Poliziotto Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi

Sei un poliziotto con debiti e la situazione economica ti sta mettendo sotto pressione?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti sullo stipendio, solleciti da banche o finanziarie e temi ripercussioni anche sulla tua carriera? In questi casi è fondamentale sapere quali sono i tuoi diritti, come difenderti legalmente e quali strumenti usare per proteggere il tuo reddito e la tua stabilità professionale.

Quando un poliziotto può trovarsi con debiti
– Quando ha acceso prestiti personali, cessioni del quinto o deleghe di pagamento che ora non riesce più a onorare
– Quando ha accumulato debiti fiscali o contributivi per vecchie attività o errori di gestione
– Quando è stato garante per familiari o amici e si è ritrovato a dover pagare per loro
– Quando spese impreviste (emergenze familiari, malattie, separazioni) hanno compromesso il bilancio
– Quando, a causa di riduzioni nelle indennità o straordinari, il reddito disponibile si è ridotto

Cosa può succedere a un poliziotto con debiti
Pignoramento di una quota dello stipendio, direttamente presso l’amministrazione
Blocco del conto corrente, con conseguenze sulla gestione quotidiana delle spese
Segnalazione come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie, con difficoltà ad accedere a nuovi finanziamenti
Stress e pressione psicologica, con possibili ripercussioni anche sul lavoro operativo
– Nei casi più gravi, rischio di azioni disciplinari se i debiti portano a situazioni incompatibili con il servizio

Cosa puoi fare per difenderti se sei un poliziotto con debiti
– Far verificare da un avvocato quali debiti sono effettivamente dovuti e quali prescritti o impugnabili
– Se hai cartelle esattoriali, valutare rateizzazione, rottamazione o saldo e stralcio
– Se l’indebitamento è troppo alto, ricorrere alla procedura di sovraindebitamento, che può ridurre o azzerare legalmente le somme dovute
– In caso di pignoramento dello stipendio, chiedere la riduzione della quota trattenuta o la sospensione se ci sono i presupposti
– Trattare con banche e finanziarie un piano di rientro sostenibile, per evitare interessi e more
– Proteggere i beni personali e familiari da azioni esecutive con strumenti legittimi

Cosa puoi ottenere con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti e altre azioni esecutive
– La riduzione dell’importo complessivo dei debiti attraverso accordi o procedure giudiziarie
– La protezione dello stipendio e dei beni familiari
– La possibilità di chiudere definitivamente la posizione debitoria e ripartire
– Il recupero della tranquillità personale e professionale, evitando conseguenze disciplinari

Attenzione: anche con un impiego pubblico e stabile, non sei immune dalle azioni dei creditori, ma hai accesso a strumenti di difesa efficaci che possono salvaguardare sia la tua situazione economica che la tua carriera. Intervenire subito, con una strategia mirata, è la scelta migliore.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, tutela del dipendente pubblico e difesa del patrimonio ti spiega cosa fare se sei un poliziotto con debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.

Hai ricevuto cartelle, pignoramenti o solleciti e non sai come muoverti?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Ti aiuteremo a bloccare gli atti esecutivi, ristrutturare i debiti e difendere il tuo stipendio e la tua stabilità professionale.

Introduzione

Un appartenente alle forze di polizia con problemi di debiti si trova in una situazione delicata, in cui deve conciliare gli obblighi finanziari con i doveri del servizio. Avere debiti, di per sé, non è né un reato né automaticamente un illecito disciplinare, ma se la situazione sfugge di mano può comportare conseguenze sia legali sia professionali. I regolamenti disciplinari richiedono una condotta integerrima e, nello specifico, per la Polizia di Stato vige il divieto di “contrarre debiti senza onorarli (art. 12, co.3 D.P.R. 782/1985). Ciò significa che il personale in divisa, pur senza inutili allarmismi o stigmatizzazioni, è tenuto ad affrontare con serietà i propri debiti evitando di ignorarli. Analoghe disposizioni esistono anche per altre Forze (ad es. per l’Arma dei Carabinieri è considerata mancanza grave “non onorare i debiti o contrarli con persone moralmente o penalmente controindicate”).

Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un quadro avanzato delle normative italiane, delle procedure e delle sentenze più recenti in materia di debiti per un poliziotto debitore, adottando un linguaggio giuridico ma chiaro. Saranno analizzate tutte le tipologie di debito, i rimedi per difendersi dalle azioni esecutive (pignoramenti, cartelle, ecc.), le procedure di sovraindebitamento per uscire dalla crisi, nonché i profili disciplinari e di eventuale incompatibilità legati all’indebitamento del personale di polizia. Completano la guida alcune tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è fornire uno strumento utile sia ai non addetti ai lavori (cittadini, imprenditori indebitati) sia agli operatori del diritto che assistono membri delle forze dell’ordine in difficoltà economica.

Attenzione: essere indebitati non deve generare vergogna o panico. Un poliziotto con debiti non è un “colpevole”, ma una persona che affronta un problema sempre più diffuso. Con la giusta strategia e assistenza legale è possibile tutelare il proprio stipendio, la propria casa e la propria reputazione professionale, evitando il peggioramento della situazione e uscendo gradualmente dall’indebitamento. Vediamo come.

Tipologie di debito e relative conseguenze

Un debito è l’obbligo di pagare una somma di denaro a un creditore. Un appartenente alla Polizia di Stato può incorrere in varie tipologie di debiti, ciascuna con caratteristiche e conseguenze specifiche. Passiamo in rassegna le principali categorie, con esempi e note sulle particolarità delle azioni di recupero del credito in ciascun caso:

  • Debiti bancari e finanziari: sono i debiti contratti con banche o finanziarie – ad esempio mutui ipotecari, prestiti personali, finanziamenti auto, carte di credito, ecc. Se non si pagano una o più rate, la banca o finanziaria attiva prima il recupero crediti in via stragiudiziale (solleciti, telefonate) e poi può agire legalmente ottenendo un decreto ingiuntivo per procedere con pignoramenti di beni o dello stipendio. Questi debiti non hanno privilegio particolare: il creditore deve munirsi di un titolo esecutivo prima di pignorare stipendi, conti correnti, auto o altri beni. Esempio: il mancato pagamento di un mutuo espone il debitore all’esecuzione immobiliare (vendita forzata della casa), dato che la banca generalmente ha già un’ipoteca a garanzia.
  • Debiti verso privati o fornitori: includono obbligazioni varie come acquisti a rate da esercizi commerciali, prestiti ricevuti da parenti o amici, onorari professionali non pagati (ad es. parcelle di avvocati) – ciò può capitare se il poliziotto ha svolto attività extra o incarichi personali. Le conseguenze e le tutele del creditore sono simili ai debiti bancari: il creditore può andare in giudizio per ottenere un titolo esecutivo e procedere a pignoramenti. Si ricorda che tutti i beni presenti e futuri del debitore rispondono delle obbligazioni (principio di responsabilità patrimoniale universale ex art. 2740 c.c.), salvo le limitazioni di legge. Ciò significa che anche lo stipendio corrente e futuri emolumenti del poliziotto rientrano nel patrimonio aggredibile, sebbene – come vedremo – con limiti ben precisi.
  • Debiti tributari (verso il Fisco): riguardano tasse o imposte non pagate (es. IRPEF, IVA), cartelle esattoriali per tributi statali o locali, multe stradali non pagate, contributi previdenziali non versati (ad esempio all’INPS) ecc. In questi casi il creditore è un ente pubblico – tipicamente l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER) per i tributi erariali e le cartelle, oppure altri enti impositori (Comuni per IMU/TARI, INPS per contributi, ecc.). La riscossione fiscale segue procedure speciali: dopo la notifica della cartella o di un avviso di accertamento esecutivo, se il debito non è pagato né rateizzato l’Agente della Riscossione può procedere senza bisogno di un giudice, emettendo direttamente atti di pignoramento (su stipendio, conto corrente, veicoli, ecc.). Ad esempio, la legge consente all’AdER di pignorare lo stipendio secondo scaglioni prefissati (1/10, 1/7 o 1/5, a seconda dell’importo mensile – v. tabella sotto). Inoltre AdER può iscrivere fermi amministrativi sui veicoli o ipoteche sugli immobili del debitore senza passare dal tribunale, e molti debiti fiscali sono assistiti da privilegi (ad es. su TFR/TFS del dipendente pubblico). I costi e interessi di mora sui debiti tributari sono elevati, quindi è importante prestare attenzione ad atti come cartelle, intimazioni e diffide di pagamento: ignorarli porta rapidamente ad azioni esecutive “automatiche” da parte del Fisco.
  • Debiti per mantenimento familiare (obblighi alimentari): riguardano gli obblighi di mantenimento verso familiari, ad esempio l’assegno mensile stabilito dal giudice a favore del coniuge separato o dei figli. Questi crediti hanno natura privilegiata in quanto attengono al diritto agli alimenti. Se un poliziotto non versa regolarmente quanto dovuto, il beneficiario può rivolgersi al giudice per ottenere un ordine di pagamento diretto (il tribunale può disporre che una quota dello stipendio venga versata al familiare ogni mese). Inoltre, la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento può costituire reato (art. 570 c.p., violazione degli obblighi di assistenza familiare). In sede civile, questi crediti alimentari possono essere pignorati sullo stipendio anche oltre il limite del quinto, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale, generalmente fino a un terzo della retribuzione. Esempio: se un agente ha €10.000 di arretrati per mantenimento dei figli, il giudice dell’esecuzione potrebbe autorizzare una trattenuta mensile di 1/3 dello stipendio fino a saldare tale importo. Il limite del 33% viene applicato bilanciando il diritto del familiare e il sostentamento minimo del debitore. Va precisato inoltre che non tutti i crediti verso familiari sono “alimentari” in senso tecnico: ad esempio, l’assegno divorzile per l’ex coniuge non è considerato credito alimentare, e se non pagato viene trattato alla stregua di un debito ordinario, pignorabile dunque nel limite del quinto.
  • Debiti da sanzioni o risarcimenti vari: rientrano in questa categoria le multe amministrative (come le contravvenzioni stradali), le sanzioni pecuniarie di vario genere, oppure eventuali risarcimenti danni stabiliti dal giudice civile. Le multe stradali non pagate si trasformano in cartelle esattoriali, ricadendo quindi nei debiti tributari trattati come sopra (con AdER come agente di riscossione). I debiti da sentenze civili (es. una condanna a risarcire un danno provocato in un incidente) sono debiti ordinari derivanti da titolo giudiziale. Per il personale in divisa può capitare, in casi particolari, anche di dover risarcire l’Amministrazione di appartenenza per danno erariale (si pensi a una condanna da parte della Corte dei Conti): in tal caso, oltre al procedimento contabile, se viene accertato il danno e imposto il pagamento, l’Amministrazione potrà rivalersi sul dipendente, ad esempio con trattenute sullo stipendio. Fortunatamente queste ipotesi sono rare e di norma legate a comportamenti gravemente colposi o dolosi del dipendente.

