Sei un commercialista con debiti e la situazione finanziaria sta diventando insostenibile?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, pignoramenti, decreti ingiuntivi o solleciti da banche, finanziarie o fornitori e temi ripercussioni sulla tua attività professionale e sulla tua reputazione? In questi casi è fondamentale conoscere i tuoi diritti, capire come difenderti legalmente e utilizzare strumenti che ti permettano di proteggere il tuo patrimonio, la tua attività e la tua immagine professionale.
Quando un commercialista può trovarsi con debiti
– Quando ha acceso mutui, prestiti o leasing per lo studio e non riesce più a rispettare le scadenze
– Quando ha accumulato debiti fiscali o contributivi personali o della propria attività professionale
– Quando ha fatto da garante per clienti, soci o familiari e si è ritrovato a dover pagare al loro posto
– Quando spese impreviste, calo di clienti o mancati incassi hanno compromesso la liquidità
– Quando ha subito sanzioni o cause legali che hanno generato costi elevati
Cosa può succedere a un commercialista con debiti
– Pignoramento dei conti correnti personali o dello studio professionale
– Pignoramento presso terzi dei crediti verso clienti o enti
– Iscrizione ipotecaria su immobili personali o dello studio
– Segnalazione nelle banche dati creditizie come cattivo pagatore, con difficoltà ad accedere a nuovi finanziamenti
– Stress, ansia e pressione psicologica, con possibili ripercussioni sul lavoro e sui rapporti con i clienti
– Nei casi più gravi, rischio di procedimenti disciplinari o perdita di credibilità professionale
Cosa può fare un commercialista per difendersi dai debiti
– Far verificare da un avvocato la natura dei debiti e valutare se sono contestabili, prescritti o riducibili
– Per le cartelle esattoriali, esaminare soluzioni come rateizzazione, rottamazione o saldo e stralcio
– In caso di forte indebitamento, ricorrere alla procedura di sovraindebitamento o ad altri strumenti di composizione della crisi previsti dalla legge
– Negoziare piani di rientro sostenibili con banche, finanziarie e fornitori per ridurre interessi e more
– Proteggere il patrimonio personale e professionale con strumenti giuridici legittimi
– Bloccare o sospendere pignoramenti e azioni esecutive quando vi siano i presupposti legali
Cosa può ottenere un commercialista con la giusta assistenza legale
– La sospensione di pignoramenti, ipoteche e altre azioni esecutive
– La riduzione del debito complessivo attraverso accordi o procedure giudiziarie
– La protezione degli immobili, dei beni e degli strumenti di lavoro
– La possibilità di ristrutturare i debiti e ripristinare la liquidità
– Il recupero della serenità professionale e personale, salvaguardando la reputazione
Attenzione: anche un professionista iscritto a un albo non è immune dalle azioni dei creditori, ma può utilizzare strumenti di difesa molto efficaci per tutelare la propria attività e il proprio futuro. Agire subito è la strategia migliore per evitare il peggioramento della crisi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in sovraindebitamento, tutela dei professionisti e difesa del patrimonio – ti spiega cosa fare se sei un commercialista con debiti, come proteggerti e come risolvere legalmente la crisi finanziaria.
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Introduzione
Un commercialista gravato da debiti – siano essi di natura fiscale, professionale o personale – si trova in una posizione delicata e complessa. In Italia, l’ordinamento ha sviluppato negli ultimi anni una serie di strumenti legali che mirano a tutelare il debitore onesto ma in difficoltà, offrendo soluzioni per ristrutturare o cancellare i debiti, bilanciando al contempo i diritti dei creditori. Tali strumenti, inizialmente introdotti con la Legge 3/2012 (la cosiddetta legge sul sovraindebitamento o “salva-suicidi”), sono stati poi integrati e aggiornati nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), entrato in vigore a pieno regime nel 2022. Questo Codice ha assorbito la normativa previgente in materia concorsuale (fallimenti, concordati preventivi) e di sovraindebitamento, mantenendone lo spirito originario improntato al favor debitoris (favore verso il debitore meritevole). Ciò significa che oggi anche un professionista come il commercialista che si trovi oppresso dai debiti ha a disposizione procedure concorsuali minori (specifiche per soggetti non fallibili) per uscire dalla crisi, evitando di rimanere esposto indefinitamente a pignoramenti e azioni esecutive.
Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – fornisce un quadro avanzato e dettagliato delle tutele legali a disposizione di un commercialista debitore, con riferimento alla normativa italiana vigente, alle ultime modifiche normative e alle più recenti sentenze di merito e di legittimità. Adotteremo un linguaggio tecnicamente rigoroso ma di taglio divulgativo, utile sia ai professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia agli stessi commercialisti, imprenditori e privati coinvolti. L’analisi abbraccerà tutte le tipologie di debito che possono riguardare un commercialista (debiti tributari, previdenziali, bancari, verso fornitori, verso clienti per risarcimenti, ecc.), esaminando le conseguenze sul patrimonio personale e familiare (responsabilità patrimoniale illimitata ex art. 2740 c.c., regime di comunione/separazione dei beni, protezione della casa, fondo patrimoniale, ecc.) e le possibili strategie di difesa. Verranno spiegate in dettaglio le procedure concorsuali da sovraindebitamento ora disciplinate dal CCII – come il piano del consumatore (per debiti personali), il concordato minore (per professionisti e imprese minori) e la liquidazione controllata – nonché l’innovativa esdebitazione del debitore incapiente, evidenziando requisiti, vantaggi e limiti di ciascuna soluzione.
Non mancheranno tabelle riepilogative per confrontare le diverse procedure, una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi pratici più comuni (ad esempio: “Un commercialista può fallire?”, “Come proteggere la casa di famiglia dai creditori?”, “È possibile ridurre i debiti fiscali?”, “Cosa rischia il coniuge non debitore?”), e alcune simulazioni pratiche basate su casi reali, in particolare dal punto di vista del debitore (quindi come impostare una difesa efficace contro le pretese dei creditori, sia in sede stragiudiziale che giudiziale). L’obiettivo finale è offrire una guida completa su “commercialista con debiti: cosa fare per difendersi”, indicando le vie d’uscita legali da situazioni di indebitamento grave, sulla base della normativa aggiornata e delle pronunce giurisprudenziali più autorevoli al 2025.
Quadro normativo attuale e principi generali
Evoluzione normativa. La possibilità per un soggetto non fallibile (come i professionisti) di accedere a procedure per la composizione della crisi debitoria è relativamente recente. Con la Legge 3/2012 il legislatore italiano ha introdotto per la prima volta una disciplina organica del sovraindebitamento, rivolta a privati, professionisti e piccoli imprenditori non assoggettabili al fallimento. Tale legge – definita anche “salva-suicidi” – ha previsto tre strumenti fondamentali: (1) il piano del consumatore (un piano di ristrutturazione per persone fisiche che hanno debiti personali, senza necessità di accordo dei creditori), (2) l’accordo di ristrutturazione (poi chiamato accordo di composizione della crisi, per debitori non consumatori, con voto dei creditori) e (3) la liquidazione del patrimonio (procedura di liquidazione concorsuale dei beni del debitore, con eventuale cancellazione dei debiti residui). Il tutto assistito dagli Organismi di Composizione della Crisi (OCC), enti e professionisti istituiti per aiutare il debitore nella preparazione del piano o della proposta. La ratio della legge 3/2012 era (ed è rimasta) quella di offrire una seconda chance al debitore sovra-indebitato ma onesto, evitando che venga emarginato economicamente o spinto nell’illegalità (usura, mercato nero del credito). In altre parole, si è introdotto nel nostro ordinamento il principio del fresh start per le persone fisiche in crisi, analogo a quello dei sistemi anglosassoni, bilanciandolo però con adeguate garanzie per i creditori.
A partire dal 15 luglio 2022, l’intera disciplina del sovraindebitamento (insieme a quella fallimentare) è confluita nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019. Il CCII ha abrogato la Legge Fallimentare del 1942 e la stessa L.3/2012 (formalmente richiamata dall’art. 390 CCII), riunendo tutte le procedure concorsuali in un testo unico moderno. Importante sottolineare che lo spirito originario della L.3/2012 è stato mantenuto: la Relazione Illustrativa al D.Lgs. 14/2019 conferma la volontà di preservare la funzione “antiusura” e pro-debitore delle norme sul sovraindebitamento. In dottrina e giurisprudenza si parla infatti di un principio-guida di favor debitoris, che impone di interpretare le norme in modo da agevolare il debitore meritevole nell’uscire dalla crisi, evitando formalismi eccessivi che ne frustrino l’accesso. Lo scopo sociale è infatti il reinserimento del debitore nell’economia regolare, anziché punirlo con una “pena economica perpetua”.
Novità introdotte dal CCII (2019-2024). Il Codice della crisi, specie tramite i successivi decreti correttivi, ha ampliato l’accesso e l’efficacia delle procedure da sovraindebitamento, introducendo importanti innovazioni. Alcune novità di rilievo per il debitore sono:
- Esdebitazione “a zero” per il debitore incapiente: è stata introdotta una procedura semplificata (artt. 283-287 CCII) che consente di cancellare tutti i debiti anche a chi non possiede alcun patrimonio liquidabile, purché sia meritevole (ovvero non abbia colpe gravi o frodi). Si tratta di un provvedimento eccezionale, concesso una tantum, che rappresenta una sorta di “grazia civile” per il debitore onesto ma sfortunato. Questa possibilità – assente in passato – evita di dover aprire comunque una liquidazione formale pur in assenza di beni, ed è pensata per chi è nullatenente e in condizioni di indigenza totale. La vedremo nel dettaglio più avanti.
- Procedure familiari congiunte: l’art. 66 CCII (introdotto con il correttivo “ter” del 2024) permette ai membri dello stesso nucleo familiare convivente, sovraindebitati, di presentare un’unica procedura congiunta. Ad esempio, marito e moglie indebitati possono proporre un solo piano comune invece di due separati, con risparmio di costi e una gestione coordinata dei debiti familiari. Questo strumento, già anticipato dal DL 137/2020, riconosce che spesso le situazioni di sovraindebitamento coinvolgono l’intera famiglia e vanno affrontate unitariamente.
- Soglie di consenso abbassate e cram-down fiscale: nel concordato minore (ex accordo) la percentuale di crediti chirografari necessaria per l’approvazione è stata ridotta al 50% (prima era 60% sotto L.3/2012). Inoltre, ispirandosi alla Direttiva UE 2019/1023, sono state introdotte norme che consentono al giudice di omologare il piano anche senza il voto favorevole del Fisco (cram-down dell’Erario), a certe condizioni. In particolare, il tribunale può imporre la ristrutturazione dei debiti fiscali o contributivi se la proposta del debitore assicura al Fisco una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in liquidazione. Restano però paletti specifici come l’obbligo di pagamento integrale dell’IVA salvo apporto esterno (in ossequio al diritto UE). Ad esempio, si può proporre di pagare solo il 30% di una cartella esattoriale in 5 anni e, se il piano è omologato, ciò vincolerà l’Erario. Questa è una differenza fondamentale rispetto al passato: oggi anche i debiti tributari possono essere falcidiati nei piani di sovraindebitamento, mentre tradizionalmente erano intoccabili se il Fisco non acconsentiva.
- Automatismo dell’esdebitazione post-liquidazione: il CCII ha eliminato l’obbligo di presentare una separata istanza per ottenere l’esdebitazione dopo la liquidazione. Ora la liberazione dai debiti residui è automatica decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione controllata, salvo opposizione dei creditori. In pratica, se un professionista mette a disposizione tutti i suoi beni in liquidazione, trascorso il periodo di liquidazione (massimo tre anni) ottiene di diritto la cancellazione dei debiti rimasti, a meno che emergano frodi o comportamenti gravemente scorretti. Questo accelera la “riabilitazione” economica: prima serviva un ulteriore procedimento in tribunale per dichiarare l’esdebitazione, ora avviene di default (un po’ come la discharge automatica nel Chapter 7 statunitense).
- Definizione di consumatore più chiara: il CCII (art. 2, co.1 lett. e) ha precisato che è consumatore il debitore persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Questo aiuta a distinguere meglio i casi: se un commercialista ha debiti principalmente legati alla sua attività professionale (es. tasse, fornitori dello studio), non potrà accedere al “piano del consumatore” ma dovrà usare il concordato minore. Se invece i suoi debiti sono per lo più personali (es. mutuo casa, prestiti al consumo) e marginalmente qualche debito di lavoro, potrebbe ancora qualificare come consumatore (come vedremo, c’è una certa flessibilità per i debiti promiscui, confermata anche dalla giurisprudenza). In sostanza, oggi la distinzione è più netta, riducendo incertezze sull’accesso all’una o all’altra procedura.
Parallelamente, sono stati mantenuti e affinati i criteri di meritevolezza del debitore. La legge non vuole premiare chi ha colpa grave o ha frodato i creditori. Tuttavia, l’orientamento è passato da una valutazione morale discrezionale a parametri più oggettivi. Oggi si guarda essenzialmente all’assenza di atti in frode o mala fede: ad esempio, Cassazione 22890/2023 ha chiarito che i giudici devono attenersi ai nuovi criteri semplificati (assenza di colpa grave, malafede o frode) nell’apprezzare la meritevolezza, senza introdurre ulteriori vagli soggettivi. Questo significa che anche un professionista che abbia commesso imprudenze ma non veri e propri atti dolosi può accedere alle procedure – il focus è sulla buona fede e sulla collaborazione del debitore, più che sulle cause remote dell’indebitamento.
Chi può accedere e quali procedure sono disponibili
Professionisti “non fallibili”. Un punto cruciale per un commercialista indebitato è capire quali procedure concorsuali gli sono effettivamente accessibili, dato che le tradizionali procedure fallimentari (fallimento ora chiamato liquidazione giudiziale, concordato preventivo, amministrazione straordinaria, ecc.) sono riservate agli imprenditori commerciali sopra determinate soglie. I liberi professionisti come i dottori commercialisti non sono considerati imprenditori commerciali ai fini di queste leggi, in quanto svolgono un’attività intellettuale regolamentata, priva del requisito della “commercialità”. Di conseguenza, un commercialista non può essere dichiarato fallito in senso tecnico. Anche se esercita in forma organizzata (studio professionale), la sua attività non rientra tra quelle assoggettabili a fallimento (lo ha affermato chiaramente, ad esempio, il Tribunale di Forlì in un caso riguardante una società tra professionisti di commercialisti). In tale provvedimento si legge che le società tra professionisti (STP) costituite ai sensi della L.183/2011, operando in via esclusiva attività professionale, non rivestono la qualità di imprenditore e pertanto non sono assoggettabili al fallimento, neppure se formalmente costituite in forma di società di capitali. Questo principio vale a maggior ragione per il singolo professionista.
Ne consegue che le uniche procedure percorribili per un commercialista in insolvenza sono quelle previste per i soggetti non fallibili, ossia le procedure da sovraindebitamento. Il CCII dedica a queste la Parte III, distinguendo tra:
- Persone fisiche consumatrici – Debitori che hanno contratto obbligazioni per scopi personali estranei all’attività d’impresa/professione. Esempio: un commercialista che ha debiti per un mutuo della prima casa, prestiti personali, carte di credito, bollette non pagate, ecc., senza legami con la sua attività professionale, può qualificarsi come consumatore.
- Debitori non consumatori sotto-soglia – Questa categoria include i professionisti (come i commercialisti), gli imprenditori individuali minori e in genere tutti coloro che, pur svolgendo attività economica, non raggiungono i requisiti dimensionali per la fallibilità. Il CCII ha sostanzialmente ripreso i vecchi parametri dell’art. 1 legge fall., stabilendo che è considerato “imprenditore minore” (e dunque non assoggettabile a liquidazione giudiziale) chi nei tre esercizi precedenti non ha superato contemporaneamente tre soglie: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi lordi annui ≤ €200.000 e debiti totali ≤ €500.000. Se un’impresa rientra in questi limiti, resta fuori dal fallimento (art. 49 CCII) e può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento. Ad esempio, un commercialista con partita IVA i cui debiti professionali (tasse, fornitori, affitto studio) superino anche €500.000 potrebbe teoricamente eccedere le soglie, ma trattandosi di professionista intellettuale egli non è comunque “imprenditore commerciale”, quindi la sua non fallibilità deriva in primo luogo dal tipo di attività (professionale) e non solo dai limiti finanziari. In pratica, chiunque non sia soggetto a fallimento può accedere al sovraindebitamento: persone fisiche, imprenditori sotto-soglia, professionisti, start-up innovative, enti non profit, imprenditori agricoli (che per legge non falliscono). Perfino i soci illimitatamente responsabili di società fallibili possono usare queste procedure per i debiti personali conseguenti a escussioni di garanzie.
Da ciò discende che un commercialista indebitato rientra sicuramente tra i soggetti legittimati: è annoverato espressamente tra i “professionisti” cui la legge offre tutela. Se svolgeva anche una piccola attività commerciale collaterale (esempio: gestione di un centro di elaborazione dati come impresa separata) e tale attività fosse sopra soglia, potrebbe essere teoricamente fallibile in relazione a quella, ma nella maggior parte dei casi i debiti di un commercialista derivano dalla sua attività ordinaria, non fallibile.
