Il tuo studio di chirurgia estetica ha debiti e la situazione finanziaria sta diventando insostenibile?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da banche, fornitori, finanziarie o enti pubblici e temi ripercussioni sulla continuità operativa e sulla tua reputazione professionale? In questi casi è fondamentale conoscere i tuoi diritti, agire legalmente per difenderti e usare strumenti efficaci per proteggere il patrimonio, lo studio e la tua immagine.
Quando uno studio di chirurgia estetica può trovarsi con debiti
– Quando ha acceso mutui, leasing o finanziamenti per l’acquisto di apparecchiature costose, arredi o per ristrutturazioni e non riesce più a sostenere le rate
– Quando ha accumulato debiti verso fornitori di dispositivi, materiali medici o servizi essenziali
– Quando ha arretrati fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate, INPS o altri enti
– Quando un calo della clientela, concorrenza crescente o eventi imprevisti hanno ridotto la liquidità
– Quando spese impreviste, contenziosi legali o costi di personale hanno aggravato il bilancio
Cosa può accadere a uno studio di chirurgia estetica con debiti
– Pignoramento dei conti correnti aziendali o personali, con blocco delle operazioni
– Pignoramento presso terzi dei crediti verso pazienti o assicurazioni
– Iscrizione di ipoteche sugli immobili dello studio
– Revoca di affidamenti bancari e impossibilità di ottenere nuova liquidità
– Perdita di fornitori e interruzione di servizi e trattamenti
– Nei casi più gravi, rischio di chiusura forzata o avvio di procedure concorsuali
Cosa può fare uno studio di chirurgia estetica per difendersi dai debiti
– Far analizzare da un avvocato la natura e la legittimità dei debiti, individuando eventuali posizioni prescritte o contestabili
– Per i debiti fiscali e contributivi, valutare rateizzazioni, rottamazioni o saldo e stralcio
– Ricorrere a una procedura di composizione negoziata della crisi o concordato preventivo per ristrutturare i debiti e continuare l’attività
– Negoziare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per ridurre interessi e penali
– Proteggere il patrimonio immobiliare e le attrezzature con strumenti giuridici legittimi
– Bloccare o sospendere azioni esecutive quando vi siano i presupposti legali
Cosa può ottenere uno studio di chirurgia estetica con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione consistente del debito complessivo tramite accordi o procedure giudiziarie
– La tutela degli immobili, delle attrezzature e dell’avviamento dello studio
– La possibilità di ristrutturare il debito mantenendo la continuità operativa
– Il recupero della stabilità economica e gestionale
– La salvaguardia della reputazione professionale e della clientela
Attenzione: anche uno studio di chirurgia estetica ben avviato può trovarsi in gravi difficoltà finanziarie. Tuttavia, esistono strumenti legali in grado di salvaguardare l’attività, il patrimonio e il rapporto con i pazienti. Agire subito è fondamentale per evitare che la crisi diventi irreversibile.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, tutela delle attività sanitarie private e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se il tuo studio di chirurgia estetica ha debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.
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Introduzione
Gestire uno studio di chirurgia estetica comporta spesso investimenti rilevanti in attrezzature, personale qualificato e locali adeguati. Se i ricavi calano o i costi aumentano inaspettatamente (ad esempio per crisi economiche o emergenze sanitarie), lo studio può accumulare debiti significativi verso banche, fornitori, Fisco e altri creditori. In queste situazioni, il titolare dello studio – che sia un medico libero professionista o una società che gestisce una clinica privata – deve sapere come difendersi dai creditori e quali strumenti giuridici utilizzare per risanare la propria posizione debitoria.
Questa guida avanzata, aggiornata a luglio 2025, offre un quadro completo della normativa italiana vigente in materia di crisi d’impresa e sovraindebitamento dal punto di vista del debitore. Illustreremo le diverse tipologie di debito e le relative tutele, gli strumenti di risanamento disponibili (dalle soluzioni extragiudiziali come il piano attestato di risanamento e gli accordi di ristrutturazione fino alle procedure come la composizione negoziata, il concordato – ordinario o “minore” – e la liquidazione controllata). Il taglio è tecnico-giuridico ma divulgativo, rivolto tanto ad avvocati e consulenti quanto a imprenditori e privati, con l’obiettivo di chiarire cosa può fare un debitore (in particolare il titolare di uno studio medico) per evitare il tracollo finanziario e tutelare la propria attività.
Troverete sezioni con domande e risposte comuni, tabelle riepilogative che confrontano i vari strumenti (requisiti, vantaggi, rischi, tempi) e alcune simulazioni pratiche riferite al contesto di uno studio di chirurgia estetica in difficoltà. Citeremo le norme rilevanti e le più recenti sentenze della giurisprudenza italiana (Corti di merito e di legittimità), per offrire riferimenti autorevoli e aggiornati.
Scenario iniziale: Immaginiamo il caso del Dott. Rossi, titolare di un centro di chirurgia estetica in forma di S.r.l. (clinica privata) con sede in Italia. Negli ultimi anni la clinica ha contratto debiti bancari per l’acquisto di laser e macchinari, ha accumulato debiti verso fornitori di protesi e materiali, oltre a debiti tributari (IVA e ritenute) e contributivi (INPS) a causa di flussi di cassa insufficienti. Alcuni fornitori hanno iniziato azioni di recupero crediti e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha notificato cartelle esattoriali rilevanti. Il Dott. Rossi vuole evitare il pignoramento dei beni della clinica o – peggio – una dichiarazione di fallimento della società, e cerca soluzioni per ristrutturare i debiti e continuare l’attività. Di seguito esamineremo come, in un caso del genere, il debitore possa muoversi, analizzando dapprima il quadro normativo di riferimento, poi le strategie di difesa e risanamento a disposizione.
Quadro normativo attuale (luglio 2025)
Negli ultimi anni l’Italia ha riformato profondamente la disciplina delle crisi d’impresa e dell’insolvenza, sostituendo la vecchia Legge Fallimentare del 1942 con il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) introdotto dal D.Lgs. 14/2019 e definitivamente entrato in vigore il 15 luglio 2022. Questa riforma – frutto della legge delega n. 155/2017 e anche del recepimento della Direttiva UE 2019/1023 – ha ampliato gli strumenti a disposizione del debitore in difficoltà, enfatizzando l’approccio della prevenzione e composizione negoziale della crisi, in linea con i principi europei. In particolare:
- È stato superato il termine “fallimento”, sostituito dalla “liquidazione giudiziale”, concetto ritenuto meno stigmatizzante e più orientato alla gestione dell’insolvenza in modo ordinato. Restano comunque procedure liquidatorie speciali per soggetti di rilevanza pubblica (banche, grandi imprese in stato di insolvenza, ecc.), che qui non tratteremo.
- Sono state introdotte procedure innovative e anticipate per intercettare la crisi prima che diventi irreversibile. Un esempio chiave è la composizione negoziata della crisi, varata in via d’urgenza con D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) e poi inserita stabilmente nel Codice con D.Lgs. 83/2022. Si tratta di un percorso volontario e confidenziale in cui l’imprenditore, con l’assistenza di un esperto indipendente, negozia con i creditori soluzioni di risanamento senza aprire una procedura concorsuale formale. Approfondiremo questo strumento più avanti, ma va sottolineato sin d’ora che la finalità principale è evitare di arrivare all’insolvenza conclamata, agendo prima che la situazione precipiti (“the sooner, the better” è il principio di fondo).
- Contestualmente, sono state introdotte anche misure di allerta e obblighi di emersione tempestiva della crisi: ad esempio, dal 2022 i maggiori creditori pubblici (Agenzia delle Entrate, INPS, Agente della Riscossione) devono inviare segnalazioni al debitore che accumuli debiti scaduti oltre soglie significative, invitandolo ad attivarsi. Allo stesso modo, gli organi di controllo interni alle società (sindaci, revisori) hanno l’obbligo di allertare gli amministratori in presenza di indizi di crisi, spingendoli a intervenire prontamente (anche attivando gli strumenti offerti dal Codice). Questi meccanismi di allerta, tuttavia, sono calibrati per imprese di certe dimensioni e non coinvolgono direttamente il professionista individuale o la piccola clinica, se non indirettamente tramite sollecitazioni del Fisco.
- Il CCII ha inoltre unificato in un unico corpus normativo sia la disciplina delle imprese commerciali insolventi (un tempo soggette a fallimento, concordato preventivo, ecc.) sia quella del cosiddetto sovraindebitamento civile (risanamento dei debiti per soggetti prima esclusi dal fallimento, regolato fino al 2021 dalla L. 3/2012). Oggi, dunque, esistono procedure “maggiori” per gli imprenditori assoggettabili a liquidazione giudiziale e procedure “minori” per i debitori non fallibili (imprese sotto una certa soglia, professionisti, consumatori, ecc.), ma tutte fanno capo allo stesso Codice della Crisi.
Vediamo più in dettaglio quali debitori possono accedere a quali procedure, poiché questo è cruciale nel caso del nostro studio di chirurgia estetica:
Soglie dimensionali e categorie di debitori
La normativa distingue il debitore in due macro-categorie principali:
- Imprenditori commerciali di dimensioni medio-grandi (assoggettabili a liquidazione giudiziale, ex “fallibili”). Sono coloro che superano determinati parametri dimensionali fissati dall’art. 2, comma 1, lett. d) CCII (già previsti dalla L. 3/2012). Tali soglie sono: avere un attivo patrimoniale annuo superiore a €300.000, ricavi annui superiori a €200.000 o debiti per oltre €500.000. È sufficiente superare anche uno solo di questi limiti (in uno qualsiasi degli ultimi tre esercizi) perché l’impresa sia considerata “non minore” e quindi soggetta alle procedure concorsuali ordinarie. Ad esempio, una S.r.l. con debiti totali di €600.000 rientra tra gli imprenditori “fallibili” anche se attivo e ricavi sono modesti, perché il debito eccede €500.000.
- Debitori minori o non fallibili, ossia quelli che non superano nessuna delle suddette soglie. In questa categoria rientrano tipicamente: le micro-imprese e le ditte individuali molto piccole, gli imprenditori agricoli (tradizionalmente esclusi dal fallimento), i professionisti (come medici, avvocati, ecc.), le start-up innovative e in generale le persone fisiche indebitate (consumatori). Se il nostro studio di chirurgia estetica fosse esercitato sotto forma di attività professionale individuale (il chirurgo che opera in proprio, magari con uno studio associato) o come piccola società sotto-soglia, si ricadrebbe in quest’ambito. I debitori non fallibili non possono essere assoggettati a liquidazione giudiziale né al concordato preventivo ordinario; per loro il CCII prevede le procedure semplificate di composizione della crisi da sovraindebitamento (come il concordato minore e la liquidazione controllata, di cui parleremo).
Attenzione: oltre alle soglie dimensionali, esistono alcune esclusioni oggettive. Ad esempio, non si apre una liquidazione giudiziale se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati è inferiore a €30.000. Questa soglia (aggiornabile ogni 3 anni) serve a evitare procedure concorsuali per importi bagatellari. La Corte di Cassazione ha chiarito che il limite di €30.000 si riferisce al complesso dei debiti scaduti non pagati e non al singolo credito del richiedente. Ciò significa che, se anche un singolo creditore vanta €50.000 di credito, il fallimento può essere evitato se il totale dei debiti scaduti del debitore è inferiore a €30.000 (circostanza rara ma possibile). Nel nostro scenario, tuttavia, i debiti di una clinica in crisi superano certamente tale cifra, quindi questa soglia non sarebbe applicabile per bloccare le istanze dei creditori.
In sintesi, il Dott. Rossi dovrà per prima cosa valutare la natura giuridica e le dimensioni del suo studio: se opera tramite una società di capitali con debiti sopra soglia, potenzialmente i creditori potrebbero chiederne la liquidazione giudiziale (ex fallimento) in tribunale. Se invece la sua attività rientra tra i non fallibili (ad esempio un professionista o una piccola S.r.l. sotto i limiti), i creditori non potranno farlo fallire ma potranno comunque agire individualmente (pignoramenti) o chiedere le procedure di sovraindebitamento (es. liquidazione controllata). In ogni caso, esistono strumenti di difesa che il debitore può (e dovrebbe) attivare tempestivamente per gestire la situazione prima di subire iniziative irreversibili da parte dei creditori. Nel prossimo paragrafo analizzeremo le tipologie di debito più comuni in un’attività medico-chirurgica e i rischi connessi, per poi passare alle soluzioni di risanamento.
Tipologie di debito e rischi connessi
Uno studio medico può accumulare diverse categorie di debiti, ciascuna con peculiari implicazioni legali e gravità. È fondamentale mappare i tipi di debito presenti, perché alcuni crediti godono di privilegi o tutele speciali e richiedono trattamenti specifici nei piani di rientro. Nel caso di una clinica di chirurgia estetica, possiamo individuare, in ordine di priorità tipica:
- Debiti verso il Fisco (Erario): comprendono IVA non versata, ritenute fiscali sui dipendenti o collaboratori, IRAP e altre imposte. Questi crediti dell’Agenzia delle Entrate sono generalmente privilegiati (privilegio generale mobiliare) e in caso di procedure concorsuali vanno soddisfatti prima dei crediti chirografari. Inoltre, il mancato pagamento di alcune imposte può esporre il titolare a responsabilità penali tributarie (ad es. omesso versamento IVA oltre soglia di legge). È quindi un debito “sensibile”: l’Erario può iscrivere ipoteca sugli immobili per crediti tributari sopra €20.000 e avviare esecuzioni tramite l’Agente della Riscossione (pignoramenti di conti, fermi amministrativi, ecc.). In ambito di risanamento, i debiti fiscali possono essere trattati con la transazione fiscale (che vedremo), ossia un accordo di pagamento parziale/dilatato inserito in un piano concordatario o accordo di ristrutturazione. Tuttavia, ottenere il consenso del Fisco non è scontato: esistono linee guida interne che l’ente segue per valutare le proposte. Se l’Erario non aderisce, il piano di risanamento dovrà rispettare alcune soglie di soddisfacimento per poter essere omologato senza il suo consenso (vedremo oltre il cram-down fiscale).
