Sei una RSA con debiti e la situazione finanziaria sta diventando insostenibile?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da fornitori, banche o finanziarie e temi ripercussioni sulla continuità operativa della struttura? In questi casi è fondamentale conoscere i tuoi diritti, capire come difenderti legalmente e sapere quali strumenti utilizzare per proteggere il patrimonio, l’attività e i posti di lavoro.
Quando una RSA può trovarsi con debiti
– Quando ha acceso finanziamenti o leasing per ristrutturazioni, ampliamenti o acquisti di attrezzature e non riesce più a sostenere le rate
– Quando ha accumulato debiti verso fornitori per beni e servizi essenziali
– Quando ha arretrati fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate o INPS
– Quando si trova a dover gestire imprevisti costosi come contenziosi legali, interventi urgenti o cali improvvisi di entrate
– Quando le spese di gestione aumentano più rapidamente delle entrate, ad esempio per il rincaro dell’energia o dei costi del personale
Cosa può succedere a una RSA con debiti
– Pignoramento dei conti correnti aziendali, con blocco delle operazioni e difficoltà a pagare dipendenti e fornitori
– Pignoramento presso terzi dei crediti vantati verso enti pubblici o privati
– Iscrizioni ipotecarie su immobili della struttura
– Segnalazione come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie, con impossibilità di ottenere nuova liquidità
– Pressione psicologica e organizzativa sulla direzione e sul personale
– Nei casi più gravi, rischio di chiusura o commissariamento della struttura
Cosa può fare una RSA per difendersi dai debiti
– Far verificare da un avvocato la legittimità dei debiti e valutare se vi sono posizioni prescritte o contestabili
– Per le cartelle esattoriali, esaminare opzioni come rateizzazione, rottamazione o saldo e stralcio
– In caso di forte indebitamento, valutare la procedura di composizione negoziata della crisi o altri strumenti di risanamento previsti dalla legge
– Negoziare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per ridurre interessi e more
– Proteggere il patrimonio aziendale e immobiliare con strumenti giuridici legittimi
– Bloccare o sospendere azioni esecutive quando vi siano i presupposti legali
Cosa può ottenere una RSA con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione del debito complessivo tramite accordi o procedure giudiziarie
– La tutela degli immobili e del patrimonio aziendale
– La possibilità di ristrutturare i debiti e ripristinare la liquidità
– Il mantenimento della continuità aziendale e dei posti di lavoro
– Il recupero della serenità gestionale e la salvaguardia della reputazione
Attenzione: anche una struttura sanitaria o assistenziale non è immune dalle azioni dei creditori, ma può accedere a strumenti di difesa molto efficaci per proteggere la propria operatività. Agire tempestivamente è essenziale per evitare il peggioramento della crisi e salvaguardare il futuro della RSA.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, tutela delle strutture sanitarie e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se la tua RSA ha debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.
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Introduzione
Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) svolgono un ruolo cruciale nell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, ma possono diventare terreno di complesse problematiche giuridiche legate ai debiti. Da un lato vi sono le famiglie e i pazienti che si trovano a dover pagare rette mensili spesso molto elevate; dall’altro ci sono le strutture RSA stesse, che possono trovarsi in difficoltà economica, gravate da debiti verso fornitori, dipendenti o l’erario. Recenti sentenze e riforme normative – aggiornate a luglio 2025 – hanno profondamente cambiato lo scenario: la Corte di Cassazione ha sancito importanti principi sulla gratuità delle rette in determinate condizioni, aprendo la strada a rimborsi significativi per le famiglie. Al contempo, la crisi finanziaria di molte RSA, acuita dalla mancanza di fondi pubblici compensativi, rischia di tradursi in insolvenze e chiusure di strutture assistenziali.
In questa guida avanzata affronteremo in dettaglio come difendersi dal punto di vista del debitore – sia esso un privato cittadino, un imprenditore gestore di una RSA o un professionista coinvolto – di fronte ai debiti legati alle RSA. Utilizzeremo un linguaggio tecnico-giuridico ma con taglio divulgativo, adatto sia agli avvocati sia ai privati e imprenditori interessati. Verranno fornite fonti normative italiane aggiornate, commentate alla luce della giurisprudenza più recente (inclusa la più autorevole, come la Cassazione), con esempi pratici e domande e risposte frequenti. Troverete inoltre tabelle riepilogative per sintetizzare i punti chiave e simulazioni pratiche basate su casi reali italiani, per comprendere l’applicazione concreta delle norme. L’obiettivo è offrire un quadro completo delle strategie di difesa: dagli strumenti per evitare il pignoramento e proteggere il patrimonio personale, alle procedure di ristrutturazione del debito e di esdebitazione (cancellazione dei debiti residui).
Nota: Questa guida considera esclusivamente i profili civilistici e tributari del problema (non verranno trattate eventuali implicazioni penali). Le informazioni sono allineate alla normativa vigente e alle sentenze pubblicate fino a luglio 2025, includendo le importanti novità del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e delle ultime pronunce giudiziali sulle RSA.
Quadro normativo di riferimento (aggiornato a Luglio 2025)
Per affrontare le problematiche di “RSA con debiti” è essenziale inquadrare le principali norme coinvolte nel nostro ordinamento:
- Assistenza sociosanitaria e ripartizione dei costi: la disciplina delle RSA si basa su una normativa composita. Il D.lgs. 502/1992 (riforma sanitaria) e il D.lgs. 229/1999 demandano alle Regioni l’organizzazione delle prestazioni sociosanitarie a rilevanza sanitaria, integrate con quelle sociali. Un atto fondamentale è il D.P.C.M. 14 febbraio 2001 (c.d. “decreto sui LEA” – Livelli Essenziali di Assistenza, aggiornato poi col D.P.C.M. 12 gennaio 2017), che distingue le prestazioni sanitarie, sociosanitarie ad elevata integrazione, e sociali. In particolare, l’art. 3 di quel DPCM stabilisce che quando le prestazioni socio-assistenziali sono inscindibilmente necessarie a quelle sanitarie, i relativi costi sono totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). La legge 328/2000 sul sistema integrato di interventi sociali attribuisce ai Comuni l’obbligo di farsi carico dell’integrazione delle rette solo per la parte socio-assistenziale, nei limiti delle risorse e valutando l’ISEE dell’utente. Importante anche l’art. 433 c.c. e seguenti, che sanciscono l’obbligo alimentare dei familiari (figli, coniugi, etc.) verso i congiunti in stato di bisogno, principio che talvolta viene invocato per il recupero delle spese di ricovero.
- Obblighi di pagamento delle rette RSA: la normativa secondaria regionale e gli accordi con le RSA definiscono in ogni territorio la quota di retta a carico del paziente (o della sua famiglia) e la quota a carico del sistema pubblico. In genere, le prestazioni sanitarie (es. cure mediche, infermieristiche) sono a carico del SSN, mentre le prestazioni alberghiere e assistenziali di base sono a carico dell’utente, salvo integrazioni comunali. Tuttavia, come vedremo, la giurisprudenza ha affermato che in presenza di determinate condizioni cliniche la distinzione viene meno e l’intera retta deve essere considerata sanitaria (e quindi gratuita per l’utente). Inoltre, un importante intervento normativo sul piano ISEE (D.lgs. 109/1998 e D.P.C.M. 159/2013, confermato dal Consiglio di Stato n.1607/2011) dispone che per gli anziani non autosufficienti e i disabili gravi inseriti in RSA si consideri solo l’ISEE individuale e non quello della famiglia di origine, ai fini della compartecipazione ai costi. Ciò limita la possibilità di coinvolgere i redditi dei figli nel pagamento delle rette, perlomeno in sede amministrativa (resta comunque possibile un’azione civile ex art. 433 c.c. per gli alimenti, come vedremo).
- Crisi d’impresa e sovraindebitamento: per le RSA gestite in forma di impresa (società, cooperative, enti privati), si applica dal 15 luglio 2022 il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019), che ha sostituito la legge fallimentare. Questo Codice disciplina sia le procedure concorsuali per le imprese fallibili (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ristrutturazione dei debiti, composizione negoziata assistita, ecc.) sia le procedure di sovraindebitamento per i soggetti non fallibili (persone fisiche, piccoli imprenditori sotto soglia, enti non commerciali, ecc.). In particolare, esso incorpora e aggiorna la previgente Legge 3/2012 (cosiddetta “legge salva-suicidi”), introducendo novità come le procedure familiari congiunte, il concetto di meritevolezza del debitore, e l’esdebitazione del debitore incapiente (vedi oltre). Per esempio, oggi anche un ente non profit o una fondazione che gestisce una RSA, se non è soggetto a fallimento, può accedere alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Invece, una società commerciale di dimensioni rilevanti rientra tra i soggetti “fallibili” e dovrà utilizzare strumenti come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale.
- Tutela del debitore ed esdebitazione: sia il Codice Civile che la normativa speciale prevedono vari istituti per tutelare il debitore e la sua dignità minima: ad esempio il codice di procedura civile sancisce che certe somme non sono pignorabili (una parte del salario o pensione, strumenti di lavoro, beni indispensabili al nucleo familiare, ecc.), e il D.P.R. 602/1973 (riscossione esattoriale) pone limiti al pignoramento della prima casa da parte del Fisco (divieto di espropriare l’unico immobile di residenza se non di lusso, e comunque soglia di debito > €120.000 per procedere). Il Codice della crisi ha poi rafforzato il principio del “fresh start” per il debitore onesto: oggi dopo una liquidazione del patrimonio, il debitore persona fisica è liberato automaticamente dai debiti residui entro 3 anni dall’apertura della procedura, senza dover fare una domanda separata. Inoltre, è stata introdotta la possibilità di esdebitazione immediata per il debitore incapiente: chi non ha alcun patrimonio né reddito disponibile può chiedere al tribunale la cancellazione di tutti i debiti (esdebitazione senza utilità) una volta sola, purché sia meritevole e non abbia dolosamente accumulato debiti. Queste norme riflettono un bilanciamento tra esigenze creditorie e la necessità di garantire al debitore in difficoltà una via d’uscita e il mantenimento dei diritti fondamentali (come la salute e l’abitazione).
Nei paragrafi seguenti esamineremo in concreto come queste previsioni normative si traducano in strumenti di difesa per i debitori, con particolare riferimento al contesto delle RSA. Cominciamo dalla questione cruciale delle rette RSA e dei loro obblighi di pagamento, alla luce delle ultimissime sentenze.
Debiti e RSA: tipologie e contesto
Il tema “RSA con debiti” può riferirsi a due situazioni principali, speculari tra loro:
- Debiti verso la RSA: il caso del paziente (o dei suoi familiari) che, in quanto utente di una Residenza Sanitaria Assistenziale, ha maturato un debito per le rette non pagate o altre spese di degenza. In questa situazione la RSA è creditrice e il paziente/famiglia è debitore. Tali debiti hanno natura civilistica (derivano da un contratto di ricovero e assistenza) e spesso sono oggetto di decreti ingiuntivi e azioni di recupero crediti da parte delle RSA o dei Comuni che anticipano le rette. Possono comprendere anche importi elevati, considerando che la retta mensile media in RSA varia tipicamente tra 2.500 e 3.200 euro. Un ricovero di lunga durata può generare debiti per decine (se non centinaia) di migliaia di euro. Questa è la situazione del familiare che riceve richieste di pagamento e rischia pignoramenti, o dell’erede di un anziano deceduto che si vede arrivare i conti arretrati dell’RSA. È il classico scenario del debitore privato oberato da spese di assistenza.
- Debiti dell’RSA: il caso della struttura RSA (ente gestore, società, cooperativa) che accumula debiti verso terzi. Qui la RSA è debitrice e i creditori possono essere molteplici: fornitori di beni e servizi (es. forniture mediche, catering, pulizie), istituti bancari (per mutui o finanziamenti accesi per la gestione), dipendenti (stipendi arretrati, TFR), enti previdenziali e assicurativi (contributi INPS, premi INAIL non versati), il Fisco (imposte e tasse non pagate, cartelle esattoriali), oppure gli stessi utenti o loro familiari (si pensi al caso di sentenze che impongono alle RSA la restituzione di rette indebitamente percepite dal paziente, tema divenuto caldo nel 2025). Questo scenario riguarda il gestore dell’RSA che rischia insolvenza o fallimento. Ad esempio, molte RSA nel 2025 lamentano di essere “sull’orlo del fallimento” a causa dei rimborsi dovuti alle famiglie dopo le recenti sentenze e della mancanza di fondi statali compensativi. Il rischio è un “crac collettivo” di istituti in rosso, con conseguente chiusura di strutture e perdita di posti letto e di lavoro.
Entrambi gli aspetti richiedono strategie di difesa, ma ovviamente differenti. Nel primo caso (utente indebitato verso RSA) la difesa consiste nel contestare o ridurre l’obbligo di pagamento della retta e nell’evitare aggressioni al proprio patrimonio. Nel secondo caso (RSA indebitata verso terzi) occorre gestire la crisi d’impresa, proteggere i beni della società e dei soci, e utilizzare gli strumenti concorsuali per ristrutturare o liquidare il debito limitando i danni.
Vediamo ora in dettaglio entrambe le prospettive, cominciando dalla questione delle rette RSA e di quando – in base alla legge e alla giurisprudenza – esse sono effettivamente dovute da parte degli utenti o dei loro familiari.
Le rette della RSA: chi deve pagarle e quando (famiglie, Comune o SSN?)
Una delle domande più frequenti e cruciali è: chi è tenuto a pagare la retta di degenza in RSA? Si tratta del corrispettivo (generalmente giornaliero/mensile) per le cure e i servizi erogati dalla struttura. In linea generale:
- Paziente e familiari: Al momento dell’ingresso in RSA, soprattutto se avviene in regime privato, viene solitamente sottoscritto un contratto di ospitalità in cui l’ospite (e spesso anche un familiare garante) si impegnano a pagare la retta. Se l’anziano ha pensione o redditi, questi vengono destinati alla retta. Se non bastano, interviene il suo patrimonio (risparmi, eventuale vendita della casa, ecc.) o, in mancanza, il carico ricade sui familiari disponibili. Talvolta le RSA chiedono ai figli di firmare come obbligati in solido. È importante sapere che tale pratica, molto diffusa, è stata oggetto di scrutinio giudiziario: far firmare ai parenti un impegno al pagamento può risultare nullo se contrasta con norme imperative di legge che stabiliscono la gratuità di certe prestazioni.
- Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e Regione: Quando il ricovero avviene in convenzione o comunque se le prestazioni fornite rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), il SSN (tramite le ASL/AUSL regionali) copre una parte significativa dei costi. In molte regioni d’Italia, per gli anziani non autosufficienti si adotta uno schema di riparto: circa 50% a carico del SSN (per la componente sanitaria) e 50% a carico dell’utente (per vitto, alloggio e assistenza di base). Ad esempio, se la retta totale è 100 €, 50 € li mette la sanità pubblica e i restanti 50 € l’utente (direttamente o tramite il Comune). Questo in teoria; nella pratica, come vedremo, se le cure hanno carattere prettamente sanitario, la quota utente dovrebbe azzerarsi. Le quote sanitarie sono spesso denominate “tariffe” e fissate dalla Regione, mentre la parte sociale è detta “retta” a carico dell’ospite.
- Comune di residenza: Svolge un ruolo integrativo per la parte di retta sociale quando l’anziano non è in grado di pagarla. In base alla L. 328/2000 e normative regionali, il Comune valuta la situazione economica (tramite l’ISEE sociosanitario) e, se l’anziano è indigente o non sufficiente a coprire la quota, interviene a integrazione. Ciò può avvenire con la richiesta di partecipazione economica da parte dei parenti tenuti agli alimenti (i figli, principalmente) solo se essi hanno capacità contributiva e previo accordo o provvedimento. Tuttavia, dopo il 2011 (Cons. Stato 1607/2011) vige il principio che per disabili gravi e anziani non autosufficienti si considera solo il reddito personale e non quello dei figli. Dunque molti regolamenti comunali odierni non obbligano più i figli a contribuire, se non volontariamente o tramite separata azione legale. In caso di pagamento anticipato dal Comune, quest’ultimo può cercare rivalsa sui familiari, ma dovrà attivare un giudizio civile basato sull’art. 433 c.c., oppure agire in regresso provando che il suo intervento ha soddisfatto un obbligo degli alimentanti inadempienti. La giurisprudenza più recente tende a escludere che il Comune possa semplicemente esigere dai figli le rette versate senza una verifica giudiziale della loro effettiva obbligazione di mantenimento.
Prestazioni ad elevata integrazione sanitaria: retta a carico del SSN
Un punto centrale, chiarito dalla Cassazione in modo ormai “granitico”, è che quando le prestazioni fornite dalla RSA hanno natura di “prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria” la retta non è dovuta né dall’utente né dai familiari, poiché l’intero costo ricade sul servizio sanitario pubblico. In altre parole, se il ricovero in RSA è reso necessario da esigenze di cura complesse, tali che l’assistenza alla persona è inscindibile dalle cure mediche, allora ci troviamo nell’ambito di prestazioni che la legge definisce come LEA gratuiti. Questo principio deriva direttamente dal D.P.C.M. 14/2/2001 art. 3, commi 1 e 3, e dal D.P.C.M. 20/11/2001 sui livelli di assistenza per anziani cronici, rafforzato dall’art. 54 L.289/2002. Già la Cassazione nel 2012 (sent. n. 4558/2012) affermò che per un malato di Alzheimer grave ricoverato, l’intera attività – anche quella di assistenza di base – va considerata attività sanitaria a carico SSN, non essendo possibile scindere le componenti e prevalendo nettamente quella sanitaria. Ne consegue illegittimità di qualsiasi azione di rivalsa sulle famiglie per quelle spese.
Nel corso degli anni, diverse cause intentate da familiari hanno portato la Suprema Corte a ribadire questo concetto, consolidandolo in una giurisprudenza uniforme. Nel 2023, la Cassazione (I Sezione Civile) ha emesso almeno tre decisioni importanti sul tema: la sentenza n. 3038/2023, la n. 13714/2023 e infine la n. 34590/2023 depositata l’11 dicembre 2023. Tutte hanno confermato che “non è dovuta la retta per i malati di Alzheimer quando siano inscindibili l’aspetto sanitario e quello assistenziale”, testuali parole riportate nella sentenza. La Cassazione parla di sua giurisprudenza “granitica” in materia, tant’è che di recente iniziano ad uscire anche ordinanze di rigetto di ricorsi che pretendevano il contrario (segno che la Corte, ritenendo la questione ormai chiara, decide in camera di consiglio con ordinanze sintetiche). Ad esempio, è citata l’Ordinanza Cass. n. 26943/2024 che ha nuovamente respinto le tesi pro-ricovero a pagamento.
La chiave di volta è accertare se nel caso concreto le prestazioni assistenziali fornite in RSA siano talmente legate a quelle sanitarie da risultare parte integrante della cura. Secondo la Cassazione, occorre la presenza di un “piano terapeutico individualizzato, non connotato da occasionalità”: se l’ospite necessita di cure sanitarie continue che richiedono contestualmente assistenza alla persona 24h, allora siamo di fronte ad elevata integrazione sanitaria. Non rileva, precisa la Corte, la mera prevalenza quantitativa della componente socio-assistenziale su quella sanitaria: anche se l’assistenza di base occupa più tempo, ciò che conta è il nesso di strumentalità necessaria ai fini terapeutici. In altre parole, se senza assistenza la cura sanitaria non potrebbe essere somministrata, quella assistenza diventa essa stessa “sanitaria” ai fini dei costi. Malattie degenerative come Alzheimer, altre demenze senili, Parkinson avanzato, SLA, stati vegetativi, ecc., rientrano tipicamente in queste ipotesi, ma non sono le uniche: la Corte d’Appello di Milano nel 2025 ha chiarito che non serve la diagnosi specifica di Alzheimer, bastano condizioni di salute tali da richiedere quel livello di assistenza integrata.
Conseguenze pratiche: se un familiare ha pagato di tasca propria rette RSA per un congiunto affetto da Alzheimer o patologie analoghe, ha diritto al rimborso integrale di quanto versato, poiché indebitamente pagato in vece del SSN. Molti tribunali di merito in tutta Italia – da Milano a Roma – negli ultimi tempi stanno pronunciando sentenze a favore delle famiglie rimborso delle somme versate, condannando le Regioni o le ASL competenti a restituire i soldi. Ad esempio, Tribunale di Roma 2023: rimborso di 166 mila euro a una figlia, somma pagata per la madre non autosufficiente, con condanna della Regione Lazio a restituire tutto. Analogamente, decisioni in altri fori hanno coinvolto Comuni e ASL. La Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 1644/2025 ha dichiarato nullo l’impegno di pagamento sottoscritto da un figlio e sancito che quelle spese erano totalmente a carico del sistema sanitario regionale, ribaltando il verdetto di primo grado.
Va sottolineato che questa linea giurisprudenziale ha resistito anche a tentativi di contro-riforma: nella legge di bilancio 2024 era stato proposto un emendamento per limitare retroattivamente i rimborsi delle rette RSA alle famiglie, ma è stato bocciato in Parlamento. Ciò significa che, ad oggi, nessuna norma impedisce i ricorsi e anzi l’orientamento pro-famiglie è consolidato. Il Consiglio di Stato, dal canto suo, con sentenza n. 3074/2025 (V sezione) si è allineato, confermando che anche le prestazioni “a rilevanza sociale” nel campo sociosanitario rientrano nei LEA se inserite in un progetto assistenziale integrato. Si tratta di un tassello importante perché vincola anche la Pubblica Amministrazione: gli enti non possono giustificare la mancata copertura per “mancanza di risorse”, in quanto i LEA sono diritti da garantire su tutto il territorio nazionale ex art. 117 Cost..
Riassumendo questo scenario (vedi Tabella 1):
- Se il ricovero in RSA è dovuto a bisogni prevalentemente sanitari (malattie gravi, bisogno di cure continue): retta a carico SSN. L’utente non deve pagare nulla, la famiglia non è obbligata, e se hanno pagato possono esigere il rimborso. Ogni patto contrario (impegno firmato dal figlio, clausole contrattuali) è nullo per violazione di norme imperative.
- Se il ricovero ha finalità principalmente assistenziali (anziano non completamente autosufficiente ma senza specifiche cure mediche complesse): in tal caso la retta si divide secondo normativa locale, di solito con quota sanitaria SSN (es. 50%) e quota sociale a carico dell’utente (es. 50%). La quota utente va coperta dall’interessato con i suoi mezzi; se insufficiente, subentra il Comune a integrare, eventualmente valutando un contributo dei parenti in base all’ISEE individuale (non quello dei figli, salvo volontà di questi). I figli possono essere chiamati a contribuire solo attraverso un accordo o una sentenza che riconosca l’obbligo alimentare e quantifichi la misura (di solito proporzionale alle capacità di ciascuno). In assenza di ciò, nessuna RSA può autonomamente imporre il pagamento ai parenti.
- Casi intermedi: Ci sono situazioni borderline in cui le RSA o i Comuni sostengono che la degenza non fosse così sanitaria da esentare dall’intera retta. Potrebbero, ad esempio, affermare che l’anziano era ancora parzialmente autosufficiente o che le cure mediche erano limitate e separabili dall’assistenza di base. In tali casi, se nasce contestazione, decidono i giudici caso per caso, spesso tramite Consulenze Tecniche (CTU) medico-legali per valutare il grado di integrazione delle prestazioni. Da notare che la Cassazione ha escluso rilevanza al fatto che l’anziano possa compiere alcune attività: il criterio non è l’autosufficienza generica, ma la necessità di un programma sanitario personalizzato. Comunque, ove non ricorrano gli estremi della totale gratuità, resta ferma la compartecipazione pubblico/utente secondo legge regionale.
Situazione del ricovero RSA | Obbligo di pagamento retta | Chi paga in pratica |
---|---|---|
Prestazioni ad elevata integrazione sanitaria (es. Alzheimer grave, demenza senile avanzata, patologie croniche con cure continue) | Interamente a carico SSN – retta gratuita per l’utente. Contratto di ricovero eventualmente nullo in parte qua. | SSN tramite ASL/AUSL regionale (finanziato dallo Stato/Regione). L’RSA non può chiedere soldi alla famiglia. Eventuali somme già pagate dall’utente vanno restituite da ente pubblico o struttura. |
Prestazioni sociosanitarie standard (non altamente integrate) – es. anziano non autosufficiente senza gravi patologie sanitarie attive | Quota sanitaria a carico SSN; quota sociale a carico utente, secondo percentuali regionali (es. 50/50). | SSN paga la sua quota (direttamente alla RSA). L’utente paga la sua parte con pensione/redditi. Se l’utente non può pagare interamente: interviene il Comune per l’integrazione (dopo valutazione socio-economica). I familiari possono essere coinvolti solo su base volontaria o giudiziale (assegno alimentare). |
Ricovero privato (fuori convenzione) di anziano autosufficiente parzialmente (es. semplice casa di riposo) | Interamente a carico dell’ospite secondo contratto. Nessun intervento SSN poiché prestazioni solo assistenziali (non LEA). | Utente/famiglia pagano la retta con le proprie risorse. Se sopravvengono gravi patologie, è opportuno richiedere convenzionamento ASL (UVG) per ottenere copertura sanitaria e trasformare il regime. Comune può contribuire se l’anziano diventa non autosufficiente e privo di mezzi. |
Tabella 1 – Obbligo di pagamento delle rette RSA in diverse situazioni, in base al carattere delle prestazioni.
Difendersi dalle richieste di pagamento della RSA
Dal punto di vista del debitore (familiare o paziente), alla luce di quanto sopra, si delineano diverse strategie difensive se la RSA (o il Comune) richiede il pagamento di somme:
- Verificare la natura delle prestazioni: La prima domanda da porsi è: il ricovero del nostro caro era dovuto a necessità sanitarie rilevanti oppure era solo assistenza? Se ci sono elementi per ritenere che fosse un caso di elevata integrazione sanitaria (es. diagnosi di Alzheimer o altre condizioni gravi, terapia continuativa, presenza di un Piano Assistenziale Individuale con interventi sanitari quotidiani, somministrazione costante di farmaci, ossigenoterapia, piaghe da decubito da curare, etc.), allora nessuna retta è legittimamente dovuta. In tal caso, se la RSA ha emesso un decreto ingiuntivo o una diffida di pagamento, si può proporre opposizione eccependo l’inesigibilità di quelle somme ex lege. Ci si può avvalere di documentazione medica e magari di una perizia per dimostrare la natura delle cure ricevute. Come visto, ci sono ormai precedenti vincolanti: la Cassazione stessa definisce “ormai stabilizzato” questo criterio. Ad esempio, nel 2024 la Corte d’Appello di Trieste (poi confermata in Cassazione) ha annullato le clausole di pagamento e condannato la Casa di riposo a restituire 80.000 € ai figli di una signora con Alzheimer e altre gravi patologie, ricoverata per 4 anni.
- Nullità dell’impegno di pagamento firmato dai familiari: Se al momento dell’ingresso in RSA un parente (figlio, nipote) ha firmato come garante o coobbligato, tale accordo potrebbe essere nullo in parte qua, in presenza delle condizioni suddette. L’azione da intentare è un’azione di accertamento della nullità ex art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative (i LEA sanitari). Questo è esattamente quanto fatto in cause recenti: ad esempio il signor X contro una RSA a Milano ha ottenuto dalla Corte d’Appello nel 2025 la dichiarazione di nullità dell’impegno che aveva assunto di pagare per la madre malata, perché contrastante col DPCM 2001. Tale nullità significa che il contratto di ricovero viene “ridimensionato”: valido per il resto, ma senza obbligo di retta a carico dell’utente. La struttura, di conseguenza, non può pretendere quel pagamento e se l’ha già incassato deve restituirlo (azione di ripetizione di indebito).
- Opporsi alle ingiunzioni di pagamento: Molte RSA o Comuni, per recuperare le rette non pagate, ricorrono al decreto ingiuntivo (titolo esecutivo rapido). Il debitore ingiunto ha 40 giorni per fare opposizione. In tale sede, oltre alle eccezioni procedurali, può far valere nel merito che la pretesa è infondata perché la retta non era dovuta ex lege. Diversi decreti ingiuntivi sono stati revocati dai giudici nelle more di questo dibattito giurisprudenziale. Ad esempio, una Corte d’Appello ha annullato ingiunzioni per €120.000 emesse da un Centro Servizi Anziani contro un Comune e un parente, proprio perché è stato accertato (con CTU) che le cure erano di natura altamente sanitaria, dando ragione al Comune che si era opposto. Quindi, l’opposizione a decreto ingiuntivo è uno strumento essenziale di difesa: se il giudice d’appello o di Cassazione conferma la non debenza, l’ingiunzione viene caducata e nulla è dovuto.