Tabella riepilogativa – Limiti di pignorabilità dello stipendio

Di seguito una tabella riassuntiva dei principali tipi di credito e delle relative soglie legali di pignorabilità dello stipendio, ai sensi dell’art. 545 del codice di procedura civile e norme speciali correlate:

Tipo di creditoEsempi comuniLimite pignorabile sullo stipendioNote
Crediti ordinari(banche, finanziarie, privati, ex coniuge per assegno divorzile, fornitori)Prestiti personali, carte di credito, rate non pagate, prestiti tra privati, assegno divorzile all’ex coniuge.Max 1/5 dello stipendio netto, complessivamente per tutti i crediti ordinari. Se coesistono più creditori ordinari, condividono lo stesso quinto (non si sommano più quinti).Il quinto (20%) è la regola generale per “ogni altro credito” ex art. 545 co.4 c.p.c. Un eventuale secondo pignoramento ordinario può intervenire solo quando il primo termina, salvo concorso con cause diverse (vedi combinazioni sotto).
Crediti alimentari(assegni di mantenimento per figli o altri alimenti ex art. 433 c.c.)Mantenimento figli minori o disabili; alimenti a familiari in stato di bisogno.Percentuale stabilita dal giudice caso per caso; in pratica fino a 1/3 dello stipendio. Se concorre con altri pignoramenti, il totale può arrivare fino alla metà dello stipendio.Necessaria autorizzazione del giudice (art. 545 co.3 c.p.c.). L’1/3 è il massimo di prassi, ma può essere modulato su importi inferiori a discrezione del giudice. Ha priorità sugli altri crediti: in caso di concorso con pignoramenti ordinari/fiscali, il credito alimentare viene soddisfatto per primo entro il tetto autorizzato.
Crediti tributari(Erario ed enti fiscali)Imposte statali (IRPEF, IVA), tributi locali (IMU, TARI), contributi INPS, multe CdS divenute cartelle esattoriali.1/5 dello stipendio per crediti fiscali in generale (art. 545 co.4 c.p.c.). Scaglioni AdER: 1/10 se < €2.500, 1/7 se €2.500–5.000, 1/5 oltre €5.000 (sul netto).Le frazioni 1/10 e 1/7 derivano dall’art. 72-ter D.P.R. 602/1973, applicato dall’Agente Riscossione sulle retribuzioni nette sotto certe soglie. In ogni caso un singolo credito fiscale non supera il 20%. Se concorre con altri tipi (es. fiscale + alimentare + ordinario), possono sommarsi più trattenute purché almeno metà dello stipendio resti libera. Novità: dal 2026, per dipendenti pubblici con cartelle > €5.000 e stipendio > €2.500 lordi, scatterà un blocco automatico di 1/7 (v. sez. dedicata).
Crediti assistenziali non pignorabili(Redditi impignorabili per legge) Esempi: assegno sociale, pensione di invalidità civile, sussidi di maternità, indennità funerarie, assegno unico per i figli.Impignorabili 100% – esclusi da qualunque esecuzione forzata.L’art. 545 commi 1-2 c.p.c. elenca i crediti totalmente impignorabili, tra cui i sussidi di sostentamento, di malattia, maternità, funerari, ecc. Anche gli assegni per il nucleo familiare o l’assegno unico rientrano tra le somme esenti da pignoramento perché di natura assistenziale.

Nota: lo stipendio di un dipendente pubblico (inclusi poliziotti e militari) oggi è equiparato a quello del settore privato ai fini della pignorabilità. Un tempo vigevano tutele maggiori per i salari statali – in passato, per legge, lo stipendio degli impiegati civili era in gran parte impignorabile, salvo poche eccezioni (ex D.P.R. 180/1950) – ma dalla fine degli anni ’80 la Corte Costituzionale ha eliminato queste differenze. Oggi, quindi, anche il poliziotto risponde dei propri debiti con lo stipendio nei limiti di legge standard (di norma il quinto).

Rischi generali in caso di insolvenza

Cosa succede, in concreto, se un debitore non paga spontaneamente i propri debiti? Il rischio concreto è l’azione forzata di recupero da parte dei creditori. In sintesi, il percorso tipico è articolato in alcune fasi successive:

  1. Mora e solleciti: appena si salta una scadenza (rata di mutuo, bolletta, finanziamento), il debitore cade in mora. Segue normalmente una fase di solleciti da parte del creditore: inizialmente in via informale (lettere di sollecito, telefonate dall’ufficio recupero crediti o da società di recupero), poi con diffide formali (raccomandate A/R, PEC). È importante non ignorare queste comunicazioni preliminari: a volte si può trovare un accordo a questo stadio (es. una breve proroga o un piano di rientro) prima che scattino le procedure legali vere e proprie.
  2. Titolo esecutivo: per poter agire forzosamente, un creditore privato deve munirsi di un titolo esecutivo che attesti il diritto certo a riscuotere quella somma. Ciò avviene tipicamente ottenendo un decreto ingiuntivo dal tribunale (su prova scritta del credito) oppure, nel caso di assegni o cambiali non pagati, utilizzando direttamente quei titoli di credito che per legge sono già immediatamente esecutivi. I crediti fiscali, invece, hanno come titolo la cartella esattoriale o l’atto di accertamento esecutivo emesso dall’AdER (che vale come titolo senza bisogno di convalida giudiziale); similmente, per i crediti alimentari il titolo può essere la sentenza o l’ordinanza del giudice della famiglia che dispone l’assegno. Una volta che il credito è certo, liquido ed esigibile, si può passare alla fase esecutiva.
  3. Atto di precetto: nel recupero crediti ordinario (non fiscale), ottenuto il titolo esecutivo, il creditore notifica al debitore un precetto, cioè un’intimazione formale a pagare entro un termine minimo di 10 giorni, sotto pena di esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.). Il precetto è di fatto l’ultimo avviso: se il debitore non paga nemmeno entro il termine indicato (tipicamente 10 giorni, ma spesso i creditori attendono qualche giorno in più per prudenza) e non si raggiunge un accordo, scaduto tale termine il creditore può procedere a scegliere quali beni pignorare.
  4. Pignoramento: è l’atto con cui inizia l’esecuzione forzata su specifici beni del debitore. Consiste in un’ingiunzione dell’ufficiale giudiziario (o, nel caso delle cartelle, dell’AdER stessa) a vincolare determinati beni o crediti del debitore, sottraendoli alla sua disponibilità per destinarli al soddisfacimento del credito. I pignoramenti si classificano principalmente in tre tipi:
    • Pignoramento mobiliare: l’ufficiale giudiziario si reca presso il domicilio o residenza del debitore e individua beni mobili di valore da pignorare (elettrodomestici, arredamento di pregio, gioielli, automezzi trovati sul posto, ecc.). Questa forma è poco frequente e spesso infruttuosa: molti beni mobili sono di modesto valore o addirittura impignorabili perché essenziali (ad es. la legge esclude i beni di uso quotidiano indispensabili, ex art. 514 c.p.c.).
    • Pignoramento immobiliare: il creditore può iscrivere pignoramento su un immobile di proprietà del debitore (come la casa di abitazione) e richiederne la vendita forzata all’asta giudiziaria. Nel caso di mutuo ipotecario non pagato, normalmente è direttamente la banca mutuante ad avviare l’esecuzione immobiliare, sfruttando l’ipoteca iscritta sull’immobile. Per altri debiti, vale la pena di procedere a pignorare un immobile solo se il suo valore giustifica i costi; inoltre ci sono limitazioni particolari per il Fisco: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può pignorare la prima casa del debitore se essa è l’unico immobile di sua proprietà, adibito a residenza e non di lusso, salvo che il debito fiscale superi €120.000 (in tal caso può iscrivere ipoteca e dopo 6 mesi procedere). Attenzione: la “prima casa” impignorabile vale solo verso il Fisco in presenza delle condizioni di legge – creditori privati e banche possono pignorare anche l’unica casa del debitore se il valore lo consente e se hanno ipoteca o titolo idoneo.
    • Pignoramento presso terzi: è la forma più rilevante per i lavoratori dipendenti. Consiste nel pignorare crediti che il debitore vanta verso terzi. Il caso classico è lo stipendio presso il datore di lavoro: il creditore notifica un atto di pignoramento sia al debitore sia al suo datore (Ministero dell’Interno), intimando a quest’ultimo di non pagare al dipendente le somme pignorate e di versarle invece a disposizione dell’esecuzione. All’udienza in tribunale verrà poi assegnata la quota pignorata al creditore procedente (se il debito è confermato). Altri esempi di pignoramento presso terzi: il conto corrente bancario dove il poliziotto accredita lo stipendio (in tal caso la banca è “terzo” tenuto al blocco delle somme oltre il minimo vitale), eventuali crediti verso l’INPS (TFS/TFR maturato, rimborsi fiscali, ecc.), o anche verso privati (ad esempio se il poliziotto è proprietario e vanta canoni di affitto da un inquilino, il creditore potrebbe pignorare quei canoni presso l’inquilino). Il pignoramento dello stipendio è disciplinato in dettaglio più avanti, ma anticipiamo che avviene nella misura massima di legge (di solito 1/5) e direttamente in busta paga.
  5. Intervento di altri creditori e distribuzione: se il debitore ha più creditori insoddisfatti, essi possono intervenire nella procedura esecutiva già avviata da un altro creditore, oppure attivare pignoramenti paralleli su altri beni. Alla fine, il tribunale distribuirà le somme ricavate secondo le cause di prelazione previste (creditori privilegiati prima, poi eventuali chirografari in proporzione). Esempio: su una casa pignorata gravata da un’ipoteca della banca e da un’iscrizione per debito fiscale, dalla vendita forzata sarà soddisfatta prima la banca ipotecaria (fino a concorrenza del suo credito); l’eventuale residuo andrà al Fisco (che ha privilegio sul restante). Nel caso dello stipendio, più crediti di diversa natura possono coesistere entro i limiti visti (ad es. un quinto per un prestito bancario e contemporaneamente un altro quinto per tasse arretrate, più un terzo per alimenti, purché il totale lasci libero almeno il 50%). In presenza di cause diverse, la legge e la giurisprudenza hanno stabilito regole precise: i diversi creditori concorrono pro quota nel rispetto dei tetti per categoria e complessivamente non oltre la metà dello stipendio (salvo casi speciali come alimenti che possono elevare la percentuale, ma solo con autorizzazione).

Diritti di difesa del debitore: in tutte queste fasi, il debitore mantiene comunque dei diritti e può attivare strumenti di difesa. Ad esempio, si possono proporre opposizioni al decreto ingiuntivo o al precetto se si ritiene che il credito non sia dovuto o sia già stato pagato; durante l’esecuzione si può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione o la riduzione del pignoramento in circostanze particolari (ad es. se il debitore dimostra di aver già pagato parte del debito, o se il pignoramento viola i limiti di legge). Soprattutto, è sempre possibile negoziare col creditore soluzioni alternative – come una dilazione del pagamento o un saldo e stralcio – anche dopo l’inizio dell’esecuzione, eventualmente portando il creditore a rinunciare al pignoramento qualora si raggiunga un accordo soddisfacente. È quindi fondamentale, per il debitore poliziotto, non rimanere passivo: la legge offre vari mezzi per reagire o perlomeno attenuare gli effetti delle azioni esecutive.

Come affrontare i debiti: soluzioni stragiudiziali

Dal punto di vista del debitore (in questo caso, un appartenente alla Polizia di Stato), cosa fare concretamente se ci si accorge che la situazione debitoria sta diventando insostenibile? Prima di tutto, muoversi per tempo è fondamentale: più si aspetta, più i margini di manovra si riducono. Ecco alcune strategie e strumenti extra-giudiziali utili da considerare prima che la situazione degeneri in azioni legali conclamate:

  • Valutare con lucidità la situazione finanziaria: è il primo passo. Occorre redigere un elenco completo di tutti i debiti (residuo dovuto, interessi, scadenze, nome del creditore) e delle proprie entrate e spese mensili. Questo bilancio personale consente di capire se il problema è temporaneo (es. un paio di mesi difficili che si possono recuperare) o strutturale (rate mensili complessivamente troppo alte rispetto allo stipendio). Nel bilancio vanno inclusi lo stipendio netto e ogni altra entrata fissa, e dall’altro lato le spese essenziali (affitto o mutuo, bollette, alimentazione, spese familiari, altre rate di prestiti in corso). Se il totale delle uscite obbligate supera stabilmente le entrate, il soggetto si trova in uno stato di sovraindebitamento conclamato.
  • Comunicare con i creditori e cercare accordi di rientro: il silenzio e l’inerzia giocano solo a sfavore. Meglio contattare subito la banca o la finanziaria appena ci si rende conto di non riuscire a pagare una rata, spiegare la situazione e cercare di concordare una rinegoziazione. Molti istituti di credito, soprattutto se si ha una storia di regolarità alle spalle, offrono soluzioni come: moratorie (sospensione temporanea delle rate), allungamento del piano di ammortamento per abbassare l’importo mensile, consolidamento di più prestiti in uno solo. Ad esempio, se il poliziotto ha due prestiti con rate da €200 ciascuna, potrebbe chiedere di unirli in un unico prestito con rata più bassa e durata estesa (ovviamente a costo di maggiori interessi sul lungo termine). Anche i creditori privati (come un locatore che vanta affitti arretrati) spesso preferiscono un accordo di rientro scritto piuttosto che affrontare costi e incertezze legali: proporre un piano di rientro rateale può trovare disponibilità, purché sia credibile. È importante formalizzare per iscritto gli accordi (meglio con l’aiuto di un legale) così da evitare contestazioni future.
  • Consolidamento dei debiti con nuovi finanziamenti: il consolidamento consiste nel contrarre un nuovo prestito per estinguere tutti quelli in corso, ritrovandosi con un’unica rata mensile più sostenibile. È un’operazione comune e molte banche la offrono; per i dipendenti pubblici spesso assume la forma di una cessione del quinto (se non è già stata utilizzata) o di un prestito pluriennale ex-INPDAP tramite l’INPS (per chi ne ha diritto). Ad esempio, se un agente ha 3 finanziamenti le cui rate sommate sono €700 al mese, potrebbe ottenere un nuovo prestito con rata unica di €400 per durata maggiore, estinguendo i precedenti. Bisogna valutare i costi (spese di istruttoria, eventuali penali di estinzione anticipata) e il tasso applicato. Il consolidamento riduce l’esborso mensile, dando respiro, ma allunga la durata del debito e potenzialmente il costo totale. È fondamentale che la nuova rata sia davvero sostenibile: consolidare è inutile se poi anche la nuova rata risulta impagabile.
  • Cessione del quinto dello stipendio (se ancora disponibile): la cessione del quinto è uno strumento spesso utilizzato dai dipendenti pubblici (e pensionati) per ottenere liquidità o ripianare debiti pregressi. Consiste nel cedere volontariamente a un istituto finanziario fino a un quinto (20%) dello stipendio netto mensile come rata per un prestito, con rimborso tramite trattenuta diretta in busta paga. Per i dipendenti pubblici la cessione è un diritto previsto dal D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 e relativo regolamento D.P.R. 895/1950, e l’Amministrazione non può opporvisi (deve attuarla su richiesta). Molti poliziotti ricorrono alla cessione per consolidare debiti (come detto sopra) o per ottenere liquidità extra in vista di spese importanti. La cessione in sé è “virtuosa” nel senso che impone un tetto (il 20% prelevato alla fonte) e quindi costringe a indebitarsi entro un limite controllato. Tuttavia può diventare un’arma a doppio taglio: se si impegna il quinto dello stipendio e poi sorgono altri debiti, la presenza della cessione limita la capacità di farvi fronte. In alcuni casi, paradossalmente, i dipendenti ricorrono strategicamente alla cessione per “proteggersi” dai pignoramenti: preferiscono volontariamente impegnare il quinto con un nuovo prestito, in modo da chiudere subito un debito e prevenire un pignoramento di pari importo che avrebbe comunque sottratto il quinto ma con l’aggravio di interessi di mora e spese legali. Ad esempio, un poliziotto in ritardo su un debito di €5.000 potrebbe estinguerlo chiedendo un prestito tramite cessione del quinto: continuerà a subire una trattenuta del 20% dello stipendio, ma almeno chiude la procedura esecutiva e evita ulteriori aggravi. Ovviamente, per ottenere una nuova cessione occorre avere la capacità residua (non avere già troppi impegni né segnalazioni negative gravi in CRIF).

In sintesi, muoversi su questi quattro fronti – analisi, dialogo coi creditori, rinegoziazione, consolidamento/cessione – può spesso evitare che una situazione di sofferenza finanziaria sfoci in azioni esecutive irreversibili.

Nelle sezioni seguenti entreremo nel dettaglio di alcuni strumenti particolarmente rilevanti per i poliziotti debitori: la cessione del quinto e delega, il pignoramento dello stipendio con i suoi limiti e la recente novità 2025 sul blocco preventivo per debiti fiscali, e infine le procedure da sovraindebitamento (legge “salva suicidi”) per chiudere i debiti in modo controllato.

Cessione del quinto e delega: effetti e interazioni col pignoramento

Cos’è la cessione del quinto? È una forma di finanziamento riservata a lavoratori dipendenti e pensionati, disciplinata dal D.P.R. 180/1950, che permette al dipendente di cedere fino al 20% della propria retribuzione netta mensile come rata di rimborso. La rata viene trattenuta direttamente dal datore di lavoro (nel nostro caso lo Stato, tramite il Ministero dell’Interno) e versata all’istituto che ha erogato il prestito. Per legge, le Amministrazioni pubbliche non possono rifiutare la cessione se il dipendente la richiede: è un diritto soggettivo dell’interessato, nei limiti e condizioni di legge.

Caratteristiche principali: la cessione ha durata massima 120 mesi (10 anni) ed è garantita da un’assicurazione obbligatoria rischio vita/impiego. Spesso per i dipendenti statali le cessioni vengono erogate a tassi vantaggiosi tramite convenzioni (ad es. convenzioni INPS ex-Inpdap o NoiPA). Molti poliziotti utilizzano la cessione del quinto per ottenere liquidità immediata o accorpare vari debiti in un’unica rata sostenibile. Il vantaggio è che la rata viene automaticamente trattenuta, assicurandone il pagamento (il che rende questo prestito più facile da ottenere perché a basso rischio per il creditore). Lo svantaggio è ovviamente che riduce lo stipendio netto disponibile per tutta la durata.

Delegazione di pagamento (doppio quinto): oltre alla cessione “principale” (20%), i dipendenti pubblici possono a volte ottenere un’ulteriore trattenuta volontaria con un prestito delega, detto anche “doppio quinto”, di solito di altri 1/5 dello stipendio, previo nulla osta dell’Amministrazione. Se concessa, ciò significa che il dipendente potrebbe trovarsi con ben il 40% dello stipendio netto già impegnato in trattenute per prestiti (20% cessione + 20% delega). La legge impone comunque che almeno metà stipendio resti libero: infatti il combinato disposto di cessione e delega non può superare il 50% della busta paga. Esempio: stipendio netto €1.500; cessione in corso €300 (il 20%); delega aggiuntiva €300 (altro 20%). Totale trattenute volontarie €600 (40%), al dipendente restano €900. Se giungesse un pignoramento, entra in gioco la regola generale del 50% massimo: il giudice potrà assegnare al nuovo creditore al massimo €150 (in modo che trattenute totali €600+€150 = €750, cioè metà di 1.500).

Questi calcoli mostrano che la cessione del quinto, per quanto utile, riduce la capacità di far fronte ad altri debiti: è quindi un’arma a doppio taglio. Da un lato può prevenire un pignoramento “giocando d’anticipo” in modo concordato; dall’altro, se il poliziotto contrae troppi prestiti con cessione/delega, poi avrà uno stipendio fortemente ridotto e in caso di ulteriori debiti residui il margine per i creditori sarà minimo, rischiando di trascinare l’insolvenza nel tempo.

Cessione e pignoramento: come si conciliano? È importante capire che la cessione del quinto non impedisce al creditore di pignorare altri beni o redditi per la parte di debito non coperta dalla cessione. Tuttavia, la legge regola il concorso tra cessioni volontarie e pignoramenti forzati: l’art. 545, co. 5 c.p.c. stabilisce che, se esiste già una quota di stipendio ceduta, un successivo pignoramento può colpire solo la differenza fino alla metà dello stipendio. In altre parole, la somma di pignoramento + cessione non può superare il 50% dello stipendio netto. Ad esempio (riprendendo il caso sopra): stipendio €1.500, cessione 1/5 = €300; metà stipendio = €750; residuo pignorabile = €450. Dunque un creditore ordinario o fiscale che pignora lo stipendio potrà prelevare al massimo €450 al mese (che è il 30%, pari a 1/5 oltre alla cessione in essere). Se poi arrivano più pignoramenti di cause diverse, tutti insieme dovranno stare in quello spazio residuo fino a concorrenza di metà stipendio (ad es. un creditore bancario e AdER potrebbero prendersi €225 ciascuno in quel caso, totalizzando €450).

La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice dell’esecuzione deve tener conto della cessione preesistente quando determina la quota pignorata. La normativa è stata armonizzata per evitare eccessi: un tempo c’era dibattito se la cessione, essendo volontaria, lasciasse comunque intatto il quinto pignorabile; ora è espresso in legge che pignoramento e cessione concorrono simultaneamente nel limite del 50%. Resta il fatto che l’indebitamento eccessivo tramite cessioni può mettere in difficoltà: impegnare il quinto è opportuno solo se si accompagna a una rieducazione finanziaria per non ricadere nell’insolvenza. Se la situazione è già compromessa, usare la cessione per tamponare può essere saggio, ma deve far parte di un piano più ampio di riequilibrio delle finanze personali.

Dopo il pensionamento: ricordiamo infine che una cessione del quinto segue il dipendente anche dopo il servizio. Se il poliziotto va in pensione prima di aver estinto il prestito, la trattenuta prosegue sulla pensione (esiste la cessione del quinto anche sulle pensioni, con analoghi limiti). Inoltre, se lascia il servizio, la finanziaria può rivalersi sul TFS/TFR maturato. Dunque la cessione impegna il debitore anche oltre la vita lavorativa, fino a soddisfazione completa.

In sintesi: cessioni e deleghe vanno usate con moderazione. Per molti poliziotti la cessione del quinto è stata una soluzione per uscire da situazioni di debito; ma occorre considerarla un mezzo di risanamento, non un modo per indebitarsi ulteriormente. Meglio non impegnare mai oltre il quinto se non strettamente necessario. E se si è già in difficoltà, valutare prima di contrarre un altro prestito: a volte è preferibile affrontare il problema alla radice (ridiscutendo i debiti esistenti o ricorrendo a procedure di composizione della crisi) piuttosto che aggiungere altro debito.

Pignoramento dello stipendio del poliziotto

Quando un creditore agisce contro un debitore che è lavoratore dipendente, il pignoramento presso terzi dello stipendio è spesso la via più efficace (lo abbiamo visto nelle fasi sopra descritte). Dal punto di vista procedurale, il pignoramento dello stipendio di un poliziotto segue le stesse regole di qualsiasi lavoratore (artt. 543 e segg. c.p.c.): l’atto di pignoramento va notificato al Ministero (Datore di lavoro) e al debitore; il Ministero deve vincolare le somme entro il limite legale; poi il tribunale, all’udienza, assegnerà la quota al creditore procedente se tutto è regolare. Non vi sono privilegi o immunità speciali per il fatto che il debitore sia un pubblico ufficiale o un agente di P.S.: come già accennato, in passato esistevano maggiori tutele per gli stipendi pubblici, ma oggi non vi sono differenze.

Dove notificare e chi esegue la trattenuta? Nel caso di un poliziotto, il terzo pignorato tecnicamente è il Ministero dell’Interno – Dipartimento della P.S., generalmente individuato nell’Ufficio amministrativo-contabile (ragioneria) competente. In pratica le buste paga del personale civile/statale sono gestite tramite il sistema NoiPA (Ministero Economia e Finanze): sarà quest’ultimo ad applicare la trattenuta, su disposizione dell’amministrazione di appartenenza. Dunque il creditore notificando il pignoramento all’ufficio indicato e al MEF attiva la procedura. Una volta ricevuto l’atto, l’amministrazione blocca la quota pignorata dalla successiva mensilità e interviene in udienza dichiarando l’ammontare dello stipendio e l’eventuale presenza di altre trattenute (cessioni, pignoramenti in corso). Il giudice quindi verifica il rispetto dei limiti di legge (discussi sopra) e assegna formalmente al creditore la somma mensile pignorata.

Limiti e concorso recap: Abbiamo già riassunto i limiti percentuali: in linea generale 1/5 per i crediti ordinari e per quelli fiscali, con l’eccezione dei crediti alimentari che possono arrivare fino a 1/3 (autorizzato) e della coesistenza di cause diverse dove più frazioni possono sommarsi fino ad almeno metà stipendio libero. Ricordiamo che se lo stipendio è già oggetto di cessione del quinto, il massimo pignorabile ulteriormente è “mezzo stipendio meno quota ceduta” (esempio: stipendio €1.200, cessione €240, residuo pignorabile = €600 – €240 = €360, cioè 30%). Se invece vi sono più pignoramenti della stessa natura (ad es. due creditori bancari): il secondo dovrà attendere che il primo si esaurisca, perché non possono coesistere due quinti per crediti ordinari sullo stesso stipendio. In ogni caso almeno metà dello stipendio netto va garantita al dipendente, salvo che intervenga un pignoramento alimentare autorizzato fino a un terzo (nel qual caso si potrebbe arrivare eccezionalmente a lasciare solo un terzo al dipendente, combinato con un quinto o settimo per gli altri crediti).