Studio associato o società professionale. Occorre una precisazione per i casi in cui il commercialista operi in forma collettiva:
- Uno studio associato fra professionisti (associazione non riconosciuta, tipica forma di organizzazione degli studi) non ha personalità giuridica distinta. I debiti assunti nello svolgimento dell’attività associata ricadono sui professionisti associati in base agli accordi interni e alle regole generali sulle obbligazioni solidali. In genere, se ad esempio due commercialisti in studio associato contraggono un debito per l’affitto dell’ufficio o per un leasing di attrezzature, entrambi ne rispondono con il proprio patrimonio, salvo patto contrario noto ai terzi. Poiché lo studio associato non è un soggetto giuridico autonomo, non può fallire esso stesso, né accedere come tale alle procedure; saranno i singoli professionisti (eventualmente ciascuno per la sua parte di debito) a dover ricorrere agli strumenti di sovraindebitamento. È possibile però che due o più co-debitori facciano ricorso congiunto se conviventi e parte della stessa famiglia (es. coniugi professionisti indebitati insieme): in tal caso si sfrutterebbe la procedura familiare unificata. Ma tra soci di studio non legati da vincoli familiari, ogni socio dovrà presentare la propria procedura, eventualmente coordinando le soluzioni (ad es. ciascuno propone un concordato minore e i creditori votano su ciascuno).
- Una società tra professionisti (STP), invece, è un soggetto giuridico distinto. La L. 183/2011 consente ai professionisti iscritti in ordini (dottori commercialisti, avvocati, ingegneri, etc.) di costituire società per l’esercizio in comune della professione. Tali società possono avere forma di società di persone (es. SNC, SS), di capitali (SRL, SPA) o cooperativa, purché rispettino i requisiti di maggioranza di soci professionisti, esclusività dell’oggetto, ecc.. La questione cruciale è: una STP può fallire? La risposta, secondo la giurisprudenza prevalente, è no. Come visto, il Tribunale di Forlì nel 2017 ha stabilito che una società tra professionisti (nel caso di specie, una STP di commercialisti in forma di SRL) non svolgendo attività commerciale, non può essere assimilata alle società commerciali e dunque non è assoggettabile a fallimento, neppure se supera le soglie dimensionali. Ciò significa che anche la STP, se insolvente, deve ricorrere alle procedure di sovraindebitamento (all’epoca L.3/2012, oggi corrispondenti nel CCII). Il paradosso apparente di una SRL “non fallibile” si spiega con la natura dell’attività: la società professionale pur avendo forma commerciale svolge solo attività intellettuale dei soci, senza scopo commerciale autonomo. Dunque, in caso di crisi di una STP, questa potrebbe presentare, ad esempio, un concordato minore (analogo al concordato preventivo ma per non fallibili) oppure una liquidazione controllata. I creditori, d’altra parte, potranno aggredire solamente il patrimonio sociale della STP, a meno che abbiano garanzie personali dai soci (spesso però banche e fornitori chiedono comunque fideiussioni personali dei professionisti, rendendo così di fatto i soci co-obbligati).
In sintesi, qualsiasi debito di un commercialista – sia come persona fisica, sia come socio di uno studio o STP – potrà essere trattato nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, poiché questi soggetti rientrano tra i “non fallibili” destinatari della normativa speciale. Resta inteso che qualora il commercialista abbia invece operato come imprenditore (ad esempio aprendo una società di servizi contabili non ordinistica, o una SRL che offre consulenza fiscale non come STP ma come impresa di consulenza), e tale soggetto sia fallibile, si applicheranno le procedure ordinarie per quella società (fallimento, concordato preventivo). Ma a titolo personale, il professionista manterrebbe la possibilità di accedere al sovraindebitamento per i debiti personali o da garanzie escusse.
Vediamo ora le procedure disponibili e come funzionano, per poi affrontare il tema cruciale della responsabilità patrimoniale e delle tutele sui beni.
Le tipologie di procedure disponibili per il debitore (piano, concordato minore, liquidazione, esdebitazione)
L’ordinamento offre principalmente tre procedure giudiziali (più una misura “extra”) a cui un debitore sovraindebitato può accedere. Queste procedure, inizialmente previste dalla L.3/2012, ora sono disciplinate dal Codice della crisi (artt. 65–83 CCII per i piani/concordati, artt. 268–277 CCII per la liquidazione controllata, artt. 282–283 CCII per l’esdebitazione incapiente). Ecco una panoramica:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in breve piano del consumatore): è riservato esclusivamente al debitore persona fisica consumatore, cioè colui che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. In pratica, tipicamente famiglie, pensionati, lavoratori dipendenti o autonomi per debiti personali. Consente di proporre al giudice un piano di pagamento sostenibile dei debiti, calibrato sul reddito e patrimonio del debitore. Non richiede il consenso dei creditori: questi vengono informati e possono eventualmente fare opposizione, ma la decisione spetta al tribunale, che omologa se ritiene il piano fattibile e il debitore meritevole. È dunque una procedura altamente “protettiva” per il debitore onesto: permette di ristrutturare i debiti anche contro il volere di alcuni creditori, offrendo il rimborso parziale secondo le possibilità reali. Tuttavia, il piano del consumatore non è accessibile a chi ha debiti riferibili alla propria attività d’impresa o professionale. Un commercialista potrà usarlo solo se tutti o la gran parte dei suoi debiti sono personali (es. debiti familiari, fiscali come privato contribuente, ecc.) e non correlati alla sua attività di commercialista. Se invece ha debiti “promiscui” (parte personali, parte professionali), occorrerà valutare la prevalenza: Cass. 22699/2023 ha recentemente affermato che, in caso di debiti misti, si può accedere al piano del consumatore se prevalgono nettamente quelli personali, anche se residuano alcuni debiti da attività. In caso dubbio o di rilevante componente professionale, comunque, è più sicuro orientarsi verso il concordato minore.
- Concordato minore (già chiamato accordo di composizione): è la procedura destinata ai debitori non consumatori – dunque professionisti, imprenditori minori, start-up, società sotto-soglia, oppure anche persone fisiche che abbiano debiti di natura mista (in parte consumer, in parte d’impresa). In sostanza, un commercialista con debiti professionali rientra in questa categoria. Il concordato minore è analogo, come filosofia, a un concordato preventivo semplificato: il debitore propone un accordo ai creditori, eventualmente suddividendoli in classi, offrendo il pagamento parziale dei crediti secondo un piano che può anche prevedere la continuazione dell’attività (es. il professionista continua a esercitare e destina ai creditori una parte dei futuri guadagni). La proposta deve essere votata dai creditori: serve il sì di almeno il 50% dei crediti chirografari (i privilegiati si considerano soddisfatti separatamente o fuori dal voto se pagati per intero). Se la maggioranza approva, il tribunale omologa l’accordo verificando legalità e fattibilità. In caso di mancato raggiungimento della maggioranza, la procedura può essere convertita in liquidazione controllata. I creditori dissenzienti sono comunque vincolati dall’omologazione se la maggioranza è raggiunta. Come detto, il concordato minore consente di coinvolgere anche il Fisco e gli enti previdenziali, con possibilità di cram-down: ad esempio, se il Fisco vota contro ma la proposta prevede per esso una soddisfazione adeguata (≥ quanto otterrebbe in liquidazione) e il resto dei creditori approva, il giudice può omologare lo stesso. Nel concordato minore il ruolo del giudice sulla meritevolezza è meno penetrante rispetto al piano del consumatore: conta più il giudizio dei creditori (che decidono se fidarsi del debitore), fermo restando che condotte fraudolente o violazioni di legge possono portare a rigetto. In pratica, per un professionista sovraindebitato che vuole evitare di liquidare tutto e intende proseguire l’attività, questo è lo strumento ideale: permette di proporre un saldo e stralcio generale dei debiti, magari pagandone solo una percentuale con i redditi futuri, mantenendo lo studio avviato. È richiesto comunque l’intervento di un OCC e la predisposizione di documenti a corredo (elenco completo dei debiti, stato delle attività e delle spese correnti, ecc.). Nota: nel concordato minore, a differenza del piano consumatore, il debitore può inserire clausole tipiche del concordato aziendale come classi di creditori, trattamenti differenziati, e anche ottenere finanziamenti ponte (prededucibili) se necessari per la continuità.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio): è la procedura di tipo liquidatorio, concorsuale, che prevede la vendita di tutti i beni del debitore per distribuire il ricavato ai creditori. È l’equivalente di un fallimento “in piccolo”, però volontario (o talvolta derivante da conversione di un piano fallito). Il debitore (persona fisica o ente non fallibile) chiede al tribunale di essere ammesso alla liquidazione controllata, mettendo a disposizione il suo patrimonio. Viene nominato un liquidatore (figura simile a un curatore fallimentare) che gestisce la vendita dei beni – con l’eccezione di quelli impignorabili per legge, che restano esclusi. Il debitore ha l’obbligo di collaborare e di versare anche, se ha un lavoro, la parte di reddito eccedente quanto gli serve per il sostentamento (il cosiddetto surplus rispetto al minimo vitale). La liquidazione dura al massimo 3 anni per la realizzazione dell’attivo (prorogabile solo per completare vendite di beni invenduti in tale termine). Al termine, come anticipato, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di tutti i debiti concorsuali non soddisfatti. Questa esdebitazione post-liquidatoria avviene automaticamente entro l’anno successivo alla chiusura, senza bisogno di domanda (salvo che un creditore o il liquidatore si opponga dimostrando frodi, mala fede, o che il debitore abbia violato obblighi durante la procedura). La liquidazione controllata può essere intrapresa anche da un debitore non meritevole (cioè che magari ha colpe gravi nell’indebitamento): l’accesso infatti non è precluso neanche a chi ha commesso atti in frode, in quanto è nell’interesse dei creditori liquidare comunque i beni; però in tal caso al termine potrebbe non essere concessa l’esdebitazione (i creditori o il liquidatore possono opporsi e il giudice può negare il beneficio se riscontra frode o dolo). Per un commercialista, la liquidazione controllata è l’ultima ratio: significa “alzare bandiera bianca” e liquidare ad es. la propria casa, l’automobile, gli eventuali crediti dello studio, ecc., per chiudere la situazione debitoria. Tuttavia, ha il vantaggio di congelare subito le azioni esecutive e, in tempi relativamente brevi, pulire completamente la posizione debitoria, offrendo un fresh start. Va ricordato che alcuni debiti non si cancellano neppure con l’esdebitazione finale (lo vedremo a breve), ma la stragrande maggioranza sì. La liquidazione può essere richiesta anche d’ufficio dai creditori solo in un caso: se il debitore ha tentato un piano/concordato che è stato rigettato per irregolarità o inammissibilità, allora il tribunale – su segnalazione – può aprire d’ufficio la liquidazione. Fuori da ciò, serve sempre la domanda del debitore (diversamente dal fallimento, che era su istanza di creditori o PM).
- Esdebitazione del debitore incapiente: più che una “procedura”, è un provvedimento speciale introdotto dalla riforma e ora stabilizzato agli artt. 283-287 CCII. Si rivolge alla persona fisica nullatenente o quasi, cioè priva di beni da liquidare e di redditi pignorabili, ma che si trova ugualmente soffocata dai debiti. Invece di costringerla a una liquidazione formale (che andrebbe deserta per mancanza di attivo), la legge consente di chiedere direttamente al tribunale l’esdebitazione totale, senza pagare nulla ai creditori. Il giudice, verificati i presupposti di meritevolezza (onestà, sfortunata necessità, nessuna frode come donazioni di beni prima…) e l’effettiva incapienza, emette un decreto che cancella tutti i debiti pregressi. È un atto di clemenza civile, con alcune cautele: il debitore beneficiato avrà l’obbligo per i 4 anni successivi di comunicare ai creditori (o all’OCC) se dovesse “ritornare a migliore fortuna”, ossia percepire sopravvenienze attive rilevanti (eredità, vincite, grossi redditi) e, in tal caso, dovrà versarne ai vecchi creditori almeno il 10% di quanto ricevuto. Se omette di informare o paga meno del dovuto, il beneficio può essere revocato. Questa esdebitazione “senza liquidazione” può essere concessa una sola volta nella vita e non è accessibile se il soggetto ha già usufruito di una precedente esdebitazione tramite altra procedura. Per un commercialista completamente in disgrazia (ad esempio, senza casa né beni, disoccupato o con redditi sotto la soglia pignorabile), rappresenta la via d’uscita per evitare di restare per sempre schiacciato dai debiti che non potrà mai pagare. Importante: se ha compiuto atti fraudolenti per sembrare incapiente (es. ha nascosto o trasferito beni a parenti), il tribunale non concederà l’esdebitazione. Dovrà infatti emergere che la sua situazione è frutto di sfortuna o congiunture negative, non di malizia. In alternativa, come nota l’art. 282 CCII, l’interessato può comunque accedere alla liquidazione controllata pur non avendo beni – questa si chiuderebbe quasi subito per insufficienza di attivo e si avrebbe poi l’esdebitazione automatica, ma ciò comporta l’apertura formale di una procedura concorsuale. La nuova norma evita quest’ultimo passaggio se non necessario.
Accanto a queste vie giudiziali, va menzionata la Composizione negoziata della crisi d’impresa (CNC), strumento stragiudiziale assistito introdotto nel 2021 ed ora disciplinato dal CCII (artt. 12-25). La composizione negoziata è rivolta principalmente agli imprenditori (di qualsiasi dimensione, anche piccoli) che si trovano in situazione di difficoltà economica, pur non ancora insolventi, e vogliono tentare una ristrutturazione con l’aiuto di un esperto indipendente, fuori dalle aule giudiziarie. Essa prevede la nomina, tramite una piattaforma online, di un esperto (spesso un commercialista esperto in crisi) che aiuta l’imprenditore a negoziare con i creditori un accordo volontario. Durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere misure protettive (sospensione delle azioni esecutive) simili a quelle delle procedure concorsuali. Tuttavia, la CNC non si applica al privato consumatore né al professionista come tale: è pensata per attività economiche. Un commercialista in quanto libero professionista non rientra negli “imprenditori commerciali” destinatari dello strumento, a meno che operi attraverso una struttura d’impresa (es. ha costituito una piccola SRL di servizi, che allora potrebbe attivare la CNC). In pratica, la CNC può tornare utile se il commercialista ha una ditta individuale o società che gestisce lo studio come impresa (non come STP ordinistica), o magari se fa parte di una s.r.l. familiare che inizia a dare segnali di crisi: in tal caso la società potrebbe attivare la CNC per evitare il tracollo. Ma per i debiti personali del professionista, l’istituto non è pensato. Quindi, nel prosieguo ci concentreremo sulle procedure concorsuali vere e proprie (piano, concordato minore, liquidazione, esdebitazione).
Misure protettive e effetti. Un elemento fondamentale di tutte queste procedure di sovraindebitamento è che, una volta presentata la domanda e ammessi alla procedura, il debitore ottiene protezione dalle azioni esecutive individuali. Il tribunale, su istanza del debitore, emette un decreto che sospende i pignoramenti o le vendite all’asta già in corso e vieta nuovi pignoramenti da parte dei creditori concorrenti durante la procedura. Ciò crea un periodo di “respiro” in cui il debitore può portare avanti il piano o la negoziazione senza l’assillo che nel frattempo gli portino via i beni. Questa sospensione (detta stay o moratoria) è temporanea – di solito fino all’omologazione o alla chiusura della procedura – ma rinnovabile. Anche nella Composizione negoziata è prevista la possibilità di ottenere una moratoria simile. In pratica, attivarsi per tempo con una procedura concorsuale è spesso l’unico modo per bloccare un’asta giudiziaria imminente sulla casa o interrompere un pignoramento dello stipendio. Se il commercialista aspetta troppo e lascia che i creditori procedano, rischia di perdere beni chiave; se invece deposita un ricorso per sovraindebitamento prima che l’esecuzione giunga a compimento, può congelare la situazione e trattare da una posizione più forte. Questo è un messaggio importante: non aspettare l’ultimo minuto. Anche in extremis, però, finché non è avvenuto il trasferimento all’asta o l’esproprio completato, c’è speranza di bloccare tutto con l’ammissione alla procedura.
