La tua farmacia rischia il fallimento e la situazione finanziaria è ormai critica?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da banche, fornitori, finanziarie o enti pubblici e temi di perdere l’attività costruita in anni di lavoro? In questi casi è fondamentale conoscere i tuoi diritti, capire come difenderti legalmente e utilizzare gli strumenti che la legge mette a disposizione per salvaguardare il patrimonio, la licenza e la continuità del servizio.
Quando una farmacia può avvicinarsi al fallimento
– Quando ha contratto mutui, prestiti o leasing per ristrutturazioni, ampliamenti o acquisti di arredi e attrezzature e non riesce più a pagare le rate
– Quando ha arretrati fiscali o contributivi verso Agenzia delle Entrate, INPS o altri enti
– Quando ha debiti verso fornitori di farmaci, parafarmaci e servizi essenziali
– Quando un calo di fatturato dovuto a concorrenza, riduzione della spesa pubblica o perdita di clientela ha compromesso la liquidità
– Quando aumenti di costi, spese impreviste o contenziosi legali hanno aggravato il bilancio
Cosa può accadere a una farmacia in crisi grave
– Pignoramento dei conti correnti aziendali, con blocco della gestione ordinaria
– Pignoramento presso terzi dei crediti verso ASL, enti o assicurazioni
– Iscrizione di ipoteche sugli immobili della farmacia
– Revoca di affidamenti bancari e impossibilità di accedere a nuova liquidità
– Perdita di fornitori e difficoltà di approvvigionamento di prodotti essenziali
– Nei casi più gravi, avvio della procedura di fallimento con perdita della titolarità
Cosa può fare una farmacia per difendersi dal fallimento
– Far verificare da un avvocato la legittimità e l’esigibilità dei debiti, individuando eventuali posizioni prescritte o contestabili
– Per i debiti fiscali e contributivi, attivare rateizzazioni, rottamazioni o saldo e stralcio
– Valutare l’accesso a una procedura di composizione negoziata della crisi o concordato preventivo per ristrutturare i debiti e continuare l’attività
– Negoziare con banche e fornitori piani di rientro sostenibili per evitare blocchi operativi
– Adottare strumenti legittimi per proteggere la licenza, il patrimonio e le attrezzature
– Bloccare o sospendere azioni esecutive quando vi siano i presupposti di legge
Cosa può ottenere una farmacia con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione significativa del debito complessivo attraverso accordi o procedure concorsuali
– La tutela della licenza e degli immobili
– La possibilità di mantenere la continuità operativa evitando la dichiarazione di fallimento
– Il recupero della stabilità economica e gestionale
– La salvaguardia dei posti di lavoro e della reputazione professionale
Attenzione: anche una farmacia con un buon fatturato può essere vulnerabile a una crisi finanziaria grave. Tuttavia, esistono strumenti legali e strategie di difesa che possono permettere di salvare l’attività, tutelare il patrimonio e mantenere il servizio ai cittadini. Agire tempestivamente è fondamentale per evitare che la situazione diventi irreversibile.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, tutela delle attività commerciali e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se la tua farmacia rischia il fallimento, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.
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Introduzione
Il fallimento di un’azienda farmacia – oggi definito liquidazione giudiziale nel nuovo Codice della crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019) – rappresenta un evento traumatico sia per il titolare/imprenditore sia per la comunità servita. In caso di insolvenza grave, anche una farmacia privata può essere dichiarata fallita dal Tribunale, nonostante il ruolo di servizio pubblico essenziale. Il farmacista imprenditore spesso si percepisce più come professionista sanitario che come imprenditore commerciale, ritrovandosi impreparato di fronte alle regole rigide del diritto fallimentare. Le conseguenze del fallimento sono invasive: il titolare perde la gestione dell’azienda e la capacità di agire in ambito patrimoniale, subisce la spossessamento dei beni presenti e futuri per soddisfare i creditori, e – fatto ancor più drammatico per un farmacista – rischia di incorrere nella decadenza dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia, con la chiusura forzata dell’esercizio.
Negli ultimi anni il settore farmaceutico ha conosciuto un aumento delle situazioni di crisi e insolvenza. Tribunali come quello di Milano hanno registrato un numero crescente di fallimenti di farmacie, segno di difficoltà economico-finanziarie diffuse nel comparto. La crisi può derivare da vari fattori: calo dei margini, oneri finanziari elevati (es. debiti con grossisti e banche), gestione non sufficientemente “imprenditoriale” delle scorte e dei costi, o eventi straordinari (come pandemie) che hanno alterato le dinamiche di mercato. Di fronte a queste criticità, è essenziale conoscere gli strumenti giuridici per prevenire il fallimento e tutelare il valore dell’azienda farmacia.
Questa guida, aggiornata a luglio 2025, fornirà un quadro normativo avanzato in materia di crisi e insolvenza delle farmacie in Italia, con un taglio pratico rivolto sia a professionisti legali sia a farmacisti titolari e imprenditori. Verranno analizzati i presupposti del fallimento di una farmacia, le ultime novità normative (dal Codice della Crisi d’Impresa e riforme 2022–2024), nonché le strategie difensive che il debitore può adottare prima e durante la fase prefallimentare per proteggere la propria attività. Un focus specifico sarà dedicato alle farmacie gestite in forma societaria (S.n.c., S.a.s., S.r.l.) e alle peculiarità della procedura concorsuale in tali casi. Si tratteranno inoltre gli strumenti di composizione negoziata della crisi introdotti di recente per favorire il risanamento e la continuità aziendale, evitando l’accesso al fallimento.
La guida è organizzata in sezioni tematiche, arricchite da tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Tutti i riferimenti normativi (codici, leggi) e giurisprudenziali (sentenze) saranno citati nel testo e raccolti in fondo nella sezione Fonti e riferimenti, così da offrire un approfondimento autorevole e aggiornato. L’obiettivo è fornire al debitore-farmacista una conoscenza approfondita ma comprensibile degli strumenti di tutela del patrimonio e dell’impresa, adottando un linguaggio giuridico preciso ma anche divulgativo. Agire tempestivamente e informarsi sulle opzioni disponibili può fare la differenza tra la perdita definitiva della propria farmacia e una gestione protetta e ordinata della crisi, che ne preservi il valore e la funzione sociale.
La farmacia come impresa: fallibilità e normativa applicabile
Una farmacia privata rientra a pieno titolo tra le attività d’impresa di carattere commerciale. Essa infatti coniuga la professione intellettuale del farmacista con l’attività imprenditoriale di vendita di prodotti (medicinali e altri articoli al pubblico). Pertanto, salvo eccezioni particolari, il titolare di una farmacia – sia esso un imprenditore individuale o una società – può essere assoggettato a fallimento in caso di insolvenza. La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 11292/2021) ha chiarito autorevolmente che “l’imprenditore che svolga, in forma individuale o societaria, l’attività di farmacia privata […] può essere sottoposto alle procedure fallimentari in caso di insolvenza”. Il fatto che la farmacia svolga un pubblico servizio sanitario convenzionato col SSN non esclude l’applicabilità della legge fallimentare, ma impone semmai di tenere conto di regole speciali per garantire la continuità del servizio al pubblico durante la procedura (come previsto dalle norme di riordino del settore farmaceutico, es. legge n. 362/1991). In altre parole, il fallimento di una farmacia segue le stesse regole generali delle altre imprese commerciali, pur con alcuni accorgimenti per salvaguardare l’assistenza farmaceutica alla cittadinanza.
Normativa di riferimento: in Italia la materia era tradizionalmente disciplinata dal R.D. 267/1942 (vecchia “Legge Fallimentare”). Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 e successivamente modificato dai decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024). Il CCII ha sostituito il termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale”, ma la sostanza della procedura rimane analoga. Ai fini di questa guida useremo talvolta il termine tradizionale fallimento per facilità espositiva, intendendo comunque la liquidazione giudiziale disciplinata dal nuovo Codice (salvo riferimenti a norme previgenti ancora rilevanti per le vicende in esame). Importante è anche il Testo Unico delle Leggi Sanitarie (T.U.L.S.) – R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 – che all’art. 113 contiene disposizioni speciali sulla decadenza delle autorizzazioni delle farmacie in caso di fallimento, di cui diremo a breve.
Soglie di fallibilità: non tutte le imprese commerciali insolventi possono essere dichiarate fallite. La legge prevede requisiti dimensionali minimi (soglie di fallibilità) per escludere i piccoli imprenditori. In base all’art. 1 della vecchia Legge Fallimentare (ora art. 2, co.1, lett. d) CCII), sono esonerati dal fallimento gli imprenditori che, nei tre esercizi antecedenti la data di ricorso, abbiano rispettato congiuntamente questi parametri: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000 e debiti totali ≤ €500.000. Chi resta al di sotto di tali soglie dimensionali è considerato piccolo imprenditore non fallibile. Il relativo onere della prova spetta al debitore: se vuole evitare il fallimento, deve sollevare in sede prefallimentare l’eccezione di non assoggettabilità e dimostrare con i bilanci e le scritture contabili di non aver superato i limiti nei periodi considerati. Ad esempio, una farmacia di piccole dimensioni che non abbia mai avuto ricavi oltre 200.000 € annui e debiti sopra 500.000 € potrebbe sottrarsi alla procedura fallimentare ordinaria, pur restando eventualmente soggetta ad altre procedure (come il concordato minore o la liquidazione controllata previste per la crisi dei soggetti sotto-soglia, di cui diremo più avanti). Nella pratica, però, molte farmacie anche medio-piccole superano almeno uno di questi parametri – basti pensare al volume di ricavi annui di una farmacia urbana – rendendole fallibili a tutti gli effetti.
Stato di insolvenza: condizione oggettiva imprescindibile perché si apra il fallimento è il riscontro dello stato di insolvenza del debitore, definito tradizionalmente come l’incapacità non transitoria di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (debiti) con le risorse finanziarie disponibili. L’insolvenza si manifesta tipicamente con inadempimenti o altri fatti esteriori: protesti per assegni/vaglia non pagati, decreti ingiuntivi non opposti, pignoramenti avviati, accumulo di debiti scaduti verso fornitori e dipendenti, ecc.. Una farmacia insolvente, ad esempio, potrebbe presentare scaffali vuoti per mancata fornitura (perché il grossista ha bloccato le consegne), ritardi nel pagamento degli stipendi dei farmacisti collaboratori, insoluti bancari o cartelle esattoriali impagate. È importante distinguere lo stato di insolvenza da una crisi temporanea di liquidità: quest’ultima è passeggera e può essere risolta con interventi mirati (rifinanziamento, riorganizzazione), mentre l’insolvenza è una condizione strutturale di incapienza patrimoniale. Solo l’insolvenza conclamata giustifica l’avvio di una procedura concorsuale come il fallimento. Il momento esatto in cui l’insolvenza “scatta” può essere oggetto di valutazione da parte del Tribunale, anche in contraddittorio con il debitore che potrebbe sostenere di trovarsi invece in semplice difficoltà finanziaria reversibile. Nel dubbio, la legge tende a favorire soluzioni conservative: la liquidazione giudiziale deve costituire l’ultima ratio, quando non vi siano alternative attivate per il risanamento.
Conclusione sulla fallibilità delle farmacie: in sintesi, una farmacia privata può essere dichiarata fallita qualora: (a) eserciti un’attività commerciale (condizione sempre vera per la vendita di prodotti in farmacia privata, esclusi ovviamente i servizi farmaceutici pubblici gestiti direttamente da enti pubblici); (b) non rientri tra i piccoli imprenditori sotto le soglie di legge; e (c) versi in uno stato di insolvenza attuale. La competenza a dichiarare il fallimento è del Tribunale ordinario, sezione fallimentare, non del giudice amministrativo (quest’ultimo potrà semmai occuparsi dei provvedimenti amministrativi sulla titolarità della farmacia, ma il giudizio sulla solvibilità resta autonomo e in capo al giudice ordinario). Questa autonomia di giurisdizione significa ad esempio che un farmacista non può contestare il fallimento sostenendo che sarebbe materia “amministrativa” per via della concessione/autorizzazione: la Cassazione ha escluso tale eccezione di difetto di giurisdizione, confermando la legittimità dell’operato del tribunale fallimentare. In parallelo, però, esistono norme amministrative che regolano il destino della licenza farmaceutica in caso di dissesto: di queste ci occupiamo nella sezione seguente, data la loro importanza pratica.
Decadenza dell’autorizzazione e continuazione del servizio farmaceutico
Uno degli aspetti più critici del fallimento di una farmacia è la sorte della autorizzazione amministrativa all’esercizio (la “licenza”) rilasciata dall’autorità sanitaria competente. Il timore del farmacista è che il fallimento comporti automaticamente la perdita definitiva della titolarità della farmacia. Occorre distinguere diversi casi, in base alla forma giuridica con cui è esercitata l’attività:
- Farmacia esercitata da società (es. S.n.c., S.a.s., S.r.l.): in questi casi la titolare dell’autorizzazione è la società stessa (persona giuridica). Se la società viene dichiarata fallita, la normativa non prevede un’automatica decadenza immediata della licenza. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il fallimento della società di per sé non costituisce motivo istantaneo di revoca, a patto che vi sia l’intento di proseguire provvisoriamente l’attività attraverso la curatela. Ad esempio, il T.A.R. Lazio ha ritenuto illegittimo un provvedimento comunale di decadenza dell’autorizzazione disposto senza prima consentire al curatore fallimentare di presentare deduzioni e senza valutare la possibilità di continuare il servizio. In altre pronunce (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, n. 24/2013; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, n. 10435/2003) si è affermato che, salvo casi urgenti, il Comune deve contestare preventivamente al titolare le violazioni (es. chiusura prolungata) e assegnare un termine per dedurre, prima di dichiarare la decadenza. Il principio che si ricava è che la Pubblica Amministrazione deve consentire la partecipazione della curatela e verificare se sia possibile mantenere provvisoriamente aperta la farmacia, nell’interesse pubblico, invece di far decadere subito la concessione.
- Farmacia esercitata da imprenditore individuale (farmacista titolare): in questo caso l’autorizzazione è intestata alla persona fisica del farmacista. La situazione è più delicata: il T.U.L.S. all’art. 113, lett. a) stabilisce che la decadenza dall’autorizzazione si verifica “per la dichiarazione di fallimento dell’autorizzato, non seguita, entro quindici mesi, da sentenza di omologazione di concordato…”. Ciò significa che, se il farmacista titolare viene dichiarato fallito, egli ha un termine di 15 mesi per ottenere l’omologazione di un concordato (nella pratica, può trattarsi di un concordato fallimentare, ossia un accordo con i creditori all’interno della procedura di fallimento). Se entro 15 mesi dal fallimento non interviene una soluzione concordataria omologata e divenuta definitiva, scatta la decadenza della licenza. Questa norma, retaggio del 1934, mirava a bilanciare l’interesse pubblico al funzionamento continuativo della farmacia con la necessità di affidarla a un soggetto solvibile: in sostanza dà al farmacista fallito una finestra di tempo per “salvare” la farmacia attraverso un accordo con i creditori, dopodiché la concessione viene revocata. Da notare che la decadenza è formalmente dichiarata dal Prefetto (oggi le funzioni sono spesso delegate alle Regioni o alle ASL competenti, a seconda degli ordinamenti locali), sentito il Consiglio sanitario competente.