Esempio pratico: un agente con stipendio netto €1.500 e nessuna cessione in corso subisce un pignoramento da parte di una finanziaria per un prestito non pagato: il tribunale assegnerà €300 (il 20%). Se successivamente arriva un pignoramento dell’AdER per tasse non pagate, questo – essendo un credito di diversa natura (fiscale) – può sommarsi fino a un altro quinto: teoricamente altri €300. Tuttavia, siccome due quinti farebbero €600, cioè il 40%, ampiamente entro il 50%, ciò è consentito e l’agente si troverà €600 di trattenute totali (due quinti) e €900 netti a disposizione. Se poi arrivasse anche un ordine di mantenimento per i figli, il giudice potrebbe autorizzare fino a un terzo (€500); ma siccome aggiungendolo si supererebbe metà stipendio (€300+€300+€500 = €1.100, oltre i €750 metà di 1.500), in concreto l’ultimo pignoramento alimentare sarebbe probabilmente ridotto a €150 (così da totalizzare €750 trattenuti e €750 lasciati). In pratica l’alimentare “mangerebbe” lo spazio residuo fino alla metà. Questo esempio mostra la complessità del concorso di più cause: la regola aurea è che almeno la metà dello stipendio deve rimanere in mano al dipendente, salvo specifiche decisioni del giudice che comunque non possono scendere sotto questo limite minimo in aggregato (tranne il caso degli alimenti che, come detto, possono eccezionalmente portare il totale a 2/3 pignorati, lasciando 1/3, ma solo per il tempo necessario a soddisfare quei crediti).

Pignoramento del conto corrente: una nota a parte merita il caso in cui il creditore pignori direttamente il conto corrente del poliziotto, su cui viene accreditato lo stipendio. In tal caso si applicano regole parzialmente diverse: se il conto viene bloccato a ridosso dell’accredito dello stipendio, la legge tutela almeno l’ultima mensilità versata. Infatti, le somme dovute a titolo di stipendio, una volta accreditate in banca, restano impignorabili per la parte pari all’ultimo stipendio mensile se il pignoramento interviene dopo l’accredito. Inoltre, per importi sul conto eccedenti, è impignorabile quanto corrisponde al triplo dell’assegno sociale (circa €1500) se il pignoramento colpisce somme già depositate antecedentemente. In pratica, se un creditore notifica un pignoramento sul conto del poliziotto, la banca dovrà lasciare libero un importo pari all’ultimo stipendio accreditato (se riconoscibile) e sbloccare solo l’eventuale eccedenza. Dal mese successivo, i nuovi stipendi che affluiscono sul conto potranno a loro volta essere bloccati nella percentuale pignorabile ordinaria (il quinto) sul nuovo saldo. Questa tutela dell’ultima mensilità evita che un pignoramento sul conto prosciughi completamente anche lo stipendio corrente, lasciando il debitore senza mezzi di sostentamento. Attenzione però: tale meccanismo vale solo se il pignoramento è diretto al conto bancario. Se invece lo stipendio è già pignorato presso il datore di lavoro, sulla banca arriva ogni mese solo la parte “libera” (e quella può essere bloccata integralmente se già separata dalla trattenuta a monte).

Novità 2025: il blocco preventivo in busta paga per debiti fiscali

Un importante aggiornamento legislativo è stato introdotto con la Legge di Bilancio 2025 (L. 29 dicembre 2024 n. 207). I commi 84-86 dell’articolo unico hanno previsto, dal 1° gennaio 2026, un meccanismo di blocco “automatico” preventivo degli stipendi pubblici in caso di debiti fiscali rilevanti. In sintesi, la norma prevede che:

  • Controllo in busta paga: le Pubbliche Amministrazioni (e società a controllo pubblico) prima di pagare stipendi superiori a €2.500 lordi mensili dovranno verificare se il dipendente ha debiti fiscali iscritti a ruolo (cartelle esattoriali) per un importo superiore a €5.000.
  • Blocco d’ufficio di una quota dello stipendio: se risultano cartelle esattoriali non pagate ≥ €5.000, l’amministrazione blocca automaticamente una parte dello stipendio e segnala la situazione all’Agente della Riscossione (AdER). In pratica, il dipendente continuerà a percepire solo parte della retribuzione, mentre la quota bloccata sarà accantonata in attesa che AdER proceda con il pignoramento formale.
  • Soglie e percentuali: il blocco scatta solo se entrambe le soglie sono superate (debito ≥ 5.000 e stipendio > 2.500 lordi). La quota trattenuta preventivamente è pari a 1/7 dello stipendio (circa 14,3%) sulle mensilità ordinarie, mentre su eventuali mensilità aggiuntive (tredicesima) si blocca 1/10. È comunque previsto un tetto di €500 mensili massimi bloccabili (che corrisponde a 1/7 di €3.500). Alcuni esempi: un dipendente pubblico che guadagna €3.500 lordi/mese con debiti fiscali oltre 5k vedrà bloccati €500 al mese (circa 1/7); uno che guadagna €1.600 lordi (quindi sotto 2.500) non subirà blocchi sulle mensilità ordinarie, ma se con tredicesima supera i 2.500 lordi, su quella mensilità aggiuntiva potrà essere bloccato il 10% (circa €150).
  • Nessun giudice, atto amministrativo: questa trattenuta preventiva non richiede un provvedimento del giudice né un pignoramento tradizionale da parte del Fisco. Avviene in modo amministrativo: di fatto è un pignoramento “automatico” a favore del Fisco, pensato per evitare che dipendenti pubblici “furbetti” ignorino indefinitamente le cartelle confidando nelle lungaggini burocratiche. La norma tuttavia prevede che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione debba poi avviare la procedura esecutiva formale (il pignoramento vero e proprio) per incamerare i soldi accantonati. Nel frattempo, però, quelle somme restano bloccate: non vanno al dipendente, ma nemmeno al Fisco finché non c’è l’atto esecutivo formale (sono congelate in un limbo). In sostanza è una forma di autotutela erariale.
  • Impatto previsto e consigli al debitore: secondo il Ministero dell’Economia, questa misura potrebbe riguardare circa 250.000 dipendenti pubblici (di cui 30.000 con stipendi medi di €3.500) e recuperare ~€90 milioni/anno a regime. Non è immediata (entra in vigore nel 2026), quindi il 2025 è un anno cuscinetto: chi rientra nei parametri (debiti fiscali >5k e stipendio > €2.500 lordi, cioè circa >€1.800 netti) ha tempo per regolarizzare. È fortemente consigliato attivarsi entro fine 2025: contattare l’AdER per verificare la situazione, eventualmente chiedere una rateizzazione o aderire a definizioni agevolate (rottamazione) se disponibili, prima che scatti il blocco. Infatti la legge esenta dal blocco chi è in regola con un piano di rateazione (non risulterebbe “inadempiente”). Inoltre, ricordiamo che dal 2025 i termini per opporsi alle cartelle sono stati ampliati da 30 a 60 giorni e alcune possibilità di ricorso sono state aumentate (D.Lgs. 110/2024). Vale la pena, con l’aiuto di un legale, valutare se vi siano estremi per contestare almeno parte del debito fiscale – ad esempio vizi di notifica, prescrizioni, ecc. – perché un ricorso accolto potrebbe ridurre il dovuto e dunque scongiurare il blocco o ridurne la durata.
  • Cosa accade dal 2026: dal gennaio 2026, se nulla è stato fatto, il dipendente pubblico con cartelle esattoriali “scadute” oltre 5.000 € vedrà comparire in busta paga una nuova voce di trattenuta (indicata ad esempio come “Blocco stipendio ex L. 207/2024”) pari a 1/7 dello stipendio. Questo prelievo continuerà ogni mese finché il debito non sarà stato soddisfatto oppure fino a esaurimento del periodo autorizzato (verosimilmente finché AdER non conclude l’esecuzione). Da notare che questo meccanismo riguarda solo i debiti fiscali e solo i dipendenti pubblici – i dipendenti privati non sono soggetti a un analogo automatismo (i loro stipendi continueranno a poter essere pignorati solo attraverso il tribunale). Quindi, ad esempio, per un poliziotto indebitato con banche o con alimenti nulla cambia: servirà sempre un giudice per pignorare lo stipendio, non ci sarà blocco d’ufficio. Il messaggio per gli statali inadempienti col Fisco è chiaro: c’è una finestra per sistemare le pendenze fiscali prima che lo stipendio subisca decurtazioni automatiche.

In definitiva, la novità del 2025 introduce un ulteriore motivo per non trascurare le cartelle esattoriali: un poliziotto che abbia ricevuto cartelle e diffide di pagamento dell’AdER farebbe bene a non ignorarle confidando nei tempi lunghi. Già entro fine 2023-2024 c’erano state rottamazioni e sanatorie; ora, con questa norma, dal 2026 l’inerzia avrà un effetto diretto sul cedolino paga. Meglio quindi giocare d’anticipo: rateizzare, transare o contestare i debiti fiscali entro il 2025 conviene, per evitare di trovarsi con uno stipendio “alleggerito” d’ufficio nel 2026.

Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Quando i debiti diventano troppi e le soluzioni ordinarie (dilazioni, consolidamenti, pignoramenti graduali) non bastano, l’ordinamento italiano offre uno strumento straordinario: le procedure di sovraindebitamento, comunemente dette della legge “salva-suicidi” (dal nome dato alla legge 3/2012 che le introdusse). Dal 2022 tali procedure sono state riordinate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), D.Lgs. 14/2019, entrato in vigore a luglio 2022, poi integrato e modificato negli anni 2020-2023. Si tratta di procedure giudiziali che consentono a un debitore civile non soggetto a fallimento (privato cittadino, consumatore, piccolo imprenditore sotto soglie di fallibilità, professionista, ecc.) di ristrutturare o cancellare i propri debiti attraverso l’omologazione di un piano da parte del tribunale. In parole semplici, è l’equivalente di una “bancarotta del consumatore” controllata: il debitore offre ai creditori quello che realisticamente può pagare, e in cambio – dopo aver eseguito il piano concordato – i debiti residui vengono cancellati per legge.

Per un poliziotto indebitato, generalmente si rientra nella figura del “consumatore sovraindebitato”, ossia debiti contratti per scopi estranei ad attività d’impresa. I requisiti principali per accedere alle procedure sono:

  • Stato di sovraindebitamento: cioè l’incapacità cronica di far fronte ai debiti secondo i termini concordati. Non serve essere nullatenenti, è sufficiente che il totale delle obbligazioni sia sproporzionato rispetto al patrimonio e al reddito disponibile, tale da rendere altamente probabile l’insolvenza. Ad esempio, un assistente di polizia con stipendio €1.500 e debiti totali per €200.000 è chiaramente sovraindebitato. Il Codice della Crisi definisce la “crisi” come l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi (art. 2, co.1, lett. c CCII).
  • Soggetti ammessi: non si deve rientrare tra le categorie soggette a procedure concorsuali ordinarie (fallimento, concordato preventivo, liquidazione giudiziale). In pratica, consumatori, privati e piccoli imprenditori sono ammessi. Un poliziotto rientra tra i privati consumatori se i suoi debiti sono personali/familiari. Se invece avesse anche debiti derivanti da un’attività d’impresa (ipotesi rara, perché un poliziotto in servizio non può svolgere attività d’impresa se non in casi limitati), potrebbe accedere comunque come piccolo imprenditore sotto soglia, oppure come consumatore se i debiti d’impresa sono marginali. In sintesi, nulla osta per un appartenente alla P.A.: essere un dipendente pubblico non impedisce di accedere alle procedure di sovraindebitamento.
  • Meritevolezza e buona fede: le procedure “salva-suicidi” richiedono che il debitore abbia mantenuto un comportamento collaborativo e che non abbia colpa grave nel proprio sovraindebitamento. In particolare, per il piano del consumatore (ora “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”) il tribunale valuta la meritevolezza del debitore: il sovraindebitamento non deve derivare da dolo o colpa grave, e il debitore non deve aver assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere. Questa valutazione serve a escludere abusi (ad es. chi si indebita colposamente al di sopra delle proprie possibilità confidando poi di scaricare i debiti). La giurisprudenza inizialmente è stata severa su questo punto: ad esempio Cass. Sez. I 1869/2016 negò il piano a un soggetto che aveva continuato a fare nuovi debiti pur essendo già insolvente. Col tempo però l’orientamento si è evoluto in senso più aperto, pur ribadendo che serve buona fede e impegno da parte del debitore (non deve aver frodato i creditori né aggravato volutamente la sua posizione). Nel caso di un poliziotto, ad esempio, se il sovraindebitamento è dovuto in gran parte a ludopatia (gioco d’azzardo), il giudice potrebbe subordinare l’omologazione del piano a evidenze che il debitore abbia intrapreso un percorso di cura e cessato le condotte che hanno generato il debito. In altre parole, va dimostrata la volontà di redimersi finanziariamente e non perseverare negli errori.

