inadempimento della società, anche anni dopo l’uscita. Dunque, pur non essendo più socio, sei ancora obbligato in virtù del contratto fideiussorio autonomamente. L’unica soluzione ora è cercare un accordo con la banca (ad esempio, proponendo al nuovo socio di fornire garanzie alternative) o sperare che la società paghi regolarmente. Se la banca escute la fideiussione, pagherai e avrai solo il diritto di rivalerti verso la società o gli attuali soci (diritto spesso teorico se sono insolventi). In sintesi: uscire dalla società non equivale a uscire dalle garanzie firmate, salvo consenso del creditore garantito.

D: In fase di cessione/recesso, posso stipulare che non mi accollo alcun debito e pensano a tutto i soci rimasti? Vale per i creditori?
R: Puoi certamente stipulare un accordo interno in tal senso (ad es. nell’atto di cessione quota si può scrivere che il cessionario o i soci rimasti si impegnano a tenere indenne il cedente da qualsiasi debito sociale presente o futuro). Tuttavia, questo non vincola i creditori esterni. Se arriva un creditore a chiederti soldi, quell’accordo non costituisce per lui una rinuncia: potrà comunque agire su di te. L’accordo vale solo come obbligo di manleva tra te e gli altri soci. Quindi sì, è utile averlo perché se dovrai pagare potrai poi rivalerti su di loro in base a quell’accordo. Ma nell’immediato non potrai opporlo al creditore (non può dire “cavaliere, non pagherò io perché c’è un patto interno che paga l’altro” – il creditore può ignorarlo totalmente). Dovresti convincere il creditore a liberarti espressamente (ad esempio con una novazione del debito a favore di altri debitori) ma questo richiede il consenso del creditore. Tali consensi sono rari (perché mai un creditore dovrebbe rinunciare a un co-obbligato in più?). Perciò, prudenzialmente, considera quegli accordi come un cuscinetto, non come uno scudo: potrai farli valere dopo, per recuperare quanto pagato.

D: Se i debiti sono troppi per me, davvero posso liberarmene dichiarando il sovraindebitamento? C’è un trucco?
R: Non è un “trucco”, ma una procedura di legge. Devi aprirti con il tribunale, mostrare tutta la tua situazione economica e spesso dare tutto quello che hai in eccesso ai creditori. In cambio, la legge ti condona legalmente i debiti residui. Non è una passeggiata: richiede collaborazione, eventualmente qualche sacrificio (vendere beni, vivere con il minimo per qualche anno). Ma sì, puoi liberarti anche di centinaia di migliaia di euro di debiti se segui la procedura corretta e rispetti le condizioni. Ad esempio, dopo 3 anni di liquidazione controllata potresti essere pulito; oppure con un concordato minore potresti pagare il 30% ai creditori in 4-5 anni e il resto viene stralciato. Non c’è inganno: i creditori partecipano al procedimento e il giudice verifica che sia equo. La mentalità anglosassone del “fresh start” ha preso piede anche da noi. Certo, rimangono esclusi alcuni debiti non esdebitabili per legge (ad es. alimenti, risarcimenti da fatto illecito con colpa grave o dolo, multe penali, ecc., quelli non si cancellano). Ma la stragrande maggioranza di debiti finanziari, commerciali e fiscali (anche fiscali sì, con qualche limitazione per IVA/ritenute) possono essere trattati. Quindi, se sei veramente sovraindebitato e onesto, non temere di rivolgerti all’OCC: non è disonorevole, anzi è indice che vuoi risolvere responsabilmente la situazione in modo trasparente. Molte persone hanno già usufruito di queste procedure da quando esistono (2012 in poi, e ancora di più dopo la riforma 2020/2022) per tornare a una vita normale senza l’incubo dei debiti impagabili.

D: Gli eredi di un ex socio defunto devono pagare i debiti della società di persone di cui egli era parte?
R: Se un socio illimitatamente responsabile muore, i suoi eredi subentrano nelle obbligazioni sociali relative al periodo in cui il defunto era socio, ma hanno la possibilità di tutelarsi accettando l’eredità con beneficio di inventario. In tal modo, la responsabilità per i debiti del de cuius (inclusi quelli sociali pregressi) è limitata al patrimonio ereditario. Se invece gli eredi accettassero puramente e semplicemente, diventerebbero illimitatamente responsabili anch’essi (non come soci, ma come eredi di un’obbligazione personale del defunto). Quindi, di norma gli eredi prudenti accettano con beneficio se ci sono grossi debiti potenziali. Nota: l’art. 2290 c.c. menziona proprio gli “eredi” del socio uscente, equiparandoli a quest’ultimo quanto a responsabilità fino al momento dello scioglimento. Quindi, se il socio muore mentre è nella società, i debiti fino a quel momento ricadono sull’eredità; le obbligazioni sorte dopo (mentre gli eredi decidono se entrare in società o farsi liquidare) non ricadono su di loro oltre il patrimonio sociale spettante. In caso di socio accomandante defunto, gli eredi non diventano soci (non hanno diritto di gestire), ma ricevono la quota e rimangono limitatamente responsabili (sempre nei limiti del conferimento/quota). Quindi la regola generale è: gli eredi rispondono dei debiti del defunto nei limiti e modi dell’eredità. Non è che siano automaticamente soci a vita: possono anche rinunciare all’eredità ed evitare ogni debito. Questa domanda esula un po’ dal focus “ex socio vivo”, ma è pertinente chiarirla.