In caso di fallimento di una società titolare di farmacia, invece, come detto non opera l’automatismo della lettera a) di art. 113 T.U.L.S. (che testualmente parla di “fallimento dell’autorizzato” – termine riferito tipicamente alla persona fisica titolare). La prassi, suffragata dai giudici amministrativi, è la seguente: quando una società di persone o di capitali che gestisce una farmacia fallisce, il curatore fallimentare può chiedere al Giudice Delegato l’autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’azienda farmacia. Se il giudice fallimentare lo autorizza (riconoscendo che vi è interesse a mantenere in attività la farmacia per preservarne il valore e garantire il servizio pubblico), il curatore dovrà però necessariamente nominare un direttore responsabile iscritto all’albo (farmacista abilitato) che gestisca professionalmente l’esercizio al posto del titolare fallito. Questa nomina, in base al T.U.L.S., dev’essere approvata dal Prefetto (oggi ASL/Regione). In pratica, la curatela può proseguire temporaneamente l’attività di vendita al pubblico tramite un farmacista incaricato, evitando la chiusura anche oltre i 15 giorni previsti dall’art. 113 lett. d) T.U.L.S. per la decadenza in caso di serrata. Le autorità sanitarie locali solitamente acconsentono a questa gestione provvisoria, perché permette di vendere l’azienda farmacia come “ente in funzionamento” (con la clientela e la licenza attiva), ottenendo migliori risultati sia per i creditori sia per il mantenimento del servizio alla popolazione. Non vi è dunque un automatismo di chiusura: il fallimento di per sé non fa cessare la farmacia se esistono le condizioni per proseguirla provvisoriamente.
Va aggiunto che in passato, prima della liberalizzazione del 2017, nelle società di persone titolari di farmacia tutti i soci dovevano essere farmacisti; oggi, dopo la Legge Concorrenza n. 124/2017, è permesso anche a soci di capitale (non farmacisti) di detenere partecipazioni, purché vi sia almeno un farmacista socio o preposto. Ciò non modifica quanto sopra: se fallisce la società, l’importante è che il curatore ponga un farmacista qualificato a dirigere l’esercizio durante la procedura.
Esempio pratico: la Farmacia X S.a.s. viene dichiarata fallita dal Tribunale. Il Sindaco/Municipio inizialmente avvia un procedimento per la decadenza della sede farmaceutica, avendo rilevato che l’esercizio è chiuso. Tuttavia il curatore fallimentare, informato, chiede subito al giudice di poter riaprire la farmacia in esercizio provvisorio. Il giudice autorizza e viene nominato come direttore il dott. Y (farmacista dipendente). A questo punto il Comune non può revocare la licenza, perché la chiusura oltre 15 giorni non è imputabile a inerzia colpevole ma è in corso la gestione autorizzata della curatela. Il Comune deve attendere l’esito: la curatela mette all’asta l’azienda farmacia e riesce a venderla entro alcuni mesi. L’acquirente (farmacista o società di farmacisti) subentra, ottenendo nuova autorizzazione a suo nome, e il Prefetto/ASL revoca la vecchia autorizzazione solo contestualmente al nuovo insediamento, senza vacanza del servizio. In questo modo: i creditori del fallimento vengono soddisfatti col ricavato della cessione; il farmacista fallito però perde definitivamente la titolarità. Se invece la curatela non fosse riuscita a vendere e la farmacia fosse rimasta chiusa a lungo, il Prefetto avrebbe dovuto dichiarare la decadenza e procedere a bandire una nuova assegnazione della sede farmaceutica.
Per la farmacia individuale, lo scenario è meno favorevole: il farmacista persona fisica, dichiarato fallito, viene spossessato dei suoi beni e non può proseguire l’attività in proprio (non ha più la libera disponibilità dell’esercizio). Egli può sperare di mantenere la titolarità solo seguendo la via indicata dal T.U.L.S.: proporre ai creditori un concordato fallimentare (ossia un accordo da omologare in tribunale) entro i 15 mesi. Ad esempio, il farmacista fallito potrebbe trovare un investitore disposto a rilevare la farmacia e pagare un certo attivo ai creditori, presentando tale proposta come concordato; se il tribunale omologa l’accordo entro 15 mesi, la licenza non decade e potrà essere volturata al nuovo proprietario senza revoca amministrativa. Se invece nulla accade entro quel termine, la decadenza è praticamente inevitabile (salvo proroghe eccezionali motivate). In ogni caso, durante quei mesi il servizio deve essere garantito: di solito il giudice delegato nomina un esercente provvisorio (spesso lo stesso curatore, affiancato da un farmacista) per tenere aperta la farmacia nel frattempo. È bene sottolineare che queste norme intendono tutelare la continuità del servizio farmaceutico: l’obiettivo non è salvare la titolarità in capo al fallito, ma assicurare che la comunità non resti priva della farmacia e che il relativo “avviamento” (clientela, utili potenziali) non venga disperso. Dal punto di vista del farmacista debitore, conoscere tali meccanismi è fondamentale: una volta falliti, il controllo sul destino della farmacia passa in gran parte nelle mani degli organi della procedura (giudice e curatore). Ecco perché è cruciale agire prima, quando si è in crisi ma non ancora in insolvenza irreversibile, per evitare di arrivare al punto in cui la propria licenza è in bilico e si rischia di perdere tutto.
Forme societarie delle farmacie e responsabilità patrimoniale dei soci
Le farmacie private possono essere gestite in diverse forme giuridiche, principalmente come impresa individuale (farmacista titolare unico), società di persone (tipicamente S.n.c. – società in nome collettivo, o S.a.s. – società in accomandita semplice) oppure società di capitali (in primis S.r.l. – società a responsabilità limitata, dopo la riforma del 2017 che ha liberalizzato il settore). La forma scelta incide profondamente sulla disciplina della crisi e sulle responsabilità in caso di fallimento. Esaminiamo le principali differenze, con particolare attenzione alla sorte dei soci e del loro patrimonio personale quando l’azienda farmacia entra in default.
Impresa individuale (ditta individuale): il farmacista titolare è l’unico imprenditore e risponde illimitatamente con tutti i suoi beni dei debiti dell’attività. In caso di fallimento individuale, il patrimonio personale e aziendale del farmacista coincidono e vengono entrambi aggrediti dalla procedura: la casa di proprietà, i conti bancari personali, ecc., salvo limitate eccezioni di legge (beni impignorabili). Dopo la chiusura del fallimento, egli può beneficiare dell’esdebitazione (discussa più avanti) ma perde la titolarità della farmacia. Il fallimento comporta per la persona fisica anche alcune incapacità personali temporanee (ad es. non può assumere cariche societarie fino a riabilitazione). Inoltre, come visto, se non raggiunge un concordato, la sua licenza viene revocata. D’altro canto, il farmacista come persona fisica può talvolta sottrarsi al fallimento invocando la non fallibilità se la farmacia è di piccole dimensioni (sotto soglia) o sostenendo di essere un “professionista” anziché imprenditore commerciale. Quest’ultimo argomento però è debole: la Cassazione SU 2021 ha espressamente escluso che il titolare di farmacia possa qualificarsi come libero professionista puro, data la prevalenza dell’aspetto commerciale. Conclusione: la ditta individuale espone il farmacista al rischio massimo: patrimonio personale e attività coincidono nei rischi. Per questo molti consulenti suggeriscono, se la situazione lo permette, di adottare forme societarie che limitino il rischio personale.
Società in nome collettivo (S.n.c.): è una società di persone in cui tutti i soci hanno responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. Ciò significa che se la S.n.c. non paga i debiti, i creditori possono legalmente escutere anche i beni personali di ciascun socio. In caso di fallimento della S.n.c., la legge fallimentare (art. 147 L.F. ora trasfuso nel CCII) prevede il fallimento esteso anche ai soci illimitatamente responsabili. Dunque i soci di una farmacia in S.n.c. vengono dichiarati falliti in proprio assieme alla società. Ad esempio, se la Farmacia ABC S.n.c. fallisce, i tre soci farmacisti X, Y e Z saranno tutti dichiarati falliti come persone fisiche, con spossessamento dei loro beni personali. Questo costituisce un doppio livello di procedura: da un lato la massa attiva della società (merce, arredi, licenza ecc.), dall’altro le masse personali dei soci. Spesso però le procedure vengono coordinate (lo stesso curatore per società e soci, ecc.). Dal punto di vista della licenza, il titolare autorizzato è la società: quindi opera quanto detto prima, ossia possibile esercizio provvisorio e vendita. Tuttavia, attenzione: se la S.n.c. è composta solo da quei soci falliti, la società potrebbe sciogliersi per venir meno di tutti i soci (art. 2272 c.c.). In pratica nei fallimenti di S.n.c. il curatore spesso trasforma la società fallita in impresa individuale ai fini della vendita, nominando uno dei soci falliti (o terzo farmacista) come direttore tecnico per proseguire l’attività fino alla cessione. In ogni caso, i soci falliti perdono la possibilità di aprire altre attività fino alla chiusura della procedura e restano con il patrimonio aggredito dai creditori. Vantaggi/Svantaggi: la S.n.c. era storicamente la forma tipica per le farmacie tra più farmacisti (fratelli, coniugi, soci professionali) prima della riforma del 2017. Offre semplicità gestionale ma non protegge il patrimonio personale. È addirittura più penalizzante del fallimento individuale perché ogni socio risponde per intero di tutti i debiti sociali, potendosi trovare a pagare debiti anche contratti dall’altro socio. Pertanto, in ottica di prevenzione dei rischi, molti stanno valutando la trasformazione di S.n.c. in S.r.l. (si veda oltre).
Società in accomandita semplice (S.a.s.): è una variante delle società di persone in cui coesistono soci accomandatari (illimitatamente responsabili e amministratori) e soci accomandanti (responsabilità limitata alla quota conferita e esclusi dall’amministrazione). In una farmacia S.a.s. tipica, il farmacista potrebbe essere socio accomandatario (necessario per la direzione tecnico-professionale) mentre investitori o familiari potrebbero essere soci accomandanti di capitale. In caso di insolvenza grave, la S.a.s. può essere dichiarata fallita; in tal caso, come per la S.n.c., tutti i soci illimitatamente responsabili (gli accomandatari) vengono dichiarati falliti personalmente, mentre i soci accomandanti no (salvo che abbiano indebitamente interferito nella gestione, perdendo il beneficio della limitazione). Ad esempio, la Farmacia Omega S.a.s. di Dr. Rossi & C. fallisce: il Dr. Rossi (accomandatario) sarà dichiarato fallito anche personalmente, mentre il socio accomandante Sig. Bianchi no – questi perderà al più il capitale investito nella società, i suoi beni personali non saranno coinvolti direttamente. Le considerazioni sulla licenza e sulla gestione provvisoria sono analoghe a quelle delle S.n.c. (in quanto la titolare è la società). Un elemento particolare delle S.a.s. è che il fallimento (o comunque l’insolvenza) del socio accomandatario produce la sua esclusione di diritto dalla società (art. 2288 c.c., applicabile per rinvio nelle S.a.s.): la società resta senza amministratore e tipicamente si scioglie. Nel caso discusso in sede di Consiglio di Stato nel 2021, ad esempio, il fallimento di una S.n.c. collegata portò all’esclusione del socio accomandatario di una S.a.s. titolare di farmacia (perché la stessa persona era socio in entrambe) creando un vuoto di rappresentanza nella farmacia S.a.s., risolto poi con la nomina di un curatore speciale per impugnare gli atti amministrativi. Questo per dire che le interconnessioni societarie possono complicare la gestione della crisi. In sintesi sulla S.a.s.: offre protezione ai soci accomandanti (investitori non farmacisti) ma non all’accomandatario farmacista, il quale rimane esposto quasi come un imprenditore individuale.
Società a responsabilità limitata (S.r.l.): dal 2017 anche soggetti diversi dai farmacisti possono detenere la maggioranza di società di capitali titolari di farmacie. La S.r.l. rappresenta una forma più evoluta e protettiva: la società ha piena soggettività giuridica e i soci rispondono delle obbligazioni sociali limitatamente al capitale sottoscritto (salvo conferimenti non eseguiti o casi di abuso della personalità giuridica, che però sono eccezioni). In caso di fallimento di una S.r.l. farmacia, non si ha il fallimento dei soci (neppure se farmacisti): i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio sociale. I beni personali dei soci sono al sicuro, tranne situazioni particolari come fideiussioni personali prestate a banche/fornitori o azioni di responsabilità per mala gestio. Infatti, se l’insolvenza è dovuta a gravi irregolarità degli amministratori, il curatore può promuovere un’azione di responsabilità per risarcimento danni contro gli amministratori stessi, andando a intaccare il loro patrimonio. Ma si tratta di ipotesi di colpa grave o dolo nella gestione (c.d. bancarotta semplice o fraudolenta in sede penale), non di responsabilità automatica solo per essere soci. Dunque, dal punto di vista del rischio patrimoniale, la S.r.l. è nettamente preferibile: se la farmacia fallisce, i soci perdono la loro partecipazione (quote) e gli eventuali finanziamenti soci, ma non rischiano la casa o i risparmi familiari per i debiti della farmacia. Naturalmente, come detto, molti soci di S.r.l. farmaceutiche sono ex titolari di S.n.c. trasformate e spesso hanno comunque firmato garanzie personali su debiti bancari o verso grossisti; quelle garanzie restano valide anche se la società fallisce, esponendo di fatto il socio garantitore. Quindi è sempre consigliabile, contestualmente alla trasformazione in S.r.l., rinegoziare o limitare le garanzie personali sui nuovi contratti. Sul piano della licenza, la S.r.l. come persona giuridica è titolare: dunque in caso di fallimento valgono le considerazioni fatte (possibile esercizio provvisorio, vendita all’asta dell’azienda). Se uno dei soci era farmacista direttore e viene meno, la società/curatore dovrà nominare un altro farmacista come direttore tecnico per la durata della procedura, ma ciò è gestibile. Dopo la vendita, la società fallita verrà liquidata e cancellata, e i soci non avranno più diritti su di essa (ma potrebbero, se del caso, far valere il diritto a un eventuale residuo attivo post pagamento creditori – evenienza rara).
Tabella – Differenze tra forme giuridiche nella crisi della farmacia:
Forma | Responsabilità debiti | Fallimento coinvolge | Sorte dell’autorizzazione |
---|---|---|---|
Ditta individuale | Illimitata (tutti i beni del titolare) | Solo il titolare (persona fisica) | Licenza intestata al titolare; decadenza se fallito > 15 mesi senza concordato. Curatore può chiedere gestione provvisoria tramite direttore. |
S.n.c. | Illimitata e solidale (per ogni socio) | Società + tutti i soci | Licenza intestata alla società; esercizio provvisorio possibile. Soci falliscono anch’essi. Necessario sostituire soci falliti nella conduzione (curatore/direttore). |
S.a.s. | Illimitata per accomandatari; limitata per accomandanti | Società + accomandatari (soci accomandanti no) | Licenza intestata alla società; simile a S.n.c.: accomandatario fallisce, curatore nomina direttore se serve. Società si scioglie se manca accomandatario, richiedendo interventi per continuità. |
S.r.l. | Limitata al capitale conferito | Solo la società (soci no) | Licenza intestata alla società; esercizio provvisorio possibile senza colpire soci. Soci non falliscono personalmente. Direttore tecnico sostituito se necessario. |
(Nota: Nelle società di persone, i soci rispondono anche dopo l’eventuale trasformazione per i debiti contratti prima della modifica di forma, salvo consenso dei creditori alla liberazione ex art. 2500-quinquies c.c. Questo significa che, ad esempio, trasformare una S.n.c. in S.r.l. limita la responsabilità per i debiti futuri, ma i creditori anteriori potrebbero comunque agire contro i soci per le obbligazioni pregresse.)