Se ricorrono i requisiti di legge, il poliziotto debitore può presentare ricorso al tribunale con l’assistenza di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di professionisti nominati, proponendo una delle tre procedure fondamentali previste dal Codice (artt. 65-68 CCII e segg.):

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in precedenza noto come piano del consumatore ex L.3/2012): riservato ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (consumatori puri). Consiste in un piano di pagamento, anche parziale e dilazionato, dei debiti entro un certo periodo, basato su ciò che il debitore può effettivamente offrire. Non richiede l’accordo di tutti i creditori: il piano può essere omologato dal giudice anche con il voto contrario di alcuni creditori, se viene valutato fattibile e conveniente. Esempio: il poliziotto presenta un piano proponendo: “pagherò €500 al mese per 5 anni, più verserò ai creditori il TFR maturato, così da soddisfare circa il 50% del totale dei debiti; il resto chiedo che venga cancellato (stralciato)”. Se il giudice ritiene che i creditori riceveranno con il piano almeno quanto otterrebbero altrimenti (ad es. in un’ipotetica liquidazione forzata) e che il debitore non abbia agito in mala fede, potrà omologare il piano. Novità recenti: con le modifiche normative del 2022-2024, è ora più agevole includere nel piano anche il pagamento parziale di debiti privilegiati (come debiti fiscali, contributivi, ipotecari). Prima era quasi sempre richiesto il pagamento integrale dei privilegiati, ora invece si possono prevedere falcidie (tagli) o dilazioni anche su questi, a condizione di dimostrare che la soddisfazione offerta al creditore privilegiato non è inferiore a quella che avrebbe ricavato liquidando le garanzie o i beni su cui ha privilegio. Ad esempio, si potrebbe proporre di pagare un debito IVA solo al 30%, provando però che – se si vendesse l’unico immobile di proprietà – l’Erario non incasserebbe comunque più del 30% per via delle altre ipoteche. Cassazione 30543/2024 ha confermato che l’omologazione di un accordo/piano con pagamento parziale di un credito privilegiato richiede appunto la verifica della convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria: in parole povere, il taglio al privilegio è ammesso se il creditore privilegiato non avrebbe ottenuto di più nemmeno pignorando e vendendo i beni del debitore. Questa evoluzione normativa e giurisprudenziale è molto favorevole per il debitore: finalmente anche i debiti fiscali e con garanzie possono essere trattati nel piano in modo da alleggerire il carico complessivo.
  2. Concordato minore (già “accordo di composizione della crisi” nella L.3/2012): è la procedura utilizzabile da chi ha debiti anche di natura imprenditoriale o professionale, oppure dai consumatori che preferiscono coinvolgere i creditori nel voto. Richiede infatti l’adesione di almeno il 60% dei crediti (maggioranza qualificata) per essere approvato. In pratica è simile al concordato preventivo ma per soggetti non fallibili. Un poliziotto tipicamente non ha un’attività d’impresa, quindi questa strada può riguardarlo solo in situazioni particolari (ad es. se aveva gestito un’attività extra poi cessata, o se vuole comunque negoziare coi creditori ottenendo il loro consenso). Il vantaggio è che se i creditori votano a favore, il giudice omologa senza valutazioni di meritevolezza (conta la volontà della maggioranza dei creditori). Lo svantaggio è che bisogna convincere i creditori maggiori a fidarsi del piano proposto.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (già “liquidazione del patrimonio”): è una sorta di procedura fallimentare semplificata per il debitore civile. Il debitore mette a disposizione tutti i suoi beni (o quelli che vuole liquidare) a un liquidatore nominato dal tribunale, il quale li vende e ripartisce il ricavato tra i creditori secondo le regole delle prelazioni. Ha il vantaggio che alla fine della liquidazione, il debitore ottiene comunque l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti non soddisfatti, purché abbia cooperato lealmente. È una procedura adatta se il debitore ha un patrimonio liquidabile (es. una casa che vuole vendere per chiudere la situazione) o se non riesce a ottenere un accordo/piano con i creditori. Nel caso di un poliziotto, potrebbe ad esempio mettere in liquidazione un immobile o altri cespiti mantenendo però lo stipendio (salvo cessione del quinto volontaria ai creditori). Spesso la liquidazione viene scelta quando il debitore non ha entrate sufficienti per un piano, ma possiede qualche asset da monetizzare.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente: merita menzione una misura introdotta nel 2020 e ora all’art. 283 CCII, pensata per i casi estremi in cui il debitore non ha alcun patrimonio né capacità di rimborso. In tali situazioni, il debitore persona fisica può chiedere al tribunale la cancellazione di tutti i debiti senza dare nulla in cambio (detta anche “esdebitazione a zero”). È concessa solo una volta nella vita e a condizione che il sovraindebitato abbia davvero situazione di indigenza assoluta. Attenzione: per un poliziotto con stipendio, questa misura in genere non è applicabile, perché il fatto stesso di percepire uno stipendio (anche se pignorato in parte) implica che una capacità di rimborso, per quanto piccola, c’è. La legge infatti tende a escludere l’esdebitazione pura per chi ha redditi stabili, riservandola ai casi di povertà completa (disoccupati cronici, invalidi senza sostegno, ecc.). Però è importante sapere che esiste, come extrema ratio nel malaugurato caso in cui, ad esempio, l’agente dovesse perdere lavoro e beni e restare con debiti: potrebbe allora ricorrere a questa norma per ripartire da zero.

Vantaggi delle procedure da sovraindebitamento: prima di tutto, una volta ottenuto l’ok del tribunale all’ammissione della procedura, il debitore può chiedere misure protettive che sospendono le azioni esecutive dei creditori (stop a nuovi pignoramenti, sospensione di quelli in corso durante le trattative), dando respiro. Inoltre, a differenza di un accordo privato, l’omologazione del tribunale rende il piano vincolante per tutti i creditori, anche dissenzienti, e consente di stralciare legalmente la quota di debito non pagata: dopo aver adempiuto alla procedura, il debitore viene liberato dai debiti residui (salvo poche eccezioni come alimenti, risarcimenti per danni da fatto illecito e debiti con casse di previdenza private, che rimangono). È quindi l’unico modo per avere un “fresh start” in Italia, uscendo dal tunnel dei debiti. Infine, le procedure consentono spesso di salvare alcuni beni, con il consenso dei creditori, se ciò non li danneggia. Ad esempio, si può prevedere che la prima casa non venga venduta se il debitore offre altre forme di soddisfacimento equivalenti ai creditori; la legge incoraggia soluzioni che evitino al debitore di perdere l’abitazione quando possibile.

Svantaggi o ostacoli: queste procedure, pur preziose, non sono una passeggiata. Richiedono costi iniziali (bisogna pagare almeno in parte i compensi dei professionisti che redigono il piano e del gestore della crisi, oltre alle spese di giustizia), e la collaborazione di un OCC o di un avvocato esperto. L’iter può durare diversi mesi (in media 6-12 mesi per ottenere l’omologazione, a seconda del tribunale) e, mentre è in corso, la reputazione creditizia del debitore ne risente (le banche dati registrano la procedura, impedendo di fatto nuovi crediti). Tuttavia, per chi è già in una situazione disperata, questi svantaggi sono minimi rispetto al beneficio finale. È bene anche tener presente che, se si accede al piano del consumatore, il tribunale può negare l’omologa se ritiene il debitore gravemente colpevole. Come detto, Cassazione e corti d’appello hanno col tempo ammesso piani anche per debitori inizialmente “imprudenti”, ma comportamenti fraudolenti o irregolari (es. omissione di informazioni, atti in frode ai creditori, ecc.) comportano rigetto o revoca dei benefici. In generale però, se il poliziotto debitore ha agito in buona fede e può offrire ai creditori tutto il suo sforzo ragionevole, il tribunale tende oggi a favorire la composizione della crisi, riconoscendo la meritevolezza di dare al debitore onesto una seconda chance.

Esempio pratico di piano: Tizio, agente di polizia 45enne, con stipendio netto €1.400 e debiti complessivi per €100.000 (di cui 60k mutuo residuo per una casa che vale 80k, 20k prestiti personali, 20k carte revolving). Tizio non ce la fa più: mutuo arretrato, prestiti non pagati da mesi. Decide di ricorrere alla procedura da sovraindebitamento. Tramite un OCC elabora un piano del consumatore in cui propone: mantenere la casa (su cui c’è mutuo ipotecario) continuando a pagare le rate residue (magari allungando la durata se accordato con la banca), vendere l’auto secondaria e versare il ricavato €5.000, e destinare €300 al mese per 4 anni ai restanti creditori chirografari. In questo modo soddisferà interamente la banca (creditore ipotecario, proseguendo il mutuo) e darà circa €5.000 + €14.400 = €19.400 ai chirografari (che magari rappresenta il 40% del loro credito), chiedendo lo stralcio del restante 60%. Se il giudice verifica che, vendendo la casa, i chirografari non avrebbero preso di più (perché la banca ipotecaria avrebbe assorbito quasi tutto il ricavato), allora il piano è conveniente anche per i creditori e potrà essere omologato nonostante il taglio ai loro crediti. Tizio dovrà impegnarsi a pagare puntuale i €300/mese per 48 mesi e a rispettare gli accordi; al termine, otterrà l’esdebitazione di tutto ciò che resta. Avrà salvato la casa e azzerato i debiti eccedenti.

Procedura e disciplina di servizio: un aspetto da considerare è se l’accesso a queste procedure abbia ripercussioni disciplinari per un appartenente alla Polizia. In linea di massima, avvalersi di uno strumento di legge per regolarizzare la propria posizione debitoria non è un illecito disciplinare. Anzi, potrebbe essere visto come un atteggiamento responsabile. La normativa disciplinare punisce il “contrarre debiti senza onorarli”, ma se un agente intraprende una procedura per pagare in modo controllato i suoi creditori, sta proprio cercando di onorare i debiti in misura compatibile con le sue possibilità. Ovviamente molto dipende dalle circostanze: se l’agente ha trascinato per anni debiti ignorando i solleciti e solo all’ultimo ricorre a queste procedure, potrebbe comunque incorrere in sanzioni per il passato; ma l’avvio di una procedura potrebbe semmai servire come attenuante, dimostrando la volontà di porre rimedio. Non risultano casistiche note di provvedimenti disciplinari solo per aver presentato un piano di sovraindebitamento. È più probabile che l’amministrazione intervenga disciplinarmente se i debiti non pagati creano scandalo o pregiudizio (esposto di un creditore, protesto, ecc.), indipendentemente dal fatto che poi si risolvano con un piano. Dunque, dal punto di vista del poliziotto, attivare per tempo una procedura di composizione della crisi può non solo risolvere i debiti, ma anche prevenire conseguenze peggiori sul lavoro, evitando che la situazione degeneri in atti giudiziari pubblici che attirino l’attenzione dei superiori.

