Poliambulatori Con Debiti Superiori Al Milione: Come Difendersi

Sei un poliambulatorio con debiti superiori al milione di euro e la crisi finanziaria sta mettendo a rischio la tua attività?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da banche, fornitori, finanziarie o enti pubblici e temi conseguenze sulla continuità operativa e sulla reputazione della struttura? In questi casi è essenziale conoscere i tuoi diritti, agire legalmente per difenderti e utilizzare strumenti mirati per proteggere il patrimonio, il personale e i rapporti con i pazienti.

Quando un poliambulatorio può accumulare debiti oltre il milione di euro
– Quando ha contratto mutui, leasing o finanziamenti per ristrutturazioni, ampliamenti o acquisti di apparecchiature costose e non riesce più a onorare le rate
– Quando ha arretrati fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate, INPS o altri enti
– Quando ha accumulato debiti verso fornitori strategici di farmaci, materiali sanitari o servizi
– Quando spese impreviste, contenziosi legali o calo delle entrate hanno compromesso la liquidità
– Quando il rincaro dei costi di gestione (energia, personale, manutenzioni) supera la capacità di incasso

Cosa può succedere a un poliambulatorio con debiti così elevati
– Pignoramento dei conti correnti aziendali, con blocco della gestione ordinaria
– Pignoramento presso terzi dei crediti verso assicurazioni, enti o pazienti privati
– Iscrizione di ipoteche sugli immobili della struttura
– Revoca di affidamenti bancari e impossibilità di accedere a nuova liquidità
– Perdita di fornitori chiave e interruzione di servizi essenziali
– Nei casi più gravi, rischio di chiusura forzata o liquidazione coatta amministrativa

Cosa può fare un poliambulatorio per difendersi dai debiti
– Far verificare da un avvocato la legittimità e l’esigibilità delle pretese creditorie, valutando se vi siano posizioni prescritte o contestabili
– Per i debiti fiscali e contributivi, attivare strumenti come rateizzazioni, rottamazioni o saldo e stralcio
– Avviare una procedura di composizione negoziata della crisi o un concordato preventivo per ristrutturare il debito e garantire la continuità aziendale
– Negoziare con banche e fornitori accordi di rientro che evitino l’interruzione dei servizi e riducano interessi e penali
– Proteggere il patrimonio immobiliare e strumentale della struttura con strumenti giuridici legittimi
– Bloccare o sospendere azioni esecutive quando ci sono i presupposti legali

Cosa può ottenere un poliambulatorio con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione sostanziale del debito complessivo attraverso accordi stragiudiziali o procedure concorsuali
– La tutela degli immobili, delle attrezzature e del know-how aziendale
– La possibilità di ristrutturare il debito mantenendo la continuità dei servizi sanitari
– Il recupero della stabilità economica e gestionale
– La salvaguardia dei posti di lavoro e della reputazione professionale

Attenzione: anche una struttura sanitaria con fatturato importante non è immune dal rischio di azioni esecutive e blocchi operativi. Tuttavia, esistono strumenti legali efficaci per salvaguardare il patrimonio, l’attività e il rapporto con i pazienti. Intervenire tempestivamente con una strategia mirata è fondamentale per evitare il collasso.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, tutela delle strutture sanitarie e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se il tuo poliambulatorio ha debiti superiori al milione di euro, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.

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Introduzione

I poliambulatori privati – strutture sanitarie polifunzionali – possono trovarsi ad accumulare debiti ingenti, anche superiori al milione di euro, a causa di costi elevati (personale medico, attrezzature, locazioni) e di eventuali difficoltà gestionali. Dal punto di vista del debitore, trovarsi in una simile situazione debitoria comporta gravi rischi: azioni esecutive dei creditori (pignoramenti, ipoteche), perdita di liquidità, compromissione della continuità aziendale e, nei casi più gravi, procedimenti concorsuali che possono portare alla liquidazione forzata dell’attività (il fallimento, oggi detto liquidazione giudiziale). Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un quadro avanzato ma divulgativo degli strumenti giuridici disponibili in Italia per “difendere” un poliambulatorio fortemente indebitato, analizzando tutti i tipi di debito e le possibili strategie di ristrutturazione o composizione della crisi. Verranno esaminati sia gli strumenti stragiudiziali (accordi privati, piani di risanamento) sia quelli giudiziali (concordato preventivo, procedure da sovraindebitamento, liquidazione giudiziale), incluse le novità introdotte dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) e in particolare la composizione negoziata della crisi. Il taglio è operativo e focalizzato sul punto di vista del debitore: l’obiettivo è capire come un imprenditore sanitario (sia esso una società di capitali, una società di persone o un professionista) possa tutelarsi legalmente e gestire i debiti >1 milione, evitando per quanto possibile la chiusura forzata e salvaguardando l’attività medica. Si forniranno anche esempi pratici, tabelle riepilogative delle diverse soluzioni, e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni.

Contesto normativo attuale: va premesso che dal 15 luglio 2022 è pienamente in vigore in Italia il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), introdotto dal D.Lgs. 14/2019 e poi modificato per recepire la Direttiva UE 2019/1023. Questa riforma, parte degli obiettivi del PNRR, ha abrogato la vecchia Legge Fallimentare del 1942, riorganizzando la materia delle crisi d’impresa e introducendo nuovi strumenti orientati al risanamento preventivo delle aziende in difficoltà. Sono state eliminate le procedure di “allerta” obbligatoria (le segnalazioni d’ufficio previste inizialmente sono sospese sino a fine 2023) a favore di approcci volontari e negoziali come la composizione negoziata. Inoltre, termini storici come fallimento sono stati sostituiti da liquidazione giudiziale, ma la sostanza rimane: un’impresa insolvente può essere assoggettata a liquidazione coatta su iniziativa propria o dei creditori. Per i piccoli imprenditori non fallibili (es. professionisti, start-up innovative, enti non commerciali) il Codice ha previsto procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento semplificate. Nel 2022 e 2024 sono intervenuti ulteriori decreti correttivi (D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) che hanno affinato molti istituti: ad esempio, hanno introdotto il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e varianti degli accordi di ristrutturazione, oltre a chiarire aspetti sulla composizione negoziata e sulle procedure minori. Questa guida tiene conto di tutte le novità normative fino al 2025, nonché delle più recenti sentenze dei tribunali e della Corte di Cassazione in materia concorsuale, così da fornire indicazioni aggiornate e attendibili. In fondo al documento è presente un’ampia sezione Fonti, con riferimenti normativi, giurisprudenziali e dottrinali utilizzati.

Nei prossimi paragrafi esamineremo dapprima le problematiche tipiche di un poliambulatorio gravato da debiti >1.000.000 € e le conseguenze legali dello stato di insolvenza, per poi passare in rassegna i vari strumenti di difesa a disposizione del debitore. Ci focalizzeremo su:

  • Tipologie di debito (fiscale, contributivo, bancario, commerciale, verso fornitori/lavoratori) e le diverse strategie per ciascuna.
  • Soluzioni stragiudiziali: rinegoziazione privata dei debiti, piano attestato di risanamento e accordi con creditori.
  • Soluzioni giudiziali: accordo di ristrutturazione omologato, concordato preventivo (in continuità o liquidatorio), concordato minore e, se necessario, liquidazione giudiziale (fallimento) o liquidazione controllata per i soggetti minori.
  • Il nuovo strumento di composizione negoziata della crisi, attivabile anche dai poliambulatori, e l’eventuale concordato semplificato in esito ad essa.
  • Le differenze in base al tipo di soggetto: società di capitali (es. S.r.l.), società di persone (S.n.c., S.a.s.) o imprenditore individuale/professionista, con particolare riguardo alla responsabilità sui debiti e all’accesso alle procedure.
  • Approfondimenti su normativa e giurisprudenza: requisiti, effetti e recenti orientamenti dei giudici (incluse sentenze di Cassazione rilevanti).
  • Alcune simulazioni pratiche di casi di poliambulatori indebitati e le soluzioni applicate.
  • Una sezione FAQ – Domande frequenti, per rispondere ai quesiti tipici che si pone un debitore in questa situazione (ad es. “Rischio il fallimento?”, “Posso ridurre i debiti fiscali?”, “Che succede se un creditore mi fa decreto ingiuntivo?”, ecc.).

Procediamo dunque con ordine, mettendoci nei panni dell’imprenditore-debitore e cercando di capire come difendersi e quali scelte compiere per gestire al meglio la crisi finanziaria di un poliambulatorio.

Debiti di un poliambulatorio: tipologie e rischi per il debitore

Un poliambulatorio con oltre un milione di euro di debiti può presentare diverse tipologie di esposizioni debitorie, ciascuna con proprie caratteristiche e implicazioni legali. Analizziamo le più comuni:

  • Debiti bancari e finanziari: tipicamente mutui o leasing per macchinari medicali, finanziamenti per liquidità, scoperti di conto. La banca è spesso un creditore garantito (ad es. da ipoteca su immobili o pegno su attrezzature). Rischi: la banca può escutere le garanzie (es. ipoteca: esecuzione immobiliare) o chiedere il rientro immediato del fido, mettendo in grave difficoltà la struttura. Se sono in essere covenant finanziari, il superamento di certi indici può far scattare la revoca del prestito. Inoltre, le banche possono presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il debitore è insolvente e il credito non viene soddisfatto. Difese possibili: negoziare una ristrutturazione del debito (es. accordo di rientro con aumento delle garanzie o allungamento del piano di ammortamento), eventualmente nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale (vedremo oltre). In molti casi le banche, di fronte a piani credibili di risanamento, sono disposte a concedere moratorie o ad aderire a piani attestati o concordati, anche perché sanno che in caso di fallimento rischiano di recuperare meno (specie per la parte chirografaria del credito).
  • Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: comprendono i debiti commerciali (forniture di dispositivi medici, farmaci, servizi), canoni di locazione dell’immobile, bollette di utenze, consulenze, ecc. Questi creditori chirografari (senza garanzie) sono spesso i più esposti in caso di insolvenza, perché hanno minori tutele. Rischi: i fornitori possono interrompere le forniture essenziali se non pagati, aggravando la crisi (es. mancata consegna di reagenti o materiali sanitari). Possono anche agire in giudizio ottenendo decreti ingiuntivi e pignoramenti su conti correnti o apparecchiature (se non protette da privilegio speciale). Singoli atti di esecuzione isolati possono compromettere la continuità aziendale. Difese: attivare tempestivamente trattative con i fornitori chiave per dilazionare i pagamenti o ridurre il debito (stralcio parziale), possibilmente presentando un piano di ristrutturazione credibile. Spesso i fornitori preferiscono accettare un pagamento parziale ma rapido in concordato o accordo, piuttosto che attendere gli esiti incerti di un fallimento. In sede di concordato preventivo, i fornitori rientrano nella classe dei chirografari e potrebbero vedersi offrire una percentuale di soddisfazione (ad es. 30%) in tempi definiti, con il vantaggio – per loro – di un voto sulla proposta e di evitare spese legali ulteriori.
  • Debiti verso dipendenti e collaboratori: possono includere stipendi arretrati, TFR non versato, compensi a medici convenzionati. Questi crediti godono di privilegi speciali e generali (ad es. retribuzioni ultimi 12 mesi privilegiate) e di tutela da parte del Fondo di Garanzia INPS (per TFR e ultime mensilità in caso di insolvenza). Rischi: i dipendenti potrebbero agire per vie legali (ingiunzioni, cause di lavoro) e un forte malcontento del personale può portare a dimissioni collettive, mettendo a rischio l’operatività sanitaria. Difese: nelle procedure concorsuali i lavoratori privilegiati sono tutelati: ad esempio, nel concordato devono essere pagati integralmente o con breve dilazione (massimo 6 mesi per i crediti di lavoro in caso di concordato in continuità). Il debitore può cercare un accordo con il personale (rateizzando gli arretrati) spiegando il piano di rilancio. In genere, la salvaguardia dell’occupazione è un punto a favore in sede di omologazione di un concordato in continuità – i tribunali tendono a privilegiare soluzioni che mantengano attivi i posti di lavoro.
  • Debiti fiscali (Erario) e contributivi (INPS, casse): includono IVA, ritenute non versate, IRAP, imposte varie e contributi previdenziali dei dipendenti o dei professionisti. Spesso, in situazioni di crisi di liquidità, l’imprenditore si trova costretto a omettere versamenti fiscali per pagare stipendi o fornitori, generando un debito ingente verso l’Erario. Rischi: il Fisco (Agenzia delle Entrate-Riscossione) può iscrivere ipoteche sugli immobili della società o dei soci garanti, può pignorare conti e crediti (bloccando rimborsi, pignoramento presso terzi delle entrare da ASL/convenzioni) e in ultima istanza può chiedere la liquidazione giudiziale dell’impresa se il debito fiscale è significativo e l’impresa appare insolvente. Inoltre, gli omessi versamenti oltre soglie rilevanti possono avere anche profili di reato tributario (es. omesso versamento IVA > 250.000 € è reato). Difese: esistono strumenti specifici di sollievo fiscale. In primo luogo la rateizzazione amministrativa: con adeguata motivazione, si possono chiedere fino a 72 rate mensili (6 anni) o, in caso di temporanea e obiettiva difficoltà, persino 120 rate (10 anni) per dilazionare i debiti tributari. Nel 2023 il Governo ha ulteriormente ampliato questa possibilità (D.L. 13/2023) e varato misure di definizione agevolata (come la rottamazione-quater delle cartelle esattoriali, che consente di pagare i ruoli fiscali eliminando sanzioni e interessi) per i debiti affidati all’Agente della Riscossione entro il 30 giugno 2022. Un poliambulatorio debitore dovrebbe valutare l’adesione a tali sanatorie fiscali se disponibili, perché permettono un alleggerimento del carico. In prospettiva di un concordato o accordo, è fondamentale affrontare il nodo fiscale tramite la transazione fiscale: il Codice consente di includere nel piano concordatario o nell’accordo una proposta di pagamento parziale delle imposte, a condizione che l’Erario aderisca formalmente e che la proposta sia più vantaggiosa che in caso di liquidazione. Nel concordato in continuità, grazie al recepimento della Direttiva UE, oggi il tribunale può omologare il piano anche senza il voto favorevole del Fisco o degli enti previdenziali, se ritiene che la proposta verso di loro sia equa e più conveniente del fallimento. Ciò toglie all’Erario un potere di veto assoluto e consente una maggiore flessibilità nel ridurre debiti fiscali all’interno di piani di risanamento, purché nel rispetto del principio di convenienza (il Fisco non deve ricevere meno di quanto otterrebbe dalla liquidazione giudiziale). Attenzione però: fuori dalle procedure concorsuali, il Fisco non può legalmente rinunciare ad imposte dovute, salvo per le parti sanzionatorie o interessi in sede di definizioni agevolate. Quindi un accordo privato col Fisco è possibile solo utilizzando gli istituti sopra citati (rateazioni, rottamazioni, transazione fiscale in concordato/accordo omologato).
  • Debiti verso fornitori di servizi essenziali: (utenze, fornitori di tecnologia medica in noleggio). Questi crediti spesso non sono molto alti singolarmente, ma il loro blocco può paralizzare l’attività (si pensi al distacco delle utenze energetiche o del software gestionale in abbonamento). Difese: la legge tutela in parte l’impresa in procedura: ad esempio, in concordato in continuità il debitore può chiedere che i contratti in corso (leasing, forniture essenziali) proseguano nonostante la pendenza della procedura, garantendo però il regolare pagamento delle nuove forniture. Durante la composizione negoziata, inoltre, scatta l’obbligo per i creditori di astenersi dall’interrompere forniture essenziali per il solo mancato pagamento di pregresse esposizioni (salvo garanzie di pagamento delle forniture correnti), come misura di protezione per favorire il risanamento. Il debitore deve comunque comunicare tempestivamente ai fornitori strategici l’attivazione della procedura e l’impegno a onorare i consumi correnti.

In sintesi, tutti i tipi di debito vanno analizzati e gestiti con strumenti adeguati. Un poliambulatorio indebitato deve adottare un approccio proattivo: trattare con i creditori chiave prima che la situazione precipiti, avviare eventualmente una procedura di regolazione della crisi (negoziata o giudiziale) e soprattutto evitare comportamenti che aggravino il dissesto. È fondamentale evitare di favorire arbitrariamente un creditore a discapito di altri (pagamenti preferenziali): se poi si finisce in liquidazione giudiziale, quei pagamenti potrebbero essere revocati dal Curatore e l’atto di favoritismo potrebbe configurare bancarotta preferenziale (reato). Difendersi significa dunque giocare d’anticipo, usando le leve offerte dalla legge per ristrutturare i debiti in modo equo e sostenibile.