- Accertare l’eventuale obbligo alimentare dei familiari: Se il caso non rientra nelle ipotesi di gratuità totale, la RSA o più spesso il Comune potrebbero cercare di far leva sull’obbligo di mantenimento dei figli verso i genitori. Come già detto, nessun parente è tenuto automaticamente per legge a pagare la retta RSA (non esiste una norma che dica “i figli devono pagare la casa di riposo dei genitori” in via diretta). L’unico fondamento possibile è l’art. 433 c.c. sugli alimenti, che però richiede alcuni passaggi formali: o si trova un accordo tra le parti su quanto il figlio contribuirà, oppure serve una sentenza che, su richiesta di chi ha anticipato le spese, condanni il familiare a contribuire. In giudizio, il figlio può difendersi dimostrando di non avere mezzi sufficienti oltre il proprio fabbisogno o che altri fratelli hanno pari obbligo. Un caso paradigmatico è stato deciso dalla Cassazione a inizio 2025: due fratelli si contendevano il peso delle spese di ricovero del padre; uno aveva pagato per anni e chiedeva all’altro di rimborsare metà. La Cassazione (ord. n. 28/2025) ha rigettato il ricorso di uno dei fratelli, confermando l’obbligo per entrambi di contribuire in parti uguali alle spese della RSA del padre. In altre parole, la Corte ha applicato l’art. 433 c.c. disponendo che i figli concorrano pro quota al mantenimento del genitore. Questo indica che in assenza di copertura pubblica e se la situazione non è di natura sanitaria LEA, i parenti possono essere chiamati a intervenire ma solo attraverso un giudizio ad hoc. Dunque, come difesa, se la RSA vi chiede soldi sostenendo che “tanto suo padre è vostro parente, quindi siete obbligati”, sappiate che non è vero in automatico: dovranno eventualmente citarvi e ottenere un provvedimento del giudice. In quella sede, oltre a ribadire tutto quanto sopra, si potrà anche far presente, ad esempio, che il Comune non ha attivato per tempo la procedura di valutazione o che magari l’ente avrebbe dovuto attivare servizi alternativi domiciliari (se più appropriati e meno onerosi).
- Rivolgersi a un legale specializzato e far valere la giurisprudenza favorevole: Il 2025 sta vedendo, come definito da alcuni osservatori, una “stagione di ricorsi” da parte delle famiglie per il rimborso delle rette RSA. Studi legali esperti in diritto sanitario e del consumatore (alcuni collegati ad associazioni come Konsumer) stanno già coordinando azioni in varie regioni. Il suggerimento per il debitore è di non subire passivamente richieste di pagamento spesso ingiuste, ma di far esaminare la posizione da un avvocato. A volte è possibile risolvere bonariamente, ad esempio segnalando alla RSA o al Comune le ultime pronunce: in alcuni casi le amministrazioni, di fronte a sentenze come Cass. 34590/2023, hanno sospeso la riscossione e attivato le ASL per coprire i costi. Se invece si è già arrivati all’esecuzione forzata (pignoramento), si può proporre opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. sostenendo che il titolo (ad es. decreto ingiuntivo divenuto esecutivo) non era dovuto per sopravvenuta pronuncia in contrario. Certo, questa è un’ipotesi limite e complessa: meglio muoversi prima che si arrivi al pignoramento, contestando tempestivamente.
In conclusione su questo tema, la miglior difesa per un debitore “utente RSA” è essere consapevole dei propri diritti, che oggi – per merito di diverse battaglie legali – sono molto più ampi di qualche anno fa. Le famiglie non devono vergognarsi di rivendicare la gratuità delle cure quando la legge la prevede, né temere di affrontare spese legali: anzi, con pronunce così univoche, le cause si concludono spesso con vittoria e condanna alle spese in capo alla controparte (che sia RSA, Comune o Regione). Da notare infine che vi è un aspetto sociale più ampio: il boom di rimborsi e lo stop ai pagamenti sta mettendo in difficoltà finanziaria le RSA stesse. Ma la soluzione a ciò non può essere sulle spalle delle famiglie: spetta al sistema pubblico riorganizzare i finanziamenti (probabilmente aumentando i fondi regionali alle RSA, o modificando la normativa nazionale sui LEA – ipotesi su cui alcune Regioni hanno proposto interventi, ad es. il Veneto vorrebbe reintrodurre una compartecipazione 50% anche per Alzheimer).
Passiamo adesso alla prospettiva opposta: l’RSA (o il debitore in generale) che deve difendersi dai creditori ed evitare l’aggressione del proprio patrimonio. Molte considerazioni seguenti varranno anche per un privato che abbia altri tipi di debiti (es. con banche, Fisco, fornitori), trattandosi di strumenti generali di tutela del debitore.
Evitare il pignoramento: strumenti di difesa del debitore esecutato
Il pignoramento è l’atto con cui ha inizio l’esecuzione forzata sui beni del debitore. Ricevere un atto di pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) significa che un creditore ha già ottenuto un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto, cartella esattoriale definitiva, ecc.) e sta passando alla fase di recupero coattivo. Come può difendersi un debitore in questa fase critica? Ecco le principali strategie, che esamineremo in dettaglio:
- Opposizione all’esecuzione o al titolo (se vi sono vizi): Se si ritiene che il creditore non avesse diritto di procedere (perché ad esempio il debito in realtà non era dovuto, o è già stato pagato, o è prescritto) si può presentare opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., chiedendo al giudice di sospendere e dichiarare improcedibile l’esecuzione. Questa è la situazione, ad esempio, di chi subisce pignoramento per una retta RSA ma invoca la nullità del titolo come spiegato sopra. Oppure nel caso di una cartella esattoriale già pagata o viziata: si può opporsi ex art. 615 (se riguarda la pignorabilità) o fare opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 (per vizi formali, entro 20 giorni). Occorre però agire tempestivamente e spesso provare un fatto estintivo (quietanza, transazione, prescrizione maturata, nullità radicale del titolo).
- Negoziazione e piani di rientro: Spesso, prima che il creditore passi al pignoramento, c’è uno spazio per trattare. Ad esempio, se una RSA è creditrice di €50.000 per rette, la famiglia debitrice potrebbe proporre un accordo a saldo e stralcio (es.: pagamento immediato di €20.000 e rinuncia al resto) per evitare cause lunghe. Molti creditori accettano stralci, specialmente se il recupero forzoso è incerto. Nel caso di debiti con il Fisco, esiste la possibilità di chiedere una rateizzazione amministrativa delle cartelle (fino a 72 rate mensili standard, o 120 rate in casi di grave difficoltà) che sospende le azioni esecutive purché si paghino le rate. Ad esempio, se arriva una cartella Agenzia Entrate Riscossione di importo elevato, presentare domanda di dilazione entro i termini blocca nuovi pignoramenti: il debitore paga poco per volta e l’agente della riscossione non procede oltre (salvo decadenza del piano). È sempre opportuno quindi interloquire con il creditore prima che la situazione degeneri, magari assistiti da un legale per formalizzare un piano di rientro e farsi dare quietanza finale.
- Conversione del pignoramento: Se il pignoramento è già avviato, l’art. 495 c.p.c. consente al debitore di evitare la vendita forzata versando al creditore, in sostituzione del bene pignorato, una somma pari al credito precettato aumentato di interessi e spese (la cosiddetta conversione). In pratica, è il meccanismo per “liberare” il bene pignorato pagando il dovuto (magari con l’aiuto di un terzo finanziatore o vendendo spontaneamente altri beni). Il giudice, su istanza del debitore, stabilisce l’importo da depositare e un termine. Se il debitore versa la somma, l’esecuzione su quel bene si estingue e il bene torna libero. Questo strumento può essere utile, ad esempio, per salvare la casa di famiglia: si evita l’asta, che spesso deprezza il valore del bene, pagando direttamente il debito (eventualmente anche rateizzando la conversione in 18 mensilità, secondo la riforma del 2021). Certo, presuppone di reperire le somme necessarie, ma in alcuni casi conviene cercare un prestito pur di chiudere il debito ed evitare di perdere il bene all’asta.
- Limiti legali all’espropriazione: Come accennato, la legge prevede alcune protezioni d’ufficio per il debitore. Ad esempio, l’Agenzia Entrate Riscossione (ex Equitalia) non può pignorare la prima casa del debitore se ricorrono le quattro condizioni dell’art. 76 DPR 602/1973: unico immobile di proprietà, immobile non di lusso (no categorie A/8, A/9), adibito ad abitazione principale e residenza anagrafica del debitore. Anche quando queste condizioni mancano (es. il debitore ha due case, o l’immobile non è prima casa), il Fisco deve comunque rispettare una soglia di debito minima: oltre 120.000 € per procedere alla vendita, e solo dopo aver iscritto ipoteca e atteso 6 mesi. In più, non può espropriare se il valore dell’immobile (al netto dei mutui) è inferiore sempre a 120.000 €. Quindi, un debitore con debiti tributari di modesta entità ha una tutela: ad esempio, se deve €50.000 e possiede solo la prima casa di residenza, il Fisco non può ipotecare né pignorare quell’immobile. Potrà semmai aggredire altri beni (stipendio, conto corrente) nei limiti, ma la casa è salva. Questa consapevolezza può guidare anche le scelte: un contribuente in difficoltà farà bene a non acquistare seconde case o altri immobili se ha debiti fiscali, perché perderebbe la protezione.
Per i creditori privati (banche, finanziarie, fornitori) invece non esiste una “impignorabilità” della prima casa per legge – possono in teoria procedere anche per debiti relativamente piccoli. Tuttavia, nella pratica dell’esecuzione civile, mettere all’asta un immobile per importi modesti non conviene per le spese coinvolte; inoltre il legislatore ha introdotto la possibilità per il debitore di evitare la svendita della casa tramite la vendita diretta (nuovo art. 569-bis c.p.c.), chiedendo di poter vendere privatamente l’immobile pignorato ad un prezzo congruo, così da soddisfare i creditori senza asta (questa è un’altra recente innovazione della riforma Cartabia del 2022, citata in [31] come “vendita diretta su istanza del debitore”). In ogni caso, è bene sapere che alcuni beni sono sempre impignorabili: ad esempio, stipendi e pensioni sono pignorabili solo per la parte eccedente il minimo vitale (circa 1,5 volte l’assegno sociale, dunque intorno ai €750 mensili intoccabili, il resto pignorabile al massimo per 1/5 se da creditori privati, 1/7 se esattore su pensioni, etc.). Gli strumenti di lavoro indispensabili (macchinari, attrezzi, computer se uno è professionista) sono impignorabili nei limiti di quanto serve per lavorare, salvo che il creditore sia la banca per il mutuo su quegli stessi beni. Anche i beni di uso quotidiano della casa – letto, tavolo, elettrodomestici base, indumenti – non possono essere pignorati (art. 514 c.p.c.). Un debitore informato dei propri diritti può quindi opporsi efficacemente a pignoramenti illegittimi su beni protetti citando queste norme. Ad esempio, se un ufficiale giudiziario volesse pignorare tutti i mobili di casa, il debitore può stilare un verbale di bene impignorabile per quelli essenziali, e tale eccezione può essere fatta valere in giudizio se necessario. - Sospensioni automatiche o di legge: In certi casi particolari, la legge prevede sospensioni automatiche delle esecuzioni. Ad esempio, se il debitore presenta una istanza di composizione negoziata della crisi d’impresa (strumento introdotto nel 2021 per le aziende in crisi), può ottenere dal tribunale misure protettive che congelano le azioni esecutive dei creditori durante le trattative. Oppure, se si accede a una procedura di concordato preventivo o di piano di ristrutturazione dei debiti omologato, scatta lo stay delle azioni individuali: i creditori non possono più pignorare perché devono attenersi alla soluzione collettiva proposta. Anche la presentazione di una domanda di liquidazione controllata nell’ambito del sovraindebitamento comporta il blocco dei pignoramenti in corso (salvo quelli su crediti alimentari). Perfino l’avvio di una procedura di esdebitazione del debitore incapiente potrebbe persuadere il giudice dell’esecuzione a sospendere una vendita, in attesa di decidere se cancellare i debiti. Insomma, chi si trova sommerso dai debiti e vede avvicinarsi l’esecuzione non deve arrendersi: attivare una procedura concorsuale o di sovraindebitamento in tempo può congelare la situazione e impedire il depauperamento disordinato del patrimonio. Nelle sezioni successive approfondiremo proprio queste procedure.
Riassumendo, evitare il pignoramento richiede prontezza e cognizione di causa. Prima regola: affrontare il problema subito, possibilmente appena ricevuto il precetto o il primo atto, cercando una soluzione stragiudiziale (accordo, rateazione) o approntando le opposizioni legali fondate. Seconda regola: conoscere i propri diritti e i limiti del creditore (un debitore informato sa, ad esempio, che la sua prima casa può essere relativamente al sicuro col Fisco sotto certe soglie, o che il creditore non può portargli via l’auto se questa è necessaria per lavorare, etc.). Terza regola: se la situazione debitoria è generale e non solo verso un singolo creditore, valutare una procedura concorsuale o di sovraindebitamento che risolva tutto insieme, anziché subire tanti pignoramenti frammentari. Su questo ultimo punto ci soffermiamo ora.
