Cosa Fare Per Non Far Fallire Un’Azienda Riducendo I Debiti?

La tua azienda è schiacciata dai debiti e temi che possa fallire?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da banche, fornitori, finanziarie o enti pubblici e stai lottando per mantenere in vita l’attività? In questi casi è fondamentale conoscere le strategie legali e operative che possono ridurre i debiti, ristabilire la liquidità e salvaguardare la continuità aziendale.

Quando un’azienda rischia il fallimento a causa dei debiti
– Quando ha contratto mutui, leasing o finanziamenti che non riesce più a onorare
– Quando ha accumulato debiti fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate, INPS o altri enti
– Quando fornitori strategici non vengono pagati e interrompono le forniture
– Quando calo di fatturato, aumento dei costi o mancati incassi compromettono il flusso di cassa
– Quando spese impreviste, contenziosi legali o sanzioni aggravano la situazione finanziaria

Cosa può accadere se non si interviene subito
– Pignoramento dei conti correnti aziendali, con blocco delle operazioni ordinarie
– Pignoramento presso terzi dei crediti verso clienti o enti pubblici
– Iscrizione di ipoteche su immobili aziendali o personali
– Revoca degli affidamenti bancari e impossibilità di accedere a nuova liquidità
– Perdita di fornitori e interruzione della produzione o dei servizi
– Nei casi più gravi, avvio di procedure concorsuali fino alla dichiarazione di fallimento

Cosa fare per ridurre i debiti ed evitare il fallimento
– Far analizzare da un avvocato o consulente specializzato la natura e la legittimità dei debiti, identificando importi prescritti o contestabili
– Per debiti fiscali e contributivi, attivare strumenti come rateizzazioni, rottamazioni o saldo e stralcio
– Negoziare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per ridurre interessi e penali
– Attivare una procedura di composizione negoziata della crisi o concordato preventivo per ristrutturare il debito e garantire la continuità aziendale
– Adottare misure di protezione del patrimonio aziendale e immobiliare con strumenti giuridici legittimi
– Implementare un piano di risanamento interno che riduca i costi fissi e ottimizzi i flussi di cassa

Cosa si può ottenere con la giusta assistenza legale e gestionale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione consistente del debito complessivo tramite accordi stragiudiziali o procedure giudiziarie
– La tutela degli immobili, dei beni aziendali e delle attrezzature
– La possibilità di mantenere la continuità operativa evitando il fallimento
– Il recupero della stabilità economica e gestionale
– La salvaguardia di posti di lavoro e rapporti commerciali strategici

Attenzione: ogni giorno di ritardo può peggiorare la situazione e ridurre le possibilità di salvataggio dell’azienda. Intervenire in anticipo, con una strategia mirata e assistenza professionale qualificata, è l’unico modo per evitare il tracollo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, riduzione del debito e tutela del patrimonio – ti spiega cosa fare per non far fallire un’azienda, come ridurre i debiti e come ripartire in modo sicuro e sostenibile.

La tua azienda è in crisi e i debiti stanno crescendo?
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Introduzione


Evitare il fallimento di un’azienda fortemente indebitata è possibile tramite una gestione attiva della crisi, sfruttando strumenti giuridici che consentono di ridurre e ristrutturare i debiti. Dal luglio 2022 è in vigore in Italia il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenz (D.Lgs. 14/2019, come modificato dal D.Lgs. 83/2022 e successivi correttivi), che ha riformato profondamente la normativa fallimentare. In ottica di “salvataggio” dell’impresa, il legislatore ha introdotto procedure e strumenti negoziali per anticipare e gestire la crisi, privilegiando il risanamento rispetto alla liquidazione. Da notare che il Codice ha sostituito il termine fallimento con liquidazione giudiziale, ma qui useremo il termine “fallire” in senso comune, riferendoci alla situazione di insolvenza che conduce alla cessazione dell’attività d’impresa.

Il presente guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce una trattazione approfondita (oltre 10.000 parole) delle soluzioni disponibili per un debitore d’impresa che voglia evitare il fallimento riducendo il peso dei debiti. Adottiamo un linguaggio giuridico ma accessibile, con riferimenti alla normativa italiana vigente e alle più recenti sentenze rilevanti. La guida è strutturata in sezioni tematiche, arricchite da tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione finale di domande e risposte (FAQ). Tutte le fonti utilizzate sono elencate in fondo. L’analisi copre vari tipi di soggetti – PMI, SRL, SNC, imprese individuali, startup innovative, così come piccoli imprenditori e privati in situazioni di sovraindebitamento – dal punto di vista del debitore che intende risanare la propria posizione debitoria. Saranno illustrati strumenti come la composizione negoziata, il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il concordato preventivo (anche nella forma semplificata introdotta di recente), la liquidazione controllata e l’esdebitazione. Particolare attenzione è dedicata anche ai profili fiscali: la gestione dei debiti verso Agenzia delle Entrate e INPS, incluse la transazione fiscale e le definizioni agevolate.

Obbligo di agire tempestivamente: Un concetto chiave introdotto dalla riforma è la necessità di affrontare precocemente gli squilibri finanziari. L’art. 2086 c.c. (modificato dal Codice della crisi) impone all’imprenditore un dovere di dotare l’impresa di assetti organizzativi adeguati a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e di attivarsi senza indugio per adottare strumenti idonei al suo superamento. Ciò significa che amministratori e imprenditori hanno la responsabilità di monitorare costantemente la situazione economico-finanziaria e di non attendere che l’insolvenza sia conclamata prima di prendere provvedimenti. Un intervento tardivo riduce le opzioni disponibili e può aggravare le responsabilità personali degli amministratori. Viceversa, l’attivazione tempestiva degli strumenti di composizione della crisi aumenta le chance di successo del risanamento e tutela l’azienda, i creditori, i posti di lavoro e l’economia generale.

Nei paragrafi seguenti analizziamo in dettaglio i vari strumenti giuridici per ridurre i debiti e prevenire la “morte” dell’impresa, con un livello di approfondimento avanzato adatto anche a professionisti legali.

Rilevare la crisi d’impresa e agire prima dell’insolvenza

Il primo passo per evitare il fallimento è riconoscere prontamente lo stato di crisi e adottare misure correttive. Il Codice della crisi definisce la crisi come lo “stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi”. L’insolvenza, invece, è lo stato in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, manifestandosi con inadempimenti o altri fatti esteriori indicatori di incapacità finanziaria. In termini pratici, la crisi è una situazione di difficoltà finanziaria reversibile (ad esempio tensioni di liquidità, perdite in bilancio, ecc.), mentre l’insolvenza è una condizione più grave e conclamata in cui l’azienda non paga più sistematicamente debiti alle scadenze.

La distinzione è cruciale: gli strumenti di risanamento sono concepiti per agire nella fase di crisi, prima che l’insolvenza diventi irreversibile. Un’azienda ancora in bonis o in temporanea tensione finanziaria ha molte più possibilità di ristrutturare il debito rispetto a un’azienda già insolvente. Pertanto, gli amministratori devono attivarsi ai primi segnali di squilibrio. Alcuni indicatori di allerta possono essere: indici di bilancio deteriorati (indici di liquidità, indebitamento, ecc.), perdite significative di esercizio che erodono il capitale, flussi di cassa negativi, difficoltà di pagamento continuative verso fornitori, banche, Erario o dipendenti, oppure l’attivazione di procedure esecutive da parte dei creditori.

Il Codice della crisi aveva inizialmente previsto formali “procedimenti di allerta” esterni (ad es. segnalazioni da parte di creditori pubblici o organi di controllo), ma tali meccanismi sono stati in parte rivisti e attenuati. Attualmente, l’elemento centrale è il dovere interno di assetto organizzativo adeguato e di attivazione degli strumenti di regolazione della crisi. In pratica, ciò si traduce nell’effettuare periodicamente check-up aziendali e, se emergono segnali di difficoltà, nel considerare subito le opzioni di intervento:

  • Rinegoziazione privata dei debiti: tentare un accordo informale con i principali creditori per dilazionare o ridurre i pagamenti, prima di ricorrere a procedure formali. Questa strada può alleviare la pressione nel brevissimo termine, ma presenta rischi se non è inquadrata in uno strumento protetto: i creditori dissenzienti potrebbero agire esecutivamente e le transazioni potrebbero essere soggette a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento. Per questo è spesso preferibile inquadrare la rinegoziazione in un piano attestato di risanamento o in un accordo di ristrutturazione omologato, che conferiscono tutele legali (come si vedrà oltre).
  • Accesso a procedure di allerta assistita: dal 2021 esiste la Composizione Negoziata della crisi d’impresa, uno strumento innovativo e volontario in cui l’imprenditore chiede l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio per facilitare le trattative con i creditori (vedi sezione successiva). Questo strumento può essere attivato anche prima che l’azienda sia insolvente, quando vi è uno squilibrio patrimoniale o finanziario ma ancora margine di risanamento. La composizione negoziata consente di mantenere riservata la situazione e di ottenere, se necessario, misure protettive temporanee (una sorta di “scudo” contro azioni esecutive dei creditori).
  • Verifica della meritevolezza e cause di crisi: è importante che l’imprenditore analizzi le cause dell’indebitamento (es. calo di fatturato, eccessivo ricorso a debito, investimenti errati, fattori esterni di mercato, ecc.) e la propria condotta. Comportamenti scorretti (ad esempio distrazione di beni, false comunicazioni, frodi fiscali) non solo possono precludere l’accesso ad alcune soluzioni, ma espongono a responsabilità penali e civili. Gli strumenti di risanamento premiano l’imprenditore onesto ma sfortunato, mentre non possono essere usati per sanare condotte dolose o gravemente imprudenti senza conseguenze. Ad esempio, per ottenere l’esdebitazione finale dei debiti residui è richiesta la meritevolezza del debitore (assenza di frodi o malafede). Pertanto, un’azienda in crisi deve mantenere una condotta trasparente e collaborativa con i creditori e gli organi delle procedure.

Riassumendo: non esiste una bacchetta magica per evitare il fallimento, ma il sistema italiano offre diversi strumenti legali che, se attivati per tempo e utilizzati correttamente, consentono di rinegoziare i debiti, ridurli (mediante stralcio parziale) e riorganizzare l’impresa, preservandone la continuità. Nei capitoli seguenti passeremo in rassegna tali strumenti, dai più soft e stragiudiziali (come i piani attestati) a quelli più strutturati e giudiziali (concordati, accordi omologati), includendo le procedure speciali per le piccole imprese e i privati sovraindebitati.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Una delle novità più significative introdotte prima ancora dell’entrata in vigore del Codice della crisi è la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Istituita col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora disciplinata dal Titolo II, Capo I, del Codice (artt. 12-25 sexies CCI), la composizione negoziata è un percorso stragiudiziale volontario finalizzato al risanamento dell’impresa in crisi, attraverso la negoziazione assistita da un esperto indipendente. Si tratta di un procedimento riservato e confidenziale, attivabile dall’imprenditore che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (la situazione di pre-crisi) ma non ancora in insolvenza conclamata. L’obiettivo è di trovare un accordo con i creditori o comunque una soluzione che eviti l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento), ripristinando la continuità aziendale se possibile.

Caratteristiche principali:

  • La composizione negoziata è negoziale (basata sull’accordo tra debitore e creditori) e stragiudiziale (si svolge al di fuori del tribunale). A differenza di procedure concorsuali come il concordato preventivo, qui non c’è una procedura giudiziaria né un commissario giudiziale; la regia è affidata all’imprenditore con l’assistenza di un esperto terzo. Tuttavia, il tribunale può intervenire solo in funzioni di supporto: ad esempio per concedere misure protettive sui beni o autorizzare finanziamenti urgenti, come vedremo.
  • Soggetti ammessi: possono accedere alla composizione negoziata tutte le imprese, di qualsiasi dimensione e natura (imprese commerciali, agricole, artigiane, etc.), incluse le piccole imprese sotto-soglia che tradizionalmente non erano soggette a fallimento. Ciò rappresenta una differenza importante rispetto al passato: anche l’imprenditore “minore” (quello con attivo annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) può oggi accedere a questo strumento di regolazione assistita della crisi. Per le micro-imprese sono previste semplificazioni documentali (ad esempio, non è obbligatorio presentare un dettagliato piano finanziario a 6 mesi, è sufficiente la documentazione base: ultimi bilanci, elenco creditori, posizione debitoria verso Erario). Possono accedere anche le imprese agricole e le startup innovative (anche se queste ultime godono di una esenzione temporanea dal fallimento, v. infra). In sintesi, la platea è vastissima: qualsiasi imprenditore (individuale o collettivo) in difficoltà può chiedere la nomina di un esperto per tentare la composizione negoziata.
  • Condizione di accesso (presupposto oggettivo): l’impresa dev’essere in una condizione di crisi reversibile, non ancora di insolvenza irreversibile. La legge parla di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” che rende probabile l’insolvenza, ma non di insolvenza attuale. In altri termini, devono esserci ancora realistiche prospettive di risanamento. Se l’azienda è già insolvente (ad esempio non paga stipendi e fornitori da tempo, subisce pignoramenti, ha completamente esaurito la cassa), la composizione negoziata potrebbe non essere lo strumento adatto e sarebbe necessario ricorrere a procedure concorsuali tradizionali (concordato preventivo o, se tardivamente, liquidazione giudiziale). In pratica, però, la linea di demarcazione non è netta e in diversi casi anche aziende tecnicamente insolventi hanno tentato la composizione negoziata confidando di recuperare la continuità con accordi. Va però considerato che se la crisi è troppo avanzata e i creditori sono già all’azione, la procedura rischia di fallire.
  • Istanza e nomina dell’esperto: l’imprenditore presenta una istanza tramite la piattaforma telematica dedicata (gestita dalle Camere di Commercio). Deve allegare informazioni sull’azienda, la situazione debitoria e alcuni documenti (elenco creditori, situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata, ultime dichiarazioni fiscali, etc.). Entro pochi giorni viene nominato un esperto indipendente, scelto da una apposita Commissione tra professionisti iscritti in un albo (commercialisti, avvocati o consulenti con esperienza in ristrutturazioni). L’esperto, dopo aver accettato l’incarico, esamina la posizione aziendale e convoca l’imprenditore per pianificare le trattative. L’esperto deve essere terzo e imparziale: il suo ruolo è di facilitare le negoziazioni e proporre soluzioni, pur senza poteri decisionali vincolanti.
  • Durata e conduzione delle trattative: il periodo di composizione negoziata dura inizialmente 180 giorni (6 mesi), prorogabili su richiesta motivata dell’imprenditore previo parere dell’esperto. Durante questo tempo, l’imprenditore resta alla guida dell’azienda (non c’è spossessamento) e, con l’aiuto dell’esperto, incontra i creditori o li contatta per prospettare possibili soluzioni. Tutte le parti sono tenute a comportarsi con lealtà e riservatezza. L’esperto redige verbali periodici sull’andamento delle trattative e può convocare le parti anche con modalità telematiche. Egli valuta la fattibilità di un accordo o di altre soluzioni (come aumento di capitale, cessione di rami d’azienda, ristrutturazione del debito bancario, intervento di un investitore, ecc.). L’esperto può anche formulare proposte o osservazioni al piano che l’imprenditore intende proporre. Non c’è un format rigido: in alcuni casi si arriverà a un accordo stragiudiziale con i creditori (anche diversi accordi bilaterali), in altri a un accordo formalizzato da omologare (ad es. un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCI) o a un piano di concordato. In altri casi ancora, purtroppo, non emergerà alcuna soluzione utile.
  • Misure protettive e cautelari: uno dei vantaggi della composizione negoziata è che l’imprenditore può richiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive durante le trattative. Se richieste nell’istanza o successivamente, dal giorno della pubblicazione dell’istanza al Registro Imprese i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, né acquisire prelazioni (ipoteche, pegni) se non concordate. Questa sorta di “automatic stay” temporaneo tutela l’azienda dal rischio di aggressioni dei creditori mentre si negozia. Le misure protettive sono concesse con decreto del tribunale e normalmente durano per l’intera procedura (salvo revoca se abusate). Va notato che nelle composizioni negoziate delle micro-imprese sotto-soglia, le misure protettive possono essere richieste tramite l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) competente, snellendo la procedura. Importante: se l’imprenditore chiede le misure protettive, deve rinunciare a certi vantaggi procedurali successivi: in particolare, non può utilizzare la composizione negoziata agevolata al 30% (accordo “agevolato”), che per legge non consente moratorie. In pratica quindi, chi prevede di ottenere un accordo agevolato con il 30% di crediti (strumento descritto più avanti) non deve chiedere lo stay.
  • Autorizzazioni urgenti: durante la composizione negoziata l’imprenditore può chiedere al tribunale, con il parere favorevole dell’esperto, di autorizzare specifici atti essenziali per la continuità aziendale, come contrarre finanziamenti prededucibili (cioè che saranno rimborsati con priorità se poi si aprirà una procedura concorsuale) o cedere beni non strategici. Può anche essere autorizzato a pagare crediti pregressi indispensabili (es. fornitori critici) al fine di evitare pregiudizi irreparabili all’azienda. Queste autorizzazioni servono a stabilizzare l’impresa durante le trattative, evitando che perda beni o contratti chiave.
  • Conclusione della procedura: la composizione negoziata può concludersi in diversi modi. Epilogo positivo: se si raggiunge un accordo soddisfacente con i creditori, l’imprenditore esce dalla procedura e dà esecuzione all’accordo. L’accordo può avere varie forme:
    • un contratto di ristrutturazione privato, sottoscritto dai creditori che vi aderiscono (ad es. un accordo bilaterale di saldo e stralcio con banche, o un accordo plurilaterale); questo rimane fuori dal tribunale e vincola solo i firmatari;
    • un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ADR) ex art. 57 CCI, se si raggiungono le percentuali richieste (di solito 60% dei crediti, ma può essere anche 30% in forma agevolata – v. infra); in tal caso si chiederà l’omologazione al tribunale per estendere taluni effetti anche ai creditori estranei e ottenere le esenzioni da revocatoria;
    • un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) se l’accordo richiede il coinvolgimento di tutti i creditori in un piano votato; ad esempio, l’esperto può aver suggerito di predisporre un concordato perché la ristrutturazione è complessa o alcuni creditori dissenzienti vanno comunque inclusi. È prevista in particolare la possibilità di un concordato “semplificato” per la liquidazione (art. 25-sexies CCI) se le trattative non hanno successo ma è emersa la disponibilità dell’imprenditore a mettere i beni a disposizione dei creditori (vedi oltre).
    • una trasferimento d’azienda o di rami a terzi, o ingresso di investitori, ecc., effettuati consensualmente durante la composizione negoziata con accordo dei creditori (ad esempio, un accordo di ristrutturazione potrebbe prevedere che un nuovo socio immetta liquidità e i creditori accettino uno stralcio parziale).
    Se invece non si trova alcuna soluzione, l’esperto redige una relazione finale negativa e la procedura termina. A quel punto l’imprenditore e i creditori tornano liberi: i creditori possono riprendere o iniziare azioni esecutive (se non già fatto) e, in caso di insolvenza conclamata, potrebbero chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento). L’esperto non ha il potere di attivare d’ufficio procedure concorsuali, ma una relazione finale negativa spesso segnala che l’impresa è insolvente o incapace di risanarsi, il che può indurre creditori o il Pubblico Ministero a presentare istanza di fallimento. L’imprenditore che vede fallire la composizione negoziata può comunque tentare un’ultima carta: se vuole evitare il fallimento, può lui stesso chiedere un concordato preventivo o una liquidazione giudiziale “volontaria”, confidando almeno di accedere all’esdebitazione.
  • Vantaggi della composizione negoziata: consente di guadagnare tempo e cercare soluzioni senza subire immediatamente le conseguenze di una procedura concorsuale (che ha effetti anche reputazionali e di fiducia su clienti/fornitori). È riservata – l’istanza è pubblicata solo se si chiedono misure protettive, altrimenti resta confidenziale. Mantiene l’azienda operativa e sotto controllo dell’imprenditore. Ha costi relativamente contenuti (non ci sono organi giudiziari se non per misure mirate; l’esperto ha diritto a un compenso determinato secondo parametri ministeriali, in parte a carico dell’impresa, ma comunque inferiore ai costi di un’amministrazione straordinaria). Inoltre, l’esperto indipendente porta competenze e terzietà: il suo coinvolgimento può aumentare la fiducia dei creditori nella buona fede dell’imprenditore e nella fattibilità di un piano di risanamento.
  • Limiti: è volontaria e basata sul consenso: se i creditori, o alcuni di essi, non collaborano o non si fidano, l’esperto non può imporre loro nulla. In mancanza di adesione pressoché totale (o almeno dei principali creditori), l’operazione di risanamento può non riuscire. Inoltre, se l’impresa è troppo compromessa, questo strumento non fa miracoli – può ritardare l’inevitabile ma difficilmente lo evita. Infine, durante la composizione negoziata l’impresa non ha automaticamente protezione dagli atti dei creditori se non chiede al tribunale le misure protettive; e anche con quelle, alcuni atti sono esclusi (es. non sospende il decorso di interessi sui debiti finanziari, salvo accordo; e i creditori estranei potrebbero comunque agire se la protezione è parziale).