Profili disciplinari e incompatibilità nell’indebitamento del poliziotto

Oltre alle conseguenze giuridiche ed economiche, un forte indebitamento può toccare la sfera disciplinare e deontologica per un appartenente alla Polizia di Stato. Come anticipato, esistono norme interne che impongono agli operatori di mantenere una condotta integerrima anche nella sfera privata, per tutelare il prestigio dell’istituzione e l’affidabilità individuale. Vediamo i punti chiave:

Divieto di contrarre debiti senza onorarli: l’art. 12, n.3, del D.P.R. 28 ottobre 1985 n. 782 (Regolamento di servizio dell’Amministrazione di P.S.) stabilisce tra i doveri del personale quello di “non contrarre debiti senza onorarli e in nessun caso contrarne con i dipendenti o con persone pregiudicate o sospette di reato”. Questa formula contiene due precetti: (a) non fare debiti che non si è in grado o intenzione di pagare; (b) non prendere denaro in prestito da subordinati o da persone dall’indubbia moralità (pregiudicati, sospetti). Lo scopo evidente è evitare situazioni che compromettano il decoro del personale e possano esporlo a ricatti o influenze esterne (si pensi a un agente indebitato con un usuraio o con un malavitoso, situazione gravemente rischiosa). Anche i regolamenti militari analoghi (es. Carabinieri) contengono divieti simili.

Sanzione prevista: la violazione di tale dovere (aver contratto debiti senza onorarli) costituisce un illecito disciplinare. Nel sistema sanzionatorio della Polizia di Stato, secondo il D.P.R. 737/1981 (regolamento sui procedimenti disciplinari), essa è inquadrata inizialmente come infrazione di minore gravità, punita con pena pecuniaria (multa disciplinare). In altre parole, se un poliziotto ha un singolo episodio di insolvenza verso un debito, può subire una sanzione pecuniaria (una trattenuta sullo stipendio a titolo disciplinare). Tuttavia, attenzione: il D.P.R. 737/81 prevede all’art. 7 che in caso di reiterazione o recidiva di infrazioni disciplinari, si possono applicare sanzioni di livello superiore. Ciò significa che se un agente ripetutamente contravviene all’obbligo di pagare i debiti, l’amministrazione può aggravare la risposta disciplinare: dal semplice richiamo o multa si può passare alla sospensione dal servizio, alla destituzione nei casi estremi.

Criteri interpretativi recenti: negli anni passati vi sono stati casi di applicazione severa di questa norma. Ad esempio, un Sovrintendente della Polizia con una lunga serie di insolvenze fu destituito dal servizio; la vicenda arrivò fino al Consiglio di Stato, che nel 2016 confermò la legittimità del licenziamento dato il curriculum disciplinare dell’interessato. In quel caso l’agente aveva accumulato oltre 30 sanzioni disciplinari pregresse, di cui una decina proprio per mancato pagamento di debiti (compreso l’emissione di assegni a vuoto), alcune già sanzionate con sospensioni di 2-6 mesi; inoltre era stato condannato due volte per il reato di violazione degli obblighi familiari (art. 570 c.p.) per non aver pagato gli alimenti. Il Consiglio di Stato ritenne che questa condotta reiterata dimostrasse una “mancanza del senso del dovere e dell’onore” incompatibile con la permanenza in servizio, giustificando la destituzione ex art. 7, n.6, DPR 737/81. Si trattava però, va sottolineato, di un caso limite per la sua gravità e recidività.

Proprio per evitare abusi sanzionatori in casi meno gravi, il Capo della Polizia ha emanato nel 2019 una circolare interpretativa sui criteri di applicazione dell’art. 12 n.3 del DPR 782/85. In tale circolare (Pref. Franco Gabrielli, maggio 2019) si evidenzia che la norma in questione presuppone un dolo del dipendente – ossia la volontà deliberata di non onorare i debiti – ma che di fatto veniva spesso applicata anche a chi semplicemente si trovava in gravi difficoltà economiche tali da non poter adempiere, magari aggravate dagli stipendi non elevati del personale. La circolare invita quindi i responsabili della disciplina a valutare con equilibrio e sensibilità le situazioni debitorie, approfondendo caso per caso le cause del mancato pagamento. In particolare, si raccomanda di verificare se sussistano i presupposti concreti per avviare un procedimento disciplinare (ad es. se il dipendente ha realmente colpa oppure se è vittima di eventi sfortunati). E qualora si proceda, durante l’istruttoria disciplinare occorre esaminare ogni elemento utile a graduare la responsabilità in funzione dell’effettivo disvalore della condotta, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Importante: la circolare sottolinea di evitare l’applicazione della pena pecuniaria quando essa risulti meramente afflittiva e destinata a produrre ulteriore danno al dipendente. In altre parole, se un poliziotto è già in difficoltà economiche, infliggergli una multa disciplinare potrebbe aggravare il suo disagio senza reale beneficio, e dunque andrebbe valutato se sia opportuno sanzionare o se magari adottare misure diverse (come il supporto o un richiamo senza sanzione).

La circolare del 2019 richiama anche alcuni orientamenti giurisprudenziali recenti, confermando la linea di tendenza: la disciplina va applicata sì a tutela del prestigio del Corpo, ma con umana comprensione per situazioni non intenzionali. Ad esempio, debiti contratti per far fronte a cure mediche familiari, o situazioni di sovraindebitamento dovute a cause esterne (truffe subite, separazioni, ecc.) dovrebbero essere valutate diversamente rispetto a chi, invece, vive al di sopra delle proprie possibilità in modo imprudente.

Incompatibilità ambientale e sicurezza: un altro profilo da considerare è che un poliziotto fortemente indebitato potrebbe essere ritenuto a rischio sotto il profilo della sicurezza interna o dell’esposizione a pressioni. Pur non esistendo un formale istituto di “perdita dei requisiti” per motivi economici, è plausibile che un agente in gravi difficoltà finanziarie non venga impiegato in servizi delicati che offrano tentazioni (ad es. gestione di somme, contabilità di ufficio, ecc.) o che possa essere trasferito d’ufficio se la situazione locale lo espone a particolari rischi (si pensi a un agente di una piccola città indebitato con mezza comunità locale, potrebbe essere trasferito altrove per tutelarlo da indebite influenze). Queste sono misure gestionali più che disciplinari, volte a garantire l’imparzialità e l’indipendenza dell’operatore.

Ripercussioni sulla carriera: accumulare sanzioni disciplinari, anche di lieve entità, può frenare l’avanzamento. Nei concorsi interni e nelle valutazioni per promozioni, avere note caratteristiche negative o provvedimenti disciplinari incide sul punteggio e sull’immagine complessiva del dipendente. Inoltre, sanzioni come la sospensione dal servizio comportano anche la perdita di quote di stipendio e anzianità, con effetti sul trattamento di fine servizio e sulla pensione. Dunque, oltre al danno immediato, vi è un costo di lungo periodo. Per questo, un poliziotto debitore dovrebbe fare il possibile per evitare di incorrere in provvedimenti disciplinari legati ai debiti: ciò significa essere trasparente con i superiori se opportuno, cercare di comporre le vertenze con i creditori prima che presentino esposti, e in caso di contestazione disciplinare, difendersi adeguatamente dimostrando le proprie ragioni ed eventualmente le iniziative intraprese per risolvere il problema (es. aver avviato una procedura di sovraindebitamento potrebbe essere portato a discolpa, come segno di ravvedimento attivo).

Prestiti da persone “controindicate”: un elemento specifico del divieto dell’art. 12 DPR 782/85 è il non contrarre debiti con dipendenti o pregiudicati. Questo significa che, ad esempio, chiedere soldi in prestito a un proprio sottoposto (se si è un funzionario o un ispettore verso un agente) è di per sé un illecito disciplinare, perché mina la serenità dei rapporti gerarchici e potrebbe configurare una situazione di sfruttamento. Allo stesso modo, indebitarsi con soggetti dall’ambiente criminale è gravissimo: se emergesse che un poliziotto ha debiti con un noto pregiudicato, scatterebbero con ogni probabilità indagini interne e disciplinari severe, anche a prescindere dal pagamento o meno (qui il problema è proprio l’incompatibilità morale di un legame finanziario con certi soggetti). Quindi, se il poliziotto ha bisogno di denaro, dovrebbe rivolgersi a canali regolari (banche, finanziarie autorizzate) o eventualmente a conoscenti fidati ma di specchiata condotta; mai coinvolgere persone che non dovrebbe frequentare per etica professionale.

Il caso degli obblighi alimentari: come visto, il mancato pagamento degli assegni familiari può portare a conseguenze penali (art. 570 c.p.). Una condanna penale, anche per reati non commessi in servizio, comporta quasi automaticamente un procedimento disciplinare e può portare fino alla destituzione (soprattutto se passata in giudicato). Infatti, nel caso citato prima, il Sovrintendente aveva riportato due condanne per violazione degli obblighi di assistenza familiare e ciò pesò molto nel giudizio disciplinare sulla sua integrità. Quindi, il poliziotto deve prestare particolare attenzione a questo profilo: se per difficoltà economiche non riesce a versare il mantenimento stabilito, deve attivarsi immediatamente in sede civile per chiedere una modifica delle condizioni (adeguamento dell’assegno alla sua nuova situazione), piuttosto che lasciare accumulare il debito alimentare rischiando il penale. Mostrare di voler rispettare comunque gli obblighi familiari (anche con importi ridotti) è fondamentale per evitare conseguenze disciplinari e penali gravissime.

Supporto e prevenzione: l’Amministrazione di P.S., consapevole dello stress finanziario che può colpire i dipendenti, dispone anche di strumenti di assistenza e sostegno. Ad esempio, esistono i Fondi di assistenza per il personale della Polizia (gestiti dal Fondo di Assistenza per il personale della Pubblica Sicurezza) che in alcune circostanze erogano piccoli prestiti agevolati o sussidi in caso di gravi difficoltà (malattie, eventi straordinari). Inoltre, vi è il già citato art. 48-bis del DPR 782/85, introdotto di recente, che prevede misure in presenza di disagio psico-sociale del personale: se i problemi economici si intrecciano a disagio psicologico (es. depressione dovuta alla situazione debitoria, ludopatia come malattia), il dipendente può essere indirizzato a percorsi di sostegno e temporaneamente esonerato da servizi operativi particolarmente gravosi. Insomma, l’approccio attuale non è più solo punitivo ma cerca di essere anche preventivo e di recupero: un poliziotto indebitato non va automaticamente considerato un “disonore”, ma va aiutato a ritrovare stabilità, nell’interesse suo, della sua famiglia e della stessa amministrazione (che ha interesse ad avere personale sereno e non ricattabile).

Conclusioni su disciplina e debiti: in definitiva, dal punto di vista del debitore in uniforme, il miglior modo di “difendersi” è evitare di arrivare al conflitto con l’amministrazione. Ciò significa: appena ci si rende conto di essere in guai finanziari, affrontarli apertamente e legalmente (come abbiamo visto nelle sezioni precedenti); non ignorare i creditori, non far sì che siano loro a doversi rivolgere al datore di lavoro (come nel caso dell’affittuaria che scrisse al Ministero per il Sovrintendente moroso); se necessario, informare confidenzialmente un superiore di fiducia della propria situazione, soprattutto se si teme che qualcuno (un creditore ostile, un ricattatore) possa contattare l’ufficio. Mostrare trasparenza e proattività può prevenire provvedimenti disciplinari. E se malauguratamente scatta una contestazione disciplinare, difendersi con argomentazioni solide: documentare la propria buona fede, le cause di forza maggiore (es. spese mediche impreviste), gli sforzi fatti per rimediare (pagamenti parziali, piani accordati, ecc.), e magari citare la circolare del 2019 che invita a non punire chi è in difficoltà senza dolo. Spesso, nelle commissioni di disciplina, la differenza tra una pena pecuniaria e un’archiviazione può farla la percezione che il collega stia facendo tutto il possibile per sistemare le cose.