Come si evince dalla tabella, la scelta della forma giuridica incide sulle strategie di difesa. Un farmacista in difficoltà che opera come ditta individuale o S.n.c. espone l’intero suo patrimonio al rischio, mentre con una S.r.l. può confinare il dissesto all’interno dei confini societari. Trasformare la farmacia in S.r.l. è quindi una delle mosse difensive possibili (ove attuabile in bonis), perché “protegge” i beni personali da futuri default. Tuttavia va pianificata con attenzione: la trasformazione non è una panacea se l’azienda è già decotta. Anzitutto, come detto, i debiti pregressi restano a carico dei vecchi soci illimitatamente salvo accordi con i creditori. Inoltre, la legge (art. 2500-septies c.c.) prevede che per 5 anni dalla trasformazione i creditori sociali anteriori possano ancora far valere la responsabilità personale degli ex soci illimitatamente responsabili, se il patrimonio sociale risultasse insufficiente. Pertanto, la trasformazione funziona al meglio come misura preventiva: va fatta quando la farmacia è ancora solvibile o in una crisi iniziale gestibile, in modo da partire “puliti” nella S.r.l. o comunque poter pagare i debiti vecchi magari con l’apporto di nuovi soci. Se invece si attende troppo, i creditori potrebbero opporsi o comunque la trasformazione avrà efficacia limitata sui debiti esistenti.
Un altro aspetto evidenziato dalla dottrina è l’obbligo di adeguare l’assetto di governance delle società di capitali: la riforma del 2019 (come modificata dal D.Lgs. 147/2020) ha abbassato le soglie per la nomina obbligatoria di un organo di controllo o revisore nelle S.r.l. (attivo > €4 milioni, ricavi > €4 milioni, dipendenti > 20; soglie poi modificate: dal 2023 attivo/ricavi > €6 milioni). Molte farmacie S.r.l., anche di medie dimensioni, rientrano in tali parametri e quindi devono dotarsi di un collegio sindacale o revisore. Questo organo ha il compito di vigilare sulla situazione economico-finanziaria e di segnalare eventuali indizi di crisi agli amministratori (e in difetto di reazione, all’OCRI o composizione negoziata, come prevedeva la riforma). Dunque, gestire una farmacia in forma di S.r.l. comporta anche maggiori oneri di controllo, ma ciò viene visto come un aspetto positivo in ottica di prevenzione: i farmacisti imprenditori potrebbero essere “guidati” a intervenire prima che la situazione precipiti, evitando il fallimento grazie alle allerte tempestive.
In conclusione, dal punto di vista del debitore la forma societaria incide sulle sue possibilità di difesa: un socio di S.r.l. può più facilmente cercare soluzioni di ristrutturazione senza la spada di Damocle del fallimento personale; un titolare individuale o socio illimitato invece dovrà essere ancora più proattivo nel trovare rimedi, sapendo che in caso di default rischierà tutto il suo patrimonio. Nel prossimo paragrafo vedremo il funzionamento della procedura di fallimento e successivamente passeremo in rassegna gli strumenti alternativi e le strategie per scongiurarla o gestirla al meglio.
La procedura di fallimento (liquidazione giudiziale) di una farmacia
Quando un’azienda farmacia si trova in conclamata insolvenza e nessun rimedio alternativo è stato attivato, può aprirsi la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento). Vediamo sinteticamente come funziona la procedura fallimentare, dalle condizioni di ammissibilità fino agli effetti principali, con particolare attenzione al caso di una farmacia.
Iniziativa (ricorso per fallimento): il procedimento inizia con un’istanza di fallimento presentata al tribunale competente. I soggetti legittimati a richiederlo sono: (a) uno o più creditori dell’impresa (ad esempio un grossista farmaceutico non pagato, una banca mutuante, l’Agenzia delle Entrate per crediti fiscali); (b) lo stesso imprenditore debitore (autofallimento), scelta rara ma possibile quando il debitore ritiene inevitabile la propria insolvenza; (c) il Pubblico Ministero, nei casi in cui emergano notizie di insolvenza accompagnate da interessi pubblicistici (ad esempio reati fallimentari, abbandono dell’azienda, ecc.). L’istanza si deposita presso il Tribunale del luogo della sede legale dell’impresa (per una ditta individuale coincide col luogo dell’esercizio). Nel ricorso, il creditore istante deve indicare gli elementi da cui risulta l’insolvenza (importi scaduti non pagati, atti di esecuzione infruttuosi, ecc.).
Udienza prefallimentare: ricevuta l’istanza, il Tribunale (collegiale) fissa un’udienza in camera di consiglio entro poche settimane (generalmente 15-30 giorni). Il decreto di convocazione viene notificato al debitore, il quale è tenuto a comparire personalmente o tramite difensore per esporre le proprie difese. Questa udienza è il momento cruciale in cui il presunto fallito può evitare la dichiarazione convincendo il giudice che non sussistono i presupposti. Nel caso di una farmacia, il titolare o i legali rappresentanti (se società) dovranno prepararsi a dimostrare eventualmente che i debiti sono contestati o in via di soluzione, o che l’impresa è ancora risanabile (esibendo documenti contabili aggiornati, prospetti di liquidità, accordi in corso con creditori, etc.). È fondamentale non disertare l’udienza: la mancata comparizione può essere interpretata come segno di rassegnazione o disinteresse, e il tribunale potrebbe procedere comunque alla dichiarazione di fallimento. Durante l’udienza, se sono presenti più creditori (eventualmente intervenuti), il giudice ascolta tutte le parti. Può darsi il caso che il debitore, per guadagnare tempo o cercare un’alternativa, chieda un breve rinvio: il tribunale può concederlo in presenza di spiragli di soluzione (ad es. trattative avanzate con un investitore, pagamento imminente di debiti principali, ecc.), ma in genere il procedimento è rapido.
Sentenza dichiarativa di fallimento: all’esito dell’istruttoria prefallimentare, se il Tribunale accerta: (a) la qualità di imprenditore commerciale fallibile del debitore (inclusa la mancanza dei requisiti di esonero sotto-soglia) e (b) lo stato di insolvenza attuale, emette la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Questa sentenza comporta: la nomina di un Curatore fallimentare (figura terza, di regola un professionista iscritto all’albo dei curatori, spesso commercialista o avvocato esperto in fallimenti), la nomina di un Giudice Delegato alla procedura (un magistrato del tribunale fallimentare), e l’ordine di conseguenti pubblicazioni e iscrizioni (registro delle imprese, PEC ai creditori). Da quel momento il debitore perde la disponibilità e l’amministrazione dei suoi beni: l’impresa viene spossessata e affidata al curatore. Per una società, ciò significa che gli amministratori decadono dai poteri gestori (pur dovendo collaborare con gli organi della procedura) e la rappresentanza passa al curatore; per un imprenditore individuale, significa che egli non può più disporre liberamente del suo patrimonio né gestire l’azienda.
La sentenza fissa anche il termine entro cui i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo (generalmente 30 giorni prima dell’udienza di verifica dei crediti) e la data di tale udienza. Inoltre ordina al fallito di depositare entro 7 giorni i bilanci e le scritture contabili e di fornire al curatore l’elenco di creditori e debitori. La sentenza è immediatamente esecutiva ma può essere impugnata con reclamo alla Corte d’Appello dal debitore o da altri interessati (entro 30 giorni). Tuttavia il reclamo non sospende gli effetti salvo diversa disposizione, quindi il curatore inizia subito a operare (solo se la Corte d’Appello in seguito revoca il fallimento, gli atti compiuti vengono poi caducati).
Esercizio provvisorio dell’azienda farmacia: appena dichiarato il fallimento, si pone il problema di cosa fare dell’esercizio commerciale. Il curatore, sentito il comitato dei creditori e autorizzato dal Giudice Delegato, può decidere di proseguire temporaneamente l’attività dell’impresa fallita, se reputa che la continuazione arrechi beneficio (ad esempio consenta una vendita unitaria dell’azienda a miglior prezzo) e non pregiudichi i creditori. Nel contesto di una farmacia, la continuazione dell’esercizio è spesso auspicabile: la farmacia in attività ha un valore molto più alto (può contare su clientela, fatturato corrente, merci fresche) rispetto a una farmacia chiusa e priva di stock aggiornati. Inoltre, come spiegato, mantenere aperta la farmacia è interesse pubblico. Pertanto, è frequente che in caso di fallimento di farmacia il tribunale autorizzi l’esercizio provvisorio almeno fino all’espletamento della vendita. Il curatore dovrà, come già detto, nominare un farmacista direttore se il precedente titolare non può più operare. I dipendenti della farmacia (farmacisti collaboratori, commessi) generalmente continueranno a lavorare durante l’esercizio provvisorio; i loro stipendi maturati dopo il fallimento saranno considerati crediti prededucibili (ossia spese della procedura da pagare con precedenza). L’esercizio provvisorio viene condotto sotto la vigilanza del Giudice Delegato e può essere interrotto in qualsiasi momento se emergono perdite o rischi (ad esempio se la farmacia non incassa a sufficienza per coprire i costi correnti). Fortunatamente, la natura del business farmacia – con flussi di cassa giornalieri e merce che si può acquistare a breve termine – facilita una gestione provvisoria efficiente.
Realizzo dell’attivo – la vendita della farmacia: scopo principale del fallimento è liquidare i beni del debitore per soddisfare (in tutto o in parte) i crediti. Nel caso di una farmacia, il bene più prezioso è l’azienda nel suo complesso: include la licenza (intesa come avviamento commerciale legato all’autorizzazione amministrativa), l’arredamento e le attrezzature, le giacenze di magazzino (farmaci e prodotti), il nome/insegna e la posizione. Spesso conviene cedere tutto insieme, come “azienda farmacia”, a un acquirente che potrà continuare l’attività. Il curatore quindi, dopo aver eventualmente stimato il valore (spesso tramite perizia) e individuato interessati, procederà a una procedura competitiva di vendita: un bando d’asta o una trattativa privata autorizzata dal comitato dei creditori. Possono partecipare solo soggetti in possesso dei requisiti di legge per detenere la titolarità di farmacia (farmacisti singoli o società di farmacisti, o società di capitali secondo i requisiti post-2017). La presenza di più offerenti è comune, data la limitatezza del numero di farmacie esistenti sul mercato. L’asta può far salire il prezzo, a beneficio dei creditori. Una volta individuato il migliore offerente, il curatore chiede al tribunale di autorizzare la vendita. La cessione deve poi ottenere anche il nulla osta dell’autorità sanitaria (Comune/ASL) per la voltura della licenza al nuovo titolare. Dopo la vendita, il ricavato in denaro entra nelle casse del fallimento. Se invece la farmacia non trovasse compratori come intero complesso (caso raro, ma possibile se ubicata in zona poco appetibile o con condizioni disagiate), il curatore potrebbe vendere separatamente le scorte e le attrezzature e la sede farmaceutica sarebbe dichiarata vacante dall’autorità (per poi assegnarla con concorso). Ciò però genererebbe tipicamente un incasso minore e soddisfazione creditori molto bassa, per cui si tenta di evitarlo.
Accertamento del passivo: parallelamente, il curatore provvede a raccogliere le domande di insinuazione dei creditori entro i termini. I creditori della farmacia fallita (fornitori di farmaci, dipendenti per stipendi, banche, Fisco per tributi, enti previdenziali, proprietario dell’immobile per affitti, ecc.) devono insinuarsi per poter partecipare alla ripartizione. Il curatore prepara lo stato passivo con l’elenco dei crediti e delle eventuali cause di prelazione (privilegi, ipoteche, pegni). All’udienza di verifica il Giudice Delegato esamina le domande, ascolta eventuali contestazioni e forma lo stato passivo approvato. Ad esempio, un grossista avrà un privilegio speciale sui farmaci forniti (art. 2751-bis n.5 c.c.), i dipendenti avranno privilegio generale sui beni mobili per retribuzioni degli ultimi mesi, lo Stato privilegio per IVA e ritenute, la banca un’ipoteca sull’immobile se la farmacia ne possedeva uno, ecc. Questi privilegi determinano l’ordine di distribuzione delle somme ricavate.
Ripartizione e chiusura: una volta liquidati i beni (venduta l’azienda, incassati eventuali crediti, ecc.), il curatore procede a distribuire le somme secondo l’ordine dei privilegi e delle cause legittime di prelazione, poi ai chirografari (creditori non privilegiati) in proporzione percentuale. Spesso, purtroppo, i creditori chirografari recuperano poco (talora zero) perché il prezzo di vendita può bastare appena a coprire privilegi e spese di procedura. Se però la farmacia era appetibile e con buon avviamento, il prezzo di cessione può consentire pagamenti significativi. Dopo aver effettuato le ripartizioni (parziali e finale), il curatore presenta il rendiconto finale. Se non ci sono opposizioni, il giudice dichiara chiuso il fallimento. Da quel momento la società fallita viene cancellata (se società), oppure se era persona fisica il fallito torna in bonis per i rapporti rimasti. Il fallito persona fisica può richiedere la esdebitazione (liberazione dai debiti residui non soddisfatti), come vedremo più avanti.
Effetti personali per il fallito: durante la procedura, il fallito (specie se persona fisica) subisce alcune incapacità: non può amministrare beni, né stare in giudizio se non in casi limitati (il curatore rappresenta anche nei giudizi attivi/passivi sul patrimonio). Non può, senza autorizzazione, esercitare attività d’impresa né assumere cariche direttive in società. Inoltre, i suoi atti pregressi subiscono l’esame del curatore: pagamenti effettuati in prossimità del fallimento o atti di disposizione di beni fatti nell’ultimo periodo sospetto possono essere oggetto di azione revocatoria fallimentare per recuperare risorse nell’attivo. Ad esempio, se nei 6 mesi prima della dichiarazione il farmacista ha pagato interamente un fornitore “amico” a scapito di altri, quel pagamento preferenziale potrebbe essere revocato e il fornitore costretto a restituirlo alla massa. Oppure, se un mese prima di fallire il titolare ha ceduto la farmacia a un prezzo irrisorio a un parente, quell’atto sarebbe revocabile come atto in frode ai creditori (2 anni il periodo sospetto per atti senza adeguato corrispettivo). Tali norme impediscono ai debitori di “spogliarsi” dei beni alla vigilia del fallimento a danno dei creditori.
Per il farmacista imprenditore, la perdita della farmacia è spesso il colpo più duro. Come evidenziato anche dagli esperti, per un farmacista il fallimento è più scioccante che per altri imprenditori, perché oltre al danno economico v’è la decadenza dalla professione imprenditoriale che egli aveva identificato con la propria figura di professionista. Tuttavia, il fallito mantiene la propria abilitazione professionale di farmacista: se volesse, potrebbe ancora esercitare come dipendente in altra farmacia o collaboratore, una volta ottenuta la riabilitazione (la dichiarazione di fallimento di per sé non cancella l’iscrizione all’albo dei farmacisti, a meno che intervengano altre cause, ma impedisce di essere titolare finché dura la procedura e se la licenza è decaduta). Dunque, il farmacista fallito potrebbe trovare lavoro come direttore presso una farmacia di terzi, almeno temporaneamente, anche se dovrà affrontare lo stigma e le difficoltà pratiche che ciò comporta.
Riassumendo la procedura concorsuale: la liquidazione giudiziale è un processo complesso e spesso lungo (può durare da 1-2 anni nei casi semplici fino a 5-6 anni in quelli più articolati). Comporta costi (compenso del curatore, spese legali e amministrative) che erodono in parte l’attivo. Per questo oggi l’ordinamento spinge molto su soluzioni alternative più rapide ed economiche, se praticabili, per regolare la crisi d’impresa. Evitare il fallimento può significare conservare maggior valore per creditori e magari permettere all’imprenditore di ripartire dopo aver soddisfatto parzialmente i debiti. Nella prossima sezione analizzeremo dunque tali strumenti alternativi – dalla composizione negoziata, ai concordati preventivi, agli accordi di ristrutturazione – e successivamente le strategie difensive specifiche per il debitore-farmacista.