Esiti possibili della composizione negoziata – schema riepilogativo:

  • Caso A: Accordo stragiudiziale con i creditori raggiunto: l’azienda esce dalla procedura e prosegue l’attività secondo i nuovi accordi (es. piani di rientro dilazionati, riduzioni di crediti concordate). L’accordo può rimanere riservato. Si consiglia comunque di farlo attestare da un professionista indipendente se comporta pagamento parziale di creditori, per godere di esenzione da revocatorie (vedi piano attestato infra).
  • Caso B: Accordo formale omologato: se sono soddisfatte le condizioni, l’imprenditore può far omologare un accordo di ristrutturazione dei debiti dal Tribunale. Ad esempio, supponiamo che durante la composizione l’azienda convinca il 65% dei creditori (in valore) a ridurre i crediti del 30% e a dilazionarli. Si può sottoporre questo accordo al giudice per l’omologazione ex art. 48 e 57 CCI. L’omologazione lo rende efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti o non aderenti (i “estranei” restano comunque pagati integralmente, ma subiscono la moratoria dei pagamenti per il tempo del piano). Inoltre, con l’omologa scatta l’esenzione dalle azioni revocatorie per gli atti eseguiti in esecuzione dell’accordo. Si noti che esistono vari tipi di accordi omologabili, tra cui:
    • Accordo ordinario (60%) – richiede adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali.
    • Accordo agevolato (30%) – richiede almeno il 30% dei crediti totali, ma a condizioni restrittive (nessuna moratoria verso i non aderenti, rinuncia alle misure protettive).
    • Accordo ad efficacia estesa (categoriale) – se il 75% di una categoria omogenea di creditori finanziari aderisce, l’accordo può estendersi anche al restante 25% di quella categoria dissenziente. Questo strumento è utile per coinvolgere banche o obbligazionisti: se la stragrande maggioranza accetta un piano, la minoranza viene trascinata.
  • Caso C: Accesso a Concordato Preventivo: qualora serva coinvolgere tutti i creditori in una ristrutturazione più ampia (ad es. perché solo così si può ottenere l’apporto di nuove risorse, oppure perché occorre falcidiare crediti privilegiati, operazione possibile solo in concordato), l’imprenditore può optare per il concordato. Spesso accade che la composizione negoziata sia propedeutica: l’esperto aiuta a predisporre una bozza di piano concordatario e a sondare l’adesione dei creditori, dopodiché l’azienda deposita formale domanda di concordato preventivo. Nel nuovo Codice, la legge incentiva tali passaggi e prevede uno specifico “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” se dalla composizione emergono solo prospettive di liquidazione dei beni (vedi prossima sezione).
  • Caso D: Fallimento evitato per altra via: è possibile che durante la composizione negoziata l’imprenditore decida di porre fine volontariamente all’impresa in modo non traumatico, ad esempio cedendo l’azienda in esercizio a un competitor o facendo un accordo con un assuntore che rileva attività e passività. Tali operazioni possono evitare l’apertura di procedure concorsuali. Naturalmente, servono partner terzi disposti a intervenire.
  • Caso E: Esito negativo e apertura di Liquidazione Giudiziale: se nessuna soluzione è attuabile, spesso l’esito è il fallimento. Nel periodo immediatamente successivo alla chiusura della composizione negoziata, l’azienda deve stare attenta: i creditori (o il PM) potrebbero precipitarsi a chiederne il fallimento. L’imprenditore, se comprende di non poter fare altro, può considerare lui stesso di depositare istanza di liquidazione giudiziale, magari “con riserva” di presentare un concordato minore se è piccolo imprenditore. Un’autodenuncia tempestiva può essere vista come comportamento collaborativo utile poi per l’esdebitazione.

Statistiche di utilizzo: sebbene inizialmente accolto con lentezza, lo strumento della composizione negoziata sta conoscendo un forte incremento. Secondo Unioncamere, nel 2024 le istanze presentate in Italia sono state 1.089, quasi raddoppiate rispetto alle ~600 del 2023. Ciò indica che sempre più imprese ricorrono a questa soluzione volontaria per affrontare la crisi. Il dato rivela anche un maggiore tasso di successo tra le aziende medio-grandi, dotate di strutture organizzative e advisor più preparati, mentre le piccole imprese spesso arrivano tardivamente o in modo inadeguato. Questo sottolinea l’importanza della consapevolezza: le PMI devono essere incoraggiate a utilizzare la composizione negoziata appena sorgono le difficoltà, e possibilmente affiancate da consulenti esperti.

Startup innovative: un caso particolare è quello delle startup innovative. Queste società, per i primi 5 anni dalla costituzione, non possono essere assoggettate a fallimento o concordato (art. 31 D.L. 179/2012); in caso di crisi, potevano sinora ricorrere solo alle procedure di sovraindebitamento (accordi o piani ex L.3/2012, ora concordato minore, ecc.). La Cassazione ha confermato che trascorsi i 5 anni (o persi i requisiti prima di tale termine), la non fallibilità cessa automaticamente, senza bisogno di cancellazione formale dalla sezione speciale. Dunque, durante quei 5 anni, una startup in crisi può avvalersi della composizione negoziata (che è stragiudiziale) e degli strumenti da sovraindebitamento, ma non del concordato preventivo. Se tuttavia la startup perde i requisiti o scadono i 5 anni, essa diventa fallibile come una normale impresa. Esempio: Startup X, costituita a gennaio 2019, dal febbraio 2024 non è più esente e potrà essere dichiarata fallita se insolvente. In un’ordinanza del 2024 la Cassazione ha ribadito che il termine quinquennale decorre dalla costituzione della società e non dalla data di iscrizione o da altri formalismi. Dunque i fondatori di startup innovative dovrebbero monitorare con attenzione l’approssimarsi della fine del periodo di “immunità” concorsuale: se la società ha debiti insostenibili, prima dello scadere dei 5 anni converrà trovare un accordo o mettere mano a procedure minori, altrimenti dopo i 5 anni i creditori potranno agire per il fallimento.

Conclusione sullo strumento: la composizione negoziata è un percorso ibrido tra negoziazione privata e procedura regolamentata. Dal punto di vista del debitore, offre un tentativo “protetto” di sistemare la situazione senza subire lo stigma e le rigidità di un fallimento. È altamente consigliabile valutare questo strumento in presenza di crisi incipiente, specie se l’azienda ha ancora del valore e prospettive di recupero (il legislatore l’ha definito un “istituto innovativo emergenziale” orientato proprio a salvare l’impresa in pre-crisi). Naturalmente non garantisce l’esito positivo, ma aumenta le probabilità di non far fallire l’azienda attraverso accordi di riduzione del debito. Nei prossimi paragrafi, vedremo cosa succede se l’accordo richiede formalità maggiori (piani attestati, accordi omologati) o se si deve ricorrere a procedure concorsuali.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCI)

Un altro strumento fondamentale per gestire una crisi evitando il fallimento è il piano attestato di risanamento. Si tratta di una soluzione totalmente stragiudiziale prevista dall’art. 56 del Codice della crisi (già nota nell’ordinamento previgente, ex art. 67, co.3, lett. d) l.fall.). In poche parole, il piano attestato è un piano di risanamento unilaterale, accompagnato da una relazione di un esperto indipendente (“attestatore”) che ne certifica la fattibilità, e attuato attraverso accordi con i creditori. È uno strumento privato, che non richiede omologazione o intervento del tribunale, ma che offre importanti benefici legali se eseguito correttamente.

Caratteristiche chiave del piano attestato:

  • È un atto unilaterale dell’imprenditore, rivolto ai creditori, formulato per ristrutturare l’indebitamento e riequilibrare la situazione finanziaria. A differenza di concordati o accordi ex art.57, il piano attestato non è una “procedura concorsuale”: i creditori non votano né un giudice deve approvare. Tuttavia, nella pratica l’efficacia dipende dall’adesione spontanea dei creditori alle proposte in esso contenute. Ad esempio, se il piano prevede che le banche proroghino i finanziamenti, occorre ottenere il loro consenso contrattuale.
  • Elementi costitutivi: (i) un piano dettagliato di risanamento aziendale (misure da adottare, tempistiche, risorse disponibili, ecc.); (ii) l’attestazione di un professionista indipendente che certifichi la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; (iii) gli accordi con i creditori conclusi in esecuzione del piano, coerentemente con esso. L’attestatore tipicamente è un commercialista o un revisore esperto in crisi, iscritto in appositi albi. La sua relazione è cruciale: deve convincersi e dichiarare che i numeri di bilancio sono corretti e che il piano, se attuato, può ragionevolmente risanare l’impresa.
  • Forma e pubblicità: il piano deve avere data certa (es. tramite atto notarile o PEC). Può rimanere riservato oppure, a scelta del debitore, essere pubblicato nel Registro delle Imprese insieme all’attestazione e agli accordi con i creditori (art. 56 co.4 CCI). La pubblicazione è obbligatoria solo se l’imprenditore intende usufruire di un beneficio fiscale: l’esenzione da tassazione delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti attuata col piano. Infatti, normalmente la remissione di un debito genera un provento tassabile per l’azienda debitrice; tuttavia l’art. 88, co.4-ter TUIR esenta parzialmente tali proventi se il piano di risanamento è pubblicato. Dunque, per non pagare imposte sui debiti stralciati, conviene la pubblicità.
  • Efficacia legale: il vantaggio primario del piano attestato è la protezione dagli effetti negativi di un eventuale successivo fallimento:
    • Gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato pubblicato sono esenti da revocatoria fallimentare. Ciò è sancito dall’art. 166 CCI (corrispondente all’art. 67 l.f. previgente): in caso di successivo fallimento, il curatore non può chiedere la revoca dei pagamenti preferenziali o delle vendite a prezzo inferiore effettuati secondo il piano. Questa esenzione è fondamentale: elimina l’incertezza per i creditori aderenti al piano, che altrimenti temerebbero di dover restituire quanto incassato se l’azienda poi fallisse entro 2 anni. Ad esempio, se la società Alfa paga un fornitore con uno sconto del 30% sul credito, in esecuzione di un piano attestato valido, quel pagamento non potrà essere revocato in un eventuale fallimento successivo di Alfa.
    • Il compimento di atti in esecuzione del piano non espone l’imprenditore a responsabilità penale per bancarotta preferenziale o semplice. L’art. 324 CCI estende infatti una sorta di “safe harbor” penale: se l’imprenditore ha pagato alcuni creditori a discapito di altri o ha aggravato il dissesto seguendo il piano attestato, non verrà punito per bancarotta, a condizione che il piano fosse idoneo al risanamento e attestato in buona fede. Questo scudo è essenziale perché, in mancanza, un imprenditore che paga alcuni debiti durante crisi rischia l’accusa di bancarotta preferenziale (favorire alcuni creditori) o bancarotta semplice (aggravamento del dissesto). Il piano attestato, se ben fatto, lo protegge penalmente.
  • Quando usarlo: il piano attestato è indicato quando l’impresa ha relativamente pochi creditori principali o comunque la possibilità di trovare un accordo amichevole con essi, senza bisogno di imporre la manovra ai dissenzienti via tribunale. È uno strumento flessibile e rapido, perché non si è vincolati a percentuali di adesione prestabilite: basta convincere abbastanza creditori da rendere sostenibile il risanamento. Spesso è usato con le banche: ad esempio, l’azienda elabora un piano con business plan triennale certificato, e le banche creditrici (magari coordinate da un pool) accettano di ristrutturare i propri crediti (allungando le scadenze, riducendo interessi, talvolta stralciando quota capitale) confidando nel recupero. Oppure l’azienda può accordarsi con fornitori chiave per ridurre i debiti commerciali a fronte di partecipazione futura al rilancio.
  • Limiti: non vincola i creditori non aderenti. Quindi se ci sono creditori che non partecipano all’accordo, essi possono agire separatamente (pignoramenti, decreti ingiuntivi, etc.) inficiando il piano. Inoltre, richiede un attestatore qualificato e credibile: la qualità del piano e della relazione di attestazione incide sulla fiducia dei creditori. Se l’attestazione è superficiale o troppo ottimistica, i creditori potrebbero non aderire o, peggio, se poi l’impresa fallisce potrebbero sorgere contestazioni sulla validità dell’attestazione (ci sono casi di azioni di responsabilità contro attestatori per negligenza grave). È quindi essenziale che l’attestatore sia indipendente e scrupoloso. Da notare anche che il piano attestato di per sé non offre protezione da azioni esecutive durante la trattativa: se serve, l’imprenditore dovrebbe parallelamente attivare una composizione negoziata o un ricorso per accordi in bianco per ottenere uno stay. Infine, non consente di imporre tagli di debiti fiscali o contributivi se non col consenso dell’Erario: l’Agenzia Entrate non è vincolata da un piano attestato ma può volontariamente aderire tramite la transazione fiscale (vedi sezione fiscale).