D: Uscire dalla società conviene per evitare i debiti?
R: Uscire può limitare l’esposizione ai soli debiti pregressi, evitando quelli futuri. Quindi sì, se prevedi che la società contrarrà altri debiti o peggiorerà, uscire prima è meglio che uscire dopo. Però, uscire non ti solleva dai debiti già maturati. A volte i soci pensano di scappare in tempo: se la società è già indebitata, il danno è fatto e i creditori possono rincorrerli comunque per quei debiti. Non serve “scappare” all’ultimo per evitare di pagare fornitori già non pagati. Serve invece per non essere coinvolti in nuovi contratti rischiosi. Inoltre, la tempistica va ponderata: se la società potrebbe fallire, uscire più di 1 anno prima del fallimento ti salva dal tuo fallimento personale (vantaggio); ma se esci e la società continua con il tuo nome e magari inganna creditori, potresti avere altre grane (come visto col nome in ragione sociale). Quindi conviene uscire in modo ordinato e trasparente quando non credi più nella società, e parallelamente assicurarsi che i tuoi obblighi siano sistemati (ad esempio, meglio negoziare un accollo dei debiti da parte di chi subentra, anche se non opponibile, almeno sai che moralmente/professionalmente qualcuno se ne fa carico, riducendo la probabilità che effettivamente vengano a te). In pratica, se la società ha debiti gestibili, potresti anche valutare di rimanere e contribuire a un piano di risanamento; se vedi che è ingestibile e i soci non collaborano, uscire ti impedisce di essere legato alle scelte future (o a omissioni future, specie fiscali). Ma preparati comunque a fare i conti con i creditori per la tua parte di passato.

D: Posso denunciare gli altri soci o amministratori se dopo la mia uscita hanno aggravato la situazione lasciando a me i debiti?
R: Potresti valutare azioni di responsabilità interne se hanno commesso irregolarità o distratto beni. Ad esempio, se scopri che i soci rimasti hanno fatto sparire i beni sociali anziché pagare i creditori, e poi questi ultimi si rifanno su di te, tu potresti citare i soci rimasti per mala gestio chiedendo i danni (che coprano quanto hai dovuto pagare ai creditori a causa loro). Oppure se c’era un amministratore estraneo che ha frodato il fisco e tu ex socio paghi le imposte evase, potresti rivalerti su quell’amministratore. Ci sono vari scenari di questo tipo. Tuttavia, occorre provarne le condotte e il nesso causale. Queste azioni sono complesse e da valutare con un legale caso per caso. Non risolvono il problema verso i creditori (che nel frattempo hai dovuto pagare), ma servono a recuperare da chi ha colpa. In casi estremi (es. reati come bancarotta fraudolenta) potresti anche segnalarlo alle autorità, ma come ex socio hai piuttosto interesse economico a recuperare il tuo, tramite azione civile. Comunque, questo è più un aspetto morale/di giustizia interna. Ai fini pratici per difenderti coi creditori, serve poco: non puoi opporre “non pago perché è colpa dell’altro socio”, dovrai pagare e poi semmai rivalerti.


Conclusione: il percorso dell’ex socio con debiti è certamente in salita, ma non privo di tutele. Conoscere i propri diritti (limiti temporali di responsabilità, beneficio d’escussione, ecc.) e usare gli strumenti giuridici adeguati (dalle opposizioni alle procedure concorsuali minori) può fare la differenza tra soccombere ai debiti o trovare una soluzione equa. La chiave è agire per tempo e con trasparenza: non aspettare che la situazione precipiti del tutto. Se ti trovi in questa condizione, valuta attentamente ogni richiesta di pagamento, documenta la tua uscita dalla società e non esitare a rivolgerti a professionisti o agli organismi di composizione della crisi. La legge italiana, come abbiamo visto, offre vie di uscita anche nelle situazioni più difficili, purché il debitore agisca con buona fede e collaborazione.

Fonti

  1. Codice Civile – Articoli 2267, 2268, 2290-2292, 2313-2314, 2324, 2495 c.c. (responsabilità soci per debiti sociali, socio uscente, soci accomandanti, debiti post liquidazione). Disponibile su vari codici commentati online.
  2. Corte di Cassazione – sentenza n. 7688/2013, in tema di limite di responsabilità del socio uscente dal momento dell’iscrizione del recesso (confermato che risponde solo dei debiti fino a tale iscrizione).
  3. Corte di Cassazione – sentenza n. 29306/2023, sez. VI, 1º novembre 2023. Ha stabilito che il socio uscente da S.n.c., con recesso regolarmente pubblicizzato, risponde solo dei canoni locazione maturati fino alla data di uscita e non di quelli successivi.
  4. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e D.Lgs. 83/2022 correttivo) – articoli 67-83, 268-277, 279-283. Disciplina delle procedure di composizione da sovraindebitamento: piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore), concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione del debitore incapiente, esdebitazione post-fallimento.
  5. Dati giurisprudenziali: Cass. SS.UU. 3625/2025 (materia tributaria post-estinzione società) – afferma che anche senza distribuzione formale l’Erario può agire se prova trasferimenti occulti, ma senza prove il socio non risponde. Cass. SS.UU. 21970/2021 (fusioni come successioni, per completezza su società incorporate). Cass. 13730/2015 (sanzioni tributarie non trasferibili ai soci). Tribunale Torino 11/03/2025 (debitore incapiente ammesso a esdebitazione ex art.283 CCII). Queste pronunce sono citate nelle fonti sopra.

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