Strumenti di allerta precoce e composizione negoziata della crisi
Il legislatore italiano, in attuazione anche di direttive UE, ha introdotto di recente misure volte a intercettare precocemente la crisi d’impresa e favorire soluzioni concordate con i creditori, evitando il ricorso al fallimento ogniqualvolta sia possibile salvare l’azienda. Nel contesto di una farmacia, che è un’attività di pubblica utilità oltre che un’impresa, questi strumenti risultano particolarmente preziosi per tentare il risanamento senza interrompere il servizio alla clientela.
Allerta e composizione assistita: la Legge Delega n. 155/2017 e poi il Codice della Crisi avevano previsto l’istituzione degli OCRI (Organismi di Composizione della Crisi) per gestire le procedure di allerta. In sostanza, i creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, agente riscossione) e gli organi di controllo societari avevano l’obbligo di segnalare tempestivamente gli indizi di crisi dell’impresa, innescando un percorso di composizione assistita riservato. Questo sistema tuttavia non è mai entrato pienamente in vigore: le norme sugli OCRI sono state più volte rinviate e infine abrogate prima dell’effettiva operatività. Al loro posto, l’Italia – in recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency) – ha puntato su un istituto volontario e stragiudiziale: la Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, introdotta nel 2021.
La Composizione Negoziata della Crisi
La Composizione Negoziata (disciplinata oggi dagli artt. 12-25-octies CCII) è una procedura confidenziale e non giudiziale attivabile dall’imprenditore in difficoltà, con l’obiettivo di raggiungere un accordo con i creditori sotto la guida di un esperto indipendente. È stata introdotta con D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) in un periodo di crisi generale post-pandemia, per creare uno strumento agile di “allerta precoce” e gestione negoziale della crisi. In concreto, l’imprenditore (sia societario sia individuale, inclusi imprenditori agricoli) che si trovi in condizioni di squilibrio economico-finanziario tali da far presagire l’insolvenza (o già in stato di crisi/insolvenza reversibile) può presentare un’istanza di composizione negoziata tramite la piattaforma telematica nazionale predisposta presso le Camere di Commercio. L’accesso è consentito a tutte le imprese, indipendentemente da dimensioni e natura, purché iscritte al Registro Imprese. È previsto però un regime particolare per le cosiddette imprese sotto-soglia (micro e piccole imprese che non superano i parametri di fallibilità visti prima): per queste la procedura è semplificata in termini di documentazione e costi. Ad esempio, una farmacia individuale o una piccola S.n.c. che rientri nelle soglie potrà accedere alla “composizione negoziata sotto-soglia” con oneri minori e supporto calibrato, ma la sostanza rimane la stessa.
Nomina dell’esperto e apertura delle trattative: a seguito dell’istanza (accompagnata dai dati aziendali, ultimo bilancio, situazione debitoria, ecc.), una Commissione istituita presso la CCIAA nomina un esperto indipendente con requisiti di professionalità (generalmente un commercialista o altro esperto di crisi con adeguata esperienza). L’esperto, accettato l’incarico, convoca l’imprenditore per un primo incontro e valuta la situazione. Egli ha il compito di facilitare le trattative tra l’impresa e i creditori: a differenza di un commissario giudiziale, l’esperto non ha poteri sostitutivi, ma funge da mediatore, suggerendo soluzioni e assicurando uno svolgimento leale delle discussioni. La procedura è volontaria: i creditori invitati possono scegliere se aderire alle negoziazioni o meno. Non c’è imposizione coattiva di accordi; il successo dipende dalla convenienza percepita dalle parti.
Uno dei vantaggi principali per l’imprenditore è che la composizione negoziata avviene in via riservata: l’accesso alla piattaforma e gli incontri non sono di dominio pubblico. Solo se l’imprenditore decide di attivare alcune misure (come le misure protettive o se si omologa un accordo in tribunale) vi sarà pubblicità legale. Ciò consente di evitare l’effetto stigma di una procedura concorsuale pubblica: clienti e fornitori potrebbero anche non venire a conoscenza della procedura se questa si svolge velocemente e con esito positivo.
Durata e fasi: la composizione negoziata ha una durata flessibile, in genere fino a 6 mesi (180 giorni) prorogabili di ulteriori 6 mesi in casi particolari. In questo periodo, l’esperto programma riunioni periodiche con i creditori principali (banche, fornitori strategici, Fisco) insieme all’imprenditore, per trovare possibili soluzioni: ad esempio, dilazioni di pagamento, riduzione di interessi, nuovi apporti di capitale, cessione di rami d’azienda, conversione di crediti in quote, ecc. L’esperto redige relazioni sull’andamento delle trattative. Se riscontra che l’impresa non ha concrete prospettive di risanamento, può segnalare la necessità di interrompere la procedura; altrimenti, incoraggia le parti a convergere su un accordo. Le parti rimangono libere: i creditori non sono obbligati a fare concessioni, però spesso la prospettiva di un fallimento (con recuperi scarsi) li motiva ad accettare sacrifici ragionevoli per salvare l’impresa.
Durante le trattative, l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda: non c’è spossessamento né gestione esterna. Egli però è tenuto ad operare secondo buona fede e astenersi da atti potenzialmente lesivi per i creditori. L’esperto può suggerire di non compiere pagamenti non autorizzati o evitare scelte rischiose. Se l’imprenditore non collabora o agisce scorrettamente, l’esperto può dichiarare chiusa anticipatamente la composizione.
Misure protettive: uno strumento fondamentale messo a disposizione dell’imprenditore che avvia la composizione negoziata è la possibilità di richiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee. Si tratta di un blocco delle azioni esecutive individuali e delle iniziative cautelari da parte dei creditori, finalizzato a creare uno spazio di respiro nel quale condurre le trattative senza l’assillo di pignoramenti, sequestri o istanze di fallimento da parte dei creditori più aggressivi. Ad esempio, un fornitore che abbia già avviato un pignoramento presso la banca della farmacia verrebbe temporaneamente sospeso; i creditori chirografari non potrebbero iniziare nuove esecuzioni sul magazzino; una banca non potrebbe escutere una garanzia reale o ipotecaria durante la protezione. Le misure protettive, se concesse, sono pubblicate nel Registro Imprese e tipicamente durano fino a 120 giorni, prorogabili una sola volta per ulteriori 120 (massimo 240 giorni, circa 8 mesi). La concessione è subordinata a una valutazione sommaria del tribunale circa la necessità delle misure e l’assenza di pregiudizio per i creditori (deve emergere che la sospensione non danneggia eccessivamente i creditori, in vista di un possibile risanamento). Le misure protettive coprono in generale le azioni esecutive e cautelari, ma la giurisprudenza ha precisato che non impediscono ai creditori, ad esempio, di notificare atti di citazione o decreti ingiuntivi (cioè non bloccano le azioni di cognizione) né alle banche di effettuare segnalazioni alla Centrale Rischi. In pratica, non è un ombrello totale contro ogni iniziativa: è una moratoria mirata sui pignoramenti, fallimenti e provvedimenti di urgenza sul patrimonio. Infatti, pur non essendo espressamente menzionato, l’orientamento prevalente è che durante le misure protettive sia sospesa o improcedibile anche qualsiasi istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) nei confronti del debitore. Ciò è coerente con la ratio di evitare che un creditore impaziente faccia fallire l’impresa mentre si cerca un accordo (anche se la legge non lo dice testualmente, l’interpretazione estensiva considera l’istanza di fallimento come un atto esecutivo collettivo incompatibile con le misure). Conferme vengono dalla prassi: alcuni tribunali nel 2024 hanno esplicitato che la pendenza di misure protettive rende improcedente l’azione per dichiarare il fallimento fino alla scadenza delle misure (salvo revoca delle stesse per abuso).
Le misure protettive, una volta pubblicate, rendono nota l’esistenza della procedura ai terzi tramite il Registro Imprese. Vi è quindi un trade-off: il debitore ottiene protezione, ma perde parte della riservatezza (i partner commerciali potrebbero venire a conoscenza che l’azienda è in composizione negoziata). Per questo, l’imprenditore valuta attentamente se chiederle: a volte, se i creditori sono collaborativi e non minacciano azioni immediate, può preferire negoziare senza attivarle, così da restare sotto traccia. Se invece c’è il rischio concreto di un pignoramento o di un’istanza di fallimento imminente, allora si chiedono subito (è possibile anche contestualmente all’istanza iniziale sulla piattaforma, con ricorso successivo in tribunale). I tribunali decidono in tempi rapidi (entro 5–15 giorni) se accordarle. Accanto ad esse, il tribunale può anche emettere misure cautelari idonee a preservare il patrimonio (es. sospendere temporaneamente un contratto risolutivo, autorizzare specifici pagamenti urgenti, ecc.).
Esiti della composizione negoziata: essenzialmente due: esito positivo con accordo o esito negativo con archiviazione.
- Se le trattative riescono: può aversi un accordo stragiudiziale semplice, formalizzato privatamente (es. un accordo transattivo con i principali creditori in cui questi dilazionano i crediti, mentre il debitore apporta nuovo capitale e ottiene magari remissioni parziali). Oppure l’accordo può assumere forme giuridiche tipiche previste dal CCII: ad esempio un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale (art. 57 CCII e ss., v. dopo) o un piano di risanamento attestato (art. 56 CCII) o ancora un concordato preventivo in continuità se si decide di formalizzare la ristrutturazione coinvolgendo tutti i creditori. La scelta dipende dal numero di creditori e dalla necessità di vincolare anche eventuali dissenzienti. L’importante è che la composizione negoziata offre un percorso flessibile: l’esperto può attestare la proposta raggiunta, e l’imprenditore può chiedere al tribunale l’omologazione se necessaria. In molti casi di PMI, può essere sufficiente un accordo extra-giudiziale con banche e fornitori principali. Per esempio, una farmacia in crisi potrebbe chiudere la composizione con un accordo con il grossista principale (che rateizza l’esposizione su 5 anni), con la banca (che proroga i mutui e converte lo scoperto in finanziamento a medio termine) e con l’Agenzia delle Entrate (aderendo a una definizione agevolata o transazione fiscale per i debiti tributari). Tali intese poi vengono eseguite dall’imprenditore e l’azienda esce dalla zona d’insolvenza. Da notare che, grazie al D.Lgs. 136/2024, oggi anche le PMI possono accedere alla transazione fiscale sui debiti tributari nell’ambito di accordi di ristrutturazione o concordati minori, cosa prima riservata alle imprese più grandi. Questo è un incentivo importante: il debito fiscale e contributivo (spesso rilevante anche per le farmacie, che possono accumulare IVA o contributi dei dipendenti arretrati) può essere trattato riducendo sanzioni e interessi e dilazionando il pagamento in sede di accordo.
- Se le trattative falliscono: la procedura viene chiusa con esito negativo (archiviazione). L’esperto redige una relazione finale indicando che non è stato possibile trovare un accordo. A questo punto, l’imprenditore ha ancora qualche carta da giocare entro i successivi 60 giorni: in particolare può proporre al tribunale un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25-sexies CCII. Questo istituto, introdotto dal D.L. 118/2021 e confermato nel CCII, consente di accedere a un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, sottoposto direttamente al giudizio di omologazione del tribunale. In pratica, l’imprenditore presenta un piano di liquidazione dei propri beni (ad esempio vendita dell’azienda farmacia o di asset immobiliari) con una certa percentuale di soddisfacimento per i creditori, e il tribunale – sentiti i creditori in udienza ma senza votazione – può omologarlo se ritiene che il piano sia più vantaggioso per i creditori rispetto alla liquidazione fallimentare. Il concordato semplificato è una sorta di via d’uscita residuale: si usa quando la composizione negoziata non ha portato ad un accordo, ma c’è comunque l’opportunità di vendere i beni in modo ordinato evitando il fallimento. Ad esempio, un farmacista potrebbe non essere riuscito a trovare un accordo di ristrutturazione, però durante le trattative ha ricevuto un’offerta di acquisto per la farmacia da parte di un terzo: a quel punto può proporre un concordato semplificato in cui il piano è vendere la farmacia a quel terzo e distribuire il ricavato. I creditori saranno sentiti in tribunale (possono esporre osservazioni), ma non votano; se il giudice valuta che quella vendita li soddisfa meglio di un’asta fallimentare, omologa e la vendita viene effettuata nell’ambito del concordato. Ciò evita l’apertura del fallimento. Va detto che il concordato semplificato è un istituto nuovo e straordinario, da usare solo se non vi sono altre alternative, ma può rappresentare una valvola di sicurezza per l’imprenditore. Se nemmeno il concordato semplificato viene richiesto o ammesso, purtroppo l’esito sarà verosimilmente il fallimento (o, per i non fallibili, la liquidazione controllata).
Nel contesto delle micro-imprese sotto-soglia (ad esempio una farmacia rurale molto piccola), il CCII ha previsto procedure analoghe ma denominate diversamente: il concordato minore (artt. 74-83 CCII) e la liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) che rimpiazzano rispettivamente concordato preventivo e fallimento per questi soggetti. La buona notizia è che, a seguito delle riforme 2022-2024, l’ordinamento ha allineato i percorsi per piccole e grandi imprese: oggi anche un imprenditore sotto-soglia, a esito della composizione negoziata, può accedere al concordato semplificato oppure alla liquidazione controllata in luogo del fallimento, e beneficiare degli stessi strumenti (come la transazione fiscale ora estesa anche alle PMI). In pratica, la differenza tra “fallibili” e “non fallibili” è meno marcata: cambia il nome della procedura liquidatoria finale (liquidazione controllata per i secondi), ma il percorso di allerta e negoziazione è comune.
Vantaggi della composizione negoziata per una farmacia: per riassumere i punti chiave dal punto di vista del debitore farmacista:
- Tempestività: permette di affrontare la crisi prima che diventi insolvenza irreversibile, aumentando le chance di salvare l’azienda. La legislazione premia chi si muove presto: sono previste anche attenuanti di responsabilità per imprenditori che attivano tempestivamente gli strumenti di composizione (es. possibili esenzioni da reati fallimentari minori, riduzione di sanzioni fiscali).
- Continuità aziendale: durante la procedura, l’imprenditore mantiene il controllo della farmacia e può continuare a operare (non c’è pubblicità se non si attivano misure protettive, e comunque non interviene un curatore esterno). Ciò evita quella perdita di fiducia dei clienti tipica di un fallimento conclamato.
- Protezione dai creditori: le misure protettive offrono un ombrello contro i pignoramenti e le azioni aggressive. Per esempio, se un fornitore aveva iniziato un’esecuzione, viene sospesa, e la banca non può bloccare il fido di colpo. Questo guadagna tempo prezioso per negoziare.
- Flessibilità delle soluzioni: non essendo una procedura concorsuale formale, la composizione negoziata consente di sperimentare qualsiasi tipo di accordo che le parti ritengano utile. Si può trovare un compromesso creativo (dilazioni, conversioni di debito, nuove società) senza le rigidità di un processo giudiziale. Se poi serve l’omologazione (ad es. per estendere l’accordo anche ai dissenzienti su certe classi di creditori), la si può chiedere successivamente.
- Costi contenuti: l’accesso alla procedura è gratuito o comunque a costo ridotto (non vi sono imposte di bollo, solo il compenso dell’esperto che è parametrato alle dimensioni e spesso inferiore ai costi di un fallimento). I veri costi sono legati alle consulenze che l’impresa attiva in proprio (commercialista, avvocato), ma che sono investimenti per salvare l’azienda.
- Riservatezza: come detto, inizialmente la procedura è confidenziale, quindi la reputazione del farmacista può non essere intaccata se l’operazione di risanamento va a buon fine. Solo se e quando si attivano misure protettive o si arriva a un concordato in tribunale, l’esistenza dello stato di crisi diventa nota a terzi (perché pubblicata).