Esempio di piano attestato: Poniamo che Beta Srl abbia 5 banche creditrici per mutui e affidamenti, oltre a fornitori e debiti tributari. Beta ha difficoltà a rimborsare i mutui nei piani originali. Elabora allora un piano di risanamento che prevede: dismissione di alcuni asset non strategici per far cassa, apporto di €500.000 di nuovi mezzi propri dai soci, rifinanziamento bancario con allungamento delle scadenze a 8 anni e riduzione tassi, pagamento integrale di IVA e ritenute entro 2 anni (per evitare problemi penali), pagamento parziale (es. 80%) dei fornitori chirografari in 24 mesi. Un professionista indipendente attesta che i dati di Beta sono veritieri e che, assumendo l’apporto di mezzi freschi e la ristrutturazione come da piano, l’azienda è in grado di tornare in bonis e sostenere l’indebitamento residuo. Le banche, vagliato il piano e la relazione, accettano formalmente sottoscrivendo accordi bilaterali (ad es. nuovi contratti di mutuo rinegoziati). I fornitori principali firmano quietanze a saldo dell’80% del credito (stralciando il 20%). L’azienda pubblica il piano e l’attestazione nel Registro Imprese per non tassare le sopravvenienze attive derivanti dallo sconto 20%. Grazie a ciò, se Beta dovesse comunque fallire entro i successivi due anni (cosa che nessuno si augura, ma va considerata), i pagamenti fatti alle banche e fornitori secondo il piano non potranno essere revocati dal curatore, e Beta (o i suoi amministratori) non potranno essere incriminati per aver favorito quelle banche/fornitori rispetto ad altri creditori. Il piano attestato ha così fornito un “ombrello” protettivo giuridico alla manovra di risanamento.

In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento molto utile per ridurre i debiti fuori dal tribunale, indicato quando si prevede di coinvolgere volontariamente i creditori in un accordo di ristrutturazione. Dal punto di vista dell’imprenditore, presenta il vantaggio di non dover divulgare pubblicamente la crisi (se non per i benefici fiscali) e di evitare la lentezza e rigidità di un processo concorsuale. Al tempo stesso, offre la sicurezza giuridica che le azioni compiute in buona fede per attuare il piano non verranno invalidate qualora la crisi dovesse precipitare. Va considerato che non sempre è sufficiente: se c’è necessità di cram-down verso creditori dissenzienti, occorrerà un accordo omologato o un concordato. Il piano attestato spesso si pone alla base di successivi eventuali accordi più formali.

Differenze tra Composizione Negoziata e Piano Attestato: entrambi operano in fase pre-fallimentare e puntano al risanamento, ma hanno natura diversa. La composizione negoziata è un procedimento con un esperto nominato e possibili interventi del giudice (per misure protettive), ed è pensata per cercare soluzioni anche quando ancora non c’è un piano definito (l’esperto aiuta proprio a elaborarlo). Il piano attestato invece presuppone che l’imprenditore abbia già un piano concreto e credibile, e coinvolge un attestatore scelto dallo stesso imprenditore per dare garanzie ai terzi. Nella pratica, i due strumenti possono integrarsi: durante la composizione negoziata si potrebbe predisporre un piano attestato da eseguire poi, oppure dopo una composizione fallita si potrebbe comunque tentare un piano attestato con alcuni creditori, se la situazione lo consente. In ogni caso, il piano attestato è la soluzione più snella per ristrutturare debiti ed evitare il fallimento, a patto di avere la collaborazione dei creditori principali.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCI)

Quando la crisi richiede un intervento più vincolante di un semplice accordo privato ma non si vuole arrivare al concordato preventivo con voto di tutti i creditori, lo strumento appropriato sono gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale (spesso abbreviati in ADR). Gli accordi di ristrutturazione, disciplinati dagli artt. 57-64 CCI, sono un ibrido: hanno natura negoziale (sono accordi volontari tra debitore e una parte qualificata dei creditori), ma necessitano di un’intervento giudiziale di omologazione per divenire efficaci e protetti.

In breve: l’imprenditore in crisi può stipulare un accordo con un numero qualificato di creditori (non serve il 100%), presentarlo al tribunale e, se l’accordo soddisfa i requisiti di legge (percentuali di adesione, idoneità a soddisfare integralmente i creditori estranei, attestazione di fattibilità), ottenere una sentenza di omologazione che rende l’accordo vincolante anche per eventuali creditori che non hanno firmato (pur senza falcidiare i loro crediti, salvo eccezioni per Fisco e previdenza come vedremo). In sintesi, è una negoziazione privata ratificata dal tribunale, che offre una via più rapida del concordato e con minore coinvolgimento di tutti i creditori.

Tipologie di accordi e percentuali: il Codice della crisi prevede vari modelli di accordo di ristrutturazione:

  • Accordo “standard” (ordinario): occorre l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti. Questa soglia è identica a quella prevista dal vecchio art. 182-bis l.fall. L’accordo può coinvolgere anche solo alcuni creditori (non è necessario includere tutti, basta raggiungere quella percentuale sul monte debiti).
  • Accordo “agevolato”: introdotto dalla riforma (art. 60 CCI), consente di omologare un accordo con adesioni pari ad almeno il 30% dei crediti. È dunque “agevolato” perché dimezza la percentuale richiesta. In compenso, ha condizioni restrittive: il debitore non deve richiedere misure protettive (niente “blocco” dei creditori durante la trattativa) e deve pagare i creditori estranei integralmente e senza dilazioni (nessuna moratoria per chi non aderisce). Inoltre l’accordo agevolato gode comunque dell’esenzione da revocatoria e degli effetti protettivi post-omologa come uno standard. Questo strumento è pensato per situazioni in cui pochi creditori chiave (ad es. banche che detengono il 30-50% dei debiti) acconsentono a ristrutturare, mentre gli altri (spesso trade creditors o enti pubblici di peso minore) possono essere pagati regolarmente. È simile a un piano attestato, ma con la differenza che viene omologato dal giudice garantendo pienamente l’esenzione da revocatoria e impedendo contestazioni successive sulla validità degli atti.
  • Accordo ad efficacia estesa (o “accordo esteso”): disciplinato dall’art. 61 CCI (già art. 182-septies l.fall.), consente di estendere gli effetti di un accordo anche a creditori della stessa classe non aderenti, purché l’accordo sia stato approvato da almeno il 75% dei crediti di quella classe. In pratica si applica soprattutto a categorie omogenee di creditori finanziari (banche, obbligazionisti): se la stragrande maggioranza sottoscrive la ristrutturazione, il tribunale può estenderla agli istituti dissenzienti della medesima categoria, a condizione che siano stati informati e abbiano possibilità di aderire (è un meccanismo di cram-down settoriale). Questo evita che una minoranza blocchi accordi sostanzialmente condivisi dalla categoria.
  • Accordo di ristrutturazione soggetto a omologazione “PRO”: introdotto per recepire la Direttiva UE 2019/1023, è il cosiddetto Piano di Ristrutturazione Omologato (da cui l’acronimo PRO) disciplinato dagli artt. 64-bis e seguenti CCI. Esso consente, in determinati casi, di avere un piano di ristrutturazione senza necessità di adesione minima di creditori, omologato dal tribunale dopo un giudizio di cram-down su classi di voto (è una sorta di concordato senza fallimento, con la differenza che coinvolge solo alcune classi). Questo però è strumento molto avanzato e specialistico, usato raramente e oltre lo scopo di questa guida focalizzata sulle opzioni classiche.

Indipendentemente dalla tipologia, tutti gli accordi di ristrutturazione richiedono:

  • che il debitore allegi un piano di ristrutturazione con i tempi e modi di soddisfacimento dei creditori aderenti e non aderenti;
  • una relazione di un professionista indipendente (attestatore) che certifichi la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo, nonché il rispetto della condizione di convenienza per i creditori estranei (ossia che riceveranno almeno quanto avrebbero ottenuto in un fallimento);
  • il pagamento integrale dei creditori estranei entro 120 giorni dall’omologazione (o dalle scadenze originarie, se successive), salvo che anch’essi abbiano consensualmente accettato una dilazione (via convenzione di moratoria ex art. 62 CCI).

Procedimento: l’imprenditore delibera (per le società, la decisione spetta agli amministratori con verbale notarile e iscrizione a Registro Imprese) di proporre un accordo di ristrutturazione. Può presentare in tribunale un ricorso immediatamente corredato dall’accordo già sottoscritto dai creditori richiesti (e dal piano e attestazione), oppure presentare un ricorso “in bianco” chiedendo un termine (fino a 60-120 giorni) per depositare accordo e documenti. Quest’ultima opzione è detta domanda “con riserva” (o concordato in bianco, analogamente previsto per il concordato): serve a bloccare temporaneamente le azioni dei creditori mentre si finalizzano le adesioni. Infatti, dalla pubblicazione del ricorso al Registro Imprese scatta automaticamente la protezione temporanea se richiesta (misure protettive ex art. 54 CCI analoghe a quelle viste per la composizione negoziata). Una volta depositato in tribunale l’accordo firmato, esso è anche pubblicato al Registro Imprese e acquista efficacia erga omnes da quella data.

Il tribunale fissa un termine (30 giorni dalla pubblicazione) entro cui eventuali creditori estranei o altri interessati possono proporre opposizione all’omologazione. Trascorso ciò, fissa udienza e valuta:

  • la regolarità della procedura (percentuali di adesione rispettate; documentazione completa; se c’è transazione fiscale con Fisco/INPS, che siano stati coinvolti secondo legge; ecc.);
  • l’assenza di pregiudizio per i creditori estranei: in particolare, il giudice verifica che questi ultimi vengano pagati almeno quanto avrebbero ottenuto in una liquidazione giudiziale del debitore (principio di convenienza) e, per i privilegiati estranei, che non subiscano un trattamento deteriore rispetto al loro rango (salvo consenso). Nel nuovo Codice, ai creditori estranei non si può imporre una falcidia di legge, vanno soddisfatti integralmente (ma è ammessa la dilazione se essi non si oppongono espressamente e se c’è convenienza).
  • la fattibilità del piano e la veridicità dei dati, sulla base dell’attestazione e di eventuali rilievi dei creditori opponenti.

Se tutto è a posto, il tribunale omologa l’accordo con sentenza. Da notare: l’omologazione può avvenire anche nonostante il dissenso dell’Erario o degli enti previdenziali (c.d. cram-down fiscale/previdenziale), purché ricorrano i presupposti di legge: ossia che l’adesione di tali enti fosse decisiva per raggiungere la percentuale e che la proposta fatta loro fosse conveniente rispetto alla liquidazione. Su questo si è formata giurisprudenza specifica (Trib. Brindisi 10/1/2023 ha chiarito che i due requisiti “essenzialità del voto pubblico” e “convenienza del piano” per il cram-down fiscale sono alternativi e non cumulativi, quindi basta soddisfarne uno per forzare l’omologa). Approfondiremo il tema fiscale più avanti.

Una volta omologato, l’accordo è legalmente riconosciuto e vincolante. Effetti principali:

  • I creditori aderenti sono vincolati a quanto pattuito (non possono pretendere di più né agire esecutivamente, salvo in caso di inadempimento del debitore oltre i limiti dell’accordo).
  • I creditori estranei (non firmatari) restano tali, ma beneficiano delle eventuali esecuzioni sospese sino a quando previsto (con l’omologa cessano formalmente le misure protettive, ma l’accordo potrebbe prevedere di pagarli subito, quindi in pratica il loro diritto non è inciso se non per il tempo di sospensione concesso durante la procedura).
  • Gli atti esecutivi del piano, come già detto, sono protetti da revocatoria ex art. 166 c.3 CCI. Quindi se l’azienda poi fallisce, tutti i pagamenti eseguiti in forza dell’accordo omologato non potranno essere revocati. Questo dà stabilità ai creditori aderenti.
  • La sentenza di omologa è pubblicata e, se serve, può essere annotata nei registri (es. registri immobiliari per eventuali cessioni di beni).
  • Se il tribunale non omologa (perché magari la percentuale non c’è, o perché c’è opposizione accolta), dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale (su istanza di parte). In pratica l’accordo fallito porta di norma al fallimento, se qualcuno lo richiede (spesso un creditore insoddisfatto).
  • Anche dopo omologato, se il debitore non esegue l’accordo e commette inadempimenti rilevanti o frodi, il tribunale (su istanza) può revocare l’omologazione, il che di norma porta all’apertura della liquidazione giudiziale.

Confronto con il concordato preventivo: gli accordi di ristrutturazione sono più snelli e riservati. Non coinvolgono tutti i creditori in un voto assembleare, ma solo quelli che servono per raggiungere la soglia. Sono spesso utilizzati quando l’indebitamento è concentrato su pochi soggetti (tipicamente banche) disposti a trattare, mentre i piccoli creditori possono essere pagati regolarmente. I tempi di omologa sono generalmente più rapidi di un concordato, perché non serve la fase di voto e ammissione: teoricamente, se c’è l’accordo firmato e nessuno si oppone, il giudice può omologare anche in poche settimane. Inoltre, gli accordi consentono maggiore riservatezza e minore pubblicità negativa: benché si pubblichi il ricorso e la sentenza, non c’è la stessa percezione del “fallimento evitato per un soffio” che talvolta accompagna i concordati.

Ambiti tipici di utilizzo: molte PMI e anche grandi imprese hanno fatto ricorso agli accordi di ristrutturazione per rinegoziare debiti bancari. Spesso l’accordo si accompagna a un piano industriale di rilancio e a nuova finanza. Ad esempio, un gruppo industriale sovraindebitato può concordare con le banche un taglio del 20% dei debiti e la riscadenza del rimanente in 6 anni, con l’impegno dei soci a immettere nuovi capitali. Raggiunto l’accordo con il 75% delle banche, se qualcuna non ci sta l’azienda può comunque chiedere l’omologa con cram-down su di essa, provando che l’offerta è più conveniente del fallimento (come oggi consentito).

Gli accordi di ristrutturazione possono anche essere utilizzati in combinazione con la transazione fiscale (accordo con Agenzia Entrate e INPS per stralciare parzialmente tributi e contributi): l’art. 63 CCI consente che l’accordo includa tale transazione, soggetta ad approvazione delle Entrate. Se il Fisco rifiuta e il piano è conveniente, si può forzare l’omologa (questa è una delle evoluzioni normative chiave post-2020, vedi sezione fiscale). Ad esempio, Cass. 27782/2024 ha confermato che nel concordato preventivo il tribunale può omologare il piano anche in caso di voto negativo dell’Erario, se la proposta di transazione fiscale risulta migliorativa rispetto alla liquidazione (principio analogo vale per gli accordi di ristrutturazione).