Conseguenze dello stato di insolvenza e obblighi del debitore

Prima di esaminare nello specifico gli strumenti di ristrutturazione, è utile capire cosa accade se l’impresa diviene insolvente e non adotta tempestivamente alcuna soluzione. L’insolvenza (art. 2, co.1, lett. b CCII) è definita come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e si manifesta con inadempimenti o altri fattori indicatori della incapacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni” (concetto che include sia l’illiquidità attuale sia un’insostenibilità prospettica). In termini pratici, un poliambulatorio è insolvente se non riesce sistematicamente a pagare debiti esigibili (stipendi, fornitori, rate mutuo) con le risorse ordinarie, accumulando arretrati senza prospettiva credibile di recupero. La Cassazione ha chiarito che nella valutazione dello stato d’insolvenza il giudice deve considerare l’insieme delle circostanze e non solo i dati contabili, potendo l’insolvenza emergere anche da indici qualitativi (es. blocco operativo, protesti) oltre che quantitativi. Se l’insolvenza perdura e non viene affrontata con strumenti di composizione, le conseguenze principali sono:

  • Azione dei creditori: ogni creditore può avviare esecuzioni forzate individuali (pignoramenti, sequestri), erodendo singoli asset dell’impresa. Ciò porta tipicamente a una disgregazione caotica del patrimonio: ad esempio un fornitore pignora il conto corrente, la banca escute l’ipoteca sull’immobile, ecc., con il risultato di bloccare di fatto l’attività. Inoltre, i creditori (o il debitore stesso o un PM in certi casi) possono depositare un’istanza di liquidazione giudiziale presso il tribunale competente. Se il tribunale accerta lo stato d’insolvenza non reversibile, dichiarerà l’apertura della liquidazione giudiziale (ex fallimento). Da quel momento, la gestione passa al Curatore nominato dal giudice, che spossessa l’imprenditore dai beni e li liquida per pagare i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Questo è lo scenario peggiore per il debitore, che perde il controllo dell’azienda e vede spesso vanificata la possibilità di proseguire l’attività medica.
  • Responsabilità per gli amministratori/soci: la legge impone agli amministratori di adottare assetti organizzativi adeguati a rilevare tempestivamente la crisi (art. 2086 c.c., art. 3 CCII) e, in caso di difficoltà, di attivarsi senza indugio per trovare soluzioni (ricapitalizzazione, accordi con creditori, procedure concorsuali). La persistente inerzia di fronte a uno stato di decozione può esporre l’organo amministrativo a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori (azione di responsabilità per aver aggravato il dissesto). Nei casi estremi, se dal ritardo deriva un buco patrimoniale maggiore, ciò può costituire anche bancarotta semplice (reato). I sindaci e revisori hanno a loro volta un obbligo di segnalazione: se vedono che gli amministratori non agiscono e la crisi peggiora, devono sollecitare interventi e possono arrivare a informare il tribunale (ai sensi dell’art. 38 CCII). Dunque, difendersi dal fallimento significa anche che l’imprenditore deve dimostrare diligenza: l’avvio tempestivo di uno strumento di regolazione della crisi (ad esempio la composizione negoziata o un concordato preventivo) è spesso visto come indice di buona fede e può esonare gli amministratori da responsabilità per l’aggravamento del dissesto.
  • Estensione della procedura ai coobbligati: se il poliambulatorio è gestito da una società di persone (S.n.c., S.a.s.), i soci illimitatamente responsabili rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali. In caso di fallimento della società, la sentenza si estende automaticamente anche a tali soci, anche senza istanza specifica nei loro confronti. La Cassazione ha ribadito che la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) di una società di persone comporta il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, come effetto legale ineludibile. Ciò significa che i beni personali dei soci (case, conti bancari) entrano nella massa attiva per pagare i creditori sociali. Se il poliambulatorio è una società di capitali (es. una S.r.l. o S.p.A.), la società risponde con il suo patrimonio e i soci di regola non perdono i beni personali (salvo abbiano prestato fideiussioni personali ai creditori, evenienza frequente con le banche). Tuttavia, in caso di insolvenza di una S.r.l., i soci potrebbero comunque subire conseguenze indirette: perdita del capitale investito, impossibilità di recuperare eventuali finanziamenti soci, ecc. Inoltre, se la società di capitali viene liquidata giudizialmente e risultano atti di mala gestione, i creditori potrebbero tentare un’azione di responsabilità personale verso gli amministratori (spesso i soci stessi nelle PMI) per insufficienti assetti o tardivo ricorso alle procedure.
  • Discredito commerciale e rischi reputazionali: una situazione debitoria grave che sfocia in pignoramenti o concorsuale diventa di pubblico dominio (es. la domanda di concordato si iscrive nel Registro Imprese, la sentenza di fallimento è pubblica). Per un poliambulatorio, la reputazione è importante: pazienti, medici collaboratori e partner potrebbero perdere fiducia, temendo interruzione dei servizi. Inoltre, altri creditori potenziali (fornitori, banche) adotteranno atteggiamenti difensivi (richiesta pagamenti anticipati, revoca forniture a credito, ecc.). Pertanto, uno strumento di composizione della crisi, pur comportando pubblicità legale minima (ad es. la composizione negoziata prevede l’annotazione iniziale nel Registro Imprese), può paradossalmente proteggere la reputazione meglio di un dissesto non gestito: ciò perché indica a terzi che l’azienda ha un piano e lo sta perseguendo sotto controllo di esperti, riducendo le reazioni emotive. La normativa enfatizza la riservatezza delle trattative nella composizione negoziata proprio per evitare il panico dei partner commerciali.
  • Possibile esdebitazione finale: uno spiraglio positivo per il debitore insolvente è dato dall’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui una volta conclusa la liquidazione. Nel vecchio sistema fallimentare l’esdebitazione riguardava la persona fisica fallita meritevole; nel CCII il meccanismo è generalizzato: dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, l’imprenditore individuale o i soci falliti possono ottenere la cancellazione dei debiti insoddisfatti, salvo alcune eccezioni, a condizione di aver cooperato lealmente e non aver commesso irregolarità gravi. Dunque, se proprio si arriva al default, esiste la possibilità di “ripartire da zero” per le persone fisiche coinvolte (ovviamente la società, se era l’entità debitrice, viene estinta senza debiti ma anche senza beni). È però una magra consolazione: l’esdebitazione interviene solo post liquidazione, mentre l’obiettivo del debitore dovrebbe essere conservare l’attività ed evitare la dispersione del patrimonio sanitario costruito.

In conclusione, lo stato di insolvenza non affrontato porta quasi inevitabilmente alla perdita di controllo sul destino dell’impresa (per via delle azioni esecutive scoordinate o, peggio, di una procedura concorsuale d’ufficio). Il debitore proattivo deve invece giocare di anticipo, come detto: monitorare costantemente gli indicatori di crisi (indici di liquidità, patrimonio netto eroso, esposizione crescente) e attivare volontariamente gli strumenti di legge prima che i creditori o il tribunale intervengano d’imperio. La riforma del 2019-2022, infatti, enfatizza la prevenzione e la tempestività: amministratori diligenti sono tenuti a rilevare i “segnali d’allarme” (ad es. debiti fiscali scaduti rilevanti, continui sconfinamenti, ecc.) e a porvi rimedio per tempo. Il fil rouge è chiaro: prima si agisce, maggiori sono le chance di risanare. Vediamo ora quali sono, concretamente, i mezzi di difesa offerti dall’ordinamento a un poliambulatorio in crisi.

Strumenti stragiudiziali di ristrutturazione del debito

La prima linea di difesa di un’impresa indebitata consiste negli strumenti stragiudiziali, ovvero soluzioni concordate fuori dalle aule di tribunale, basate sull’accordo volontario tra debitore e creditori. Queste opzioni permettono spesso di evitare la pubblicità e i costi di una procedura concorsuale formale, e di mantenere maggiore riservatezza e controllo. Tuttavia, richiedono che il debitore riesca a convincere una porzione significativa di creditori ad aderire. I principali strumenti stragiudiziali previsti dal nostro ordinamento (e dal Codice della crisi) sono:

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento privatistico di sistemazione della crisi, evoluzione di quanto già previsto dall’art. 67 lett. d) della vecchia Legge Fallimentare. Si tratta di un piano di risanamento unilaterale predisposto dal debitore e attestato da un professionista indipendente, finalizzato a ristrutturare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa. In concreto, il debitore elabora – di concerto coi propri consulenti – un piano industriale e finanziario pluriennale che mostri come potrà superare la crisi (attraverso rinegoziazione dei debiti, ricapitalizzazione, nuovi finanziamenti, cessione di asset non strategici, ecc.). Un attestatore indipendente (di solito un commercialista o revisore esperto in crisi) deve verificare i dati aziendali e attestare la fattibilità del piano in termini di ragionevole successo. Non c’è intervento del tribunale: il piano non viene omologato da un giudice né votato dai creditori. Proprio per questo è una soluzione rapida e flessibile.

Pur essendo stragiudiziale, il piano attestato è normativamente incentivato da due importanti protezioni legali se portato a compimento con successo:

  • Gli atti e i pagamenti eseguiti in attuazione del piano (cioè mentre si dà esecuzione agli accordi con i creditori previsti nel piano) non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare. Ciò significa che, se anche in seguito l’impresa dovesse fallire, i pagamenti fatti ai creditori in coerenza col piano di risanamento non potranno essere “tolti indietro” dal Curatore come pagamenti preferenziali. Questa esenzione (art. 166 CCII) dà serenità ai creditori nell’aderire al piano, perché sanno che incassare ora non li espone al rischio di dover restituire quelle somme in un eventuale fallimento successivo.
  • È prevista un’esenzione da certe responsabilità penali concorsuali: in particolare, il debitore non risponde di bancarotta semplice o preferenziale per gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato. Ad esempio, pagare integralmente un fornitore strategico (preferendolo ad altri) durante il piano attestato, se rientra nel piano attestato stesso, non costituirà bancarotta preferenziale in caso di successivo fallimento. Ciò tutela l’imprenditore che agisce in buona fede secondo il piano attestato.

Per ottenere questi benefici, il piano deve avere data certa e può (facoltativamente) essere pubblicato nel Registro delle Imprese. La pubblicazione è obbligatoria solo se il debitore vuole usufruire di un ulteriore incentivo fiscale: l’art. 88, comma 4-ter TUIR esenta da tassazione parte delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti concordata nel piano, ma solo se il piano è pubblicato. In altri termini, se i creditori rinunciano a quote di credito nel piano, l’azienda non viene tassata su quel “guadagno” (beneficio rilevante, visto che in mancanza la riduzione del debito sarebbe un provento tassabile).

Come si struttura un piano attestato? Innanzitutto, è una soluzione molto flessibile. Non ci sono percentuali di adesione prestabilite: il debitore può concludere accordi individuali con ciascun creditore secondo le possibilità. Ad esempio, ottenere dallo studio radiologico un taglio del 20% sul debito e 24 mesi di dilazione, dalla banca una moratoria di 12 mesi sulle rate di mutuo, dal fornitore di materiali uno sconto per pagamento immediato del 50% del dovuto, ecc. Questi accordi vanno coordinati nel piano, che mostra l’effetto combinato di tali intese sul risanamento dell’azienda. Il professionista attestatore svolge un ruolo cruciale: verifica che i numeri di partenza siano corretti (veridicità dei dati) e che il piano sia realizzabile (fattibilità economica). Ad esempio, controllerà che le ipotesi di aumento di fatturato o di riduzione costi inserite nel piano siano plausibili, e che – con gli accordi di dilazione/stralcio ottenuti – l’azienda possa effettivamente rimborsare i debiti residui alle scadenze previste.

Vantaggi del piano attestato: rapidità, riservatezza (non c’è procedura pubblica salvo la menzionata iscrizione, e i dettagli degli accordi restano confidenziali tra le parti), assenza di intervento giudiziario (si evita lo stigma di un concorso formale) e mantenimento totale dei poteri in capo all’imprenditore. Inoltre, come visto, c’è protezione dai rischi di revocatoria e penali. Il piano attestato è ideale quando il numero di creditori non aderenti è relativamente contenuto e il debitore conta di convincere spontaneamente la gran parte dei creditori chiave. È uno strumento indicato se si ha fabbisogno di rinegoziare ma l’azienda è ancora fondamentalmente sana, con prospettive di ripresa.

Limiti del piano attestato: non offre automaticamente alcuna protezione dai creditori non collaborativi. Non c’è alcun “blocco” delle azioni esecutive: se un creditore non aderisce e vuole agire in via esecutiva o chiede il fallimento, il piano attestato di per sé non lo ferma. Il debitore può trovarsi esposto alla azione opportunistica del singolo: ad es. se 9 creditori su 10 accettano di attendere i pagamenti secondo piano e uno invece fa pignorare il conto, questo può far saltare l’intero risanamento. Per questo, il piano attestato funziona soprattutto in situazioni in cui c’è un consenso diffuso o dove i creditori dissenzienti siano marginali e possano essere soddisfatti separatamente per evitarne le azioni legali. In caso di eterogeneità di creditori o rischio di dissensi, spesso è preferibile uno strumento più vincolante (come l’accordo di ristrutturazione omologato o il concordato preventivo, che esamineremo). Inoltre, nel piano attestato il debitore deve contrattare one-to-one con ogni creditore: ciò può essere oneroso se i creditori sono molti. Non c’è un meccanismo di adesione collettiva o voto, quindi la gestione delle trattative richiede tempo e abilità negoziale.

In sintesi, il piano attestato di risanamento è la soluzione di composizione privata per eccellenza: nessuna autorità coinvolta prima, nessun giudice di mezzo, solo il mercato (debitore e creditori) e un professionista terzo che certifica. Per un poliambulatorio con debiti >1M€, potrebbe essere indicato qualora il grosso del debito sia concentrato in poche banche/fornitori disposti a collaborare. Ad esempio, se il 70-80% dell’indebitamento è verso 2 banche e 3 fornitori principali, e tutti e 5 sono aperti a trattative perché intravedono convenienza nel proseguire il rapporto, un buon piano attestato – magari con l’apporto di un nuovo investitore o di capitali freschi dei soci – può risanare la società evitando l’ombra del tribunale. Viceversa, se il debito è molto frammentato in decine di creditori, o se vi sono creditori importanti ostili, il piano attestato rischia di essere insufficiente.

(Si veda la Tabella 1 alla fine di questa sezione per un confronto sintetico tra piano attestato e accordo di ristrutturazione.)

Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è uno strumento a metà strada tra il piano privato e il concordato preventivo: si tratta di un accordo negoziato con i creditori, ma che viene poi formalmente omologato dal tribunale e acquisisce efficacia legale erga omnes per i creditori aderenti o coinvolti. Esso riprende l’istituto dell’art. 182-bis L.F. introdotto nel 2005, con varie innovazioni apportate dal CCII. In sostanza, l’impresa debitrice raggiunge un accordo di ristrutturazione con una quota qualificata di creditori – almeno il 60% dei crediti totali (ARD ordinario) – e lo sottopone all’approvazione (“omologazione”) del tribunale. Una volta omologato, l’accordo diventa vincolante per i creditori che vi hanno aderito e produce taluni effetti protettivi. Chi non ha aderito (creditori estranei) invece conserva i propri diritti per intero, ma l’azienda può scegliere di soddisfarli integralmente fuori accordo (spesso col ricavato dei nuovi finanziamenti o delle dismissioni previste dal piano). Vediamo i punti chiave:

  • Contenuto dell’accordo: molto libero. Può prevedere dilazioni, riduzioni (stralci) di crediti, ristrutturazione di interessi, conversione di debiti in capitale, cessione di beni ai creditori, ecc. È di fatto un contratto tra debitore e una maggioranza di creditori, con il quale si rimodulano le obbligazioni. Può anche riguardare specifiche categorie di debiti (es. accordo con sole banche). Non esiste il voto per classi come nel concordato, ma nulla vieta di fare patti differenziati con diversi gruppi di creditori nell’ambito dello stesso accordo.
  • Requisito di adesione: almeno il 60% dei crediti deve aver sottoscritto l’accordo (nel CCII, art. 57, soglia confermata). Ciò implica che il debitore deve convincere una platea rappresentativa. Attenzione: a differenza del concordato, i creditori non “subiscono” automaticamente il trattamento a maggioranza – i creditori estranei all’accordo rimangono liberi di agire, salvo alcune eccezioni che vedremo. Questo è un tratto peculiare: l’accordo omologato non è una procedura collettiva completa ma un ibrido, vincolante solo per chi ha firmato e per eventuali categorie specifiche di non aderenti se si utilizzano particolari varianti di accordo.
  • Procedimento: il debitore deposita in tribunale la domanda di omologazione, allegando l’accordo sottoscritto almeno dal 60% dei crediti e una relazione di un esperto indipendente che attesta la idoneità dell’accordo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza naturale dei loro crediti (o dalla omologazione se già scaduti). Questo vincolo serve a tutelare chi non partecipa: se l’accordo non prevede che i non aderenti siano soddisfatti per intero entro certi termini, allora essi potrebbero opporsi e il tribunale non omologherebbe l’accordo. Si può ovviare coinvolgendo tutti i maggiori creditori nell’accordo oppure prevedendo risorse sufficienti per pagare gli estranei a vista o quasi. Una volta presentata l’istanza, il tribunale può concedere misure protettive temporanee (fino a 4 mesi, prorogabili a 12) analoghe a quelle del concordato: sospensione o divieto di azioni esecutive individuali dei creditori, congelamento delle ipoteche su beni, ecc.. Durante questo periodo l’impresa prosegue l’attività sotto tutela e finalizza le adesioni. Se si arriva alle soglie richieste e l’accordo appare regolare, il tribunale convoca eventuali creditori per le opposizioni e decide sull’omologazione. Se ci sono opposizioni di creditori estranei che lamentano pregiudizio (ovvero che non sarebbero pagati come richiesto dalla legge), il tribunale valuta e può rigettare o omologare ugualmente l’accordo se ritiene soddisfatta la condizione di tutela dei terzi. Una volta omologato, l’accordo è reso esecutivo con decreto del tribunale e da quel momento vincola le parti secondo i termini convenuti.
  • Effetti dell’accordo omologato: in parte comuni al piano attestato (esenzione da revocatorie e protezione penale per gli atti esecutivi del piano allegato all’accordo – art. 324 CCII, parallelo a quanto visto per il piano attestato). Ma soprattutto, i creditori aderenti sono obbligati alla falcidia e dilazione pattuita, e non possono agire esecutivamente in violazione dell’accordo. Inoltre, l’omologazione comporta per legge un divieto temporaneo di azioni esecutive anche da parte dei creditori estranei: precisamente, dal giorno dell’omologazione e per i successivi 60 giorni, nessun creditore (nemmeno estraneo) può iniziare o proseguire esecuzioni individuali sui beni del debitore (art. 64 CCII). Questo breve stay post-omologa consente di avviare l’esecuzione dell’accordo e reperire le risorse per pagare gli estranei. Ancora più importante, se nel corso delle trattative il debitore aveva chiesto misure protettive al tribunale, queste possono essere state attive già prima dell’omologazione, impedendo pignoramenti appena l’accordo è pendente. Altro effetto notevole: i finanziamenti nuovi che vengono erogati in funzione dell’accordo o durante la trattativa autorizzata dal tribunale godono di prededuzione, cioè verranno rimborsati con priorità su altri debiti se poi l’accordo non va a buon fine e interviene un fallimento. Ciò incentiva banche o soci a mettere liquidità fresca per attuare il risanamento, sapendo di avere un privilegio super su quelle somme. In sintesi, l’ARD offre tutele più ampie rispetto al piano attestato: blocco delle azioni esecutive (anche se temporaneo o condizionato), prededuzione dei nuovi finanziamenti, e un vero “sigillo” giudiziario che rende l’accordo un titolo esecutivo.
  • Varianti speciali di accordo: la riforma ha introdotto alcune versioni alternative dell’ARD, per ampliarne la flessibilità, spesso in attuazione della direttiva europea:
    • Accordo di ristrutturazione agevolato: è un accordo con soglia di adesioni più bassa (30% dei crediti) ma sottoposto a condizioni più stringenti (art. 60 CCII). In particolare, il piano deve assicurare il pagamento integrale, entro 120 giorni, dei creditori estranei non solo per capitale e interessi ma anche per accessori, e non consente dilazioni per gli estranei oltre tale termine. È pensato per situazioni con pochi creditori dissenzienti ma insufficienti a raggiungere il 60%: se l’impresa riesce a coinvolgere almeno il 30% (spesso le banche), può chiedere l’omologa purché garantisca che chi sta fuori sarà soddisfatto al 100% in breve tempo. È quindi uno strumento “snello” per casi in cui il debito verso estranei è marginale (ad es. pochi piccoli fornitori) e l’impresa può comunque pagarli.
    • Accordo ad efficacia estesa: qui il focus è estendere gli effetti dell’accordo anche ad alcuni creditori che non hanno aderito, se appartengono a una certa categoria omogenea (art. 61 CCII). È una sorta di cram-down settoriale: tipicamente utilizzabile con banche e obbligazionisti finanziari dissenzienti. Se ad esempio il 75% degli istituti di credito (per valore di crediti finanziari) aderisce alla ristrutturazione e il 25% no, il debitore può chiedere al tribunale di estendere l’accordo anche alle banche dissenzienti di quella categoria. Questo in deroga al principio generale per cui i non aderenti resterebbero estranei. Condizioni: deve trattarsi di creditori finanziari (banche, fondi, obbligazionisti) con posizione giuridica ed interessi omogenei, e l’accordo dev’essere stato approvato da almeno il 75% di essi. Non si possono imporre nuove prestazioni ai dissenzienti estesi, ma solo la falcidia e le altre condizioni previste per gli aderenti di quella categoria. Questa variante è preziosa per superare il veto di minoranze o singoli nel ceto bancario: evita che un solo istituto, magari con piccola quota di credito, faccia saltare l’intera ristrutturazione non aderendo. Di contro, non è applicabile ai debiti commerciali in genere, ma solo a specifiche categorie indicate dalla legge (sostanzialmente finanziamenti). Bisogna comunque convincere 3/4 del ceto interessato, soglia alta ma talora più raggiungibile rispetto all’unanimità.
    • Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (art. 63 CCII): un tempo art. 182-septies L.F., dedicato specificamente al caso in cui l’accordo coinvolga banche e intermediari rappresentanti almeno il 75% dell’esposizione finanziaria totale. Prevede che l’accordo, omologato, produca effetti di moratoria anche sui creditori finanziari non aderenti, purché possano ottenere condizioni non inferiori al miglior soddisfacimento alternativo (principio simile al test di convenienza). È una norma tecnica che facilita i debt restructuring bancari quando c’è largo consenso fra le banche ma qualche istituto fuori dal coro: quell’istituto dissenziente può essere “trascinato” nell’accordo a certe condizioni. Questa è in parte sovrapponibile all’accordo ad efficacia estesa.
    • Accordo con riserva (“in bianco”): il CCII consente, mutuando l’art. 182-bis co.6 L.F., di presentare una domanda di concordato “in bianco” o di accordo in corso di negoziazione per ottenere subito le misure protettive e poi depositare l’accordo nei termini fissati (max 4 mesi). Ciò serve se si vuole protezione immediata dai creditori mentre si definiscono i dettagli con le banche. È una tattica da usare con cautela: se poi non si perfeziona l’accordo e non si converte in concordato, la protezione decade.

Vantaggi dell’ARD: rispetto al piano attestato, l’accordo di ristrutturazione coinvolge l’Autorità giudiziaria, conferendo maggiore certezza giuridica e una più ampia gamma di effetti protettivi. I creditori sanno che l’accordo, se omologato, è un atto pubblico e vincolante; ciò può facilitare l’adesione di soggetti istituzionali (banche, grandi fornitori) che necessitano di trasparenza verso i loro organi. Inoltre, la presenza di un eventuale periodo di moratoria legale grazie alle misure protettive tutela l’impresa dal caos esecutivo durante le trattative. L’ARD è generalmente più breve di un concordato in termini di iter (non c’è voto, solo omologa) e meno costoso (procedure più snelle, niente commissario giudiziale di default, salvo nomina eventuale ex art. 44 CCII in casi complessi). Mantiene un certo livello di riservatezza sul piano industriale: viene depositato in tribunale ma non c’è un esame diffuso come nelle adunanze dei creditori di un concordato. Può essere mirato solo ad alcuni creditori (es. banche) lasciando fuori altri che vengono pagati a parte, evitando di coinvolgere l’intera platea quando non serve.

Svantaggi/limiti dell’ARD: richiede comunque un consenso iniziale elevato (60% o 75% in talune varianti) – se il debitore non ha già lavorato di negoziazione privata, difficilmente potrà accedere. Inoltre, i creditori non aderenti (salvo efficacia estesa o altre previsioni specifiche) restano fuori dall’accordo e possono costituire un problema: se ad esempio non aderisce un fornitore importante col 5% del debito e costui non viene pagato integralmente come estraneo, può opporsi e ritardare l’omologa, o attivare azioni esecutive appena scaduto lo stay. In un concordato preventivo, invece, tutti i creditori (tranne pochi privilegiati soddisfatti prima) sono dentro e vincolati dall’esito della votazione e omologa. L’ARD quindi è efficace quando la platea dissenziente è minima o facilmente gestibile con pagamento integrale. Un altro svantaggio è che non c’è voto: il 60% di adesione non dà automaticamente efficacia sull’altro 40%, diversamente dal concordato dove se si raggiungono le maggioranze tutte le minoranze sono comunque vincolate. Infine, l’ARD può essere soggetto a impugnazioni: un creditore estraneo o dissenziente può fare opposizione in omologazione sostenendo di essere pregiudicato; oppure, dopo l’omologa, se emergono fatti dolosi, la stessa può essere revocata (anche su reclamo del Pubblico Ministero). Tuttavia, il CCII ha semplificato i meccanismi di omologa, limitando i possibili incidenti processuali.

In conclusione, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento potente per un poliambulatorio molto indebitato ma ancora sostenibile, specie se c’è supporto dalle banche. Ad esempio, se la maggior parte del debito >1M è verso istituti di credito e leasing, e questi (che magari rappresentano il 70% del totale) sono d’accordo a ristrutturare il credito (allungando le scadenze, riducendo i tassi, concordando un haircut sul capitale), l’azienda può formalizzare questo accordo in tribunale, coinvolgendo magari anche i fornitori maggiori per raggiungere la soglia richiesta. Con l’omologazione, i creditori finanziari avrebbero la loro posizione consolidata e l’azienda godrebbe di un periodo di respiro libero da azioni esecutive, per rilanciarsi. I piccoli creditori estranei potrebbero essere pagati man mano secondo le risorse generate, sicché l’impresa torna in bonis. Diversamente, se manca il consenso dei creditori principali – ad esempio una banca pretende il rientro totale e non accetta accordi – allora l’ARD non è praticabile e si dovrà considerare un concordato preventivo (dove la banca potrà essere crammed down se la maggioranza lo approva) oppure la via della composizione negoziata per provare a convincerla con l’ausilio di un esperto indipendente (vedi oltre).

Tabella 1: Confronto sintetico Piano Attestato vs. Accordo di Ristrutturazione

CaratteristicaPiano attestato di risanamentoAccordo di ristrutturazione dei debiti (ARD)
Base legaleArt. 56 CCII (strumento privato)Artt. 57-64 CCII (procedura omologata)
Coinvolgimento tribunaleNessuno (nessuna omologazione)Sì – omologa da parte del Tribunale, dopo eventuali opposizioni
Percentuale di adesione richiestaNessuna soglia fissa (accordi bilaterali liberi)≥ 60% dei crediti (varianti: 30% per ARD agevolato); poss. 75% categoria per efficacia estesa
Attestazione indipendenteSì – attestatore verifica dati e fattibilitàSì – attestatore su fattibilità + pagamento integrale estranei (requisito di legge)
Effetti protettiviNo stop azioni esecutive automatico; Atti esecutivi esenti da revocatoria; Esenzione penale per atti compiutiSospensione azioni esecutive su richiesta (misure protettive); Divieto di iniziare/proseguire esecuzioni 60 gg post-omologa; Atti esenti da revocatoria; Prededuzione nuovi finanziamenti; Esenzione penale analoga
Vincolatività per i creditoriSolo chi aderisce contrattualmente è vincolato; i dissenzienti non sono toccati (devono essere pagati per evitare problemi)Creditori aderenti vincolati all’accordo omologato; Possibile estensione a non aderenti di certe categorie (finanziari); Creditori estranei mantengono diritti integri ma devono essere pagati come da piano entro 120 giorni dall’omologa (se no, niente omologa)
Tempo e pubblicitàVeloce (nessun voto/omologa); Pubblicazione solo se volontaria (registro imprese)Tempistiche moderate (no voto, ma iter di omologa con possibili opposizioni); Pubblicazione presso Registro Imprese dell’omologa; Iscrizione eventuale inizio trattative con protezioni
Costo proceduraBasso (solo compenso attestatore e consulenti)Medio (attestatore, eventuale commissario se nominato, spese legali per omologa)
Quando indicatoCrisi non grave, pochi creditori determinanti, necessità di rapidità e riservatezzaCrisi significativa ma con sostegno di creditori ≥60%, necessità di un quadro legale vincolante e di bloccare sul breve le azioni dei dissenzienti

(La scelta dipende dal contesto: spesso il piano attestato può preludere, se fallisce, a un ARD o concordato; l’ARD offre più garanzie se c’è sufficiente consenso iniziale.)

Convenzione di moratoria (art. 62 CCII)

Accenniamo brevemente a questo ulteriore strumento stragiudiziale previsto dal Codice. La convenzione di moratoria è un accordo, solitamente utilizzato in ambito bancario, con cui i creditori di una certa categoria concordano di rinviare le scadenze o congelare temporaneamente le azioni per consentire al debitore di riequilibrare la situazione. La convenzione può essere approvata da creditori che rappresentano almeno il 75% dei crediti di quella categoria, e viene estesa ai creditori di quella categoria che non hanno aderito, per la durata convenuta. In pratica, è un accordo di standstill: ad esempio, tutte le banche di un pool accettano una moratoria di 6 mesi sui pagamenti di capitale. È stragiudiziale ma può essere pubblicato nel Registro Imprese. È stato finora usato poco (come detto, solo 4 casi di convenzioni concluse nei primi due anni di vigenza). Può essere utile come misura ponte: i creditori maggiori congelano le loro pretese nel breve termine per dare respiro all’impresa, magari in attesa di definire un accordo di ristrutturazione più strutturato o di far decorrere la composizione negoziata. Dal punto di vista del poliambulatorio, la convenzione di moratoria è uno strumento di nicchia – applicabile soprattutto se c’è un consorzio di creditori omogenei (p.es. leasing e banche) disposti a sincronizzarsi. La soglia del 75% la rende simile a un accordo ad efficacia estesa ma limitato alla sospensione delle azioni (non riduzione debiti). È quindi un “accordo di attesa” che difficilmente risolve da solo la crisi, ma può essere una parte del toolkit.

Strumenti giudiziali di regolazione della crisi

Se la soluzione puramente negoziale non è sufficiente – ad esempio perché mancano adesioni necessarie, o perché occorre coinvolgere tutti i creditori in una soluzione collettiva – il debitore può ricorrere agli strumenti giudiziali, ossia le procedure concorsuali previste dal Codice della crisi e sottoposte all’autorità del tribunale. Qui rientrano il concordato preventivo (nelle sue varianti) e le procedure di sovraindebitamento (per soggetti non fallibili), fino alla liquidazione giudiziale vera e propria. Esaminiamoli in ordine di “gravità”, sempre nell’ottica del debitore poliambulatorio.

Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale “alternativa” al fallimento, che consente all’imprenditore di proporre ai creditori un piano di soddisfacimento delle loro ragioni (concordato significa appunto “accordo”) in cambio dell’esonero dal fallimento. A differenza delle soluzioni viste sopra, il concordato è pubblico, coinvolge tutti i creditori (salvo eccezioni marginali) ed è soggetto a voto dei creditori e all’omologazione di un tribunale. Nel CCII il concordato è disciplinato dagli art. 84 e ss., con varie innovazioni rispetto alla vecchia legge. Esistono principalmente due categorie: il concordato in continuità aziendale e il concordato liquidatorio.

Concordato in continuità aziendale: è quello in cui si prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa, direttamente da parte del debitore o tramite un terzo (es. affitto o cessione d’azienda in esercizio). L’idea chiave è preservare il valore aziendale come going concern, ritenendo che così i creditori vengano soddisfatti meglio rispetto a una liquidazione spezzettata. Il piano concordatario in continuità può prevedere ristrutturazione del debito, apporti di finanza esterna, cessione di rami d’azienda non strategici, mantenimento dei posti di lavoro, ecc. I creditori sono suddivisi per classi omogenee (facoltative, ma usuali se ci sono diverse categorie giuridiche); votano per classi e il concordato è approvato se tutte le classi votano a favore, o – in caso di dissenso di qualche classe – se interviene comunque l’omologazione tramite cram down (ristrutturazione trasversale) che il giudice può disporre se ritiene che la proposta sia equa e conveniente per i dissenzienti. Questa possibilità di omologa anche senza unanimità di classi è una novità in linea con la direttiva UE, che consente di vincere l’opposizione di classi minoritarie se il piano rispetta certe condizioni (best interest test, no unfair discrimination, ecc.). Nel concordato in continuità, data la prosecuzione, vi sono regole specifiche:

  • È consentito che i crediti privilegiati (come ipoteche, stipendi) vengano pagati dilazionati oltre la chiusura della procedura, purché non oltre i 2 anni dall’omologazione (salvo diverso accordo col creditore) e a condizione che siano comunque pagati per intero e con interessi. Fanno eccezione i crediti dei lavoratori: questi possono essere dilazionati al massimo 6 mesi dal termine dell’omologazione, quindi vanno saldati entro breve, per tutelare maggiormente i dipendenti.
  • Il debitore rimane in possesso dei beni (non c’è spossessamento, solo un controllo del Commissario Giudiziale nominato) e può continuare i contratti in corso. Per evitare che i partner recedano per la notizia della procedura, la legge prevede che i contratti pendenti proseguano e il concordato non costituisca di per sé causa di scioglimento, salvo diversa scelta del debitore autorizzata dal tribunale (che può decidere di sciogliere contratti onerosi su richiesta del debitore). Ad esempio, un contratto di fornitura di materiali medici non può essere risolto dal fornitore solo perché il poliambulatorio è entrato in concordato; dovrà continuare, salvo inadempimenti sulle forniture correnti, a condizione che l’azienda rispetti le obbligazioni successive (pagando il nuovo fornito in prededuzione).
  • Transazione fiscale e contributiva: nel concordato il debitore può proporre il pagamento parziale di imposte e contributi. Prima della riforma, era necessario il voto favorevole dell’Erario/INPS per poter ridurre il loro credito. Ora invece, se l’Amministrazione finanziaria o previdenziale rifiuta irragionevolmente una proposta che dà loro almeno il valore di liquidazione, il tribunale può disattendere il loro dissenso e omologare lo stesso il concordato. Questo toglie al Fisco un potere di veto e agevola i concordati con debiti pubblici. Naturalmente, se il piano offre meno del potenziale ricavo in caso di fallimento, il Fisco può opporsi con buone ragioni e il giudice non omologherà.
  • Procedure competitive su offerte concorrenti: se il piano prevede la cessione dell’azienda o di rami in esercizio, il tribunale impone generalmente una comparazione concorrenziale (un mercato tra eventuali offerenti) per garantire che l’offerta nel piano sia la migliore possibile. Ciò per massimizzare il valore a beneficio dei creditori. Quindi, se un poliambulatorio propone concordato cedendo la clinica a un terzo, bisognerà sondare il mercato per vedere se ci sono offerte più alte (principio di competitività).
  • Timeline: in media un concordato preventivo dura diversi mesi: dalla domanda di concordato “in bianco” (se presentata) all’omologa possono volerci 6-12 mesi, a seconda della complessità e delle eventuali opposizioni. Il CCII pone il termine di 12 mesi dalla domanda per completare il giudizio di omologazione, salvo proroghe in casi eccezionali. Questo limite mira a dare certezza in tempi ragionevoli.