- Nessun pregiudizio futuro: la composizione negoziata non è un fallimento, quindi l’impresa non subisce le tipiche stigmate (non c’è iscrizione nel casellario, né interdizioni). Tuttavia la legge scoraggia di abusarne: non è possibile attivare composizione negoziata più volte in tempi ravvicinati (il CCII prevede che non si possa accedere nuovamente prima di 2 anni dall’archiviazione di una precedente, salve eccezioni).
In conclusione, la composizione negoziata rappresenta per la farmacia in crisi un tentativo di cura prima di dichiararla “clinicamente morta” e passare all’autopsia fallimentare. Naturalmente, funziona se c’è ancora vitalità nell’azienda: se la farmacia è strutturalmente incapace di produrre reddito (es. location infelice, troppa concorrenza, costi fissi eccessivi) o se il debito accumulato è sproporzionato rispetto a qualsiasi piano ragionevole di rientro, allora anche la negoziazione potrà solo prendere atto che non vi sono chance. Ma spesso, soprattutto per attività come la farmacia che in sé è potenzialmente remunerativa (il mercato del farmaco è stabile e offre margini, se ben gestito), la crisi deriva da errori gestionali o congiunture avverse superabili. In tali casi, gli strumenti di allerta possono aiutare a salvare la farmacia, il che è un bene sia per il debitore che per i creditori (i quali in un fallimento vedrebbero bruciata gran parte del credito).
Nel prossimo capitolo approfondiremo anche gli altri strumenti concorsuali e para-concorsuali a disposizione del debitore (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piani attestati), che in parte si collegano alla composizione negoziata, e che costituiscono l’“arsenale” completo delle procedure di gestione della crisi d’impresa in alternativa al fallimento.
Altri strumenti di regolazione della crisi d’impresa
Oltre alla composizione negoziata vista sopra, l’ordinamento italiano prevede vari strumenti giuridici per affrontare la crisi o l’insolvenza evitando il fallimento o quantomeno gestendolo in modo concordato. Questi strumenti differiscono per grado di coinvolgimento dell’Autorità giudiziaria e per efficacia sugli obblighi verso i creditori. Un bravo consulente del farmacista in difficoltà valuterà quale sia il più adatto al caso concreto, talora combinandone più d’uno in sequenza. Ecco una panoramica dei principali:
- Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): è un accordo di natura privatistica basato su un piano di risanamento redatto dall’imprenditore e asseverato da un professionista indipendente. Il piano deve essere idoneo a riportare l’impresa in equilibrio finanziario entro un tempo ragionevole. Non richiede omologazione né notifica ai creditori non coinvolti. In pratica, il debitore negozia con alcuni creditori chiave (ad esempio banche) delle modifiche ai debiti (dilazioni, remissioni parziali) e predispone un piano industriale di rilancio, poi un esperto indipendente attesta che il piano è fattibile e adeguato a risanare. I creditori che aderiscono eseguono quanto concordato; quelli che non aderiscono rimangono estranei. Il vantaggio del piano attestato è la riservatezza (non è pubblico) e la protezione da azioni revocatorie: gli atti compiuti in esecuzione del piano e i pagamenti ai creditori che vi aderiscono non sono revocabili in caso di successivo fallimento. Questo dà sicurezza ai nuovi finanziatori o a chi acconsente a ristrutturare il credito. Lo svantaggio è che il piano non vincola i creditori dissenzienti: se ad esempio una banca aderisce ma un fornitore no, quest’ultimo può comunque agire esecutivamente. Per farmacie di dimensioni medio-piccole, il piano attestato è utilizzabile soprattutto quando la platea dei creditori è ristretta e si riesce ad ottenere consenso informale dalla quasi totalità di essi. Può essere impiegato all’esito di una composizione negoziata: se durante le trattative si convince la maggior parte dei creditori, si può formalizzare il tutto in un piano attestato. Ad ogni modo, il piano attestato richiede una rigorosa analisi di fattibilità da parte dell’attestatore, e la sua efficacia dipende dalla credibilità del piano stesso.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII): sono accordi sottoscritti tra l’imprenditore e una parte qualificata dei creditori (almeno il 60% in valore dei crediti) e soggetti a omologazione da parte del Tribunale. A differenza del piano attestato, qui c’è l’intervento del giudice che, su ricorso del debitore, omologa l’accordo dandogli efficacia anche verso eventuali creditori estranei (ma questi ultimi, se non soddisfatti integralmente, possono proseguire le azioni; l’accordo li vincola solo indirettamente se li si paga fuori accordo). Gli accordi di ristrutturazione sono dunque una via di mezzo tra il piano privato e il concordato: c’è un coinvolgimento giudiziale ma i creditori non devono essere tutti, è sufficiente una maggioranza qualificata. Col recepimento della direttiva UE, il CCII ha introdotto vari tipi speciali: l’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII) per estendere ai creditori dissenzienti appartenenti a determinate categorie l’efficacia dell’accordo (es. accordo con il 75% delle banche può vincolare anche le banche dissenzienti minoritarie); l’accordo agevolato con soglia ridotta al 30% ma pagamento integrale dei dissenzienti; l’accordo di ristrutturazione soggetto ad omologazione (ARO, art. 64-bis CCII) che consente di omologare accordi anche senza il 60% se il tribunale riscontra che tutti i creditori avranno soddisfazione non inferiore alla liquidazione. Sono strumenti più tecnici, tipicamente utilizzati in imprese più grandi. Per una farmacia, immaginando abbia 4-5 creditori principali (banca, grossisti, fisco, proprietario immobile), l’accordo di ristrutturazione potrebbe essere fattibile se si mette d’accordo almeno il 60% del credito (ad esempio banca e grossista coprono 70% del totale credito; i restanti minori vengono pagati per intero al di fuori dell’accordo, così l’omologazione vincola tutti). Un vantaggio dell’accordo è che dal momento del deposito del ricorso di omologazione, similmente al concordato, il debitore può chiedere misure protettive per bloccare i creditori durante la pendenza (e la presentazione dell’accordo in tribunale rende improcedenti eventuali istanze di fallimento). Inoltre, nell’accordo può essere inclusa una transazione fiscale sui debiti tributari e contributivi (art. 63 CCII), che necessita dell’adesione formale dell’Erario salvo il caso di cram-down fiscale (oggi possibile se l’Erario rifiuta ma l’offerta del debitore è almeno pari al ricavabile in fallimento). La riforma 2024 ha espressamente reso disponibile la transazione fiscale anche alle PMI e ai concordati minori, uniformando il regime.
- Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII): è la procedura concorsuale vera e propria (alternativa al fallimento) in cui il debitore propone ai creditori un piano concordatario che può prevedere la continuità aziendale (prosecuzione dell’attività, diretta o tramite cessione dell’azienda a terzi) oppure la liquidazione dei beni (concessa solo se i creditori chirografari ricevono almeno il 20% di soddisfazione, salvo concordato “misto” con parziale continuità). Il concordato preventivo richiede l’ammissione del tribunale, la nomina di un Commissario Giudiziale e soprattutto il voto dei creditori: la maggioranza dei crediti (calcolata in base alle classi e al valore) deve approvare il piano, che poi viene omologato dal tribunale (possibile anche in caso di dissenso di classi minoritarie se il tribunale ritiene il piano conveniente per tutti – cram down). Il concordato preventivo è uno strumento più rigido e costoso rispetto agli accordi: comporta tempi più lunghi, pubblicità legale sin dall’inizio, e l’imprenditore rimane in possesso ma sotto supervisione del Commissario. Tuttavia, è molto potente perché consente di imporre il piano anche ai creditori non consenzienti (a differenza di piani e accordi che lasciano fuori i dissenzienti se non li paghi integralmente). Inoltre nel concordato il debitore può ottenere misure protettive già con il deposito della domanda (automatica stay delle azioni esecutive) e blocco delle istanze di fallimento. Spesso, come accennato, il concordato preventivo viene usato in funzione difensiva: se un creditore ha chiesto il fallimento, il debitore può presentare una domanda di concordato (anche “con riserva”, ossia prenotativa, senza piano immediato) prima della sentenza, e ciò sospende la procedura prefallimentare e instrada verso la soluzione concordataria. Questo stratagemma è stato usato anche in casi di farmacie (ad esempio la Cassazione 2021 citava un caso in cui la farmacia presentò un concordato “in bianco” durante la fase prefallimentare, poi dichiarato inammissibile per inadempienze e quindi sfociato nel fallimento stesso). Nel merito, un concordato preventivo può salvare la farmacia in continuità diretta (il farmacista mantiene la titolarità e paga i creditori gradualmente con i flussi di cassa futuri) oppure in continuità indiretta (si individua un investitore che rileva l’azienda in concordato, garantendo continuità del servizio e un certo soddisfacimento ai creditori). Laddove la continuità non sia possibile, si può proporre un concordato liquidatorio, vendendo la farmacia e distribuendo il ricavato: ma come detto serve offrire almeno 20% ai chirografari, altrimenti la legge presume la proposta non conveniente rispetto al fallimento (che mediamente dà minor percentuali ma non pone soglie minime). Nel contesto di una farmacia, spesso il concordato in continuità può essere una via percorribile se il problema è un eccesso di debiti ma l’attività è sana: si ristrutturano i debiti tagliandoli in parte e dilazionandoli, magari con l’apporto di nuove risorse (capitali di terzi). Un esempio: il titolare propone di pagare i fornitori chirografari al 40% in 5 anni, di pagare integralmente i privilegiati fiscali in 6 anni, e di ottenere dai soci o nuovi soci un aumento di capitale per €X a sostegno del piano; i creditori votano e, se convinti che prendono di più rispetto alla liquidazione, approvano. Anche il concordato preventivo è stato declinato nella versione “minore” per le piccole imprese: il concordato minore (artt. 74-83 CCII) ne ricalca le orme ma con semplificazioni, ed è riservato a debitori sotto-soglia e non grandi (inclusi consumatori sovra-indebitati). Nel concordato minore non c’è voto dei creditori ma solo omologazione se il tribunale ritiene che i creditori ottengano almeno quanto nella liquidazione controllata. In pratica, funziona quasi da concordato semplificato per piccoli. Un farmacista non fallibile, dunque, se vuole proporre un piano concorsuale, deve utilizzare il concordato minore, che è semplificato ma comunque sottoposto al giudice.
- Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII): è l’equivalente del fallimento per i debitori non fallibili (sotto-soglia, consumatori). Nel nostro discorso la citiamo perché può riguardare un farmacista sotto-soglia in ditta individuale dichiarato insolvente. In tal caso, se non ha accesso al fallimento, potrà essere sottoposto (anche su propria istanza) alla liquidazione controllata: una procedura simile, con nomina di un liquidatore e spossessamento, finalizzata a liquidare il patrimonio e poi concedere l’esdebitazione. Per l’interesse pubblico delle farmacie, anche qui il liquidatore nominato potrebbe farsi autorizzare a proseguire provvisoriamente l’esercizio per vendere l’azienda. La differenza è solo che la procedura si svolge davanti al Tribunale in composizione monocratica (un giudice unico) e con regole un po’ più snelle.
Esdebitazione (liberazione dai debiti residui): un concetto trasversale, ma rilevante per il debitore persona fisica (o socio illimitatamente responsabile), è quello dell’esdebitazione. Si tratta della possibilità, al termine della procedura liquidatoria (fallimento o liquidazione controllata), di ottenere la cancellazione dei debiti non soddisfatti, così da poter ripartire senza lo strascico eterno delle esposizioni pregresse. Il Codice della Crisi ha reso l’esdebitazione più accessibile: mentre prima occorreva una specifica istanza e la verifica della meritevolezza del fallito (che doveva aver cooperato e non aver commesso irregolarità gravi), ora l’esdebitazione del fallito persona fisica è quasi automatica a fine procedura, salvo che il giudice la neghi per ragioni specifiche (come frodi o mancata collaborazione). Nel caso di un farmacista che abbia perso tutto con il fallimento, l’esdebitazione è fondamentale per poter ricominciare ad esempio aprendo una nuova attività (magari non più come titolare di farmacia, visto che dovrebbe riottenere una sede, ma potrebbe avviare una parafarmacia, lavorare come direttore altrove, o altra impresa commerciale). Da notare che l’esdebitazione non copre eventuali debiti per sanzioni penali, multe, né elimina le pene accessorie (ad esempio l’interdizione dall’esercizio di impresa per determinati anni, se comminata). Però estingue i debiti civili verso i creditori anteriori. Nel nostro scenario, un farmacista esdebitato potrà riaccumulare risparmi e magari un domani riacquistare una farmacia se ne avrà l’opportunità, senza dover ripagare in eterno i debiti del fallimento passato.
Strumenti negoziali stragiudiziali privati: non vanno dimenticati anche i semplici accordi stragiudiziali non formalizzati, che di fatto sono sempre possibili: ad esempio un “saldo e stralcio” con un creditore (gli pago subito 50% e quello rinuncia al resto) o una moratoria concordata (tutti i fornitori accettano di farsi pagare con 90 giorni di ritardo per 6 mesi). Questi accordi privati, se funzionano, sono i migliori perché evitano costi e burocrazia; tuttavia sono instabili: basta che uno dei creditori non rispetti l’impegno (ad es. uno decide comunque di fare istanza di fallimento) per far saltare tutto. E inoltre non danno protezione da creditori terzi. Quindi sono attuabili se c’è un numero molto ristretto di creditori e fiducia reciproca. Spesso, nella realtà, vengono affiancati agli strumenti formali: si negozia privatamente e poi si formalizza in un accordo omologato o in un piano attestato per avere maggior tutela.
Quadro d’insieme: come visto, l’arsenale per difendersi dal fallimento è ricco di opzioni. Non esiste una soluzione valida in assoluto: dipende dalla gravità della crisi e dalla volontà di cooperazione dei creditori. Per una farmacia che abbia un bacino di clientela e margini tali da poter generare reddito, le soluzioni in continuità (concordato con continuità, accordo di ristrutturazione, ecc.) sono preferibili perché preservano il valore dell’avviamento. Se invece la farmacia è destinata comunque alla cessione, tanto vale procedere con un concordato liquidatorio o un concordato semplificato (purché si riesca a trovare un acquirente) per distribuire il ricavato senza le incognite del fallimento. L’importante è muoversi in anticipo: molti strumenti (come la composizione negoziata, il concordato preventivo, gli accordi) richiedono che l’imprenditore non abbia già dissipato tutto il cash e non sia travolto da azioni esecutive. Se si attende troppo, la situazione diventa ingestibile e l’unica strada rimasta sarà il fallimento puro e semplice.
Nei prossimi paragrafi focalizzeremo l’attenzione proprio sulle strategie pratiche di difesa pre-fallimentare dal punto di vista del debitore, riassumendo anche quanto appreso finora. In particolare vedremo come comportarsi quando arrivano i primi segnali di crisi e come reagire se un creditore deposita un’istanza di fallimento, per massimizzare le chance di salvare l’azienda farmacia o quantomeno di gestire la propria uscita limitando i danni.
Strategie difensive del debitore prima del fallimento
Dal punto di vista del debitore farmacista, “difendersi” dal fallimento significa adottare tutte le azioni e precauzioni utili a: (a) prevenire lo stato di insolvenza conclamata; (b) gestire la crisi in modo da evitare – se possibile – la dichiarazione giudiziale di fallimento; (c) in extrema ratio, mitigare le conseguenze di un eventuale fallimento, proteggendo quanto più possibile il patrimonio e la propria posizione professionale. Qui di seguito esponiamo un decalogo di strategie e accorgimenti, partendo dalle fasi iniziali di difficoltà fino alla vigilia dell’udienza prefallimentare.