Accordi “in continuità” vs “liquidatori”: negli accordi, a differenza del concordato, non si parla di continuità aziendale in senso tecnico, poiché l’azienda continua comunque salvo diversa pattuizione. Non c’è un obbligo di minima soddisfazione dei chirografari (come il 20% del concordato liquidatorio) perché i creditori chirografari estranei devono essere pagati integralmente o comunque non possono essere forzati a un trattamento deteriore. Quindi il concetto di falcidia riguarda solo i creditori aderenti: essi accettano spontaneamente una riduzione. Ad esempio, un ADR potrebbe prevedere di pagare i fornitori aderenti al 40% in 12 mesi; i fornitori che non aderiscono verrebbero pagati integralmente a scadenza, quindi perché l’accordo funzioni serve che questi estranei siano magari marginali o di importo limitato, altrimenti inficerebbero la par condicio (non può il piano far diventare estranei sostanzialmente non pagati per finanziare gli altri).

Misure protettive e gestione dell’impresa: come detto, presentando il ricorso ex art.44 CCI, il debitore può ottenere la sospensione delle azioni esecutive (analogamente al concordato in bianco). Durante le trattative, il debitore rimane in possesso e amministra l’impresa; se occorrono atti urgenti straordinari, può chiedere autorizzazione al tribunale. Non c’è un commissario (salvo il giudice in ombra). Quindi dal punto di vista del debitore, l’ADR consente di mantenere il controllo aziendale con minima intrusione.

Conclusione: gli accordi di ristrutturazione sono uno strumento potente per evitare il fallimento riducendo i debiti. Richiedono la collaborazione della maggioranza qualificata dei creditori e la predisposizione di un buon piano attestato. Offrono la sicurezza dell’omologazione giudiziaria (quindi protezione da revocatorie e titolo esecutivo per l’accordo) ma con flessibilità negoziale. In pratica, se l’impresa riesce a portare dalla sua parte i creditori principali, conviene percorrere questa strada: evita il peso di un concordato (ad esempio non ci sono requisiti di percentuali di pagamento dei chirografari imposti dalla legge, se non il rispetto del “meglio del fallimento” per i non aderenti) e può chiudersi più velocemente. Dal canto loro, i creditori di solito preferiscono un ADR quando credono nella possibilità di recuperare più che in un fallimento e vogliono mantenere rapporti con l’azienda. L’accordo, proprio perché volontario, presuppone un minimo di fiducia reciproca: se il clima con i creditori è completamente conflittuale, può essere difficile da raggiungere, in tal caso resta solo il concordato.

Per dare un’idea schematica, segue una tabella comparativa tra i principali strumenti sin qui discussi e il concordato preventivo:

CaratteristicaComposizione NegoziataPiano AttestatoAccordo RistrutturazioneConcordato Preventivo
NaturaStragiudiziale assistito da esperto; volontarioStragiudiziale privato; unilaterale con attestazioneNegoziato + omologa giudiziale (ibrido)Procedura concorsuale giudiziale con voto creditori
Percentuale creditori richiestaNessuna (volontaria, si punta al massimo consenso)Nessuna fissa (serve adesione sufficiente a fattibilità)60% (ordinario) / 30% (agevolato) / 75% di classe (esteso)>50% dei crediti votanti (e maggioranza teste se classi)
Coinvolgimento autoritàNomina esperto da Camera Commercio; tribunale solo se misure protettive o autorizzazioniNessuno (solo eventuale pubblicazione registro imprese)Tribunale: omologa (sentenza); possibili opposizioniTribunale: ammissione, eventuale commissario; voto creditori; omologa (decreto)
Continuità aziendaleSì, l’impresa prosegue (incentivata)Sì, obiettivo risanamento e prosecuzioneDi regola sì (può anche prevedere cessione rami)Può essere in continuità (diretta/indiretta) o liquidatorio
Riduzione (stralcio) dei debitiPossibile su base volontaria dei creditori aderentiPossibile su base volontaria (accordi bilaterali nel piano)Possibile per creditori aderenti (falcidie concordate); creditori estranei: no falcidia senza consenso (tranne Fisco con cram-down)Possibile anche senza consenso individuale (votazione a maggioranza, con eventuale cram-down interclassi)
Protezione da azioni esecutiveSu richiesta, misure protettive dal tribunale (per max 6+6 mesi)No automatico (azienda rischia azioni a meno di accordi moratori)Sì, con ricorso (misure protettive analoghe al concordato in bianco)Sì, automatico dopo ammissione (divieto azioni esecutive ex lege)
Esenzione da revocatoriaAtti durante negoziazione: no protezione ex ante; eventuale accordo finale se omologato sìSì, per atti e pagamenti eseguiti secondo il piano attestatoSì, per atti e pagamenti eseguiti secondo accordo omologatoSì, per pagamenti e garanzie autorizzati nel concordato; + disciplina revoche concordato limitata
Effetti penali (bancarotta)– (nessuno specifico, ma buona fede aiuta in caso di fallimento dopo)Esenzione bancarotta semplice/preferenziale per atti conformi al pianoCome piano attestato per parte esecutiva (omologa sanante)Procedura concorsuale: atti autorizzati non costituiscono reato di bancarotta
Debiti fiscali e contributiviPossibile dilazione informale; transazione fiscale non formalizzata (ora ammessa in PRO e forse in comp. negoziata dopo D.Lgs 2024)Necessario accordo volontario con Fisco/INPS (no imposizione)Possibile transazione fiscale ex art.63 CCI; cram-down se rifiuto ingiustificatoPossibile transazione fiscale (art.88 CCI) con voto; cram-down giudiziale se piano conveniente
Tempo indicativo3-6 mesi (proroghe max fino ~12 mesi)Variabile (poche settimane per piano, esecuzione 1-2 anni tipici)~3-6 mesi per omologa (in assenza di opposizioni) + esecuzione secondo accordo (anni)6-12 mesi per omologa (casi semplici); esecuzione piano fino a 5 anni o più se complesso
PubblicitàRiservata (pubblicazione solo se chieste protezioni)Riservato (pubblicazione solo se debitore la chiede per fisco)Pubblicazione ricorso e sentenza al RI (informativa pubblica)Pubblici atti (procedura concorsuale pubblicizzata)
CostoBasso-medio (compenso esperto + consulenti)Basso (attestatore + consulenza)Medio (attestatore + legali; tassa 0,5% passivo per omologa)Alto (spese procedura, commissario, legali; tassa 1% passivo)

Legenda: CCI = Codice crisi d’impresa; RI = Registro delle Imprese; PRO = Piano ristrutturazione omologato; – = non applicabile.

La tabella sopra evidenzia come, per evitare il fallimento riducendo i debiti, le prime opzioni da valutare siano quelle stragiudiziali (piano attestato) o ibride (accordo omologato) quando c’è consenso di larga parte dei creditori. Il concordato preventivo, di cui ora parleremo, resta una via più formale e “coattiva” che però diventa necessaria se non c’è sufficiente adesione volontaria o se la crisi è così grave da richiedere il coinvolgimento di tutti i creditori in una procedura trasparente.

Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Il concordato preventivo è storicamente lo strumento principe per regolare la crisi d’impresa evitando il fallimento. Nel nuovo Codice della crisi, il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 84-120 CCI. Si tratta di una procedura concorsuale giudiziale in cui l’imprenditore propone ai creditori un piano per la soddisfazione (anche parziale) dei loro crediti, da realizzarsi sotto controllo del tribunale e con il voto favorevole delle majority dei creditori stessi. Se omologato, il concordato consente all’imprenditore di evitare la liquidazione giudiziale, attuando il piano e ottenendo l’esdebitazione residua a fine procedure.

Tipologie di concordato: il Codice distingue principalmente:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84, co.2 e 3 CCI): quando il piano prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa, direttamente da parte del debitore o indirettamente da parte di un terzo (es. affitto o cessione d’azienda funzionale alla continuità). La continuità può essere diretta (la stessa società prosegue) o indiretta (l’azienda viene trasferita in esercizio a un altro soggetto, ad es. conferimento in newco o cessione a investitore, assicurando la prosecuzione operativa). Il concordato in continuità è oggi fortemente incoraggiato dal legislatore (è visto come strumento per salvare valore e posti di lavoro).
  • Concordato liquidatorio: quando il piano si sostanzia principalmente nella liquidazione del patrimonio dell’impresa per distribuire il ricavato ai creditori, senza prosecuzione dell’attività (se non quella minima per vendere i beni). Nel concordato liquidatorio tradizionale, l’impresa cessa di esistere al termine e non vi è continuità economica.

Esistono anche forme miste (concordato con continuità parziale e cessione di beni, etc.), e una novità del Codice è che ora anche un concordato con continuità non prevalente è considerato “in continuità” (non serve che la maggior parte del soddisfacimento derivi dalla continuità), recependo pronunce della Cassazione. Dunque se c’è qualche elemento di continuità, si rientra nel regime più favorevole del concordato in continuità.

Requisiti di ammissibilità e contenuti:

  • Può proporre concordato l’imprenditore commerciale o agricolo assoggettabile a liquidazione giudiziale (restano esclusi i consumatori e i piccoli imprenditori sottosoglia, che avranno invece il concordato minore). La società deve deliberare la proposta (organo amministrativo + eventuale autorizzazione assembleare se richiesto).
  • Il piano deve indicare con dettaglio: la situazione patrimoniale, le cause della crisi, gli atti strategici da compiere, le modalità e tempi di adempimento della proposta, distinguendo i creditori in classi se necessario (la classazione è obbligatoria se ci sono creditori con cause di prelazione differenti o differenze rilevanti di posizione).
  • La proposta può prevedere la soddisfazione dei creditori in qualsiasi forma, anche tramite strumenti societari (equity, partecipazioni) o altre utilità. Nel concordato in continuità, la legge consente ad esempio di pagare i creditori in base ai flussi di cassa futuri generati dall’azienda salvata.
  • Percentuale minima ai chirografari: il Codice stabilisce che, nel concordato liquidatorio puro, i creditori chirografari debbano ricevere almeno il 20% del loro credito, e inoltre che vi sia un apporto di risorse esterne al patrimonio pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidabile. Questo è un punto cruciale: per scoraggiare concordati meramente liquidatori (in cui tanto varrebbe fallire), si obbliga il debitore a “metterci del nuovo” (denaro fresco o beni ulteriori) per un decimo dell’attivo, e garantire un pagamento non simbolico ai chirografari. Se non può, il concordato liquidatorio non è ammissibile – dovrà andare in liquidazione giudiziale o percorrere il concordato semplificato post-composizione negoziata (che è esente da tali soglie, come vedremo). Esempio: se Alfa SRL propone un concordato liquidatorio con attivo di 1 milione, deve assicurare almeno €200.000 ai chirografari e trovare risorse esterne per almeno €100.000 (es. investitore esterno o rinunce dei soci a crediti personali). Queste soglie non si applicano al concordato in continuità aziendale, dove teoricamente i chirografari potrebbero prendere anche meno del 20% se approvano (in pratica però devono comunque ricevere non meno che in una liquidazione giudiziale, per convincere il tribunale sull’utilità del concordato).
  • Nel concordato in continuità, non vi è soglia minima del 20% per i chirografari. Inoltre il piano di continuità non deve più provare di essere il migliore per i creditori rispetto alla liquidazione (come era richiesto in passato dal previgente art. 186-bis): è sufficiente che sia non inferiore alla liquidazione. Quindi criterio di convenienza normalizzato per tutti: ogni concordato deve dare ai creditori almeno quanto otterrebbero dal fallimento (best interest test), ma non serve un quid pluris per la continuità. Ciò rimuove un ostacolo: prima si doveva dimostrare un “miglior soddisfacimento” per fare un concordato in continuità, ora basta non peggiorare la loro condizione rispetto alla liquidazione. Il legislatore ha inoltre eliminato vecchi vincoli come l’obbligo di mantenere un certo livello di occupazione (nel testo del 2019 c’era una clausola che imponeva di preservare i posti di lavoro, poi tolta col correttivo 2022).
  • Nel concordato in continuità è consentito prevedere: moratorie fino a 6 mesi per i creditori prelatizi (estese anche oltre 6 mesi ora, salvo che per i lavoratori che vanno pagati entro 30 giorni dall’omologa); la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili autorizzati per sostenere l’esercizio; la possibilità di continuare i contratti pendenti (gli appalti pubblici ad es. non vengono revocati solo perché l’azienda è in concordato). Tutti elementi che rendono più agevole la continuità.

Procedimento di concordato:

  1. Ricorso “in bianco” o completo: l’impresa può depositare un ricorso contenente solo la domanda di concordato, riservandosi di presentare piano e proposta entro un termine (di norma 60-120 giorni prorogabili). Questa è la domanda con riserva (ex art. 44 CCI). In alternativa, se il piano è già pronto e attestato, deposita tutto contestualmente.
  2. Fase di ammissione e istruttoria: se la domanda è completa, il tribunale procede speditamente all’ammissione del concordato, nomina un Commissario Giudiziale (figura di controllo) e fissa l’adunanza dei creditori per il voto. Se invece era “in bianco”, il tribunale può concedere il termine per depositare il piano (nel frattempo nomina eventualmente un commissario provvisorio). Durante questo periodo, l’impresa opera ma sotto vigilanza e con divieto di atti straordinari non autorizzati. In entrambi i casi, dalla pubblicazione del ricorso vige il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari e le prescrizioni restano sospese (stay concorsuale).
  3. Attestazione e relazione: un professionista indipendente (attestatore) deve redigere la relazione ex art. 87 CCI attestante veridicità dei dati e fattibilità del piano. Nel concordato in continuità, attesta anche che la continuità è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (ma migliore è da intendere come “non inferiore all’alternativa” con le nuove norme).
  4. Classi e voto: se il piano lo prevede, i creditori sono suddivisi in classi. Ad esempio, spesso avremo classi distinte per: banche ipotecarie, fornitori chirografari, eventuali bondholder, ecc. I creditori privilegiati possono essere lasciati fuori dal voto se pagati integralmente, o inclusi se viene chiesto loro un sacrificio (deve essere creato il loro consenso se li si paga parzialmente o li si soddisfa in beni).
    Ogni classe vota separatamente. Serve il voto favorevole (cioè il di creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto) complessivamente, e almeno il voto favorevole di la metà + uno delle classi se classato (in difetto, c’è possibilità di cram-down interclassi, ma non approfondiamo troppo). In mancanza di classi, basta >50% in valore dei crediti. I creditori pubblici (Erario, INPS) votano anche loro se falcidiati, altrimenti se pagati integralmente sono esclusi dal voto.
  5. Omologazione: se i creditori approvano la proposta, il tribunale procede all’omologazione con decreto (eventualmente dopo aver risolto eventuali opposizioni di creditori dissenzienti, limitate a questioni formali, di convenienza comparativa o di frode). In caso di mancata approvazione (voti insufficienti), il concordato è respinto e su ricorso di parte segue dichiarazione di fallimento.
    Importante: con le modifiche normative recenti, è ammesso il cram-down fiscale/previdenziale: se il Fisco o l’INPS non aderiscono alla proposta di transazione fiscale in sede di voto, il tribunale può comunque omologare il concordato nonostante il loro voto contrario, a condizione che la soddisfazione offerta a tali enti sia almeno pari al valore di liquidazione e non inferiore al 20% dell’ammontare del loro credito chirografario. Questa norma (art. 88 co.4 CCI) ha superato vecchi dubbi giurisprudenziali: la Cassazione nel 2022 aveva già aperto al cram-down (Cass. SS.UU. n. 8500/2021), ora è legge positiva.

Esecuzione del concordato: una volta omologato, il debitore (spesso con l’ausilio di un Liquidatore Giudiziale nominato se concordato liquidatorio) esegue il piano: se prevede vendite di beni, queste avvengono anche tramite procedure competitive sotto vigilanza; se è in continuità, il debitore prosegue l’attività e paga i creditori secondo le scadenze. I crediti anteriori restano congelati e verranno soddisfatti solo secondo le percentuali concordatarie.

Vantaggi: consente di imporre un sacrificio a tutti i creditori, anche dissenzienti, purché la maggioranza approvi. Può quindi realizzare falcidia dei debiti in modo coattivo. Esempio: se i creditori chirografari votano sì ad una proposta al 30%, anche chi ha votato no dovrà accettare 30%. Inoltre, consente di trattare all’interno della procedura tutte le categorie di crediti: anche il Fisco e l’INPS possono essere pagati parzialmente con transazione (previo voto/assenso o cram-down come detto). Il concordato offre anche uno scudo dai sequestri penali per reati tributari: se la transazione fiscale è approvata e omologata, eventuali sanzioni penali per omesso versamento IVA o ritenute possono non essere applicate (norma introdotta nel 2023). Dà accesso all’esdebitazione per l’imprenditore individuale (dopo adempimento, eventuali debiti residui sono cancellati su istanza). Infine, l’impresa in concordato sotto tutela può continuare a operare (specie in continuità) senza il timore di azioni esecutive singolari.