Protezione del patrimonio personale e pianificazione preventiva
Uno degli aspetti più importanti “per difendersi” è non arrivare al punto di subire aggressioni, attraverso una protezione preventiva del patrimonio. Questo vale sia per i privati (che vogliono mettere al sicuro i beni di famiglia da possibili creditori) sia per gli imprenditori (che intendono separare la propria sfera personale dai rischi dell’attività, ad esempio nella gestione di una RSA). Bisogna premettere che la protezione patrimoniale lecita non significa sfuggire fraudolentemente ai debiti, ma pianificare in anticipo la destinazione dei beni, in modo da limitare la responsabilità senza violare la legge. Ecco alcune tecniche e strumenti giuridici disponibili in Italia:
- Uso di strutture societarie a responsabilità limitata: Il modo più comune per un imprenditore di proteggere il patrimonio personale è esercitare l’attività attraverso una società di capitali (es. S.r.l., S.p.A., o anche società cooperativa) anziché come ditta individuale o società di persone. Le RSA private spesso sono gestite da cooperative sociali o S.r.l.: in questi casi vige la separazione patrimoniale tra società e soci. I debiti della RSA rimangono in capo alla società; i soci rischiano solo il capitale conferito (salvo casi di mala gestio o garanzie personali prestate). Dunque se una RSA S.r.l. fallisce, i creditori sociali non possono attaccare direttamente la casa o i beni personali dell’amministratore o dei soci (a meno di azioni di responsabilità particolari, che esulano da questa trattazione). Attenzione: questo vale a patto che la società sia gestita correttamente e senza confusione patrimoniale; se il socio amministra come fosse cosa propria, si espone a possibili revocatorie o azioni per abuso della personalità giuridica. Ma in generale, costituire un ente con personalità giuridica è una prima linea di difesa. Ad esempio, un imprenditore che possiede immobili di pregio potrebbe decidere di affittarli a terzi che gestiscono RSA, invece di gestire lui stesso l’attività: così, in caso di debiti della gestione, i suoi immobili restano separati e protetti (salvo eventuali canoni non pagati, ma lì sarebbe creditore lui).
- Fondo patrimoniale per bisogni familiari: I coniugi (o anche un singolo genitore, in presenza di figli minori) possono costituire un fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., destinando alcuni beni (immobili, titoli) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. I beni nel fondo sono protetti dall’azione esecutiva dei creditori per debiti estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.). In sostanza, se io costituisco un fondo patrimoniale e vi conferisco la casa, un creditore potrà pignorarla solo se il debito è stato contratto per scopi non legati alla famiglia. Ad esempio, debiti di gioco, speculazioni finanziarie personali, o magari – rilevante qui – debiti di un’impresa commerciale di uno dei coniugi, sono considerati estranei e quindi non possono giustificare pignoramenti sul fondo. Invece, se il debito riguarda un bisogno familiare (ad es. mutuo per la casa stessa, spese per l’istruzione dei figli, oppure la retta di una RSA per il familiare, che potrebbe essere interpretata come bisogno familiare di assistenza a un genitore) allora il creditore può agire. La giurisprudenza ha stabilito che spetta al debitore l’onere di provare che il debito era estraneo ai bisogni di famiglia, se vuole opporre l’impignorabilità del fondo. Quindi è uno strumento da usare con consapevolezza: non è un “porto franco” assoluto, ma può aiutare. Per esempio, molti professionisti costituiscono fondo patrimoniale per mettere al riparo l’abitazione dai rischi della loro attività: se poi falliscono o hanno cartelle esattoriali, potrebbero riuscire a opporre il fondo, sostenendo che quei debiti fiscali riguardavano l’attività professionale e non la famiglia (spesso i giudici riconoscono l’estraneità in caso di debiti fiscali o bancari dell’attività lavorativa). Tuttavia, il fondo patrimoniale deve essere costituito in tempi non sospetti: se lo fate quando già i creditori premono, rischiate la revocatoria (azione ex art. 2901 c.c. per dichiarare inefficace l’atto, entro 5 anni). Inoltre, il fondo va annotato a margine dell’atto di matrimonio e, perché sia opponibile, il creditore deve essere stato quantomeno a conoscenza della sua esistenza al momento in cui è sorto il credito (una complessità tecnica che va valutata con il notaio/avvocato).
- Trust e vincoli di destinazione: Oltre al fondo patrimoniale (che è tipico del diritto di famiglia italiano), negli ultimi anni si è diffuso l’utilizzo del trust interno o del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.. Un trust è un istituto di origine anglosassone: un soggetto (disponente) trasferisce beni a un trustee perché li amministri a beneficio di un certo scopo o beneficiari, con segregazione patrimoniale. In pratica, i beni in trust escono dalla titolarità del disponente e costituiscono patrimonio separato del trustee: i creditori del disponente non possono aggredirli (salvo sempre la solita revocatoria se il trust fu fatto per frodarli). Il trust può essere usato, ad esempio, per garantire il mantenimento di un figlio disabile (trust “dopo di noi”) o per tutelare un patrimonio familiare da rischi d’impresa. È però un istituto complesso, che richiede consulenze specialistiche e ha costi, inoltre dev’essere genuino (i trust fittizi vengono dichiarati nulli dalla giurisprudenza). L’art. 2645-ter c.c. introdotto nel 2006 consente di trascrivere un vincolo di destinazione su beni immobili o mobili registrati per garantire finalità meritevoli per max 90 anni o vita del beneficiario: è una sorta di “mini-trust” riconosciuto dal codice, poco usato ma teoricamente utile, per destinare ad esempio un immobile al soddisfacimento dei bisogni di una persona disabile. Anche tali vincoli producono separazione patrimoniale. Per la difesa dai creditori, vale lo stesso discorso: se costituiti prima e con scopi leciti, possono salvare il bene; se fatti last minute per non pagare, verranno probabilmente revocati.
- Assicurazioni sulla vita e previdenza integrativa: Un’altra forma di protezione di fatto è investire in strumenti che per legge sono impignorabili o insequestrabili. Ad esempio, le polizze vita con beneficiario designato (diverso dall’assicurato) non entrano nell’asse ereditario e, secondo costante giurisprudenza, non sono aggredibili dai creditori né durante la vita né post mortem dell’assicurato, proprio perché quei capitali (anche se frutto dei premi pagati dal debitore) sono destinati al beneficiario al verificarsi dell’evento assicurato. Questo ovviamente non significa che un debitore possa mettere tutti i suoi soldi in una polizza per sottrarli ai creditori all’ultimo momento – sarebbe eccessivamente semplice e infatti vi sono teorie di abuso del diritto in casi estremi. Tuttavia, una pianificazione patrimoniale virtuosa può includere questi strumenti: ad esempio, versare il TFR o risparmi periodici in un fondo pensione o assicurativo, destinato ai figli, fa sì che in caso di aggressione quei valori siano protetti (i fondi pensione hanno una impignorabilità paragonabile a quella delle pensioni obbligatorie, quindi assai tutelati). Anche il TFR maturando presso il datore di lavoro non può essere pignorato oltre il 20%. Insomma, conviene conoscere anche queste sacche di intoccabilità.
- Non confondere i patrimoni e formalizzare le transazioni: Sembra banale, ma molti rischi derivano dalla promiscuità tra sfera personale e imprenditoriale. Un gestore di RSA deve evitare di firmare fideiussioni personali per i debiti della società, se non strettamente necessario, altrimenti vanifica la protezione data dalla società di capitali. Spesso banche e fornitori chiedono garanzie personali: bisogna valutarne l’impatto. Allo stesso modo, il patrimonio della società va tenuto separato: se l’amministratore preleva indebitamente denaro sociale per usi personali, i creditori potranno rivalersi sul suo patrimonio (azione di responsabilità) e il patrimonio sociale potrebbe essere insufficiente a pagarli, innescando magari azioni verso i soci (es. se si accerta che la società era sotto-capitalizzata e i soci hanno agito con mala fede). Quindi “difesa” significa anche buona condotta preventiva. Ad esempio, se la RSA è in difficoltà e i soci decidono di vendere l’immobile a terzi per salvare almeno quello, devono farlo a valore di mercato e non lasciar intendere che è per sottrarre il bene ai creditori (perché sarebbe soggetto a revocatoria se la società poi fallisce entro 2 anni, come atto a titolo oneroso con terzo consapevole della crisi). Una pianificazione preventiva onesta potrebbe essere: anni prima, scindere la proprietà dell’immobile dall’ente gestore (es. l’immobile in una società A, la gestione RSA in società B, con B che paga affitto ad A). Così se B fallisce, l’immobile in A non entra nel fallimento (salvo A avesse concesso ipoteche per B ecc.). Queste operazioni societarie lecite sono forme di protezione diffuse.
In sintesi, proteggere il patrimonio è possibile, ma va fatto per tempo e con trasparenza. Come dice un principio spesso citato: “la migliore protezione patrimoniale è quella attuata in tempi non sospetti”. Quando già spirano venti di tempesta (creditori che mandano solleciti, banche che revocano fidi), è spesso tardi per porre in essere atti dispositivi senza incorrere in azioni revocatorie o, peggio, in ipotesi di distrazione fraudolenta (che può avere anche rilievi penali, ad es. bancarotta fraudolenta se si è in prossimità di fallimento). Quindi il messaggio è: se svolgete un’attività rischiosa (come può esserlo la gestione di RSA in questi tempi di incertezza finanziaria), pensate ora a come isolare i vostri beni personali; e se siete un privato che intravede possibili debiti all’orizzonte (es. cause di risarcimento, coobligazioni, ecc.), informatevi sugli strumenti protettivi e agite prima.
Dopo aver esaminato il quadro normativo, le questioni relative alle rette RSA e le misure per prevenire o reagire al pignoramento, affrontiamo ora le procedure di ristrutturazione del debito ed esdebitazione, che rappresentano per molti debitori l’ultima spiaggia ma anche la soluzione definitiva per tornare a una situazione sostenibile.
Ristrutturazione del debito: soluzioni concordate per imprese e privati
Quando i debiti sono troppi per essere ripagati alle scadenze previste, è il momento di considerare una ristrutturazione del debito. Ciò significa cercare un accordo con i creditori – spesso mediato o formalizzato dal tribunale – per modificare le condizioni di rimborso: ad esempio allungando le scadenze, riducendo gli importi (remissione parziale, haircut), o liquidando i beni del debitore per soddisfare i creditori in misura proporzionale e poi liberare il debitore dal restante. Il nostro ordinamento offre varie procedure, diverse a seconda che il debitore sia un’impresa commerciale fallibile oppure un soggetto non fallibile (consumatore, piccolo imprenditore, ente non commerciale). Vediamo separatamente le due categorie:
Procedure concorsuali per imprese (RSA e società in genere)
Se la RSA è gestita da un soggetto fallibile (ad esempio una S.r.l. che supera i limiti di cui oltre), in caso di insolvenza conclamata i creditori o l’imprenditore stesso possono richiedere la liquidazione giudiziale (il “fallimento” nel nuovo lessico). Tuttavia, esistono strumenti prima di arrivare a questo esito liquidatorio, finalizzati alla continuità aziendale o comunque a una soluzione concordata:
- Composizione negoziata della crisi: Introdotta col D.L. 118/2021 e confluita nel Codice della Crisi, è un percorso volontario e confidenziale in cui l’imprenditore in stato di crisi può chiedere la nomina di un esperto indipendente che lo affianchi nel negoziare con i creditori. Durante questa fase può ottenere dal tribunale misure protettive (come lo stand-still delle azioni esecutive) e cercare un accordo stragiudiziale (ad esempio rimodulazione dei debiti, nuovi finanziamenti). Se l’esito è positivo, si formalizza l’accordo (eventualmente con transazioni, moratorie o accordi ex art. 182-octies se riguardano il fisco e gli enti previdenziali). Se invece non si trova accordo, l’imprenditore può accedere a una procedura semplificata (concordato semplificato per la liquidazione) ma questo esula dall’ambito difensivo del debitore perché è comunque liquidatorio. Per ora, consideriamo la composizione negoziata come uno strumento soft: utile ad esempio se una RSA ha temporanei problemi di liquidità, magari crediti verso la Pubblica Amministrazione (contributi regionali arretrati) e debiti verso banche e fornitori – l’esperto potrà convincere i creditori ad aspettare o a ridurre le pretese, mostrando che una chiusura della RSA sarebbe peggio per tutti.
- Concordato Preventivo: È la procedura di regolazione della crisi che consente all’impresa di proporre ai creditori un piano con diverse ipotesi: o di continuità aziendale (la RSA continua l’attività, magari ristrutturando debiti e con nuovi investitori) oppure di liquidazione del patrimonio (si chiude l’attività e si ripartisce l’attivo, ma in modo ordinato e concordato). Nel contesto di una RSA, un concordato in continuità potrebbe ad esempio prevedere che l’ente pubblico (Regione) si impegna a pagare d’ora in poi direttamente le rette per i pazienti Alzheimer, e sulla base di questo flusso garantito la RSA chiede ai creditori chirografari di accettare un pagamento parziale (es: 60%) dilazionato in 5 anni, evitando il fallimento e la conseguente interruzione del servizio agli anziani. I creditori votano la proposta; se approvata dalle maggioranze di legge e omologata dal tribunale, diventa vincolante per tutti (anche i dissenzienti) e sospende/annulla le azioni individuali pregresse. Il concordato preventivo è uno strumento complesso, che richiede un piano attestato da un professionista indipendente e varie formalità, ma è potentissimo per difendere l’impresa debitrice: durante il concordato nessuno può iniziare o proseguire pignoramenti, e l’imprenditore rimane in possesso (salvo casi di abuso). Nel nuovo Codice della Crisi, esistono diverse varianti di concordato (in continuità diretta/indiretta, con assunzione, ecc.) e perfino un concordato semplificato senza voto se fallisce la composizione negoziata. Per i nostri scopi, importa sapere che l’imprenditore in crisi ha questa via per evitare il default totale. Naturalmente, deve presentare una proposta seria e conveniente “non inferiore all’alternativa liquidatoria” per i creditori: in pratica, offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero da un fallimento, preferibilmente di più. Per fare un esempio concreto: una RSA S.r.l. con debiti per 1 milione potrebbe proporre un concordato liquidatorio offrendo di vendere un immobile di sua proprietà stimato 600.000 € e distribuire quel ricavato: i creditori ipotecari verrebbero soddisfatti per intero fino a capienza del valore, i chirografari avrebbero un 30% del loro credito. Se questo 30% è meglio di quanto vedrebbero dal fallimento (dove i costi e il tempo eroderebbero ulteriormente l’attivo), i creditori potrebbero votare a favore. L’azienda chiuderebbe ma i soci sarebbero liberi dal resto dei debiti (non l’azienda in sé, che viene liquidata, ma i debiti residui non trovano più nessuno da inseguire se la società viene cancellata). Nella continuità, invece, la RSA continua ad operare – magari vendendo un ramo d’azienda ad altra società – e i creditori accettano un soddisfo parziale nel tempo a fronte della prosecuzione del servizio.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR): Sono accordi con i creditori che coinvolgono almeno il 60% dei crediti, omologati dal tribunale (artt. 57 e ss. Cod. Crisi). Hanno il vantaggio della rapidità e della riservatezza iniziale: l’imprenditore può trattare privatamente con le banche, fornitori principali, ecc., raggiungere un accordo (ad esempio un taglio del 20% e rateizzazione del resto), e poi chiederne l’omologazione al giudice, che lo rende efficace anche verso eventuali creditori minori dissenzienti (questi però vanno pagati integralmente fuori accordo, oppure si può usare la variante accordo esteso se aderisce il 75% dei creditori finanziari, estendendolo ai non aderenti). Questo strumento è più settoriale – tipicamente usato con le banche – e potrebbe essere idoneo se la RSA ha pochi creditori rilevanti con cui trovare l’intesa, evitando una procedura più macchinosa.