- Debiti verso enti previdenziali (INPS, Casse di previdenza): analoghi a quelli fiscali per privilegio e possibilità di stralcio. Ad esempio, uno studio può avere contributi INPS non versati per i dipendenti o, se il chirurgo è libero professionista, contributi dovuti alla propria Cassa (es. ENPAM per i medici) o ancora contributi previdenziali sulle retribuzioni. Anche questi sono crediti privilegiati (privilegio contributivo) e possono essere oggetto di transazione contributiva insieme alla transazione fiscale (il CCII prevede che si possano trattare congiuntamente). L’INPS ha poteri di riscossione simili al Fisco, compresa la segnalazione alla crisi se i debiti superano certe soglie. Nei piani, spesso INPS segue la sorte del Fisco: ad esempio, se si offre di pagare il 30% al Fisco, lo stesso si applicherà ai contributi.
- Debiti bancari e finanziari: mutui contratti per acquistare l’immobile della clinica, leasing finanziari per i macchinari medico-chirurgici (laser, ecografi, ecc.), aperture di credito o prestiti per liquidità. Questi creditori possono essere garantiti (ad esempio la banca con ipoteca sull’immobile, o il leasing con riserva di proprietà sul macchinario) oppure chirografari (prestiti non garantiti). I creditori garantiti da ipoteca o pegno hanno diritto di prelazione sui beni dati in garanzia; ciò significa che in caso di liquidazione forzata verranno pagati con preferenza fino a concorrenza del valore di realizzo del bene. Nel nostro esempio, la banca con mutuo ipotecario sulla sede dello studio è un creditore ipotecario: se lo studio viene liquidato, quella banca sarà soddisfatta col ricavato della vendita dell’immobile, prima di altri. Nei piani di ristrutturazione, i creditori garantiti possono essere trattati diversamente dagli altri (spesso in una classe separata): ad esempio, si può prevedere di reschedulare il debito (allungare la durata del mutuo) o di pagare solo una parte del dovuto se il valore di mercato del bene è inferiore al debito (la cosiddetta “cram down” del creditore garantito, che richiede però il suo consenso o valutazioni specifiche). Le banche e società di leasing, se preavvisate della crisi, potrebbero revocare gli affidamenti o chiedere rientri immediati: per difendersi, il debitore può sfruttare le protections offerte dalle procedure (come le misure protettive o il blocco delle azioni esecutive che scatta in caso di concordato o accordo omologato).
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: rientrano qui i debiti per acquisto di materiali di consumo, farmaci, protesi, servizi di laboratorio, affitti dei locali, bollette e utenze, consulenti esterni, ecc. Sono crediti chirografari (non privilegiati) che in un’eventuale procedura di insolvenza verrebbero soddisfatti per ultimi, spesso in misura parziale (in un fallimento tipicamente prendono una percentuale molto bassa o nulla). Proprio per questo, nei piani di risanamento è usuale proporre a questi creditori uno stralcio del debito (ad esempio, pagare il 20-30% a saldo e stralcio) oppure un pagamento dilazionato e/o condizionato alla ripresa dell’attività. Dal punto di vista del creditore fornitore, se non si trova un accordo, l’alternativa è tentare il recupero integrale tramite decreto ingiuntivo e pignoramento, ma se lo studio è in crisi profonda rischia di non trovare abbastanza beni aggredibili. Dunque spesso anche i fornitori sono disponibili a negoziare. Tuttavia, va ricordato che se un fornitore ottiene per primo un titolo esecutivo e un pignoramento, potrebbe portarsi via risorse (denaro su conto, attrezzature) pregiudicando gli altri: per questo è fondamentale prevenire un’azione disordinata dei creditori individuali attraverso uno strumento collettivo (accordo o procedura concorsuale) che congeli le azioni esecutive e ripartisca il ricavato in modo ordinato e possibilmente equo.
- Debiti verso dipendenti e collaboratori: se lo studio ha personale dipendente (es. infermieri, assistenti) o si avvale di collaboratori a partita IVA, può maturare debiti per retribuzioni non pagate, TFR, compensi dei collaboratori e rimborsi. I crediti dei lavoratori dipendenti per stipendi degli ultimi sei mesi e TFR sono considerati super-privilegiati (hanno la precedenza anche su ipoteche, nei limiti del privilegio ex art. 2751-bis c.c.), mentre quelli più remoti nel tempo hanno un privilegio generale sui mobili (comunque prima dei crediti fiscali). Significa che in caso di liquidazione i dipendenti verranno pagati con priorità assoluta fino a un certo importo. Inoltre, esiste il Fondo di Garanzia INPS che interviene a pagare TFR e ultime tre mensilità in caso di insolvenza del datore di lavoro, surrogandosi poi nei loro crediti. Nei piani di risanamento, di norma non si falciano i crediti dei lavoratori: per ragioni sia giuridiche (impatti sul loro status privilegiato) sia sociali, si cerca di pagarli integralmente, magari rateizzando gli arretrati. Un imprenditore-debitore accorto cercherà di saldare per primi i dipendenti, anche perché il mancato pagamento sistematico può portare a dimissioni in massa e perdita di capitale umano, oltre al rischio di istanze di fallimento (i dipendenti sono legittimati a chiederlo) e sanzioni in caso di inadempienze contributive colpose.
- Altre passività potenziali: nel settore sanitario va considerato anche il rischio di contenziosi risarcitori (es. cause di malpractice medica) e sanzioni. Se ad esempio vi sono cause pendenti per danni da interventi estetici mal riusciti, potremmo trovarci di fronte a debiti contestati o futuri. Questi sono crediti eventuali che, se si concretizzano (con una sentenza), diventano chirografari o talvolta privilegiati se derivano da morte o lesioni (il risarcimento per danno alla persona gode di privilegio generale limitato). È difficile includerli in un piano prima della definizione, ma bisogna tenerli presente perché possono aggravare l’insolvenza. Un debitore può accantonare una parte delle risorse per far fronte a queste evenienze oppure assicurarsi (polizze RC professionale) per trasferire il rischio.
Ricapitolando: il nostro studio di chirurgia estetica con debiti dovrà far fronte a creditori privilegiati (Erario, INPS, dipendenti) che in un’insolvenza formale pretenderebbero pagamento prioritario e pressoché integrale, e creditori chirografari (banche per la parte non garantita, fornitori, eventuali risarcimenti) che invece possono subire decurtazioni. La presenza di debiti fiscali e contributivi complica i piani di risanamento, perché lo Stato è un creditore “rigido” e con poteri di veto: la legge tuttavia consente soluzioni negoziate anche con il Fisco, a condizione di rispettare soglie minime di pagamento in caso di dissenso (come vedremo, attualmente almeno il 30-40% del credito fiscale in molti casi). I debiti garantiti da ipoteche o leasing richiedono negoziazioni specifiche con quei creditori (es. rinegoziare il mutuo, trovare nuovi investitori per riscattare i beni in leasing), mentre i debiti verso fornitori possono essere ridotti con accordi di saldo e stralcio se confrontati con l’alternativa del fallimento (dove spesso non otterrebbero nulla).
Avere chiaro questo quadro permette al debitore di stabilire le priorità: difendersi significa (a) impedire che singoli creditori agiscano in modo disordinato sottraendo risorse vitali all’impresa e (b) trovare una soluzione collettiva sostenibile che offra ai creditori una soddisfazione migliore di quella che otterrebbero procedendo individualmente. Nel prossimo capitolo passeremo in rassegna gli strumenti di risanamento e le procedure previsti dalla legge italiana per fronteggiare una situazione di sovraindebitamento aziendale, indicando per ciascuno chi può utilizzarlo, quali vantaggi offre e quali limitazioni presenta.
Strumenti stragiudiziali di risanamento (negoziali)
La prima linea di difesa di un imprenditore o professionista indebitato consiste nelle soluzioni stragiudiziali, ovvero accordi e piani costruiti al di fuori delle procedure concorsuali formali, cercando di evitare l’intervento del tribunale. Questi strumenti permettono spesso di risanare l’azienda in modo discreto, mantenendo i rapporti commerciali e la reputazione, ma funzionano solo se vi è sufficiente collaborazione da parte dei creditori e se il piano proposto è credibile. Vediamo i principali:
Trattativa privata e accordi transattivi individuali
Ancor prima di attivare strumenti legalmente tipizzati, il debitore può tentare un’ordinaria negoziazione con i propri creditori. Ad esempio, il Dott. Rossi potrebbe incontrare la banca per rinegoziare il mutuo (ottenendo magari una moratoria o un prolungamento del piano di ammortamento), oppure concordare con alcuni fornitori una dilazione dei pagamenti o uno sconto sull’importo dovuto in cambio di un pagamento immediato parziale. Questo tipo di accordi non richiede alcun procedimento formale: è pura autonomia contrattuale. I vantaggi sono la semplicità e la riservatezza; di contro, essendo accordi bilaterali, non vincolano eventuali creditori non coinvolti. Ciò significa che mentre si tratta con alcuni creditori, altri potrebbero agire giudizialmente. Inoltre, anche un creditore inizialmente disponibile potrebbe, in assenza di vincoli, cambiare idea o essere tentato di agire individualmente per timore che gli altri facciano lo stesso.
In pratica, la trattativa privata funziona meglio se il numero di creditori è limitato e se c’è fiducia reciproca. Nel nostro caso, se la clinica avesse ad esempio un solo finanziatore bancario principale e pochi fornitori chiave, un accordo stragiudiziale semplice potrebbe risolvere la crisi. Tuttavia, con debiti frammentati su molti creditori, occorre uno strumento più strutturato che tenga insieme la massa dei creditori in un unico piano. Ciò ci porta ai cosiddetti piani attestati di risanamento e agli accordi di ristrutturazione, che pur restando negoziali prevedono certe formalità volte ad assicurare l’efficacia dell’intesa a lungo termine e proteggere il debitore.
Piano attestato di risanamento
Il Piano Attestato di Risanamento (PAR) è uno strumento previsto dall’art. 56 CCII (già art. 67, co. 3, lett. d) L.F.) che consente all’imprenditore in crisi di elaborare un piano di risanamento autonomo, raccogliere l’adesione (anche informale) dei creditori e godere di importanti benefici legali senza bisogno di omologazione da parte del tribunale. In sostanza, si tratta di un piano industriale, economico e finanziario pluriennale che mira a riequilibrare la situazione aziendale (ad esempio tramite nuova finanza, dismissione di beni non strategici, dilazioni dei debiti, ecc.), sul quale un professionista indipendente (detto attestatore) rilascia una relazione di attestazione circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso.
Caratteristiche principali del Piano Attestato:
- È un accordo stragiudiziale e riservato: non richiede il deposito in tribunale né diventa pubblico (se non per la necessità di conferire data certa al documento, spesso ottenuta tramite la pubblicazione in registro imprese di un semplice atto di attestazione). Ciò tutela la reputazione dell’impresa – nel nostro caso, la clinica potrebbe continuare a operare senza lo stigma di una procedura concorsuale in corso.
- Vincola solo i creditori che vi aderiscono: a differenza di un concordato, il piano attestato non può imporre tagli o dilazioni ai creditori dissenzienti. Quindi, il debitore deve ottenere il consenso di ciascun creditore coinvolto. Nella pratica, spesso il piano attestato viene utilizzato quando si è già in grado di ottenere un’adesione ampia e quasi unanime dei principali creditori (ad esempio, tutte le banche interessate hanno pre-approvato la ristrutturazione dei loro crediti). Nel caso di un debito diffuso verso molti piccoli fornitori, il piano attestato è meno adatto, a meno di prevedere il pagamento integrale dei chirografari (che quindi non hanno motivo di opporsi).
- Offre benefici legali notevoli: se il piano è redatto e attestato a regola d’arte, gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di esso sono esenti da azione revocatoria in caso di successivo fallimento. Ciò significa, ad esempio, che se la clinica paga un fornitore strategico in attuazione del piano attestato e poi (malauguratamente) dovesse fallire entro 2 anni, il curatore fallimentare non potrebbe chiedere la revoca di quel pagamento sostenendo che si trattava di una preferenza indebita. Questa esenzione da revocatoria (introdotta originariamente nel 2005) è stata confermata ed estesa anche alla revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. dalla giurisprudenza: la Cassazione nel 2023 ha statuito che le esenzioni dell’art. 67 L.F. (ora art. 56 CCII) si applicano non solo alle azioni revocatorie fallimentari, ma anche a quelle ordinarie esercitate sia dal curatore sia dal singolo creditore. In altre parole, un piano attestato valido rende più sicuri i pagamenti effettuati: i creditori aderenti possono accettare pagamenti o garanzie sapendo che non dovranno restituirli in caso di default successivo, il che incentiva la loro partecipazione. Inoltre, il CCII (art. 324) prevede una esenzione penale per l’imprenditore: gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato non sono punibili come bancarotta preferenziale o semplice, al fine di incoraggiare il tentativo di risanamento senza il timore di conseguenze penali se poi qualcosa va storto.
- Nessuna protezione automatica dalle azioni esecutive: un limite del piano attestato è che, non essendo una procedura concorsuale, di per sé non sospende i pignoramenti o le cause dei creditori. Esiste però la possibilità di richiedere al tribunale, in via d’urgenza, misure cautelari per inibire iniziative individuali se necessarie a dare attuazione al piano (ad esempio, ingiunzioni che impediscano ai creditori non aderenti di aggredire beni essenziali mentre il piano è in corso). Si tratta comunque di tutele più limitate rispetto a quelle offerte da un concordato preventivo (dove c’è una moratoria legale generale dei debiti). Ecco perché il piano attestato funziona al meglio quando quasi tutti i creditori rilevanti sono a bordo e non intendono agire in via esecutiva.