1. Monitorare costantemente i segnali di crisi: la prima linea di difesa è la consapevolezza tempestiva. Il titolare di farmacia dovrebbe tenere sotto controllo alcuni indicatori chiave: flussi di cassa mensili (cash flow), andamento del fatturato rispetto all’anno precedente, livello di indebitamento con banche e fornitori, rispetto delle scadenze fiscali, giacenze di magazzino. Indizi come il ricorso continuo a scoperti di conto, ritardi nel pagamento dei fornitori principali, aumento anomalo delle scorte invendute o calo marcato degli scontrini medi sono campanelli d’allarme. La riforma normativa spinge molto su questa cultura dell’allerta interna: organi di controllo (revisori, sindaci) nelle società devono segnalare per tempo agli amministratori situazioni di squilibrio. Ma anche senza organi di controllo, il farmacista stesso deve avere il polso della situazione. Non bisogna negare l’evidenza o procrastinare: se si riscontra che la farmacia è in difficoltà finanziaria, prima si interviene e meglio è. Ciò può anche far scattare i benefici premiali previsti dalla legge (riduzioni di sanzioni, non punibilità per alcune condotte minori, ecc., come accennato).
2. Coinvolgere consulenti esperti appena emergono difficoltà: di fronte a problemi finanziari persistenti, è consigliabile rivolgersi subito a consulenti con competenze specifiche in risanamento aziendale e diritto concorsuale. Un avvocato fallimentarista o un commercialista specializzato in crisi d’impresa possono analizzare la situazione della farmacia da un punto di vista tecnico, individuando possibili soluzioni che il solo farmacista magari ignora. Spesso il farmacista tende a minimizzare o sperare in un miglioramento spontaneo; un occhio esterno più freddo può invece delineare uno scenario realistico e consigliare le mosse giuste. Ad esempio, un consulente potrebbe accorgersi che l’indebitamento bancario a breve termine è eccessivo e suggerire di negoziare una moratoria, oppure notare che la marginalità su alcune linee di prodotti è insufficiente e suggerire di tagliare costi o dismettere reparti. Tempestività è la parola chiave: un professionista chiamato quando l’azienda è ancora salvabile potrà “confezionare” strategie efficaci; chiamato a debacle avvenuta, potrà solo limitare i danni. Come recita un detto: “il tempo perso nella crisi è valore distrutto”.
3. Ottimizzare la gestione e ridurre gli sprechi (interventi manageriali): non tutte le crisi richiedono subito un tribunale. In alcuni casi la farmacia può tornare in carreggiata con misure di efficientamento gestionale. Ad esempio: migliorare la gestione del magazzino (riducendo le scorte ferme, adottando sistemi di riordino più snelli), potenziare il marketing e i servizi a valore aggiunto (per aumentare il fatturato, es. servizi CUP, autoanalisi, e-commerce locale), rinegoziare i contratti di fornitura per spuntare condizioni migliori, contenere i costi fissi (valutare turni del personale, energia, ecc.). Se la crisi è dovuta a fattori interni controllabili, un buon piano di ristrutturazione manageriale può scongiurare quella finanziaria. È quello che in alcuni casi distingue una difficoltà temporanea da un’insolvenza: se la causa del calo di liquidità è, poniamo, un eccesso di acquisti errati a magazzino, correggendo il tiro e vendendo quelle scorte si può rientrare. L’importante è porsi l’obiettivo di salvare il patrimonio e la ricchezza generata dall’attività. La farmacia è un’impresa che, se ben condotta, può generare cassa costante – a differenza di altri settori più aleatori – e quindi giustifica un tentativo di risanamento condiviso con i fornitori. In quest’ottica, mostrare ai creditori che si stanno adottando misure serie di risanamento manageriale (taglio di spese inutili, aumento vendite, ecc.) aumenta la loro fiducia e disponibilità a sostenere la ristrutturazione del debito.
4. Negoziare accordi con i creditori chiave (banche, grossisti, fisco): se i problemi di liquidità permangono, occorre passare a misure negoziali con i creditori. Spesso pochi creditori rappresentano la quota maggiore del debito: tipicamente la banca finanziatrice e il grossista di farmaci. Parlare apertamente con questi creditori, prima che la situazione precipiti, è fondamentale. Molti creditori preferiscono trovare un accordo piuttosto che spingere un’impresa al fallimento (da cui recupererebbero magari meno). Ad esempio, si può chiedere alla banca di ristrutturare l’esposizione: allungare la durata dei prestiti, trasformare gli affidamenti a breve in mutui a medio termine, sospendere temporaneamente la quota capitale (moratoria) – spalmando quindi il debito su più anni con rate sostenibili. Ai fornitori grossisti si può chiedere un piano di rientro del debito commerciale: ad es. per €100k di forniture arretrate, pagarli in 24 mesi oltre al proseguimento degli acquisti correnti (magari dietro impegno a non cambiare fornitore). Con l’Agenzia Entrate Riscossione, verificare la possibilità di rottamazioni, rateizzazioni straordinarie (fino a 72 o 120 rate se grave e comprovata difficoltà). È importante formalizzare questi accordi preferibilmente per iscritto (anche una semplice email di conferma o un piano firmato), per evitare fraintendimenti. Ovviamente promettere pagamenti futuri significa essere ragionevolmente certi di potervi far fronte: occorre un budget di tesoreria realistico. Se la farmacia stima di poter generare, poniamo, €5.000 di cassa mensile libera, quell’importo vincolerà l’importo delle rate sostenibili per i debiti passati, altrimenti l’accordo salterà e ci si ritroverà peggio di prima. In alcuni casi il debitore può offrire un pegno o garanzia aggiuntiva per rassicurare il creditore (ad es. pegno su un secondo immobile di famiglia a fronte di dilazioni bancarie). Attenzione: questa soluzione va ponderata con i legali, perché offrire garanzie a un creditore e non ad altri in fase di difficoltà potrebbe essere successivamente oggetto di revocatoria se la crisi sfocia nel fallimento. Spesso è meglio inserire tali accordi nell’ambito di un piano attestato o accordo omologato, per avere copertura legale. Il concetto chiave è comunque il dialogo: non sparire di fronte ai creditori, ma mostrare buona fede e volontà di pagarli, chiedendo però respiro.
5. Valutare l’apporto di nuovi capitali o soci: la ricapitalizzazione è un modo efficace per risolvere una crisi da indebitamento. Se il farmacista da solo non ha risorse sufficienti, può valutare di coinvolgere un socio finanziatore esterno. La Legge sulla Concorrenza 2017, aprendo alle società di capitali, ha proprio questo risvolto positivo: consente di far entrare investitori privati nel capitale della farmacia per iniettarvi liquidità. Coinvolgere “capitali forti” non va visto solo come una minaccia (l’acquisizione delle farmacie da parte di grandi gruppi), ma può essere una opportunità per il singolo farmacista di salvare la propria azienda. L’importante è scegliere soggetti “fidati e vicini”, che credano nella capacità imprenditoriale del farmacista e nel progetto di risanamento. Possono essere colleghi, parenti con disponibilità economiche, piccoli fondi locali o investitori del settore sanitario. Le modalità tecniche possibili: (a) aumento di capitale nella società esistente, con ingresso di nuovi soci che apportano denaro fresco in cambio di quote (il farmacista può mantenere una partecipazione e magari la gestione tecnica, cedendo però parte della proprietà per ridurre il suo rischio e ottenere fondi con cui pagare i debiti); (b) conferimento in una newco: il farmacista costituisce una nuova società (ad esempio una S.r.l.) insieme agli investitori, conferendo l’azienda farmacia (o la licenza) alla newco, mentre i soci investitori conferiscono capitale liquido. La newco potrà così pagare i debiti pregressi (spesso la transazione avviene nell’ambito di un concordato o accordo). Questa seconda opzione è utile se si vuole separare i debiti vecchi dalla gestione nuova: la vecchia ditta o società rimarrà debitrice e userà parte del capitale ricevuto come corrispettivo del conferimento per pagare i creditori (magari con una falcidia), la farmacia però continua l’attività nella newco “pulita” con il nuovo capitale. Operazioni di questo tipo richiedono un’attenta architettura legale (meglio svolgerle all’interno di un concordato preventivo in continuità o di un accordo omologato in modo da regolare il trasferimento e la soddisfazione dei creditori). In un concordato in continuità, ad esempio, si può prevedere che i nuovi soci apportino X euro a titolo di finanza esterna, i quali andranno integralmente ai creditori; in cambio la proprietà della farmacia passa a loro in parte. Oppure un accordo di ristrutturazione potrebbe stabilire che la società del farmacista cede l’azienda a una società degli investitori, che paga un prezzo usato per soddisfare i creditori chirografari al Y%. Insomma, nuovi capitali in cambio di equity: è una strategia di difesa perché il farmacista perde magari esclusività nella titolarità, ma salva azienda e lavoro, e riduce il debito. Meglio avere una fetta di una torta sana che l’intera torta avariata destinata a sbriciolarsi. Molti farmacisti sono riluttanti perché significherebbe “far entrare qualcun altro a casa propria”, ma va considerato che se la casa rischia pignoramento, l’alternativa è perderla del tutto. Dunque l’apertura del capitale è da valutare lucidamente, magari temporanea: l’accordo tra soci potrebbe prevedere una opzione di riacquisto futura delle quote da parte del farmacista, se e quando si sarà rimesso in sesto (un modo per riottenere il controllo una volta pagati i debiti). Naturalmente questo implica trovare investitori disposti a credere nel rilancio – spesso li si trova fra altri farmacisti o distributori interessati a mantenere attiva la farmacia.
6. Trasformare la forma giuridica in modo da limitare la responsabilità personale: come già approfondito, un farmacista in forma di S.n.c. o impresa individuale potrebbe considerare di trasformare la propria impresa in S.r.l. prima che la situazione diventi irrecuperabile. Questa mossa serve a “frapporre un diaframma” tra i creditori e il patrimonio personale. Tuttavia, va ribadito, non cancella automaticamente i debiti pregressi: i soci rimarranno responsabili per quelli sorti in precedenza se l’operazione non è accompagnata da un accordo con i creditori (che magari li liberino formalmente). Quindi il suggerimento operativo è: se si opta per la trasformazione in S.r.l., contestualmente negoziare con i creditori una novazione dei debiti verso la nuova società, liberatoria per i soci, magari inserendo tutto ciò in un piano di ristrutturazione. Ad esempio, si potrebbe proporre ai creditori: “trasformo la farmacia in S.r.l. con capitale di 10.000€, la nuova S.r.l. vi riconosce integralmente i vostri crediti e li paga in 5 anni, in cambio voi rinunciate a pretendere nulla dai soci personalmente”. Se i creditori si fidano della prospettiva (magari perché la S.r.l. viene subito capitalizzata o garantita), potrebbero accettare. Questa è praticamente un’operazione di composizione stragiudiziale inserita in una trasformazione societaria. Attenzione però: se vi sono molti creditori, meglio formalizzare l’accordo con un omologazione (accordo di ristrutturazione) per evitare azioni di disturbo. In ogni caso, la trasformazione in S.r.l. prima di un eventuale fallimento può tornare utile anche in un altro senso: se la situazione poi peggiora e si finisce lo stesso in procedura, almeno sarà la S.r.l. fallita, e non i soci personalmente. I creditori pregressi se non hanno liberato i soci, in teoria potrebbero ancora perseguirli, ma se poi anche la persona viene dichiarata fallita estensivamente come ex socio, sarebbe una complicazione. Diciamo che è un’arma a doppio taglio se fatta troppo tardi. Se invece è fatta con largo anticipo e l’impresa si risana, avrà protetto i soci; se l’impresa comunque fallisce, i soci potrebbero trovarsi chiamati in causa per i debiti ante-trasformazione (ad es. come coobbligati non liberati) e quindi non aver ottenuto il beneficio sperato. Per questo la trasformazione deve essere parte di un piano più ampio. Non da ultima considerazione: come evidenzia l’articolo su FarmaciaNews, con la riforma della crisi molte farmacie S.r.l. dovranno dotarsi di revisori e tenere contabilità più stringente; ciò è un bene per la trasparenza ma comporta costi e doveri – il farmacista deve essere pronto anche culturalmente a gestire una S.r.l. (ad esempio preparare bilanci in formato completo, verbali assemblee, ecc.). Non è più la conduzione familiare semplificata di una S.n.c.
7. Attivare tempestivamente le procedure formali all’occorrenza: se la crisi finanziaria è già avanzata e c’è rischio concreto di insolvenza, non aspettare l’istanza di un creditore per muoversi. Il debitore stesso può e deve attivarsi: valutare la Composizione Negoziata (come già approfondito), oppure presentare un ricorso per concordato preventivo prima di essere travolto. Molti imprenditori vedono il concordato preventivo come un fallimento “volontario”, ma in realtà è uno strumento di salvezza – se ben utilizzato. Per una farmacia con debiti oltre soglia, depositare una domanda di concordato (anche con riserva, cioè per ottenere immediata protezione e poi depositare il piano in 60-120 giorni) può bloccare i creditori e dare lo spazio per definire un piano di rientro. Certo, significa che la situazione diventa di dominio pubblico e va sotto il controllo del tribunale, ma si evita la ben peggiore istanza di fallimento dei creditori. Un esempio concreto: la Farmacia Alfa S.r.l. ha accumulato €800k di debiti di cui €300k con grossista, €200k con banca, €100k con fornitori vari, €200k erario. È in affanno ma ancora aperta. Invece di attendere che il grossista, stanco, faccia istanza di fallimento, può autonomamente predisporre un piano di concordato in continuità: propone di pagare in 4 anni il 100% a grossista e banca (privilegiati da trattenute su ricavi futuri), il 30% ai fornitori chirografari, il 40% al fisco (col beneficio delle norme sulla transazione fiscale). Presenta il ricorso, il tribunale ammette il concordato, i creditori votano e magari accettano vedendo che è meglio del fallimento. La farmacia evita la liquidazione e prosegue l’attività sotto vigilanza per qualche anno, poi ne esce risanata. Questo scenario, se attuato prima che i creditori perdano la pazienza, è realistico. Se invece la farmacia aspetta, il grosso creditore può agire e a quel punto predisporre un concordato last-minute è più difficile. In sintesi: il debitore deve giocare d’anticipo, non aver paura di usare gli strumenti concorsuali in modo offensivo per governare la crisi, piuttosto che subirli passivamente per iniziativa altrui.
8. Prepararsi in caso di istanza di fallimento da parte di un creditore: malgrado tutte le precauzioni, può succedere che un creditore (magari estraneo agli accordi o particolarmente aggressivo) presenti comunque una domanda di fallimento. A questo punto la difesa entra nella fase prefallimentare giudiziale. È fondamentale reagire immediatamente: appena notificata l’istanza (o il decreto di convocazione), non perdere tempo. In genere si hanno poche settimane prima dell’udienza. Le mosse difensive possibili le possiamo schematizzare così:
- Contestare il credito istante: verificare se il creditore che ha chiesto il fallimento ha effettivamente un credito certo, liquido ed esigibile. Se il debito è controverso (magari oggetto di causa, o in prescrizione, o la somma non è definita), si può eccepire l’inammissibilità dell’istanza perché la legge richiede un credito non seriamente contestato. Ad esempio, se l’istanza la presenta un ex fornitore con fatture non riconosciute, si può evidenziare che è pendente una causa civile su quelle fatture: il tribunale fallimentare non deve entrare nel merito di una controversia complessa, quindi potrebbe rigettare o sospendere l’istanza.
- Dimostrare l’assenza di insolvenza: anche se ci sono debiti, se il debitore riesce a provare di essere ancora solvibile o in ripresa, non deve essere dichiarato fallito. Portare all’udienza dati aggiornati – un bilancio recente, un cash flow forecast, attestazioni di sostegno finanziario (es. un nuovo socio pronto a investire), accordi presi con altri creditori – può convincere il giudice che l’impresa è in bonis o comunque che l’inadempimento verso quel creditore è episodico e superabile. L’onere della prova in udienza è a carico del debitore: affermazioni generiche di “non sono insolvente” non bastano, servono documenti concreti. Nel caso di una farmacia, ad esempio, si potrebbe produrre l’andamento incassi ultimo trimestre mostrando che c’è liquidità per onorare i debiti, oppure estratti conto bancari che mostrano disponibilità (se ci sono) o lettere di banche disposte a dare nuova finanza.