Svantaggi: è complesso, costoso, lungo. Richiede l’intervento di professionisti, costi di procedura, e c’è sempre il rischio che i creditori non approvino. Inoltre, nel periodo di concordato l’impresa è sorvegliata: non può compiere atti straordinari senza autorizzazione; le disponibilità liquide in genere sono vigilate; la reputazione commerciale è compromessa (spesso i fornitori chiedono pagamento anticipato). Ancora, il concordato non consente in linea di massima di conservare contratti che prevedono clausole risolutive in caso di insolvenza (anche se il Codice ora vieta espressamente la risoluzione automatica di contratti pubblici e alcuni contratti essenziali solo perché c’è un concordato, i partner privati comunque possono ridurre la fiducia). E se il concordato dovesse risultare impraticabile in corso d’opera (ad esempio perché gli incassi previsti non si realizzano), si potrebbe andare incontro a risoluzione del concordato e fallimento successivo.

Concordato semplificato (art. 25-sexies CCI): merita una menzione lo strumento particolare del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, introdotto nel 2021 e confermato dal Codice. Quando si applica? Solo se la composizione negoziata è stata tentata ma è fallita, e l’esperto nella relazione finale dichiara che non è stato trovato un accordo ma esistono prospettive di realizzo dei beni non trascurabili. In tal caso, entro 60 giorni dalla chiusura della composizione negoziata, il debitore può proporre questo concordato senza il voto dei creditori: è un concordato liquidatorio puro, dove i beni vengono ceduti a terzi o liquidati, con una proposta di riparto del ricavato ai creditori. I creditori non votano, il tribunale può omologare direttamente valutando la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale. Questo è uno strumento “d’emergenza” per evitare il fallimento quando le trattative non hanno prodotto un accordo ma l’imprenditore è disposto a consegnare i propri beni. La legge lo prevede solo come esito della composizione negoziata (quindi non per chi non l’ha attivata). Il vantaggio per il debitore è di evitare la procedura fallimentare: il concordato semplificato, se omologato, gli consente di liquidare sotto controllo del tribunale e poi chiudere, con eventuale esdebitazione. Per i creditori, però, è meno garantista perché non votano: possono solo opporsi in sede di omologa. Va segnalato che il decreto correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) ha chiarito che anche nel concordato semplificato si possono ottenere misure protettive (cosa inizialmente dubbia), e che la percentuale minima del 20% non si applica (essendo post composizione negoziata). In sostanza, il concordato semplificato è un “paracadute” per chi ha tentato di tutto nella composizione negoziata e vuole evitare l’onta del fallimento: il tribunale glielo concede se ritiene che la proposta di liquidazione volontaria offra ai creditori un risultato non inferiore a quello di un fallimento.

Conclusione: il concordato preventivo è spesso la soluzione di ultima istanza per scongiurare il fallimento riducendo i debiti in modo legale, soprattutto se l’azienda non riesce a ottenere accordi volontari sufficienti. Dal punto di vista dell’imprenditore, è una procedura difficile e impegnativa, ma può salvare l’impresa (in caso di concordato in continuità) o quantomeno permettere una chiusura ordinata (in caso di concordato liquidatorio) evitando la dichiarazione di fallimento. Soprattutto, se portato a termine, il concordato consente all’imprenditore onesto di liberarsi dai debiti residui e ripartire (fresh start). È cruciale preparare il concordato con professionalità, con un piano sostenibile e condiviso il più possibile dai creditori, per avere probabilità di successo.

Va rimarcato che, con la riforma, l’intento è favorire i concordati con prospettiva di risanamento e non quelli meramente liquidatori (tanto che questi ultimi sono gravati da soglie di pagamento e apporto). Inoltre, per le piccole imprese e privati, il Codice ha previsto procedure ad hoc di concordato “minore”, come vedremo ora.

Procedure di sovraindebitamento per imprenditori minori e privati

Oltre alle procedure sopra descritte, destinate a imprenditori “fallibili” (di dimensioni rilevanti o società commerciali), l’ordinamento italiano prevede specifiche procedure per i soggetti non fallibili in condizione di sovraindebitamento. Il sovraindebitamento è definito come “lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale”. In pratica include: privati consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli (che per legge non falliscono), start-up innovative nei 5 anni e altri enti non fallibili (es. associazioni non riconosciute).

Per questi soggetti, la Legge 3/2012 (poi trasfusa nel Codice) ha introdotto procedure concorsuali “semplificate” volte a risolvere situazioni di sovraindebitamento con esdebitazione finale. Dal 2022, le procedure sono state rinominate e in parte modificate, ma nella sostanza abbiamo:

  • Concordato minore (artt. 74-83 CCI): è la versione per piccoli del concordato preventivo. Non vi può accedere il consumatore (cioè persona fisica che ha debiti personali estranei ad attività imprenditoriale), ma è riservato all’imprenditore minore, professionista, imprenditore agricolo e altri sovraindebitati non consumatori. Il concordato minore è molto simile a un concordato preventivo, con alcune semplificazioni: ad esempio non c’è la soglia del 20% (inutilizzabile qui perché l’imprenditore minore per definizione non superava certe dimensioni), e la votazione avviene con raccolta di adesioni per iscritto invece che in adunanza. Proceduralmente: il debitore (o la società piccola) deposita ricorso con piano e proposta, l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi, organismo locale di professionisti) lo assiste obbligatoriamente. Il giudice apre la procedura se ammissibile e blocca azioni esecutive (misure protettive). I creditori vengono invitati dall’OCC a esprimere entro 30 giorni la propria adesione o meno alla proposta via PEC. Non c’è un vero e proprio “voto in udienza”; trascorso il termine, se hanno aderito creditori >= maggioranza dei crediti ammessi, il giudice procede ad omologare (verificando fattibilità e meritevolezza). Se ci sono contestazioni o insufficienti adesioni, il giudice convoca udienza e può anche omologare forzosamente se ritiene la proposta conveniente e se nessun creditore ha offerto condizioni migliori (c’è una norma di cram-down sulla falsariga del concordato). Una volta omologato, il concordato minore produce effetti analoghi al concordato preventivo: vincola tutti i creditori anteriori. Se non omologato, su istanza del debitore stesso può essere aperta la liquidazione controllata (equivalente al fallimento per i sovraindebitati) oppure, se ci sono state frodi, i creditori e il PM possono chiedere la liquidazione. Esempio: Mario è un artigiano individuale (ditta individuale) con debiti 300.000€. Non può accedere al concordato grande perché è “piccolo imprenditore”. Può proporre un concordato minore: ad esempio offrendo di pagare il 40% ai chirografari in 4 anni, grazie alla continuazione della sua attività. L’OCC lo aiuta a predisporre il piano e raccoglie i voti dai creditori via PEC. Se oltre il 50% in valore dei crediti aderisce, il tribunale omologa e Mario eseguirà i pagamenti concordati. Al termine, otterrà l’esdebitazione di eventuali debiti residui.
  • Piano di ristrutturazione del consumatore (prima chiamato “piano del consumatore” nella L.3/2012, ora art. 67 CCI): è riservato alla persona fisica consumatore, cioè che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività di impresa (es. debiti familiari, finanziamenti personali, garanzie escusse). Il piano del consumatore ha la particolarità di non richiedere il voto dei creditori: il consumatore propone un piano di pagamento, l’OCC aiuta a stilarlo e a verificare la meritevolezza (il consumatore non dev’essere colpevole di indebitamento malizioso, ad esempio non deve aver contratto debiti con leggerezza sproporzionata rispetto alle proprie capacità senza causa). Il tribunale sente i creditori (possono fare osservazioni) ma decide in base alla fattibilità e alla proporzionalità del sacrificio richiesto. Se il piano è equo (ad esempio offre ai creditori quanto realisticamente il consumatore può pagare in 5 anni, magari falcidiando interessi e una parte del capitale) e il consumatore è meritevole, il giudice omologa il piano anche senza consenso dei creditori. È un meccanismo di tutela del debitore persona fisica onesto. Dopo l’omologa, il piano vincola tutti i creditori anteriori, che non possono agire esecutivamente purché il debitore rispetti le rate. Alla fine, i debiti eventualmente ancora non pagati sono cancellati (esdebitazione). Esempio: Lucia, madre di famiglia, ha debiti per 100.000€ (mutuo casa e carte di credito) ma ha perso il lavoro e può offrire 30.000€ in 4 anni attingendo a stipendio nuovo modesto. I creditori finanziari non accetterebbero spontaneamente il 30%, ma Lucia ricorre al tribunale con un piano del consumatore offrendo quel 30%. Il giudice valuta che Lucia non ha colpe gravi (si è indebitata per cure mediche, non per spese voluttuarie) e che 30% è comunque meglio di niente considerando la sua situazione. Omologa quindi il piano: i creditori, anche se contrari, dovranno accettare 30.000€ in tot rate e poi il resto del debito sarà cancellato.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCI): è l’equivalente del fallimento per i soggetti sovraindebitati. Viene richiesta dal debitore (o dai creditori/PM in taluni casi di frode) e comporta la liquidazione di tutti i beni del debitore sotto la gestione di un liquidatore nominato dal tribunale. È molto simile a una liquidazione giudiziale: si apre la procedura, si forma lo stato passivo (l’elenco dei crediti, verificati dal giudice), i beni del debitore (compresi eventuali beni che acquisterà entro i 3 anni successivi all’apertura) sono venduti e il ricavato distribuito ai creditori secondo le priorità di legge. Il debitore persona fisica può trattenere solo il minimo vitale (ad es. lo stipendio per la parte necessaria al mantenimento). Dopo la chiusura della liquidazione, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione (salvo eccezioni per debiti espressamente esclusi per legge, ad esempio debiti alimentari o da risarcimenti per fatti illeciti, in parte). La “liquidazione controllata” è lo sbocco se non è fattibile né un concordato minore né un piano del consumatore. Ad esempio, un piccolo imprenditore completamente insolvente, senza capacità di generare flussi per un concordato, può optare per far liquidare il suo patrimonio e ripartire pulito (al costo di perdere i beni). Le sentenze più recenti hanno chiarito che la liquidazione controllata include anche i beni che il debitore acquisirà entro 3 anni dalla sua apertura (durata del cosiddetto “periodo di utilità successiva”), ma non oltre, a tutela del principio di fresh start (la Corte Costituzionale ha indicato che una durata troppo lunga di tale vincolo sarebbe lesiva – ora la legge fissa 3 anni, prima in L.3/2012 era 4 anni).
  • Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCI): questa è una procedura eccezionale e “a costo zero” introdotta per dare una seconda opportunità ai debitori persone fisiche onesti che non hanno alcun patrimonio liquidabile. Se il debitore meritevole (non colpevole di malafede o frode) non possiede beni né redditi pignorabili e non può offrire nulla ai creditori, può chiedere al tribunale di essere ugualmente esdebitato (liberato dai debiti) fin da subito. Questa procedura – detta anche esdebitazione del nullatenente – è una novità molto importante (introdotta col D.L. 137/2020 poi in Codice) perché in passato chi non poteva offrire nulla non poteva accedere alle procedure sovraindebitamento (bisognava sempre offrire qualcosa). Ora invece, se ricorrono le condizioni, il giudice può cancellare i debiti anche senza pagamento, tenendo però il debitore sotto osservazione per 4 anni: se nei 4 anni successivi l’esdebitato incapiente dovesse migliorare la propria condizione (eredità, vincite, incremento redditi), dovrà versare ai creditori quell’importo fino a concorrenza del debito originario. In pratica è un esdebitazione “con condizionale di 4 anni”. La meritevolezza è strettamente valutata: ad esempio, tribunali hanno negato l’esdebitazione a chi aveva accumulato debiti con gioco d’azzardo o con spese voluttuarie spropositate, ritenendo ciò comportamento colposo grave. Viceversa, è stata concessa in casi di debiti per garantire familiari o per improvvisa disoccupazione, ecc.

Importanza per evitare il fallimento: queste procedure di sovraindebitamento sono fondamentali per i soggetti che non possono fallire ma rischiano comunque l’aggressione dei creditori vita natural durante. Per un piccolo imprenditore individuale, ad esempio, non esiste il fallimento (se sottosoglia) – prima della legge 3/2012 ciò significava restare indebitato a vita senza via d’uscita, soggetto a pignoramenti continui. Ora invece può attivare un concordato minore o, se proprio nulla da offrire, la liquidazione controllata e poi esdebitazione, ottenendo così la liberazione dai debiti. Dunque, anche per “non far fallire” queste micro realtà (dove “fallire” vuol dire chiudere l’attività e essere perseguiti dai creditori), gli strumenti di sovraindebitamento offrono soluzioni per ridurre o cancellare i debiti in eccesso e ripartire.

Ruolo dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC): in tutte le procedure minori, l’OCC – spesso costituito presso le Camere di Commercio o Ordini professionali – assiste il debitore e svolge funzioni simili a quelle di un commissario/curatore nelle procedure maggiori. L’OCC redige la relazione sulla meritevolezza nel piano del consumatore, sovrintende alla raccolta voti nel concordato minore, gestisce la liquidazione controllata come organo ausiliario. Dal punto di vista pratico, chi vuole attivare un percorso di sovraindebitamento deve rivolgersi a un OCC competente nel circondario, che affiancherà poi l’avvocato nel predisporre ricorsi e piani.

Meritevolezza e cause di inammissibilità: il Codice richiede che per concedere i benefici (omologa o esdebitazione) il debitore persona fisica non abbia commesso atti in frode, non abbia colpe gravi nell’aver contratto il debito e abbia collaborato fornendo tutte le informazioni. Ad esempio, se un consumatore ha dolosamente aumentato il debito poco prima di chiedere il sovraindebitamento, il giudice può dichiarare inammissibile la procedura. Se emergono frodi ai creditori (tipo occultamento di redditi, trasferimento beni a parenti) l’omologazione sarà negata e, anzi, potrà essere aperta la liquidazione controllata d’ufficio e il soggetto denunciato. In generale, però, l’impostazione è favor-debitore onesto: garantire la liberazione dai debiti a chi è sovraindebitato senza colpa. La Cassazione ha anche affermato principi di interpretazione estensiva per includere quanti più casi possibili, ad es. ammettendo l’imprenditore socio di SNC (illimitatamente responsabile) all’esdebitazione anche se la società fallita non poteva ottenerla – infatti l’art. 278 co.5 CCI ora sancisce che l’esdebitazione della società fallita giova ai soci illimitatamente responsabili.

Conclusione su sovraindebitamento: dal punto di vista del piccolo debitore, queste procedure sono la via per evitare di rimanere soffocato dai debiti. In un certo senso, gli effetti finali sono simili all’“evitare il fallimento”: il concordato minore evita che i creditori possano aggredire individualmente l’impresa e consente di ristrutturare il debito per continuare l’attività; la liquidazione controllata è un fallimento “mite” che però, a differenza del fallimento per i soggetti fallibili, dà sempre accesso all’esdebitazione al termine (anche di diritto, senza giudizio, se adempiuti i doveri: art. 278 CCI prevede esdebitazione automatica salvo opposizione, un notevole avanzamento rispetto al passato). Addirittura l’esdebitazione del debitore incapiente dà una chance a chi altrimenti resterebbe indebitato senza soluzioni. In definitiva, che si tratti di un piccolo imprenditore, un socio di SNC o un comune cittadino, ridurre o cancellare i debiti legalmente è possibile e auspicato, per poter riprendere un’attività economica e tornare produttivi, senza l’ombra perenne di debiti insaldabili.

Passiamo ora a trattare un aspetto trasversale ma cruciale nell’ambito delle strategie per evitare il fallimento: la gestione dei debiti fiscali e previdenziali, e i rapporti con gli enti di riscossione (Agenzia Entrate ed Equitalia/Agenzia Entrate-Riscossione, nonché INPS).