- Liquidazione giudiziale (ex fallimento): Se non c’è modo di risanare o accordarsi, si arriva alla liquidazione giudiziale. In tal caso, l’obiettivo del debitore (o meglio degli amministratori/soci) è colaborare col curatore per massimizzare l’attivo e magari beneficiare delle norme di esdebitazione del sovraindebitato (che vedremo dopo). Una RSA in liquidazione giudiziale avrà un curatore nominato dal tribunale che gestirà la vendita di beni (immobili, attrezzature) e la riscossione di crediti (es. crediti verso ASL). I crediti dei dipendenti e fornitori privilegiati verranno soddisfatti prioritariamente. Spesso, trattandosi di attività d’interesse pubblico (assistenza anziani), la Regione o enti locali cercano di garantire la continuità assistenziale ai pazienti anche durante l’insolvenza: ciò può avvenire trasferendo gli ospiti presso altre strutture o – a volte – con l’esercizio provvisorio dell’impresa su autorizzazione del giudice delegato, se c’è prospettiva di cessione dell’attività. Per i soci e amministratori, evitare atti di distrazione e cooperare riduce il rischio di azioni di responsabilità o penali.
Soglie di fallibilità: Non tutte le imprese possono essere soggette a fallimento/liquidazione giudiziale. Nel caso specifico delle RSA, molte sono gestite da enti non profit o da piccole cooperative che potrebbero rientrare tra i soggetti “non fallibili”. Il Codice della Crisi conferma sostanzialmente le soglie: sono esonerate dalle procedure concorsuali maggiori gli imprenditori che negli ultimi tre esercizi non hanno superato €300.000 di attivo patrimoniale, €200.000 di ricavi lordi annui e €500.000 di debiti. Se una RSA è gestita da un piccolo ente sotto questi parametri, non potrà essere dichiarata fallita; al più rientrerà nel sovraindebitamento (trattato sotto). Molte RSA però superano tali numeri, specie in termini di debiti e attivo (un immobile vale spesso più di 300k). Anche le società pubbliche o partecipate non sono assoggettabili a fallimento, ma quelle di diritto privato sì. Quindi, un imprenditore deve capire in quale categoria sta per scegliere la via giusta.
Procedure di sovraindebitamento per privati, professionisti e piccoli imprenditori
Quando il debitore è un soggetto non fallibile – ad esempio un privato cittadino, una famiglia, un professionista, una ditta individuale sotto soglia, un ente non commerciale (associazione, fondazione) – il Codice della Crisi (prima la L.3/2012) mette a disposizione tre tipologie di procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento:
- Il Piano di Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore (ex “piano del consumatore”):
Riservato alle persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (cioè per esigenze personali o familiari). Questo strumento consente al debitore di proporre al tribunale un piano di pagamento parziale dei propri debiti, commisurato alle sue reali capacità economiche. Non richiede l’accordo dei creditori: è sufficiente che il giudice lo omologhi, verificata la fattibilità e la meritevolezza del debitore (ossia che non abbia colpe gravi nel sovraindebitamento, ad esempio niente frodi o leggerezze inescusabili). Se omologato, il piano vincola tutti i creditori (anche se qualcuno dissente). Durante la pendenza della domanda, il giudice può sospendere le azioni esecutive. Un esempio: un privato sommerso da debiti (carte di credito, bollette arretrate, una causa persa, debiti RSA) con stipendio €1.500 e famiglia a carico potrebbe proporre di pagare €300 al mese per 5 anni, ripartiti tra i creditori in percentuale, e ottenere la cancellazione di tutto il debito residuo a fine piano (esdebitazione). Il piano del consumatore è molto interessante perché non dipende dal voto dei creditori – utile quando i creditori sono tanti e non coordinati. Il giudice valuta la sostenibilità: ad esempio, può tenere conto che al debitore serve un certo importo mensile per vivere dignitosamente (spesso si fa riferimento ai parametri del minimo vitale o a standard tipo le tabelle ministeriali per il nucleo familiare). Se il piano è congruo e il debitore meritevole, viene approvato. Con la riforma 2022 è stato mantenuto questo impianto, con ulteriori facilitazioni (come la possibilità di includere anche alcuni debiti imprenditoriali marginali se misti). - Il Concordato Minore (ex “accordo di composizione”):
È analogo al concordato preventivo ma riservato ai soggetti non fallibili (anche non consumatori, quindi piccole imprese, professionisti, ecc.). Richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti (quorum) perché sia approvato, dopodiché il tribunale lo omologa e diventa vincolante. Vi possono accedere tutti i debitori non fallibili (anche consumatori volendo, ma per loro conviene il piano di cui sopra, che non richiede voto). Un possibile scenario per il concordato minore: una micro-cooperativa sociale che gestisce una RSA per conto di un ente religioso, con debiti per €400.000 e creditori (pochi) consenzienti a prendere il 50% perché sanno che altrimenti avrebbero poco. L’accordo viene approvato dal 60% dei crediti (magari la banca e il fornitore maggiore), il giudice omologa e anche i creditori dissenzienti minori devono adeguarsi, ricevendo quel 50%. Come nel concordato preventivo, la regola è che l’accordo offra loro almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione. Il vantaggio di queste procedure minori è che i costi sono ridotti e le formalità alleggerite rispetto a un fallimento. Il debitore mantiene l’amministrazione sotto controllo dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e, se previsto, porta avanti l’attività (nel caso di impresa). - La Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”):
Questa è l’opzione più drastica: il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio liquidabile (tranne i beni impignorabili e quelli necessari per vivere, simili all’esdebitazione post-fallimento) per soddisfare in un’unica procedura tutti i creditori, i quali verranno pagati pro-quota col ricavato. Un liquidatore nominato dal tribunale gestisce la vendita dei beni o altri realizzi. Al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di tutti i debiti chirografari rimasti insoddisfatti (cioè viene liberato dalla parte non pagata). Questa procedura si sceglie quando il debitore non ha prospettive di pagare a rate con un piano né di raggiungere accordi, ma possiede qualche bene liquidabile (o anche niente, a volte, solo per chiudere le partite). È simile ad un fallimento personale. La riforma prevede che duri massimo 3 anni (4 anni se alcuni beni sono difficili da vendere), dopodiché il debitore meritevole viene di diritto esdebitato senza bisogno di domanda (il correttivo 2024 ha tolto il bisogno di istanza separata dopo i 3 anni, rendendo l’esdebitazione automatica). La liquidazione controllata può essere richiesta anche dal creditore o dall’autorità di vigilanza in certi casi (ad esempio, un creditore di una persona non fallibile può provocare questa procedura se vede che il debitore è insolvente – è una novità del Codice). Per il debitore è comunque vantaggiosa perché offre il risultato finale dell’esdebitazione. Un esempio: il Sig. Rossi, vedovo 70enne, con debiti totali per €200.000 (tra cui rette RSA arretrate per la moglie deceduta, carte di credito e un mutuo residuo) e proprietario di una casa modesta. Con la pensione non potrebbe sostenere un piano, allora opta per la liquidazione: la casa verrà venduta dal liquidatore, i creditori prendono il ricavato (poniamo €120.000) in percentuale dei loro crediti, e Rossi viene esdebitato dei restanti €80.000. Perde la casa ma si libera dai debiti, potendo ricominciare senza lo spettro di pignoramenti sulla pensione. Importante: esistono incentivi a comportamenti collaborativi: se il debitore offre spontaneamente almeno il 10% ai chirografari o riduce i tempi, la legge gli permette di chiedere direttamente l’esdebitazione senza attendere i 3 anni. Inoltre, il debitore può proporre di tenersi l’abitazione pagando una somma equivalente ai creditori (se riesce a trovare fondi), per evitare di essere sfrattato, e ciò può entrare nel progetto di liquidazione se i creditori concordano.
Un altro istituto già accennato è l’Esdebitazione del debitore incapiente. Questo è un caso particolare e senza precedenti nella vecchia legge: se una persona non ha nulla da offrire (nessun bene, reddito minimo appena per sopravvivere) e risulta incapiente, può ugualmente rivolgersi al tribunale per ottenere l’esdebitazione immediata di tutti i debiti. È come dichiarare il proprio “fallimento personale” in senso morale e chiedere la cancellazione dei debiti senza pagar nulla. Ovviamente, ci sono condizioni stringenti: il debitore deve essere meritevole (non deve aver fatto spese sproporzionate o aggravato la sua situazione dolosamente, né aver usufruito di esdebitazione nei 5 anni precedenti), deve dimostrare di non poter offrire neanche parziale soddisfazione ai creditori, e l’esdebitazione “a zero” è revocabile entro 4 anni se il debitore dovesse “tornare a migliori fortune” (es. eredità o vincite). Questa chance può interessare persone davvero disperate, per esempio un anziano nullatenente con sola pensione minima e debiti per vecchie utenze, o anche un ex piccolo imprenditore che abbia chiuso l’attività e si ritrova con cartelle esattoriali ingenti ma nessun reddito. È una misura di clemenza economica, introdotta per recepire la direttiva UE 2019/1023 sul secondo tentativo, e mira ad evitare che persone prive di qualsiasi possibilità restino schiacciate a vita dai debiti (con relativi costi sociali).
Procedure familiari: Una novità notevole è la possibilità di presentare un unico piano o accordo per l’intero nucleo familiare indebitato. Se, ad esempio, marito e moglie hanno entrambi debiti (magari firmati insieme, come nel caso di genitore in RSA dove il coniuge e i figli firmano congiuntamente), possono fare un’unica procedura di sovraindebitamento, anziché due separate, riducendo costi e tempi. Devono essere conviventi e l’origine dei debiti deve essere comune o connessa. Ciò evita incoerenze e consente al giudice di vedere la situazione familiare nel complesso. Per fare un esempio, se entrambi i coniugi hanno firmato per la retta RSA della suocera, presentando un piano familiare si considera il bilancio complessivo e i creditori (RSA, banca ecc.) vengono soddisfatti con un’unica ripartizione.
Vantaggi per il debitore: Le procedure di sovraindebitamento offrono diversi vantaggi: appena ammesse, congelano i tassi di interesse (si interrompe l’accumulo di interessi di mora, ecc.), sospendono le procedure esecutive individuali (salvo eccezioni come alimenti), e impediscono ai creditori di iniziarne di nuove. Inoltre, molte volte comportano un saldo e stralcio dei debiti senza impugnazioni da parte dei creditori, i quali sono consapevoli che si tratta del massimo ricavabile. Per i debitori onesti, rappresentano un vero “percorso di risanamento”: durante la procedura dovranno rispettare il piano approvato (se c’è da pagare qualcosa), ma sanno che all’esito c’è la riabilitazione completa – come dice la legge, la procedura concede “un nuovo inizio” a chi vi accede. Questa filosofia è sintetizzata nel concetto di fresh start, che ormai permea il diritto fallimentare europeo.
Attenzione: L’accesso a queste procedure richiede la meritevolezza. Un debitore che ha contratto obbligazioni con dolo o colpa grave (es. indebitamento spropositato e ingiustificato, spese di lusso ingenti prima di chiedere aiuto, o peggio atti in frode come spostare i beni ai parenti poco prima) rischia di vedersi negata l’omologazione dal giudice per mancanza di buona fede. Ad esempio, se i figli di un anziano hanno deliberatamente firmato un costoso contratto RSA privato pur sapendo di non poter pagare, confidando di far poi ricadere il costo sul Comune, potrebbero essere considerati non del tutto incolpevoli. Tuttavia, la giurisprudenza tende ad applicare la meritevolezza in modo non eccessivamente punitivo, guardando soprattutto all’assenza di frode. Inoltre, la riforma ha introdotto il principio del merito creditizio inverso: se alcune finanziarie hanno prestato denaro con leggerezza a chi era già indebitato, ciò viene considerato e può ridurre le loro pretese (punisce l’azzardo morale del credito facile). Questo incentiva anche i creditori a valutare bene prima di opporsi.
In conclusione, la ristrutturazione del debito tramite queste procedure è il percorso da seguire quando la difesa “tradizionale” (opposizioni, dilazioni) non è più sufficiente. Nel contesto delle RSA, possiamo avere sia famiglie (consumatori) che ricorrono al piano del consumatore per liberarsi di debiti tra cui quelli verso RSA, sia piccole strutture che usano il concordato minore per evitare la chiusura disordinata, sia situazioni in cui l’unica via è la liquidazione controllata (ad esempio per chiudere i conti di un ente non profit in dissesto). L’obiettivo, in ogni caso, è arrivare alla esdebitazione, ossia alla cancellazione dei debiti residui, di cui parliamo ora specificamente.