Riassumiamo in Tabella 1 le caratteristiche essenziali delle diverse procedure disponibili:
Tabella 1 – Confronto tra le principali procedure di sovraindebitamento (CCII)
| Procedura | Destinatari tipici | Come funziona | Approvazione | Esito sui debiti |
|---|---|---|---|---|
| Piano del consumatore(ristrutturazione dei debiti del consumatore) | Privati e famiglie consumatori (nessun debito d’impresa). Valido anche per eventuali coobbligati/fideiussori persone fisiche di debiti altrui di natura personale. Esempio: un commercialista che ha solo debiti personali (mutuo casa, prestiti familiari, carte credito) senza legami con la sua attività professionale. | Il debitore, con l’ausilio dell’OCC, propone un piano di pagamento sostenibile (rateizzazioni, stralcio parziale di parte dei debiti) in base al suo reddito e patrimonio. Viene presentata una relazione OCC sulla fattibilità e sulla convenienza per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. | Nessun voto dei creditori. I creditori sono informati e possono eventualmente opporsi, ma decide il giudice. Il tribunale omologa se: (a) il piano è fattibile e offre ai creditori un trattamento almeno uguale o migliore di quello ottenibile liquidando i beni; (b) il debitore è meritevole (non ha colpe gravi o frodi). Anche con creditori dissenzienti, il giudice può imporre il piano se soddisfa i requisiti. | Se il piano viene eseguito regolarmente, i debiti residui vengono cancellati (esdebitazione finale). Il debitore paga quanto previsto (es. il 30% di ciascun debito chirografo) e il restante 70% non è più esigibile. In caso di inadempimenti rilevanti, il piano può essere revocato e si può aprire la liquidazione. |
| Concordato minore(ex accordo di composizione) | Debitori non consumatori: piccoli imprenditori, professionisti (es. commercialisti, artigiani, ditte individuali sotto soglia), start-up innovative, enti non commerciali. Valido anche per famiglie con debiti misti (es. coniuge consumatore + coniuge imprenditore, che presentano una procedura unitaria in cui uno ha concordato minore e l’altro piano). Esempio: commercialista con debiti fiscali e verso fornitori dello studio, oppure una STP insolvente. | Il debitore presenta una proposta di accordo ai creditori, con l’aiuto dell’OCC. Può prevedere il pagamento parziale dei debiti (anche con eventuali garanzie di terzi) e continuare l’attività professionale se sostenibile (concordato in continuità). Si possono suddividere i creditori in classi con trattamenti differenziati (purché equi). L’OCC redige una relazione attestando veridicità dei dati e fattibilità economica. | Votazione dei creditori chirografari: è richiesto il voto favorevole di almeno il 50% dei crediti chirografari ammessi al voto. I creditori privilegiati non votano se vengono pagati integralmente secondo la prelazione (possono accettare stralci, ma se non accettano vanno soddisfatti per intero o secondo eventuale cram-down). Se si raggiunge la maggioranza, il tribunale omologa l’accordo dopo aver verificato regolarità e meritevolezza di base. Cram-down fiscale: il giudice può omologare anche senza adesione del Fisco o di altri enti, purché la proposta rispetti le condizioni di legge (ad esempio pagamento integrale dell’IVA salvo contributo esterno, e soddisfazione del Fisco ≥ quota in liquidazione). Se non si ottiene la maggioranza di voti, la procedura è dichiarata inammissibile (con possibilità di convertire in liquidazione controllata). | Con l’omologazione, tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) sono vincolati dal concordato. Il debitore esegue il piano concordatario secondo i termini stabiliti. Al termine dell’esecuzione, viene dichiarata l’esdebitazione dei debiti residui non pagati (salvo quelli esclusi per legge, v. oltre). In caso di esecuzione parziale, se rilevante, il concordato può essere risolto su istanza dei creditori e si può passare a liquidazione. |
| Liquidazione controllata(giudiziale del sovraindebitato) | Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o non) che sia insolvente e preferisca liquidare i beni, oppure che non riesca a predisporre un piano/accordo fattibile. Anche debitore non meritevole. Esempio: commercialista che decide di liquidare casa, auto e risorse per chiudere i debiti; oppure professionista con patrimonio esiguo ma debiti altissimi in proporzione (un piano non sarebbe sufficiente).* | Si presenta un ricorso al tribunale dichiarando lo stato di insolvenza e offrendo tutto il proprio patrimonio per la liquidazione. Il tribunale nomina un liquidatore. Da quel momento, i beni (tranne quelli impignorabili ex lege: es. beni di uso quotidiano, strumenti indispensabili per il lavoro, ecc.) entrano in una massa attiva da liquidare. Il liquidatore predispone l’inventario, vende i beni (anche tramite procedure competitive) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione (privilegi, ipoteche, ecc.). Il debitore deve collaborare, fornire documenti, e versare eventuali redditi futuri eccedenti il minimo vitale per la durata della procedura. La procedura ha durata massima di 3 anni (dall’apertura) per liquidare il grosso dell’attivo. I creditori presentano domanda di ammissione al passivo (come in un fallimento) e il liquidatore predispone lo stato passivo da approvarsi. | Decisione del giudice: non c’è voto dei creditori. Il tribunale, verificati i requisiti di ammissibilità (stato di sovraindebitamento, documenti regolari, assenza di atti in frode recenti, ecc.), dichiara aperta la liquidazione. Da quel momento, i creditori non possono più agire individualmente ma devono partecipare alla ripartizione concorsuale. L’autorità del giudice interviene per risolvere eventuali contestazioni su crediti o su operazioni (es. azioni revocatorie di atti dispositivi sospetti compiuti dal debitore prima della procedura, se hanno leso i creditori). Non è richiesto il merito soggettivo del debitore, salvo poi pesare sulla concessione dell’esdebitazione finale. | Dopo la liquidazione dell’attivo, il debitore persona fisica ottiene normalmente l’esdebitazione di tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti. Nel CCII questo avviene automaticamente (trascorsi 3 anni dall’apertura, in assenza di opposizioni). Il beneficio dell’esdebitazione può essere negato dal giudice solo se emerge che il debitore ha tenuto comportamenti gravemente scorretti (es. ha sottratto o falsificato atti, ha violato obblighi di collaborazione, o la crisi è stata causata da frode) – i casi tassativi sono indicati dalla legge. In mancanza di tali situazioni, l’esdebitazione viene dichiarata con decreto di chiusura. Eccezioni: restano comunque esclusi dall’esdebitazione (cioè non si cancellano) pochi tipi di debiti: obblighi di mantenimento o alimentari, debiti per risarcimenti di danni da fatto illecito doloso, sanzioni penali e amministrative di natura punitiva (multe). Tali debiti “indisponibili” non si estinguono e il debitore ne risponderà ancora (sebbene spesso, se non pagati, di fatto rimarranno inesigibili). Tutti gli altri debiti, invece, anche fiscali o contributivi, vengono definitivamente annullati. |
| Esdebitazione del debitore incapiente(c.d. “esdebitazione a zero”) | Persona fisica nullatenente, sovraindebitata ma senza beni né sufficienti redditi aggredibili. Deve essere meritevole e non aver già beneficiato di altra esdebitazione. Esempio: un ex-commercialista che ha chiuso l’attività, pieno di debiti ma senza più alcun bene (vive in affitto, nessun risparmio) e con solo piccoli redditi di sopravvivenza.* | Il debitore, tramite OCC, deposita un ricorso in tribunale chiedendo la cancellazione di tutti i debiti senza attivare una liquidazione. Deve allegare una documentazione completa sulla sua situazione patrimoniale, dichiarare di non poter offrire nulla ai creditori e spiegare le ragioni della sua insolvenza, evidenziando la propria buona fede (es. crisi dovuta a cause esterne, spese mediche, ecc.). L’OCC verifica l’assenza di attivo e la correttezza delle informazioni. I creditori e l’eventuale curatore di un fallimento già chiuso (se il caso) possono presentare opposizione se ritengono che il debitore nasconda beni o abbia abusato. | Decisione del tribunale: dopo l’istruttoria, se riscontra le condizioni, il giudice emette decreto di esdebitazione totale del debitore incapiente. Non c’è voto dei creditori (che anzi subiscono la cancellazione dei loro crediti senza nulla incassare, salvo eventuali pagamenti futuri in caso di “miglior fortuna”). È dunque una misura eccezionale che il giudice adotta con prudenza, guidato dall’intento del legislatore di dare comunque uno sbocco alla crisi irreversibile del debitore onesto ma sfortunato. | Con il decreto, tutti i debiti antecedenti alla data di deposito del ricorso vengono dichiarati inesigibili. Il debitore è libero dalle obbligazioni pregresse. Condizione risolutiva a 4 anni: per i successivi quattro anni, se il debitore viene a possedere risorse inaspettate (es. un’eredità significativa, una vincita, o un forte aumento di reddito), dovrà darne comunicazione e versare ai vecchi creditori almeno il 10% dell’importo di tali sopravvenienze attive. Superati i 4 anni senza “colpi di fortuna”, l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile. Se invece emergono atti in frode (es. beni nascosti) o il debitore viola l’obbligo di segnalazione, il tribunale può revocare il beneficio. |
(Nota: nella tabella non sono riportati tutti i dettagli e le possibili eccezioni, ma sono evidenziati gli elementi essenziali per un confronto. Ad esempio, per semplicità non si è distinto tra percentuali di voto diverse in caso di creditori non votanti o classi, né tra caratteristiche peculiari come la possibile presenza di garanzie di terzi nei piani, ecc. Si rimanda al testo di legge per approfondimenti specifici.)
Come si nota, tutte le procedure (tranne la negoziata, che è altro contesto) conducono, in caso di buon esito, alla liberazione del debitore dai debiti residui (esdebitazione). Questo è il cardine del sistema: offrire al debitore persona la possibilità di ripartire senza l’ombra perenne dei debiti passati. Va rimarcato che le società di capitali invece, cessando di esistere, non hanno bisogno di esdebitazione (i debiti non soddisfatti si estinguono con la società stessa). Per l’individuo, invece, l’esdebitazione è la “riabilitazione economica”. Di norma, un soggetto che ha beneficiato di esdebitazione non può ottenerne un’altra prima di almeno 4 anni (nel caso delle normali procedure) o mai più nel caso dell’esdebitazione incapiente, concessa una tantum. Questo per evitare abusi e recidive: la legge vuole dare una seconda possibilità, non una terza, quarta, ecc.
Nei prossimi paragrafi approfondiremo alcuni aspetti critici e di specifico interesse per un commercialista debitore: la salvaguardia di beni essenziali (prima casa, strumenti di lavoro), i rapporti con eventuali garanti (fideiussioni prestate e ricevute), le questioni di responsabilità patrimoniale personale e familiare, e soprattutto le tutele per la famiglia (casa coniugale, beni in comunione, fondo patrimoniale). Successivamente passeremo alla parte pratica: come difendersi dai creditori (opposizioni ai pignoramenti, strategie stragiudiziali come transazioni, ecc.) e infine una sezione FAQ e degli esempi concreti.
Responsabilità patrimoniale del commercialista e riflessi sui beni personali e di famiglia
Un concetto fondamentale da tenere sempre presente è quello di responsabilità patrimoniale universale sancito dall’art. 2740 del Codice Civile: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, salvo le limitazioni stabilite dalla legge”. Questo significa che, in linea di principio, qualsiasi bene appartenente al debitore può essere aggredito dai creditori per soddisfare i debiti. Non vi è distinzione tra beni personali e beni professionali: il patrimonio è uno e indivisibile ai fini della garanzia dei crediti (salvo segregazioni legali come il fondo patrimoniale, di cui diremo). Dunque un commercialista che contrae debiti (per tasse, per mutui, per forniture allo studio, ecc.) risponde con tutto il suo patrimonio personale: dalla casa all’auto, dal conto in banca ai crediti verso clienti, etc., tranne ciò che la legge dichiara impignorabile o protetto da specifici vincoli.
Esaminiamo le principali questioni riguardanti la responsabilità patrimoniale e le tutele per i beni del debitore:
La casa di abitazione e altri beni immobili
Prima casa e debiti fiscali. Spesso si sente dire che “la prima casa non si può pignorare”. In realtà questa affermazione è solo parzialmente vera e va contestualizzata. Nel 2013 è stata introdotta una norma (DL 69/2013, art. 52, conv. L. 98/2013) che vieta all’agente della riscossione (Agenzia Entrate – Riscossione, ex Equitalia) di pignorare e vendere all’asta l’unico immobile di proprietà del debitore adibito a sua abitazione principale, a condizione che non sia di lusso e che il debito fiscale totale non superi €120.000. Dunque, se un commercialista ha solo la casa in cui vive, categoria non di lusso (no villa signorile ecc.), e un debito con l’Erario ad esempio di €50.000, l’AdER non potrà procedere all’esproprio di quell’immobile. Al più potrebbe iscrivere ipoteca (che è consentita se il debito supera €20.000) ma senza poter attivare la vendita forzata. Questa è una tutela importante per il debitore, ma vale solo verso il Fisco. Inoltre, è sufficiente che il debito fiscale superi €120.000 perché la protezione cada, consentendo all’Agente di riscossione di procedere come un qualsiasi creditore.
Creditori privati e pignoramento immobiliare. Diverso è il caso di debiti verso banche, fornitori, altri soggetti privati: non esiste nel codice un divieto generale di pignorare la prima casa per crediti di diritto comune. Ciò significa che se un commercialista ha un debito bancario (es. un mutuo non pagato, o uno scoperto di conto) o è stato condannato a risarcire un cliente, questi creditori possono iscrivere ipoteca e pignorare la casa anche se è l’unica e vi risiede la sua famiglia. Purtroppo, i casi di professionisti che vedono la propria abitazione all’asta per debiti professionali o personali non sono infrequenti. Non c’è protezione automatica in tal senso. L’unico scudo può derivare dall’avvio tempestivo di una procedura concorsuale: ad esempio, con un piano del consumatore o un concordato minore si può bloccare l’asta già pendente e ristrutturare il debito, eventualmente prevedendo di salvare la casa continuando a pagare il mutuo ipotecario mentre si riduce il resto dei debiti. Il CCII ha introdotto proprio una misura innovativa: il debitore può, nel piano, mantenere le rate del mutuo sulla prima casa fuori dal concorso, evitando così che la banca ipotecaria intervenga nell’esecuzione. In pratica, si sterilizza il debito garantito da ipoteca sulla prima casa (continuando a onorarlo regolarmente) e nel frattempo si congelano gli altri creditori, impedendo la vendita. Questa strategia è espressamente consentita e incoraggiata dal nuovo Codice, proprio per tutelare l’abitazione principale del debitore sovraindebitato.
Se la casa è già pignorata, comunque, presentando il ricorso per la procedura prima dell’asta si ottiene la sospensione: il giudice concorsuale comunica al giudice dell’esecuzione la pendenza della procedura e l’asta viene rinviata in attesa dell’esito del piano o concordato. Ciò può dare il tempo per negoziare con la banca ipotecaria un accordo. Un’opzione spesso praticata è cercare un accordo stragiudiziale con il creditore ipotecario: la banca potrebbe accettare, prima che si tenga l’asta, che il debitore venda l’immobile privatamente a un prezzo di mercato e la soddisfi col ricavato, magari rinunciando a una parte del credito residuo (il classico saldo e stralcio). Ad esempio, se la casa vale €120.000 e il mutuo residuo è €150.000, la banca potrebbe preferire incassare €120.000 da una vendita consensuale anziché rischiare di ricavarne solo €80.000 all’asta (prezzo spesso inferiore). In cambio, potrebbe liberare il debitore dal restante €30.000 di debito residuo. Questa soluzione, pur dolorosa perché comporta la perdita della casa, può essere conveniente in termini finanziari globali ed evitare al debitore la procedura concorsuale. Certo, occorre un acquirente sul mercato e la volontà della banca: non sempre è fattibile rapidamente.
Seconda casa o immobili diversi: se il commercialista possiede altri immobili (es. una casa al mare, un ufficio di proprietà), tali beni sono normalmente attaccabili da qualsiasi creditore e non c’è protezione come per la prima casa. Potranno essere ipotecati e pignorati liberamente. In sede di piano/concordato si potrà valutare se venderli per pagare i creditori, oppure offrire garanzie su di essi. Ma fuori dalle procedure, un creditore insoddisfatto può aggredirli.
Immobili intestati a società o terzi: un professionista talvolta potrebbe avere intestato l’immobile dove lavora a una società di comodo o a un familiare, pensando di proteggerlo. Se però egli ne è il beneficiario effettivo, i creditori possono tentare azioni di “revocatoria” o di simulazione per far dichiarare l’atto come fittizio e aggredire il bene. Ad esempio, se poco prima di indebitarsi Tizio commercialista vende la sua casa alla società XY di cui è socio la moglie a un prezzo irrisorio, i creditori possono agire ex art. 2901 c.c. per far dichiarare inefficace quell’atto in quanto pregiudizievole ai loro diritti. La revocatoria ordinaria può essere esperita entro 5 anni dall’atto dispositivo contestato. Quindi, costituire una società o intestare la casa a terzi “di fiducia” quando già ci sono debiti all’orizzonte è spesso inutile: il tribunale potrebbe annullare tali schemi e permettere la soddisfazione sul bene. Esempio pratico: un commercialista vede arrivare cartelle esattoriali; sposta la proprietà dell’immobile alla sorella. Se l’Agente della riscossione (o un altro creditore) lo scopre, può iniziare una causa di revocazione: se dimostra che l’atto era a titolo gratuito o comunque in frode (nel caso del Fisco la legge prevede meccanismi anche semplificati, come l’art. 2929-bis c.c. che consente di iscrivere ipoteca e pignorare immobili donati senza attendere l’esito del giudizio), il bene torna aggredibile.
Fondo patrimoniale e beni immobili in fondo. Il fondo patrimoniale merita un discorso a parte: è un istituto per cui i coniugi (o anche un singolo, se ci sono figli minori) destinano uno o più beni – tipicamente la casa – a far fronte ai bisogni della famiglia, rendendoli in linea di principio impignorabili per debiti che il creditore sapeva estranei ai bisogni familiari (art. 170 c.c.). Un commercialista spesso ha una famiglia; potrebbe aver costituito un fondo patrimoniale sulla casa con il coniuge. Questa è certamente una forma di tutela prevista dalla legge, ma ha efficacia limitata e richiede condizioni precise. In base alla norma e alla giurisprudenza: un creditore NON può eseguire sul bene in fondo solo se si dimostrano due condizioni cumulative: (1) il debito è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; (2) il creditore, al momento del sorgere del debito, era consapevole di tale estraneità. Se manca anche solo uno dei due elementi, la protezione del fondo salta e il bene può essere pignorato. Inoltre, l’onere di provare queste condizioni grava sui coniugi debitore, che dovranno opporsi al pignoramento ex art. 615 c.p.c. sostenendo che il creditore non poteva toccare il bene in quanto, ad esempio, il debito era solo professionale e il creditore lo sapeva.