Debiti fiscali e contributivi: transazione fiscale, accordi con il Fisco e l’INPS

Uno dei nodi più difficili da sciogliere nella ristrutturazione dei debiti d’impresa sono spesso i debiti verso l’Erario (imposte, IVA, ritenute) e verso gli enti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL). Questi debiti godono spesso di privilegi e tutele legali che rendono complessa la loro falcidiabilità. Tuttavia, proprio perché molte aziende in crisi accumulano ingenti debiti fiscali/previdenziali (ad esempio non pagando IVA o contributi per far fronte ad altre spese), il legislatore ha dovuto prevedere meccanismi per includerli nei piani di risanamento, al fine di evitare che la presenza del Fisco bloccasse ogni possibile accordo.

Affrontiamo il tema su due livelli: (a) gli strumenti generali per gestire i debiti tributari/contributivi (rateizzazioni, definizioni agevolate) al di fuori o all’interno delle procedure; (b) la transazione fiscale e contributiva nell’ambito di concordati e accordi di ristrutturazione, con le recenti novità normative e giurisprudenziali.

Strumenti amministrativi: rateizzazioni e definizioni agevolate

Rateizzazione ordinaria dei debiti tributari: La normativa fiscale consente al contribuente in temporanea difficoltà di chiedere il pagamento dilazionato di cartelle esattoriali o avvisi bonari. In generale:

  • L’Agente della Riscossione (Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può concedere una rateazione fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €120.000 senza necessità di prova, e per importi superiori con prova di temporanea difficoltà di liquidità. Dal 2023, per debiti molto elevati c’è la possibilità di estendere la dilazione fino a 120 rate (10 anni) in casi straordinari di comprovata e grave difficoltà. Ottenere la rateazione blocca le azioni esecutive sull’atto oggetto di dilazione finché si pagano le rate.
  • L’INPS similmente consente piani di dilazione per contributi omessi (salvo quelli riferiti a ritenute previdenziali operate e non versate, che possono costituire anche reato se superano soglie).
  • Un’azienda in crisi può ricorrere a queste rateazioni prima di entrare in una procedura concorsuale. Ad esempio, se ha cartelle esattoriali per IVA, può chiedere 6 anni di rate e ottenerle abbastanza facilmente se in regola con i requisiti. Ciò può alleviare la pressione nel breve termine. Tuttavia, attenzione: entrare poi in concordato preventivo sospende le rateazioni e la legge oggi prevede che per aderire a definizioni agevolate occorre essere in regola con eventuali piani (non bisogna decadere). Dunque la rateazione è utile se si spera di ripagare il debito, ma se poi l’impresa dichiara concordato, le rate residue confluiranno nella procedura.

Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Negli ultimi anni il legislatore ha varato varie misure temporanee di “pace fiscale”:

  • Rottamazione delle cartelle: permette di estinguere i debiti iscritti a ruolo pagando solo l’imposta e gli interessi legali, con sconto di sanzioni e interessi di mora. Ci sono state più edizioni (Rottamazione I, II, III nel 2016-2018, “Rottamazione-ter” nel 2018-19, e da ultimo la “Definizione agevolata 2023”, detta rottamazione-quater, per carichi fino al 30/6/2022). Per un’azienda gravata da cartelle esattoriali, aderire a una rottamazione riduce subito l’ammontare del debito (tagliando sanzioni), e consente un pagamento rateale (fino a 18 rate in 5 anni nella versione 2023).
  • Saldo e stralcio: misura eccezionale del 2019 per persone fisiche in comprovata difficoltà (ISEE basso) che permetteva di pagare solo una percentuale ridotta del debito complessivo. Non applicabile alle imprese di solito, se non ditte individuali con requisiti.
  • Stralcio automatico piccoli debiti: la Legge di Bilancio 2023 ha previsto l’annullamento automatico dei debiti affidati alla riscossione dal 2000 al 2015 di importo residuo fino a €1.000 (comprensivo di capitale, sanzioni, interessi). Questo ha cancellato molti micro-debiti, anche di imprese.

Queste definizioni agevolate sono opportunità da cogliere per ridurre i debiti: ad esempio, se l’azienda ha €100.000 di cartelle di cui €20.000 sono sanzioni e interessi, con la rottamazione potrebbe risparmiare quei €20.000, pagando solo €80.000 in 5 anni senza interessi di mora. Spesso, prima di impostare un piano di ristrutturazione formale, gli advisor valutano di far aderire l’impresa a rottamazioni per ridurre il fardello tributario. L’adesione è compatibile con le procedure concorsuali, ma occorre gestirla bene: se poi l’azienda va in concordato, le eventuali rate di rottamazione non pagate confluiranno nel trattamento concordatario.

Transazione fiscale “fuori concorso”: in linea teorica, anche al di fuori di procedure, un debitore potrebbe cercare un accordo col Fisco, ma l’Agenzia Entrate non ha potere di transigere stragiudizialmente su imposte dovute, stante il principio di indisponibilità del credito tributario (fatte salve le definizioni agevolate di cui sopra, che sono previste da leggi). Quindi, se un’azienda volesse offrire al Fisco un saldo parziale tombale al di fuori di un concordato, l’Agenzia non è libera di accettare. L’unica strada per imporre al Fisco una riduzione è dentro una procedura di concordato o accordo omologato, come vedremo, tramite la “transazione fiscale” disciplinata dalla legge.

Durc e rapporti con Enti: uno degli effetti collaterali negativi dei debiti contributivi è la perdita del DURC regolare (Documento Unico Regolarità Contributiva), richiesto per partecipare ad appalti pubblici o ottenere pagamenti nelle commesse. Se un’azienda ha debiti con INPS/INAIL non rateizzati né contestati, il DURC risulterà negativo, precludendo lavori pubblici e talvolta privati. L’apertura di una procedura concorsuale sospende l’obbligo di versamento immediato di quei contributi scaduti, e in alcuni casi l’INPS rilascia un DURC provvisorio in presenza di un concordato in corso (norme speciali post COVID lo avevano previsto). Comunque, un’azienda che vuole continuare deve tenere conto di questi aspetti: spesso inserisce nel piano il pagamento (anche parziale) del dovuto per ottenere il DURC regolare e non perdere opportunità.

Transazione fiscale e contributiva nelle procedure concorsuali

Il termine “transazione fiscale” indica la facoltà del debitore, nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato, di proporre al Fisco e agli enti previdenziali un trattamento parzialmente satisfattivo dei loro crediti, derogando al principio per cui i tributi dovrebbero essere pagati integralmente. La base normativa oggi è negli artt. 63 (per accordi di ristrutturazione) e 88 (per concordato) CCI. In breve:

  • Il debitore può inserire nel piano o accordo una proposta di pagamento parziale (falcidia) e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi.
  • Per i crediti tributari privilegiati (IVA, ritenute non versate, IRPEF, ecc. hanno di norma privilegio generale ex art.2752 c.c.), la legge ora consente espressamente la falcidia e/o dilazione, mentre un tempo si discuteva. In passato, ad esempio, l’IVA era considerata intoccabile; oggi la Direttiva UE Insolvency e la riforma hanno aperto alla possibilità di stralciarla (purché si rispetti il “best interest test”).
  • La transazione deve essere conveniente per l’Erario rispetto alla liquidazione: significa che bisogna offrire almeno quanto l’Erario recupererebbe in caso di fallimento della società. Il calcolo della convenienza tiene conto del valore di realizzo dei beni e delle cause di prelazione (il dibattito tra priorità assoluta vs priorità relativa in riparto attivo, ma la Cassazione ha sposato la priorità assoluta per cui va considerato l’ordine dei privilegi).
  • La proposta va sottoposta all’Agenzia delle Entrate (per tributi statali) e all’INPS per i contributi, i quali hanno potere di valutarla. All’interno di concordato, la AE esprime un voto (accetta o rifiuta); nell’accordo ADR, esprime un’adesione formale.
  • Con provvedimenti recenti, l’Agenzia Entrate ha regolamentato internamente le soglie di competenza: ad esempio, dal febbraio 2024, le proposte di transazione fiscale con taglio del debito oltre il 70% o con pagamento oltre 120 rate richiedono il parere conforme di una Direzione centrale specializzata. In altre parole, i casi di forte stralcio (>70%) non li decide la Direzione Regionale da sola ma serve l’ok centrale. Ciò per uniformare i criteri ed evitare disparità territoriali. Questo non vincola legalmente il debitore, ma incide sulle negoziazioni pratiche con il Fisco: se sai che stai offrendo di pagare solo il 20% (80% falcidia), sai che la pratica andrà a Roma per l’ok.
  • Se il Fisco/INPS accettano, e la procedura (concordato/accordo) viene omologata, i debiti erariali sono ridotti conformemente. L’effetto sui coobbligati e fideiussori: qui c’è una particolarità, prevista dall’art. 63 co.5 CCI: l’omologazione dell’accordo o concordato non libera i coobbligati (fideiussori, soci garanti) salvo che sia espressamente previsto e che essi abbiano rinunciato al beneficium. Ciò vuol dire che, ad esempio, se una società riduce il debito fiscale al 50% col concordato, l’ex amministratore garante per il debito IVA potrebbe teoricamente essere ancora perseguito per l’importo originario (c’era controversia su questo, ma con la modifica 2022 pare che se l’accordo è omologato e prevede la liberazione dei garanti, l’art. 63 lo consente, mentre prima era dibattuto).
  • Se il Fisco/INPS non accettano la proposta, nel concordato preventivo i crediti fiscali votano contrario (o non votano se privilegiati soddisfatti parzialmente? In realtà devono votare se li tocchi). A quel punto, come detto, il tribunale può comunque omologare contro il loro parere se:
    1. la mancanza del loro voto era decisiva per non raggiungere la maggioranza (erano cioè determinanti) oppure (alternativamente)
    2. la proposta è conveniente rispetto alla liquidazione.
    Giurisprudenza di merito (Trib. Brindisi 2023 citata) e di legittimità supportano che questi requisiti sono alternativi. Significa che, ad esempio, se l’Erario ha il 10% dei crediti e vota no ma il 55% degli altri ha votato sì, il quorum non è raggiunto solo per quel no decisivo: il tribunale potrà omologare se la proposta al Fisco è conveniente (questo caso ricade in entrambi i requisiti in realtà). Oppure se l’Erario ha 40% dei crediti e vota no, quindi mancano i numeri, il debitore può mostrare che tanto in fallimento l’Erario prenderebbe zero e qui prende 10%, quindi la proposta è conveniente: il giudice può omologare anche se il Fisco era numericamente decisivo (il 40% era sufficiente da solo a bloccare).
    In un accordo di ristrutturazione (ADR), la situazione è simile: se AE/INPS non firmano, il debitore può chiedere ugualmente l’omologa all’art. 63 co.3 CCI, purché una delle due condizioni (essenzialità o convenienza) sussista e vi sia almeno il 30% di adesioni totali. La giurisprudenza ha già applicato analogicamente il cram-down fiscale agli accordi ex art.182-bis l.fall. prima della riforma (Trib. Catania 2022, Trib. Lecce 2022), e ora è formalmente previsto.
  • Novità 2024: Con il Decreto Correttivo 2024, sembra che si sia ulteriormente armonizzato il trattamento: da segnalare quanto emerso (anticipato su laborosi.it) che si ammette la falcidia dei debiti fiscali anche nella composizione negoziata e nei piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (PRO). Ciò significa che pure in sede di composizione negoziata, qualora l’impresa trovi un accordo e voglia includere il Fisco, si potrà formalizzare una riduzione anche lì (probabilmente tramite adesione dell’Agenzia e poi omologa semplificata). Questo denota un’apertura totale: il dogma dell’“inderogabilità” del credito tributario è definitivamente superato in nome del principio “meglio recuperare qualcosa col risanamento che niente col fallimento”.

Profilo penale e fiscale: Un’azienda che ottiene uno stralcio di debiti tributari in concordato non subisce tassazione sulla parte stralciata (art. 88 TUIR esclude come sopravvenienze attive i debiti annullati per concordato o ADR). Inoltre, se il concordato comprende debiti per IVA o ritenute omessi, l’omologazione blocca i relativi procedimenti penali in corso e, con riforma 2023, evita la punibilità se il concordato è poi eseguito (depenalizzazione in caso di soddisfazione anche parziale purché concordataria, introdotta dal D.Lgs. 14/2020). Questo è un incentivo forte: l’imprenditore che rischia condanna per omesso versamento può salvarsi se risolve col concordato.

Esempio pratico di transazione fiscale: Delta Srl ha €500.000 di debiti con l’Erario (IVA, IRES) e €100.000 con l’INPS. Non può pagarli integralmente. Nel concordato propone: “Erario: pagamento 30% in 5 anni; INPS: 40% in 2 anni; chirografari: 20% in 5 anni”. Fornisce perizia che, in caso di fallimento, i creditori chirografari e anche il Fisco prenderebbero <5%. Quindi 30% è conveniente. L’INPS aderisce formalmente (magari perché c’è circolare interna di accettare se >15%). L’Agenzia Entrate invece vota NO perché 30% lo ritiene troppo basso (spesso le Entrate votano no sotto 50% a meno di evidenze). Nonostante ciò, i creditori votanti totali (incluso Fisco come classe) approvano al 60% grazie agli altri crediti. Il Fisco essendo privilegio magari non vota ma ha negato adesione. Il tribunale, visto che l’alternativa è zero in fallimento, omologa comunque applicando il cram-down: Delta Srl ottiene così di ridurre fortemente il proprio debito fiscale. Da notare: se Delta Srl ha garanti per quei debiti, in principio resterebbero obbligati per intero, ma potrebbero anche loro trovare sollievo se l’accordo lo prevede (questo è un aspetto un po’ oscuro della normativa: di regola il garante rimane obbligato verso il Fisco per intero, a meno che entri esso stesso in un accordo integrativo).

Rapporti con Agenzia Entrate-Riscossione (AER): Tecnicamente, la transazione fiscale coinvolge non solo l’ente impositore (AE, INPS) ma anche l’Agente della Riscossione per sanzioni e interessi iscritti a ruolo. Le circolari AE (es. circ. 16/E 2018, 34/E 2020) definiscono parametri di calcolo su convenienza. Spesso AE ed AER partecipano alle adunanze concordatarie e nominano un unico rappresentante. Ci può essere una frammentazione di competenze: le direzioni regionali AE decidono su principale, l’AER su sanzioni. Ma con la riforma, l’istanza è unica e la AE fa da capofila.

Interlocuzione “fuori udienza” col Fisco: Molto spesso, prima di chiudere un piano di concordato o accordo, i professionisti avviano un dialogo informale con l’Agenzia Entrate per capire cosa sarebbe accettabile. Dal 2023 l’Agenzia ha creato presso ogni direzione regionale un “ufficio crisi d’impresa” proprio per valutare queste proposte (Prot. 21447/2024 citato prima). Ciò mostra che anche l’amministrazione si sta specializzando per favorire soluzioni negoziate, piuttosto che opporsi a prescindere. In passato c’era maggior rigidità e si sono visti concordati saltare per un “no” del Fisco su un dettaglio, ma ora con il cram-down quel potere di veto è ridotto.

INPS e contributi: L’INPS similmente può accettare riduzioni su contributi (specie su sanzioni civili). Di solito l’INPS chiede almeno il pagamento integrale della quota di contributo e può abbuonare sanzioni e interessi, salvo casi. Ma con il cram-down, anche se INPS dicesse no ma i parametri di convenienza ci sono, il giudice può tirare dritto.

Conclusione pratica: Per un imprenditore debitore, affrontare i debiti fiscali è imprescindibile per riuscire a non fallire. Se il debito fiscale è di modesta entità, conviene spesso regolarizzarlo (pagandolo o dilazionandolo) prima di una procedura, così da presentarsi in concordato/accordo con la “patente di buona condotta” verso lo Stato. Se invece è ingente, occorre calibrarne il trattamento nel piano:

  • Offrire il massimo sostenibile, per convincere il giudice che è il meglio anche per il Fisco.
  • Sfruttare eventuali definizioni agevolate per ridurne l’importo prima.
  • Coinvolgere l’Agenzia in confronti per evitare opposizioni.
  • Tenere presente che l’omologazione di un accordo/concordato comprensivo di transazione fiscale ha forza di legge: significa che poi il debito fiscale si riduce effettivamente e lo stralcio non potrà più essere contestato dalla Corte dei Conti o altri (questo era timore dei funzionari AE in passato, che firmare riduzioni li esponesse a responsabilità, timore superato dalle norme che li tutelano se rispettano la convenienza).