Concordato liquidatorio: diversamente, in questa forma il debitore ammette che l’impresa non è più risanabile e propone di liquidare il patrimonio nell’ambito della procedura, però con qualche vantaggio rispetto al fallimento. Ad esempio può prevedere l’apporto di finanza esterna (somme di terzi destinate ai creditori) o la cessione unitariamente dell’azienda per continuità indiretta presso un acquirente. La convenienza per i creditori sta spesso proprio in questi elementi aggiuntivi. La legge richiede nel concordato liquidatorio che i creditori chirografari abbiano un recupero non inferiore al 20% del loro credito (nel CCII è confermato il limite storico della L.F.), salvo che venga messa a disposizione finanza esterna che innalzi la soddisfazione rispetto al puro realizzo. Questo per evitare concordati liquidatori con percentuali troppo esigue. Inoltre, il CCII ha imposto maggiori limiti di ammissibilità per il concordato puramente liquidatorio, privilegiando soluzioni di continuità: in pratica, se l’azienda è destinata solo a chiudere e vendere i beni, il tribunale valuta con più rigore la proposta e può respingere concordati liquidatori poco vantaggiosi in favore di aprire direttamente la liquidazione giudiziale. Un punto cardine è che almeno una parte significativa del ricavato ai chirografari deve provenire da risorse aggiuntive (terzi, nuovo capitale, ecc.), altrimenti tanto varrebbe il fallimento. Nel concordato liquidatorio, di norma, l’azienda cessa l’attività (salvo esercizio provvisorio per massimizzare la vendita). Spesso la proposta consiste nel vendere immobili, incassare crediti e cessare l’impresa.

Procedura e voto: in entrambi i tipi, la procedura di ammissione e voto è simile. Il debitore presenta ricorso corredata da piano e proposta; il tribunale verifica i requisiti legali (fumus boni iuris della proposta, percentuali minime, documentazione completa) e ammette il concordato nominando un Commissario Giudiziale (figura di controllo). I creditori vengono informati e depositano le loro insinuazioni; il Commissario relaziona sull’azienda e sulla proposta. Quindi i creditori votano (in adunanza o per mezzo elettronico): serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto per l’approvazione, calcolata per classi se ci sono classi. Se la maggioranza manca, il concordato è respinto e l’impresa di solito finisce in liquidazione giudiziale. Se la maggioranza c’è, si passa all’omologazione da parte del tribunale: i creditori (eventualmente dissenzienti) e altri interessati possono fare opposizione, dopodiché il giudice emette sentenza di omologazione (se verifica legalità, convenienza rispetto alternative e rispetto delle norme). Con l’omologa, il concordato è efficace e viene eseguito sotto sorveglianza del Liquidatore Giudiziale (che nella continuità può essere lo stesso debitore per la parte gestionale, con affiancamento).

Effetti per il debitore e i creditori: l’apertura del concordato (ammissione) e la pendenza della procedura comportano:

  • Sospensione di tutte le azioni esecutive e cautelari individuali dei creditori (stay automatico) ex art. 54 CCII. I creditori non possono proseguire pignoramenti né iniziarne di nuovi, pena nullità. Questo scudo vale sino all’omologazione (o al rigetto).
  • Divieto di pagare crediti anteriori alla domanda e di compiere atti straordinari senza autorizzazione del giudice (c.d. blocco della falda anteriore), per evitare favoritismi e dispersioni del patrimonio durante la procedura.
  • Possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili autorizzati in corso di concordato (similmente a quanto visto per ARD) per gestire l’attività corrente.
  • Scioglimento o sospensione di contratti pendenti su richiesta del debitore autorizzata dal tribunale, se utile (ad esempio, recedere da un contratto di affitto troppo oneroso, pagando l’indennizzo come credito concorsuale).
  • I creditori vengono soddisfatti secondo il piano: per i privilegiati la regola è o integrale pagamento o, se previsto dal piano, la soddisfazione parziale purché non inferiore a quanto otterrebbero liquidando la garanzia o in fallimento (best interest test). I chirografari ricevono di solito una percentuale (esempio 30%) in tempi stabiliti (es. 2 anni dall’omologa, o rate).
  • Una volta eseguito il concordato, l’azienda è libera dai debiti pregressi residui: questi rimangono remissibili, salvo che il concordato stesso preveda piani di pagamento parziali ancora in corso.

Per il poliambulatorio debitore, il concordato preventivo rappresenta spesso l’ultima spiaggia per evitare il fallimento quando non c’è sufficiente consenso per soluzioni più consensuali. Il vantaggio è che vincola tutte le parti: anche il creditore più ostile è coinvolto e se la maggioranza approva e il piano è equo, dovrà accettare quanto deciso. Inoltre, consente di ridurre l’indebitamento sensibilmente (spesso i chirografari prendono una percentuale e il resto è esdebitato). Nella prospettiva del risanamento, il concordato in continuità è quello indicato: l’impresa continua ad operare, possibilmente esce alleggerita dai debiti e può proseguire la propria mission (nel nostro caso, l’erogazione di servizi sanitari). Certo, durante la procedura c’è un forte controllo esterno (dal Commissario e dal tribunale) e alcuni poteri vengono limitati, ma l’imprenditore può mantenere la guida sotto vigilanza. Nel concordato liquidatorio, invece, l’imprenditore sostanzialmente abbandona il campo: la procedura serve solo a vendere al meglio e distribuire il ricavato secondo un piano prestabilito, dopodiché l’attività cessa. Può essere utile se, ad esempio, un altro operatore vuole acquisire il poliambulatorio: in questo caso il concordato può essere confezionato come concordato con continuità indiretta, vendendo l’azienda al concorrente o a un investitore che si impegna a proseguire i servizi sanitari, preservare i lavoratori, ecc. I creditori prendono il ricavato di tale cessione (o altri beni venduti) e l’impresa originaria si estingue senza debiti residui.

Concordato “in bianco” (con riserva): merita una menzione anche la facoltà, utile in emergenza, di depositare una domanda di concordato prenotativa (art. 44 CCII, ex art. 161 co.6 L.F.) senza allegare subito il piano dettagliato, ma riservandosi di presentarlo entro un termine (fino a 60-120 giorni). Questa mossa attiva immediatamente le protezioni (blocco azioni, stop interessi, ecc.), evitando che i creditori agiscano, e dà tempo all’impresa di preparare il piano definitivo o cercare accordi (anche tentare un accordo di ristrutturazione nel frattempo). È quindi un’arma di difesa quando un creditore ha presentato istanza di fallimento o sta per partire un pignoramento che comprometterebbe l’attività: il debitore può reagire depositando il “concordato in bianco”, guadagnando qualche mese di tempo protetto per strutturare la proposta. Però, usarlo impropriamente (abusivamente solo per prendere tempo senza vera volontà di proporre un piano) è sanzionato: il tribunale può dichiarare inammissibile la domanda se fiuta l’abuso, e in tal caso l’impresa finirebbe subito in liquidazione. Dunque va maneggiato con cautela e buona fede.

In definitiva, il concordato preventivo rimane uno strumento fondamentale di difesa per l’imprenditore in crisi, specialmente quando la ristrutturazione richiede un coinvolgimento globale dei creditori e un taglio significativo del debito per tornare in equilibrio. Naturalmente comporta costi professionali e tempi maggiori rispetto agli accordi stragiudiziali. Non tutti i poliambulatori hanno la struttura e le risorse per affrontare un concordato, che richiede un piano industriale ben congegnato e liquidità sufficiente almeno a coprire costi e pagamenti prioritari (ad es. i dipendenti e i professionisti della procedura). Per questo, l’introduzione della composizione negoziata (di cui parleremo a breve) mira proprio a fornire un percorso ancor più precoce e snello per aggiustare la rotta prima di arrivare al punto di non ritorno del concordato.

Procedure da sovraindebitamento e “concordato minore”

Abbiamo finora parlato delle soluzioni per imprese soggette a fallimento (liquidazione giudiziale). Ma non tutte le realtà rientrano in tali categorie: professionisti, start-up innovative, enti non commerciali o piccoli imprenditori sotto soglia potrebbero non essere assoggettabili a liquidazione giudiziale. Un poliambulatorio, se gestito da un singolo medico come ditta individuale o studio professionale, potrebbe rientrare nel campo del sovraindebitamento (cioè crisi del debitore non fallibile). Anche alcune S.n.c. o S.a.s. molto piccole un tempo erano escluse dal fallimento se non superavano certi parametri (art. 1 L.F. prevedeva soglie di fallibilità: attivo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k). Nel CCII la definizione di debitore minore all’art. 2 individua chi resta sotto determinate soglie dimensionali; tali soggetti accedono alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (ex Legge 3/2012, ora integrate nel Codice). In sintesi, le procedure disponibili sono:

  • Concordato minore: una sorta di concordato preventivo semplificato destinato ai debitori non fallibili (piccoli imprenditori, professionisti, start-up) diversi dal consumatore. Funziona con una proposta di accordo da sottoporre ai creditori, ma se non viene approvata non implica automaticamente fallimento (che comunque non sarebbe applicabile a quel soggetto). Il concordato minore è l’evoluzione dell’“accordo di composizione” della L.3/2012. Richiede anch’esso un attestatore (OCC – Organismo di Composizione della Crisi) e l’omologazione del tribunale. Non approfondiamo oltre, data la natura specialistica: basti sapere che se un poliambulatorio fosse gestito da soggetto non fallibile, potrebbe proporre un concordato minore per ristrutturare i debiti analogamente a un concordato preventivo ordinario, ma con maggiore flessibilità (ad esempio, è possibile l’omologazione anche senza il voto favorevole dei creditori se il tribunale ritiene equa la proposta – meccanismo del “cram down giudiziale” già previsto nella L.3/2012). La legge incoraggia l’omologazione forzosa se la proposta è meglio della liquidazione e almeno il 20% dei crediti chirografari hanno detto sì.
  • Piano di ristrutturazione del consumatore: destinato alle persone fisiche consumatrici (non attinente al nostro caso di imprenditore).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: corrisponde alla vecchia “liquidazione del patrimonio”. Se un soggetto non fallibile non ha possibilità di accordo, può mettere a disposizione tutti i suoi beni (esclusi quelli impignorabili) e farli liquidare da un gestore nominato dall’OCC, al fine di soddisfare i creditori. È una sorta di “fallimento su base volontaria” per chi non poteva fallire. Il CCII la consente però solo se i debiti scaduti superano €50.000, evitando micro-casi.
  • Esdebitazione del sovraindebitato incapiente: misura peculiare che consente, una tantum, al debitore persona fisica meritevole e privo di beni di ottenere lo stralcio dei debiti fino a €25.000 senza alcun pagamento, previa una specie di “perdono” giudiziale. Non applicabile tipicamente a imprenditori attivi.

Nel nostro contesto, immaginiamo il caso di Dr. Rossi, titolare di un poliambulatorio come impresa individuale (quindi non soggetto a fallimento) con debiti >1 milione. Egli potrebbe presentare un concordato minore offrendo ai creditori, ad esempio, il pagamento del 30% dei debiti in 5 anni grazie ai proventi futuri della clinica, garantendo comunque ai creditori non trattati meglio di quanto otterrebbero dalla liquidazione controllata dei suoi beni. I creditori voterebbero sulla proposta (serve il 50% circa di consensi); se non si raggiunge, il giudice può comunque omologare se ritiene la proposta vantaggiosa e i creditori dissenzienti ricevono almeno quanto in liquidazione. Questo strumento mette al riparo il Dr. Rossi da azioni esecutive frammentarie e, se completato, gli consente di continuare la sua attività medica senza i debiti pregressi. Se invece il concordato minore fallisce, resterebbe la liquidazione controllata (vendita dei beni personali) e poi l’esdebitazione di fine procedura.

In pratica, per i poliambulatori è raro l’uso di queste procedure “minori” perché il più delle volte sono configurati come società (quindi soggetti fallibili) e con debiti sopra soglia. Ma non va escluso: ad esempio, studi medici associati o cooperative sociali potrebbero rientrare nel sovraindebitamento e giovarsi di tali soluzioni.

Per completezza: la recente riforma (D.Lgs. 83/2022) ha previsto che i debitori “minori” possano optare anche per gli strumenti di regolazione ordinari in certi casi. In altre parole, un piccolo imprenditore sotto soglia può proporre di utilizzare direttamente un concordato preventivo ordinario o un accordo di ristrutturazione, anziché il concordato minore, se lo preferisce (magari perché ha molte similitudini con imprese più grandi). Ciò mostra la tendenza a uniformare le tutele, lasciando flessibilità.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale classica che si apre quando l’impresa è insolvente e nessuna altra soluzione è stata attuata in tempo. È disciplinata dal Titolo V CCII e rappresenta, di fatto, la cessazione coatta dell’attività e la liquidazione di tutti i beni sotto il controllo di un Curatore nominato dal tribunale, al fine di pagare i creditori secondo le cause di prelazione. Dal punto di vista del debitore, subire una liquidazione giudiziale significa perdere totalmente la gestione dell’azienda e dei beni (lo spossessamento è immediato ex lege), con effetti personali pesanti (per le persone fisiche: divieti temporanei di intraprendere nuove attività, limitazioni legali, possibile rapporto col penale per bancarotta, ecc.). È la situazione che idealmente si cerca di evitare con gli strumenti descritti finora.

Quando interviene? La liquidazione giudiziale può essere richiesta dall’imprenditore stesso, da uno o più creditori, o dal Pubblico Ministero (in casi particolari, es. insolvenza di società quotata o istanza a seguito di concordato non omologato per frode). Il tribunale, verificato lo stato di insolvenza (attuale o anche solo irreversibile), emette sentenza di liquidazione. Le soglie dimensionali non si applicano a società di capitali (sempre fallibili); per imprenditori individuali e società di persone, come detto, se sono “minori” si applicherebbero procedure di sovraindebitamento anziché il fallimento. Nel dubbio, spesso i tribunali dichiarano comunque il fallimento se i parametri non sono chiaramente sotto soglia, come confermato da Cassazione che ha fornito criteri stringenti per valutare la fallibilità.

Effetti principali: con la sentenza di liquidazione:

  • Il debitore (impresa) perde la disponibilità dei suoi beni, che passano sotto il controllo del Curatore. L’organo amministrativo decade (per le società) e subentra il Curatore nella gestione finalizzata alla liquidazione.
  • Si apre lo stato passivo, i creditori devono insinuarsi entro termini fissati e verranno ammessi dai Giudice Delegato secondo le verifiche (con eventuali cause di esclusione o graduatorie).
  • Tutte le azioni esecutive individuali cessano (confluiscono nella procedura) e i crediti chirografari restano congelati per essere soddisfatti nella misura prevista dalle ripartizioni fallimentari.
  • I contratti pendenti possono essere sciolti o continuati dal Curatore a seconda di cosa conviene alla massa; i dipendenti vengono licenziati salvo esercizio provvisorio.
  • Spesso si cerca di vendere l’azienda o rami di essa in esercizio provvisorio se c’è chance di maggior realizzo vendendo un poliambulatorio funzionante. Ma ciò dipende dall’autorizzazione del tribunale e dall’esistenza di soggetti interessati. Non è un diritto dell’imprenditore ma una valutazione nell’interesse dei creditori.
  • Il debitore persona fisica subisce incapacità personali (non può essere amministratore di società, restrizioni patrimoniali, ecc.) per tutta la procedura.
  • Possono insorgere procedure penali concorsuali se emergono condotte distrattive o altri reati di bancarotta.

La liquidazione giudiziale di una società di persone coinvolge come detto anche i soci: la sentenza unica dichiara il fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili. Questo comporta due masse distinte (patrimonio sociale e patrimoni personali) ma un procedimento unitario in parte.

Esdebitazione: uno spiraglio per il debitore onesto è l’esdebitazione a fine procedura. Nel CCII l’esdebitazione è quasi automatica per il debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) salvo casi di dolo o mancanza di cooperazione. La sentenza che chiude la liquidazione giudiziale dichiara anche la liberazione dei debiti residui (in passato occorreva farne apposita istanza, ora è prevista di ufficio se non ostacolata). Restano esclusi dall’esdebitazione alcuni debiti di natura peculiare (obblighi alimentari, risarcimenti da illecito extracontrattuale per fatti dolo, e sanzioni penali/amministrative). Ma i debiti ordinari (banche, fornitori, fisco per tributi non pagati) vengono cancellati, così che il debitore, spogliato di tutto, possa ripartire senza zavorre. Le società invece si estinguono e non hanno questione di esdebitazione (cessano di esistere).

Perché evitarla: dal punto di vista di un poliambulatorio, la liquidazione giudiziale è praticamente la fine dell’attività sotto quella gestione. L’azienda sanitaria verrebbe venduta o smembrata; la comunità di pazienti perderebbe un riferimento, i lavoratori verrebbero licenziati o riassorbiti altrove forse; il know-how e la fiducia costruita potrebbero andare dispersi. Inoltre, l’imprenditore subisce l’onta del fallimento e possibili strascichi (indagini per capire se vi siano state irregolarità, che in contesti sanitari possono emergere es. distrazioni di fondi pubblici se presenti). In termini di soddisfacimento dei creditori, spesso la liquidazione giudiziale non massimizza il valore: i beni venduti all’asta fruttano meno, e i tempi si allungano (un fallimento complesso può durare anche molti anni, se ci sono contenziosi o difficoltà di realizzo). La stessa Cassazione ha evidenziato come obiettivo primario la continuità e il soddisfacimento dei creditori tramite soluzioni alternative, e solo in mancanza, procedere alla liquidazione giudiziale come ultima ratio.

Quando è inevitabile: se i tentativi di risanamento o accordo falliscono (ad es. un concordato non approvato, o una composizione negoziata esito negativo senza alternative) e la situazione è irreversibile, la liquidazione giudiziale è l’epilogo naturale. Anche in quell’epilogo, comunque, qualche difesa per il debitore c’è: ad esempio può proporre al tribunale l’apertura della liquidazione controllata al posto del fallimento, se ne ha titolo (ma di fatto equivalgono nella gestione, cambia solo organo ausiliario OCC vs curatore). Oppure, se un creditore chiede il fallimento, il debitore potrebbe ancora all’ultimo proporre un concordato semplificato (vedi infra) o un accordo ex art. 182 L.F. per scongiurare il fallimento in extremis.