Quando adottarlo: un piano attestato è ideale per evitare le procedure giudiziarie qualora l’impresa sia in crisi ma ancora risanabile, e vi sia fiducia dei creditori nelle possibilità di ripresa. Nel nostro caso, se il Dott. Rossi riuscisse a convincere la maggior parte dei creditori (banca, fornitori principali, Fisco) a una ristrutturazione volontaria – magari perché la clinica ha ancora buon potenziale di reddito – potrebbe scegliere il piano attestato. Supponiamo che la clinica elabori, con l’aiuto di un advisor finanziario, un piano triennale in cui un investitore apporta liquidità, la banca allunghi il mutuo di 5 anni, i fornitori accettino un pagamento al 50% del dovuto e il Fisco conceda una rateazione con lieve stralcio di sanzioni. Se un professionista indipendente (es. un commercialista esperto in crisi) attesta che i numeri sono veritieri e che il piano è fattibile per risanare l’impresa, allora il piano – sottoscritto dal debitore e portato a conoscenza dei creditori – può essere eseguito. I creditori che collaborano saranno protetti (i pagamenti ricevuti non verranno toccati successivamente) e lo studio eviterà la pubblicità di un concordato.
Va osservato che, pur essendo stragiudiziale, il piano attestato nel CCII è riconosciuto come strumento di regolazione della crisi a tutti gli effetti. L’art. 56 CCII ne definisce i contenuti minimi (dati finanziari aggiornati, elenco creditori, proiezioni di cash flow, ecc.) e i requisiti formali (data certa, attestazione indipendente). Inoltre, se in corso di piano l’imprenditore necessita di ulteriore credito, il tribunale può autorizzare nuovi finanziamenti che saranno prededucibili (cioè rimborsati con precedenza) nel caso di un eventuale successivo fallimento, incentivando banche o soci a mettere soldi freschi.
Limiti e rischi: il successo di un piano attestato si basa in gran parte sulla credibilità del piano industriale e sulla professionalità dell’attestatore. Tribunali e Cassazione hanno più volte ribadito che l’esenzione da revocatoria non scatta se il piano è manifestamente inidoneo al risanamento: il giudice, a posteriori, può valutare ex ante se il piano aveva concrete possibilità o era solo un espediente. Ad esempio, Cass. 25 marzo 2022 n.9743 ha confermato la revocatoria di pagamenti effettuati in un piano attestato ritenuto inadeguato, affermando che “la semplice presenza di un piano attestato non basta: occorre la sua idoneità concreta al risanamento, da valutarsi nei limiti della manifesta inettitudine”. Quindi, piani fatti in modo superficiale o basati su dati falsi non proteggono dai rischi futuri e possono portare anche a responsabilità dell’attestatore. Il debitore deve fornire informazioni complete e veritiere all’attestatore e attuare il piano con disciplina, altrimenti l’ombrello protettivo viene meno.
In conclusione, il piano attestato è uno strumento potente per “difendere” la propria azienda indebitata evitando il tribunale: tutela dalle revocatorie e consente di negoziare privatamente con i creditori chiave. Nel contempo, richiede consenso pressoché unanime e non sospende d’ufficio le azioni dei dissenzienti. Nel nostro caso clinico, potrebbe essere il primo tentativo da fare se i rapporti con i creditori sono ancora buoni. In alternativa, qualora manchi il consenso di qualcuno o serva un intervento del giudice per “imporre” la ristrutturazione, si dovrà passare agli strumenti successivi: accordi di ristrutturazione o concordati.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD)
L’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti è un istituto intermedio tra il piano puramente privatistico e il concordato preventivo. Previsto dagli artt. 57-64 CCII (già art. 182-bis L.F.), consiste in un accordo negoziato con i creditori che viene però sottoposto all’omologazione del tribunale – limitatamente ad alcuni aspetti – per acquistare efficacia verso tutti i partecipanti. In pratica, il debitore elabora un piano di ristrutturazione simile a quello del piano attestato, ma invece di limitarsi a raccogliere adesioni private, deposita l’accordo in tribunale chiedendone l’omologazione. La legge richiede che l’accordo sia sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Se tale soglia di consenso è raggiunta, il tribunale – verificati alcuni presupposti – omologa l’accordo rendendolo efficace. I creditori che hanno aderito sono vincolati a quanto pattuito (dilazioni, stralci, ecc.), mentre quelli non aderenti restano fuori: non sono coattivamente obbligati ad accettare tagli, però beneficiano (loro malgrado) di eventuali pagamenti integrali se previsti. Di solito, per i creditori non aderenti il debitore predispone il pagamento integrale (spesso fuori piano) in modo da poterli escludere dall’accordo senza contenziosi.
Peculiarità e vantaggi dell’ARD:
- La procedura è in gran parte negoziale (accordo volontario con i creditori) ma con un importante intervento finale del giudice. Il tribunale omologa l’accordo verificando la presenza delle percentuali di legge (60%) e la fattibilità e idoneità del piano sottostante, anche tramite la relazione di un esperto indipendente allegata all’accordo. Non c’è però votazione formale di tutti i creditori né un commissario nominato come nel concordato: solo i creditori che vogliono aderire firmano. In questo senso l’ARD è più snello di un concordato (meno formalità, tempi spesso più brevi).
- Durante le trattative per raggiungere l’accordo, il debitore può chiedere al tribunale delle misure protettive temporanee (simili all’automatic stay) per bloccare le azioni esecutive dei creditori e conservare lo status quo aziendale. Ad esempio, il Dott. Rossi potrebbe, al momento di depositare la domanda di omologazione dell’accordo con già il 60% di adesioni, chiedere che il tribunale sospenda i pignoramenti in corso da parte dei creditori che non hanno ancora firmato, così da evitare che uno di essi faccia saltare l’accordo incassando tutto. Il tribunale concede tali misure se il piano presentato appare serio e se la protezione non danneggia ingiustificatamente i creditori. Questa sospensione è temporanea (massimo alcuni mesi) e serve a arrivare all’omologa in sicurezza.
- Una volta omologato, l’accordo produce vari effetti di tutela: ad esempio, i creditori che vi partecipano non possono intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali (sono vincolati alla nuova scadenza o importo concordato), e anche per i dissenzienti il tribunale può disporre la sospensione delle esecuzioni se sono in corso pagamenti secondo l’accordo. Inoltre, l’omologa dell’accordo, pubblicata nel registro delle imprese, dà data certa al piano e lo rende opponibile a terzi, consolidando quindi eventuali atti esecutivi (ad es. vendite di beni previste dal piano non potranno essere revocate se effettuate correttamente). Similmente al piano attestato, anche gli ARD godono dell’esenzione dalle azioni revocatorie per gli atti eseguiti in loro adempimento.
- L’ARD consente di includere formalmente nella trattativa anche i creditori pubblici (Erario e enti previdenziali) mediante la transazione fiscale e contributiva. Il debitore può infatti proporre nel piano un trattamento agevolato dei debiti fiscali (esempio: stralcio integrale di sanzioni e interessi, pagamento parziale dell’imposta) e chiedere all’Agenzia delle Entrate e all’INPS di aderire all’accordo. Se tali enti aderiscono (previa istruttoria secondo le loro procedure interne), la transazione fiscale diventa parte integrante dell’accordo omologato. Questo è un vantaggio enorme rispetto alla pura trattativa privata, perché in passato il Fisco non poteva accettare pagamenti parziali di IVA o ritenute per ragioni di indisponibilità del tributo; oggi invece l’ordinamento permette all’Erario di partecipare a soluzioni concordate, pur entro confini prestabiliti. Nel caso in cui il Fisco o l’INPS rifiutino la proposta, il debitore non è automaticamente bloccato: grazie alle recenti riforme (DL 69/2023 e D.Lgs. 136/2024), è possibile ottenere l’omologazione dell’accordo anche senza il voto favorevole del Fisco, a condizione di rispettare certe soglie di soddisfacimento minimo per i loro crediti (cosiddetta omologazione forzosa o cram-down fiscale). In particolare, ad oggi la legge prevede due scenari alternativi: (1) se i creditori aderenti diversi da quelli pubblici rappresentano almeno il 25% dei crediti, è sufficiente offrire a Fisco e INPS almeno il 30% del loro credito complessivo (inclusi sanzioni e interessi); (2) se i creditori privati aderenti pesano meno del 25%, allora bisogna salire ad almeno il 40% di soddisfacimento dei crediti tributari/previdenziali, e con dilazione non superiore a 10 anni. In entrambi i casi va comunque garantito che l’accordo non sia meramente liquidatorio (deve cioè offrire prospettive di risanamento/miglior valore rispetto alla liquidazione). Queste soglie, introdotte nel 2023 e confermate dal correttivo 2024, assicurano che lo Stato recuperi una parte significativa del proprio credito se anche la maggioranza privata dei creditori ha approvato l’accordo. Ad esempio, se la clinica del Dott. Rossi ha €1 milione di debiti fiscali, per forzare l’omologa senza adesione dell’AdE dovrà offrire almeno €300.000 (30%) se altri creditori rilevanti aderiscono, o €400.000 (40%) se gli altri consensi sono scarsi. Questa è una differenza chiave rispetto al passato: non basta più dimostrare che “il Fisco prenderebbe zero in caso di fallimento” per imporgli la falcidia, bisogna anche raggiungere queste percentuali legali. In un caso del 2023, ad esempio, il Tribunale di Roma ha evidenziato che l’omologa forzosa serve a superare irragionevoli resistenze degli uffici finanziari, ma con le nuove norme tale facoltà va esercitata nel rispetto delle soglie minime di recupero per l’Erario.
- Un’evoluzione recente dell’ARD è il cosiddetto Piano di Ristrutturazione “soggetto a omologazione” (PRO), introdotto nel 2022-2024, che consente di ottenere un’omologazione anche senza avere il 60% di adesioni. Ne parleremo a parte (vedi paragrafo successivo), ma anticipiamo che il PRO consente di sottoporre al giudice un piano con classi di creditori e chiederne l’omologa purché certe maggioranze (per classi) siano rispettate. Si tratta di uno strumento intermedio fra accordo e concordato, pensato proprio per i casi in cui non si riesce a far firmare il 60% dei crediti ma c’è urgenza di una ristrutturazione vincolante. Il PRO è accessibile solo a imprenditori “sopra soglia” (fallibili), quindi se il nostro studio fosse un piccolo imprenditore non potrebbe usarlo.
Esempio pratico: Immaginiamo che la Alpha Clinic S.r.l. (clinica estetica) abbia 10 milioni di debiti totali: 5 verso banche (con ipoteche), 3 verso il Fisco/INPS e 2 verso fornitori. La clinica vede prospettive di ripresa se dimezza i debiti e ottiene nuova finanza. Propone un accordo di ristrutturazione: due banche su tre accettano di posticipare il rimborso (e magari convertire parte credito in quote di capitale), coprendo il 27% dei crediti; molti fornitori accettano il 50% a saldo e stralcio, aggiungendo un altro 15%. Il Fisco rifiuta formalmente la proposta di pagare il 37% in 5 anni (sotto la soglia interna dell’Ufficio), però non si oppone attivamente e rimane in posizione di dissenso. Complessivamente Alpha Clinic ottiene adesioni del 60% esatto (sommando banche e fornitori). Deposita l’accordo in tribunale includendo la transazione fiscale proposta, e chiede al giudice l’omologazione forzosa per il Fisco e l’INPS, dimostrando che: (a) oltre il 25% dei creditori ha aderito (qui addirittura il 60%); (b) al Fisco viene offerto almeno il 30% (nel caso, 37%); (c) i creditori pubblici in un fallimento alternativo non prenderebbero nulla (perché gli immobili ipotecati esaurirebbero il valore a favore delle banche). Verificate queste condizioni, il tribunale può omologare l’accordo nonostante il mancato assenso dell’Erario, ritenendo rispettati i requisiti di legge e la convenienza per tutti rispetto alla liquidazione. La clinica quindi salva il proprio business, riduce i debiti secondo i termini concordati e prosegue l’attività in bonis. Questo esempio illustra bene come un ARD possa “tenere insieme” banche, fornitori e anche il Fisco su un unico tavolo, con un risultato migliore sia per il debitore (che evita la liquidazione giudiziale) sia per i creditori (che recuperano in parte i loro crediti, quando in un fallimento alcuni avrebbero forse recuperato zero).
Accordi ad efficacia estesa e altre varianti: il CCII prevede alcuni sottotipi di ARD. Ad esempio, l’accordo ad efficacia estesa (ex art. 61 CCII, già 182-septies L.F.) consente, nel caso di debiti finanziari, di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori dissenzienti appartenenti alla medesima categoria (banche o obbligazionisti) purché aderiscano una percentuale qualificata (almeno il 75% di quella categoria). È pensato per ristrutturazioni con molte banche: se ad es. 80% delle banche (per valore) approva, il piano può essere esteso al 20% che rifiuta, con autorizzazione del tribunale. Questo strumento può essere rilevante se la clinica ha più istituti finanziatori e uno minoritario fa ostruzionismo. Inoltre, ci sono gli accordi di moratoria (art. 62 CCII) che sono patti stipulati tra l’imprenditore e le banche per congelare le posizioni in essere (ad es. sospendere rate) in attesa di una ristrutturazione: anch’essi possono essere approvati a maggioranza e vincolare la minoranza di banche dissenzienti. Sono però strumenti utilizzati soprattutto per aziende medio-grandi con pool di banche. Nel nostro caso di studio medico, più che una moratoria bancaria si parlerebbe di ottenere accordi bilaterali di standstill con la banca principale, cosa fattibile anche senza specifiche norme se c’è buona volontà.
Conclusione sugli ARD: L’accordo di ristrutturazione è uno strumento molto utile per difendere l’azienda indebitata quando si ha un nucleo di creditori disposti a collaborare (almeno il 60%) ma si vuole comunque dare forza legale all’intesa con l’omologazione del giudice. Rispetto al piano attestato, è più costoso e “ufficiale” (c’è un procedimento in tribunale, sebbene meno invasivo di un concordato), ma permette di superare eventuali resistenze dei creditori pubblici e offre maggiore protezione durante la fase di attuazione. Il nostro Dott. Rossi potrebbe preferire l’ARD se, ad esempio, ha convinto le banche e fornitori maggiori al piano, ma l’Agenzia delle Entrate non intende formalmente aderire: tramite l’ARD potrà comunque procedere, garantendo al Fisco il minimo di legge ma senza dipendere dal suo consenso. Se invece il livello di adesione volontaria è insufficiente (diciamo solo il 30-40% dei creditori è d’accordo), allora bisognerà valutare strumenti più incisivi come il concordato preventivo o, per i fallibili, il PRO di cui parliamo ora.
Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)
Il PRO è una novità introdotta nel nostro ordinamento per dare attuazione alla Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva. È disciplinato oggi dagli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII (Capo I-bis) a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 83/2022 e dal correttivo D.Lgs. 136/2024. In sostanza, il PRO consente al debitore imprenditore commerciale (non “minore”) in stato di crisi o insolvenza di proporre un piano di risanamento ai creditori e di chiedere al tribunale di omologarlo, rendendolo vincolante per tutti i creditori interessati, anche in assenza di adesione del 60% come richiesto per il classico accordo. Si colloca, come dicevamo, a metà strada tra un accordo di ristrutturazione e un concordato preventivo, perché unisce elementi negoziali (la formazione del consenso per classi) ad elementi concorsuali (l’intervento attivo dell’autorità giudiziaria, la possibilità di cram-down intra-classi, ecc.).
Ecco i tratti salienti del PRO:
- Accesso: è riservato ai debitori fallibili, ossia non deve trattarsi di impresa minore sotto soglia. Una clinica di grandi dimensioni supererebbe quei parametri e quindi potrebbe accedere al PRO; invece, per il professionista o la piccola società sotto soglia, il PRO non è disponibile (in tal caso il debitore dovrà optare per il concordato minore del sovraindebitamento).
- Struttura del piano: il debitore predispone un piano con suddivisione dei creditori in classi omogenee (ad esempio: classe delle banche, classe dei fornitori chirografari, classe dell’Erario, etc.) e propone per ciascuna classe un certo trattamento (percentuale e modalità di pagamento). Il piano deve assicurare che nessun creditore riceva meno di quanto otterrebbe nella liquidazione giudiziale (principio di convenienza). Su questo piano viene sollecitata l’adesione dei creditori: non serve raggiungere il 60% generale, ma occorre il consenso di tutte le classi votanti o quantomeno di una certa maggioranza di esse per poter omologare nonostante il dissenso di qualcuno. In base alla Direttiva UE e alla norma italiana, il tribunale può omologare il piano se in ciascuna classe ha aderito una maggioranza qualificata (di crediti) e nessuna classe dissenziente riceve meno di altre classi di pari rango o se ci sono altre condizioni di equilibrio (è il cosiddetto cross-class cram down, ossia omologare anche se una classe vota contro, purché siano rispettate equità e maggioranze nelle altre classi).
- Procedura: il procedimento è più snello di un concordato. Ad esempio, non c’è automaticamente un commissario giudiziale nominato, a meno che il tribunale non lo ritenga necessario o che il debitore lo richieda. Il debitore rimane in possesso dell’azienda (non c’è spossessamento). Il piano viene depositato con la documentazione e l’attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati e fattibilità, come negli accordi o concordati. Il giudice fissa un’udienza in cui i creditori possono eventualmente fare opposizione, e all’esito omologa il piano se ritiene soddisfatti i requisiti. Durante il procedimento il debitore può chiedere misure protettive per bloccare le azioni esecutive (simili a quelle del concordato) e può anche ottenere autorizzazioni urgenti, ad esempio per finanziamenti interinali o per cedere asset non strategici immediatamente. Anzi, una particolarità del PRO è che il tribunale può autorizzare, prima ancora dell’omologa, la cessione di rami d’azienda funzionali alla ristrutturazione senza applicare l’art. 2560 c.c. (niente responsabilità per l’acquirente dei debiti pregressi) e senza applicare l’art. 2112 c.c. (nel caso di continuità, possibilità di non trasferire i dipendenti al nuovo acquirente). Questo per facilitare operazioni di continuità aziendale indiretta (ad esempio, vendere la clinica a un investitore che prosegue l’attività, liberandola dai debiti pregressi).
- Omologazione e effetti: se il piano è approvato dalle maggioranze richieste (o anche con dissensi, ma utilizzando il meccanismo di cram-down interclassistico previsto) il tribunale lo omologa e il PRO diventa vincolante per tutti i creditori inclusi. Ciò vuol dire che anche chi non era d’accordo si vede ristrutturato il credito secondo le condizioni del piano (taglio, attesa, ecc.), come in un concordato preventivo. Con l’omologa cessano le azioni esecutive e il debitore può proseguire nella realizzazione del piano sotto la supervisione leggera di eventuali ausiliari nominati.
- Quando è utile: il PRO è stato pensato per situazioni in cui l’impresa è in difficoltà ma ha prospettive di continuazione, e serve uno strumento flessibile per ristrutturare il debito rapidamente evitando la votazione formale di tutti i creditori come nel concordato. Ad esempio, se la nostra clinica fosse un’azienda importante, con molti creditori diffusi, e il management avesse già un accordo di massima con un gruppo di creditori chiave ma non col 60% di tutti, il PRO consentirebbe di presentare comunque il piano e vincolare le minoranze contrarie, a patto di rispettare l’equità tra classi e la convenienza. È insomma una specie di “concordato preventivo semplificato in continuità” – così è stato definito – con meno oneri procedurali (non c’è voto assembleare classico, si possono privilegiare creditori strategici purché giustificato). Naturalmente il controllo del giudice c’è ed è sostanziale: viene richiesta un’attestazione molto rigorosa e il tribunale verifica attentamente l’assenza di pregiudizio per i creditori dissenzienti.
- Continuità vs liquidazione: diversamente dalla composizione negoziata (che vedremo dopo), il PRO può essere utilizzato anche per piani liquidatori, non solo di risanamento con prosecuzione azienda. Cioè si può proporre un PRO che preveda la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni con una certa distribuzione ai creditori. In tal caso, però, di fatto si tratta di un’alternativa al concordato preventivo liquidatorio, con la differenza che nel PRO i creditori non votano formalmente ma danno adesione negoziale. La giurisprudenza più recente ha confermato che il PRO può anche essere liquidatorio puro, a patto di rispettare le regole di soddisfacimento e maggioranze. Ad esempio, un PRO potrebbe essere usato da una clinica che decide di chiudere e vendere macchinari e immobili, distribuendo il ricavato: se le banche e i creditori maggiori sono d’accordo sul piano di riparto, lo si può omologare e chiudere la vicenda in tempi più rapidi di un fallimento. Va però detto che se l’obiettivo ultimo è la cessazione e liquidazione, esistono anche altre procedure dedicate (concordato preventivo liquidatorio o, se piccola impresa, liquidazione controllata), quindi il PRO tendenzialmente trova migliore applicazione nei casi di ristrutturazione con continuità (diretta o mediante cessione).
Riassumendo: il PRO arricchisce gli strumenti di difesa del debitore aggiungendo una opzione in più accanto all’accordo di ristrutturazione tradizionale. È particolarmente rilevante per le aziende medio-grandi che non riescono a ottenere l’adesione del 60% dei crediti ma possono contare sul supporto di gran parte delle categorie di creditori. Per una realtà come uno studio di chirurgia estetica, che spesso rientra tra le PMI, il PRO potrebbe non essere praticabile (se sotto soglia) o comunque potrebbe risultare sovradimensionato se invece c’è già consenso sufficiente per un accordo classico. È comunque un istituto da tenere presente in un’ottica di sistema: dimostra come il legislatore favorisca soluzioni negoziate e flessibili per evitare la distruzione di valore tipica delle procedure liquidatorie giudiziali, consentendo di cramdown dei creditori dissenzienti quando c’è una maggioranza favorevole e un piano equo.
Composizione negoziata della crisi (CNC)
Passiamo ora a uno strumento diverso dai precedenti: la Composizione Negoziata della Crisi, introdotta come accennato dal D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e ora disciplinata nel CCII agli artt. 12-25-sexies. La composizione negoziata (che abbreviamo in CNC) non è un accordo né una procedura concorsuale omologata, bensì un percorso volontario e stragiudiziale di negoziazione assistita dalla figura di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio. L’idea di fondo è offrire all’imprenditore in crisi uno strumento per sedersi con i creditori e trovare una soluzione consensuale prima di dover ricorrere a procedure concorsuali.
Come funziona la CNC in breve:
- L’imprenditore (anche piccolo, senza limiti dimensionali, quindi la CNC è aperta sia alla grande azienda sia alla micro-impresa e all’imprenditore agricolo) presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni sullo stato dell’impresa. Viene nominato un esperto (spesso un commercialista o altro professionista con esperienza in ristrutturazioni) che, valutata la situazione, accetta l’incarico se ritiene possibile il risanamento. L’esperto agisce come facilitatore: convoca il debitore e i principali creditori e li aiuta a individuare possibili soluzioni (può proporre lui stesso modifiche al piano, mediare tra le parti, ecc.).
- Durante la CNC, l’impresa continua ad operare in piena autonomia (non c’è spossessamento né gestione esterna) e tutto avviene in modo riservato. I creditori sono invitati a collaborare in buona fede. Su richiesta del debitore, il tribunale può concedere misure protettive temporanee: ad esempio, la sospensione o il divieto di iniziare azioni esecutive e cautelari, e la sospensione delle istanze di fallimento. Tali misure possono coprire tutti o alcuni creditori e durano inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili fino a 12. L’esperto durante la CNC ha il compito di vigilare che l’imprenditore non compia atti pregiudizievoli per i creditori (ad esempio, non deve aggravare il dissesto). Se il debitore si discosta dalle regole di correttezza o il piano appare chiaramente irrealistico, l’esperto può segnalare e anche far terminare la composizione.
- Esito della CNC: se la negoziazione ha successo, può sfociare in diversi tipi di accordi: un contratto vero e proprio con i creditori (ad esempio un accordo di moratoria, o accordi bilaterali di ristrutturazione dei debiti); un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII (se si raggiunge il 60% di consensi, l’imprenditore può formalizzarlo come ARD e omologarlo subito); oppure un piano attestato. In alternativa, il debitore può presentare un concordato preventivo (anche semplificato) se capisce che serve un procedimento concorsuale. Dunque la CNC è spesso un trampolino: se va bene, porta a soluzioni stragiudiziali; se non riesce, consente comunque di organizzare un atterraggio in procedura in modo ordinato.
- Un caso particolare previsto dalla norma è il “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” (art. 25-sexies CCII): se l’imprenditore durante la CNC conclude che non è possibile risanare l’attività ma solo liquidare i beni, e tuttavia non ha raggiunto un accordo con i creditori, può – a chiusura della CNC – chiedere direttamente al tribunale l’omologazione di un piano di liquidazione senza votazione dei creditori. È una procedura concorsuale abbreviata (detta concordato semplificato), introdotta per evitare che un fallimento sia l’unica via in caso di trattative fallite. In pratica, se il Dott. Rossi in CNC non trova accordo ma individua un acquirente per la clinica o un modo per liquidare il patrimonio dando un certo ritorno ai creditori, può proporre al giudice questo piano liquidatorio; il tribunale, sentiti i creditori (che però non votano), può omologarlo se lo ritiene più vantaggioso della liquidazione giudiziale classica. Il concordato semplificato è riservato a chi ha tentato la CNC senza successo e prevede comunque l’obbligo di offrire ai chirografari almeno il 20% del loro credito se non erro (requisito simile al concordato liquidatorio ordinario). È stato concepito come “uscita di sicurezza” per incentivare l’uso della CNC anche in situazioni gravi: sapendo che, male che vada, non si perde tempo ma si può chiudere con un concordato di liquidazione semplificato, il debitore è più propenso a provare la via negoziale.
Finalità e limiti della CNC: la legge la definisce strumento “finalizzato al risanamento dell’impresa”, per cui non dovrebbe essere utilizzato se sin dall’inizio l’unica prospettiva è la cessazione. Su questo punto la giurisprudenza è stata netta: recentissime pronunce (ad es. Tribunale di Bologna, 2 maggio 2025) hanno ritenuto inammissibile l’accesso alla CNC da parte di un’impresa che fin dall’inizio prospetti solo una soluzione meramente liquidatoria, senza continuità aziendale diretta o indiretta. In tal caso, l’istanza di misure protettive è stata rigettata e si è revocata la CNC perché considerata un uso distorto del percorso. Il ragionamento è che la CNC è pensata per salvare imprese ancora vitali o con parti vitali, non per guadagnare tempo in vista di una liquidazione (per la quale esistono altri istituti). È quindi fondamentale, per il debitore che vi accede, predisporre un piano almeno potenzialmente idoneo al risanamento, altrimenti si rischia di vedersi negare le protezioni. Nel caso citato, l’impresa in questione aveva presentato un piano che prevedeva la cessazione immediata dell’attività e la vendita atomistica di tutti gli asset, sia pure con un modesto apporto di finanza esterna; l’esperto aveva anche dato parere positivo ritenendolo migliorativo rispetto a un fallimento, ma il Tribunale ha concluso che ciò snaturava la composizione negoziata, eludendo i requisiti del concordato preventivo liquidatorio (che richiede apporto esterno e soglia di soddisfo) e del concordato semplificato. In pratica, i giudici temono che qualcuno usi la CNC per ottenere una moratoria di fatto sui debiti senza averne titolo, per poi magari fare un concordato liquidatorio senza le garanzie previste se saltasse la CNC.
Ciò detto, se l’impresa ha anche una minima chance di sopravvivenza o di rilancio, la CNC è fortemente incoraggiata. La normativa prevede incentivi per chi la intraprende: ad esempio premialità fiscali, come la sospensione di alcuni termini per versamenti tributari, la possibilità di chiedere dilazioni straordinarie fino a 120 rate dei debiti fiscali, attenuazione di sanzioni e interessi, ecc.. Tali benefici, introdotti nell’art. 25-bis CCII e rafforzati nel 2024, servono a dare ossigeno all’imprenditore mentre tratta con i creditori. Inoltre, l’esperto nominato offre una supervisione professionale: pur non avendo poteri decisori, può analizzare l’azienda, individuare sprechi, suggerire interventi (un po’ come un consulente neutrale). Questo può aiutare il debitore a vedere opzioni (es. trovare un investitore, cedere rami improduttivi, rinegoziare contratti onerosi) che da solo non avrebbe considerato.