In sintesi, grazie alla transazione fiscale anche il fisco diventa un creditore “negoziabile” nell’ambito di un piano di risanamento. Ciò rimuove uno dei freni storici: un tempo l’IVA non pagata portava inevitabilmente al fallimento (non la si poteva falcidiare e l’azienda non aveva i soldi). Oggi la si può includere in un accordo, magari pagandone solo una parte, e comunque evitare la scomparsa dell’impresa, per quanto il Fisco debba rinunciare a qualcosa. Lo spirito è che sia meglio recuperare ad es. il 30% subito che inseguire un’azienda fallita recuperando 5% dopo anni.

Abbiamo così esplorato tutti i principali strumenti legali per non far fallire un’azienda riducendo i debiti, dalla composizione negoziata al concordato, includendo piani attestati, accordi, procedure per piccoli e le strategie col Fisco.

Di seguito proponiamo alcune simulazioni pratiche per illustrare come questi strumenti possono essere applicati in casi concreti.

Esempi pratici di risanamento del debito (simulazioni)

Esempio 1: PMI (S.r.l.) in crisi finanziaria
La società Gamma S.r.l. opera nel settore manifatturiero, con 50 dipendenti. Negli ultimi anni ha accumulato debiti per circa €2 milioni, così suddivisi: €800.000 verso banche (mutui e scoperti), €600.000 verso fornitori, €200.000 di debiti tributari (IVA e tasse), €100.000 verso INPS per contributi non versati, €300.000 altre passività. Il fatturato è calato e Gamma ha difficoltà a pagare le rate bancarie e i fornitori; ha già qualche decreto ingiuntivo dai fornitori e dilazioni scadute con l’Erario. Il patrimonio di Gamma consiste in un capannone industriale stimato €1,5M (ipotecato per €1M dalle banche), macchinari e magazzino per €500k. Gli amministratori vedono rischio di insolvenza entro pochi mesi.

Opzione A – Composizione negoziata: Gamma presenta istanza di composizione negoziata per tentare di riorganizzare il debito. Viene nominato un esperto, il quale analizza la situazione e suggerisce alcuni interventi: vendere un terreno non utilizzato (valore €200k) per fare cassa, cercare un investitore di minoranza disposto a iniettare liquidità, e proporre alle banche la ristrutturazione dei mutui. Con l’aiuto dell’esperto, Gamma tratta con le banche: ottiene che 2 banche proroghino i mutui da 5 a 10 anni riducendo la rata (questo dà respiro di cassa) e che una banca converta €100k di fido in partecipazione al capitale (operazione di equity swap). I fornitori maggiori accettano di stralciare il 30% dei crediti, purché garantiti da pagamenti dilazionati e magari da una fideiussione dei soci. Nel frattempo, Gamma richiede le misure protettive per evitare pignoramenti: per 4 mesi i creditori non possono agire, il che le consente di portare avanti le trattative. L’Agenzia delle Entrate, contattata, fa sapere che aderirà a una transazione se Gamma paga almeno il 50% del debito IVA entro 2 anni. Gamma, grazie alla vendita del terreno e all’apporto di un investitore locale (che mette €300k per il 30% delle quote), riesce a mettere sul piatto soldi freschi per pagare integralmente i debiti fiscali e contributivi e offrire ai fornitori il saldo al 70%. Dopo 5 mesi di lavoro, si raggiunge un accordo sottoscritto dal 90% dei creditori (banche, fornitori principali, Fisco, INPS). L’esperto conclude positivamente. Gamma pubblica l’accordo e lo omologa in tribunale come accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCI. Gli effetti: tutti i creditori firmatari (che rappresentano 90% dei debiti) accettano i tagli concordati; i pochi creditori non firmatari (10%) vengono comunque pagati integralmente alle loro scadenze con le risorse predisposte, quindi non subiscono danno (e in ogni caso l’omologa ne sospende temporaneamente le azioni esecutive sino al pagamento). Gamma riesce così a evitare il fallimento: riduce il debito bancario e commerciale di circa €300k, diluisce il resto su più anni, e grazie all’investitore rilancia la produzione. L’azienda salva posti di lavoro e continua l’attività. Questo scenario ha utilizzato strumenti negoziali massimizzando il consenso: il fallimento è evitato e i creditori ottengono di più di quanto avrebbero preso in caso di liquidazione forzata.

Opzione B – Concordato preventivo in continuità: supponiamo invece che, data l’eterogeneità dei creditori e qualche contrasto, Gamma non riesca a ottenere accordo da tutti quei soggetti volontariamente (magari alcuni fornitori rifiutano lo stralcio e minacciano azioni). Allora Gamma, con l’aiuto dell’esperto, decide di presentare un concordato preventivo. Predispone un piano di continuità: prevede di cedere il ramo d’azienda meno redditizio, concentrarsi sul core, ottenere l’investimento di €300k dal nuovo socio e con queste risorse pagare i debiti come segue – banche 80% (ma spalmato in 8 anni, quindi una piccola falcidia sugli interessi), fornitori chirografari 40%, Fisco e INPS 50%. Il tutto da realizzarsi in 5 anni di cash flow operativo, senza liquidare la società. Presenta il piano con attestazione (che certifica la fattibilità e che i creditori prendono almeno quanto in caso di fallimento). Il tribunale ammette il concordato, blocca le esecuzioni. I creditori votano: le banche (classe privilegiata degradata in parte per insufficienza garanzie) votano sì perché preferiscono recuperare 80% gradualmente che rischiare la perdita in fallimento; i fornitori votano in buona parte sì (ottenendo 40% versus stima 10% in fallimento); l’Erario e INPS – ipotizziamo – esprimono voto contrario sulla falcidia, ma poiché globalmente il 70% dei crediti ha votato sì, il quorum è raggiunto nonostante l’Erario (che ha minor peso). Il tribunale omologa il concordato, anche applicando il cram-down fiscale per superare l’opposizione del Fisco. Gamma esegue il piano: paga progressivamente le percentuali stabilite (sotto vigilanza del commissario/giudice delegato). Dopo 5 anni, adempie tutto secondo il concordato: a quel punto il tribunale dichiara eseguito il concordato e Gamma è libera dai residui debiti non pagati (esdebitata di fatto). L’azienda ha continuato a operare in questi 5 anni (sia pure con monitoraggio), e una volta uscita dalla procedura è sana e con debiti ridotti. Anche qui, fallimento evitato. Rispetto all’opzione A, qui si è dovuto passare per una procedura formale a causa di un consenso non spontaneo unanime; tuttavia, grazie al meccanismo maggioritario, Gamma è riuscita a imporsi anche ai fornitori dissenzienti e al Fisco. L’aspetto negativo è che i costi legali e di amministrazione sono stati più alti e la reputazione aziendale ha sofferto pubblicamente (essendo stato reso noto il concordato), ma alla fine l’impresa è salva.

Esempio 2: Ditta individuale sovraindebitata (concordato minore vs liquidazione controllata)
Luca è titolare di un’impresa individuale edile (quindi imprenditore “sotto soglia”). A causa di mancati pagamenti di clienti e investimenti sbagliati, ha accumulato €150.000 di debiti: €50k con banca (scoperto di conto e prestito), €60k con fornitori di materiali, €20k di debiti fiscali (IVA non versata), €10k INPS, €10k altri. Ha pochi beni: un furgone, attrezzature modeste, crediti verso clienti per forse €30k recuperabili, e la sua abitazione (che è però fondo patrimoniale, supponiamo non attaccabile facilmente dai creditori). Luca vede che non riuscirà a pagare tutti, alcuni fornitori minacciano decreti ingiuntivi.

  • Scenario A: Concordato minore in continuità – Luca vorrebbe proseguire l’attività (ha ancora richieste di lavoro). Si rivolge all’OCC locale e propone di fare un concordato minore. Il piano: continuare l’attività per 3 anni, prevedendo un utile di €30k l’anno da destinare ai creditori, e vendere il furgone per €5k da subito. Così può offrire complessivamente ~€95k su €150k di debiti, pari al 63%. Decide di offrire: integrale 100% a banca (per salvare il rapporto di credito), 50% ai fornitori, 30% al Fisco/INPS (il minimo che ritiene accettabile, contando sul cram-down). L’OCC valuta il piano e soprattutto la meritevolezza: risulta che Luca ha avuto problemi di mercato, non ha colpe gravi (non ha dissipato denaro in beni personali e ha sempre dichiarato tutto). L’OCC invia le proposte ai creditori: la banca subito aderisce (ha ipoteca su casa? se no, comunque preferisce 100% in 3 anni che incerto), i fornitori in larga parte aderiscono (50% è appetibile rispetto al rischio di veder fallire e prendere forse 5-10%), l’INPS aderisce perché riceve 30% che è ok per loro (essendo contributi in parte chirografari); l’Agenzia Entrate non risponde (vale come dissenso). A fine 30 giorni, hanno risposto sì creditori pari al 60% dei crediti totali. Quorum raggiunto. L’OCC riferisce al giudice. Nessuno contesta (i creditori che non hanno aderito – incluso AE – non hanno fatto opposizione formale). Il tribunale omologa il concordato minore. Luca quindi esegue il piano: paga integralmente banca e in parte fornitori/Erario nei 3 anni. Al termine, ottiene l’esdebitazione dei residui: qualunque debito rimasto (in pratica ha stralciato 50% fornitori e 70% Erario) è cancellato. Luca ha evitato di essere travolto dai debiti e ha potuto continuare la sua ditta, pagando quanto poteva. I creditori hanno avuto più di quanto avrebbero forse preso da una liquidazione (dove la casa di Luca era non aggredibile e i beni pochi). Il fallimento (liquidazione giudiziale) qui non era neanche possibile legalmente perché Luca è piccolo, ma avrebbe rischiato pignoramenti e chiusura attività; grazie al concordato minore, ciò non è avvenuto e anzi ora Luca è di nuovo solvibile e può lavorare serenamente.
  • Scenario B: Liquidazione controllata ed esdebitazione del debitore incapiente – Ipotizziamo invece che la situazione di Luca sia peggiore: i creditori non credono nel suo piano (magari il settore edile è fermo, e alcuni pensano che Luca guadagni in nero e non si fidano). L’adesione non raggiunge il 50%. Oppure Luca stesso valuta di chiudere l’attività perché non vede prospettive. Allora può chiedere la liquidazione controllata. Il tribunale la apre, nomina un liquidatore. Vengono liquidati: il furgone (€5k), i crediti verso clienti (il liquidatore ne riscuote €20k). Totale ricavato €25k. Le spese procedurali assorbono €5k, restano €20k da distribuire: vanno prima a banca (che aveva privilegio sul furgone forse, se leasing) e un po’ al Fisco (che ha privilegio sui crediti incassati). In definitiva, i chirografari (fornitori) prendono quasi nulla. Terminata la liquidazione, Luca resta senza beni ma anche senza impresa. A questo punto però può chiedere l’esdebitazione. In base all’art. 280 CCI, avendo cooperato e non commesso atti di frode, Luca ha diritto a essere liberato dai debiti residui. Il tribunale gliela concede con decreto, salvo che un creditore faccia reclamo. Luca è così libero dai €125k di debiti rimasti insoddisfatti. Certo, ha perso il business e i beni, ma non sarà perseguito oltre. Se Luca fosse incapiente totale (immaginiamo non avesse neanche furgone e crediti da incassare), avrebbe potuto chiedere direttamente l’esdebitazione del debitore incapiente. Il tribunale avrebbe valutato la sua meritevolezza e probabilmente lo avrebbe esdebitato subito, cancellando i debiti pur in assenza di pagamento. Per 4 anni Luca sarebbe rimasto sotto osservazione: se per esempio vince alla lotteria €50k entro 4 anni, dovrà darli ai vecchi creditori nella misura dovuta. Ma se nulla cambia, i creditori non avranno nulla e Luca riparte pulito. Questo scenario estremizza la tutela del debitore onesto ma sfortunato.

Come si vede da questi esempi, l’ordinamento offre diverse soluzioni calibrate sul caso concreto. L’importante per un debitore è:

  1. Rendersi conto per tempo della gravità della situazione (non negare la crisi).
  2. Attivarsi prontamente scegliendo lo strumento idoneo: negoziare informalmente se possibile, altrimenti procedura assistita o concorsuale.
  3. Coinvolgere professionisti esperti (commercialisti, legali) e se del caso l’OCC o l’esperto negoziatore.
  4. Mantenere un atteggiamento collaborativo e trasparente con i creditori e gli organi. La buona fede e la meritevolezza pagano: ottieni più facilmente fiducia dai creditori e benefici come l’esdebitazione.

Passiamo ora a una sezione di Domande e Risposte per chiarire i dubbi più frequenti su questi temi.

Domande frequenti (FAQ)

D: Quali sono i principali strumenti per evitare il fallimento di un’azienda riducendo i debiti?
R: I più importanti sono: il piano attestato di risanamento (accordo stragiudiziale certificato da esperto); la composizione negoziata assistita da esperto indipendente (procedura volontaria per negoziare con i creditori); gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale con adesione del 60% (o 30% agevolati); il concordato preventivo (piano concorsuale votato dai creditori, in continuità o liquidatorio); per le piccole imprese e persone, il concordato minore o il piano del consumatore (procedure di sovraindebitamento). Tutti mirano a ristrutturare il debito (dilazionare, ridurre) evitando la liquidazione fallimentare.

D: Quando è consigliabile tentare una composizione negoziata invece di andare subito in concordato?
R: La composizione negoziata conviene se l’impresa è ancora reversibilmente in crisi e c’è margine di negoziare con i creditori prima dell’insolvenza conclamata. È indicata quando si vuole mantenere riservatezza e flessibilità, e quando si spera di trovare un accordo senza il “peso” del tribunale. Ad esempio, se ho poche banche e fornitori principali e sono disposto a trattare, con l’aiuto di un esperto posso farlo in composizione negoziata. Se invece i creditori sono tantissimi o molto conflittuali, e serve imporre una soluzione anche ai dissenzienti, allora occorre un concordato o un accordo omologato. Diciamo che la composizione negoziata è un tentativo preliminare che spesso vale la pena fare (anche perché non pregiudica poi di fare un concordato semplificato se fallisce).

D: Il piano attestato di risanamento è alternativo o complementare rispetto agli accordi omologati?
R: Può essere complementare. Il piano attestato è un accordo privatistico assistito da un’attestazione indipendente, efficace per evitare revocatorie e reati. Se ottengo la collaborazione di (quasi) tutti i creditori chiave, posso risanare tramite piano attestato e non serve passare dal tribunale. Se però alcuni creditori non stanno all’accordo, potrei dover convertire quel piano in un accordo di ristrutturazione omologato per forzare la minoranza dissenziente. Quindi spesso si tenta prima un piano attestato; se non tutti aderiscono, si chiede omologa per coinvolgere tutti (specie per proteggersi dai non aderenti). Ma in alcuni casi il piano attestato basta e avanza – tipicamente quando la platea dei creditori è ristretta e collaborativa.

D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e concordato minore?
R: Il concordato preventivo è la procedura per imprese “soggette a fallimento” (società, ditte sopra soglie) e coinvolge tutti i creditori con voto in adunanza. Il concordato minore è analogo ma destinato a debitori non fallibili (es. piccoli imprenditori, professionisti). Nel concordato minore i creditori esprimono consenso tramite dichiarazioni inviate all’OCC invece che in adunanza; le soglie di approvazione sono simili (>50% crediti). Inoltre il concordato minore richiede la figura dell’OCC che affianca il debitore e valuta la meritevolezza. Ma concettualmente entrambi sono strumenti per proporre ai creditori una soluzione concordata per evitare la liquidazione, con differenze procedurali dettate dalla diversa dimensione/qualifica del debitore.

D: Un consumatore privato con troppi debiti cosa può fare?
R: Se una persona fisica non imprenditore è sovraindebitata (es. debiti con banche, bollette, fisco), può ricorrere al piano di ristrutturazione del consumatore (ex piano del consumatore). Presenta tramite OCC una proposta di pagamento parziale compatibile col suo reddito. Non serve il consenso dei creditori: se il giudice ritiene il piano fattibile e il debitore meritevole (non ha colpe gravi), lo omologa anche contro il parere dei creditori. Il debitore paga quello che può in tot anni e il resto dei debiti viene cancellato. Se il consumatore non è in grado di pagare nulla, può chiedere direttamente l’esdebitazione dell’incapiente, cioè la cancellazione totale dei debiti senza pagamento, ottenibile una volta ogni vita se è in buona fede.