La giurisprudenza storicamente era piuttosto severa: tendeva a considerare ampiamente il concetto di “bisogni della famiglia”, includendovi perfino i debiti d’impresa o professionali del coniuge, sul presupposto che l’attività lavorativa mira a mantenere la famiglia (beneficio indiretto). Ad esempio, Cass. 4011/2013 affermò che un finanziamento bancario per l’azienda poteva considerarsi destinato ai bisogni familiari, perché finalizzato a produrre reddito per la famiglia. Questo orientamento “estensivo” riduceva di molto la protezione del fondo: quasi ogni debito, tranne quelli palesemente voluttuari (es. gioco d’azzardo, spese folli), veniva ricondotto ai bisogni familiari in senso lato, rendendo il fondo inopponibile.
Negli ultimi anni però vi è stata una svolta giurisprudenziale in senso più favorevole ai debitori. La Cassazione, Sez. I, 8 febbraio 2021 n. 2904 ha segnato un punto di rottura, affermando che non ogni debito d’impresa può automaticamente dirsi contratto per i bisogni della famiglia. Ha sottolineato che l’interpretazione di “bisogni familiari” non può essere dilatata fino a ricomprendere qualunque obbligazione dei coniugi, specie se legata all’attività d’impresa, altrimenti il fondo sarebbe sempre inutile. Nello stesso solco, Cass. 8201/2020 aveva evidenziato la necessità di valutare caso per caso la destinazione effettiva di quei debiti, senza presunzioni generalizzate. La tendenza è proseguita: Cass. Sez. III, 28 settembre 2023 n. 27562 (decisione molto recente e significativa) ha affermato con forza che “non è corretta l’affermazione secondo la quale i debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale sono di regola contratti per soddisfare i bisogni della famiglia”, anzi “normalmente […] tali obbligazioni sono assunte non già per l’immediato e diretto soddisfacimento dei bisogni della famiglia, bensì ai fini dello svolgimento dell’attività stessa”. In altri termini, la Corte ha invertito la presunzione: un debito professionale non si presume per la famiglia (casomai il contrario), salvo che il creditore dimostri specificamente che in concreto quel prestito o obbligazione avesse finalità familiari dirette. Esempio fatto dalla Cassazione: se due coniugi imprenditori hanno prestato fideiussione per un debito della loro società, quell’obbligazione ha come scopo immediato la solvibilità della società (terzo rispetto alla famiglia); il fatto che il buon andamento dell’impresa possa riflettersi sul benessere familiare è effetto indiretto e futuro, non un bisogno immediato. Pertanto, in tali casi i coniugi potranno opporre il fondo patrimoniale ai creditori d’impresa dimostrando l’assenza di nesso diretto con necessità familiari – senza più subire l’automatismo sfavorevole del passato. Questo orientamento pro-debitore è stato confermato anche da Cass. Sez. III, 13 novembre 2023 n. 31575, che in massima ha ribadito che l’esecuzione sui beni del fondo è legittima solo se l’obbligazione era strumentale ai bisogni familiari e il creditore ignorava l’estraneità; in caso di dubbio, l’esecuzione non può proseguire.
Che implicazioni ha tutto ciò per il nostro commercialista indebitato? Significa che, se egli (o il coniuge) aveva saggiamente costituito un fondo patrimoniale su certi beni (ad es. la casa di famiglia), oggi ha qualche chance in più di proteggerli dai creditori dell’attività professionale, purché possa provare che quei debiti erano effettivamente estranei ai bisogni familiari immediati e che i creditori non potevano presumere il contrario. Tipicamente, i debiti fiscali e contributivi del commercialista, o i debiti verso fornitori dello studio, non sono contratti per i bisogni della famiglia (se non altro nel senso diretto): quindi rientrano nell’area protetta. Ad esempio, Cass. 18619/2020 (ord. Sez. VI-3) ha stabilito che in ambito fallimentare i beni costituiti in fondo non entrano nella massa se i debiti sono estranei ai bisogni familiari. Ciò a dire: se un professionista fallisce (o oggi liquida) e aveva un fondo sulla casa, quella casa resta fuori dal fallimento se il debito insolvente era d’impresa. Nel nostro caso, non c’è fallimento ma esecuzioni individuali: analogamente, il creditore potrebbe pignorare un immobile in fondo solo dimostrando che il debito rientra nei bisogni famigliari. Quindi, il fondo offre uno scudo, ma “debole”: bisogna attivarsi per farlo valere (opponendosi al pignoramento) e vincere la prova in giudizio. Inoltre, se il fondo è stato costituito quando già c’erano debiti in essere o per sottrarre beni alle pretese, i creditori possono agire in revocatoria entro 5 anni come visto.
In sintesi, il consiglio è: meglio non affidarsi unicamente al fondo patrimoniale come strumento difensivo. Esso può aiutare per debiti chiaramente personali (es. se il commercialista ha debiti per spese di gioco d’azzardo – estranei per definizione ai bisogni – il fondo funziona; oppure se ha fatto un finanziamento per comprarsi una barca, non certo un bisogno familiare), ma per debiti “normali” legati al lavoro rischia di essere perforato. Meglio considerare altre vie (come la separazione dei beni o le procedure concorsuali, v. oltre).
Regime patrimoniale tra coniugi: comunione legale, separazione, impatto sui crediti
Molti commercialisti potrebbero essere coniugati o conviventi. È importante capire come i debiti di uno possano ripercuotersi sull’altro coniuge a seconda del regime patrimoniale scelto (comunione o separazione dei beni).
- Comunione legale dei beni: in questo regime (scelta “automatica” se non si stipula separazione al matrimonio), i beni acquistati durante il matrimonio da uno dei coniugi, salvo eccezioni, diventano comuni ad entrambi. I creditori di uno dei coniugi possono soddisfarsi sui beni in comunione per i debiti contratti anche individualmente dal coniuge, purché questi debiti siano stati contratti nell’interesse della famiglia. E qui torniamo al concetto di bisogno familiare: la legge presume che la gran parte delle obbligazioni assunte da un coniuge in costanza di comunione siano per la famiglia. Quindi, se un commercialista in comunione dei beni accumula debiti professionali, i creditori potranno pignorare i beni comuni (ad es. la casa comprata durante il matrimonio, anche se formalmente intestata a lui, poiché è comunque comune; il conto corrente cointestato; l’auto familiare, ecc.). La moglie/marito non debitore subisce indirettamente l’aggressione sui beni comuni. In pratica, la comunione allarga il patrimonio aggredibile. Restano invece al riparo i beni personali del coniuge non debitore (quelli posseduti prima del matrimonio o ricevuti per eredità/donazione individuale). Questi, se rimangono tali, non possono essere toccati dai creditori dell’altro coniuge. Tuttavia, se i beni personali sono insufficienti e il debito fu contratto per esigenze familiari, la legge prevede (art. 186 c.c.) che i creditori possano rifarsi anche sui beni comuni come extrema ratio, ma è un caso limite poco applicato. Riepilogando: in comunione, i beni comuni (inclusi quelli intestati al debitore ma in comunione per legge) rispondono dei debiti di uno, salvo si provi che erano debiti “personali puri”. Esempio: Mario, commercialista, è in comunione con Anna (che fa altro lavoro). Mario ha debiti verso fornitori dello studio per €50.000. Quei debiti, secondo la legge, sono stati contratti per la sua attività lavorativa che porta reddito alla famiglia – quindi considerati nell’interesse del nucleo familiare. Il fornitore può pignorare il conto corrente cointestato e persino la casa acquistata durante il matrimonio (anche se intestata solo a Mario, è comune). Anna potrebbe opporsi sostenendo che quel debito era “estraneo” alla famiglia (magari Mario ha speso soldi per affari suoi?), ma dovrebbe provarlo, con le difficoltà viste (la giurisprudenza è stata storicamente severa: “molti mariti hanno provato a dire ‘quel debito d’azienda era cosa mia, estranea’, ma la Cassazione ha detto no, il lavoro serve alla famiglia”, anche se come visto ora c’è qualche apertura). Quindi probabilmente il creditore avrà la meglio sui beni comuni.
- Separazione dei beni: con questo regime (esplicitamente scelto dalle parti), vige la netta separazione dei patrimoni: ciascun coniuge rimane proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome, non c’è comunione residua. Dunque ogni coniuge risponde solo dei propri debiti con i propri beni. Un creditore del marito non può aggredire i beni intestati alla moglie (esclusi), e viceversa. L’unica situazione in cui potrebbe toccare qualcosa è se esistono beni in comproprietà (metà ciascuno): in tal caso può pignorare la quota del debitore e chiedere la divisione/vendita limitatamente a quella quota. Non è un’operazione semplice vendere metà casa, ma giuridicamente fattibile (il giudice può ordinarne la divisione). In separazione, dunque, il coniuge non debitore è quasi completamente al sicuro: i suoi beni esclusivi non sono attaccabili. Esempio: se Mario e Anna fossero in separazione e la casa fosse intestata ad Anna, il fornitore di Mario non potrebbe pignorarla affatto; potrebbe al limite pignorare solo eventuali conti intestati a Mario e i suoi beni. E se la casa è cointestata 50/50, il creditore di Mario potrebbe cercare di espropriare la quota di Mario (il 50%), ma dovrà affrontare la vendita di un bene indiviso, situazione poco appetibile e quindi meno probabile. In ogni caso Anna manterrebbe il diritto alla metà del valore.
- Debiti personali vs debiti per i bisogni familiari: c’è una sottile distinzione: se un coniuge contrae un debito chiaramente estraneo ai bisogni della famiglia (esempio classico: spende soldi al gioco d’azzardo, o fa un investimento speculativo segreto che va male), allora quel debito – se la controparte ne era a conoscenza – potrebbe non ricadere sui beni comuni. L’art. 189 c.c. dice che dei debiti “risultanti manifestamente da atti eccedenti i bisogni della famiglia” risponde solo chi li ha contratti, se il creditore lo sapeva. Ma di nuovo, è questione di prova e di interpretazione restrittiva. Nella pratica, come abbiamo detto, far dichiarare “estraneo” un debito professionale è difficile, a meno che rientri in casi eclatanti (es. debiti di gioco, spese voluttuarie). La Cassazione ammette eccezioni: ad esempio, se il marito fa un debito per hobby costoso senza coinvolgere la famiglia e la banca lo sapeva, i beni comuni potrebbero restare immuni. Ma raramente avviene. Nel complesso: comunione = i beni comuni possono essere co-obbligati di fatto in molte situazioni, esponendo anche il coniuge non debitore; separazione = c’è autonomia patrimoniale, i creditori di uno non toccano l’altro.
Per questo, se uno dei due coniugi svolge un’attività rischiosa (come può esserlo un’attività professionale autonoma soggetta a crisi), è consigliato scegliere la separazione dei beni, per limitare i danni in caso di insolvenza. Nel caso in cui si stia già in comunione e la situazione precipiti, si può valutare lo scioglimento consensuale della comunione (con convenzione matrimoniale) prima di incorrere nei debiti, ma se i debiti sono già noti questa mossa potrebbe essere vista come pregiudizievole e in frode (quindi anche qui revocabile ex art. 2901 c.c. entro 5 anni).
In ultima analisi, il fondo patrimoniale appare come uno strumento di protezione residuale: se si è in comunione e non si vuole cambiare regime, avere la casa in un fondo qualche freno alle esecuzioni può porlo – ad esempio, costringe il creditore a fare un’opposizione più complessa, e se il debitore riesce a dimostrare che il credito era per spese futili o che il creditore era consapevole della destinazione estranea, può vincere. Ma come sottolineato, oggi quasi tutti i debiti vengono considerati “per bisogni familiari” a meno che non sia evidentissimo il contrario (ricordiamo però la svolta delle sentenze 2023 che rende meno assoluta questa affermazione). Per esempio, la Cassazione in passato ha ritenuto pignorabile la casa in fondo per debiti fiscali dell’azienda del marito, considerandoli a vantaggio della famiglia. Quindi la conclusione per un commercialista è: non fare eccessivo affidamento sul fondo patrimoniale come scudo dai creditori professionali; piuttosto predisporre una struttura patrimoniale prudente (separazione dei beni, polizze assicurative per rischi professionali, ecc.) e utilizzare le procedure concorsuali se i debiti sfuggono al controllo.
(Una parentesi: c’è anche il tema del trust o di altri strumenti di pianificazione patrimoniale per proteggere i beni – trust, vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c., ecc. Questi però esulano dall’impostazione normativa comune e possono anch’essi essere soggetti a revocatoria se fatti in frode ai creditori. Gli strumenti leciti di segregazione vanno attuati in bonis e con scopi genuini, altrimenti i giudici li disconoscono. Nel contesto del commercialista, il trust potrebbe proteggere certi beni familiari se istituito quando ancora non c’erano debiti e per finalità legittime, ma se creato all’ultimo minuto appare come un mero escamotage.)
Beni mobili essenziali, strumenti di lavoro e altri limiti al pignoramento
Non tutti i beni del debitore sono aggredibili: la legge e il codice di procedura civile stabiliscono una serie di beni mobili impignorabili o parzialmente pignorabili, per garantire al debitore un minimo di dignità e mezzi per vivere. Tali norme si applicano a chiunque, incluso ovviamente il commercialista. Vediamo i principali:
- Beni di uso quotidiano e arredamento essenziale: ai sensi dell’art. 514 c.p.c., gli oggetti di casa indispensabili non possono essere pignorati. Letti, tavoli da pranzo con sedie, armadi, cassetti, elettrodomestici di base (frigorifero, cucina, lavatrice) – tutto ciò che serve per le normali esigenze di vita del nucleo familiare non può essere portato via dall’ufficiale giudiziario. La norma elenca anche biancheria, vestiti, utensili di cucina, ecc. Sono impignorabili perché togliere questi beni equivarrebbe a privare la famiglia della possibilità di condurre una vita decente. Anche una modesta libreria e scrivania necessarie per studio/lavoro possono rientrare (specialmente per un professionista, la scrivania e il computer – su quest’ultimo vedi oltre).
- Mobilio di scarso valore: in pratica, l’ufficiale giudiziario spesso evita di pignorare beni usati di modesto valore rivendibile, perché la vendita all’asta di cianfrusaglie non conviene a nessuno. Quindi, oltre ai beni tutelati per legge, c’è una soglia di convenienza. Ma giuridicamente alcuni beni sono proprio non pignorabili per legge.
- Scorte di viveri e beni per alimentazione: la legge prevede che non si possono pignorare i generi di consumo necessari al sostentamento del debitore e della famiglia per un mese. Cioè, il creditore non può “svuotare la dispensa” o il frigorifero! Allo stesso modo, scorte di combustibile per riscaldamento per un periodo adeguato sono impignorabili. Questa è una norma di civiltà: un conto è prendersi l’auto o la tv per far cassa, un altro lasciare la famiglia senza cibo.
- Animali domestici: per legge oggi gli animali da compagnia o destinati a affetti familiari sono impignorabili. Dal 2022, cani, gatti e simili non possono più essere messi all’asta (pare sia successo in passato con cavalli o cani pregiati, causando scandalo). Anche eventuali animali da reddito limitati per sostentamento domestico (tipo due galline per le uova) non si pignorano.
- Strumenti di lavoro indispensabili: l’art. 515 c.p.c. prevede che gli strumenti, utensili, libri che il debitore utilizza per l’esercizio della sua professione o arte sono impignorabili entro il limite strettamente necessario al suo esercizio. Questo è molto rilevante per un commercialista: ad esempio, il suo computer di lavoro, le scrivanie e sedie per ricevere clienti, libri professionali, la calcolatrice, etc., in quanto beni funzionali alla professione, non dovrebbero essere pignorati, a meno che il debitore ne abbia in quantità eccedente il bisogno. Se, poniamo, ha 3 computer, forse 2 potrebbero essere presi lasciandogliene 1. L’idea è che non si può privare il professionista dei mezzi per lavorare, altrimenti non guadagnerà mai più nulla e anche i creditori alla fine si danneggiano. Questo concetto di “strettamente necessari” è interpretato con buon senso dagli ufficiali giudiziari. Nel caso di uno studio associato o società, occorre distinguere: se i beni appartengono allo studio (diverso soggetto), il pignoramento andrebbe a colpire quell’ente, ma spesso nelle ditte individuali/professionisti i beni sono personali del debitore. Comunque, il principio è: strumenti di lavoro essenziali (il “ferramenta del mestiere”) sono protetti. Ad esempio, la Cassazione ha riconosciuto impignorabile il tavolo da disegno di un architetto, o l’automobile di un rappresentante se serve per lavoro (purché non di lusso). Con l’evoluzione tecnologica, sono stati aggiunti “dispositivi informatici ad uso del nucleo familiare” all’elenco: oggi un PC o tablet necessario per lo studio dei figli o per il lavoro è equiparato agli strumenti essenziali ed è impignorabile entro un certo valore (non la collezione di Mac d’oro, ma il pc normale sì). Nel 2022 una modifica ha infatti incluso esplicitamente i beni informatici d’uso quotidiano nell’impignorabilità, riconoscendo che un computer per studiare o lavorare è indispensabile come lo era un tempo la macchina da scrivere o il tavolo.