L’esdebitazione: la liberazione finale dai debiti
Esdebitazione significa letteralmente “scorsoio dai debiti” ed è l’atto finale per cui un debitore viene dichiarato libero dall’obbligo di pagare i suoi debiti rimasti insoddisfatti dopo una procedura concorsuale. È il concetto di fresh start, la seconda opportunità. In Italia, l’esdebitazione per le persone fisiche è stata introdotta inizialmente per i fallimenti (Dlgs 5/2006) e poi estesa alle procedure di sovraindebitamento (L.3/2012), ed ora è disciplinata nel Codice della Crisi (artt. 278 e ss. CCII). Vediamo le caratteristiche principali, aggiornate alle ultime novità:
- Esdebitazione al termine della liquidazione giudiziale (ex fallimento): Un imprenditore individuale fallito, o i soci illimitatamente responsabili di società fallita, una volta chiusa la procedura (o anche dopo 3 anni dall’apertura, come novità) possono ottenere dal tribunale un decreto che dichiara inesigibili i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti. Con il terzo correttivo 2024, l’esdebitazione è divenuta quasi automatica: il tribunale contestualmente alla chiusura della procedura (quindi senza far passare tempo) dichiara inesigibili i debiti residui, su istanza del debitore. Se invece sono passati 3 anni dall’apertura e la procedura non è ancora chiusa, scatta un meccanismo di esdebitazione “di diritto” senza bisogno di istanza. Questo per evitare lungaggini: dopo tre anni, se ancora il fallimento non è terminato, il debitore onesto non deve attendere oltre. Ci sono però cause ostative classiche: se il debitore è condannato per bancarotta fraudolenta o reati gravi connessi, può essergli negata l’esdebitazione (infatti il correttivo dice che il tribunale sospende la decisione di esdebitazione in attesa dell’esito di eventuali procedimenti penali). Salvo questi casi, la regola è di favorire la liberazione. Importante: l’esdebitazione post fallimento riguarda solo le persone fisiche (l’imprenditore individuale, i soci illimitatamente responsabili). Le società di capitali invece, una volta liquidate, si estinguono e i debiti residui rimangono insoddisfatti senza un soggetto su cui rivalersi – di fatto un’esdebitazione “soggettiva” non serve perché la società non esiste più (nessuno potrà chiederli ai soci, a meno di garanzie). Dunque per le società l’esdebitazione è intrinseca alla cancellazione. Per le persone, invece, era necessario prevederla, altrimenti il fallito restava comunque obbligato verso i creditori per la parte non soddisfatta (come era prima del 2006). Ora non è così: se hai collaborato e non hai frodato, dopo la chiusura sei libero. Un aspetto da evidenziare è che la giurisprudenza ha ormai chiarito che l’esdebitazione libera da quasi tutti i debiti, compresi quelli tributari e contributivi e l’IVA, che un tempo si riteneva non condonabile. Questo perché, una volta che il tributo è insinuato al passivo e soddisfatto pro quota, la parte eccedente viene meno – il tutto in ossequio anche a una sentenza della Corte di Giustizia UE del 2019 che aprì alla remissione dell’IVA in procedure concorsuali di sovraindebitamento. Dunque anche il debito fiscale residuo (salvo sanzioni per reati, e naturalmente obblighi di mantenimento ex art. 433 c.c. che sono esclusi) viene cancellato dall’esdebitazione. È un dettaglio fondamentale: per chi accumula cartelle esattoriali insormontabili, la via del fallimento personale o sovraindebitamento è l’unica per azzerarle legalmente.
- Esdebitazione nelle procedure di sovraindebitamento: Nel Piano del Consumatore e nel Concordato Minore, l’esdebitazione è “intrinseca”: quando il debitore esegue fino in fondo il piano concordato (o comunque adempie la parte a suo carico) ottiene l’esdebitazione di ciò che non è stato pagato. Per esempio, se il piano prevedeva pagamento del 40% e questo avviene, il restante 60% è cancellato e il debitore torna libero. Se il debitore non riesce a rispettare il piano per cause a lui non imputabili (es. eventi imprevisti), può chiedere delle modifiche o anche la conversione in liquidazione o la proroga. Altrimenti rischia la revoca dell’omologazione. Nella Liquidazione Controllata, come detto, l’esdebitazione avviene al termine, entro 3 anni di durata, e non serve più la domanda separata (se il debitore non ha avuto comportamenti dolosi). Questa esdebitazione però non copre eventuali debiti alimentari, di mantenimento, e risarcimenti da illecito extracontrattuale dovuti per obblighi di fedeltà coniugale o fatti dolosi (questi sono esclusi per legge: ad esempio, se devo alimenti ai figli, quelli restano dovuti anche post esdebitazione; se ho una condanna per lesioni dolose a risarcire €50.000, non me la cancellano). Copre invece tutti i debiti “ordinari”: finanziamenti, fornitori, rette RSA, bollette, mutui, tasse (anche qui, quelle insinuate). Anche i coobbligati e garanti non sono protetti dall’esdebitazione altrui: se mio figlio fa da garante e io vengo esdebitato, il creditore potrà rivalersi su mio figlio per la parte non pagata (lui non beneficia della mia esdebitazione). Questo vale anche per i soci di società di persone: se la società ottiene un concordato minore e i debiti sociali residui si cancellano, i soci illimitatamente responsabili però ne rispondono personalmente (a meno che anch’essi non ottengano loro esdebitazione). Insomma, l’effetto liberatorio è personale e non si estende a eventuali co-debitori solidali.
- Effetti dell’esdebitazione: Il debitore esdebitato è come se riacquistasse la verginità finanziaria. I creditori non possono più pretendere nulla, a meno che scoprissero che l’esdebitazione fu ottenuta con dolo (ad esempio, se emergono attività nascoste, il tribunale può revocarla su istanza). Va segnalato che l’esdebitazione viene iscritta nel Registro Informatico dei Procedimenti di insolvenza (tenuto dal Ministero Giustizia) e nei dati della Centrale Rischi, ma dopo qualche anno questi dati sono cancellati. In pratica, consente a chi era oppresso dai debiti di tornare economicamente attivo, di poter possedere beni senza timore di perderli subito. Dal punto di vista etico-sociale, è un istituto di civiltà: evita che le persone finiscano in una “morte civile” per debiti. Tradizionalmente in Italia c’era diffidenza su questo (il fallito veniva visto sempre male), ma ormai la mentalità sta cambiando, anche grazie alle normative europee. Nel nostro contesto, pensiamo a famiglie che hanno anticipato tutte le sostanze per pagare le RSA e si sono indebitate: con le nuove pronunce, prima possono ottenere i rimborsi, e poi per i debiti residui (magari verso banche, perché hanno acceso prestiti per quelle spese) possono fare un piano del consumatore e uscirne. Oppure un piccolo ente gestore di RSA onlus che accumula debiti, può liquidare tutto e il presidente (se aveva firmato garanzie) potrà chiedere l’esdebitazione una volta chiuso.
Per completezza, ricordiamo che esdebitazione e fallimento non cancellano però eventuali sanzioni penali o ammende: quelle non sono “debiti” civili in senso stretto e restano (anche se il pagamento pecuniario delle multe penali di solito è trattato come credito erariale e può ricadere, ma la pena in sé no ovviamente). Comunque, nel civile-tributario, l’esdebitazione è generale. Un ultimo spunto: la Cassazione a Sezioni Unite nel 2020 (sent. 8500/2020) ha stabilito che l’esdebitazione post-fallimentare non è discrezionale: se ci sono le condizioni di legge, il giudice deve concederla, non può negarla per ragioni di equità. Questo a sottolineare che è un diritto del fallito onesto.
Esempio pratico: il signor Bianchi, piccolo imprenditore edile e coobbligato per il pagamento della RSA della suocera, fallisce con la sua ditta individuale. Durante il fallimento ha collaborato e dal ricavato i creditori hanno avuto il 20%. Alla chiusura, il tribunale pronuncia la sua esdebitazione: Bianchi non deve più nulla a nessuno. Nel frattempo, anche la moglie (figlia dell’anziana) aveva accumulato debiti personali, e accede a un piano del consumatore, in cui offre il pagamento del 30% con i suoi stipendio e TFR. Dopo 5 anni di pagamenti regolari, il giudice dichiara esdebitata anche la sig.ra Bianchi per il restante 70%. La famiglia Bianchi riparte da zero sul fronte debitorio: con fatica e sacrifici, ma senza più incubi di chiamate dei creditori o ufficiali giudiziari alla porta.
Abbiamo così delineato tutti gli strumenti di difesa e le soluzioni normative possibili per chi si trova coinvolto in debiti legati alle RSA – sia come familiare debitore verso RSA, sia come RSA debitrice verso altri o come debitore in genere. Per fissare meglio i concetti, proponiamo di seguito alcune simulazioni pratiche e una sezione di domande e risposte frequenti, che aiuteranno a chiarire gli ultimi dubbi dal punto di vista operativo.
Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)
Caso 1: Famiglia indebitata per le rette RSA di un parente
La Sig.ra Maria, 55 anni, ha fatto ricoverare il padre anziano (80 anni, malato di Alzheimer grave) in una RSA convenzionata. Al momento dell’ingresso, Maria ha firmato un contratto impegnandosi a pagare la retta di 3.000 €/mese, di cui 1.500 € a carico dell’utente. Il padre ha una pensione di 1.000 €, Maria ha aggiunto 500 € al mese di tasca propria. Dopo 2 anni, la spesa totale a carico loro è stata di circa 12.000 € (tra contributo mensile e altre spese), finché il padre è deceduto. La RSA tuttavia sostiene che la Regione non ha coperto alcune prestazioni e chiede alla famiglia altri 10.000 € di arretrati. Maria è in difficoltà economica (stipendio modesto, ha anche un mutuo) e non sa come pagare.
Analisi: Maria si trova come debitore verso RSA per €10.000 (oltre a quanto già pagato). Ma data la patologia del padre (Alzheimer grave) e la durata, è altamente probabile che quelle rette fossero in realtà interamente a carico SSN. Maria può quindi difendersi in questo modo: non paga e, se la RSA emette un decreto ingiuntivo, fa subito opposizione citando la Cassazione n. 34590/2023 e affermando la nullità del suo impegno firmato ex art. 1418 c.c. Inoltre, può contrattaccare chiedendo alla RSA (e per conoscenza alla ASL regionale) il rimborso dei 12.000 € già versati, sulla base delle nuove sentenze. Se la RSA persiste nel richiedere soldi, Maria può anche segnalare la vicenda a un’associazione di consumatori (tipo Konsumer) o ad un legale che ha già trattato casi simili, magari valutando un’azione collettiva con altri familiari. È probabile che la RSA, alla luce di tali argomentazioni, preferisca non rischiare una causa persa e ritiri la richiesta, oppure che la controversia si sposti sul Comune/Regione (che dovrebbero semmai farsi carico di quei €10.000). In ogni caso Maria, essendo erede del padre, deciderà se accettare o rinunciare all’eredità: se il papà non aveva altri beni rilevanti, potrebbe anche rinunciare all’eredità per non dover rispondere di alcun debito (la rinuncia all’eredità è un modo radicale di evitare i debiti del defunto, benché in questo caso sembra che neanche il defunto fosse debitore legittimo della retta). Qualora Maria dovesse comunque trovarsi con altri debiti (es. per il mutuo, o prestiti fatti per pagare la RSA in passato), potrebbe valutare un piano del consumatore includendo anche quelli – ma nel suo caso probabilmente non necessario se blocca per tempo la RSA. Esito: Maria con una buona difesa non paga i €10.000 richiesti, e con alta probabilità recupera anche parte delle somme versate, migliorando la sua situazione economica.
Caso 2: RSA (cooperativa) insolvente verso fornitori e banche
La cooperativa “Sereni Insieme” gestisce una RSA da 60 posti. Incassa rette dagli utenti (in parte pagate da loro, in parte dall’ASL). A seguito delle cause legali vinte dalle famiglie dei pazienti Alzheimer, 1/3 degli ospiti ha smesso di pagare la retta utente, e la Regione non rimborsa subito la quota mancante. In pochi mesi la cooperativa accumula €300.000 di debiti: bollette, stipendi arretrati, un mutuo con la banca per la ristrutturazione, fatture di fornitori alimentari e farmaceutici non pagate. Arrivano decreti ingiuntivi da fornitori e una minaccia di segnalazione in Centrale Rischi dalla banca. La cooperativa possiede la struttura immobiliare (valore €1,5 milioni) ma non ha liquidità. I 5 soci (anche amministratori) sono molto preoccupati: temono il fallimento e di perdere la struttura e il lavoro.
Analisi: La cooperativa “Sereni Insieme” è in stato di crisi. Poiché i debiti superano €500k? In questo scenario sono €300k, quindi se nei tre anni precedenti i ricavi non superavano €200k e attivo €300k, la coop potrebbe risultare non fallibile. Ma con 60 posti letto i ricavi annui ipotizziamo siano ben oltre €200k (60*€2500*12 = €1,8 milioni/anno grossi modo), quindi è soggetta a procedure concorsuali ordinarie. Come difendersi? La cooperativa deve immediatamente nominare un esperto per la composizione negoziata (se non lo ha già, magari ha un advisor che lo suggerisce). Chiederà misure protettive al tribunale per sospendere i decreti ingiuntivi e pignoramenti. Contemporaneamente, attraverso l’esperto, convocherà i creditori principali (banca e fornitori) per proporre un accordo: ad esempio, la banca potrebbe accettare un periodo di moratoria sul mutuo (spostando rate in coda) e i fornitori accettare un pagamento dilazionato su 12 mesi per gli arretrati. Nel frattempo, la cooperativa dovrà premere sulla Regione perché paghi le quote sanitarie dovute (magari unendosi alle rivendicazioni di categoria). Se la negoziazione riesce, la cooperativa potrebbe evitare di andare in procedura concorsuale: l’accordo stragiudiziale viene formalizzato e le misure protettive cessano con esito positivo. Se invece le trattative falliscono (ad esempio la banca vuole rientro immediato e un creditore ha già chiesto fallimento), la cooperativa può ripiegare su un concordato preventivo in continuità. Presenta un piano al tribunale: mantenere aperta la RSA, trovare magari un partner finanziario (es. un investitore disposto a immettere liquidità o acquistare una quota della struttura). Propone ai creditori chirografari (fornitori) di pagare il 50% in 2 anni, e garantisce alla banca il rientro integrale ma spostando le ultime rate. Mostra che il valore dell’immobile (€1,5M) coprirebbe comunque i debiti, quindi i creditori stanno al sicuro (ma se si va a fallimento, l’immobile venduto d’urgenza potrebbe realizzare meno e intanto la RSA sarebbe chiusa con costi). I creditori votano il concordato. Una volta omologato, “Sereni Insieme” esce dalla crisi: continua a operare, paga i creditori secondo il piano concordatario e – magari con l’approvazione del piano – ottiene anche dal sistema pubblico un’attenzione speciale (per esempio, la Regione in sede di tavolo di crisi si impegna a coprire in anticipo le spese per Alzheimer per non far collassare la struttura). I soci-amministratori nel frattempo hanno protetto il loro patrimonio personale: non avendo dato garanzie personali, il loro rischio è limitato alle quote della cooperativa (che nel worst case sarebbe liquidata, ma non intaccherebbe i loro beni). Esito: la cooperativa con la procedura di concordato evita il fallimento, salva la RSA e regolarizza i debiti tagliandoli parzialmente e dilazionandoli. In caso contrario, se la situazione fosse precipitata, i creditori avrebbero ottenuto un fallimento, il curatore avrebbe venduto l’immobile (forse a sconto) e la RSA sarebbe stata chiusa (con disagio per gli anziani ricoverati, perdita di posti di lavoro, ecc.). Quindi la difesa tramite ristrutturazione concordata è risultata vincente sia per il debitore sia nell’interesse generale.