Esempio nell’ambito clinico: supponiamo che il Dott. Rossi, con la sua clinica indebitata ma ancora operativa, non sia sicuro di riuscire a concludere accordi bilaterali con tutti i creditori e tema azioni esecutive a breve. Decide quindi di accedere alla composizione negoziata. Viene nominato un esperto, il quale analizza la situazione e constata che la clinica potrebbe risollevarsi se taglia alcuni costi e ottiene una dilazione lunga dal Fisco e dalle banche. Durante gli incontri, l’esperto mette attorno a un tavolo il rappresentante della banca, dell’Agenzia delle Entrate e alcuni fornitori maggiori: il Dott. Rossi propone un piano di rilancio a 5 anni, con l’ingresso di un socio finanziatore che apporta liquidità per €200.000, impegno a versare ai creditori il 50% dei crediti in 5 anni e a vendere un immobile non strumentale per fare cassa. Grazie alla regia dell’esperto, le parti trovano un accordo di massima: la banca è disponibile a non escutere immediatamente le sue garanzie e rinnovare gli affidamenti (moratoria del debito bancario), il Fisco attraverso l’istituto della transazione fiscale accetta di dilazionare l’IVA e rinunciare alle sanzioni, i fornitori accettano un pagamento parziale purché la clinica continui gli ordini per il futuro (così da recuperare fatturato). Si formalizza così un accordo stragiudiziale sottoscritto da tutti i principali creditori, magari nella forma di un contratto quadro o di più accordi bilaterali coordinati. L’esperto chiude la composizione negoziata attestando il raggiungimento di una soluzione concordata di risanamento. Il tribunale, su richiesta del debitore, può anche ratificare l’accordo ottenuto in CNC tramite un decreto di omologazione semplificata (anche se non è strettamente necessario se tutti sono d’accordo). In ogni caso, il risultato è che la clinica evita il fallimento, nessun creditore procede esecutivamente (perché l’accordo soddisfa tutti in misura accettabile) e l’attività può proseguire sotto i nuovi termini.
Se invece la CNC non porta ad alcun accordo – poniamo che i creditori siano troppo in disaccordo o che emergano nuovi debiti non sostenibili – il Dott. Rossi ha comunque guadagnato tempo protetto (grazie alle misure protettive) e ha potuto valutare meglio la situazione con l’aiuto dell’esperto. A quel punto, potrebbe decidere di ricorrere a un concordato preventivo (se imprenditore fallibile) o a un concordato minore (se non fallibile) per risolvere coattivamente la crisi, oppure, come ultima ipotesi, attivare la liquidazione giudiziale/controllata. Questo ci conduce alla parte successiva: le procedure concorsuali giudiziali, con particolare attenzione a quelle utili al debitore per ristrutturare o liquidare i debiti mantenendo in alcuni casi l’attività.
Procedure concorsuali per la ristrutturazione o l’uscita dal mercato
Quando le soluzioni negoziali non bastano – o si ritiene opportuno fin dall’inizio coinvolgere il tribunale per dare efficacia erga omnes al piano e sfruttare le protezioni di legge – il debitore può ricorrere alle procedure concorsuali previste dal CCII. Di seguito esamineremo: il concordato preventivo (nelle varianti in continuità e liquidatoria), le procedure di sovraindebitamento riservate ai debitori non fallibili (come il concordato minore e il piano del consumatore), e le procedure liquidatorie giudiziali e controllate, nonché il meccanismo dell’esdebitazione (liberazione dai debiti residui). L’obiettivo è comprendere come ciascuna procedura possa “difendere” il debitore: o salvando l’impresa ristrutturata, o quanto meno chiudendo la vicenda debitoria con la cancellazione delle obbligazioni insoddisfatte.
Concordato preventivo (imprese soggette a liquidazione giudiziale)
Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale di risanamento o liquidazione concordata per gli imprenditori commerciali non piccoli. È regolato dagli artt. 84-120 CCII. In parole semplici, il concordato è un accordo tra il debitore e i creditori che viene mediato e approvato dal tribunale: il debitore propone un piano (che può prevedere la continuazione dell’attività o la cessazione e liquidazione dei beni), i creditori votano su tale proposta e, se si raggiungono le maggioranze di legge, il tribunale omologa il concordato rendendolo vincolante per tutti. Durante il processo, l’impresa ottiene immediatamente una protezione (stay) dalle azioni esecutive dei creditori, potendo così portare avanti le trattative o l’attività senza subire pignoramenti. Vediamo i punti chiave, in particolare per come possono applicarsi a una clinica medica:
- Tipologie di concordato: il CCII distingue il concordato in continuità aziendale (art. 84, co. 1, dove l’attività prosegue sotto la gestione del debitore stesso o tramite cessione/affitto a terzi) dal concordato liquidatorio (art. 84, co. 4, in cui l’attività cessa e si liquidano i beni). La distinzione è importante perché le condizioni di ammissibilità differiscono: nel concordato liquidatorio puro la legge richiede obbligatoriamente un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% l’attivo disponibile per i creditori e un soddisfacimento minimo del 20% dei crediti chirografari (soglia ribadita dal correttivo 2022-24). Queste condizioni (note come “soddisfacimento minimo” del concordato liquidatorio) servono ad evitare che il debitore usi il concordato per liquidare l’impresa a spese dei creditori offrendo percentuali irrisorie. Invece, nel concordato in continuità tali soglie non si applicano, potendosi giustificare anche percentuali minori se l’impresa viene mantenuta in vita e produce utilità future per i creditori. Nel caso della nostra clinica, se il Dott. Rossi volesse chiudere la struttura e vendere i beni, dovrebbe presentare un concordato liquidatorio con almeno il 20% ai chirografari e magari trovare un contributo esterno (es. un terzo investitore che mette liquidità aggiuntiva pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidato). Se invece punta a continuare l’attività, potrebbe fare un concordato in continuità, anche indiretta (ad esempio cedendo la clinica a un altro operatore che la gestirà, ma garantendo la continuità del servizio ai pazienti e salvaguardando i posti di lavoro), e in tal caso concentrare le risorse sui creditori privilegiati senza dover rispettare la soglia del 20% per i chirografari – fermo restando il giudizio di convenienza del tribunale.
- Procedimento: il concordato inizia con una domanda al tribunale del luogo dove l’impresa ha il centro degli interessi (COMI), accompagnata dal piano, dalla proposta ai creditori e da una corposa documentazione (bilanci, elenco creditori, relazione di un attestatore indipendente sulla fattibilità del piano e sulla capacità di soddisfare i creditori in misura almeno pari alla liquidazione alternativa). Il tribunale, verificati i requisiti, ammette l’azienda alla procedura e nomina un commissario giudiziale, figura terza che vigilerà sull’attività del debitore durante la procedura e riferirà ai creditori e al giudice. Subito dalla presentazione della domanda (o dall’ammissione), scatta il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore (art. 54 CCII), e le eventuali procedure pendenti restano sospese. Questa protezione è fondamentale: è la “difesa” per eccellenza, che consente al debitore di respirare e fermare l’emorragia. Ad esempio, se un fornitore stava pignorando il conto corrente dello studio, il pignoramento viene bloccato e congelato. Allo stesso tempo, il debitore perde la libera gestione straordinaria: atti di particolare rilevanza (vendite di immobili, accensione di nuovi finanziamenti, pagamento di crediti anteriori, ecc.) devono essere autorizzati dal tribunale, su parere del commissario, per evitare dissipazioni. L’impresa tuttavia continua la gestione ordinaria (nel concordato in continuità, prosegue l’attività sotto la propria direzione, sebbene sotto supervisione). Nel concordato liquidatorio, invece, spesso l’attività cessa subito e ci si limita a custodire e vendere i beni.
- Votazione dei creditori: il commissario redige un’analisi (relazione ex art. 107 CCII) e convoca i creditori ad esprimersi sulla proposta di concordato. I creditori vengono divisi in classi se vi sono posizioni giuridiche differenziate (es: classi di chirografari diversi, classi di privilegiati degradati, ecc.). Il concordato preventivo richiede il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice in percentuale di credito); se vi sono classi, occorre anche che la maggioranza delle classi abbia votato a favore (ossia più della metà delle classi). I creditori privilegiati di solito non votano se il piano prevede di soddisfarli integralmente; votano invece se è proposta una qualche alterazione dei loro diritti (es: pagamento parziale del privilegio, o pagamento dilazionato oltre i limiti legali, ecc.). In un concordato di solito i privilegiati “sacrificati” e i chirografari votano. Ad esempio, la banca ipotecaria voterà se il piano prevede di pagarla meno del 100% del suo credito ipotecario. Il Fisco voterà se la transazione fiscale proposta prevede un taglio (ed è equiparato a un privilegiato degradato per la parte falcidiata). Ogni creditore esprime il suo voto (assenso o dissenso). Se la maggioranza è raggiunta, il tribunale passa alla fase di omologazione; se non è raggiunta, la procedura di regola viene dichiarata improcedibile e si aprirà la via alla liquidazione giudiziale.
- Omologazione e cram-down: se i creditori approvano, l’ultimo scoglio è l’omologazione giudiziale. In tale sede il tribunale verifica la legittimità del procedimento e la convenienza della proposta per eventuali classi dissenzienti. Può capitare infatti che una o più classi abbiano votato contro. La legge consente al tribunale di omologare ugualmente (cram-down delle classi dissenzienti) se ritiene che quei creditori dissenzienti non riceverebbero comunque di più nella liquidazione alternativa e che il piano li tratta in modo equo (nessuna violazione delle priorità se non giustificata). Un caso particolare riguarda di nuovo il Fisco/INPS: come già accennato, la riforma 2024 (art. 88 CCII modificato) consente al tribunale di omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’Erario e degli enti previdenziali, se è rispettata la condizione che la soddisfazione offerta a tali enti non sia deteriore rispetto a quella ottenibile in caso di liquidazione giudiziale. Inoltre, per evitare dibattiti, la norma specifica che se il voto di Fisco/INPS sarebbe decisivo per raggiungere la maggioranza delle classi, lo si può escludere dal computo per valutare il voto complessivo. Questa previsione ha risolto contrasti giurisprudenziali: prima, molti tribunali escludevano di poter cramdowndare il Fisco nei concordati, ora invece la legge dice esplicitamente che si può omologare anche senza adesione del Fisco, a patto che il piano sia migliorativo rispetto al fallimento. Non vengono però indicate soglie percentuali rigide come per gli accordi; è rimesso al giudice valutare caso per caso la “non deteriore” convenienza. Dunque nel concordato il debitore ha un po’ più di flessibilità per convincere il giudice anche con offerte modeste al Fisco, purché dimostri che in fallimento quell’ente non avrebbe nulla.
- Effetti per il debitore: con il decreto di omologazione, il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Questi sono obbligati a subire le riduzioni e le attese proposte e omologate; in cambio, le obbligazioni originarie vengono novate secondo i termini del concordato. Se il piano riesce, l’imprenditore uscirà dalla procedura con un carico debitorio ridotto a quanto previsto dal concordato e la restante parte dei debiti viene definitivamente cancellata (salvo sia diversamente pattuito per qualche creditore). Possiamo dire che il concordato, per il debitore, rappresenta un impegno gravoso (deve rispettare il piano sotto stretta vigilanza, altrimenti rischia la risoluzione) ma anche una via di uscita: se completato con successo, libera dal peso dei debiti residui. Nel caso del nostro studio, se ad esempio nel concordato in continuità fosse previsto il pagamento del 50% ai chirografari in 4 anni e il soddisfo integrale ma dilazionato dei privilegiati in 5 anni, una volta eseguiti quei pagamenti il Dott. Rossi si troverà con l’azienda salva e senza debiti residui (il 50% abbuonato non potrà più essere chiesto). Se invece non riesce a rispettare gli impegni del concordato, su segnalazione del commissario il tribunale potrà dichiarare la risoluzione del concordato e aprire la liquidazione giudiziale (il fallimento), con tutte le conseguenze del caso. Dunque va intrapreso solo con ragionevole certezza di poterlo onorare.
Concordato “in bianco” (con riserva): spesso il debitore, per guadagnare tempo e bloccare subito i creditori, può presentare una domanda di concordato senza allegare subito il piano dettagliato, ma chiedendo un termine (da 60 a 120 giorni) per depositarlo. Questa procedura, detta di concordato con riserva (o “prenotativo”), consente di ottenere immediatamente le protezioni di legge (stay dei creditori) mentre si perfeziona la proposta e si negozia con creditori e potenziali investitori. Il tribunale di norma nomina subito un commissario giudiziale e fissa le scadenze per il deposito del piano. È un mezzo per evitare che, nelle more della preparazione del piano, i creditori agiscano disordinatamente. Tuttavia, dev’essere usato in buona fede: la legge punisce eventuali abusi (ad esempio se il debitore in bianco compie atti non autorizzati o fa proposta inammissibile). Nel nostro scenario, se il Dott. Rossi vedesse imminente un’istanza di fallimento da parte di un creditore, potrebbe depositare un ricorso in bianco per concordato al solo scopo di ottenere subito la protezione e poi finalizzare il piano con calma. Questa pratica è comune e lecita, a patto che segua la presentazione di un piano serio entro i termini.
Concordato minore (per debitori non fallibili): merita di essere trattato qui, per analogia, il concordato minore previsto dal Capo dedicato al sovraindebitamento. Si tratta sostanzialmente di un concordato preventivo in miniatura riservato a piccoli imprenditori, professionisti e consumatori diversi dal consumatore puro (per il quale c’è il piano del consumatore). Funziona in modo simile: il debitore propone un piano ai creditori, c’è una votazione (qui la maggioranza richiesta è almeno il 60% dei crediti ammessi al voto, un po’ più alta che nel concordato ordinario), e il tribunale omologa se la maggioranza c’è e il piano è fattibile e conveniente. Non è richiesta la figura di un commissario giudiziale, ma c’è il Gestore della crisi nominato dall’OCC (Organismo di composizione della crisi) che svolge funzioni analoghe di controllo e ausilio. Il concordato minore non prevede la valutazione di “meritevolezza” del debitore (il legislatore ha espunto tale requisito: a differenza del piano del consumatore dove il giudice valuta il merito creditizio del debitore, qui conta solo la convenienza per i creditori). In pratica, un piccolo imprenditore può accedervi anche se ha commesso errori gestionali, purché la proposta sia vantaggiosa rispetto alla liquidazione. Nel concordato minore i creditori chirografari votano, i privilegiati come al solito se falcidiati. Si applicano in quanto compatibili molte norme del concordato preventivo. Una differenza è che il concordato minore può essere omologato anche senza voto favorevole dei creditori se i debiti sono sotto €50.000 e il debitore offre ai chirografari almeno il 10% (è una facilitazione per i casi semplici).