- Beni utilizzati per culto religioso: cose come rosari, oggetti sacri, se il debitore ne possiede (magari collezione di arte sacra? raro), sono impignorabili per tutela della libertà di culto.
La ratio comune è preservare un “nucleo minimo” di beni indispensabili per la vita dignitosa e la prosecuzione dell’attività lavorativa del debitore. Togliere tutto, persino il letto o gli attrezzi di lavoro, equivarrebbe a distruggere la persona e anche a precludere ogni possibilità di recupero del credito (un debitore ridotto sul lastrico totale non genererà mai reddito per pagare). Il legislatore evita questo scenario, bilanciando le ragioni creditorie con la dignità umana e l’utilità sociale del lavoro.
Per completare il quadro, esistono anche categorie di crediti impignorabili (o parzialmente tali). Li affrontiamo nel prossimo paragrafo che tratta di stipendi, pensioni e conti correnti.
Limiti al pignoramento di stipendi, pensioni e conti bancari
Un commercialista potrebbe avere un reddito da lavoro dipendente (se, ad esempio, svolge anche un’attività come lavoratore subordinato da qualche parte) o più frequentemente un reddito da lavoro autonomo/professionale. In caso di esecuzione forzata, il reddito da lavoro è pignorabile ma con limiti stringenti, soprattutto se si tratta di stipendio o pensione. Anche eventuali somme depositate sul conto corrente sono protette entro certe soglie. Vediamo i principi (disciplinati in particolare dall’art. 545 c.p.c. e segg.):
- Stipendio o salario (lavoro dipendente): quando un debitore lavora come dipendente, il suo datore di lavoro può essere “terzo pignorato” da un creditore. La regola generale è che lo stipendio netto mensile è pignorabile nella misura massima di 1/5 (20%). Ciò vale per i crediti ordinari (banche, fornitori) e anche per i crediti fiscali: il Fisco ha gli stessi limiti del privato in questo caso (non può prendere più di un quinto). Quindi se un commercialista fosse assunto da qualcuno e percepisse, ad esempio, €1.500 al mese, al massimo €300 gli potrebbero essere trattenuti ogni mese dal datore e girati al creditore. Importante: se concorrono più pignoramenti sullo stesso stipendio (caso tipico, uno da una banca e uno per alimenti arretrati, ecc.), la somma delle trattenute non può superare la metà dello stipendio. Esempio: stipendio €1.500, arriva un pignoramento di una banca (20%) e uno per assegni alimentari dovuti all’ex coniuge (anche 20% o più se autorizzato). I due quinti fanno il 40% (€600). È entro il limite del 50%, quindi potrebbero coesistere. Se ne arrivasse un terzo, non ci sarebbe capienza finché uno dei due esistenti non termina. In generale, il giudice dell’esecuzione può modulare le percentuali per distribuire equamente tra creditori concorrenti, ma senza mai superare il 50% complessivo. In casi particolari (crediti alimentari) il giudice può autorizzare fino a 1/3, ma per la maggior parte dei crediti rimane 1/5. Lo scopo è garantire al lavoratore di conservare almeno metà del reddito.
- Pensione: le pensioni godono di una tutela ancora maggiore, in quanto spesso il pensionato vive solo di quella. La regola è sempre il limite di 1/5, ma in aggiunta la legge prevede un minimo vitale impignorabile. Questo minimo vitale è pari a 1,5 volte l’assegno sociale INPS. L’assegno sociale nel 2025 è intorno a €538, quindi 1,5x è circa €808. Significa che se la pensione è di importo uguale o inferiore a circa €808, non si può toccare per nulla: è totalmente impignorabile. Se è superiore, solo la parte eccedente tale soglia è pignorabile, sempre entro il quinto. Esempio: pensione €1.000; eccedenza = €1.000 – €808 = €192; il quinto di 1.000 sarebbe €200, ma non potendo intaccare l’eccedenza se non entro quella, in realtà saranno pignorabili al massimo €192 (ovvero l’intera eccedenza, che corrisponde al 19.2% circa, comunque ≤ 1/5). Se pensione €700, nulla pignorabile perché sotto soglia. Così il pensionato con assegno minimo è protetto. Dal 2023 inoltre per i pignoramenti da parte del Fisco sulle pensioni elevate sono stati introdotti scaglioni più favorevoli: ad esempio, su pensioni oltre €5.000 rimane 1/5, tra €2.500 e €5.000 sarebbe 1/7, sotto €2.500 addirittura 1/10 (questi scaglioni in realtà riguardano tutti i redditi da lavoro dipendente/pensione per crediti erariali, come da modifiche legislative recenti). Comunque, l’importante è: una pensione modesta è quasi intoccabile, una media è pignorabile solo per la parte eccedente il minimo, e solo fino al quinto.
- Stipendi già depositati in conto corrente: cosa accade se il creditore pignora il conto in banca dove il debitore riceve lo stipendio? C’è il rischio che blocchi più di 1/5? La legge distingue due situazioni:
- Somme già accreditate prima del pignoramento sul conto: in tal caso, quando arriva l’atto di pignoramento in banca, il debitore ha diritto a sbloccare una somma pari a 3 volte l’assegno sociale se trattasi di stipendio, o 1,5 volte se trattasi di pensione. Quindi circa €1.616 se erano stipendi (3x ~€538), oppure ~€808 se pensione. Il resto sopra tale soglia rimane pignorato, ma comunque, una volta applicata questa franchigia, interviene la regola del quinto su base mensile per liberare il surplus. L’idea è evitare che un pignoramento su conto vada a incidere più gravemente di uno presso il datore. Ad esempio, se uno aveva accumulato €3.000 di stipendi sul conto e subisce pignoramento, potrà prelevare circa €1.600 per vivere, e il residuo €1.400 verrà bloccato, ma il giudice poi farà in modo che al creditore ne vada solo quanto sarebbe spettato col pignoramento mensile.
- Somme accreditate dopo il pignoramento (stipendi futuri che nel frattempo arrivano sul conto già pignorato): la banca trattiene automaticamente il 20% di ogni nuovo accredito stipendiale e lascia il resto al debitore. Questo perché, essendo il conto vincolato, la banca funge da filtro come farebbe il datore di lavoro.
- Altre entrate periodiche: analoghi limiti del quinto si applicano anche ad altre entrate periodiche del debitore, come canoni di affitto che percepisce (pignoramento presso terzi inquilini), indennità ecc.: il giudice di solito estende per analogia le regole dello stipendio, considerandole flussi di reddito.
- Sussidi e aiuti pubblici: per policy, molti sussidi hanno in sé clausole di impignorabilità: ad esempio, il (ormai abrogato) Reddito di cittadinanza era non pignorabile, perché destinato al sostentamento. Oggi l’Assegno di inclusione che lo sostituirà dovrebbe seguire la stessa logica: le somme a scopo assistenziale non sono aggredibili dai creditori generici.
Riassumendo questa parte sulle soglie di pignoramento:
- Stipendi e salari: pignorabili max al 20% (1/5) per crediti ordinari e fiscali; max 50% totale se più creditori concorrenti. (Eccezionalmente fino 1/3 per crediti alimentari su autorizzazione). Sempre garantito almeno il 50% netto al lavoratore.
- Pensioni: pignorabili max 1/5 ma solo sulla parte eccedente ~€808 (minimo vitale). Pensioni sotto ~€808 esenti del tutto. Sopra, si calcola eccedenza e su quella si applica il quinto. (Per Fisco: 1/10 <2.5k, 1/7 tra 2.5k-5k, 1/5 oltre).
- Conto corrente stipendio/pensione: impignorabili sul conto importi pari a 3 mensilità minime (stipendio) o 1.5 (pensione) se già depositati; sulle successive entrate si applica direttamente il 20% in automatico.
- Beni essenziali e strumenti lavoro: impignorabili; i creditori non possono prenderli.
- Coniuge non debitore: se in separazione, i suoi beni sono salvi; se in comunione, i beni comuni sono attaccabili in molti casi, salvo provare estraneità (difficile); il fondo patrimoniale offre uno scudo parziale ma facilmente perforabile per debiti di attività lavorative, a meno di prova rigorosa.
In conclusione, la legge cerca di assicurare che al debitore, anche durante l’esecuzione forzata, rimanga il necessario per vivere e per eventualmente continuare a lavorare. Questo oltre ad essere umano è efficiente: un debitore completamente rovinato non potrà mai pagare nulla, mentre uno che mantiene un reddito e i mezzi base può col tempo risollevarsi e magari saldare almeno in parte i debiti (specialmente se utilizza un piano di sovraindebitamento).
Come difendersi dai creditori: strategie stragiudiziali e giudiziali
Dopo aver delineato il quadro normativo e le tutele di base, focalizziamoci sul punto di vista pratico del debitore: cosa può fare concretamente un commercialista indebitato per difendersi dalle azioni dei creditori e gestire al meglio la situazione debitoria? Esamineremo prima le mosse stragiudiziali (cioè fuori dal contenzioso e dalle procedure concorsuali) e poi le difese giudiziali in senso stretto (opposizioni legali ecc.), per poi integrare con i benefici delle procedure di composizione della crisi di cui abbiamo parlato (che già in parte offrono difese di natura giudiziale, come il blocco dei pignoramenti).
Approcci stragiudiziali: rinegoziazione, piani di rientro, transazioni
Valutare la sostenibilità e priorità dei debiti. Il primo passo è avere un quadro chiaro dei debiti: importi, tipi, creditori, eventuali garanzie e scadenze. Un commercialista avrà probabilmente alcune categorie: debiti tributari (verso Agenzia Entrate Riscossione per imposte non pagate, IVA, IRPEF, addizionali), debiti previdenziali (Cassa Dottori Commercialisti o INPS gestione separata), debiti bancari (mutuo, finanziamenti per lo studio, fido di c/c), debiti verso fornitori (affitto ufficio, utenze, cancelleria, software gestionali), e magari debiti verso clienti o terzi per risarcimenti (es. se ha commesso errori professionali con danno, o ha perso una causa). Ogni tipo di debito ha regimi e margini di manovra diversi. Ad esempio, i debiti fiscali tendono a crescere con sanzioni e interessi, ma l’ADER offre strumenti di rateizzazione abbastanza automatici (fino a 72 rate mensili, o 120 se grave e comprovata difficoltà) e periodicamente lo Stato var varando definizioni agevolate (come la recente Rottamazione-quater del 2023) che consentono di stralciare sanzioni e interessi. I debiti bancari possono spesso essere rinegoziati se affrontati per tempo: la banca preferisce un piano di rientro concordato piuttosto che una lunga causa o un’insolvenza. I debiti verso privati (fornitori, conoscenti) a volte possono essere chiusi con accordi a saldo e stralcio per importi ridotti, specialmente se il creditore teme di non vedere nulla altrimenti.
Comunicare e negoziare: un commercialista dovrebbe sfruttare le sue competenze finanziarie per intavolare trattative coi creditori prima che questi perdano la pazienza e agiscano legalmente. Molti creditori apprezzano la proattività: se il debitore li contatta spiegando la sua situazione e proponendo un piano di pagamento realistico, potrebbero accettare. Ad esempio, con il Fisco si può chiedere immediatamente una rateazione amministrativa: per debiti fino a €120.000 basta una domanda online per avere 6 anni di tempo (72 rate) senza neanche dimostrare il disagio; per importi maggiori serve qualche documentazione ma è fattibile. La rateazione ferma nuove azioni esecutive dell’ADER (non quelle già iniziate, ma evita nuove). Nel 2023-2025 c’è in corso la Rottamazione-quater introdotta dalla L.197/2022 (Bilancio 2023), che consente di definire i carichi affidati dal 2000 al 30/6/2022 pagando solo imposta e contributi senza sanzioni, interessi e aggio. In pratica, un forte sconto sulle cartelle esattoriali – è un’occasione da sfruttare se il commercialista rientra nei termini (la domanda per aderire era entro giugno 2023, con pagamento rate fino al 2027). Nel 2025 il piano di rottamazione è in corso, e c’è stata addirittura una riapertura straordinaria dei termini ad aprile 2025 per chi era decaduto. Dunque, prima regola col Fisco: approfittare di ogni definizione agevolata o saldo e stralcio normativo disponibile. Queste misure consentono tagli notevoli (spesso eliminano more e interessi e riducono le somme dovute). In passato, persino cancellazioni integrali di micro-debiti inferiori a €1.000 sono state fatte per alcuni anni. Quindi, monitorare la normativa fiscale è cruciale.
Con le banche: se il debito è per prestiti, è utile cercare una rinegoziazione del tasso o dell’importo prima di saltare le rate. Ad esempio, trasformare un fido scoperto in un mutuo a lungo termine garantito magari da ipoteca (se il commercialista ha un immobile libero) può abbattere la rata. Oppure chiedere un periodo di moratoria (sospensione pagamenti) se c’è una crisi temporanea. Le banche, essendo soggette a vigilanza, spesso aderiscono a piani di rientro ABI o misure governative di sospensione (in passato c’erano i piani di famiglia, Fondo Gasparrini per mutui prima casa ecc.). Valgono ovviamente se il commercialista è in temporanea difficoltà ma può riprendersi – se è insolvenza conclamata, la banca preferirà escutere le garanzie o intraprendere vie legali, quindi è meglio coinvolgerla in un contesto concorsuale dove accetta un concordato.
Saldo e stralcio: è la forma di transazione più diffusa con creditori privati. Si offre un pagamento una tantum e in tempi rapidi di una parte del debito, a fronte della cancellazione del resto. Per convincere il creditore a uno stralcio, il debitore deve in genere:
- dimostrare di non poter pagare l’intero importo (quindi convincerlo che se non accetta, rischia di ottenere poco o nulla magari dopo anni di azioni esecutive);
- magari prospettare un evento che consente il pagamento immediato (es. “riesco a farmi prestare 10k dai parenti, con cui chiudo il debito di 20k, oppure dovrete cercare di pignorarmi e non possiedo molto”).
Spesso funziona meglio con creditori non garantiti e non istituzionali. Le banche di solito concedono stralci solo dopo che il debito è deteriorato e magari venduto a società di recupero crediti, le quali poi negoziano. In ogni caso, mai ignorare i creditori: il silenzio è l’anticamera delle azioni legali. Meglio instaurare un dialogo e prendere tempo in modo concordato, piuttosto che farsi trovare impreparati con un precetto o un decreto ingiuntivo in arrivo.
Proteggere la reputazione professionale: come commercialista, l’indebitamento può avere riflessi reputazionali (anche disciplinari potenzialmente, se per esempio non paga la cassa di previdenza, potrebbe incorrere in sanzioni deontologiche). Quindi muoversi attivamente per risolvere è anche fondamentale per la credibilità verso clienti: un commercialista perseguitato da pignoramenti potrebbe perdere clienti se la voce gira. Affrontare la crisi con professionalità (anche avvalendosi di consulenza di un collega esperto in crisi d’impresa, paradossalmente un commercialista potrebbe aver bisogno di un altro commercialista specializzato in procedure di insolvenza) è segno di serietà.
Valutare la continuità dell’attività: se i debiti sono troppi, a volte un professionista pensa di “chiudere lo studio” e magari riaprirne un altro con nome diverso o far figurare un parente. Attenzione: i debiti personali non spariscono chiudendo la partita IVA. Inoltre, l’Ordine potrebbe intervenire se c’è un accollo di debiti a terzi fittizio. Soluzioni come far fallire una società e aprirne un’altra non si applicano al singolo professionista (che non fallisce, come detto). Dunque, meglio pianificare una riorganizzazione trasparente: ad esempio, ridurre i costi (licenziare personale se necessario, disdire l’affitto costoso per uno più economico), vendere beni non essenziali per fare cassa e pagare debiti prioritari. Nel far questo, però, attenzione: vendere sottoprezzo beni quando si è indebitati può esporsi a revocatorie (come detto prima). Quindi, se occorre liquidare asset, farlo a valori di mercato e preferibilmente informando i creditori principali, così da non generare sospetti di frode.
Concordati stragiudiziali e piani del consumatore “in bianco”: si potrebbe provare a simulare tra le parti ciò che farebbe un concordato minore in tribunale, ma privatamente. Ad esempio, radunare tutti o la maggior parte dei creditori attorno a un tavolo e proporre un accordo di ristrutturazione extragiudiziale: “vi pago il 30% in 5 anni, secondo queste scadenze, e ve lo garantisco magari con ipoteca su un immobile”, in cambio ognuno rinuncia al resto e non procede legalmente. Questa sarebbe la soluzione ideale, se c’è collaborazione e fiducia. A volte un ruolo mediatore può essere svolto da un OCC in veste privata o da un advisor finanziario. Tuttavia, questi accordi hanno il problema che devono aderire tutti i creditori per vincolare davvero la posizione; basta un dissenso per rischiare di mandare tutto a monte (quel creditore potrebbe agire e rompere l’equilibrio). Le procedure concorsuali esistono proprio per superare queste difficoltà (permettono di legare anche i dissenzienti se c’è una maggioranza qualificata). Ci sono strumenti di transazione previsti da leggi speciali per crediti particolari: ad esempio, la transazione fiscale (accordo col Fisco su sanzioni e interessi) era prevista nel concordato preventivo e di fatto avviene nel concordato minore attraverso il cram-down giudiziale se serve. Fuori dalla procedura, col Fisco è possibile solo aderire alle definizioni di legge (rottamazioni ecc.), non c’è un potere di un singolo funzionario di scontare il capitale dovuto.