Ricordiamo infine che l’estrema sanzione della destituzione per motivi economici è riservata a casi eccezionali di reiterazione e indegnità conclamata. Un poliziotto giovane che incorra in qualche difficoltà finanziaria isolata non rischia certo il posto se agisce correttamente per risolverla. Il Corpo della Polizia ha interesse a non perdere i propri elementi per vicende del genere, se possono essere recuperati. Dunque, l’indicazione generale è: non vergognarsi di chiedere aiuto, utilizzare i canali legali per difendersi dai creditori e risanare i debiti, e mantenere un comportamento leale anche verso l’amministrazione.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito alcune domande comuni che un poliziotto indebitato potrebbe porsi, con le relative risposte sintetiche basate su quanto esposto:

D1: Quanto possono pignorarmi al massimo sul mio stipendio da poliziotto?
R: In generale, al massimo la metà dello stipendio netto può essere trattenuta per pignoramenti. Le regole base (art. 545 c.p.c.) sono: 1/5 per crediti ordinari (banche, finanziarie, privati); 1/5 per crediti fiscali (ma l’AdER applica 1/10 o 1/7 se stipendi bassi); fino a 1/3 per crediti alimentari su autorizzazione del giudice. Se ci sono più pignoramenti di tipo diverso, possono coesistere (es. un quinto + un quinto + un terzo) ma il totale non supera mai il 50% dello stipendio disponibile. L’unica eccezione teorica è nel caso di più alimenti che, cumulandosi, potrebbero arrivare a 2/3, ma è un’ipotesi rara e comunque valutata caso per caso dal giudice. Dunque, in pratica, almeno metà stipendio ti rimane sempre. Esempio: con stipendio netto €1.400, la somma di tutte le trattenute forzate non potrà superare €700 (ovvero metà). Se hai già una cessione del quinto in corso, questa conta nel 50%: quindi, ad esempio, stipendio €1.400 con cessione €280 (20%), lascia spazio per pignoramenti solo fino ad altri €420 (30%).

D2: Ho già una cessione del quinto, il pignoramento può aggiungersi lo stesso?
R: Sì, un pignoramento può aggiungersi, ma tenendo conto della cessione. La legge prevede che pignoramento e cessione insieme non superino metà stipendio. Se hai una cessione del quinto attiva (20% dello stipendio), il giudice potrà assegnare al creditore pignorante al massimo un altro 30% (così 20%+30% = 50%). Ad esempio, stipendio netto €1.000 con cessione €200 (1/5): resta pignorabile fino a €300. Se arrivano più pignoramenti, tutti insieme dovranno stare entro quel 30%. Quindi la cessione limita lo spazio per eventuali pignoramenti, ma non li esclude del tutto. Dal lato pratico, a parità di debito, può essere “meglio” aver avviato tu una cessione (volontaria) piuttosto che subire un pignoramento: nel primo caso paghi i tuoi €200 senza aggravio; nel secondo caso pagheresti comunque €200, ma con in più spese legali e interessi di mora. Ecco perché a volte si consiglia di anticipare il pignoramento con una cessione (se possibile), come forma di difesa attiva.

D3: Un poliziotto indebitato può essere licenziato per questo motivo?
R: Non semplicemente per il fatto di avere debiti. L’amministrazione non licenzia nessuno solo perché ha dei debiti. Può però avviare procedimenti disciplinari se il poliziotto non adempie ai debiti e ciò causa discredito o problemi di servizio (ad es. protesti, esposti, cause civili rumorose). In casi estremi e reiterati, se l’agente mostra totale inaffidabilità (molteplici sanzioni per debiti non pagati, comportamenti indecorosi, magari reati connessi come assegni a vuoto o mancato mantenimento familiare), allora si può arrivare alla destituzione dal servizio, come avvenuto nel caso Cons. Stato n.3199/2016. Ma parliamo di situazioni limite con lunghe recidive. Per un episodio isolato o per difficoltà oggettive, al massimo si rischia una pena pecuniaria disciplinare (multa) o un richiamo scritto. E dal 2019, con la circolare Gabrielli, la linea è di valutare con attenzione caso per caso ed evitare sanzioni inutilmente punitive verso chi è in buona fede. Quindi: se hai debiti, fai di tutto per gestirli correttamente (paga se puoi, comunica, attiva procedure). In tal modo è assai improbabile perdere il lavoro. Viceversa, ignorare del tutto i debiti, scappare dai creditori e far montare scandali può portare a guai disciplinari seri.

D4: Posso accedere alla legge “salva suicidi” (sovraindebitamento) anche se sono un dipendente pubblico?
R: Assolutamente sì. Le procedure di sovraindebitamento sono aperte a tutte le persone fisiche (non fallibili) schiacciate dai debiti, inclusi i dipendenti pubblici. Non c’è alcuna preclusione per il fatto di essere un poliziotto: sei equiparato a qualunque privato cittadino debitore. Se hai i requisiti (vedi sopra: squilibrio tra debiti e reddito/patrimonio, buona fede, ecc.), puoi presentare un piano del consumatore al tribunale della tua residenza. Queste procedure ti consentono di ridurre l’ammontare complessivo dei debiti (anche tagliando interessi, sanzioni e una parte di capitale) e di pagarli in modo sostenibile, con la protezione del tribunale. Dopo aver eseguito il piano (o la liquidazione), ottieni l’esdebitazione: la legge cancella i debiti residui. Anche i debiti fiscali possono essere inclusi, dilazionati o ridotti, cosa prima impossibile ma ora fattibile dopo le riforme del 2020-2022. Quindi, un poliziotto può eccome avvalersi di questo strumento per uscire dal tunnel. Anzi, potrebbe essere visto positivamente dal datore di lavoro: dimostra che stai affrontando con mezzi legali il problema invece di lasciarlo incancrenire. (Nota: l’unico effetto collaterale è che dovrai dichiarare nella domanda che sei un pubblico dipendente, ma è solo una formalità; l’amministrazione non viene coinvolta se non eventualmente come creditore se le devi qualcosa).

D5: Aprire una procedura di sovraindebitamento mi espone a problemi disciplinari?
R: In sé, no. Come spiegato, il procedimento disciplinare può scattare se non paghi i debiti in modo tale da ledere il decoro dell’istituzione. Ma se tu prendi l’iniziativa di portare i debiti in tribunale per pagarli il giusto, stai onorando i debiti secondo la legge. Non c’è alcuna norma che vieti al poliziotto di dichiarare il sovraindebitamento. Certo, la situazione di partenza (debiti insoluti) potrebbe già averti esposto, ma una volta in procedura le azioni esecutive sono bloccate e i creditori non hanno motivo di fare esposti. Quindi è probabile che nessuno in amministrazione venga nemmeno a sapere formalmente che hai una procedura in corso, a meno che tu non lo dica o che qualche creditore informi (ma sarebbe strano, sono procedure volontarie). In ogni caso, l’avvio della procedura denota responsabilità: se mai dovessi essere chiamato a spiegare, potrai mostrare che hai scelto una via legale e controllata per risolvere la situazione. Molti colleghi lo hanno fatto senza ripercussioni sul lavoro. L’importante è non mentire: se, ad esempio, l’ufficio ti chiede di attestare di non avere processi pendenti che possano influire sul servizio, dovrai segnalare la procedura (anche se non è penale né disciplinare, ma per correttezza). Ma di norma non viene richiesto. Quindi vai tranquillo: meglio un debitore che sistema i debiti col tribunale, che un debitore latitante che fa scappare i creditori!

D6: Ho ricevuto la notifica di un pignoramento dello stipendio. Posso ancora evitare che mi trattengano i soldi?
R: Quando l’atto di pignoramento dello stipendio è già stato notificato, l’unico modo per “evitarlo” è trovare un accordo col creditore prima dell’udienza di assegnazione. In pratica, hai una finestra di tempo (dalla notifica alla data dell’udienza in tribunale, in genere qualche settimana) in cui puoi contattare il creditore (o il suo avvocato) e proporre un pagamento diretto o un piano di rientro concordato. Se il creditore accetta e formalizzate l’accordo, questi potrà presentarsi in udienza e rinunciare al pignoramento (o chiedere al giudice di estinguerlo per sopravvenuto accordo). Spesso i creditori sono disponibili, perché evitano di attendere anni di piccole trattenute e incassano prima. Magari potresti dover versare qualcosa in più subito (una somma iniziale) o accettare condizioni, ma si può negoziare. Tieni presente che, una volta che il giudice assegna la quota, il pignoramento prosegue salvo che paghi tutto insieme più spese. Quindi il momento giusto per trattare è prima dell’udienza. Se invece il pignoramento è già in corso da tempo, puoi comunque proporre un saldo e stralcio: ad esempio, offri una somma forfettaria per chiudere anticipatamente la pratica, in cambio della rinuncia al residuo. Molti creditori accettano uno stralcio se vedono che con il pignoramento andrebbero avanti anni. In tutti i casi, coinvolgi il tuo legale per formalizzare correttamente l’eventuale accordo e far depositare l’atto di rinuncia in tribunale. Ricorda: la leva che hai è la tempistica – il creditore col pignoramento ottiene piccole somme mensili, offrendogli un pagamento più consistente subito potresti convincerlo.

D7: Non riesco più a pagare l’assegno di mantenimento a mio figlio, cosa rischio e cosa posso fare?
R: Questo è un problema delicato. Rischi su due fronti: in sede penale, se l’omissione è protratta e volontaria, puoi incorrere nel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), con denunce da parte dell’avente diritto (di solito l’ex coniuge per conto del minore). In sede civile, il beneficiario può ottenere un provvedimento del giudice che dispone il pagamento diretto, ad esempio prelevando fino a 1/3 del tuo stipendio per soddisfare gli arretrati. Inoltre, trattandosi di un comportamento lesivo di un dovere morale e giuridico, l’Amministrazione lo considera molto negativamente: condanne penali anche a pene modeste hanno portato a sanzioni disciplinari serie (ci sono stati casi di sospensioni e destituzioni in presenza di condanne per 570 c.p.). Cosa fare: non lasciare che la situazione degeneri. Se la somma stabilita dal giudice è diventata davvero insostenibile per un cambiamento nelle tue condizioni (es. nuovi debiti, riduzione stipendio per pignoramenti, ecc.), la strada corretta è presentare ricorso al tribunale civile (giudice della famiglia) per chiedere una modifica delle condizioni di mantenimento. Devi dimostrare che la tua capacità economica è peggiorata incolpevolmente. Il giudice potrà ridurre temporaneamente l’assegno o sospenderlo se del caso. Nel frattempo, versa quello che puoi – anche importi parziali e irregolari – perché dimostrare di aver dato qualcosa è meglio che niente (il reato scatta quando “si sottrae agli obblighi di assistenza”, quindi un minimo pagamento, pur insufficiente, potrebbe evitare la configurabilità del dolo). Parla con l’ex coniuge se possibile, spiegando la situazione e cercando un accordo transitorio. In parallelo, dà priorità a questi pagamenti: tra i vari debiti, gli alimenti sono quelli da mettere al primo posto, perché il loro mancato versamento ha conseguenze più gravi (famigliare, penale e lavorativa). Se proprio non riesci per importi, considera la procedura di sovraindebitamento: sappi però che i crediti alimentari non possono essere falcidiati in quella sede – resterai comunque tenuto, ma magari puoi includere altri debiti e liberare risorse per gli alimenti. In sintesi: rischi grosso se non paghi i mantenimenti, quindi muoviti con strumenti legali per farli ridurre piuttosto.

D8: Posso svolgere un secondo lavoro (part-time) per guadagnare di più e pagare i debiti?
R: Per il personale di polizia la normativa sul cumulo di impieghi è molto stringente. In linea generale, no, non puoi svolgere un secondo lavoro retribuito senza autorizzazione. I funzionari pubblici a tempo pieno non possono avere altri impieghi pubblici o privati, salvo poche eccezioni (attività artistiche, scientifiche, pubblicazioni, docenze occasionali, etc., comunque previa comunicazione e spesso autorizzazione). Nel tuo status di poliziotto, l’incompatibilità con altre attività lucrative è la regola (art. 8 L. 121/1981 e norme collaterali). Ci sono possibilità solo per incarichi marginali e previa autorizzazione ministeriale, che viene data col contagocce e solo se non confliggono col servizio. Quindi non puoi ad esempio fare l’autista Uber, il vigilante privato, il commerciante, ecc. nel tempo libero – sarebbe una violazione disciplinare seria se scoperta. L’unica strada per lavorare di più legalmente è chiedere eventuali straordinari (ma dipende dalle esigenze di servizio e dai tetti di spesa) o, in casi estremi, chiedere il part-time nell’amministrazione e affiancare un secondo part-time altrove (soluzione comunque soggetta ad autorizzazione e non semplice da ottenere, oltre che poco conveniente economicamente). Valuta invece se il coniuge o altri familiari possano contribuire, oppure se puoi monetizzare qualche tuo hobby lecito (es. vendere oggetti fatti a mano, che di solito è tollerato se saltuario). Attento a non cadere nella tentazione del “secondo lavoro in nero”: se ti beccano, le conseguenze disciplinari sarebbero peggiori dei debiti (possibile sospensione per incompatibilità e violazione dei doveri). Quindi, purtroppo, la risposta è che devi risolvere i debiti con i mezzi attuali, non contando su doppi stipendi. Concentrati piuttosto sulla ristrutturazione dei debiti (ridurne l’ammontare) più che sull’aumento di reddito non consentito.