D: Cos’è l’esdebitazione e quando si ottiene?
R: L’esdebitazione è la liberazione dai debiti residui non soddisfatti in una procedura concorsuale. Nel fallimento (liquidazione giudiziale), l’imprenditore persona fisica ottiene l’esdebitazione a certe condizioni (collaborazione, nessun reato, etc.) su domanda dopo la chiusura. Nel Codice attuale, per le persone fisiche l’esdebitazione è più facile e spesso automatica: ad es., nel concordato preventivo se eseguito integralmente, i debiti ulteriori si estinguono; nella liquidazione controllata, l’esdebitazione scatta automaticamente dopo chiusura salvo eccezioni. Per i soci illimitatamente responsabili, l’esdebitazione della società estende ai soci illimitati. L’esdebitazione significa che i creditori chirografari non possono più perseguire il debitore per quanto non incassato durante la procedura. È in sostanza il “fresh start”: dopo aver subito un concorso ed essersi spogliato dei beni disponibili, l’imprenditore onesto può ripartire senza i vecchi debiti. Nel caso di debitore incapiente, come detto, l’esdebitazione può essere concessa ex ante senza nemmeno procedura liquidatoria (una sorta di perdono giudiziale dei debiti).

D: Durante una trattativa di ristrutturazione posso essere protetto dai pignoramenti?
R: Sì, se utilizzi i percorsi giusti. Nella composizione negoziata puoi chiedere al tribunale misure protettive che bloccano i creditori dall’agire per l’intera durata delle trattative. In un concordato “in bianco” o accordo di ristrutturazione presentato, la legge prevede che dal momento della pubblicazione della domanda nessuno può iniziare o proseguire esecuzioni individuali. Quindi, per evitare che un creditore precipitoso faccia saltare il banco, conviene attivare formalmente una procedura (composizione negoziata o deposito ricorso di concordato/accordo) così da ottenere uno stay. Se invece negozi informalmente senza alcuna procedura, sei esposto al primo decreto ingiuntivo: nessun divieto per il creditore di pignorare (puoi solo sperare di convincerlo a fermarsi). Il piano attestato di per sé non dà protezione giudiziaria prima della sua esecuzione (dà benefici dopo, in caso di fallimento futuro, come esenzione revocatoria). Quindi, uno dei vantaggi delle procedure concorsuali o para-concorsuali è proprio ottenere il cosiddetto automatic stay temporaneo per lavorare al piano.

D: I debiti fiscali (IVA, tasse) e INPS possono essere tagliati?
R: Sì, ma principalmente dentro un accordo o concordato con transazione fiscale. Fuori dalle procedure, l’Agenzia Entrate non può spontaneamente abbuonare imposte (a parte le rottamazioni decise per legge). Nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, invece, si può proporre una transazione fiscale: offrire di pagare in parte e a rate quei debiti. Oggi la legge consente di falcidiare anche l’IVA e le ritenute, cosa che un tempo era discussa. Ovviamente bisogna offrire almeno quanto il Fisco otterrebbe dalla liquidazione, altrimenti il giudice non omologa. Se il Fisco/INPS non accettano la proposta, il tribunale può comunque imporla (cram-down) se la ritiene vantaggiosa rispetto all’alternativa. Quindi sì, l’IVA e contributi si possono ridurre, ma solo col visto del giudice, non con un accordo privato nascosto. Nei piani del consumatore, addirittura, il giudice può tagliare i tributi senza bisogno di consenso del Fisco. Quindi il tabù “le tasse vanno pagate sempre al 100%” è caduto nelle procedure di crisi, proprio per favorire la ristrutturazione.

D: Cosa succede se ho garantito personalmente i debiti della mia società e la società fa un concordato? I creditori possono rifarsi su di me per la parte di debito tagliata?
R: Domanda insidiosa: la regola generale (art. 61 co.3 CCI per accordi, e analogamente in concordato) è che l’accordo/concordato non libera i coobbligati e i fideiussori dai loro obblighi, salvo patto contrario. Quindi se tu socio o amministratore hai firmato una fideiussione alla banca, e la società col concordato paga solo il 80% a quella banca, la banca potrebbe legalmente chiedere a te il restante 20%. Nella pratica però, spesso nel negoziare la ristrutturazione si cerca di includere anche i garanti: ad esempio, la banca potrebbe rinunciare ad escutere il fideiussore in cambio che la società paghi quel 80% puntualmente, oppure il garante paga una parte a latere. Nel caso di transazione fiscale, invece, la legge recente prevede che l’omologa non estingue automaticamente le obbligazioni di eventuali fideiussori per debiti tributari (c’era una norma nel 2020 che sembrava liberarli, ma è stata soppressa). Quindi, se un amministratore ha un debito personale per IVA non versata (reato) e la società fa transazione, lui penalmente è esente ma civilmente il Fisco potrebbe perseguirlo in teoria. Tuttavia è tema complesso e in evoluzione: alcuni tribunali hanno liberato i garanti di fatto considerandolo implicito nell’accordo omologato. Insomma, attenzione: se avete garantito debiti, quando ristrutturate il debito principale cercate di negoziare anche la posizione di garanti, altrimenti rischiate che il creditore si rivalga su di voi per la parte non pagata dalla società.

D: Una startup innovativa può essere dichiarata fallita?
R: Durante i primi 5 anni dalla costituzione, no, le startup innovative per legge non sono soggette a fallimento né ad altre procedure concorsuali tradizionali. Possono però usare le procedure da sovraindebitamento (accordo di ristrutturazione minore, piano del consumatore se fosse persona fisica, liquidazione controllata). Dopo i 5 anni (o se perdono i requisiti prima), diventano fallibili come le altre imprese. La Cassazione nel 2024 ha confermato che alla scadenza del quinquennio cessa la “disciplina di favore” automaticamente, anche se la società risulta ancora iscritta nella sezione speciale. Quindi occhio: c’è una sorta di scudo temporaneo di 5 anni, dopodiché la startup è trattata come un’azienda ordinaria. Nel periodo protetto, se sta per collassare l’unica è un concordato minore o liquidazione controllata (perché startup è sovraindebitata non fallibile). Il Governo ha pensato questo per dare 5 anni di tempo alle startup di provare il loro modello senza il timore di fallire subito. Ma alla scadenza, se i debiti non sono risolti, la startup può fallire e infatti ci sono casi di startup dichiarate fallite dopo il quinquennio.

D: Quali responsabilità possono avere gli amministratori se non gestiscono la crisi adeguatamente?
R: Con la riforma, gli amministratori hanno un dovere legale di attivarsi per tempo in caso di crisi. Se non lo fanno e l’insolvenza peggiora, possono essere responsabili per mala gestio verso i creditori (azione di responsabilità per aver aggravato il dissesto). Inoltre, se compiono pagamenti preferenziali o distrazioni durante lo stato di insolvenza, rischiano responsabilità penale (bancarotta). Va detto che l’utilizzo diligente degli strumenti di crisi li tutela: ad esempio, se un amministratore paga un fornitore secondo un piano attestato di risanamento, ciò non sarà bancarotta preferenziale. Se chiede tempestivamente un concordato, non verrà accusato di ritardo doloso. Viceversa, se fa finta di niente e i debiti si accumulano, rischia di incorrere nel reato di bancarotta semplice (per aver aggravato il dissesto). Quindi, per un amministratore, far nulla è la scelta peggiore. Meglio cercare di risanare con un piano, e se non si riesce, attivare il fallimento o liquidazione in proprio per limitare i danni. I nuovi assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. servono proprio a evitare di trovarsi all’ultimo senza soluzioni. In sintesi: l’amministratore che prudentemente attiva una composizione negoziata o altra procedura potrà anzi beneficiare di eventuali esenzioni penali (come visto) e dimostrerà di aver agito nell’interesse dei creditori, riducendo il rischio di sanzioni.

D: I dipendenti rischiano qualcosa in queste procedure di risanamento?
R: In generale, no, i dipendenti sono tutelati. Nelle procedure concorsuali, i crediti dei lavoratori (stipendi, TFR) sono prededucibili o fortemente privilegiati, quindi vengono pagati con priorità, spesso integralmente. Ad esempio, in concordato preventivo in continuità i salari maturati in esercizio vanno pagati regolarmente; se c’è una moratoria può riguardare solo il pagamento del pregresso e comunque max un anno per i lavoratori (nel nuovo Codice addirittura dicono che la moratoria dei privilegiati non può riguardare i lavoratori oltre 30 giorni post omologa). Anche nel caso di accordi, difficilmente si chiede ai dipendenti di rinunciare a crediti (sono pochi importi rispetto al totale e hanno forte tutela legale). Semmai un rischio per i dipendenti è occupazionale se la continuità non è possibile: un concordato liquidatorio può implicare licenziamenti. Ma qui intervengono gli ammortizzatori (CIGS per concordato, etc.). Composizione negoziata: la legge incentivante la continuità vuole salvare l’occupazione; nulla impedisce però che per risanare si debba ridurre il personale, ma questo rientra nelle scelte di riorganizzazione (da fare comunque nel rispetto dello Statuto Lavoratori e contratti collettivi). In conclusione, i dipendenti come creditori sono protetti, come lavoratori subiscono le sorti dell’azienda (in male se si liquida, in bene se si risana e l’azienda prosegue).


Con queste domande e risposte chiudiamo la guida. Il filo conduttore che emerge è che prevenire è meglio che curare: un debitore che attiva per tempo i giusti strumenti ha buone chance di evitare il fallimento tramite accordi per ridurre i debiti. Oggi l’ordinamento offre una gamma di opzioni flessibili e moderne, adeguate anche alle PMI e ai soggetti personali, in linea con la normativa europea che promuove la second chance. Ogni caso di crisi è diverso, ma le soluzioni ci sono e vanno scelte con competenza e pianificazione. Il punto di vista del debitore deve essere: affrontare la realtà, dialogare coi creditori (anche quelli pubblici) e sfruttare la legge a proprio vantaggio per trovare un equilibrio sostenibile del debito. Così si può dare all’azienda un futuro, oppure, se proprio la situazione è compromessa, chiudere in modo ordinato e ripartire senza il peso del passato. La parola chiave è “risanamento”, non più “fallimento”. E come abbiamo visto, questo risanamento è spesso negoziale e consensuale: riduce i debiti quanto basta a non far fallire l’azienda, soddisfacendo parzialmente i creditori, che accettano il male minore di un taglio rispetto al peggio di una liquidazione.

Seguono le fonti utilizzate per dati normativi, dottrinali e giurisprudenziali, con i riferimenti puntuali.

Fonti

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e s.m.) – disposizioni rilevanti: artt. 12-25-sexies (composizione negoziata), artt. 56 (piano attestato), artt. 57-64 (accordi di ristrutturazione), art. 84-120 (concordato preventivo), artt. 74-83 (concordato minore), artt. 67 (piano consumatore), 268-277 (liquidazione controllata), 278-283 (esdebitazione).
  • Camera di Commercio di Torino – schede esplicative (agg. 2023): “Piano attestato di risanamento”; “Accordi di ristrutturazione dei debiti”; “Concordato minore”. Queste schede forniscono una sintesi ufficiale sulle procedure e adempimenti, evidenziando percentuali e condizioni (es: accordo 30% agevolato senza moratoria, pagamento integrale estranei in 120 giorni, etc.).
  • Diritto della Crisi (rivista online): articoli: “Composizione negoziata: percorso ed epiloghi” di V. Abriani et al. (sulla ratio e presupposti dello strumento); “Gli accordi di ristrutturazione agevolati” di F. Vella (spiega soglia 30% e condizioni: no misure protettive, pagamento integrale estranei senza moratoria); “Transazione fiscale: come cambia col Codice e Dir. Insolvency” di G. Andreani (sulle modifiche normative: falcidia dei privilegi e cram-down fiscale; giurisprudenza Cassazione; trattamenti proposti AE).
  • Unioncamere – Osservatorio Crisi d’Impresa, II Rapporto (Comunicato 9/4/2025): dati statistici sul ricorso alla composizione negoziata (600 istanze 2023 vs 1089 nel 2024, + quasi 100%) e considerazioni sul maggior successo tra imprese più strutturate.
  • Giurisprudenza rilevante:
    • Trib. Brindisi 10/1/2023 (omologazione forzosa accordo ex art.182-bis l.fall): chiarisce che i requisiti di cram-down fiscale (essenzialità adesione e convenienza offerta) sono alternativi.
    • Cass. civ. Sez. I, 16/01/2024 n. 1587 (startup innovative): principio di diritto su cessazione esenzione procedure concorsuali dopo 5 anni.
    • Cass. Sez. Un. 02/08/2022 n. 23980 (start-up): conferma decorrenza quinquennio da costituzione non da iscrizione.
    • Cass. Sez. Un. 17/05/2021 nn. 8500-8502: su ammissibilità falcidia IVA in concordato e possibilità di cram-down fiscale (poi recepita in legge).
    • Corte Cost. 6/04/2022 n. 63 (durata liquidazione sovraindebitamento): ha ritenuto non irragionevole trattenere ai creditori le sopravvenienze dei 4 anni post liquidazione (oggi 3 anni in CCI).
    • Trib. La Spezia 3/03/2022: applica per la prima volta l’esdebitazione del debitore incapiente ex L.3/2012 (art.14-quaterdecies) confermandone legittimità.
    • Cass. civ. 04/07/2022 n. 21152: sulla verifica giudiziale dei requisiti startup innovative e legittimità controllo giudice nonostante iscrizione.
  • Fonti normative secondarie e di prassi:
    • Decreto Dirigenziale AE 29/1/2024 n. 21447: disciplina interne AE per transazioni fiscali negli ADR dal 1/2/24 (parere conforme centrale se falcidia >70% o dilazione >120 rate).
    • Circ. AE 34/E 2020 e 16/E 2018: indicazioni su utilizzo flussi di cassa e criteri convenienza in transazione fiscale.
    • Legge 197/2022 (L. Bilancio 2023): definizione agevolata 2023, stralcio mini-debiti fino 1.000€.
    • D.L. 118/2021 conv. L.147/2021: ha introdotto composizione negoziata e concordato semplificato (capitolo emergenziale poi confluito nel CCI).
    • Legge 3/2012 (abrogata): previgenti procedure sovraindebitamento, utili per comprendere evoluzione (piano consumatore senza voto; accordo con 60%; liquidazione patrimonio con durata 4 anni ecc.).
  • Approfondimenti dottrinali:
    • Pani “Tipologie di concordato nel nuovo Codice” (2023) – spiega le nuove soglie (20%+10% risorse per liquidatorio, favor continuità con priorità relativa ecc.).
    • Rivista Dir. Trib. art. 2023 su “cram-down fiscale e previdenziale” – commenta sviluppi giurisprudenza Cass. 2022 e normativa su omologa forzosa non abuso.
    • Assonime “Guida al Codice della Crisi” (2022) – schede di sintesi (es. riduzione soglia chirografari 20% solo per continuità se allerta attivata).
    • Studio CNN (Notariato) n.71-2024/C – esamina modifiche D.Lgs.136/2024 (cita applicazione misure protettive anche a concordato semplificato, chiarimenti art.166 su revocatoria).
  • Siti web specialistici:
    • ilcaso.it & Il Fallimentarista – casi pratici e note (utili ad es. per start-up e transazione fiscale: es. AgendaDigitale.eu 2020 “startup innovativa può fallire?” che richiama art.31 DL 179/2012).
    • Sito avvocaticartellesattoriali.com – guide divulgative su sovraindebitamento e transazione fiscale (es. “Liquidazione controllata aggiornata 2025”; “Ruolo del consumatore nel CCI”).
    • unioncamere.gov.it e camere di commercio siti ufficiali (Unioncamere news composizione negoziata boom 2024).

Finiamo sottolineando che la normativa fallimentare è complessa e in continua evoluzione (correttivi 2023-2024, recepimenti UE, prassi AE in fieri). È quindi importante, per il professionista e l’imprenditore, aggiornarsi costantemente e, in situazioni critiche, farsi assistere da esperti della crisi d’impresa. Con le giuste mosse, “far non fallire” un’azienda gravata dai debiti è una sfida ardua ma spesso possibile, nell’interesse sia del debitore che del sistema economico.

Cosa fare per non far fallire un’azienda riducendo i debiti

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Conclusione
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