In sintesi sulle strategie stragiudiziali:
- Comunicare presto con i creditori e mostrarsi collaborativi.
- Prioritizzare: ad esempio, pagare prima i debiti strategici (quelli che possono portare a conseguenze più gravi in breve termine, come stipendi arretrati di eventuali dipendenti, o affitto per non essere sfrattati dallo studio, o quelli che generano interessi mostruosi come l’IVA) e cercare accomodamenti per gli altri.
- Evitare di contrarre nuovi debiti per pagarne vecchi senza un piano: il cosiddetto “spirale di indebitamento” va interrotta. Un errore comune è fare altri prestiti per tamponare falle – se il business non si riprende, si peggiora solo la situazione. Piuttosto, meglio congelare i pagamenti e andare in concorsuale.
- Consultare professionisti esperti (colleghi commercialisti specializzati in crisi, avvocati fallimentaristi) fin da subito: un occhio esterno può suggerire soluzioni che il diretto interessato non vede.
- Mantenere buona fede documentabile: anche negli accordi privati, è bene mettere tutto per iscritto, non fare pagamenti preferenziali nascosti a scapito di altri creditori (nel caso poi si vada in procedure, certi pagamenti preferenziali a ridosso della procedura potrebbero essere revocati). Meglio tenere traccia delle proposte fatte ai creditori (es. lettere o email di proposta transattiva).
Difese giudiziali contro le azioni esecutive e le pretese dei creditori
Non sempre la negoziazione basta. È possibile che alcuni creditori – ad esempio una banca o un cliente arrabbiato – intraprendano vie legali: dal decreto ingiuntivo alla causa ordinaria, fino al pignoramento. Il debitore deve conoscere quali strumenti processuali ha a disposizione per difendersi:
- Opposizione al decreto ingiuntivo (artt. 645 c.p.c.): se un creditore ottiene un decreto ingiuntivo (titolo esecutivo che intima il pagamento entro 40 giorni), il debitore può fare opposizione entro quel termine per far aprire un giudizio ordinario in cui contestare il credito. Per un commercialista, ad esempio, se un cliente gli ingiunge di pagare €20k di danni per un errore fiscale, egli può opporsi sostenendo di non doverli (magari perché il danno non è provato o già risarcito dall’assicurazione RC professionale). L’opposizione sospende l’esecutività provvisoria solo se concessa dal giudice su istanza motivata (o se il decreto non aveva clausola di esecutorietà immediata). Comunque, è una prima linea di difesa: contestare la fondatezza del debito se vi sono argomentazioni giuridiche. Naturalmente, se il debito è certo (es. fatture non pagate ammesse), l’opposizione serve solo a prendere tempo, ma potrebbe non evitare la condanna finale – attenzione che un’opposizione temeraria può aggravare le spese.
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): se parte un pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) e il debitore ritiene che il creditore non avesse diritto di procedere (ad esempio perché il debito era già estinto, o perché non è lui il debitore, o il titolo è invalido), può fare opposizione all’esecuzione. Caso tipico: un commercialista subisce un pignoramento sulla base di una vecchia sentenza che però secondo lui è stata già ottemperata; oppure il creditore agisce su un bene vincolato come il fondo patrimoniale e il debitore eccepisce l’impignorabilità (questo si fa con opposizione all’esecuzione, appunto). L’opposizione all’esecuzione va proposta al giudice competente per l’esecuzione (Tribunale) prima che essa sia conclusa, e può portare a sospensione se il giudice riconosce fumus di buon diritto. Ad esempio, con l’opposizione ex art.615 si fa valere la protezione del fondo patrimoniale: si dice “questo immobile è impignorabile perché debito estraneo ai bisogni fam. e creditore sapeva” e si chiede di dichiarare improcedibile l’esecuzione.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): se si contesta non il diritto di procedere in sé, ma la regolarità formale degli atti dell’esecuzione (vizi di notifica, errori procedurali), si usa questa. Ad esempio, il pignoramento è stato notificato senza rispettare termini, o la vendita è fissata in modo non conforme. È un’opposizione sui vizi formali, termini stretti (5 giorni).
- Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): questa è un’arma importante: il debitore, una volta subito un pignoramento (specie immobiliare o mobiliare), può chiedere di convertirlo pagando al creditore pignorante una somma pari al credito vantato più spese, in sostituzione del bene. In pratica, se il commercialista all’improvviso trova i soldi (o li raccoglie da parenti) dopo il pignoramento, può evitare la vendita depositando la somma dovuta (anche a rate, massimo 18 mensili, con acconto 1/5 subito) e liberare il bene. È un modo per rimediare dopo che il processo esecutivo è partito. Richiede però di disporre delle somme.
- Riduzione o frazionamento del pignoramento: se è stato pignorato un bene di valore manifestamente superiore al debito, il debitore può chiedere di ridurre l’estensione del pignoramento (ad esempio, hanno pignorato 2 immobili quando 1 bastava, si può chiedere di liberar uno). Oppure se su stipendio oltre i limiti, far adeguare (queste in verità le fa il giudice d’ufficio se vede eccessi, ma il debitore può segnalarlo).
- Sfruttare la prescrizione o decadenza: alcune pretese possono essere contestate perché prescritte (ad es. contributi previdenziali dei professionisti hanno prescizione 5 anni; parcelle vecchie non richieste entro tot; rate mutuo scadute da oltre 10 anni ecc.). Un commercialista conosce bene i termini di prescrizione: farli valere in giudizio può annullare il debito se davvero passato troppo tempo senza atti interruttivi. Inoltre, contestare la regolarità delle notifiche delle cartelle esattoriali (spesso i debiti fiscali sono prescritti perché l’ADER non ha notificato in tempo le intimazioni).
- Chiedere la sospensione dell’esecuzione: in casi di grave pregiudizio o motivi fondati di opposizione, il giudice può sospendere l’esecuzione in corso. Ad esempio, se sta per tenersi l’asta della casa ma è pendente un’istanza di riduzione del prezzo ingiustificata, o c’è un concordato in arrivo, si può chiedere un rinvio.
Tutte queste difese giudiziarie servono però solo a guadagnare tempo o evitare abusi, non risolvono alla radice l’indebitamento. Possono far guadagnare mesi o anni preziosi durante i quali magari il debitore riesce a vendere un bene e pagare, o a organizzare un piano di sovraindebitamento. Infatti, un pregio delle procedure concorsuali è che offrono uno scenario ordinato e definitivo rispetto alla giungla delle esecuzioni individuali. Nel frattempo però, se un commercialista ha 5 creditori e uno di essi inizia a pignorare, può essere utile fare opposizione e contestare anche parzialmente per prendere tempo e contestualmente depositare un ricorso per concordato minore: in tal caso potrà chiedere la sospensione delle aste in corso dal giudice concorsuale, ottenendo uno stand-still più robusto.
Ruolo dell’OCC e del legale: se si decide di intraprendere un piano o concordato, l’OCC nominato può aiutare anche a convincere i creditori a stare fermi: spesso l’OCC contatta i maggiori creditori per informarli che il debitore sta predisponendo una procedura, invitandoli a non aggravare la situazione con cause. Non è vincolante, ma molti creditori istituzionali sospendono volentieri le azioni se vedono che è stato depositato un ricorso e magari c’è già il decreto di protezione del tribunale.
Evitare azioni distruttive del patrimonio: dalla prospettiva del debitore, “difendersi” non significa compiere atti illegali. Vendere nascostamente beni a terzi compiacenti, falsificare documenti, sottrarre attivi, sono tutte cose che configurano reati (tipo sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, bancarotta fraudolenta se poi c’è fallimento, ecc.). Inoltre, tali atti fanno perdere i benefici delle procedure (un debitore che ha frodato i creditori non è meritevole per l’esdebitazione). Quindi la migliore difesa è all’interno della legalità, sfruttando le norme a proprio favore.
Eventuali aspetti penali: in Italia il debito civile non porta al carcere (dal 1870 non esiste prigione per debiti). Ci sono però alcuni reati legati all’insolvenza: l’omesso versamento di IVA sopra soglie, l’omesso versamento di ritenute se supera €150k, la bancarotta se un soggetto fallibile distrae beni prima del fallimento, e reati come l’art. 641 c.p. (insolvenza fraudolenta, per chi contrae obbligazioni sapendo di non poterle adempiere, ma ha rilevanza se c’è inganno). Un commercialista potrebbe incorrere in insolvenza fraudolenta se ad esempio continua ad acquistare beni/servizi ben sapendo di essere insolvente, per poi non pagarli. Oppure, se omette volutamente di versare IVA dovuta > €250k (soglia penale), incorre nel reato ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000. Quindi, difendersi deve includere il non sconfinare in queste condotte. Se si è impossibilitati a pagare l’IVA, la scelta più saggia è intraprendere il prima possibile un concordato minore: nelle procedure di sovraindebitamento, il pagamento integrale dell’IVA è richiesto salvo apporto esterno, ma almeno consente di diluire e evitare il reato, perché la presentazione del piano dimostra la volontà di adempiere in sede concorsuale. In genere, i reati tributari di omesso versamento si consumano se scade il termine e non c’è stato pagamento: ma se prima che intervenga la soglia penale il soggetto avvia una procedura concorsuale e paga parzialmente con l’omologa, vi sono discussioni dottrinali se ciò escluda la punibilità. Comunque è un tema tecnico. In ogni caso, mai falsificare bilanci o occultare documenti: un commercialista dovrebbe sapere bene che queste azioni aggravano la sua posizione (anche penalmente, pensiamo al reato di occultamento/distruzione di scritture contabili se era soggetto a fallimento – nel suo caso no, ma se c’è reato fiscale sì).
Possibili sanzioni disciplinari: l’Ordine dei Commercialisti potrebbe sanzionare condotte contrarie al decoro. Essere in enorme debito di per sé non è illecito disciplinare, ma se ad esempio il commercialista non versa regolarmente i contributi alla Cassa o le tasse, potrebbe incorrere in sospensioni dall’albo per morosità verso l’ordine o la cassa. Bisogna considerare anche questo: attivare una procedura concorsuale per sistemare tutto può essere visto anzi positivamente come segno di ravvedimento (mentre l’accumulo di debiti non onorati può portare a reputazione di inaffidabilità). Attualmente non risultano norme che impediscano a un soggetto sovraindebitato di esercitare la professione (in passato i falliti avevano limitazioni civili e a volte anche ordini li sospendevano; oggi il CCII rimuove molte incapacità). La riabilitazione del fallito era in passato necessaria per riavere pieni diritti, ora con l’esdebitazione queste limitazioni non ci sono nel sovraindebitamento. Quindi, un commercialista che ottiene un piano omologato o un’esdebitazione potrà continuare a esercitare; non esiste un casellario accessibile al pubblico per queste procedure (non compaiono nel casellario giudiziale penale), sebbene possano essere annotate nel Registro pubblico delle procedure presso tribunali e forse nelle visure camerali se era imprenditore.
Vantaggi concreti di affrontare la crisi con le procedure concorsuali rispetto al subire i pignoramenti: (questo è bene ribadirlo in ottica difensiva)
- Sospensione immediata delle azioni esecutive: presentando un ricorso in tribunale, il debitore ottiene uno stand-still dai pignoramenti. Niente aste, niente stipendi dimezzati all’improvviso – la pressione si allenta, e si può gestire il tutto in modo globale e ordinato. Invece subire pignoramenti frammentati significa che magari il primo che arriva prende tutto e gli altri restano a bocca asciutta, ma intanto la casa viene venduta male ecc.
- Riduzione dell’ammontare dovuto: con un piano/accordo spesso si paga solo una parte dei debiti e il resto viene cancellato. Esempio: il concordato minore permette di proporre il 30% globale. Se lasci fare ai creditori, ciascuno cercherà il 100% più interessi e spese, e se uno non riesce pazienza per lui, ma intanto gli interessi continuano e il debito magari cresce. Nel pignoramento dello stipendio, uno può vedersi trattenere somme per 20 anni e per via degli interessi il debito non scende mai molto. Con la procedura concorsuale, c’è un termine finale: paghi quel che puoi in tot anni e poi basta, finisce l’incubo.
- Protezione dei beni essenziali: come visto, un piano ben congegnato può salvare la casa (mantenendo il mutuo), l’auto se necessaria al lavoro (la si può tenere fuori vendite se serve per reddito), mentre nell’esecuzione un creditore potrebbe prendere tutto indiscriminatamente. Esempio: concordato minore – il commercialista propone di continuare a pagare il leasing dell’auto indispensabile per recarsi dai clienti, e i creditori chirografari accettano che l’auto non sia venduta. Nella procedura esecutiva pura, quell’auto poteva essere pignorata e venduta all’asta e lui restava a piedi.
- Tempi più rapidi per uscire dal tunnel: un pignoramento stipendio del 20% su €200.000 di debiti può durare decenni (perché ogni anno paga €… e intanto maturano interessi sui residui). Con un piano del consumatore in 4-5 anni al massimo si chiude e arriva l’esdebitazione. La legge infatti fissa durate limitate: 3 anni per la liquidazione (salvo proroghe di vendita), piani in genere 4-5 anni. Quindi c’è luce in fondo al tunnel, a differenza dell’incertezza di restare cattivo pagatore a vita.
- Interessi e sanzioni bloccati: dal momento dell’apertura della procedura, gli interessi sui crediti chirografari cessano di maturare (liquidazione) o comunque vengono congelati secondo il piano. Invece in un’esecuzione spezzettata gli interessi legali e di mora continuano a correre sul dovuto, con il paradosso che a volte dopo anni di pignoramento stipendio uno ha pagato migliaia di euro ma il capitale è ancora lì per via degli interessi. La procedura ferma il conteggio e taglia anche sanzioni.
- Parità di trattamento tra creditori e fine delle strategie aggressive: in una procedura concorsuale tutti i creditori sono trattati in modo equo secondo regole stabilite dalla legge (privilegi, percentuali uguali per chirografari, ecc.). Non c’è il “furbo” che arriva primo e pignora tutto lasciando gli altri a bocca asciutta. Questo porta anche un beneficio psicologico: il debitore vede ordine e non il caos di mille richieste scoordinate. Non deve decidere chi pagare prima (rischiando azioni revocatorie se preferisce qualcuno), perché c’è un piano approvato dal giudice.
- Assistenza di esperti: affrontando la crisi con procedure avrà accanto a sé OCC e professionisti dedicati che lo aiutano a gestire la cosa, mentre subendo pignoramenti spesso il debitore è isolato e confuso. Avere un consulente che spiega e organizza allevia anche lo stress.
- Effetto liberatorio psicologico e sociale: portare a termine la procedura con l’esdebitazione ridà dignità economica e possibilità di ricominciare senza stigma (a parte uno temporaneo). Restare invece insolvente cronico ti esclude dal credito per sempre e ti lascia l’ansia costante dei debiti pendenti. Molti debitori riferiscono che entrare in una procedura – pur impegnativa – li ha sollevati mentalmente perché sapevano di avere un percorso definito verso la soluzione, invece che infinite telefonate di recupero crediti.
- Tutele per la famiglia: i giudici in sede di omologazione di piani di solito verificano che il piano lasci al debitore abbastanza risorse per i bisogni familiari. Ad esempio, non approveranno rate talmente alte da non lasciare soldi per cibo o spese essenziali dei figli. Mentre un pignoramento “cieco” prende il 20% senza considerare se magari quel 20% serviva per pagare l’asilo o altro (in teoria il giudice dell’esecuzione potrebbe tenere conto degli alimenti dovuti, ma è un meccanismo meno flessibile). Dunque la procedura concorsuale adotta un approccio più olistico.
Ovviamente, le procedure hanno anche costi: occorre pagare i professionisti (avvocato, OCC) e c’è qualche spesa di giustizia. Tali costi però sono spesso commisurati alla situazione (l’OCC per legge dev’essere pagato anche in base all’attivo e può acconsentire a essere pagato in parte dilazionato nel piano). E comunque, come dice un detto, “se pensi che un professionista costi troppo, pensa a quanto ti costa non averlo”. Nel contesto di debiti significativi, affrontare la crisi con una procedura conviene decisamente: si dorme meglio la notte e c’è luce in fondo al tunnel. Se i debiti invece sono modesti e gestibili con un pignoramentino (es. uno ha solo un debito da €5.000 e subisce un piccolo pignoramento), allora forse può anche evitare procedure, ma non è il nostro caso di solito.
In sintesi, il vantaggio chiave è che si passa da una condizione di indebitamento perpetuo e caotico, senza via d’uscita, a una condizione di sovraindebitamento gestito con strategia: c’è un termine definito e una riabilitazione finale. E i beni essenziali e redditi minimi sono meglio preservati.
Andiamo ora a rispondere ad alcune domande frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi operativi più comuni dal punto di vista del debitore.
Domande frequenti (FAQ)
D: Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento ex Legge 3/2012 (oggi Codice della Crisi)?