In sintesi, la liquidazione giudiziale è ciò da cui “difendersi” per eccellenza. Tutti gli strumenti predisposti dall’ordinamento – piani, accordi, composizione negoziata, concordati – servono per evitare la dispersione del valore che la liquidazione comporta. D’altra parte, minacciare l’apertura della liquidazione giudiziale è anche un leva negoziale: spesso i creditori, di fronte alla prospettiva di un fallimento dai cui ricaverebbero poco, preferiscono accettare un concordato con percentuale o un accordo di ristrutturazione. Ecco perché per il debitore può essere utile preparare (magari riservatamente) una simulazione di scenario fallimentare: calcolare quanto incasserebbero i creditori nella liquidazione giudiziale e usare questo dato come riferimento per proporre loro qualcosa di migliore attraverso un accordo o concordato. Ad esempio: “In fallimento recuperereste il 20%, io vi offro il 35% subito in concordato”. Questo argomento spesso smuove i creditori razionali.

La composizione negoziata della crisi: prevenzione e risanamento assistito

Uno degli strumenti più innovativi introdotti di recente (fine 2021, consolidato nel CCII dal 2022) è la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Si tratta di un percorso volontario e confidenziale di assistenza alle trattative tra debitore e creditori, sotto la guida di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione della Camera di Commercio. L’obiettivo è aiutare l’imprenditore in difficoltà a trovare un accordo con i creditori (o altre soluzioni industriali, come investitori, ristrutturazione aziendale) prima che la crisi degeneri in insolvenza conclamata. La composizione negoziata si colloca dunque a monte delle procedure viste finora: punta a risolvere situazioni di squilibrio patrimoniale o finanziario quando ancora si può evitare il default, oppure anche in caso di insolvenza già manifesta ma reversibile (cioè recuperabile con certe manovre).

Presupposti di accesso: qualsiasi impresa iscritta al Registro Imprese può accedervi, di qualunque dimensione (anche piccolissima o agricola). Occorre però che vi sia uno stato di crisi o pre-crisi: nel dettaglio la norma (art. 12 CCII) ora specifica, dopo il correttivo 2024, che la composizione negoziata può essere attivata in caso di insolvenza (non ancora irreversibile) oppure di crisi in senso stretto, oppure di più blando squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza. In pratica, anche se l’impresa non ha ancora saltato pagamenti, ma presenta indici di difficoltà (patrimonio netto azzerato, flussi di cassa negativi prospettici, esposizioni anomale), si può – e anzi si deve – attivare la composizione. Questo abbassa la soglia di intervento: serve ad incoraggiare gli imprenditori a muoversi prima di accumulare milioni di debiti. L’altro requisito fondamentale è che ci siano ragionevoli prospettive di risanamento: il percorso negoziato non deve essere un modo di tirare a campare per chi è già spacciato, ma uno strumento con chance concrete. La valutazione iniziale spetta al debitore (con consulenti), che deve farsi un esame di fattibilità: esistono strade percorribili per salvare l’impresa (accordi con creditori, nuove risorse, riorganizzazione)? Se sì, allora ha senso chiamare un esperto. L’esperto indipendente, una volta nominato, farà a sua volta nei primi incontri un check: se vede che non vi è alcuna possibilità (ad es. debiti enormi e azienda senza futuro), può proporre la chiusura anticipata della composizione. Ciò per evitare di illudere e perdere tempo.

Nomina dell’esperto e avvio: l’imprenditore presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica nazionale dedicata (gestita dalle Camere di Commercio) allegando una serie di documenti (bilanci, situazione debitoria aggiornata, elenco creditori, ecc.). Deve anche auto-dichiarare se pendono già ricorsi per fallimento o domande di concordato. Entro pochi giorni, una commissione regionale nomina l’esperto dall’apposito elenco (professionisti qualificati: commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro con formazione specifica). Il correttivo 2024 ha migliorato i criteri di scelta: gli esperti ora aggiornano i loro curricula con le esperienze e gli esiti delle negoziazioni seguite, per garantire maggiore professionalità e trasparenza nella selezione. L’esperto accetta l’incarico e si fissa un primo incontro.

Procedura di negoziazione: dal momento in cui l’esperto è nominato, partono 180 giorni (prorogabili a 240) in cui l’esperto ha il compito di facilitare le trattative tra debitore e creditori. Egli convoca subito l’imprenditore per comprendere la situazione, poi individua i principali creditori e altri stakeholder (soci, dipendenti, fornitori critici, banca finanziatrice, ecc.) e organizza riunioni congiunte o separate. Tutti i soggetti convocati hanno il dovere di partecipare alle trattative in buona fede e riservatezza. La legge vincola infatti debitore e creditori al principio di correttezza e buona fede in questo contesto. Il ruolo dell’esperto è di mediatore qualificato: aiuta a trovare punti d’incontro, verifica le proposte, sprona le parti a soluzioni ragionevoli. Non ha poteri autoritativi (non può imporre accordi), ma la sua presenza terza spesso aiuta creditori e debitore a fidarsi di più del processo.

Misure protettive: all’avvio della procedura (o anche dopo, se necessario), l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive e cautelari. In pratica, può ottenere un decreto che blocca temporaneamente le azioni esecutive dei creditori e impedisce dichiarazioni di fallimento. Questo scudo inizialmente dura fino a 4 mesi, estensibili, e consente di negoziare senza il fiato sul collo di pignoramenti o istanze di fallimento. Importante: le misure protettive non si applicano ai diritti dei lavoratori (che rimangono liberi di agire per stipendi, salvo autorizzazione del giudice a sospendere anche quelli in casi eccezionali). Quindi, ad es., un dipendente potrebbe comunque pignorare se non pagato – anche se in pratica spesso i debiti verso lavoratori vengono soddisfatti per primi per evitare conflitti. L’ottenimento delle misure protettive comporta la pubblicazione nel Registro Imprese, informando formalmente tutti i creditori noti. Da quel punto, i creditori hanno facoltà di chiedere la revoca delle misure se dimostrano che ciò li danneggia eccessivamente o che il debitore sta perdendo patrimonio.

Svolgimento riservato e confidenziale: a parte l’istanza iniziale (che come detto viene pubblicata per trasparenza) e l’eventuale decreto di protezione, tutto l’andamento delle trattative è riservato. Le comunicazioni scambiate non sono divulgate e gli stessi atti non sono accessibili pubblicamente. Le parti (esperto, creditori, debitore) sono tenute al segreto su informazioni apprese. Lo scopo è evitare allarmismi sul mercato: la notizia che un’impresa è “in composizione negoziata” è pubblica, ma i dettagli no, per evitare reazioni a catena come revoche di fidi o rescissioni di contratti che potrebbero aggravare la crisi. Questa confidenzialità è uno dei punti di forza dello strumento, tanto che la legge definisce tutta la procedura come confidenziale anche se c’è quella minima pubblicità legale. In pratica i partner commerciali sapranno che l’azienda ha intrapreso un percorso di risanamento (il che può essere letto anche in positivo: sta cercando di sistemare le cose), ma non conosceranno i dettagli delle sue proposte finché non si arrivi a un eventuale accordo formale.

Esito della composizione negoziata: entro i 6 mesi (estesi a max 8) l’esperto deve concludere il suo incarico redigendo una relazione finale. Gli esiti possibili sono diversi:

  • Accordo contrattuale con i creditori: se le trattative hanno successo, il debitore può concludere uno o più accordi stragiudiziali con i creditori che ritiene, per risanare l’impresa. Ad esempio, un accordo con le banche per allungare i mutui, accordi bilaterali di stralcio con taluni fornitori, ecc. Questi accordi non richiedono omologa né intervento del giudice, ma beneficiano del supporto dell’esperto e della cornice protettiva. Una volta firmati, l’esperto chiude la procedura “con esito favorevole”. Si può assimilare al piano attestato, con la differenza che qui c’è stata una supervisione terza. Infatti, come visto nei dati reali, molti esiti positivi della composizione negoziata sono accordi sottoscritti dall’imprenditore e dai creditori con l’assistenza dell’esperto (in 127 casi su un totale di 295 successi analizzati in un rapporto, l’esito era proprio questo, il più frequente).
  • Contratto con uno o più creditori: variante dell’accordo sopra: il debitore può raggiungere ad esempio un accordo stragiudiziale solo con alcuni creditori, lasciando fuori altri. Questo può avvenire se i creditori critici erano pochi. Ad es., la negoziazione riguarda principalmente la banca e il locatore dell’immobile, e con essi si trova un nuovo piano di rientro; i debiti minori verso altri saranno pagati regolarmente poi. L’esperto redige esito positivo anche in tal caso, notando che sono state risolte le tensioni principali. Dai dati: 77 casi conclusi con un “contratto con uno o più creditori”.
  • Piano attestato di risanamento: l’esperto può aiutare l’imprenditore a perfezionare un piano attestato. In pratica la negoziazione si integra col piano: l’esperto può facilitare i contatti con l’attestatore e con i creditori affinché tutti siano d’accordo sul piano di risanamento da attestare. Questo è un esito meno comune ma possibile (13 casi segnalati). Una volta che il piano attestato è pronto e pubblicato, la composizione si chiude positivamente.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (omologato): se durante la negoziazione si raggiunge l’adesione del 60% dei crediti, il debitore può depositare l’accordo in tribunale per omologazione. L’esperto naturalmente avrà favorito il raggiungimento di questa soglia. Una volta presentata la domanda di omologazione, la composizione negoziata si chiude (esito anch’esso favorevole) e subentra la procedura giudiziale di omologa. Dati: 40 casi conclusi con istanza di omologa di accordo di ristrutturazione.
  • Accesso a una procedura concorsuale: se emerge che serve comunque un concordato (ad es. i creditori vogliono una soluzione più ampia), il debitore può presentare domanda di concordato preventivo o di liquidazione giudiziale. Questo è considerato anch’esso un potenziale esito (non “di successo” nel senso di risanamento, ma come sbocco regolato): 34 casi hanno visto l’accesso ad altri strumenti del CCII. Ad esempio, la negoziazione può far capire che solo un concordato con transazione fiscale potrà risolvere il problema del debito IVA: allora l’esperto chiude la negoziazione e l’azienda deposita un concordato preventivo con riserva beneficiando di quanto già discusso.
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: questa è un’opzione speciale se la composizione negoziata fallisce. Introdotta dal D.L. 118/2021 (art. 11) e ora nell’art. 25-sexies CCII, prevede che se l’esperto dichiara che le trattative si sono svolte correttamente ma senza raggiungere un accordo, l’imprenditore entro 60 giorni può proporre al tribunale un concordato semplificato senza voto dei creditori, esclusivamente liquidatorio. In tale concordato, l’imprenditore offre di liquidare i beni residui sotto controllo del tribunale, ripartendo il ricavato tra i creditori secondo la legge, eventualmente con l’apporto di nuove risorse (spesso richieste per superare la soglia di 20% ai chirografari). I creditori non votano, possono solo eventualmente opporsi in sede di omologa. Il tribunale omologa se ritiene il piano vantaggioso almeno quanto la liquidazione giudiziale e se non vi sono frodi. Questo istituto è definito “semplificato” perché evita tutta la fase di voto, essendo giustificato dal tentativo negoziale previo: è pensato come via d’uscita ordinata quando la negoziazione non ha salvato l’impresa, per evitare il fallimento puro e dare una chance di soluzione rapida. In pratica è come un mini-concordato liquidatorio imposto top-down. Va notato che finora è stato utilizzato raramente, ma è un’importante arma finale per il debitore: in caso di fallimento delle trattative, anziché attendere passivamente l’istanza di fallimento di un creditore, può prendere l’iniziativa e chiedere al tribunale questo concordato semplificato, garantendosi il controllo della fase liquidatoria e magari l’esdebitazione immediata a fine procedura.
  • Esito negativo senza accordo: se nessuna delle soluzioni di cui sopra è praticabile (ad esempio, creditori troppo distanti, azienda ormai decotta), l’esperto chiude la procedura con esito negativo. In tal caso, i creditori riacquistano libertà di azione e spesso seguirà la richiesta di liquidazione giudiziale. Resta però il fatto che il tentativo è stato fatto: in certi casi la relazione finale dell’esperto può evidenziare perché non c’era margine (colpa di qualche creditore irriducibile? O situazione oggettivamente impossibile?), cose che potrebbero poi essere valorizzate se ad esempio sorgono contestazioni di responsabilità. Fortunatamente, col tempo, i tassi di successo stanno crescendo: dai dati Unioncamere, circa il 21% delle composizioni negoziate hanno esito positivo (153 successi su 722 concluse al 2024), e la percentuale è in aumento man mano che lo strumento si diffonde (nel Sud, ad esempio, è salita dal 12,5% al 17,9% in pochi mesi).

Vantaggi per il debitore poliambulatorio: la composizione negoziata è su misura per il salvataggio anticipato. Un poliambulatorio con debiti >1M dovrebbe considerarla non appena percepisce segnali di potenziale insolvenza. I benefici:

  • Assistenza gratuita di un esperto qualificato (i costi dell’esperto sono a carico pubblico per le PMI, salvo buon fine credo; in ogni caso, al confronto di consulenze private, è un supporto istituzionale importante). L’esperto apporta esperienza e terzietà, può proporre soluzioni creative, mediare conflitti.
  • Protezione rapida dalle aggressioni dei creditori: ottenibile con il decreto di misure protettive. Ciò consente di “congelare” un contesto caotico e lavorare sul piano industriale senza disturbi.
  • Riservatezza: a differenza del concordato, non si sbandierano ai quattro venti i dettagli della crisi, evitando allarmismi tra i pazienti e i partner commerciali. Solo la notizia generica è pubblica.
  • Flessibilità degli esiti: il debitore non è incanalato per forza in una soluzione: può portare a casa un accordo extra-giudiziale, oppure se vede che conviene un concordato, può pivotare verso quello, o se tutto fallisce ha l’opzione del concordato semplificato. È uno strumento polifunzionale.
  • Nessuna perdita di gestione: durante la negoziazione l’impresa resta in mano all’imprenditore. L’esperto non ha poteri sostitutivi, solo di vigilanza e impulso. Quindi il debitore sente la procedura come meno invasiva e più collaborativa.
  • Valorizzazione della continuità aziendale: l’intero impianto è costruito per salvare l’impresa se possibile, anche magari ristrutturandola (es. vendendo un ramo per fare cassa, oppure trovando un investitore terzo). In un settore sanitario, preservare la continuità del servizio può essere un argomento forte: magari la ASL o altri attori locali sono interessati a supportare la ristrutturazione per non perdere il poliambulatorio sul territorio.

Cosa aspettarsi come debitore durante la negoziazione: l’esperto chiederà all’imprenditore massima trasparenza sui numeri, informazioni aggiornate, collaborazione nel contattare i creditori. Verrà anche effettuato tramite la piattaforma un test pratico (check-list) per valutare la possibilità di risanamento: è un set di indici e parametri che la legge mette a disposizione per capire se c’è chance di risanamento. L’imprenditore deve affrontare le riunioni con un approccio propositivo, evitando di irrigidirsi su posizioni poco credibili (“vi pagherò tutti integralmente fra 10 anni” non è credibile se finora non ha pagato). Deve essere pronto a sacrifici: la legge non lo dice espressamente, ma in pratica spesso i soci devono mettere qualcosa sul piatto (nuovi fondi, garanzie personali, ecc.) per convincere i creditori a dare respiro. L’esperto su questo può premere, sollecitando ad esempio i soci a rinunciare ai crediti verso la società o a postergli, o ad apportare risorse fresche.

Interferenze con altre procedure: durante la composizione negoziata il debitore può presentare, se vuole, domanda di concordato con riserva o accordo in omologa. Ma non può farlo per mero escamotage dilatorio: c’è una norma (art. 23 co.4 CCII) che scoraggia di iniziare la negoziazione se si era già depositata una domanda di concordato di riserva e poi rinunciata poco prima, e viceversa. In generale, l’apertura di una liquidazione giudiziale preclude l’accesso alla composizione negoziata (ovviamente). Invece se pendono istanze di fallimento di creditori, la legge chiarisce (correttivo 2024) che ciò non impedisce di avviare la negoziazione: sarà poi il tribunale eventualmente a coordinare le cose (di solito sospendendo l’istruttoria prefallimentare in attesa dell’esito della negoziazione).

Dati concreti: la composizione negoziata ha visto un crescente utilizzo. Fino a metà maggio 2024 vi sono state 1.450 istanze presentate, con un incremento di oltre il 50% nel secondo semestre 2023 rispetto al primo. I casi di esito positivo superano i 150 e aumentano via via. Le tipologie di imprese che ne hanno beneficiato sono prevalentemente PMI del Nord Italia (58% delle istanze al Nord), ma con una diffusione in crescita anche al Sud. Questo strumento è ancora giovane ma promettente, tanto che si sta confrontando il profilo delle imprese che ricorrono ad esso rispetto a quelle che finiscono in procedure tradizionali, notando che quelle che hanno intrapreso la composizione negoziata tendono a far emergere la crisi in anticipo e hanno maggiori chance di risanamento. Ciò conferma la finalità di prevenzione.