Per il nostro Dott. Rossi, se ad esempio fosse un professionista individuale con debiti €400.000, la via del concordato minore sarebbe quella corretta: predisporrebbe un piano, i creditori approverebbero col 60% e il tribunale omologherebbe. Tutti i vantaggi del concordato (stop ai pignoramenti, ecc.) si applicano anche qui, tramite il ricorso al giudice di pace e alle misure protettive. All’atto pratico, concordato minore e concordato preventivo ordinario sono concettualmente simili; la differenza sta nel fatto che il concordato minore è molto più semplificato (procedure meno formali, gestito dall’OCC) ed è l’unica opzione per chi non può fallire. Ad esempio, Cass. civ. 18609/2019 chiarì che un’associazione professionale di avvocati non poteva essere dichiarata fallita, quindi se indebitata doveva ricorrere alla L.3/2012 (oggi concordato minore).
Liquidazione giudiziale e liquidazione controllata
Se nonostante tutti gli strumenti di ristrutturazione l’impresa risulta non risanabile, resta la via della liquidazione del patrimonio con finalità distributiva verso i creditori. Questa è l’extrema ratio, che tuttavia – dal punto di vista del debitore – può avere un risvolto positivo nella possibilità di ottenere l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui dopo la liquidazione, per poter ripartire da zero.
- Liquidazione giudiziale: è la procedura concorsuale liquidatoria che ha preso il posto del “fallimento”. Si applica agli imprenditori commerciali assoggettabili (fallibili) ed è avviata su istanza di un creditore, del debitore stesso o del PM, in presenza di uno stato d’insolvenza accertato dal tribunale. Una volta aperta, comporta lo spossessamento dell’imprenditore dai suoi beni, che passano sotto gestione di un curatore nominato dal tribunale. Il curatore liquida attivamente tutti i cespiti (vende immobili, macchinari, incassa crediti) e predispone un piano di riparto per distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. La liquidazione giudiziale per il debitore è ovviamente l’evento meno desiderabile: si perde la disponibilità dei beni, l’attività viene in genere chiusa (salvo esercizio provvisorio disposto per breve tempo in casi eccezionali), i dipendenti vengono licenziati e la reputazione professionale è colpita. Tuttavia, a volte non c’è alternativa se manca qualunque prospettiva di accordo o di continuità. Nel caso di una clinica, significherebbe la chiusura della struttura, la vendita di apparecchiature, arredi, incasso dei crediti verso pazienti, ecc., per poi pagare prima banche ipotecarie, poi dipendenti e Fisco (fin dove bastano i beni) e infine quasi nulla ai fornitori. Terminata la liquidazione, la società verrebbe cancellata. Se il titolare avesse garanzie personali sui debiti, resterebbe esposto su quelle (e qui interviene l’esdebitazione eventualmente). La difesa del debitore in questo contesto sta solo nell’eventuale autoricorso a liquidazione giudiziale – quando si vuole anticipare i tempi per evitare peggioramenti – e nella collaborazione col curatore per massimizzare il ricavato (il che incide positivamente sul giudizio di meritevolezza per l’esdebitazione). Ricordiamo che la liquidazione giudiziale non si applica alle piccole imprese sotto soglia, ai professionisti e ai consumatori.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura liquidatoria analoga al fallimento ma riservata ai debitori non fallibili (disciplinata dagli artt. 268-277 CCII). Può accedervi il debitore sovraindebitato volontariamente (depositando ricorso) oppure può derivare dalla conversione di un concordato minore o piano del consumatore andati male. A differenza del vecchio fallimento, i creditori non possono da soli chiederla, salvo il caso di conversione di altra procedura: quindi un fornitore non può istigare direttamente la liquidazione controllata di un professionista, ma può solo sollecitare che, se questi propone un concordato minore e fallisce nell’attuarlo, si converta in liquidazione. La procedura prevede la nomina di un liquidatore (figura paragonabile al curatore) che liquida i beni del debitore sotto il controllo del giudice. Il patrimonio del debitore persona fisica include sia i beni professionali sia quelli personali (con i vari limiti di impignorabilità di legge). Per fare un esempio, se il Dott. Rossi fosse un professionista e avesse anche una casa di proprietà, in liquidazione controllata la casa potrebbe essere venduta a favore dei creditori, salvi i diritti impignorabili (per es. una parte di stipendio per il mantenimento, etc.). Effetti sul debitore persona fisica: durante la liquidazione controllata non c’è l’esdebitazione automatica, ma al termine (o anche dopo 3 anni dall’apertura) il debitore può ottenere l’esdebitazione dei debiti insoddisfatti. Effetti sull’attività: se l’attività professionale ha ancora senso, il liquidatore potrebbe continuare provvisoriamente l’esercizio per venderla meglio o cederne la clientela; ma tipicamente, in una liquidazione, lo studio professionale come tale cessa e si liquidano gli asset (magari vendendo macchinari o trasferendo contratti).
- Esdebitazione (liberazione dai debiti): Questo istituto merita particolare attenzione dal punto di vista del debitore persona fisica, perché rappresenta la vera ancora di salvezza post-liquidazione. Nel CCII è regolato dagli artt. 278-282 per le liquidazioni controllate e dagli artt. 283-284 per il debitore incapiente. In sintesi, se un debitore persona fisica (imprenditore individuale, professionista o consumatore) subisce una procedura di liquidazione (giudiziale o controllata) in cui il suo patrimonio viene liquidato a beneficio dei creditori, al termine di tale procedura può chiedere di essere “esdebitato”, ossia liberato da tutti i debiti residui non soddisfatti. Questo consente un fresh start, cioè la possibilità di ricominciare senza il fardello dei vecchi debiti. L’esdebitazione opera di diritto decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione controllata o al momento della chiusura, se successiva, purché il debitore abbia cooperato lealmente e non ci siano cause ostative (frode, bancarotta fraudolenta, condanne per reati fiscali gravi, ecc.). Ad esempio, se il Dott. Rossi persona fisica entra in liquidazione controllata nel 2025, nel 2028 potrebbe essere già dichiarato esdebitato (anche se la liquidazione non fosse ancora formalmente chiusa), liberandolo dai debiti rimasti insoddisfatti. Ciò ovviamente non vale per i debiti che per legge sono non cancellabili (come debiti per alimenti, obblighi di mantenimento, risarcimenti da fatto illecito con dolo, multe penali, etc.). Ma per la gran parte dei debiti civili e commerciali l’esdebitazione li estingue. Questa è una differenza importante rispetto alla vecchia legge fallimentare, dove l’esdebitazione era un beneficio discrezionale e dove occorrevano 5 anni. Oggi è molto più automatica e rapida, a patto di soddisfare le condizioni.
- Esdebitazione del debitore incapiente: c’è inoltre un meccanismo speciale per i casi di insolvibilità totale. Se una persona fisica sovraindebitata non ha alcun patrimonio liquidabile né redditi aggredibili – quindi non può nemmeno avviare una liquidazione controllata utile per i creditori – può chiedere ugualmente al tribunale di essere esdebitata (una tantum) senza pagamento di alcun importo ai creditori. Questa figura, introdotta anch’essa di recente, permette ai cosiddetti debitori incapienti di ottenere il fresh start pur non avendo nulla da distribuire, evitando di restare marchiati a vita dai debiti. È però concessa solo in situazioni particolari: il debitore deve aver agito con correttezza (non essere colpevole di aver aggravato la propria insolvenza con dolo o colpa grave, non aver commesso atti in frode) e l’insolvibilità dev’essere tale da non permettere nemmeno di pagare le spese di una procedura. Inoltre, se nei 4 anni successivi l’incapiente ottiene miglioramenti economici rilevanti (es. vincita alla lotteria, eredità), parte di essi deve essere destinata ai vecchi creditori, altrimenti l’esdebitazione può essere revocata. Questo istituto è una sorta di “grazia” per i casi umani disperati – come potrebbe essere un ex imprenditore rovinato che non possiede più nulla. Non si applicherà tipicamente al nostro chirurgo, se ha beni vendibili. Ma è indice della tendenza del legislatore a concedere una seconda chance anche a chi fallisce completamente, in un’ottica non più punitiva ma riabilitativa.
Difendersi attraverso la liquidazione controllata/esdebitazione: può sembrare paradossale parlare di “difesa” in riferimento al fallimento o alla liquidazione, che sono eventi traumatici. Eppure, in certe circostanze, richiedere volontariamente la liquidazione può essere la scelta migliore per il debitore. Se l’attività è irrimediabilmente compromessa e i debiti superano di molto il valore dei beni, trascinarsi può solo peggiorare la situazione (ad esempio, accumulando ulteriori debiti fiscali per interessi e sanzioni, o rischiando responsabilità penali per insolvenza prolungata). In tali casi, avviare una procedura liquidatoria consente di cristallizzare la situazione e arrivare, dopo qualche anno, all’esdebitazione. Dal punto di vista psicologico e sociale, è meglio chiudere e ripartire puliti dopo 3-4 anni, che restare impantanati nei debiti per decenni subendo pignoramenti a ripetizione. Questo soprattutto per le persone fisiche: un imprenditore fallito una volta esdebitato può tornare a fare impresa senza i vecchi debiti. Va detto che l’esdebitazione può essere negata in caso di dolo o colpa grave del debitore nell’aver causato il dissesto; quindi chi abbia dissipato risorse volutamente o tenuto contabilità irregolare rischia di non ottenerla. Ma per il debitore onesto, la legge oggi offre questa via d’uscita.
Nel contesto del nostro studio di chirurgia estetica: se tutti i tentativi di accordo o concordato fallissero e i debiti fossero insostenibili, il Dott. Rossi (a seconda della sua categoria) potrebbe presentare istanza di liquidazione giudiziale (se S.r.l. fallibile) o di liquidazione controllata (se professionista non fallibile). Collaborando con gli organi della procedura, massimizzerebbe il ricavato per i creditori (ad es. favorendo la vendita della clinica ad altri medici) e dopo la chiusura o dopo 3 anni chiederebbe l’esdebitazione, ottenendo così la cancellazione dei debiti residui. Potrebbe quindi, trascorso qualche tempo, riavviare eventualmente una nuova attività professionale senza l’eredità del passato. Certo, la perdita della prima clinica sarebbe un duro colpo, ma rispetto a essere perseguitato a vita dai creditori, potrebbe rivelarsi un male minore e soprattutto una soluzione ordinata e regolamentata.
Tabelle riepilogative
Per facilitare la comprensione e il confronto tra i vari strumenti illustrati, riportiamo di seguito due tabelle sintetiche. La Tabella 1 confronta le soluzioni di risanamento in termini di natura, requisiti e vantaggi per il debitore; la Tabella 2 riassume le procedure liquidatorie e l’istituto dell’esdebitazione dal punto di vista del debitore.