R: Possono accedere tutti i soggetti non fallibili che si trovano in stato di sovraindebitamento (incapacità di pagare regolarmente i debiti). In particolare: persone fisiche consumatrici (famiglie, pensionati, dipendenti con debiti personali), piccoli imprenditori commerciali e artigiani sotto le soglie di fallibilità (attivo ≤ €300.000, debiti ≤ €500.000, ricavi ≤ €200.000), professionisti (commercialisti, avvocati, medici ecc.), imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non commerciali (associazioni), e soggetti particolari come i soci illimitatamente responsabili di società di persone (per i debiti sociali a loro carico) e gli eredi di debitori defunti. In pratica, chiunque abbia debiti insostenibili ma non sia soggetto a fallimento può utilizzare queste procedure. Il caso del commercialista rientra tra i professionisti non fallibili, quindi è incluso. È fondamentale che il debitore sia “meritevole”: non deve aver provocato il sovraindebitamento con frodi o colpa grave intenzionale, e dev’esserci un reale squilibrio economico non risolvibile altrimenti. Le società di capitali e gli imprenditori sopra soglia invece devono seguire le procedure concorsuali ordinarie (liquidazione giudiziale/fallimento, concordato preventivo). Da notare che più membri di una stessa famiglia (conviventi) possono accedere con un’unica procedura congiunta se i debiti hanno origine comune, grazie alle nuove norme sulle procedure familiari.
D: Quali tipi di debiti si possono includere nel piano o nel concordato? Anche i debiti con lo Stato?
R: Si possono includere praticamente tutti i debiti del sovraindebitato, sia verso creditori privati (banche, finanziarie, fornitori, privati) sia verso enti pubblici (Fisco, INPS, enti locali ecc.). Nel piano del consumatore o nel concordato minore vanno elencati tutti i debiti noti, di qualsiasi natura, inclusi eventuali debiti derivanti da garanzie prestate (fideiussioni poi escusse). Debiti fiscali e previdenziali possono essere oggetto di ristrutturazione (dilazionati o anche parzialmente tagliati) purché la proposta rispetti le regole speciali – ad esempio l’IVA va prevista a pagamento integrale se non c’è apporto esterno (non la si può falcidiare semplicemente, per normativa UE). Ma si può comunque dilazionare o compensare con crediti fiscali o far intervenire terzi. Ad esempio, è ammissibile proporre di pagare il 30% di una cartella esattoriale in 5 anni e ciò, se il giudice omologa, vincolerà l’Erario. Ci sono però alcune eccezioni importanti: non rientrano nelle procedure (ovvero non possono essere cancellati con l’esdebitazione) gli obblighi di mantenimento/alimenti verso coniuge e figli, e in generale le sanzioni penali o amministrative a carattere punitivo (multe stradali, ammende penali). Questi debiti vanno comunque elencati nel piano per trasparenza, ma non possono essere ridotti né estinti: resteranno a carico del debitore anche dopo la procedura. Ad esempio, una multa stradale potrà al più essere dilazionata nel piano, ma se non viene pagata integralmente continuerà a essere dovuta (l’esdebitazione non la copre). Tutti gli altri debiti invece – mutui, finanziamenti, fornitori, bollette arretrate, canoni di locazione, debiti condominiali, tributi erariali o locali, contributi – possono far parte del piano o accordo e al termine, se non pagati integralmente, vengono esdebitati (cancellati). Anche un debito IVA può essere parzialmente condonato in un concordato minore se si rispetta la condizione dell’apporto esterno e il Fisco dissente ma interviene il cram-down giudiziale (cioè il giudice omologa comunque assicurando che il Fisco ottiene quanto avrebbe avuto liquidando). In sintesi, quasi tutti i debiti sono “trattabili” nelle procedure di sovraindebitamento: la disciplina è pensata come soluzione unitaria e onnicomprensiva. Naturalmente poi quello che effettivamente verrà pagato dipende dal piano e dalle regole (ad esempio, nel piano del consumatore il giudice potrebbe pretendere che alcuni debiti come l’IVA siano pagati al 100% se non c’è altra via, oppure nel concordato minore bisogna rispettare cause di prelazione per privilegiati – non si può ignorarle a piacimento).
D: La legge mi cancella davvero tutti i debiti? Come funziona l’esdebitazione finale?
R: Sì, l’obiettivo ultimo delle procedure è proprio la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione) per il debitore meritevole. Se si conclude con successo un piano del consumatore o un concordato minore, dopo l’esecuzione il tribunale emette un decreto che attesta che il debitore ha adempiuto e dichiara inesigibili i crediti residui. In pratica, se nel piano si prevedeva di pagare, poniamo, il 30% ai chirografari e lo si paga, il restante 70% viene annullato: i creditori non potranno più pretenderlo. Nel caso della liquidazione controllata, trascorsi al massimo 3 anni, il tribunale chiude la procedura ed emette d’ufficio l’esdebitazione: tutti i debiti non soddisfatti con la liquidazione sono “perdonati” (tranne quelli esclusi per legge di cui sopra). Il debitore diventa libero. Le eccezioni limitate riguardano appunto gli obblighi di mantenimento, i debiti per risarcimenti da fatti illeciti dolosi e le sanzioni penali/amm.ve, che non si cancellano e rimangono a carico (questi sono pochi casi, e spesso, se il debitore è nullatenente, resteranno inesigibili di fatto, ma giuridicamente restano dovuti). Va segnalata poi la nuova esdebitazione del debitore incapiente, dove i debiti vengono cancellati addirittura senza aver pagato nulla: in quel caso il giudice, se reputa il debitore meritevole e veramente privo di risorse, concede l’esdebitazione totale e da quel momento il debitore è libero. Con l’unico vincolo di quei 4 anni in cui se dovesse ottenere vincite o eredità deve in parte destinarle ai vecchi creditori (altrimenti la beneficiazione verrebbe revocata). Dunque la risposta è: sì, la legge consente di azzerare i debiti, dopo aver seguito la procedura e rispettato le condizioni, offrendo al debitore un fresh start. Occorre ricordare che questo vale per la persona fisica: se il debitore è una società di capitali e viene liquidata, non ha bisogno di “esdebitazione” perché cessando di esistere i debiti insoddisfatti restano senza nessuno che ne risponda – la società muore e i debiti con essa (in un certo senso è come se fossero cancellati, ma semplicemente perché mancano più soggetti obbligati). Per le persone, invece, c’è quest’idea della riabilitazione economica individuale. Bisogna essere consapevoli che l’esdebitazione è un beneficio concess o una sola volta (per evitare abusi seriali): se uno ne beneficia e poi ricade nei debiti, non potrà ottenerla di nuovo prima di un certo numero di anni o mai più (nel caso dell’esdebitazione incapiente è solo una volta nella vita; nelle altre procedure, la legge prevede che non si possa accedere a una nuova procedura prima di 4 anni dal decreto di esdebitazione precedente, e in ogni caso il giudice valuterà più severamente la meritevolezza). Quindi il fresh start va usato saggiamente.
D: Posso salvare la mia casa dal pignoramento se ho debiti?
R: Dipende dal tipo di creditore e dalla strategia adottata. Come spiegato, la prima casa è impignorabile soltanto di fronte a debiti fiscali e solo se è l’unica di proprietà, vi si ha la residenza e il debito con Agenzia Entrate-Riscossione è < €120.000. In tal caso l’esattore non può metterla all’asta (al massimo iscrive ipoteca se il debito supera €20.000). Questo però non vale per gli altri creditori: se il creditore è una banca o un altro soggetto privato, purtroppo può pignorarla – non c’è protezione legale generale per la prima casa nei loro confronti. Come proteggersi allora? Ci sono varie strade:
- Accedere a una procedura di sovraindebitamento (piano/accordo): come detto, presentando ricorso si può congelare la procedura esecutiva in corso sulla casa e ristrutturare i debiti, evitando la vendita forzata. Ad esempio, un piano del consumatore potrebbe prevedere di mantenere il pagamento del mutuo ipotecario (per non far intervenire la banca sulla casa) e contestualmente sospendere/stralciare le altre azioni: così la banca della casa continua a ricevere le sue rate e non procede all’esecuzione, e gli altri creditori vengono soddisfatti in parte nel piano. Il CCII consente esplicitamente questa soluzione di salvaguardia della prima casa attraverso la continuazione dei pagamenti del mutuo durante il piano.
- Accordo stragiudiziale col creditore ipotecario: se la casa è già pignorata dalla banca (o sta per esserlo), spesso le banche accettano, prima dell’asta, una vendita privata dell’immobile o un saldo e stralcio. In pratica, il debitore (o la famiglia) può cercare un acquirente sul mercato disposto a pagare un prezzo equo per la casa, e con il ricavato pagare la banca, la quale in cambio rinuncia a perseguire eventuali residui. Vendere volontariamente la casa a prezzo di mercato e pagare la banca può essere meglio che farla vendere all’asta (dove di solito si ricava meno e si aggiungono spese). Certo, questo risolve il debito con ipoteca ma la casa è sacrificata; tuttavia, a volte si riesce a ottenere dalla banca un condono del debito residuo come accennato (se ad esempio il debito mutuo è €150k e la casa ne vale €120k, la banca potrebbe acconsentire a prendere €120k e cancellare il resto di €30k, anziché rischiare all’asta di prenderne ancor meno, diciamo €80k).
- Opposizione del coniuge non debitore (se comunione): se la casa è intestata in comunione dei beni e solo uno dei coniugi è debitore, il coniuge non debitore può cercare di dimostrare che il debito è estraneo ai bisogni familiari e opporsi al pignoramento su tale base. Come discusso, però, la giurisprudenza finora tendeva a considerare quasi tutti i debiti come per bisogni familiari (specie quelli d’impresa), quindi questa via è incerta e spesso inefficace se non in casi particolari (debiti palesemente personali). Di recente le Cassazioni 2023 hanno aperto spiragli invertendo la presunzione, ma servirà vedere applicazione pratica. Diciamo che è una carta da giocare se ne ricorrono i presupposti (es. il debito è per attività totalmente scollegata dal mantenimento familiare e il creditore lo sapeva).
- Soluzioni “estreme” (sconsigliate) come fondo patrimoniale o intestazione a terzi last-minute: se c’è tempo prima che il creditore notifichi il pignoramento, alcuni considerano di mettere la casa in un fondo patrimoniale o intestarla a un terzo di fiducia. Attenzione però: queste mosse possono essere facilmente revocate o considerate frode se fatte quando i debiti sono già noti e scaduti. Costituire un fondo all’ultimo momento di solito non ferma il pignoramento, perché il giudice riterrà quei debiti comunque familiari (o il creditore agirà in revocatoria sostenendo l’intento fraudolento, visto che il fondo è stato creato dopo l’insorgenza dei debiti). Quindi muoversi in extremis su questo fronte è spesso inutile e pericoloso (può esporre a azioni di revoca o addirittura penali per sottrazione fraudolenta se il fine è evidente).
In sostanza, la via maestra per salvare la casa è attivare per tempo una procedura concorsuale (piano/accordo) che blocchi l’asta e permetta di gestire diversamente il debito. Se il piano è ben fatto, si può mantenere la casa continuando a pagare il mutuo e magari offrendo ai creditori chirografari altre risorse dilazionate. Bisogna però essere realistici: se la casa ha molto valore e i debiti sono enormi, a volte la vendita è inevitabile come parte della soluzione. Però anche in tal caso, farlo nell’ambito di un concordato può consentire, ad esempio, di venderla a un parente a prezzo di mercato e poi affittarla indietro, o altre soluzioni più flessibili e umane (cose che in un’esecuzione standard non sarebbero possibili, dove la casa finisce a chi offre di più all’asta e basta). Per i debiti fiscali, come detto, se sotto certe soglie la casa è protetta per legge; se sopra, comunque l’ADER prima iscrive ipoteca e non può procedere all’asta se il debito non supera 120k, e se lo supera c’è spesso margine di trattativa nei mesi (di norma devono passare 6 mesi tra iscrizione ipoteca e eventuale avvio esecuzione, periodo in cui si può cercare soluzioni). In sintesi: sì, spesso la casa di famiglia può essere salvata, ma occorre muoversi legalmente e con anticipo, non aspettare l’ultimo momento.
D: Cosa succede se non ho alcun bene da liquidare né entrate per pagare i creditori?
R: Non tutto è perduto! La riforma 2020-2022 ha introdotto proprio un meccanismo per il debitore completamente “incapiente”. Se sei nullatenente (nessun immobile, nessun oggetto di valore) e hai un reddito solo minimo, puoi chiedere al tribunale l’esdebitazione senza liquidazione (detta anche “esdebitazione del debitore incapiente”). In pratica, se dimostri di essere in buona fede ma proprio al verde, il giudice con decreto ti libera da tutti i debiti (eccetto quelli non esdebitabili come alimenti, danni per dolo, multe) senza farti pagare nulla. È un’opportunità concessa una tantum nella vita. Dopo aver ottenuto questo “perdono”, avrai però l’obbligo per 4 anni di segnalare se ricevi somme o eredità significative e, se accade, dovrai destinare ai vecchi creditori almeno il 10% di quelle nuove disponibilità. Se invece resti povero, non pagherai nulla e i creditori non potranno più perseguitarti. Questa procedura è pensata proprio per chi non può offrire nemmeno un piccolo piano di rientro. Ovviamente, se hai già fatto atti in frode (tipo regalato beni per risultare nullatenente), il tribunale non te la concederà: devi dimostrare di essere meritevole e sinceramente sfortunato, non un furbo. In alternativa a questo, c’è sempre la possibilità di avviare comunque la liquidazione controllata anche se non hai beni: si chiuderà praticamente subito per mancanza di attivo e otterrai l’esdebitazione allo stesso modo, però con il “marchio” di una procedura concorsuale formale. La nuova norma sull’incapiente evita anche questo passaggio: vai direttamente dal giudice a chiedere clemenza. Quindi, risposta: se proprio non hai nulla, la legge oggi prevede un’uscita di sicurezza che prima non c’era. Ovviamente è l’ultima spiaggia e serve a chiudere definitivamente la partita dei debiti. Devi però essere sincero con il tribunale: verranno fatte verifiche tramite l’OCC per assicurarsi che davvero tu non abbia risorse nascoste e che la tua situazione non sia frutto di colpe gravissime. Se menti, rischi il rigetto e magari guai peggiori.
D: Quanta parte del mio stipendio o pensione possono pignorare i creditori?
R: La legge pone limiti precisi, come abbiamo visto. In generale:
- Gli stipendi/salari sono pignorabili solo fino a 1/5 (20%) dell’importo netto mensile. E in ogni caso il totale delle trattenute non può superare la metà dello stipendio, se ci sono più pignoramenti contemporanei. Esempio: con €1.500 netti, al massimo €300 al mese possono essere trattenuti per i creditori. È escluso per legge privarti di più della metà del reddito, anche sommando eventuali pignoramenti multipli.
- Per le pensioni c’è una protezione aggiuntiva: l’INPS deve lasciare impignorato un minimo vitale pari a circa 1,5 volte l’assegno sociale (circa €800 nel 2025). Solo la parte eccedente tale soglia può essere pignorata, sempre entro il limite del quinto. Quindi, se una pensione è €1.000: la parte eccedente ~€800 è €200; il quinto di 1.000 sarebbe €200, che coincide con l’eccedenza – ergo possono pignorare €200 e lasciare €800. Se la pensione è €700 (sotto soglia minima), non è pignorabile affatto. Inoltre, come detto, per il Fisco su stipendi/pensioni valgono regole persino più favorevoli a scaglioni: redditi fino a ~€2.500 pignorabili solo 1/10, tra 2.501 e 5.000 € 1/7, sopra 5.000 € 1/5.
- Stipendi depositati in conto corrente: se un creditore pignora il conto in banca dove affluiscono stipendio o pensione, la legge prevede due cose: (a) per le somme già accreditate prima del pignoramento, il debitore può sbloccare un importo pari a ~3 volte l’assegno sociale (circa €1.600) se si tratta di stipendio, o 1,5 volte (circa €800) se pensione – il resto rimane pignorato. (b) per le somme che vengono accreditate dopo il pignoramento (stipendi futuri), la banca trattiene direttamente il 20% di ogni versamento e lascia il resto al debitore. In pratica, non possono bloccarti tutto lo stipendio sul conto: ti lasciano comunque l’equivalente di alcune mensilità minime, e poi applicano il quinto man mano che arrivano nuove entrate.
- Più pignoramenti insieme: come detto, se coesistono diversi pignoramenti (es. uno per la banca, uno per alimenti arretrati), la somma delle trattenute non può superare il 50% dello stipendio/pensione.
- In sostanza, una parte significativa del reddito è sempre salva: almeno la metà di uno stipendio medio, e addirittura l’intero importo nel caso di pensioni basse fino ~€800. Lo scopo è garantire che non ti possano togliere il necessario per vivere.
Da notare: non puoi “alzare” volontariamente questi limiti in un accordo extragiudiziale (sarebbe nullo un patto in cui il debitore dicesse “accetto che mi pignori il 50% dello stipendio” – la tutela è inderogabile per legge). Solo il giudice esecuzione può valutare aumenti per alimenti dovuti, ma sempre in limiti di 1/3. Tuttavia, in un concordato minore potresti offrire tu spontaneamente una quota maggiore dei tuoi redditi futuri per pagare più in fretta: questo è consentito perché non è un pignoramento coatto ma un tuo impegno concordatario. Ad esempio, potresti proporre di destinare anche il 30% del tuo reddito mensile ai creditori nel piano – se lo fai volontariamente, va bene.
D: I debiti contratti da mio marito/moglie ricadono anche su di me? Possono pignorare i miei beni per debiti dell’altro?