Per un poliambulatorio indebitato, la composizione negoziata dovrebbe essere seriamente considerata non appena il debito milionario inizia a sembrare insostenibile con i flussi di cassa correnti. Ad esempio, se il poliambulatorio stima che nei prossimi 6-12 mesi non riuscirà a pagare regolarmente fornitori e fisco, e magari ha già eroso il capitale, quello è il momento di attivare la composizione negoziata: si potrà coinvolgere la banca creditrice, il proprietario dell’immobile e i fornitori critici in trattative strutturate, prima che scattino decreti ingiuntivi e pignoramenti. Il piano di risanamento elaborato con l’ausilio dell’esperto potrebbe includere misure come: la dilazione dei debiti fiscali (Agenzia Entrate potrà concedere fino a 120 rate sulla scorta della trattativa, grazie anche alle novità normative), la ricerca di un partner finanziario (es. un investitore privato o un’altra clinica interessata a entrare in società apportando capitali freschi), la rinegoziazione di contratti onerosi (il locatore magari accetta di ridurre il canone per qualche anno pur di non perdere un inquilino importante), e così via. Il tutto, appunto, in un contesto protetto.

Spesso i creditori sono ricettivi in composizione negoziata, più di quanto sarebbero se contattati informalmente, perché vedono che è un percorso istituzionale: c’è un esperto nominato dalla Camera di Commercio che li convoca, c’è un quadro normativo che li incentiva a collaborare (ad esempio, durante la negoziazione i creditori finanziari che aderiscono a un certo accordo possono beneficiare di esenzioni da responsabilità per concessione abusiva di credito e simili, e vi è la possibilità di ottenere esenzioni fiscali su eventuali rinunce a crediti se fatte con certe modalità). Inoltre, il fatto che l’alternativa (implicita) sarebbe il fallimento con recuperi minimi li spinge a tavoli di negoziazione seri.

In conclusione, la composizione negoziata rappresenta oggi la prima linea di difesa legale per un’impresa in crisi di qualsiasi dimensione. Il legislatore l’ha concepita per evitare che si arrivi al punto di non ritorno. Nel contesto di un poliambulatorio con >1M di debiti, è uno strumento prezioso: consente all’imprenditore di guadagnare tempo e competenze per risolvere la crisi, senza immediatamente compromettere la reputazione come farebbe un’apertura di concordato, e con costi tutto sommato sostenibili. Naturalmente, richiede impegno e trasparenza da parte del debitore: un business plan di rilancio credibile, la volontà di fare sacrifici e l’umiltà di farsi aiutare. Ma se usata correttamente, può fare la differenza tra la chiusura definitiva della struttura e il suo risanamento.

Profili particolari: forma giuridica del poliambulatorio e responsabilità del debitore

È opportuno soffermarsi brevemente su come la forma giuridica del poliambulatorio incida sulle strategie difensive. Abbiamo già accennato alle differenze tra società di capitali e società di persone, nonché ai casi di imprenditore individuale o professionista. Riassumiamo i punti chiave in una prospettiva comparativa:

  • Società di capitali (es. S.r.l., S.p.A.): la società ha personalità giuridica e i soci godono di responsabilità limitata per i debiti (salvo garanzie personali prestate). Ciò significa che la strategia di difesa può focalizzarsi sul salvataggio della società stessa tramite ristrutturazione o concordato. Se però la società dovesse fallire, i soci non falliscono (a meno di condotte distrattive personali rilevanti). I soci possono perdere il capitale investito e le riserve, ma non oltre. Tuttavia, attenzione: se i soci hanno firmato fideiussioni a favore di banche o fornitori (prassi comune nelle PMI), allora essi diventano debitori a titolo personale verso quei creditori e potrebbero subire azioni esecutive o essere coinvolti in procedure di sovraindebitamento. Quindi, la difesa complessiva deve tener conto anche delle posizioni dei garanti: ad esempio, in un accordo di ristrutturazione, spesso si negozia contestualmente la liberazione o il riadeguamento delle garanzie personali dei soci. In concordato, la liberazione dei coobbligati non è automatica (il concordato vincola la società ma non cancella le garanzie dei terzi: le banche potrebbero rivalersi sui fideiussori per la parte falciata). Quindi un socio garante potrebbe dover valutare un piano di sovraindebitamento personale se la società riduce i debiti e la banca poi chiede a lui la differenza. È essenziale coordinare questi aspetti: spesso, per convincere la banca ad aderire a un accordo, il socio garante dovrà magari mantenere in vita parzialmente la garanzia o offrire un indennizzo (es. pagamento parziale anche da parte sua). Nel caso di inadempimento della società risanata, i garanti restano esposti secondo i nuovi termini pattuiti, quindi la loro posizione va protetta contrattualmente (clausole di release a buon fine, ecc.). Quanto agli amministratori di società di capitali, come visto hanno obblighi di attivarsi in caso di crisi (assetti adeguati, segnalazione). Una SRL poliambulatorio insolvente i cui amministratori tardino colpevolmente a intervenire espone questi ultimi ad azioni di responsabilità ex art. 378 CCII, oltre che a potenziali sanzioni per omessi versamenti fiscali se deliberatamente non hanno pagato tributi con risorse disponibili.
  • Società di persone (S.n.c., S.a.s.): qui almeno un socio (tutti nella SNC, i soci accomandatari nella SAS) ha responsabilità illimitata e solidale per i debiti sociali. Dunque i creditori possono aggredire anche i beni personali dei soci, e come visto il fallimento (liquidazione giudiziale) si estende ad essi di diritto. Come difendersi? In primis, i soci illimitatamente responsabili devono considerare la propria esposizione personale in ogni strategia. Un accordo o concordato che riguarda solo la società di per sé non libera i soci: il CCII prevedeva una norma (nel sovraindebitamento) per cui la procedura produceva effetti anche sui soci illimitatamente responsabili, ma tale previsione è stata abrogata. Quindi, ad esempio, se una SNC fa concordato preventivo e paga il 40% ai chirografari, i creditori potrebbero teoricamente chiedere ai soci il restante 60% (perché la loro obbligazione personale non è inclusa nel concordato, a meno che i creditori rinuncino espressamente anche verso di loro). Nella pratica, per evitare ciò, spesso i soci partecipano al concordato offrendo essi stessi un contributo e ottenendo liberatoria. Una modalità è includere nel piano concordatario un accordo con i creditori chirografari che, in cambio di una certa soddisfazione, esonera i soci dalla residua pretesa. Tali patti ultra petita si possono formalizzare (specie con banche e fornitori principali). Se ciò non avviene, i soci rischiano dopo l’omologa di trovarsi inseguiti per i residui. Pertanto, in fase di composizione negoziata, i soci illimitati devono sedersi al tavolo consapevoli che anche il loro patrimonio è in gioco: potrebbe convenire loro offrire il massimo contributo possibile nel piano societario per chiudere la questione, piuttosto che conservare beni personali per poi vederseli attaccare in esecuzioni individuali. È un’analisi delicata: ad esempio se i soci hanno una casa di valore, potrebbero proporla in garanzia o venderla per pagare i debiti, e così chiudere la crisi, salvando la società (e la loro reputazione). In caso di fallimento, quella casa sarebbe comunque intaccata. Quindi, la difesa proattiva per il socio illimitato è spesso anticipare i tempi e indirizzare l’uso del proprio patrimonio in un contesto concordato piuttosto che subirlo forzosamente. Sul piano penale, i soci illimitati di SNC sono imprenditori a tutti gli effetti, quindi soggetti a possibili bancarotte se il fallimento evidenzia irregolarità: anche qui, prevenire il fallimento riduce i rischi.
  • Imprenditore individuale / professionista: come visto, costui non ha separazione patrimoniale – tutti i beni personali rispondono. Se è fallibile (imprenditore commerciale sopra soglia), le considerazioni sono simili a quelle per i soci illimitati: deve mettere in conto che ogni debito è debito personale. Se non è fallibile (professionista sanitario? in genere il singolo medico è considerato non fallibile perché svolge attività professionale, non commerciale), potrà agire tramite le procedure da sovraindebitamento. In quel caso, il vantaggio è che può ottenere esdebitazione anche senza pagare grandi percentuali, se dimostra meritevolezza e offre tutto ciò che ha. Ma la protezione in quelle procedure è meno netta: ad esempio, non c’è lo stay automatico robusto come nel concordato (anche se il giudice può sospendere azioni esecutive su istanza). Dovendo difendersi, un professionista può far leva sulla propria affidabilità personale nei confronti dei creditori: spesso la relazione personale medico-fornitore può facilitare intese. Il rischio è che confonda risorse personali con dell’impresa: deve stare attento a non intaccare il patrimonio personale non necessario – ma essendo tutto suo, è una distinzione teorica. Forse convincerà più facilmente i creditori ad accettare un piano se garantisce col proprio patrimonio (es. ipoteca su casa a favore delle banche come garanzia di rispettare il piano). Si entra qui più nel caso-specifico.

Inoltre, per completezza: se il poliambulatorio fosse gestito da un Ente non profit (es. cooperativa sociale, associazione), andrebbe verificato il regime di insolvenza applicabile. Le cooperative sono soggette a liquidazione coatta amministrativa in molti casi, più che a fallimento, se l’autorità vigilante (Ministero) la dispone. Ma anch’esse possono utilizzare gli strumenti di composizione negoziata e concordato (con particolarità: la L. Coop. prevede l’autorizzazione ministeriale per ammissione a concordato di cooperative). Un non profit puro (associazione riconosciuta) non è soggetto alle norme concorsuali ordinarie – in quel caso, i creditori possono agire solo individualmente o chiedere la liquidazione coatta se prevista. Non scendiamo oltre in questi casi rari.

Dalla prospettiva del debitore, conoscere questi dettagli è importante per modulare la strategia: ad esempio, un socio illimitatamente responsabile saprà che in caso di fallimento rischia in proprio, quindi sarà (si spera) più motivato a trovare soluzioni di concordato o accordo. Mentre un socio di SRL potrebbe essere tentato di abbandonare la società al fallimento e salvare se stesso – ma attenzione: se il fallimento lascia debiti verso l’Erario per cui il socio/amministratore ha responsabilità (es. sanzioni personali, o contributi previdenziali non versati che hanno natura penale), potrebbe comunque avere conseguenze. Inoltre, la legge scoraggia i soci dal defilarsi: se nel concordato l’impresa è risanabile anche grazie a un aumento di capitale dei soci e questi non lo fanno, il tribunale potrebbe considerare la proposta non conveniente. In pratica, i soci delle SRL che vogliono “difendersi” efficacemente conviene che prendano parte attiva ai piani di risanamento, pur non essendo obbligati, perché ciò aumenta le chance di successo e riduce potenziali rovine reputazionali o azioni di responsabilità.

Riassumendo le differenze, possiamo presentare una Tabella 2:

Tabella 2: Differenze di strategia per forme giuridiche

Forma giuridicaResponsabilità sui debitiProcedure accessibiliApproccio difensivo
Società di capitaliLimitata al patrimonio sociale (salvo garanzie date dai soci)Concordato preventivo, accordi ristr., composizione negoziata, liquidaz. giudiziale (fallimento)Proteggere la società come entità separata; soci valutano supporto volontario (finanziamenti, garanzie) per migliorare il piano; gestire eventuali garanzie personali in parallelo
Società di personeIllimitata e solidale per soci (patrimoni personali aggredibili; fallimento esteso)Concordato preventivo (ma debiti soci fuori dal concorso), composizione negoziata; eventuale concordato minore se sotto soglieCoinvolgere i soci in accordi (possibili rinunce crediti soci, conferimenti personali); negoziare liberatorie per soci nelle transazioni; evitare soluzioni che lascino code su soci; soci pronti a mettere beni nel piano per evitare aggressioni successive
Imprenditore individuale / ProfessionistaIllimitata su tutto il patrimonio personaleConcordato preventivo (se commerciale fallibile); oppure procedure sovraindebitamento: concordato minore, liquidazione controllataApproccio unitario: patrimonio persona = garanzia per creditori; valutare sovraindebitamento per ridurre esposizione; mantenere reputazione personale (importante in professioni) trovando accordi amichevoli con creditori chiave; eventualmente offrire beni personali in garanzia di adempimento del piano
Cooperativa / Ente non profitPatrimonio ente (responsabilità soci limitata al conferimento) – soci non fallibili, ma possibili azioni su amministratori se malagestioConcordato preventivo (cooperative, con autorizzazione); composizione negoziata; liquidazione coatta amm.va (invece di fallimento per coop)Puntare su concordato per evitare LCA (che è meno gestibile dal debitore); evidenziare finalità sociali per ottenere trattamenti di favore dai creditori (a volte istituzioni e fornitori sensibili al mantenimento servizio); coordinarsi con autorità vigilanti

Naturalmente ogni caso fa storia a sé; queste linee guida servono al debitore per capire il campo da gioco e dove concentrare gli sforzi difensivi. Ad esempio: un poliambulatorio gestito da 4 medici in SNC dovrà inevitabilmente coinvolgere la sfera personale di ciascuno nei negoziati, perché i creditori guarderanno anche a quelle garanzie. Invece una SRL con 4 soci (magari non medici) potrebbe cercare di ristrutturare lasciando i soci sullo sfondo; ma se i soci vogliono far approvare un concordato, sarà saggio che inseriscano un contributo (per es. rinuncia a crediti verso società, oppure un conferimento liquido) per far vedere ai creditori che anche loro “ci mettono del proprio” – questo spesso migliora l’esito delle votazioni.

Domande frequenti (FAQ)

D1. Un poliambulatorio con più di un milione di debiti rischia automaticamente il fallimento?
R: No, il fallimento (liquidazione giudiziale) non è automatico: scatta solo se l’impresa è insolvente e un creditore (o il debitore stesso) lo chiede al tribunale. Se il poliambulatorio è ancora in grado di pagare almeno parte dei debiti e soprattutto se attiva strumenti di risanamento prima di diventare insolvente conclamato, può evitare il fallimento. In ogni caso, anche di fronte a uno stato di insolvenza, l’imprenditore può presentare un concordato preventivo o tentare una composizione negoziata prima che venga dichiarata la liquidazione giudiziale. Quindi non c’è automatismo: dipende dalle azioni intraprese. Ovviamente, superare la soglia di 1 milione di debiti di per sé non implica insolvenza se l’impresa ha patrimonio o flussi adeguati a fronteggiarli. Spesso si considera insolvente chi non paga sistematicamente alle scadenze. Un debito elevato può essere ristrutturato senza passare per il fallimento adottando gli strumenti opportuni.

D2. Cosa può fare in concreto il titolare del poliambulatorio se un creditore presenta istanza di fallimento?
R: Può innanzitutto contestare l’istanza se ritiene di non essere insolvente (ad es. dimostrando di avere liquidità sufficiente o accordi di moratoria in corso). Ma soprattutto può giocare la carta del concordato preventivo con riserva: presentando entro la data dell’udienza prefallimentare una domanda di concordato “in bianco”, ottiene la sospensione della decisione di fallimento e un termine (di norma 60-120 giorni) per depositare un piano concordatario. Ciò trasforma l’istanza di fallimento in un concordato (se poi il concordato sarà omologato, l’istanza di fallimento decade del tutto). In alternativa, se ha già un accordo di ristrutturazione pronto con i creditori principali, può depositarlo chiedendone l’omologa, il che parimenti blocca la dichiarazione di fallimento. Anche la composizione negoziata può rilevare: se l’istanza di fallimento arriva mentre la composizione è attiva e con misure protettive concesse, il tribunale normalmente rinvia la decisione in attesa dell’esito della composizione. Quindi, il debitore non è inerme: deve reagire velocemente attivando una procedura alternativa che tenga sospeso il fallimento. Importante: queste mosse devono essere fatte in buona fede e con prospettive serie di riuscita, altrimenti il tribunale le percepirà come dilatorie e potrebbe comunque procedere con la liquidazione.

D3. È possibile ridurre o cancellare i debiti fiscali e contributivi di un poliambulatorio?
R: Sì, ma solo all’interno di specifiche procedure previste dalla legge. Fuori dalle procedure, l’Agenzia delle Entrate non può “perdonare” imposte (fatte salve le periodiche rottamazioni decise per legge, che comunque eliminano sanzioni e interessi ma non l’imposta in sé). All’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato, invece, si può attuare la transazione fiscale: proporre il pagamento parziale delle imposte e dei contributi. Ad esempio, pagare solo il 50% del debito IVA. La regola attuale vuole che il piano offra al Fisco almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione fallimentare dei beni. Se il Fisco rifiuta ma l’offerta rispetta quel criterio, il giudice può comunque omologare (nel concordato in continuità). Quindi, di fatto, , i debiti fiscali possono subire un taglio all’interno di un piano concorsuale, purché equo. Inoltre, come accennato, in composizione negoziata l’AdE può concedere rate fino a 10 anni (120 rate) e lo Stato periodicamente introduce sanatorie (“pace fiscale”) a cui anche i poliambulatori possono aderire se rientrano nei requisiti (ad esempio la Definizione agevolata 2023 per cartelle <= 30/6/2022 permette di pagare il debito tributario senza sanzioni né interessi). In estrema sintesi: per tagliare il carico fiscale il percorso migliore è integrarlo in un concordato o accordo, mentre per diluirlo si possono usare le rateazioni ordinarie o straordinarie che sono piuttosto accessibili.

D4. Il poliambulatorio può continuare ad operare durante la procedura di concordato o di composizione negoziata?
R: Sì. In composizione negoziata l’attività prosegue normalmente, l’impresa non perde alcun potere e anzi l’intento è proprio preservare la continuità. Durante il concordato preventivo in continuità, l’impresa può continuare ad operare sotto la gestione dell’imprenditore (vigilato dal Commissario). Ad esempio, può erogare servizi sanitari ai pazienti, incassare i pagamenti, pagare i fornitori per le forniture correnti. Alcune spese straordinarie devono essere autorizzate dal giudice, ma in generale l’attività quotidiana va avanti. Certo, l’impresa è in crisi, quindi potrebbe avere qualche difficoltà (ad es. fornitori che pretendono pagamento anticipato dopo aver saputo del concordato). Ma la legge aiuta: i contratti in corso non si interrompono automaticamente, e i fornitori di utenze non possono cessare le forniture per debiti pregressi se il tribunale applica le tutele di cui all’art. 55 CCII. In un concordato liquidatorio, invece, di solito l’attività cessa o viene venduta. Ma se c’è convenienza, il tribunale può autorizzare l’esercizio provvisorio, cioè far continuare temporaneamente l’attività per venderla meglio. In conclusione, sì, il poliambulatorio può rimanere aperto e curare pazienti durante il concordato in continuità o la negoziazione, e anzi l’idea è proprio evitare interruzioni del servizio, perché preservare l’avviamento spesso conviene a tutti (più ricavi per pagare i creditori e salvaguardia della funzione sociale).