Tabella 1 – Confronto tra principali strumenti di risanamento dei debiti (per un’impresa come uno studio medico in crisi):
| Strumento | Natura | Chi può usarlo | Requisiti chiave | Vantaggi per il debitore | Svantaggi / limiti |
|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Extragiudiziale, volontario. Piano asseverato da un professionista indipendente, senza omologa. | Imprese di qualsiasi dimensione (incl. non fallibili). Utile se ampio consenso creditori. | Attestazione indipendente su veridicità dati e fattibilità; data certa al piano. Consenso individuale dei creditori coinvolti (non soglie di legge). | – Niente pubblicità né stigma.– Protezione da azioni revocatorie future.– Gestione completamente in proprio (no commissari). | – Non vincola i creditori non aderenti.– Nessun “automatic stay” generale (possibili azioni dai dissenzienti).– Richiede fiducia e adesione pressoché unanime. |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII) | Stragiudiziale con omologa giudiziale. Procedura “mista”. | Imprese commerciali (fallibili) e anche debitori non fallibili (con adattamenti). Molto usato da PMI e grandi imprese. | Adesione di ≥60% dei crediti; proposta omologata dal tribunale con attestazione. Possibile estensione ai non aderenti se pagati al 100%. | – Moratoria/protezioni durante iter (se richieste al giudice).– Transazione fiscale inclusa (taglio debiti fiscali).– Flessibilità nella struttura (no voto generale, accordi solo con chi firma). | – Serve consenso qualificato (non fattibile se opposizione ampia).– I creditori minoritari non firmatari vanno normalmente pagati per intero (per escluderli dall’accordo).– Procedura in tribunale (anche se meno complessa di concordato). |
| Accordi speciali (moratoria, efficacia estesa) | Stragiudiziale settoriale (tipicamente finanziario). | Imprese con debiti finanziari (banche). | ≥75% banche aderenti per vincolare tutte (art. 61 CCII). Moratorie: maggioranza banche per standstill (art. 62). | – Consente di superare veto di singole banche (se maggioranza concorda).– Evita immediato default contrattuale a catena. | – Applicabile solo a creditori finanziari omogenei.– Non risolve il problema di altri debiti (fisco, fornitori). |
| Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) | Procedura giudiziale di ristrutturazione preventiva (nuova). | Imprese sopra soglia (fallibili). Non per piccoli o consumatori. | Nessuna % fissa di adesioni, ma necessaria approvazione a maggioranza in ciascuna classe (o cram-down interclassi). Piano con classi e rispetto par conditio (salvo deroghe autorizzate). | – Non richiede il 60% di consensi globali (utile se accordo tradizionale non raggiungibile).– Forte flessibilità (possibile pagamento preferenziale di fornitori strategici autorizzato dal giudice).– Tempi potenzialmente rapidi (meno fasi di voto formale). | – Procedura innovativa, quindi prassi applicativa ancora in evoluzione (minore certezza sulle decisioni dei giudici).– Richiede comunque analisi sofisticata (classi di creditori, attestazione robusta).– Non accessibile a imprenditori minori/professionisti. |
| Composizione negoziata della crisi (CNC) | Procedimento extragiudiziale assistito, con eventuali misure protettive giudiziali. | Tutte le imprese, di qualunque dimensione, incluse le agricole. Debitore deve voler risanare. | Nomina esperto indipendente; durata variabile (max ~180+180 giorni). Piano eventualmente rivisto con aiuto esperto. Misure protettive con istanza al tribunale. | – Altamente confidenziale (non si pubblicizza l’adesione).– Consulenza gratuita o semi-gratuita dell’esperto per individuare soluzioni.– Sospensione dei debiti e stop ai pignoramenti possibile durante trattative.– Incentivi fiscali (sospensione termini, dilazioni 120 rate) se attivata. | – Non vincola i creditori: serve comunque la loro volontà di trovare un accordo (l’esperto non può imporre nulla).– Se nessun accordo, si passa a procedure concorsuali (ma esiste sbocco del concordato semplificato).– Non adatta a fini meramente liquidatori (rifiutata dai tribunali se usata solo per rinviare il fallimento). |
| Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) | Procedura concorsuale giudiziale completa, di regolazione della crisi. | Imprenditori commerciali non piccoli (fallibili). | Stato di crisi o insolvenza attuale. Piano con soddisfacimento ≥20% chirografari se liquidatorio puro (oltre ad apporto 10% attivo). Maggioranza voti creditori >50% (o 2/3 classi) a favore. | – Sospende automaticamente tutte le azioni esecutive e i pagamenti anteriori.– Possibilità di scioglimento o sospensione di contratti in corso sfavorevoli (con autorizzazione).– Può prevedere anche ristrutturazione profonda (taglio organico debiti, cessione rami d’azienda, ecc.) con forza di legge se omologato.– Liberazione dai debiti residui a fine procedura se eseguita integralmente (novazione obbligazioni). | – Procedura pubblica, lunga e costosa (intervento di commissario, spese giudiziali).– Necessita consenso di maggioranza creditori per riuscire (altrimenti porta a fallimento).– Richiede rispetto rigoroso di norme e priorità, poca flessibilità nel trattare creditori di pari grado in modo differenziato (salvo classi motivate).– Se in continuità: controllo della gestione aziendale da parte del commissario e tribunale (meno autonomia). |
| Concordato minore (sovraindebitamento) | Procedura concorsuale semplificata (presso Tribunale, con ausilio OCC). | Debitori non fallibili sovraindebitati (piccole imprese, professionisti, start-up, consumatori imprenditori). | Stato di crisi o insolvenza. Proposta con soddisfacimento migliore di liquidazione. Voto creditori ≥60% crediti chirografari. | – Protezione dalle azioni esecutive simile al concordato preventivo (stay con provvedimento tribunale).– Maggioranze richieste più basse (60%) rispetto a concordato preventivo se molti privilegiati sono esclusi dal voto.– Procedura meno onerosa (gestore nominato dall’OCC, non necessariamente commissario “giudiziale”).– Nessun esame di meritevolezza richiesto (salvo comportamenti fraudolenti). | – Rivolto a soggetti spesso con patrimonio personale in gioco (imprenditore individuale risponde con tutti i beni).– Richiede comunque un voto dei creditori, se fallisce si va in liquidazione controllata.– Meno strumenti “potenti” di ristrutturazione rispetto al concordato grande (es: transazione fiscale sì, ma es. niente cram-down classi perché in genere classi non previste se non necessario). |
Tabella 2 – Procedure liquidatorie e liberatorie (fresh start):
| Procedura / Istituto | Chi riguarda | Come funziona | Effetti per il debitore | Tempistiche tipiche |
|---|---|---|---|---|
| Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Imprese commerciali fallibili insolventi. | Apertura con sentenza tribunale su istanza (creditore, debitore o PM). Nomina curatore, spossessamento beni, liquidazione attivo e riparto ai creditori secondo prelazioni. | – Impresa cessata o esercizio provvisorio breve.– Titolari/soci perdono disponibilità dei beni dell’impresa; possibile azione di responsabilità contro amministratori se insolvenza causata da mala gestio.– Debitore civile (persona fisica) può essere soggetto a limitazioni (es: interdizione temporanea da attività d’impresa). | Durata media 5 anni circa (a seconda complessità). Debitore persona fisica può chiedere esdebitazione dopo chiusura o 3 anni. |
| Liquidazione controllata del sovraindebitato | Debitori non fallibili insolventi (piccole imprese, professionisti, consumatori). Avviabile su istanza del debitore o per conversione procedura minore non riuscita. | Tribunale nomina un liquidatore (di norma il Gestore OCC). Il debitore consegna i beni; il liquidatore vende e distribuisce. Simile al fallimento ma in forma semplificata. | – Per il debitore persona fisica: messa a disposizione anche di parte di redditi futuri eccedenti il minimo vitale, ma con diritto all’esdebitazione di diritto a fine procedura.– Meno stigma sociale rispetto al fallimento (era già concepita come procedura “di sollievo” ex L.3/2012). | Durata variabile (spesso 3-4 anni). Esdebitazione automatica decorsi 3 anni dall’apertura (anche se procedura non conclusa, il giudice dichiara esdebitato il debitore onesto). |
| Concordato semplificato (post-CNC) | Debitore (anche fallibile) la cui CNC è fallita, in stato di insolvenza. | Il debitore propone, entro 60 giorni dalla chiusura infruttuosa CNC, un piano di liquidazione dei beni ai creditori, senza classi né voto. Il tribunale, sentiti i creditori, può omologare se: piano soddisfa meglio del fallimento e sono rispettati requisiti di legge (≥20% ai chirografari). | – Liquidazione ordinata ma senza il peso del voto: utile se c’è accordo su vendita beni ma i creditori non avrebbero votato sì.– Debitore consegna beni e l’attivo è liquidato da un ausiliario/curatore nominato ad hoc.– Possibile esdebitazione dopo (essendo sostanzialmente una liquidazione concorsuale). | Tempi brevi per presentare piano (2 mesi post-CNC). Realizzo beni dipende dal piano (può prevedere vendite immediate già individuate). |
| Esdebitazione post-liquidazione | Persona fisica già soggetta a liquidazione (giudiziale o controllata). | Su istanza del debitore (o d’ufficio per liquid. controllata), il tribunale emette decreto che cancella i debiti residui non soddisfatti, se il debitore ha cooperato e non ci sono ragioni ostative. | – Debiti civilistici residui stralciati (il debitore diviene libero).– Restano comunque obblighi per debiti non esdebitabili ex lege (es. alimenti, multe penali).– Se emergono attivi non noti entro 4 anni dall’esdebitazione, possono essere distribuiti comunque ai vecchi creditori (ma debitore rimane liberato). | Esdebitazione immediata a chiusura procedura oppure dopo 3 anni dall’apertura (liquidazione controllata). |
| Esdebitazione del debitore incapiente (“fresh start” puro) | Persona fisica sovraindebitata senza beni né redditi (incapiente totale). Anche consumatore. | Debitore chiede direttamente al tribunale l’esdebitazione senza liquidazione, provando la propria insolvenza totale e la meritevolezza (cause indipendenti dalla sua volontà). Creditore e OCC sentiti. Se concessa, debiti cancellati subito. Se entro 4 anni il debitore ottiene utilità rilevanti (redditi, eredità), deve pagare comunque i vecchi creditori nella misura decisa dal giudice. | – Consente una “pulizia” dei debiti anche a chi non ha nulla da dare, in casi eccezionali di sventura economica.– Il debitore ottiene sollievo immediato, senza subire procedure lunghe. | Istanze ammesse con molto rigore: preclusa se l’insolvenza deriva da comportamento fraudolento o se il debitore ha già beneficiato di esdebitazione negli ultimi 10 anni, ecc.. Raro nella prassi, ultima spiaggia umanitaria. |
(Legenda: OCC = Organismo di Composizione della Crisi; CNC = composizione negoziata della crisi; PM = Pubblico Ministero.)
Dalle tabelle emerge che il debitore (in particolare persona fisica) ha oggi a disposizione un ventaglio di strumenti che, se ben utilizzati, permettono di mitigare drasticamente gli effetti della crisi. L’obiettivo primario è sempre cercare il risanamento (tramite accordi o concordati) per preservare il valore economico e i posti di lavoro. Se ciò non è possibile, le procedure liquidatorie moderne puntano comunque a chiudere la vicenda debitoria in tempi certi e con la prospettiva di liberare l’ex imprenditore dai debiti, evitandogli la cosiddetta “morte civile”.
Domande frequenti (FAQ)
D: Il mio studio medico ha debiti fiscali molto alti e temo l’Agenzia delle Entrate non accetti stralci: posso fare qualcosa lo stesso?
R: Sì. La presenza di debiti fiscali ingenti rende più difficile qualsiasi piano, ma non preclude le soluzioni. In primo luogo, puoi proporre una transazione fiscale all’interno di un concordato o accordo: lo Stato potrebbe accettare, per convenienza, di ridurre sanzioni e interessi e diluire l’IVA o altre imposte. Se l’Agenzia rifiuta formalmente, la legge consente comunque al tribunale di omologare forzosamente la ristrutturazione a certe condizioni (in un accordo serve offrire almeno il 30-40%, in un concordato è sufficiente dimostrare che il Fisco ottiene quanto o più di un fallimento). Dunque non sei in balìa totale del veto del Fisco. Tieni però presente che il piano dovrà essere particolarmente rigoroso e convincente: le soglie (30-40%) sono obbligatorie negli accordi, e in ogni caso giudici e commissari valuteranno attentamente che il sacrificio imposto all’Erario sia giustificato. Un consiglio è coinvolgere l’Erario già in fase di composizione negoziata: spesso l’Agenzia delle Entrate non “aderisce” formalmente ma fornisce indicazioni su ciò che potrebbe accettare in sede di omologa. In sintesi, i debiti fiscali elevati sono gestibili tramite transazione fiscale e, se necessario, cram-down: assicurati di rispettare i requisiti di legge e di documentare che il concordato/accordo è più vantaggioso per il Fisco rispetto alla liquidazione.
D: I miei fornitori stanno perdendo la pazienza e minacciano azioni legali immediate. Come posso guadagnare tempo per organizzare un piano senza che mi pignorino i conti o le apparecchiature?
R: Hai diverse opzioni per ottenere una tregua legale. Una delle più rapide è depositare un’istanza di composizione negoziata chiedendo contestualmente al tribunale le misure protettive (art. 18 CCII): otterrai un decreto che vieta ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni per la durata della trattativa. In alternativa, se sei già orientato a un concordato, puoi presentare un ricorso “in bianco” per concordato preventivo: da quel momento e per il periodo concesso per presentare il piano, i creditori non potranno procedere a pignoramenti o sequestri. Entrambe le soluzioni congelano temporaneamente la situazione. La differenza: la CNC mantiene riservatezza e flessibilità (puoi trattare senza la pubblicità di una procedura concorsuale aperta), mentre il concordato in bianco è un atto formale pubblico ma ti dà comunque respiro. Valuta anche la possibilità di chiedere accordi di standstill ai fornitori più disponibili: magari una lettera d’intenti in cui accettano di attendere 60-90 giorni in vista di una proposta di ristrutturazione. Ma se la minaccia è concreta e incombente, lo strumento più forte è sicuramente la protezione legale derivante da una procedura: CNC con misure protettive oppure domanda di concordato. Entrambe richiedono di dimostrare al giudice che c’è un piano in cantiere; assicurati quindi di avere almeno abbozzato un’idea di soluzione e aver raccolto documenti finanziari per convincere il tribunale dell’utilità di bloccare i creditori (ad es. nella CNC devi allegare una relazione sulle cause della crisi e sulle prospettive di recupero).
D: Se avvio una procedura di concordato o accordo, rischio ripercussioni sulla mia reputazione o addirittura conseguenze penali?
R: Avviare una procedura concorsuale non è reato né implica ammissione di colpa; anzi, oggi è visto come un comportamento virtuoso se finalizzato a gestire la crisi. Dal lato penale, il CCII e norme correlate hanno previsto varie esenzioni per chi adotta strumenti di risanamento: ad esempio, gli atti compiuti in un piano attestato o in un concordato non integrano il reato di bancarotta preferenziale (pagare un fornitore durante un piano attestato poi saltato non ti verrà contestato se il piano era idoneo). Anche il nuovo Codice ha depenalizzato molte condotte se avvengono “in esecuzione di un concordato preventivo omologato”. Certo, rimane punibile la frode: se presenti documenti falsi o dissipi beni durante la procedura, incorrerai in reati di bancarotta. Ma seguendo le regole, non avrai guai penali per il solo fatto di tentare un concordato o un accordo. Quanto alla reputazione, purtroppo l’apertura di una procedura di concordato è pubblica (viene iscritta al Registro Imprese) e può destare preoccupazione in clienti e partner. Tuttavia, meglio un concordato proattivo che un fallimento subito passivamente: potrai comunicare che stai ristrutturando l’azienda in modo controllato e tutelato dalla legge, il che agli occhi dei più informati è indice di serietà nel voler pagare i debiti (per quanto possibile). Peraltro, la reputazione medica in sé dipende più dalla qualità del tuo operato clinico che dalla situazione finanziaria; molti pazienti nemmeno verranno a sapere del concordato. In alternativa, se questo è un grande timore, valuta il piano attestato o la CNC, che sono riservati: i terzi non ne vengono a conoscenza e potresti risolvere tutto dietro le quinte. Ricorda però: meglio un po’ di pubblicità negativa temporanea che perdere l’intera attività per aver aspettato troppo.
D: Ho garantito personalmente con beni miei (es. casa) i debiti della clinica. Se faccio un concordato per la S.r.l., la mia casa è al sicuro o no?