Caso 3: Persona sommersa dai debiti (cartelle, finanziarie, spese RSA) senza possibilità di pagarli
Il sig. Luigi ha 67 anni, pensionato. Qualche anno fa, per aiutare il figlio disoccupato e pagare una lunga degenza in RSA della moglie (ora deceduta), ha fatto diversi debiti: €20.000 con una finanziaria, €5.000 di arretrati Tari/Imu con il Comune, e gli erano state addebitate anche €15.000 di rette RSA che non poteva saldare (fortunatamente poi annullate dal tribunale dopo la causa vinta contro la Regione, ma intanto aveva fatto un prestito di €10.000 per pagarne una parte). Oggi Luigi ha solo la casa di proprietà (valore €80k) e la pensione minima di €780. I debiti residui, tra finanziaria e Fisco, ammontano a circa €25.000. Le rate del prestito non riesce a pagarle e la finanziaria lo tormenta. È preoccupato che possano portargli via la casa.
Analisi: Luigi è un classico caso di sovraindebitamento del consumatore meritevole (ha fatto debiti per necessità famigliari, non per lusso). Lui potrebbe evitare i pignoramenti in due modi:
- Soluzione 1 – Legge “salva casa” + piano del consumatore: Per prima cosa, l’eventuale pignoramento della prima casa da parte del Fisco è escluso perché il debito fiscale è piccolo e la casa è l’unico immobile di residenza. La finanziaria privata in teoria potrebbe iscrivere ipoteca giudiziale e procedere, ma è improbabile per €10-15k perché la casa vale €80k e all’asta potrebbe non rendere. Luigi tuttavia non deve confidare nell’inattività altrui: può proporre un piano del consumatore al tribunale. Nel piano, offre di pagare ad esempio €100 al mese per 5 anni usando parte della pensione (tolti €680 mese per suo sostentamento, può destinare €100). In 5 anni sono €6.000. Propone di ripartirli tra finanziaria e Comune pro quota (il Fisco – se c’è – con l’aggio). Il piano dimostra che se gli vendessero la casa otterrebbero magari qualcosa in più, ma significherebbe lasciarlo senza casa, contrariamente alla finalità di tutela. Il giudice valuta la sua condizione: Luigi è meritevole (ha contratto debiti per la moglie malata), e la legge permette di salvare la prima casa se il piano è fattibile. Con la riforma, è espressamente prevista la possibilità che il piano preveda la continuazione dei contratti di finanziamento su immobili abitativi se il debitore può reggere le rate (qui la finanziaria è un prestito personale, non mutuo, quindi diverso). Comunque, il giudice può omologare il piano anche se la finanziaria votasse contro, data la natura di piano del consumatore. Luigi così pagherebbe solo una piccola parte del debito e otterrebbe l’esdebitazione del resto. La casa non verrebbe toccata e la pensione resterebbe sufficiente.
- Soluzione 2 – Liquidazione controllata con esdebitazione “incapiente”: Luigi, data l’età e il fatto che la pensione è quasi tutta necessaria a vivere, potrebbe optare per la liquidazione. Conferisce la casa alla procedura: il liquidatore proverà a venderla. Però casa di basso valore, magari periferica, potrebbe non trovare compratori facilmente o essere venduta a €50k. Quei soldi andrebbero ai creditori (che avrebbero circa il 100% così, in realtà). Ma Luigi rimarrebbe senza casa – un esito poco desiderabile. In alternativa, Luigi potrebbe provare a chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente direttamente, sostenendo che la casa è di modesto valore e la sua vendita lo priverebbe dell’alloggio senza risolvere i suoi problemi (potrebbe argomentare che vendendo casa e poi pagandosi un affitto finirebbe in miseria). Non è garantito che gliela concedano con la casa ancora di proprietà, perché la legge sull’incapiente è pensata per chi proprio non ha nulla. Potrebbe quindi vendere la casa a un parente ricavando qualcosa per sé, ma questo sarebbe visto male (frode). Meglio la via 1.
Esito: Con il piano del consumatore, Luigi mantiene la casa, paga solo una quota sostenibile dei debiti (il giudice potrebbe anche chiedere di prolungare a 6-7 anni se i creditori meritano un po’ di più, ma comunque non oltre 10), e ottiene l’esdebitazione del restante. Così la finanziaria non potrà più né chiamarlo né iscrivere ipoteche, e il Comune/Fisco incasserà la quota prevista e stop. Alla fine, Luigi potrà vivere con la sua pensione e nella sua casa serenamente, senza paura di esecuzioni. Avrà imparato ad evitare di indebitarsi oltre le sue possibilità, e magari i figli verranno sensibilizzati sulla necessità di contribuire loro (in futuro) per evitare di gravare su di lui.
Questi tre casi evidenziano come, con le giuste conoscenze e strumenti, il debitore possa ribaltare situazioni apparentemente disperate a proprio favore o quantomeno mitigare molto i danni. Nella Caso 1 la famiglia sfrutta la normativa a tutela dei malati per non pagare rette indebite; nel Caso 2 l’impresa RSA utilizza gli strumenti concorsuali per sopravvivere alla crisi; nel Caso 3 il pensionato usa le procedure di sovraindebitamento per uscire pulito dai debiti e proteggere la propria casa.
Passiamo ora a una serie di domande frequenti che sintetizzano i dubbi più comuni sul tema “RSA con debiti” dal punto di vista del debitore, con risposte concise.
Domande Frequenti (FAQ)
D1: I figli sono obbligati per legge a pagare la retta della RSA del genitore anziano?
R: No, non esiste una legge che imponga ai figli di farsi carico automaticamente delle rette RSA dei genitori. L’obbligo esistente è quello degli alimenti (art. 433 c.c.), che riguarda il mantenimento del genitore in stato di bisogno, ma non in modo specifico il pagamento di una retta contrattuale. In pratica, se il genitore non può pagare la RSA e il Comune copre le spese, quest’ultimo potrebbe poi chiedere ai figli un contributo tramite un’azione legale per alimenti. Tuttavia, i figli hanno diritto a far valutare dal giudice la loro capacità contributiva e l’eventuale presenza di altri parenti parimenti obbligati. Inoltre, per gli anziani non autosufficienti, la legge prevede l’ISEE individuale (non quello dei figli) per calcolare la quota di retta, quindi i figli in sede amministrativa non vengono coinvolti. In sintesi: i figli non devono pagare se la prestazione è sanitaria (in tal caso paga il SSN), e negli altri casi solo se un giudice lo stabilisce o se accettano volontariamente di farlo. Qualsiasi imposizione diretta da parte di una RSA verso i figli è giuridicamente contestabile.
D2: La RSA può dimettere o “buttar fuori” un anziano se la famiglia non paga più la retta?
R: In linea di principio no, non può interrompere arbitrariamente l’assistenza se ciò mette a rischio la salute dell’anziano. Le RSA accreditate hanno convenzioni che le obbligano a rispettare determinati standard e procedure anche in caso di morosità. In pratica, se l’utente non paga, la RSA cercherà prima soluzioni (coinvolgere il Comune, richiedere l’intervento dei servizi sociali). Il recesso unilaterale dal contratto di ospitalità per morosità è spesso previsto contrattualmente, ma deve essere esercitato con cautela: l’RSA dovrebbe assicurare il trasferimento in altra struttura o l’assistenza tramite il Comune. Inoltre, ora che sappiamo che molte di queste rette non sono dovute per legge (in caso di patologie gravi), la RSA che allontanasse un paziente non pagante rischierebbe grosse responsabilità (civili e anche penali se ne derivasse un danno). Diverso è se l’anziano non necessita più di assistenza (es. torna autosufficiente o guarito): in tal caso la RSA può dimetterlo secondo le regole, ma non per ripicca economica bensì perché non ha più titolo sanitario per starvi. In sintesi: nessuno può essere abbandonato per motivi economici; le vie legali (ingiunzioni ecc.) esistono proprio perché la struttura deve rivolgersi al giudice, non farsi giustizia da sé.
D3: Che succede ai debiti dell’anziano (per rette RSA o altri) quando muore?
R: Quando una persona decede, i suoi debiti diventano debiti ereditari. Gli eredi (figli, coniuge, ecc.) hanno tre opzioni: a) accettare l’eredità (e allora risponderanno dei debiti del defunto, illimitatamente con il proprio patrimonio); b) accettare con beneficio d’inventario (che separa patrimonio del defunto e dell’erede: i debiti si pagano solo con l’attivo ereditario, non toccano i beni personali dell’erede); c) rinunciare all’eredità (nessuna proprietà ma anche nessuna responsabilità per i debiti). Nel caso di debiti per rette RSA, bisogna distinguere: se, come visto, quelle rette non erano dovute perché prestazione sanitaria, allora in realtà il defunto non aveva un debito valido, e l’erede potrà opporsi a qualunque richiesta in tal senso. Se invece erano rette dovute, entrano nel calcolo. Spesso, se il defunto non lascia beni di valore, la scelta migliore per i figli è rinunciare all’eredità, soprattutto se i debiti superano i pochi attivi. Ad esempio, se una madre muore lasciando €5.000 in conto e €20.000 di debiti RSA, i figli possono rinunciare: i €5.000 andranno comunque ai creditori secondo le regole e i figli non pagheranno nulla di tasca loro. Se invece c’è una casa di famiglia come attivo, conviene accettare con beneficio d’inventario, vendere la casa e pagare i debiti con quel ricavato, tenendo l’eventuale residuo. Nota: la rinuncia all’eredità deve essere totale (non si possono prendere i beni e rifiutare i debiti), e va formalizzata davanti a un notaio o cancelliere entro 10 anni (ma attenzione: se si toccano i beni prima, vale come accettazione tacita!). Il beneficio d’inventario va chiesto entro 3 mesi e seguito da inventario. Sono pratiche delicate, quindi consultare un legale in caso di eredità con debiti è prudente.
D4: Come posso sapere se la retta di mio padre/madre rientra tra quelle “gratuite” perché sanitarie?
R: Bisogna valutare la cartella clinica e il Piano Assistenziale Individualizzato (PAI) del paziente in RSA. Se dal PAI risulta un bisogno di assistenza sanitaria continuo (es. somministrazione quotidiana di terapie, presenza di personale infermieristico h24, piaghe da decubito da trattare, ossigeno, alimentazione tramite PEG, ecc.), siamo probabilmente nell’area “elevata integrazione sanitaria”. Diagnosi come demenza senile grave, Alzheimer, Parkinson avanzato, SLA, esiti di ictus con paralisi sono forti indicatori. Anche il punteggio di valutazione multidimensionale (es. scheda SOSIA o simili utilizzate dalle UVG/USL) se molto alto attesta non autosufficienza profonda. Inoltre, se la ASL copre già una quota consistente (es. 70%), è segno che riconosce una parte sanitaria importante. Al contrario, se la persona è in RSA più che altro per mancanza di supporto familiare ma ha autonomia su molte funzioni (es. un anziano lucidocon qualche difficoltà motoria ma senza patologie acute), allora la componente sanitaria è ridotta. In caso di dubbio, potete consultare un medico legale geriatrico: in diversi casi i familiari hanno fatto fare perizie per dimostrare che “le prestazioni sanitarie non potevano essere scisse da quelle socioassistenziali”. La giurisprudenza ha chiarito che anche malattie come la demenza senile (non solo Alzheimer conclamato) possono rientrare. Inoltre, Cassazione ha detto che non conta se la RSA chiama una parte “quota sociale”: se per curare serve anche l’assistenza, quel costo è sanitario. Quindi, se sospettate forte integrazione, siete probabilmente nel giusto. Purtroppo molte famiglie finora non lo sapevano e hanno pagato; oggi, informatevi perché potreste scoprire che avevate diritto alla gratuità.
D5: Ho già pagato migliaia di euro di rette RSA per un parente con Alzheimer. Posso recuperarli ora, dopo le nuove sentenze?
R: Sì, è possibile chiedere il rimborso retroattivo, ma preparatevi a un’azione legale contro l’ente pubblico o la RSA. Dipende se la RSA era pubblica/convenzionata (in tal caso si cita tipicamente l’ASL o la Regione per ottenerli indietro) oppure privata (in questo caso, la causa è contro la RSA stessa, come in alcune cause finite in Cassazione). Molti tribunali stanno riconoscendo rimborsi integrali per gli ultimi 10 anni (questo perché l’azione di ripetizione di indebito verso la PA ha prescrizione decennale dal pagamento). C’è stato un tentativo di limitare retroattivamente a 5 anni con legge, ma non è passato. Quindi, in teoria, se avete pagato rette non dovute fin dal 2015, potete chiedere tutto da allora. L’importante è documentare: conservate ricevute, bonifici, estratti conto e ovviamente la prova dello stato di salute (cartelle cliniche). Un avvocato esperto può redigere il ricorso citando la giurisprudenza (Cass. 22748/2022, Cass. 34590/2023, Cons. Stato 3074/2025, Corte App. Milano 1644/2025, ecc.). Spesso, la stessa ASL o Regione potrebbe scegliere di transare prima del giudizio (visto che ormai la giurisprudenza è chiara). Se vincete, oltre al capitale avrete interessi legali e rivalutazione dalle date dei pagamenti, più le spese legali a carico loro. Ad esempio, la sentenza di Roma 2023 ha riconosciuto €166.000 di rimborso a una figlia per tutte le rette pagate. Quindi, sì: “si può riavvolgere il nastro” e riottenere quelle somme, e ne vale la pena se parliamo di importi elevati.
D6: La mia casa di abitazione è a rischio se ho debiti?
R: Dipende dal tipo di debiti e dai creditori. Se il debitore è inadempiente:
- Per crediti fiscali: la prima casa (se unica e non lusso) non è pignorabile dall’Agenzia Entrate Riscossione. Possono ipotecarla se il debito supera €20.000, ma non metterla all’asta salvo debito > €120.000 e altre condizioni.