D5. Cosa succede ai fornitori e ai dipendenti nel caso di concordato preventivo?
R: Nel concordato preventivo, i fornitori sono in genere creditori chirografari (salvo abbiano privilegio artigiani su beni consegnati, ecc.). Essi verranno soddisfatti secondo la proposta: ad esempio, potrebbe essere offerto loro il 30% del credito, pagato in due rate annuali dopo l’omologa. Una volta omologato e adempiuto il concordato, il resto del credito viene cancellato (è l’effetto esdebitatorio del concordato). Quindi il fornitore incassa una percentuale e poi non può più pretendere il residuo. Se un fornitore ha contratti in essere, può ovviamente decidere se proseguire il rapporto a nuove condizioni o cessare al termine del contratto (non può però interrompere unilateralmente solo per il concordato). Riguardo ai dipendenti, hanno un trattamento privilegiato: i loro stipendi arretrati e TFR vantano privilegi di legge, quindi normalmente il piano di concordato li paga integralmente (spesso attingendo anche al Fondo di Garanzia INPS per il TFR che anticipa le somme e poi si insinua al posto loro). In concordato in continuità i dipendenti restano in forza all’azienda, che continua la gestione, e vengono pagati regolarmente per il lavoro corrente. Se il concordato prevede esuberi o licenziamenti, vanno seguite le procedure di legge (consultazioni sindacali ecc.). Nei concordati liquidatori, purtroppo quasi tutti i dipendenti vengono licenziati, ma possono accedere al Fondo di Garanzia per tutele e alla NASpI (disoccupazione). Quindi: i fornitori recuperano una parte del credito (o in concordato in continuità spesso tutto il credito se sono essenziali – a volte si prevede di pagarli integralmente perché servono per non bloccare l’attività), mentre i dipendenti sono tutelati al 100% sui loro crediti retributivi e in più mantengono il posto se c’è continuità. Aggiungiamo che in un concordato con cessione d’azienda, il compratore è tenuto a riassorbire i dipendenti (art. 2112 c.c. mantiene efficacia), salvo diversi accordi sindacali. Dunque anche in caso di passaggio dell’attività, la maggior parte del personale dovrebbe conservare l’impiego.

D6. I soci o gli amministratori rischiano conseguenze personali a causa dei debiti del poliambulatorio?
R: Dipende dalla forma societaria e dalle eventuali condotte. Se il poliambulatorio è in forma di società di persone, i soci illimitatamente responsabili rispondono con tutti i loro beni: quindi, se la società non paga, i creditori possono rivalersi sui soci. In caso di fallimento, i soci vengono dichiarati falliti anch’essi, con tutte le conseguenze (espropriazione beni personali, iscrizione nel Registro dei falliti, ecc.). Se è una società di capitali, i soci di regola non rischiano il patrimonio personale, salvo abbiano dato fideiussioni (in quel caso sono debitori diretti verso i creditori garantiti). Gli amministratori di società (siano esse di persone o capitali) possono incorrere in responsabilità civile verso la società e verso i creditori se, ad esempio, aggravano colposamente il dissesto tardando a chiedere il concordato o occultando perdite. Inoltre, in caso di reati fallimentari, possono avere guai penali: ad esempio, se hanno distratto beni della società prima del fallimento, commettono bancarotta fraudolenta. Per i debiti erariali, gli amministratori possono incorrere in reati tributari (omesso versamento IVA oltre soglia) con responsabilità penale personale. I soci non amministratori di solito no, a meno di casi di coinvolgimento in mala gestio. Dunque, i soci capitali rischiano principalmente di perdere il capitale investito e eventuali prestiti fatti alla società (in concordato spesso vengono postergati o cancellati). I soci illimitati rischiano tutto il patrimonio. Gli amministratori rischiano di dover rispondere in proprio per danni (se i creditori provano che la tardiva emersione crisi ha ridotto la percentuale di soddisfazione) e penalmente se sono emerse irregolarità contabili o distrazioni. Un esempio: se l’amministratore non versa per anni i contributi dei dipendenti all’INPS e poi fallisce, può essere chiamato a risponderne penalmente e l’INPS può agire contro di lui per il danno. Per questo è fondamentale per amministratori e soci adottare condotte diligenti: far emergere per tempo la crisi, non “sparire” lasciando montagne di debiti, evitare favoritismi e pagamenti anomali in prossimità del default. Attivare la composizione negoziata o il concordato in tempo utile può dimostrare la loro buona fede e spesso li mette al riparo da molte accuse (o quanto meno riduce la base per eventuali azioni di responsabilità).

D7. Si può evitare il fallimento cedendo l’attività o aprendo un nuovo poliambulatorio altrove e lasciando i debiti nella vecchia società?
R: Tentare di trasferire l’attività scollegandosi dai debiti pregressi è molto rischioso e può configurare atti fraudolenti. Ad esempio, se i soci trasformano la società in una comunione d’azienda o la trasferiscono a terzi compiacenti cercando di sottrarla al fallimento, i tribunali possono comunque dichiarare il fallimento sia della società originaria che della nuova entità di fatto. La Cassazione ha più volte affermato che operazioni di trasformazione che mirano solo a eludere la procedura concorsuale non impediscono la dichiarazione di fallimento. Quindi “scappare” aprendo una nuova partita IVA e abbandonando la vecchia piena di debiti espone a azioni revocatorie (per la cessione d’azienda a prezzo non congruo) e possibili accuse di bancarotta fraudolenta per distrazione dell’avviamento. Una cessione d’azienda lecita può far parte di un piano concordatario: ad es. vendere l’attività a un altro operatore e usare il ricavato per pagare i debiti (qui è trasparente e autorizzato dal tribunale, e libera il nuovo acquirente dai debiti precedenti). Ma cedere sottobanco l’attività lasciando i creditori all’asciutto nella vecchia società inattiva è una pessima idea: i creditori possono chiedere il fallimento comunque entro l’anno dalla cessazione attività, e il Curatore potrà aggredire i beni ceduti. Inoltre, aprire “un nuovo poliambulatorio” con identica attività e magari stessi locali e personale può essere visto come continuità aziendale: i creditori potrebbero agire verso la nuova impresa sostenendo che è una mera continuazione della precedente, specie se c’è coincidenza di soci o di beni. In conclusione: la via corretta per “salvare il salvabile” è usare le procedure di legge (accordi, concordato) che consentono di vendere l’attività pulita a terzi, oppure liquidare in bonis pagando i debiti pro-quota e ripartendo in modo legittimo. Qualsiasi furbizia per evitare i debiti lasciandoli a una scatola vuota è suscettibile di azioni giudiziarie che probabilmente annulleranno l’operazione e aggraveranno la posizione degli amministratori.

D8. Quanto tempo ci vuole per risolvere la situazione debitoria con questi strumenti?
R: Dipende dallo strumento e dalla complessità del caso. Indicativamente: una composizione negoziata dura al massimo 6-8 mesi (per legge), quindi entro quell’orizzonte o si raggiunge un accordo o si passa ad altro. Un accordo di ristrutturazione può richiedere alcuni mesi di trattative (spesso condotte all’interno magari di una composizione negoziata) più il tempo di omologa in tribunale (diciamo 2-3 mesi se non ci sono opposizioni). In totale potrebbe chiudersi in meno di 1 anno dall’avvio negoziati all’omologa. Un concordato preventivo ha tempistiche più lunghe: preparazione del piano (se non c’è già) magari 2-3 mesi, attesa ammissione e voto 4-6 mesi, poi omologa 1-2 mesi, in media si può stimare 8-12 mesi dall’inizio alla sentenza di omologa. Poi però c’è la fase esecutiva: se il piano prevede pagamenti dilazionati su 5 anni, chiaramente la completa “risoluzione” (cioè chiusura e esdebitazione finale) richiederà l’intero quinquennio. Tuttavia, formalmente dopo l’omologa la procedura concorsuale è chiusa (in CCII, in realtà, permane il controllo sull’esecuzione, ma l’impresa torna in bonis con la sentenza di omologa). Quindi diciamo che in meno di un anno si può arrivare a un punto di svolta per molte procedure. La liquidazione giudiziale invece è molto aleatoria: può durare anni (la media storica dei fallimenti in Italia era sopra 7 anni, ma con riforme recenti si cerca di ridurre). In ogni caso, la strada del risanamento è generalmente più breve del fallimento, perché un concordato ben congegnato può chiudersi in un anno e mezzo con l’azienda salva; un fallimento spende anni a distribuire quel poco che recupera. Per un poliambulatorio, tempi rapidi sono essenziali anche per ragioni di mercato (i pazienti non aspettano anni di incertezza). Quindi, ad esempio, la composizione negoziata come strumento sprint è l’ideale: in 6 mesi si deve vedere se c’è luce. Se c’è, bene, altrimenti si passa al concordato semplificato e in pochi mesi si liquida e stop. Questo approccio compressa i tempi rispetto al passato, proteggendo il valore residuo.

D9. Il poliambulatorio ha debiti anche verso la ASL o verso pazienti (es. rimborsi dovuti): come si trattano nel concordato?
R: Debiti verso enti pubblici (ASL) o verso utenti vanno anch’essi iscritti come crediti concorsuali. Se sono debiti assistiti da privilegio (ipoteticamente potrebbe esservi un privilegio per crediti di certe specie, ma di solito no, i rimborsi a pazienti sarebbero chirografari comuni), saranno trattati come tali. Se, ad esempio, il poliambulatorio deve rimborsare prestazioni non eseguite a pazienti (a seguito di cause magari), quei pazienti sono creditori chirografari e riceveranno la stessa percentuale offerta agli altri chirografari in concordato. Debiti verso la ASL – spesso i rapporti poliambulatorio-ASL sono crediti, non debiti, poiché la ASL paga le convenzioni. Ma se per caso c’è un debito (es. contributi a spese non giustificate), sarà un credito di un ente pubblico, quindi teoricamente falcidiabile come un qualsiasi debito, fermo restando il principio di convenienza (un ente pubblico non può subire un trattamento peggiore del fallimento). In un accordo stragiudiziale, ovviamente convincere un ente pubblico a ridurre un credito è complicato (devono seguire procedure autorizzative). Spesso conviene trasformare quei debiti in qualcos’altro (transazione a definire l’importo certo e poi inclusione nel piano). Insomma, anche questi debiti rientrano nelle procedure e non hanno particolari immunità, salvo quando la legge li esenta espressamente (ad esempio, multe o sanzioni pecuniarie per reati non sono falcidiabili, ma qui non è il caso). Se il rapporto con la ASL è critico per il futuro (es. serve mantenere l’accreditamento), il debitore nel piano punterà a non deteriorarlo: potrebbe decidere di pagare la ASL integralmente se l’importo non è enorme, per favorire rapporti futuri. Le procedure lo consentono (si può pagare un chirografario al 100% se strategico, purché non crei ingiusta discriminazione rispetto agli altri – ma la legge consente trattamenti diversificati per classi purché giustificati, e qui la giustificazione sarebbe la necessità di continuità del servizio pubblico).

D10. Dopo aver utilizzato uno strumento di regolazione della crisi, cosa succede se l’impresa non rispetta gli accordi o il piano?
R: Dipende dallo strumento e dalla fase. Se il piano attestato non viene poi attuato correttamente, i creditori non avendo tutele giudiziali potranno riprendere le loro azioni (il piano attestato di per sé non impedisce ai creditori di agire se il debitore non paga secondo i nuovi accordi presi bilateralmente; farà fede ciascun accordo contrattuale che conterrà magari clausole di risoluzione in caso di inadempimento). Se un accordo di ristrutturazione omologato non viene eseguito, i creditori possono chiederne la risoluzione in tribunale e a quel punto si potrebbe aprire la liquidazione giudiziale. Tuttavia, la risoluzione non è automatica: serve un grave inadempimento. L’art. 64-ter CCII disciplina la risoluzione dell’accordo omologato su istanza dei creditori in caso di inadempimento rilevante. Una volta risolto l’accordo, i creditori riacquistano i loro diritti per intero (dedotto quanto eventualmente incassato). Anche qui, in caso di risoluzione, spesso l’esito è che poi un creditore chiede il fallimento e l’impresa difficilmente lo evita, salvo abbia pronte risorse per pagare i ritardatari subito. Nel concordato preventivo, la legge prevede la risoluzione del concordato se il debitore non adempie gli obblighi del piano. La risoluzione può essere dichiarata dal tribunale su ricorso dei creditori e comporta che i crediti risorgono per l’intero importo originario decurtato dei soli acconti ricevuti. Il fallimento post-concordato è anche possibile: se il debitore torna insolvente durante l’esecuzione del concordato (magari non paga le prime rate ai chirografari), i creditori possono chiederne il fallimento per fatti sopravvenuti. In pratica, il concordato offre esdebitazione solo una volta eseguito. Se si risolve prima, i crediti risorgono. Un caso particolare: se l’inadempimento riguarda la parte di continuità aziendale (ad es. il piano prevedeva il pagamento di certe somme coi flussi e questi non si realizzano), i creditori potrebbero proporre un reclamo per far revocare l’omologa. Ma la riforma ha introdotto una norma per cui la Corte d’Appello può decidere di mantenere fermo il concordato omologato se l’interesse generale lo suggerisce, a scapito del reclamo del singolo creditore. Questo per evitare che piccoli intoppi facciano saltare concordati ben avviati. Ad ogni modo, se poi l’azienda di nuovo cade in insolvenza, si andrà verso la liquidazione giudiziale, salvo soluzioni residue (non comuni, perché dopo un concordato non eseguito la fiducia è minata). Con la composizione negoziata, se dopo un accordo stragiudiziale il debitore non rispetta i patti, i creditori possono ritenere quell’accordo risolto secondo il diritto comune dei contratti e agire esecutivamente o chiedere procedure concorsuali. Dunque, fallire nel rispettare gli accordi di risanamento rimette i creditori nella facoltà di agire e spesso li rende più severi e inclini a spingere per il fallimento, perdendo fiducia nel debitore. Per questo è cruciale che i piani siano realistici e sostenibili. Meglio promettere il 40% e riuscire a pagarlo, che promettere il 100% e poi non farcela, perché il secondo scenario conduce quasi certamente al fallimento con recuperi minori e possibili azioni di responsabilità verso chi ha proposto un piano irrealistico.

Simulazioni pratiche

Vediamo ora due casi pratici ipotetici per illustrare come un poliambulatorio indebitato possa difendersi, applicando gli strumenti descritti.

Caso 1: Poliambulatorio S.r.l. in temporanea crisi di liquidità, con debiti bancari e fiscali prevalenti (continuità aziendale possibile).