R: La protezione della procedura concorsuale si estende solo ai beni del soggetto che presenta la domanda. Se la clinica è una S.r.l. che accede a concordato, la moratoria delle azioni esecutive riguarda i creditori verso la S.r.l., non verso di te personalmente (fideiussore o garante). Quindi un creditore (es. la banca) potrebbe teoricamente agire sulla tua casa, se tu hai dato ipoteca o garanzia, anche mentre la società è in concordato. Tuttavia, in pratica i tribunali spesso estendono gli effetti protettivi anche ai garanti, laddove funzionale al buon esito del concordato. Ad esempio, concedono un provvedimento che sospende temporaneamente le azioni anche verso i fideiussori, specie se questi sono i soci garantenti. Ciò per evitare che, escutendo il garante, il gioco delle rivalse crei confusione durante la procedura. Non è un diritto automatico, ma puoi chiedere al giudice del concordato un’estensione delle misure protettive ai tuoi beni personali, motivando che serve per garantire la par condicio (in alcuni concordati recenti è stato concesso). In ogni caso, se il concordato va a buon fine e la banca ottiene soddisfazione parziale dall’azienda, potrebbe rinunciare a colpire i garanti per la parte falcidiata. Diverso se poi la procedura dovesse trasformarsi in liquidazione: allora il creditore insoddisfatto tornerà certamente a rivalersi su di te. In estrema sintesi: la tua casa da garante non è automaticamente protetta dal concordato della società, ma puoi tentare di includerla nelle protezioni con un’istanza mirata, e comunque trattare con i creditori per un accordo che liberi anche le garanzie personali (spesso si fa: il garante magari paga una percentuale extra a saldo e stralcio per liberare l’ipoteca sulla casa). Se invece la procedura riguarda te persona fisica (es. concordato minore o liquidazione controllata in proprio), allora sì, la tua casa rientra nei beni trattati e protetti: non potrà essere pignorata al di fuori della procedura, ma eventualmente verrà gestita all’interno di essa (venduta o messa a garanzia del piano).
D: Non riesco proprio a pagare nulla ai creditori, la mia attività ormai non produce reddito. Posso sperare in una cancellazione dei debiti anche se non verso nulla?
R: Sì, esiste l’istituto che fa per te: l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII). Se sei totalmente privo di beni pignorabili e di capacità di reddito (ad esempio hai chiuso lo studio, non hai immobili né risparmi, e il tuo reddito attuale basta a malapena per vivere), puoi chiedere al tribunale di cancellare tutti i tuoi debiti senza aprire alcuna procedura di liquidazione, proprio perché non ci sarebbe nulla da liquidare. È una sorta di “fallimento personale senza attivo”. Il tribunale valuterà con rigore la tua posizione: dovrai dimostrare di essere meritevole, cioè che sei insolvente per cause sfortunate e non per frode o mala gestione volontaria, e che davvero non possiedi nulla (vengono controllati anche trasferimenti passati, per evitare furbetti che hanno nascosto i beni). Se soddisfi i requisiti, il giudice emetterà un decreto di esdebitazione che ti libera dai debiti pregressi. Attenzione: nei prossimi 4 anni tu avrai l’obbligo di comunicare al tribunale se ricevi nuove disponibilità (eredità, vincite, un aumento di reddito significativo) e in tal caso dovrai pagare i creditori con quanto ottenuto, altrimenti l’esdebitazione può essere revocata. In altre parole è come dire: ti cancello i debiti oggi, perché non puoi pagare nulla, ma se entro 4 anni ti arriva un colpo di fortuna, non è giusto che tu ti arricchisca mentre i creditori hanno avuto zero. Trascorsi i 4 anni, anche se ti arricchisci dopo, i vecchi creditori non potranno più tornare alla carica. Questo istituto, introdotto di recente, è poco conosciuto ma molto potente, pensato per dare una seconda opportunità alle persone sovraindebitate che non hanno proprio mezzi. Nel tuo caso, se davvero non hai più un’attività né beni, vale la pena tentare questa via. È necessario rivolgersi a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che ti assista nella predisposizione della domanda. Ricorda: è utilizzabile una sola volta nella vita e non funziona se in passato hai già avuto procedure concorsuali andate a vuoto per tua colpa. Ma se sei “pulito” e semplicemente sfortunato, il fresh start puro è lo strumento giusto e ti difende dai creditori in modo definitivo.
D: Qual è la strategia migliore da seguire per il titolare di uno studio con debiti?
R: Non esiste una risposta unica: dipende dalla situazione concreta e dal livello di sostenibilità del debito rispetto all’attività. Possiamo però delineare un percorso logico: inizialmente, prova una soluzione stragiudiziale se i rapporti coi creditori sono ancora aperti al dialogo – ad esempio un piano attestato se pensi di poterli pagare almeno in parte con la continuazione del lavoro. Questo ti consente rapidità e riservatezza. Se i debiti sono troppi o qualcuno è irriducibile, non esitare ad attivare una composizione negoziata: avrai un esperto al tuo fianco e tempo protetto per trovare investitori o accordi. Molti imprenditori hanno salvato l’azienda grazie alla CNC, ottenendo ad esempio nuova finanza bancaria perché l’esperto ha redatto un piano convincente. Se anche con la CNC non arrivi a soluzione, valuta un accordo di ristrutturazione o direttamente un concordato preventivo in continuità: questi richiedono di passare dal tribunale ma possono imporre la ristrutturazione ai dissenzienti e azzerare i debiti residui a fine procedura. Nella scelta incide anche la natura giuridica: se sei un professionista (non soggetto a fallimento), il tuo ventaglio include il concordato minore e non il concordato preventivo; se sei società fallibile, hai tutte le opzioni. In ogni caso, non aspettare troppo: prima agisci, più strumenti potrai utilizzare. Se invece lasci incancrenire la situazione fino all’insolvenza conclamata con azioni esecutive ovunque, rischi di dover subire la liquidazione giudiziale. Tieni anche a mente i costi: un piano attestato o una CNC costano meno di un concordato (che richiede spese di procedura, notaio, commissario, ecc.). Quindi, finché è plausibile, tenta le soluzioni negoziali low cost; se non vanno, passa a quelle giudiziali. Infine, sul piano personale, prepara sempre un “piano B”: se il salvataggio dell’attività risulta impossibile, organizzati per attivare la liquidazione controllata e ottenere l’esdebitazione, così da tutelare almeno il tuo futuro (ad es. salvaguardare la pensione, etc.). La strategia migliore è dunque flessibile e tempestiva: partire morbido (accordi), intensificare la difesa con strumenti protettivi (CNC) e se serve andare fino in fondo con concordato o altre procedure. Sempre con l’obiettivo parallelo di ridurre il debito e preservare il valore dell’attività, anche fosse attraverso la cessione a terzi.
Conclusioni
Affrontare una situazione di sovraindebitamento per un’attività professionale come uno studio medico è senza dubbio impegnativo, ma la legislazione attuale fornisce molti strumenti di difesa e di risanamento al debitore. Il punto di vista del debitore oggi è tutelato più che in passato: si favorisce chi, con correttezza e trasparenza, prende l’iniziativa per ristrutturare il debito e salvare l’impresa. D’altro canto, chi rimane inerte rischia di subire le azioni dei creditori senza appello.
Dal piano attestato (soluzione discreta per evitare il tribunale) all’accordo di ristrutturazione (che coinvolge il giudice solo per dare forza all’intesa), dalla composizione negoziata (negoziazione assistita protetta) al concordato preventivo (procedura completa per ristrutturare con o senza continuità), fino alle procedure di sovraindebitamento e alla liquidazione controllata con eventuale esdebitazione – ogni strumento ha i suoi pro e contro. Il denominatore comune è la necessità di una analisi attenta della situazione economico-finanziaria e di una pianificazione delle mosse, preferibilmente con l’ausilio di professionisti esperti (avvocati d’affari, commercialisti specializzati in crisi d’impresa).
Per il Dott. Rossi del nostro esempio, “difendersi” dai debiti significa in ultima analisi scegliere la strada che massimizza il valore residuo della sua clinica e minimizza l’impatto su di lui e sugli stakeholder (pazienti, dipendenti, fornitori). Se la clinica ha ancora una chance, vanno percorsi i sentieri del risanamento negoziato o giudiziale, magari sacrificando una parte di debito ma mantenendo in vita l’attività (con beneficio suo e della collettività). Se invece la clinica non è più sostenibile, allora la miglior difesa diventa una ritirata ordinata: procedura liquidatoria e poi esdebitazione, per evitare la “persecuzione” perpetua dei creditori. In ogni fase, la legge offre protezioni: dalle misure protettive immediate fino alla “pulizia” finale dei debiti.
In conclusione, uno studio di chirurgia estetica con debiti ha diverse opzioni per difendersi efficacemente: la chiave è agire per tempo, con gli strumenti adeguati, e – come recita il Codice della Crisi – “affrontare le difficoltà prima possibile, perché maggiori saranno le chance di risanamento”.
Fonti e riferimenti (luglio 2025)
Normativa:
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, aggiornato con D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024. In particolare: artt. 56 (Piani attestati di risanamento), 57-64 (Accordi di ristrutturazione e varianti, incluso PRO), 84-120 (Concordato preventivo e concordato semplificato), 12-25-sexies (Composizione negoziata della crisi), 268-277 (Liquidazione controllata del sovraindebitato), 278-282 (Esdebitazione a seguito di liquidazione), 283-284 (Esdebitazione del debitore incapiente), 88 (Transazione fiscale nel concordato), 18-20 (Misure protettive nella composizione negoziata), 25-bis (Incentivi fiscali per composizione negoziata).
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – Normativa previgente in parte abrogata. Rilevante per riferimento storico: art. 67, co.3, lett. d) (esenzione revocatoria per piano attestato) e art. 217-bis (esenzione penale in piani e concordati).
- D.L. 27/2020 (Conv. L. 40/2020) e D.L. 118/2021 (Conv. L. 147/2021) – Interventi emergenziali e di riforma: il primo ha differito l’entrata in vigore del CCII e introdotto misure temporanee; il secondo ha istituito la Composizione Negoziata e il Concordato semplificato, anticipando parte della direttiva UE 2019/1023.
- Direttiva UE 2019/1023 – Insolvency Directive (ristrutturazioni preventive ed esdebitazione). Recepita in Italia col D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024. Ha ispirato l’introduzione del PRO e l’omologazione forzosa multi-classe.
- Codice Civile – Artt. 2740 (responsabilità patrimoniale), 2901 (azione revocatoria ordinaria), 2560 (cessione d’azienda e debiti), 2112 (tutela dei lavoratori in cessione d’azienda). Utili per capire effetti speciali di vendite in concordato/PRO.
- Leggi speciali tributarie – Art. 88, co.4-ter TUIR (D.P.R. 917/1986): sopravvenienze attive da riduzione concordataria di debiti non imponibili. Art. 3, D.L. 125/2020 conv. L. 159/2020: prima previsione cram-down fiscale poi evoluta.
Giurisprudenza:
- Cassazione Civile, Sez. I, 24 gennaio 2023 n. 2176 – Ha stabilito che le esenzioni da revocatoria fallimentare del piano attestato (art. 67 L.F.) si applicano anche alla revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., pure se esercitata dal curatore. Conferma tutela ampia per atti in esecuzione del piano.
- Cassazione Civile, Sez. I, 25 marzo 2022 n. 9743 – Ha affermato che l’esenzione da revocatoria per il piano attestato richiede la concreta idoneità del piano al risanamento, valutabile dal giudice nei limiti della manifesta inettitudine. Se il piano è manifestamente inadeguato, gli atti compiuti possono essere revocati. (Principio ribadito poi da Cass. 6508/2023).
- Cassazione Civile, Sez. I, 14 novembre 2017 n. 26926 – In tema di soglia di fallibilità: ha interpretato il limite dei €30.000 di debiti scaduti (art. 15 L.F., ora art. 49 CCII) come riferito all’insieme dei debiti scaduti e non pagati emersi, e non al singolo debito del creditore istante. Questa pronuncia chiarisce la portata dell’esonero dalle procedure per insolvenze di importo modesto.
- Tribunale di Bologna, decreto 2 maggio 2025 (Composizione negoziata) – Ha negato la conferma delle misure protettive e dichiarato inammissibile l’accesso alla CNC per un’impresa che sin dall’inizio prospettava un piano puramente liquidatorio senza risanamento. Motivazione: la CNC è riservata a finalità di risanamento in continuità, altrimenti si eludono i requisiti del concordato preventivo liquidatorio e semplificato.
- Tribunale di Roma, decreto 9 maggio 2023 – (Richiamato in dottrina) Ha evidenziato che l’omologazione forzosa della transazione fiscale va contemperata con il rispetto di soglie minime di soddisfacimento introdotte nel 2023, sottolineando che non basta offrire al Fisco “il meglio del fallimento” se non si raggiunge almeno il 30-40% previsto dalla legge.
- Tribunale di Bologna, 23 dicembre 2024 (Concordato minore) – Ha ritenuto ammissibile un concordato minore che prevedeva il pagamento dei creditori solo con finanza esterna dei soci, senza utilizzo dell’attivo preesistente. Ciò conferma la flessibilità del concordato minore nel prevedere apporti esterni e la possibilità di soddisfare i creditori anche solo con risorse nuove (fresh money).
- Tribunale di Napoli, 22 novembre 2024 (Sovraindebitamento) – In materia di debiti misti professionali/consumo, ha ammesso un piano del consumatore includendo anche debiti d’impresa di modesta entità, purché prevalessero quelli personali. Ciò mostra un orientamento estensivo nel permettere al debitore persona fisica di scegliere lo strumento più adatto in base alla prevalenza delle obbligazioni.
- Cassazione Civile, Sez. I, 5 luglio 2016 n. 13719 – (storico, ante CCII) Enunciò il principio per cui il giudice, nel valutare l’esenzione da revocatoria del piano attestato, deve compiere un controllo ex ante sulla ragionevole attuabilità del piano, segnalando che un piano “manifestamente inetto” non può beneficiare dell’esenzione.
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Conclusione
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