- Per crediti bancari, finanziarie, privati: purtroppo non esiste un divieto generale. In teoria, anche un debito di €5.000 con un fornitore potrebbe portare a pignoramento immobiliare. Nella pratica, raramente succede per cifre piccole: la procedura costa e richiede tempo, conviene per crediti grossi. Per i crediti medio-grandi, la banca o il creditore potrebbero procedere.
- Se la casa è cointestata con il coniuge (in comunione dei beni o comproprietà), il creditore può pignorare solo la quota del debitore e chiedere la divisione. È complicato e spesso preferiscono iscrivere ipoteca e aspettare.
- La buona notizia è che in sede di sovraindebitamento o concordato si può pensare di proteggerla: ad es. includendo nel piano il pagamento ipotetico che i creditori avrebbero dalla vendita della casa, così da soddisfarli senza venderla. Spesso i giudici accettano soluzioni che mantengono l’abitazione al debitore, soprattutto se c’è dentro la famiglia, purché i creditori non siano danneggiati (cioè ricevono l’equivalente). Ci sono stati casi di piani del consumatore che prevedevano che il debitore continuasse a pagare il mutuo regolarmente e mantenesse la casa, riducendo altri debiti – il tribunale li ha omologati per non aggravare la situazione sociale del debitore.
In sintesi: la casa può essere a rischio con creditori privati, ma esistono contromisure. Mai ignorare un atto di pignoramento immobiliare: conviene attivarsi per trovare un accordo o una procedura concorsuale prima che vada all’asta. Se invece i debiti sono solo tributari e la casa è la prima e unica, si può stare relativamente tranquilli che non verrà espropriata (il che non significa non pagare Equitalia: metteranno comunque ipoteca e potrebbero pignorare stipendio o conto in banca!).
D7: In caso di debiti multipli, come scelgo tra piano del consumatore, concordato minore o liquidazione?
R: Dipende dalla natura del debitore e da cosa si vuole ottenere:
- Se sei consumatore puro (privato senza partita IVA) e hai una situazione recuperabile in parte con entrate future, il Piano del Consumatore è ideale perché non richiede consenso dei creditori e puoi adattare le rate alla tua capacità.
- Se sei un piccolo imprenditore/professionista con debiti di lavoro, devi usare il Concordato Minore (accordo) perché non sei “consumatore”. Questo richiede convincere una maggioranza di creditori (almeno 60%). Lo userai se hai un’attività da salvare o se pensi di poter ottenere il voto (es. la banca che è il 70% del debito è d’accordo).
- Se invece non hai modo di pagare quasi nulla o vuoi chiudere un’attività, la Liquidazione Controllata è la strada: vendere i beni e liberarti dai debiti. È doloroso (perdi l’attivo) ma ti concede l’esdebitazione, cioè azzeri il resto. La scegli quando non c’è speranza di ripresa economica e preferisci “pulire il foglio” subito.
- Un criterio: se possiedi beni non essenziali (tipo seconde case, terreni) e debiti > valore dei beni, conviene la liquidazione: liquidi tutto e poi sei libero (nessuno potrà più tormentarti per differenze). Se invece possiedi solo la casa di abitazione e la vuoi salvare, meglio tentare un Piano/Concordato offrendo pagamenti dilazionati con reddito, perché in liquidazione la casa verrebbe liquidata.
- La meritevolezza: se in passato hai avuto comportamenti discutibili (es. hai dilapidato patrimonio, fatto spese pazze creando debiti), potresti trovare ostacoli all’omologazione del piano – in quel caso forse conviene liquidazione lo stesso (dove la meritevolezza conta meno, basta collaborare).
In pratica serve un consulente OCC (Organismo Composizione Crisi) o un avvocato esperto per analizzare i numeri e suggerire la via. Il Codice della Crisi consente anche di passare da una procedura all’altra se fallisce (es. se non ottieni voti nel concordato minore, puoi chiedere la liquidazione controllata in automatico). Quindi c’è flessibilità.
D8: Quali debiti non si cancellano con l’esdebitazione?
R: Pochi tipi: per legge restano comunque dovuti gli obblighi di mantenimento/alimenti/famigliari (es: arretrati di assegno di divorzio, alimenti ai figli, ecc.), le obbligazioni derivanti da illecito civile per fatto doloso (se hai un risarcimento da pagare per un atto illecito commesso con dolo, la vittima può ancora pretenderlo) e le sanzioni penali o amministrative di carattere punitivo (multe penali, ammende). Ad esempio, se hai 30.000 € di arretrati di assegni familiari, quelli non li cancelli, i figli potranno sempre cercare di riscuoterli, anche dopo fallimento. Idem se hai una multa della Consob per aggiotaggio: è “punitiva”, probabilmente esclusa. Tutti i debiti ordinari (banche, carte, fornitori, affitti, leasing, mutui residui, cartelle fiscali e contributive, interessi, etc.) vengono cancellati. Attenzione: l’esdebitazione inoltre non toglie i diritti di garanzia: se un debito aveva un’ipoteca su un bene di un terzo, il creditore potrà comunque espropriare quel bene ipotecato (perché la garanzia è di terzo, non del debitore esdebitato). Quindi, se tua moglie aveva ipotecato casa sua per un tuo debito, anche se tu ti esdebiti, la banca potrà agire sull’ipoteca della casa di tua moglie. Oppure se un amico ti aveva firmato una fideiussione, il creditore potrà sempre chiedere a lui. L’esdebitazione infatti protegge solo te, non i coobbligati o garanti.
D9: Ho sentito parlare di “saldo e stralcio” delle cartelle esattoriali (rottamazione, stralcio). Come si concilia col sovraindebitamento?
R: Periodicamente lo Stato vara misure di definizione agevolata dei debiti fiscali. Ad esempio, la Rottamazione-quater 2023 permetteva di pagare cartelle senza sanzioni e interessi di mora in 18 rate; la Legge di Bilancio 2023 ha persino previsto lo stralcio automatico delle mini-cartelle ≤ €1.000 anteriori al 2015. Queste misure sono parallele alle procedure concorsuali: se rientri, bene, approfittane subito perché eviti anche procedure formali e costi. Se hai debiti fiscali grossi, prima di fare sovraindebitamento valuta se è aperta una finestra di rottamazione (nel 2025 al momento no, la quater è chiusa il 30/6/23 per domanda). Nel piano del consumatore o concordato minore comunque puoi includere i debiti fiscali alle condizioni di legge: in genere devi pagare almeno il capitale imposta e contributi e il 55% delle sanzioni (c’è un trattamento di favore nel Codice: la transazione fiscale può abbattere sanzioni e interessi interamente, e da ultimo pure l’IVA può essere tagliata, cosa prima controversa). In ogni caso, la procedura concorsuale prevale su misure ordinarie: se presenti un piano del consumatore e ottieni omologa, puoi includere le cartelle anche se prima l’agente non voleva rateizzare. Diciamo che la rottamazione è una scorciatoia extra-giudiziale quando c’è, da preferire perché meno impegnativa. Ma se non c’è o non copre tutto, la via del sovraindebitamento rimane aperta e anzi risolutiva (ti libera anche di eventuali parti non condonabili).
D10: Come incide il punto di vista “del debitore” nell’affrontare queste situazioni?
R: Questa domanda la ribaltiamo: spesso nelle controversie finanziarie l’approccio è creditori vs debitori. Qui abbiamo voluto guardare dal lato del debitore, cioè di chi subisce la pressione del debito. Questo porta a far emergere strumenti che talvolta il debitore non sa nemmeno di avere a disposizione. Ad esempio, pochi familiari sapevano di poter dire “no” alle richieste RSA appellandosi ai LEA sanitari; pochi piccoli imprenditori conoscevano la composizione negoziata per evitare il fallimento; molti non sanno che la legge consente di cancellare i debiti e ripartire (esdebitazione) senza portarsi la croce a vita. Il punto di vista del debitore significa anche cercare le soluzioni più umane e sostenibili: la legge per fortuna oggi ne offre parecchie. Naturalmente, ogni strumento va usato correttamente e non in malafede. Va anche detto che un debitore informato è meno ricattabile: può dire al creditore “so che non puoi pignorarmi questo” oppure “proverò ad andare in concordato così tutti riceveranno il giusto ma non di più”. Ciò spesso porta anche i creditori a più miti consigli e a negoziare. In definitiva, adottare il punto di vista del debitore significa dare attuazione concreta a principi di civiltà giuridica come la dignità della persona, la funzione sociale dell’impresa e il diritto alla salute: nessun debitore dovrebbe essere privato del minimo per vivere o di cure essenziali a causa dei debiti, e nessuna crisi economica dovrebbe cancellare quanto costruito se esistono vie per risanare.
Fonti e Riferimenti (Normativa & Giurisprudenza)
- Codice Civile: artt. 167-170 c.c. (fondo patrimoniale), artt. 2740-2744 c.c. (responsabilità patrimoniale e garanzie), artt. 433-448 c.c. (obbligazioni alimentari).
- Codice di Procedura Civile: artt. 492 e ss. (pignoramento), art. 495 (conversione pignoramento), art. 514 (beni mobili impignorabili), art. 543 e ss. (pignoramento presso terzi).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n.602, art. 76 (limiti al pignoramento immobiliare da parte dell’Agente della Riscossione).
- D.lgs. 30 dicembre 1992 n.502 e D.lgs. 19 giugno 1999 n.229 – Riforma sanitaria, organizzazione distretti e definizione prestazioni sociosanitarie integrate.
- D.P.C.M. 14 febbraio 2001 – Definisce i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sociosanitari, art. 3 commi 1 e 3 sulla gratuità delle prestazioni ad elevata integrazione.
- D.P.C.M. 20 novembre 2001 – Atto di indirizzo e coordinamento per l’assistenza agli anziani non autosufficienti (c.d. “decreto di San Valentino”), richiamato da Cassazione.
- L. 328/2000 (“Legge quadro sui servizi sociali”), art. 6 e 24 (integrazione socio-sanitaria, ruolo dei Comuni).
- D.lgs. 109/1998 e D.lgs. 130/2000 – Norme ISEE previgenti, con previsione di considerare solo reddito dell’assistito per anziani non autosufficienti (confermato da Cons. Stato n.1607/2011).
- D.P.C.M. 159/2013 – Regolamento ISEE, introduzione dell’ISEE sociosanitario residenziale per RSA (considera solo reddito individuo se disabile grave o anziano non autosufficiente, con esclusione ISEE familiare).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019), come modificato dai D.lgs. 147/2020 e 83/2022 (correttivi): Parte I, Titolo II (allerta e composizione negoziata); Titolo IV (concordato preventivo e strumenti di regolazione concordata); Titolo V (liquidazione giudiziale); Titolo VI (sovraindebitamento). In particolare: artt. 54-64 (composizione negoziata), 74-88 (concordato preventivo), 57-64 (accordi ristrutturazione), 65-73 (piani attestati), 268-277 (procedures familiari), 278-281 (condizioni esdebitazione), 282-283 (esdebitazione incapiente), 304-314 (liquidazione controllata), 312 (esdebitazione post-liquidazione).
- Legge 3/2012 (sovraindebitamento) – abrogata ma trasfusa nel Codice della Crisi, rimane come riferimento storico e per giurisprudenza anteriore.
- Cassazione Civile Sez. I, 02/01/2025 n. 28 – Ordinanza (ud. 4/12/2024) caso di riparto spese RSA tra figli, rigetta ricorso e conferma obbligo contributivo pro quota.
- Cassazione Civile Sez. Unite, 11/12/2023 n. 34590 – Sentenza storica su malati Alzheimer: prestazioni RSA totalmente a carico SSN se parte sanitaria e assistenziale inscindibili. Conferma giurisprudenza definita “granitica”.
- Cassazione Civile Sez. I, 07/02/2023 n. 3038 – Sentenza su integrazione socio-sanitaria, cita gratuità per prestazioni sanitarie a rilevanza sociale.
- Cassazione Civile Sez. I, 17/05/2023 n. 13714 – Sentenza ribadisce che non si può distinguere tra quote sanitarie e sociali per Alzheimer, tutto a carico SSN.
- Cassazione Civile Sez. I, 20/03/2012 n. 4558 – Sentenza pilota: spese RSA malato Alzheimer gravemente affetto = attività sanitaria ex lege 730/1983, retta non recuperabile dai parenti.
- Cassazione Civile Sez. I, 02/08/2022 n. 22748 – Sentenza sul carattere sanitario delle prestazioni RSA per non autosufficienti; conferma principio gratuità e richiama Cons. Stato 1607/2011.
- Cassazione Civile Sez. Unite, 13/02/2020 n. 8500 – Principio sull’esdebitazione post-fallimentare: diritto del debitore onesto, non discrezionale, e anche debiti erariali condonati (richiama Cass. SU 24214/2011 su IVA).
- Consiglio di Stato Sez. V, 15/02/2011 n. 1607 – Sentenza fondamentale: per disabili gravi e anziani non autosufficienti servizi domiciliari/residenziali, la contribuzione è basata su ISEE individuale non familiare (livello essenziale ex art. 117 Cost).
- Consiglio di Stato Sez. V, 13/03/2025 n. 3074 – Conferma in ambito amministrativo del principio: costi RSA per Alzheimer e patologie neurodegenerative interamente a carico SSN.
- Corte d’Appello di Milano, 10/07/2025 n. 1644 – Prestazioni socio-assistenziali imprescindibili per quelle sanitarie: spese RSA totalmente a carico SSR, nullo l’impegno del familiare a pagare.
- Tribunale di Roma, 2023 (sentenza non num.) – Caso di rimborso integrale €166.000 spese RSA Alzheimer, condannata Regione Lazio.
- Tribunale di Trieste, 2019 – (Causa avv. Truzzi/Franchi, poi Cass 34590/23) – Eredi ottengono in appello nullità accordo e rimborso ~€80.000 rette RSA pagate.
- Corte d’Appello di Trieste, 2021 – (n. ?? cit. in Cass 34590/23) Riforma sentenza di primo grado, dichiarando nullo accordo ricovero e condannando Casa di riposo a restituire somme.
- Corte d’Appello di Lecce, 06/10/2022 n. 1024 – Riconosce rivalsa Comune su figli solo nei limiti obbligo alimentare ex art. 433 c.c., previa valutazione giudiziale.
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