- Sollevare l’eccezione di non fallibilità sotto-soglia: qualora ne ricorrano i presupposti, il debitore può dichiarare di essere un piccolo imprenditore non soggetto a fallimento, portando i dati di bilancio a prova di non aver superato le soglie. Come già detto, bisogna dimostrare con bilanci degli ultimi 3 anni che attivo, ricavi, debiti erano sotto i limiti. Se il tribunale accoglie questa eccezione, rigetterà l’istanza di fallimento per difetto di presupposti soggettivi. Il creditore potrà al limite indirizzare il debitore verso le procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata), ma non ottiene il fallimento.
- Mostrare l’attivazione di una soluzione alternativa in corso: se il debitore ha già avviato una composizione negoziata (con misure protettive attive), o se ha depositato un ricorso per concordato preventivo prima dell’udienza, la domanda di fallimento dovrebbe essere dichiarata improcedibile. Dunque uno stratagemma spesso consigliato dai legali è: appena notificata l’istanza di fallimento, se non lo si è già fatto, depositare un ricorso per concordato preventivo o per omologazione di un accordo. La legge (art. 40 CCII e, ante riforma, art. 168 L.F.) prevede che dalla pubblicazione della domanda di concordato le azioni esecutive e le istanze di fallimento restano sospese. Il tribunale dovrebbe quindi, all’udienza prefallimentare, prendere atto della pendenza del concordato e archiviare (oppure sospendere per vedere esito del concordato). Nel caso il debitore scelga la composizione negoziata, se ha ottenuto misure protettive prima dell’udienza, analogamente l’istanza non può portare a sentenza di fallimento. Quindi attivare procedure alternative è un ottimo scudo.
- Pagare o transigere con il creditore istante: se il creditore che ha presentato l’istanza è uno solo (o pochi) e la somma non è enorme, può essere opportuno trovare un accordo prima dell’udienza. Magari reperendo fondi di emergenza (prestito da familiari, anticipo TFR, vendita di un bene personale), si può saldare o ridurre il debito del creditore istante, il quale a quel punto potrebbe rinunciare alla domanda. È lecito infatti chiedere al creditore: “Se ti pago subito X (€) accetti di ritirare l’istanza di fallimento?” Molti creditori useranno il ricavato e non avranno più interesse a proseguire (anche perché se si arriva a fallimento prenderebbero i soldi chissà quando e solo parzialmente). Bisogna però muoversi cautamente e con l’aiuto dell’avvocato: idealmente, formalizzare la rinuncia all’istanza solo dopo aver incassato il pagamento, per evitare che il creditore prenda i soldi e non ritiri (anche se poi in realtà se è stato pagato totalmente, il tribunale può comunque non dichiarare il fallimento per cessata materia del contendere). Questa strategia è spesso usata se l’istanza è partita magari per un arretrato modesto di un fornitore: lo si paga e finisce lì. Ovviamente, spegne l’incendio nell’immediato, ma non risolve la crisi sottostante; serve solo a guadagnare tempo se parallelamente si sta implementando altro.
- Comparire in udienza ben preparati: è fondamentale presentarsi all’udienza prefallimentare con una memoria difensiva depositata (tramite avvocato) e con tutti i documenti già forniti in copia al tribunale, ed eventualmente con la presenza di un consulente (commercialista) che possa spiegare i numeri se richiesto. Bisogna dare al collegio giudicante l’impressione di controllo e trasparenza: il debitore deve mostrare di aver preso la cosa sul serio, di avere un piano o quantomeno valide argomentazioni. Farsi accompagnare dal proprio legale con una dettagliata memoria e allegati (bilanci infrannuali, accordi, piano industriale) può influenzare positivamente la decisione. Anche qualora si prospetti l’insolvenza, il giudice potrebbe essere più orientato a concedere tempo (ad esempio rinviare la decisione di qualche settimana per vedere se si finalizza un accordo, oppure invitare il debitore a presentare concordato) se vede proattività e buona fede.
Riassumiamo le principali azioni difensive possibili contro un’istanza di fallimento in una tabella riepilogativa:
Azione difensiva | Obiettivo | Documenti/prove utili |
---|---|---|
Contestare il credito | Far dichiarare inammissibile l’istanza se il credito non è certo/liquido | Contratto o fatture contestate, ricevute di pagamento già effettuato, cause pendenti, estratti di causa |
Negare l’insolvenza (provare solvibilità) | Dimostrare che l’impresa può pagare regolarmente i debiti | Bilanci aggiornati, flussi di cassa prospettici, accordi di pagamento con altri creditori, attestazioni bancarie, documentazione incassi recenti |
Eccepire non fallibilità (sotto soglia) | Far rigettare per difetto requisiti dimensionali | Bilanci ultimi 3 esercizi, dichiarazioni fiscali, situazione debitoria analitica (per provare ≤ €500k debiti) |
Attivare procedura alternativa (comp. negoziata/concordato) | Rendere improcedibile o sospendere la decisione di fallimento | Copia domanda di concordato depositata, decreto di concessione misure protettive dal tribunale, PEC di conferma iscrizione a piattaforma comp. negoziata |
Transigere/pagare il creditore istante | Eliminare la ragione dell’istanza prima dell’udienza | Ricevute bonifico pagamento, accordo scritto di rinuncia all’istanza da parte del creditore, quietanza liberatoria |
Come si nota, l’approccio vincente è spesso multidimensionale: ad esempio, si può contestare parte del credito e intanto presentare un concordato preventivo per sicurezza, oppure eccepire non fallibilità e parallelamente dimostrare che c’è comunque un piano di risanamento. L’importante è non presentarsi passivi.
9. Tenere un profilo corretto e trasparente durante la crisi: nel cercare di difendersi dal fallimento, il debitore deve anche stare attento a non compiere passi falsi che possano ritorcersi contro di lui. Ad esempio, vendere sottobanco beni aziendali per fare cassa occulta è pericolosissimo: rischia accuse di bancarotta fraudolenta se poi si finisce in fallimento (oltre a privare l’azienda di asset). Così come preferire alcuni creditori a scapito di altri in fase di pre-insolvenza può portare a revocatorie post-fallimentari. È comprensibile l’istinto di “salvare il salvabile” (es. mettere al sicuro denaro su conti di terzi, intestare immobili a parenti last minute), ma queste operazioni non solo sono eticamente discutibili, ma solitamente falliscono: il curatore può revocarle o farle dichiarare inefficaci e, peggio, il giudice penale può configurarle come distrazioni fraudolente punibili penalmente. La difesa migliore è quella condotta alla luce del sole, sfruttando le norme. Ad esempio, se si vuole preservare la casa di abitazione, meglio valutare strumenti legali come il fondo patrimoniale (se costituito molto prima della crisi può proteggere certi beni, anche se con efficacia limitata verso debiti professionali) oppure puntare su accordi con i creditori che lascino fuori quell’asset. Altra cosa: collaborare con eventuali organi della crisi. Se si è attivata una composizione negoziata con un esperto, fornire tutti i dati richiesti, non ostacolarlo. Se si è in concordato con commissario, non nascondere informazioni. Il comportamento cooperativo può fare la differenza tra un esito concordatario positivo e un fallimento per inaffidabilità del debitore. Inoltre, in caso di eventuale fallimento, un atteggiamento corretto (consegna scritture contabili, nessuna sparizione di merce) eviterà guai peggiori e favorirà l’esdebitazione finale.
10. Pianificare la ripartenza (piano B): infine, il debitore deve prepararsi anche all’eventualità in cui, malgrado tutti gli sforzi, il fallimento avvenga. In tal caso, avere già in mente una strategia post-fallimento è utile. Per un farmacista questo significa: tutelare la propria professionalità (mantenendo l’iscrizione all’albo, magari trovando lavoro come direttore presso un’altra farmacia per continuare a produrre reddito durante la procedura), conoscere il diritto all’esdebitazione e predisporre quanto necessario per ottenerla (comportamento regolare, nessuna omissione di informazione, ecc.), e – perché no – individuare opportunità future. Potrà sembrare prematuro, ma alcuni farmacisti falliti, liberatisi dei debiti, a distanza di anni hanno potuto rilevare un’altra farmacia o rimettersi in affari con successo. Il fallimento non è più una “morte civile” a vita: grazie alle moderne norme, può essere un incidente da cui ci si risolleva. L’importante è imparare dagli errori gestionali commessi e non ripeterli. Se la crisi è derivata da cause strutturali (es. troppa concorrenza in zona), il farmacista potrebbe valutare di esercitare altrove o in forma diversa (parafarmacia, società di servizi). Insomma, mentre combatte per evitare il fallimento, il debitore lungimirante tiene un occhio anche al worst case scenario e predispone un paracadute.
Domande frequenti (FAQ)
D: Una farmacia può essere dichiarata fallita?
R: Sì. La farmacia privata rientra tra le imprese commerciali soggette a fallimento. La Cassazione a Sezioni Unite ha confermato che tanto la farmacia gestita da un imprenditore individuale quanto quella in forma societaria possono essere dichiarate fallite in caso di insolvenza. Il fatto che svolga un servizio pubblico essenziale (dispensazione del farmaco) non la esenta dalla legge fallimentare, ma impone semmai cautele per assicurare la continuità del servizio durante la procedura. Dunque, se una farmacia accumula debiti e non riesce più a pagarli regolarmente, i creditori possono chiederne il fallimento al tribunale. Fanno eccezione solo le farmacie di piccolissime dimensioni che rientrano nei parametri di non fallibilità (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k), nel qual caso restano soggette alle procedure minori di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata) ma non al fallimento ordinario.
D: Cosa succede alla licenza della farmacia in caso di fallimento?
R: Dipende dalla forma giuridica della titolarità: se la farmacia è intestata a una società (es. S.n.c. o S.r.l.) che fallisce, la licenza non decade automaticamente. La curatela può essere autorizzata a proseguire provvisoriamente l’esercizio e a cedere l’azienda farmacia a terzi, mantenendo la farmacia aperta. L’autorità sanitaria (Comune/ASL) in genere non revoca subito l’autorizzazione, proprio per consentire la vendita e la continuità del servizio. Se invece la farmacia appartiene a un singolo farmacista (ditta individuale) che viene dichiarato fallito, la legge prevede la decadenza dell’autorizzazione se entro 15 mesi dal fallimento non viene omologato un concordato a sua tutela. In altre parole, il farmacista fallito ha 15 mesi di tempo per risolvere la sua situazione (ad es. attraverso un concordato fallimentare); trascorso tale periodo senza soluzione, il Prefetto (o l’ASL competente) dichiarerà la decadenza della licenza e la sede farmaceutica sarà riassegnata. Durante quei mesi, comunque, il curatore può farsi autorizzare a tenere aperta la farmacia nominando un direttore responsabile, per evitare interruzioni del servizio. Dunque non c’è un ritiro immediato: c’è una finestra per salvare la farmacia, ma se non si trova un accordo, la licenza viene revocata per legge. Riassumendo: farmacia di società fallita – licenza mantenuta provvisoriamente e ceduta con l’azienda; farmacia di titolare individuale fallito – licenza a rischio decadenza salvo concordato entro 15 mesi.
D: I soci di una società di gestione della farmacia rispondono con i propri beni dei debiti?
R: Dipende dal tipo di società: – Nelle società di persone (S.n.c. e soci accomandatari di S.a.s.) i soci hanno responsabilità illimitata e solidale. Ciò significa che se la società non paga i debiti, i creditori possono escutere i patrimoni personali dei soci. In caso di fallimento, i soci illimitatamente responsabili vengono dichiarati falliti anch’essi, con spossessamento dei loro beni personali. – Nelle società di capitali (S.r.l., S.p.A.) invece vige la responsabilità limitata: i soci non rispondono con i beni propri, ma rischiano solo il capitale investito. Quindi se fallisce una S.r.l. titolare di farmacia, non falliscono i soci e i loro beni rimangono esclusi dalla massa fallimentare (salvo abbiano prestato garanzie personali o commesso illeciti). Pertanto, ad es., in una S.n.c. Farmacia i soci mettono in gioco l’intero patrimonio, in una S.r.l. i soci tendenzialmente no. Vale anche all’interno delle S.a.s.: il socio accomandatario (illimitato) risponde personalmente e fallisce, l’accomandante (limitato) no. Questa è una ragione per cui molti consigliano la trasformazione in S.r.l.: per proteggere i soci. Tuttavia ricordiamo che i soci di S.n.c./S.a.s. restano responsabili dei debiti sorti prima della trasformazione, salvo liberazione espressa dei creditori. Quindi conviene trattare anche quel profilo in caso di cambio forma.
D: Se la mia farmacia è molto piccola (sotto le soglie), posso evitare il fallimento?
R: Sì, se rientra nei parametri previsti (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) l’imprenditore può eccepire la propria non fallibilità. In tal caso il tribunale, verificati i numeri, dichiara inammissibile la richiesta di fallimento. Attenzione: questo non significa che il debitore “la fa franca” dai debiti – dovrà comunque affrontare le procedure da sovraindebitamento. Ad esempio, un farmacista sotto-soglia insolvente potrà essere soggetto alla liquidazione controllata (simile al fallimento ma per piccoli) o potrà proporre un concordato minore per risolvere la crisi. Però evita il fallimento con tutte le implicazioni di interdizioni e altro. Va inoltre evidenziato che molte farmacie superano facilmente almeno una soglia (tipicamente quella dei ricavi annui €200k). Se basta che uno dei tre parametri sia oltre il limite (ad es. ricavi €250k) per essere considerato fallibile. La legge richiede di avere il possesso congiunto dei tre requisiti per escludere il fallimento: quindi bisogna essere sotto tutte e tre le soglie. Basterebbe attivo €310k o debiti €600k per essere già potenzialmente fallibile. In sintesi: farmacia micro con volumi veramente ridotti – probabilmente non fallibile; la maggior parte delle farmacie – in genere supera almeno un limite e quindi ricade nel regime normale.
D: Cos’è la composizione negoziata della crisi e come può aiutare una farmacia in difficoltà?
R: È una procedura stragiudiziale introdotta nel 2021 per consentire alle imprese in crisi di negoziare accordi con i creditori assistite da un esperto indipendente. In pratica, il farmacista in difficoltà può chiedere (tramite piattaforma CCIAA) la nomina di un esperto; con lui si siede attorno a un tavolo con i principali creditori per trovare una soluzione: ad esempio dilazioni di pagamento, riduzione di interessi, ingresso di nuovi soci, ecc. Il tutto in modo riservato e volontario. Vantaggi: l’imprenditore mantiene la gestione (non c’è curatore), e può chiedere al tribunale misure protettive che bloccano temporaneamente esecuzioni e azioni dei creditori (per max 4+4 mesi). Se si trova un accordo, lo si formalizza (anche come accordo omologato o piano attestato) e si evita il fallimento. Se non si trova, l’imprenditore può comunque proporre un concordato semplificato per liquidare i beni senza passare dal voto dei creditori. Per una farmacia, la composizione negoziata è utile perché permette di coinvolgere banche, grossisti e Fisco in trattative guidate da un esperto neutrale, prima che scattino procedure concorsuali più invasive. Ad esempio, il curatore dell’impresa può persuadere la banca a non revocare i fidi e i fornitori a continuare a rifornire, spiegando che c’è un piano in corso, il tutto protetto dalle misure protettive. In sintesi, è uno strumento di allerta precoce: se attivato in tempo, può risolvere la crisi o preparare una soluzione concorsuale ordinata (accordo di ristrutturazione, concordato) invece del fallimento. Abbiamo dedicato una sezione approfondita sopra su come funziona esattamente (accesso, durata, esiti) con riferimenti aggiornati al 2025.