  • Scenario: “Salus Medica S.r.l.” gestisce un poliambulatorio privato con 20 dipendenti. Ha debiti totali ~1,5 milioni di €, di cui 600k € con una banca (mutuo per ristrutturazione locali, garantito da ipoteca sugli immobili), 300k € di leasing attrezzature con una finanziaria, 200k € di debiti verso fornitori (apparecchiature diagnostiche, reagenti), e circa 400k € di debiti fiscali (IVA non versata e ritenute) accumulati negli ultimi 2 anni di difficoltà. L’attività però è ancora valida: fatturato annuo 2 mln €, clientela consolidata, ma i margini sono stati erosi dalla pandemia e da investimenti pesanti. La società è in crisi di liquidità, fatica a pagare fornitori e sta saltando le rate mutuo; tuttavia, con una ristrutturazione del debito e una migliore gestione dei costi, potrebbe recuperare redditività. I soci (2 medici) sono disposti a continuare e hanno anche un immobile non ipotecato che potrebbero offrire in garanzia se serve.
  • Obiettivo: evitare il fallimento e mantenere il poliambulatorio aperto, ristrutturando i debiti su un orizzonte sostenibile.
  • Azione: La società decide di attivare subito la composizione negoziata della crisi. Presenta istanza in piattaforma con i bilanci e l’elenco dei debiti. In breve tempo viene nominato un esperto indipendente. Nel frattempo chiede al tribunale le misure protettive, ottenendo il blocco di azioni esecutive (la banca aveva preannunciato di volere escutere l’ipoteca, ora non può temporaneamente). Sotto la guida dell’esperto, la S.r.l. convoca la banca ipotecaria, la società di leasing, e il maggiore fornitore per avviare un confronto. Si prepara un piano ipotetico: i soci propongono di allungare il mutuo residuo di 5 anni e ridurre il tasso dal 5% al 3%; sulla parte leasing chiedono una moratoria di 12 mesi e poi ripresa pagamenti; offrono ai fornitori un pagamento del 70% del dovuto in 12 mesi (30% sarebbe stralciato); per il Fisco, intendono aderire alla definizione agevolata in corso, tagliando sanzioni e interessi, e dilazionare il resto in 5 anni. I soci inoltre offrono alla banca una garanzia ipotecaria aggiuntiva sul loro immobile personale, come conforto per l’allungamento. L’esperto aiuta a calibrare queste proposte, magari suggerendo di migliorare l’offerta ai fornitori (es. 80% in 6 mesi) se vede che sono restii. Dopo trattative intense, le parti raggiungono un accordo quadro: la banca accetta di rifinanziare il mutuo su 10 anni (allungando quindi, ciò riduce la rata del 40%) con garanzia ipotecaria seconda sul nuovo immobile dei soci; la finanziaria del leasing concorda di spostare le rate degli ultimi 2 anni in coda al piano e rinunciare a interessi di mora; 5 fornitori principali (che sommano 150k su 200k) accettano un pagamento all’80% entro 6 mesi. La società ottiene anche dalla Agenzia Entrate-Riscossione l’accesso alla rateizzazione straordinaria 120 rate per i 400k fiscali (grazie anche al fatto di trovarsi in composizione negoziata, la temporanea difficoltà è riconosciuta). I soci versano 50k € di liquidità propria per pagare subito i fornitori più piccoli (il 20% che rimane fuori accordo, così da evitare loro azioni). Formalizzano il tutto in un contratto di ristrutturazione sottoscritto da banca, lessor e fornitori (assistito dall’esperto). A questo punto l’esperto redige relazione finale positiva e la composizione negoziata si chiude con esito favorevole: si è raggiunto un accordo stragiudiziale. Non serve passare dal tribunale se tutti rispettano i patti. Nei mesi seguenti, “Salus Medica” riprende fiato: con le nuove condizioni, l’esborso mensile per debiti si riduce del 50%, l’IVA corrente viene versata regolarmente (perché i vecchi debiti sono stati diluiti con la rottamazione e non pesano più). Dopo un anno, il poliambulatorio torna in utile. I creditori che hanno aderito sono soddisfatti perché evitano perdite maggiori (la banca ad esempio in fallimento avrebbe forse recuperato meno e dopo anni; così invece mantiene un rapporto profittevole seppur a tasso ridotto e con migliori garanzie). Questo caso dimostra come una composizione negoziata ben gestita può risolvere la crisi senza procedure concorsuali formali, preservando l’attività e pagando i creditori in misura elevata (nessuno è stato stralciato integralmente, tutti recuperano almeno 70-80% e in tempi certi).
  • Alternativa: se le trattative fossero state più difficili (ad es. la banca non accetta senza omologa), l’azienda era pronta a convertire il percorso in un accordo di ristrutturazione omologato coinvolgendo 60% crediti finanziari, oppure in un concordato preventivo in continuità offrendo formalmente ai chirografari (fornitori) l’80% in 2 anni e a banca/leasing il pagamento integrale in 10 anni. Dati i numeri, avrebbe probabilmente raccolto il voto favorevole dei fornitori (che avrebbero percepito convenienza) e avrebbe potuto ottenere l’omologa anche senza l’adesione dell’Erario, poiché pagava IVA al 100% ma dilazionato (cosa ammissibile) e il tribunale avrebbe potuto non considerare ostativo il parere contrario dell’AdE visto che comunque riceveva pieno capitale.

Caso 2: Poliambulatorio S.n.c. in grave insolvenza, attività non più sostenibile (chiusura inevitabile).

  • Scenario: “Medica San Giorgio S.n.c.” gestiva un poliambulatorio di piccole dimensioni, con 5 soci (tutti medici) e 10 dipendenti. A causa di una serie di investimenti errati (apertura di una sede secondaria andata male) e del calo di clientela per concorrenza, l’azienda ha accumulato debiti per 1,2 milioni €, ma i ricavi annuali sono crollati a 300k €. I debiti includono: 200k € con fornitori vari (molti piccoli, ormai in contenzioso), 300k € di scoperto di conto e prestiti bancari (senza garanzie reali, ma garantiti dai soci personalmente), 250k € di affitti arretrati al proprietario dell’immobile, 150k € di debiti verso dipendenti (TFR e ultime mensilità) e 300k € di debiti fiscali/previdenziali (IVA, INPS) mai versati negli ultimi 3 anni. L’impresa è palese insolvente: casse vuote, macchinari obsoleti, i medici soci hanno anche ridotto l’attività. Sostanzialmente l’attività è ferma e difficilmente recuperabile (la clientela è migrata altrove, servirebbero investimenti per ripartire, ma i soci non hanno fondi).
  • Obiettivo: gestire la chiusura in modo ordinato, limitando la responsabilità personale dei soci e cercando di evitare la liquidazione giudiziale “tradizionale” (che comporterebbe forse anche indagini penali per contributi non versati).
  • Azione: I soci, assistiti da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), decidono di utilizzare la procedura di sovraindebitamento. Essendo una SNC, quindi imprenditore collettivo, se le soglie fossero superate sarebbe fallibile; ma ipotizziamo che i parametri dimensionali la collochino tra le piccole (ad es. attivo sotto 300k, ricavi sotto 200k – dato il fatturato di 300k, sforerebbe uno dei 3 parametri e quindi potrebbe essere fallibile; supponiamo però che per peculiarità normative puntino al concordato minore comunque). Valutano due opzioni: un concordato minore o la liquidazione controllata. Poiché non c’è prospettiva di continuare l’attività né di pagare percentuali significative (i beni sociali consistono in arredi e macchinari per un valore di 100k € circa), la strada realistica è la liquidazione controllata del patrimonio dei soci e della società. Tuttavia, per rendere più rapida la chiusura e dare ai creditori qualcosa in più, i soci si avvalgono di una peculiarità: il concordato semplificato per liquidazione post-composizione negoziata. Precisamente, avviano una composizione negoziata (anche se sanno che un risanamento è improbabile) perché confidano di poter utilizzare poi il concordato semplificato. L’esperto nominato rapidamente constata che non c’è prospettiva di risanamento (lo dichiarerà nella relazione finale). Trascorsi 3 mesi senza accordo (i creditori chiamati – affittante, banca, Erario – non vedono margine e l’esperto prende atto dell’insuccesso), l’esperto redige relazione conclusiva attestante l’assenza di soluzione consensuale ma correttezza delle trattative. A questo punto, la S.n.c. propone al tribunale un concordato semplificato: offre di liquidare tutti i beni sociali (i macchinari stimati 100k e crediti residui 50k) e anche i soci si impegnano a versare, dai beni personali, un importo di 50k € (frutto della vendita di un’auto e piccoli risparmi) da destinare ai creditori chirografari. In totale, la massa ricavabile si stima 200k €. Questa somma, dedotte le spese, porterebbe un recupero del ~15% ai chirografari. Il tribunale valuta la proposta: la compara con l’alternativa fallimento. In fallimento, i creditori privilegiati (dipendenti, Erario) avrebbero preso tutto il ricavato e i chirografari zero. Nel concordato semplificato, invece, i dipendenti e l’INPS/INAIL vengono soddisfatti prioritariamente coi 150k di beni (quasi integralmente per i loro crediti privilegiati), e restano circa 50k per i chirografari (ergo 10-15% di soddisfo per essi, mentre in fallimento probabilmente nulla). Il tribunale inoltre considera che c’è il beneficio dei 50k messi dai soci: quei soldi in un fallimento non sarebbero disponibili (i soci li mettono solo perché c’è l’accordo semplificato). Quindi la proposta appare più conveniente del fallimento per i creditori nel complesso. Nessun creditore può votare (è semplificato), ma alcuni fanno opposizione lamentando bassa percentuale; tuttavia, il giudice respinge le opposizioni spiegando che comunque meglio di niente, e omologa il concordato semplificato. Si procede a liquidare i beni tramite un liquidatore nominato (di solito lo stesso esperto può essere nominato liquidatore per continuità). Nel giro di pochi mesi, i macchinari sono venduti (per 90k effettivi), i soci consegnano i 50k promessi, e si ripartisce: dipendenti prendono 100% stipendi e TFR (anche grazie all’intervento del Fondo di garanzia INPS per anticipo TFR, poi surrogatosi per parte), il Fisco e l’INPS prendono circa il 20% del loro credito (meglio di zero), i fornitori e la banca chirografaria prendono appunto il 10-15%. Alla fine della procedura, la S.n.c. viene cancellata. I soci, avendo cooperato, possono chiedere l’esdebitazione per liberarsi dei debiti personali residui (qualora qualche creditore potesse ancora perseguirli, ma l’obiettivo era chiudere tutto nel concordato; resterebbero in teoria i debiti personali per la parte non pagata – su questo punto, nel concordato semplificato è plausibile si applichi per analogia una esdebitazione dei soci illimitati, ma per sicurezza i soci potrebbero fare istanza di liquidazione controllata personale per i debiti residui).
  • Risultato: Il poliambulatorio ha chiuso, i creditori hanno avuto almeno un piccolo recupero in tempi brevi. I soci hanno sacrificato una parte dei loro beni ma evitato di restare esposti a inseguimenti perpetui: con quell’apporto aggiuntivo hanno comprato la pace con i creditori nella procedura concorsuale. Inoltre, hanno ridotto il rischio penale: avendo pagato i dipendenti e in parte il Fisco, è meno probabile che vengano perseguiti (per l’IVA rimasta impagata, potrebbero comunque rispondere per omesso versamento se superava soglia, ma dimostrare di aver fatto il possibile e aver versato il versabile potrebbe essere una circostanza attenuante). Hanno anche evitato il marchio di falliti e tutta la lungaggine di un fallimento con curatore. Certo, hanno perso l’azienda, ma questa era comunque decotta. Ora, liberi dai debiti, potranno – magari fra qualche anno – aprire, se vorranno, una nuova attività (la legge prevede che entro 5 anni dal concordato liquidatorio non si possa intraprendere una nuova iniziativa senza indicare la qualità di ex concordato; ma trascorso il tempo, e avendo ottenuto esdebitazione, la vita economica dei soci può riprendere).

Questa simulazione mostra come anche in situazioni molto compromesse c’è spazio per difendersi dignitosamente: il concordato semplificato ha permesso di non lasciare macerie ai creditori e di evitare una procedura pluriennale. In mancanza, sarebbe successo che un creditore (es. il locatore arrabbiato) chiedeva il fallimento; i pochi beni sarebbero stati dispersi e magari i dipendenti pure avrebbero atteso anni il Fondo di Garanzia. Così invece tutto si è risolto in un anno circa.

Conclusioni

La gestione di un poliambulatorio indebitato per oltre un milione di euro richiede tempestività, competenza e uso strategico degli strumenti giuridici disponibili. Come abbiamo visto, l’ordinamento italiano – specialmente dopo le recenti riforme – offre un ventaglio di opzioni per difendere l’impresa debitrice: si va dalle soluzioni negoziali e confidenziali (piani attestati, composizione assistita) fino alle procedure concorsuali classiche (concordato, liquidazione), con nuove formule intermedie (accordi ad efficacia estesa, concordati semplificati) che mirano a contemperare le esigenze dei creditori con la salvaguardia della continuità aziendale ove possibile.

Dal punto di vista del debitore, “difendersi” non significa eludere i propri obblighi, bensì gestire la crisi attivamente per trovare un esito il meno penalizzante possibile sia per sé che per i creditori. Il filo conduttore è la buona fede e trasparenza: i tribunali e i creditori premiano l’imprenditore che riconosce le difficoltà, evita condotte scorrette e si adopera per una soluzione equa (anche a costo di sacrifici personali). Al contrario, chi prova a nascondere la polvere sotto il tappeto o a scappare dalle responsabilità finisce per aggravare la propria posizione e subire interventi ben più drastici (basti pensare alle conseguenze di una bancarotta fraudolenta rispetto a quelle di un concordato andato male ma tentato correttamente).

Un poliambulatorio svolge spesso un ruolo sociale importante sul territorio, e questo è un elemento che il debitore può valorizzare nelle trattative: mantenere aperta la struttura può convenire non solo a lui, ma anche ai creditori stessi (che magari evitano il collasso dell’intero credito) e alla collettività (continuità delle cure ai pazienti). Lo spirito delle norme attuali va in questa direzione: privilegiare, quando possibile, le soluzioni idonee a superare la crisi e proseguire l’attività, rispetto alla mera liquidazione. Ciò è evidente, ad esempio, nella possibilità di omologare concordati in continuità anche senza il voto favorevole del fisco o di classi dissenzienti se il piano è nel complesso vantaggioso.

In conclusione, la difesa di un poliambulatorio fortemente indebitato si articola in alcuni passi chiave:

  1. Analisi approfondita della situazione debitoria (tipi di debito, cause della crisi, eventuali margini di recupero di redditività).
  2. Scelta tempestiva dello strumento adeguato: se la crisi è gestibile e l’attività merita di essere salvata, puntare su composizione negoziata o accordi/concordato in continuità; se invece non v’è speranza, predisporre comunque una chiusura ordinata (concordato liquidatorio, accordi transattivi) per minimizzare le perdite e consentire una ripartenza “pulita” ai soci.
  3. Coinvolgimento di professionisti esperti (advisor finanziari, legali, attestatori, OCC): ormai è un campo ultra-specialistico, e muoversi da soli espone a errori. I costi di consulenza in questi casi sono un investimento necessario, spesso peraltro recuperabile all’interno del piano.
  4. Negoziazione serrata con i creditori principali: capire le loro esigenze, presentare piani credibili, magari offrire garanzie aggiuntive o impegni di performance. Costruire consenso intorno alla soluzione proposta.
  5. Uso intelligente della legge: ad esempio sfruttare le definizioni agevolate di legge per i debiti fiscali, sfruttare i termini di legge per bloccare azioni esecutive mentre si formalizza un piano, ecc.
  6. Impegno dei soci/imprenditori: i creditori accettano più volentieri dei sacrifici se vedono che anche l’imprenditore sta sacrificando qualcosa (capitali propri, beni personali, ecc.) per risolvere la crisi. Ciò crea fiducia e senso di equità.
  7. Rigorosa esecuzione degli accordi: una volta ottenuta una seconda chance (tramite concordato, accordo o altro), il debitore deve rispettare scrupolosamente gli impegni presi. Tradire un accordo ristrutturativo quasi sempre porta a conseguenze peggiori (risoluzione, fallimento, perdita di credibilità). Quindi serve anche un monitoraggio e un controllo di gestione efficace post-risanamento, per non ricadere negli errori.

Affrontare un indebitamento milionario è certamente difficile, ma come abbiamo mostrato con normative e casi, non è una condanna senza appello. Ci sono strumenti per “difendersi” legalmente e arrivare a soluzioni sostenibili. Il legislatore italiano, anche sotto la spinta europea, ha fornito un arsenale di tecniche di crisi che ben utilizzate possono trasformare una situazione disperata in un caso di turnaround di successo (quando l’attività ha ancora valore), oppure in una liquidazione ordinata e dignitosa (quando purtroppo bisogna chiudere).

L’importante, per il debitore, è non isolarsi e non restare passivo: al primo segnale di allarme conviene farsi assistere e valutare le mosse, perché il fattore tempo è spesso decisivo. Un poliambulatorio è fatto di persone (medici, personale, pazienti): difenderlo significa difendere non solo un bilancio, ma anche la continuità di cure e di professionalità. Il diritto gli fornisce gli scudi e le leve necessari – sta all’imprenditore saperli impugnare con consapevolezza e responsabilità.

Fonti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (recepimento Dir. UE 2019/1023) e dal D.Lgs. 28 settembre 2023 n. 136 (terzo correttivo 2024).
  • Relazione illustrativa al D.Lgs. 83/2022 – Temi Camera (Camera dei Deputati), con riepilogo delle principali novità: composizione negoziata, piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, concordato (classi, cram-down Erario), concordato minore, liquidazione controllata, ecc.
  • Unioncamere – Osservatorio sulla Composizione Negoziata, V edizione (maggio 2024): dati statistici sulle istanze presentate (1450 fino a maggio 2024), tasso di successo (21% medio nel 2023), distribuzione geografica e tipologie di esito delle procedur
  • Giurisprudenza di Cassazione:
    • Cass., sez. I, 14 ottobre 2022 n. 30284 – Criteri di accertamento dello stato di insolvenza: conferma che l’insolvenza ai fini della dichiarazione di fallimento va valutata globalmente, tenendo conto di inadempimenti e incapacità strutturale di adempiere, non solo di squilibri patrimoniali momentanei.
    • Cass., sez. I, 10 ottobre 2022 n. 29472 – Requisiti di fallibilità, soglia indebitamento €500.000: ribadisce la necessità di verificare l’indebitamento complessivo ≥ €500k come condizione per la fallibilità dell’imprenditore commerciale non piccolo.
    • Cass., sez. I, 28 marzo 2023 n. 4545 – Trasformazione societaria elusiva e fallimento: ha stabilito che la trasformazione di una s.r.l. in una comunione d’azienda non impedisce la dichiarazione di fallimento della società originaria, se l’insolvenza era preesistente e l’operazione è meramente elusiva.
    • Cass., sez. I, 27 dicembre 2023 nn. 35954 e 35955 – Fallimento società di persone ed effetti sui soci illimitati: confermano che la domanda di insinuazione al passivo interrompe prescrizione anche verso i soci illimitati e che la dichiarazione di fallimento della società estende automaticamente il fallimento ai soci illimitatamente responsabili, senza necessità di istanza separata.
    • Cass., SS.UU., 5 dicembre 2023 n. 33944 – Ammissione al passivo, novità: sulle modalità di accertamento dei crediti nel fallimento (fonte: Piselli & Partners) – indica sviluppi su criteri ammissione crediti fiscali al passivo (massima inedita).
  • Normativa fiscale di sostegno:
    • Art. 88 comma 4-ter TUIR – Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti non tassabili se il piano di risanamento è pubblicato nel registro imprese.
    • D.L. 34/2020 conv. L.77/2020 art. 9Rottamazione-quater 2023 (Legge bilancio 2023 n.197/2022) permettendo definizione debiti fiscali 2000-2015 con stralcio interessi/sanzioni.
    • D.L. 13/2023 – Misure urgenti PNRR: ampliamento piani di rateazione fino a 120 rate per debitori in temporanea difficoltà.

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