D9: Possono pignorarmi la casa di proprietà?
R: Sì, la casa (o altri immobili) sono aggredibili dai creditori, ma con alcune limitazioni. Un creditore privato (banca, privato) con un titolo esecutivo può iscrivere ipoteca e pignorare anche la prima e unica casa, se il valore lo giustifica, vendendola all’asta. L’Agenzia Entrate-Riscossione (Fisco) invece ha delle restrizioni: non può pignorare l’unica casa di abitazione del debitore se questa è prima casa (non di lusso) e se non ci sono altre proprietà, a meno che il debito superi €120.000 e sia già stata messa ipoteca per almeno 6 mesi. In pratica, il Fisco: (a) può iscrivere ipoteca sugli immobili se il debito supera €20.000; (b) può procedere a esecuzione immobiliare solo se il debito > €120.000, e non sulla prima casa se è l’unica (in quel caso l’immobile resta ipotecato ma non vendono, finché rimane tua abitazione). Quindi, un poliziotto che abbia solo la casa dove vive e debiti fiscali, è abbastanza protetto (a meno che abbia accumulato oltre 120k di cartelle, scenario estremo). Però attenzione: se hai un mutuo ipotecario e non paghi, la banca (creditore ipotecario) può comunque avviare il pignoramento: in quel caso la tutela “prima casa” non si applica perché c’è l’ipoteca volontaria e il creditore è privilegiato. E se la casa non è “prima” (es. seconda casa) o è di lusso, anche AdER può pignorarla. In conclusione: la casa si può salvare in molti casi, specie contro i debiti fiscali inferiori a 120k, ma non è assolutamente intoccabile contro altri creditori. Se temi di perderla, puoi considerare di includerla in un piano di sovraindebitamento: a volte si riesce a evitare la vendita concordando di pagare diversamente i creditori. Oppure, vendere tu stesso l’immobile a valore di mercato (che all’asta spesso va svalutato) per soddisfare i creditori ed evitare l’esecuzione giudiziaria. Ogni caso fa storia a sé, ma non dare per scontato che la casa sia immune: valuta le condizioni e la natura dei tuoi debiti.

D10: Cosa devo fare se ricevo una contestazione disciplinare per “debiti non onorati”?
R: Prima cosa: non sottovalutarla. Anche se magari ritieni ingiusto l’addebito (“ho fatto il possibile ma non potevo pagare”), devi rispondere formalmente con le tue giustificazioni entro i termini indicati (generalmente 5 o 10 giorni). Prepara una memoria scritta, magari facendoti assistere da un sindacato di Polizia o da un avvocato amministrativista esperto in diritto militare/pubblico impiego. Nella risposta, spiega dettagliatamente la situazione: le cause per cui il debito non è stato pagato (es. gravi motivi familiari, spese impreviste, inadeguatezza dello stipendio rispetto al costo della vita, ecc. – se possibile documenta con prove), eventuali circostanze attenuanti (ad es. tu intendevi pagare, hai versato delle rate ma poi sei andato in difficoltà, oppure il credito era contestato, ecc.), e soprattutto evidenzia le azioni che hai intrapreso per rimediare: ad esempio, se nel frattempo hai pagato il debito o trovato un accordo con il creditore, allega la prova; se hai avviato una procedura di composizione della crisi, comunicalo. Insomma, fai capire che non c’era volontà di inadempienza da parte tua, ma solo circostanze sfortunate, e che stai facendo di tutto per sistemare le cose. Puoi anche citare, con rispetto, la circolare del Capo della Polizia 2019: ricorda ai tuoi superiori che le direttive interne invitano a valutare con equilibrio questi casi, per evitare sanzioni eccessive su chi è in difficoltà. Se ritieni la contestazione infondata (magari perché il debito contestato non era tuo, o lo avevi pagato prima della contestazione), allega le prove dell’equivoco. Dopo la tua memoria, ci sarà la decisione: se la sanzione che ti infliggono è lieve (tipo un richiamo scritto o una lieve pena pecuniaria) e la ritieni comunque ingiusta, puoi valutare se presentare ricorso gerarchico o al TAR, ma spesso per piccole sanzioni conviene chiudere lì. Se invece fosse una sanzione grave (sospensione, trasferimento d’autorità, ecc.), allora ti conviene consultare subito un legale specializzato per impugnarla al TAR entro 60 giorni o fare ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni. In giudizio, casi del genere si sono vinti quando la sanzione era sproporzionata rispetto alla mancanza (es. destituzioni annullate per debiti pagati nel frattempo), ma si sono anche persi quando il comportamento risultava veramente riprovevole nel contesto. Ogni caso ha le sue peculiarità. In ogni caso, comunicare e collaborare con la disciplina è la strada migliore: mostrare pentimento, se c’è stata leggerezza, e impegno a recuperare. Molte volte, atteggiamenti di trasparenza hanno portato a un’archiviazione o a una sanzione simbolica. Non ultimo, puoi chiedere supporto al tuo Ufficio per l’Assistenza al personale: esistono figure preposte al benessere del personale, che possono dare consigli o mediare.


In sintesi finale: essere un poliziotto con debiti è certamente una situazione stressante, ma non sei il primo né sarai l’ultimo ad affrontarla. L’importante è conoscere i propri diritti e doveri, usare tutti gli strumenti legali a disposizione per gestire i creditori e rientrare dall’esposizione, e mantenere un dialogo onesto sia con i creditori sia, quando necessario, con l’amministrazione di appartenenza. Con una strategia ben pianificata è possibile proteggere lo stipendio nei limiti di legge, evitare che i debiti intacchino eccessivamente la tua vita e la tua carriera, e gradualmente tornare in equilibrio finanziario senza perdere l’onore né la serenità.

Fonti normative e riferimenti

  • Codice Civile: art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale universale); art. 433 c.c. (obblighi alimentari tra familiari).
  • Codice di Procedura Civile: art. 480 c.p.c. (precetto); artt. 543-545 c.p.c. (pignoramento presso terzi e limiti di pignorabilità dello stipendio); art. 514 c.p.c. (cose mobili impignorabili).
  • Codice Penale: art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare).
  • D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180: Testo Unico in materia di cessione degli stipendi (diritto alla cessione del quinto per dipendenti statali).
  • D.P.R. 28 ottobre 1985 n. 782: Regolamento di servizio dell’Amministrazione della pubblica sicurezza. In particolare: art. 12 (doveri del personale: divieto di contrarre debiti senza onorarli e con persone pregiudicate).
  • D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737: Regolamento sui procedimenti disciplinari per il personale di P.S. In particolare: art. 4 n.4 (sanzione pecuniaria per infrazioni minori); art. 7 (aumento sanzioni in caso di recidiva).
  • Circolare del Capo della Polizia – Gabinetto del Dipartimento P.S., n. 559/A/1/1/115.1/3 del 2 maggio 2019: “Criteri interpretativi art. 4 n.4 DPR 737/81 in relazione a violazione art. 12 n.3 DPR 782/85 (contrarre debiti senza onorarli)”. (Franco Gabrielli) – Invita a valutare caso per caso le insolvenze dei dipendenti, distinguendo dolo e mera difficoltà economica.
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019): artt. 65-83 (piano di ristrutturazione del consumatore), 84-91 (concordato minore), 268-277 (liquidazione controllata), 278-283 (esdebitazione del sovraindebitato “incapiente”). Correttivi: D.Lgs. 147/2020; D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021; D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149 (riforma Cartabia, modifica soglie); D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Attuazione direttiva 2019/1023, modifica trattamento crediti privilegiati).
  • Legge 3/2012 (abrogata e confluita nel CCII): cd. “legge salva suicidi”, previgente disciplina sul sovraindebitamento. (Casi giurisprudenziali rilevanti sulla meritevolezza: Cass. civ. Sez. I, sent. n. 1869/2016; Cass. Sez. I, n. 27544/2019; Cass. Sez. I, n. 32361/2018 – evoluzione criterio buona fede del debitore).
  • D.P.R. 602/1973: art. 72-bis e 72-ter (pignoramento presso terzi da parte di AdER: procedure semplificate e limiti 1/10 – 1/7 – 1/5 in base allo stipendio).
  • Legge 29 dicembre 2024 n. 207 (Legge di Bilancio 2025): art. 1 commi 84-86 (blocco stipendi/pensioni PA con debiti fiscali > €5.000, dal 2026).
  • D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149: ha elevato la quota impignorabile delle pensioni da 1,5 a 2 volte l’assegno sociale (~€1.000) (norma rilevante per i pensionati, come ex poliziotti con pignoramenti sulla pensione).
  • Giurisprudenza (procedura esecutiva e sovraindebitamento):
    Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2016 n. 3199: confermata destituzione di Sovrintendente P.S. recidivo in inadempimenti (30 sanzioni pregresse, debiti non pagati).
    Cons. Stato, Sez. III, 18 luglio 2016 n. 3199: stessa vicenda, decisione di appello (Ministero dell’Interno c. dipendente).
    Cass. civ., Sez. I, 27 novembre 2024 n. 30543: nei piani/accordi da sovraindebitamento, ammessa falcidia dei crediti privilegiati se verifica di convenienza per il creditore privilegiato rispetto alla liquidazione.
    Cass. civ., Sez. I, 6 febbraio 2025 n. 5157: in tema di sovraindebitamento, ha ribadito che il reclamo contro l’omologa può essere proposto solo dalle parti in causa (creditori interessati) e non da terzi estranei – dettaglio procedurale (legittimazione attiva).
    Cass. civ., Sez. Unite, 2021 n. 8500: (per completezza) ha affermato che l’adesione alla procedura di sovraindebitamento da parte di un creditore comporta rinuncia implicita all’azione esecutiva individuale (coordinamento con pignoramenti pendenti).

Poliziotto con debiti: Come Difendersi Con Studio Monardo

Sei un poliziotto e ti trovi sommerso da debiti fiscali, prestiti o finanziamenti?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, avvisi di pagamento o pignoramenti sullo stipendio?

Anche chi lavora nelle forze dell’ordine, pur avendo uno stipendio sicuro, può trovarsi in difficoltà a causa di spese impreviste, mutui pesanti, prestiti per esigenze familiari o contenziosi fiscali. Ma la legge offre strumenti concreti per proteggere il reddito e ristrutturare i debiti, evitando che la situazione degeneri.


🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione debitoria complessiva, incluse imposte, contributi, mutui e finanziamenti

📌 Verifica la possibilità di sospendere azioni esecutive e bloccare i pignoramenti sullo stipendio

✍️ Predispone piani di ristrutturazione o procedure di sovraindebitamento per lavoratori dipendenti pubblici

⚖️ Ti assiste nei rapporti con Agenzia delle Entrate, INPS, banche e società di recupero crediti

🔁 Richiede l’esdebitazione per cancellare i debiti residui non più sostenibili


🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto nella tutela di appartenenti alle forze dell’ordine in difficoltà economica

✔️ Specializzato in sovraindebitamento e difesa da contenziosi fiscali e bancari

✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia


Conclusione
Anche un poliziotto con debiti può uscire dalla crisi e tornare a vivere con serenità.
Con una strategia legale mirata puoi ridurre i debiti, bloccare i creditori e difendere il tuo stipendio.

📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua sicurezza finanziaria inizia da qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!