D: Qual è la differenza tra fallimento (liquidazione giudiziale) e liquidazione controllata?
R: Il fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”) è la procedura concorsuale di carattere ordinario, applicabile agli imprenditori commerciali sopra soglia. La liquidazione controllata è invece l’analoga procedura prevista dal Codice della Crisi per i soggetti non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori). La liquidazione controllata, disciplinata dagli artt. 268 e seguenti CCII, ricalca molti aspetti del fallimento: c’è un liquidatore nominato dal tribunale, il debitore viene spossessato dei beni, si procede alla liquidazione dell’attivo e al pagamento ai creditori secondo prelazioni, con possibile esdebitazione finale del debitore meritevole. Le differenze principali sono di forma: organo giudiziario monocratico anziché collegiale, regole semplificate e costi minori, e il fatto che spesso si attiva su istanza dello stesso debitore (mentre il fallimento è di solito su istanza di creditori). In sostanza, se una farmacia individuale piccolissima insolvente non può essere dichiarata fallita, finirà comunque in liquidazione controllata se vuole liberarsi dei debiti. Per creditori e debitore finali, cambia poco: entrambi portano alla vendita dei beni e alla cessazione dell’attività. Quindi la differenza è soggettiva: fallimento per imprese medio-grandi, liquidazione controllata per piccole/non commerciali. Un’altra differenza: nel fallimento i creditori possono fare istanza, nella liquidazione controllata solitamente è il debitore o il giudice su segnalazione (creditori possono solo avvisare gli OCC, ecc.). Nel contesto di farmacie, comunque, la gran parte rientra nel regime fallimento (essendo oltre soglia), tranne forse rare rurali microscopiche.
D: Cosa può fare un farmacista per evitare il fallimento della propria farmacia?
R: Può mettere in atto diverse strategie preventive e difensive. In sintesi: – Monitorare la salute finanziaria e intervenire subito ai primi segnali di crisi (calo liquidità, debiti in aumento). – Farsi assistere da consulenti esperti in risanamenti. – Ottimizzare la gestione: ridurre costi inutili, migliorare rotazione magazzino, aumentare i ricavi con servizi innovativi. – Negoziare con i creditori: chiedere dilazioni a banche e fornitori, fare piani di rientro sostenibili, approfittare di rottamazioni fiscali. – Apportare nuovi capitali: cercare soci finanziatori o vendere quote a terzi disposti a investire per ripianare i debiti. – Cambiare forma giuridica se opportuno: trasformare l’impresa individuale/S.n.c. in S.r.l. per limitare rischi personali (ma da fare con prudenza e negoziando i debiti pregressi). – Usare gli strumenti di composizione della crisi: ad esempio attivare la composizione negoziata per trovare un accordo guidato prima di arrivare all’insolvenza conclamata; oppure, se già necessario, proporre un concordato preventivo (magari “in bianco” per bloccare creditori e guadagnare tempo per il piano). – Difendersi attivamente in sede prefallimentare se un creditore agisce: contestare il dovuto, dimostrare la continuità dell’azienda, eccepire la non fallibilità se applicabile, e magari pagare selettivamente il creditore istante per far ritirare l’istanza. Tutto questo va accompagnato da un comportamento onesto e collaborativo: niente occultamenti o atti in frode, che aggraverebbero la situazione. In poche parole, giocare d’anticipo, cercare soluzioni negoziali e utilizzare le procedure di risanamento previste dalla legge. Così facendo, aumentano molto le chance di evitare il fallimento.
D: Cosa succede ai dipendenti se la farmacia fallisce?
R: I dipendenti della farmacia (farmacisti collaboratori, commessi, magazzinieri) diventano a loro volta creditori del fallimento per le retribuzioni non pagate, il TFR, le ferie maturate ecc. Se l’attività prosegue in esercizio provvisorio, il curatore si fa carico di pagarli per il lavoro prestato dopo la dichiarazione di fallimento (sono spese prededucibili). Per i crediti anteriori (stipendi arretrati, TFR maturato fino alla data del fallimento), i dipendenti vengono ammessi al passivo con privilegio sul patrimonio mobiliare dell’azienda (art. 2751-bis c.c.). Questo privilegio li mette abbastanza in alto nella graduatoria dei pagamenti: di solito recuperano gran parte di quanto dovuto, se ci sono beni da liquidare. Inoltre, possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità: dunque se il fallimento non paga integralmente, l’INPS interviene a tutela. In caso di cessione dell’azienda farmacia durante la procedura, il compratore può decidere di riassorbire i dipendenti (subentro nei contratti di lavoro): spesso ciò accade, perché il valore della farmacia comprende un team rodato. In un concordato in continuità, invece, i dipendenti restano in forza all’azienda e non subiscono interruzioni, venendo pagati secondo gli accordi del piano. In definitiva: nel fallimento puro, vi è la cessazione dei rapporti di lavoro ma con diritti indennitari (pagati dal fallimento o dall’INPS); se l’azienda viene venduta, c’è possibilità di conservare il posto col nuovo esercente; se c’è continuità (esercizio provvisorio o concordato), prosegue il rapporto. Dal punto di vista pratico per il titolare, il costo del personale durante un eventuale esercizio provvisorio è un onere di cui il curatore terrà conto – se la farmacia non regge quei costi, potrebbe interrompere l’esercizio e licenziare. Ma questo scenario è raro perché di solito l’esercizio provvisorio è autorizzato proprio quando l’attività è in attivo operativo e può coprire i propri costi.
D: Dopo un fallimento, il farmacista può ottenere la cancellazione dei debiti rimasti?
R: Sì, attraverso l’esdebitazione. La legge consente al fallito persona fisica di essere liberato dai debiti residui non pagati al termine della procedura. Con il Codice della Crisi, l’esdebitazione è quasi automatica per il fallito “meritevole”: se ha cooperato con gli organi della procedura, non ha occultato beni e non ha commesso irregolarità gravi, ottiene di diritto l’esdebitazione alla chiusura del fallimento. Nel vecchio regime bisognava fare istanza e dimostrare di aver soddisfatto almeno parzialmente i creditori e tenuto condotta irreprensibile; ora questi requisiti sono meno stringenti. Restano esclusi dall’esdebitazione: i debiti di natura alimentare, le obbligazioni derivanti da dolo o colpa grave verso terzi, le multe penali e amministrative, e in generale i debiti per risarcimenti da fatti illeciti non possono essere cancellati. Ma i debiti tipici dell’impresa (fornitori, banche, fisco per la parte non soddisfatta, ecc.) vengono spazzati via. In concreto, per un farmacista questo significa poter ripartire senza il macigno dei vecchi debiti. Ad esempio, se dopo liquidazione fallimentare rimangono €300k di debiti chirografari insoddisfatti, con l’esdebitazione egli non ne risponderà più. Per ottenerla deve comportarsi bene: consegnare i libri contabili al curatore, non sottrarre attivi, non falsificare documenti. Se ha commesso reati gravi (bancarotta fraudolenta, ad esempio), l’esdebitazione può essere negata. Ma casi del genere a parte, oggi la tendenza è di dare al fallito onesto una “fresh start”. Nel CCII esiste anche una forma di esdebitazione immediata per il debitore incapiente (art. 283 CCII) che non ha soddisfatto nulla: può chiedere la cancellazione dei debiti subito, a patto di non avere attivo da liquidare e di meritarselo (questo istituto però riguarda il sovraindebitamento di persone fisiche non imprenditori in primis; per l’imprenditore c’è comunque la via ordinaria a fine procedura). Insomma, il farmacista fallito una volta chiuso tutto può aspirare a rimettersi in gioco senza oneri pregressi, voltando pagina.
D: Un farmacista fallito può continuare a lavorare come farmacista?
R: Sì, con alcuni distinguo. Se il farmacista era titolare individuale ed è fallito, come detto viene revocata la sua autorizzazione a esercitare quella farmacia (salvo concordato entro 15 mesi). Quindi non può più essere titolare di quella farmacia. Tuttavia, la sua qualifica professionale di farmacista (la laurea, l’abilitazione, l’iscrizione all’Albo) permane – il fallimento di per sé non comporta la radiazione dall’albo né la perdita dell’abilitazione. Pertanto, il farmacista può lavorare come dipendente o collaboratore in un’altra farmacia. Deve però rispettare alcune condizioni: durante la procedura fallimentare, per certe cariche vige l’interdizione (un fallito non può essere amministratore di società fino alla chiusura del fallimento, e spesso per 5 anni successivi). Ma fare il direttore di farmacia altrui o collaboratore non è una carica societaria, è un lavoro subordinato, e non ci sono norme che lo vietino al fallito (purché informi eventualmente il curatore dei redditi che percepisce, perché questi potrebbero dover essere parzialmente messi a disposizione dei creditori se eccedenti il sostentamento). Quindi, un farmacista fallito può trovare impiego presso altre farmacie o parafarmacie come farmacista collaboratore. Certo, potrebbe affrontare problemi di reputazione o diffidenza, ma legalmente nulla glielo impedisce. Dopo l’esdebitazione o la chiusura del fallimento, inoltre, torna pienamente libero. Potrebbe persino riaprire un’attività imprenditoriale – per tornare a essere titolare di farmacia dovrebbe però ottenere una sede tramite concorso/acquisto, il che dipende dalle opportunità di mercato e normative, non dal fallimento in sé. Non vi è una preclusione perpetua: una volta chiusa la procedura, il soggetto non è più “fallito” e può intraprendere nuove iniziative. Di fatto, conosciamo casi di farmacisti che, fallita una gestione, dopo alcuni anni ne hanno rilevata un’altra (magari con l’aiuto di soci). In conclusione, il fallimento è un evento grave ma non segna la fine della carriera professionale: il farmacista come professionista può continuare a esercitare (come dipendente) e, dopo aver regolato i conti con i creditori, anche tornare a fare impresa se le condizioni lo consentono.
D: Quali sono le novità normative più recenti (2024-2025) sulla crisi d’impresa di cui tener conto?
R: Le più rilevanti sono quelle apportate dal D.Lgs. 83/2022 e dal D.Lgs. 136/2024 al Codice della Crisi. In particolare: – È stato chiarito che gli strumenti di allerta e la composizione negoziata si possono attivare già in situazione di “mera crisi” o squilibrio, senza attendere l’insolvenza conclamata. – Per le PMI sotto-soglia, dal 2023-24 si è migliorata l’accessibilità alle procedure: ad esempio la composizione negoziata sotto-soglia richiede documentazione semplificata e ora consente anche a queste imprese di accedere agli stessi istituti finali dei grandi (concordato semplificato, transazione fiscale). – Il concordato semplificato per la liquidazione è diventato uno strumento stabile nell’ordinamento (art. 25-sexies CCII), accessibile anche alle imprese minori, e consente al debitore di chiudere rapidamente la partita liquidando i beni senza voto dei creditori. – Sul fronte transazione fiscale, il Decreto 136/2024 ha eliminato alcune restrizioni: ora anche nei concordati minori e negli accordi di ristrutturazione di PMI è possibile falcidiare e ristrutturare i debiti fiscali con l’omologazione, anche se l’Erario dissente, purché l’offerta sia conveniente (recependo di fatto la Direttiva UE sul cram-down fiscale). – Sono state introdotte misure di incentivazione: ad esempio, vengono confermate esenzioni da revocatoria per i finanziamenti erogati nell’ambito di accordi o piani omologati, e misure premiali in sede penale/fiscale per chi ricorre tempestivamente alle procedure di composizione (ad esempio la non punibilità per bancarotta semplice se si attiva l’allerta tempestiva ed il danno ai creditori è lieve). – Nomine organi di controllo: è stato ricordato che molte S.r.l. devono nominare sindaci o revisori se superano certi limiti (attenzione per le farmacie in forma societaria: se hanno ricavi sopra 4 milioni o 6 milioni a seconda dei casi, scatta l’obbligo). – Sul fronte giurisprudenziale, segnaliamo la Cassazione SU 2021 già citata su fallibilità farmacie, ma anche pronunce di merito recenti: ad esempio Tribunale di Nola 2025 ha stabilito che le misure protettive in composizione negoziata non impediscono ai creditori di notificare decreti ingiuntivi o segnalare a Centrale Rischi (per limitarne l’abuso). Oppure Tribunale di Mantova 2023 ha ammesso un concordato minore anche con presenza di debiti misti (pubblici e privati), chiarendo l’interpretazione delle soglie. In ambito farmacie, il Consiglio di Stato nel 2021 (sent. n. 6288/2021) ha confermato che la decadenza della sede farmaceutica non è automatica col fallimento, specie se vi sono atti conservativi della curatela, rafforzando la tutela della continuità. In sintesi: normative sempre più orientate alla prevenzione e al risanamento anticipato, e giudici che in linea applicano queste norme favorendo concordati e accordi rispetto al fallimento, se c’è possibilità.
Fonti e riferimenti (aggiornate a luglio 2025)
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (CCII), e successive modifiche: D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021; D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83; D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149; D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136.
- R.D. 16 marzo 1942 n. 267 – Legge Fallimentare (artt. 1, 15, 67, 160-186) – (normativa previgente, rilevante per concetti e procedure pendenti).
- R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 – Testo Unico Leggi Sanitarie, art. 113 (decadenza autorizzazione farmacia per fallimento); art. 110 e 112 (obblighi del titolare, personalità dell’autorizzazione); art. 2288 c.c. e art. 2315 c.c. (esclusione socio fallito in società di persone).
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 25 giugno 2021, n. 11292: fallibilità delle farmacie private – conferma assoggettabilità a fallimento e autonomia tra procedura concorsuale e vicende amministrative (licenza).
- Cassazione Civile, Sez. I, 6 agosto 2021, n. 22454: (vicenda Farmacia in concordato in bianco) – principi su obblighi informativi nel concordato preventivo e responsabilità ex art. 2560 c.c. per debiti d’azienda ceduta.
- Corte Costituzionale, sent. 17 aprile 2018 n. 114: (non attinente direttamente a farmacie, riguarda opposizioni esecuzione tributarie; citata per completezza sulla tutela giurisdizionale del contribuente).
- Consiglio di Stato, Sez. III, 14 settembre 2021 n. 6288: (caso Farmacia San Bartolomeo) – ha annullato la pronuncia del TAR Umbria che dichiarava irricevibile il ricorso per difetto di rappresentanza dovuto al fallimento della socia accomandataria, consentendo alla curatela fallimentare di proseguire il ricorso. Conferma che l’autorità deve nominare curatore speciale per società senza rappresentante e che la decadenza della farmacia non è automatica.
- T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 2 dicembre 2021 n. 12078: illegittimità provvedimento di decadenza licenza farmacia senza preventiva contestazione e in pendenza di esercizio provvisorio (richiama TAR Lazio n. 10708/21).
- T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 10 gennaio 2013 n. 24: necessità di consentire deduzioni al titolare prima di disporre decadenza per chiusura >15 giorni.
- Legge 4 agosto 2017 n. 124 (Legge sulla Concorrenza 2017): art. 1 commi 157-165, apertura della titolarità delle farmacie alle società di capitali; modifica legge 362/1991 eliminando limite 4 farmacie e obbligo maggioranza farmacisti.
- Legge 8 novembre 1991 n. 362: Norme di riordino del settore farmaceutico, art. 7 (società fra farmacisti, obbligo direttore responsabile, un anno per cedere farmacia in caso di morte titolare, ecc.).
- Massimario Commissione Allerta CNDEC: (linee guida su indici di crisi per farmacie; es. indice di liquidità, ritardi fiscali – riferimenti 2022).
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