R: Dipende dal regime patrimoniale tra voi e dal tipo di debito. Come spiegato, se siete in comunione legale dei beni, i creditori di uno possono aggredire i beni della comunione (quelli acquistati insieme dopo il matrimonio, o comunque rientranti nella comunione) per la gran parte dei debiti anche individuali, perché si presume che siano contratti nell’interesse della famiglia. Ad esempio, se tua moglie (o tuo marito) ha una ditta individuale e fa debiti coi fornitori, questi potrebbero pignorare i beni in comunione – la casa comune, l’auto comprata durante il matrimonio, il conto cointestato – sostenendo che l’attività produceva reddito per la famiglia. Non possono invece toccare i tuoi beni personali esclusivi (quelli di tua proprietà esclusiva fuori dalla comunione, ad es. beni che avevi prima del matrimonio o che hai ereditato solo tu) – salvo forse casi limite in cui il debito fosse proprio per bisogni familiari e i beni comuni non bastino, ma è una circostanza molto particolare e teorica. Se siete in separazione dei beni, vige la separazione dei patrimoni: ciascuno risponde solo con i propri beni. Quindi un creditore di tuo marito non può toccare i beni intestati solo a te. Se però avete qualcosa in comproprietà 50/50 (perché anche in separazione potete aver comprato insieme un bene, ognuno per quota), il creditore può pignorare la quota di tuo marito e chiedere la vendita della sua quota; non è facile trovare acquirenti per metà di un appartamento, ma legalmente è possibile che la casa venga divisa o venduta tutta e a te assegnata metà del ricavato. Quindi, in separazione tu sei al sicuro con ciò che è solo tuo; in comunione, purtroppo no: i beni comuni sono considerati di entrambi e quindi aggredibili.
Per quanto riguarda la natura dei debiti: se tuo marito ha fatto un debito manifestamente per ragioni sue personali estranee alla famiglia (esempio: un investimento speculativo fallito di cui tu non sapevi nulla, o un prestito per hobby costosi personali), in teoria quei creditori non potrebbero prendere beni della comunione – solo i suoi personali – perché il debito è estraneo ai bisogni familiari diretti. Però attenzione: come detto, l’onere di provarlo spetta a te e a lui, e la giurisprudenza è stata severa nel definire “estraneo”. Molti mariti hanno provato a dire “quel debito d’azienda era affare mio personale, estraneo alla famiglia”, ma storicamente la Cassazione rispondeva che il lavoro serve alla famiglia, quindi nulla di fatto. Bisognerebbe dimostrare che il creditore sapeva dell’estraneità e che l’uso del denaro era proprio extra-familiare (tipo: soldi buttati nel gioco d’azzardo, e la banca lo sapeva perché il prestito era per quello scopo). Raro da ottenere. In conclusione: se il regime è comunione, di fatto i debiti di uno possono colpire i beni comuni, quindi indirettamente coinvolgono anche l’altro; se il regime è separazione, molto meno: ognuno risponde per sé e i tuoi beni esclusivi sono protetti. Da ciò deriva il suggerimento già detto: se uno dei due coniugi ha un’attività rischiosa, è prudente avere il regime di separazione dei beni per limitare i danni in caso di insolvenza. Infine, menzioniamo il fondo patrimoniale: se lo avevate creato destinando certi beni (es. la casa) ai bisogni della famiglia, quei beni non possono essere pignorati per debiti estranei ai bisogni familiari (es. debiti di gioco, spese voluttuarie). Tuttavia, come spiegato, oggi quasi tutti i debiti vengono considerati per bisogni familiari a meno che non sia chiarissimo il contrario. Quindi il fondo patrimoniale spesso non protegge efficacemente dai creditori di uno dei coniugi, salvo casi molto specifici e ben provati. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto pignorabile la casa in fondo per debiti fiscali dell’azienda del marito, considerandoli per la famiglia. Quindi non farci troppo affidamento. Molto meglio la separazione dei beni, o quantomeno patti chiari col coniuge su come gestire eventuali debiti.
D: Cos’è il “piano del consumatore” e in cosa differisce dal “concordato minore”?
R: Sono due tipi di procedure di sovraindebitamento, con finalità simili (aiutare a uscire dai debiti) ma meccanismi diversi e destinatari diversi. Il piano del consumatore è riservato alle persone fisiche che hanno debiti da esigenze personali e non legati ad attività d’impresa o professionale (i consumatori puri). La caratteristica principale è che il piano lo approva direttamente il giudice senza voto dei creditori: i creditori vengono solo messi a conoscenza e possono eventualmente fare opposizione, ma non c’è una votazione come nei concordati. Se il tribunale ritiene il piano fattibile, conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, e il debitore meritevole, lo omologa d’ufficio anche se alcuni creditori non sono d’accordo. Ciò consente a un consumatore onesto ma sovraindebitato di ristrutturare i debiti anche contro la volontà di eventuali creditori dissenzienti, offrendo comunque tutto il possibile. Il concordato minore, invece, è destinato ai debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti) o a situazioni miste; in esso è prevista la votazione dei creditori: serve il sì di almeno il 50% dei crediti chirografari per approvare l’accordo. Quindi qui i creditori hanno voce in capitolo: se non raggiungi la maggioranza di consensi, la proposta non va avanti (salvo l’intervento del giudice solo per alcune categorie speciali come il Fisco, tramite il cram-down fiscale di cui abbiamo parlato). Un’altra differenza: nel piano del consumatore il giudice valuta attentamente la meritevolezza del debitore (anche se oggi è sufficiente che non ci sia colpa grave o frode – criteri più oggettivi), e può rigettare se vede ad esempio che il consumatore ha volutamente fatto spese pazze o contratto debiti irresponsabilmente senza necessità. Nel concordato minore, invece, il focus è più sulla fattibilità e convenienza economica del piano, e la valutazione morale c’è ma in misura minore perché la decisione di accettare spetta in primis ai creditori (purché il debitore non abbia frodato). Inoltre, nel concordato minore il debitore può essere un soggetto con piccola impresa e può includere ipotesi di continuazione dell’attività (es. concordato in continuità, in cui si paga i creditori col ricavato futuro dell’attività), mentre il piano del consumatore riguarda tipicamente debiti pregressi di una famiglia e non implica la gestione di un business in corso. Da notare: nel concordato minore puoi strutturare la proposta con classi di creditori e altri aspetti simili al concordato preventivo (ad esempio trattare diversamente creditori finanziari e trade, purché equo). In sintesi: piano del consumatore = procedura “unilaterale” decisa dal giudice a favore del debitore, tipica di famiglie; concordato minore = procedura “bilaterale” con negoziazione e voto, tipica di imprese familiari o professionisti. Entrambi portano all’esdebitazione finale del debitore. Aggiungo che il piano del consumatore richiede necessariamente che i debiti siano di natura personale; se uno ha anche debiti d’impresa, potrebbe dover ricorrere al concordato minore oppure “scorporare” quelli aziendali. C’è dibattito sui debiti promiscui, ma Cass. 22699/2023 ha detto che se prevalgono i debiti privati si può fare il piano consumatore, anche se c’è qualche debito professionale accessorio. Quindi a volte la distinzione va ponderata caso per caso col legale. Il commercialista medio rientrerà più spesso nel concordato minore, a meno che i suoi debiti siano quasi esclusivamente personali (ad esempio, se faceva il dipendente e solo marginalmente ha una partita IVA secondaria).
D: Cosa comporta intraprendere una di queste procedure? Sarò segnalato da qualche parte (centrale rischi, registri pubblici)?
R: L’avvio di una procedura di sovraindebitamento viene comunicato a vari soggetti e annotato in alcuni registri, ma non esiste un registro pubblico online di libero accesso dove chiunque possa vedere che Tizio ha fatto un piano (non c’è l’equivalente di un casellario giudiziale pubblico per questo). In pratica: quando presenti il ricorso, il tribunale può disporre la pubblicazione sul sito ufficiale delle procedure concorsuali (di solito quello del Ministero della Giustizia, “Portale della crisi”) e comunica l’apertura ai creditori. Se sei un piccolo imprenditore, l’apertura di una liquidazione controllata viene iscritta nel Registro delle Imprese (perché è equiparata a una procedura concorsuale). Ma per una persona fisica consumatore, ad esempio, non c’è registrazione in Camera di Commercio. Inoltre, a differenza del fallimento (dove un tempo la sentenza di fallimento compariva nel certificato penale fino alla riabilitazione), l’esdebitazione del consumatore non risulta nel casellario giudiziale. È un provvedimento civile, non penale, quindi il certificato penale resta pulito. Certo, un domani se chiedi un nuovo prestito, la banca potrebbe chiederti se hai fatto procedure concorsuali: e bisogna rispondere onestamente. Non c’è però un divieto legale di accedere al credito in futuro: la legge non prevede che dopo l’esdebitazione tu sia bandito dai finanziamenti per x anni. In pratica, però, se una banca viene a sapere (magari tramite centrali rischi o segnalazioni interne) che hai fatto un concordato, potrebbe considerarti un cliente rischioso e negarti prestiti. Ma paradossalmente, dopo l’esdebitazione sei più solvibile di prima (non hai più i debiti di prima!). Form almente, trascorsi alcuni anni, potrai ricostruirti uno storico creditizio normale, pagando puntualmente le nuove bollette etc. Le segnalazioni CRIF di eventuali sofferenze pregresse resteranno per qualche anno dall’ultima segnalazione (solitamente 36 mesi dopo regolarizzazione). Però, completata l’esdebitazione, sei riabilitato economicamente. Quindi intraprendere la procedura segnala sicuramente una crisi (è l’ultimo step di un indebitamento grave), ma è comunque preferibile rispetto a rimanere eternamente inadempiente e inseguito dai creditori. Inoltre, nota che il piano/accordo non comporta la perdita della capacità di agire o di amministrare i propri beni: non è come il vecchio fallimento dove il curatore ti spossessava di tutto. Il debitore in piano o accordo resta in possesso dei suoi beni (salvo disporli come previsto dal piano) e può continuare a fare atti di gestione ordinaria. Nella liquidazione controllata, invece, il liquidatore amministra i beni ceduti, ma tu come persona mantieni tutti i diritti civili (puoi contrarre matrimonio, fare testamento, essere testimone, ecc., mentre i falliti un tempo avevano delle limitazioni che però oggi sono quasi tutte abolite). Oggi anche il fallito, dopo la riforma, non perde più molti diritti (non c’è più l’interdizione dal voto, per dire), figuriamoci il sovraindebitato, che è trattato in modo ancor più “soft”. Quindi il “disagio” è soprattutto economico-finanziario e di reputazione verso eventuali finanziatori futuri – non è che perdi la cittadinanza o la libertà personale. Durante la procedura, verosimilmente non potrai ottenere nuovi finanziamenti – se fai domanda, la banca vedrà dai documenti che sei in procedura concorsuale con debiti congelati e dirà di no. Però, completata l’esdebitazione, paradossalmente sei più affidabile di prima perché sei senza debiti. Non c’è una regola fissa, dipende dalla tua situazione patrimoniale post-procedura e dalla politica delle banche. In generale, è un reset controllato invece che un’agonia strisciante. Uno può rifarsi una vita creditizia magari dopo 2-3 anni di comportamenti virtuosi successivi.
D: Se muore un familiare (es. un genitore) pieno di debiti, noi figli o il coniuge dobbiamo pagarli?
R: I debiti di una persona defunta si trasmettono agli eredi solo se questi accettano l’eredità. Se un parente muore e aveva più debiti che beni, la famiglia ha due opzioni principali:
- rinunciare all’eredità (atto formale da fare in tribunale o dal notaio entro 10 anni) – così facendo, nessun debito del defunto sarà dovuto da chi rinuncia. In pratica si lascia l’eredità cadere “in vacca”: i creditori potranno rifarsi solo su ciò che era del defunto (se c’è qualcosa) e se ne occuperà eventualmente uno curatore dell’eredità giacente, ma i rinuncianti sono fuori.
- accettare l’eredità col beneficio d’inventario (entro 3 mesi se si era conviventi col defunto e già in possesso di beni, altrimenti entro 10 anni). Con il beneficio d’inventario si tiene separato il patrimonio del defunto dal proprio: gli eredi pagheranno i debiti ereditari solo nei limiti del valore dell’eredità ricevuta, e non con i propri beni personali. Se i debiti superano i beni ereditati, al termine della liquidazione i creditori non soddisfatti restano senza nulla e gli eredi non ne rispondono oltre – è simile a una esdebitazione del defunto, per certi versi. Questa è la soluzione da preferire se ci sono alcuni beni di valore ma anche molti debiti: consente di prendere i beni, pagare i creditori con quelli, e se non bastano amen, gli eredi non ci rimettono del loro.
Se invece non c’è nulla di valore o si vuole evitare complicazioni, la semplice rinuncia è spesso l’opzione più netta: con essa si esce dalla successione e i creditori dovranno rivolgersi, se esistono, ad eventuali altri chiamati (es. nipoti) o al nulla se nessuno accetta. Attenzione: se convivevi col defunto e non fai nulla entro 3 mesi, la legge presuppone che tu abbia accettato tacitamente (specie se hai già utilizzato beni ereditari). Quindi in caso di genitore molto indebitato deceduto, conviene subito farsi consigliare su rinuncia vs beneficio d’inventario. Segnalo a livello di protezioni che il coniuge superstite ha per legge il diritto di abitazione nella casa familiare e di uso dei mobili (art. 540 c.c.) quando l’altro muore; tale diritto prevale su eventuali creditori ereditari? Non esattamente, ma quasi: è un diritto successorio privilegiato. In pratica, i creditori ereditari non possono espropriare quel diritto di abitazione del coniuge, perché è considerato parte della quota di legittima del coniuge, e dura per tutta la sua vita. Comunque, tornando alla domanda principale: no, nessuno è obbligato a pagare i debiti dei parenti defunti, a meno che non accetti l’eredità. Se non vuoi ereditare debiti, puoi rinunciare all’eredità o accettarla con beneficio d’inventario (che è come dire “accetto ma pago i debiti solo col patrimonio ereditato, non con il mio”). La legge offre questa protezione per evitare che i debiti “contagino” i familiari contro la loro volontà. Nota: se ad es. moglie e marito erano coobbligati su un prestito, la morte di uno lascia l’altro comunque debitore al 100% perché era un suo debito diretto (contratto insieme). Ma quello non è “debito ereditario”, è proprio obbligo vivo dell’altro. Diverso è se il debito era solo intestato al defunto – in tal caso, come detto, gli eredi possono declinare. In sintesi: per non ereditare debiti, rinuncia o beneficio d’inventario sono gli strumenti.
D: La composizione negoziata della crisi d’impresa serve anche ai privati o solo alle aziende?
R: La Composizione negoziata della crisi (CNC) è pensata principalmente per imprese (società di ogni dimensione e imprenditori individuali). Un privato “consumatore” senza attività imprenditoriale non ricorre alla CNC – in quel caso userebbe direttamente un piano del consumatore o altra procedura concorsuale. La CNC serve agli imprenditori commerciali e agricoli, anche piccoli, che sono in situazione di squilibrio o crisi e vogliono cercare una soluzione concordata prima di dover ricorrere al tribunale. Ad esempio, una ditta individuale familiare in difficoltà di liquidità può attivare la piattaforma online di composizione negoziata per negoziare con i fornitori e le banche, con l’aiuto di un esperto nominato dalla Camera di Commercio. Per una famiglia-consumatore, la CNC non ha senso e non è applicabile: in quel caso ci vogliono le procedure da sovraindebitamento classiche (piano, concordato minore, liquidazione). Quindi, ricapitolando: la composizione negoziata non è uno strumento per il consumatore civile (che ha bollette o prestiti personali), ma per l’imprenditore (anche di dimensioni ridotte) che vuole evitare di portare l’azienda in concordato preventivo o fallimento. Una famiglia proprietaria di una piccola s.r.l., ad esempio, potrebbe utilizzare la CNC per la s.r.l.; oppure un negozio a conduzione familiare in crisi può farlo come ditta individuale. La procedura è volontaria, confidenziale (non pubblica immediatamente come un fallimento), e non comporta automatica esdebitazione, ma può preludere ad accordi con i creditori o, se fallisce la negoziazione, a un concordato semplificato successivo. Risposta diretta: alle persone fisiche non imprenditori la CNC non si applica. Serve avere una partita IVA e un’attività d’impresa (anche minima). Per il privato cittadino indebitato c’è il sovraindebitamento ordinario, non la negoziata.
D: Quali vantaggi concreti ottengo affrontando la crisi con queste procedure invece che lasciare che i creditori mi pignorino beni e stipendio?
R: Alcuni li abbiamo già evidenziati, ma riepiloghiamoli:
- Sospensione delle azioni esecutive: presentando il ricorso, si ottiene uno stand-still dai pignoramenti. Niente asta imminente, niente stipendio dimezzato all’improvviso. Si ferma la “emorragia” e si può impostare una strategia. Invece, subendo i creditori, rischi l’aggressione disordinata e immediata su tutto.
- Riduzione del debito totale: con un piano/accordo spesso paghi solo una parte dei debiti e cancelli il resto. Ad esempio, potresti pagare 30 su 100 e liberarti comunque di 100. Se lasci fare ai creditori, tenteranno di prendersi il 100% + interessi + spese, e magari qualcuno ci riuscirà aggredendo tutto, ma se non hai abbastanza, rimarrai comunque indebitato a vita perché i pignoramenti parziali si trascinano e gli interessi continuano. Con la procedura, definisci un perimetro: paghi quello che puoi in tot anni e stop al resto.
- Protezione di beni essenziali: certe procedure consentono di salvare l’abitazione principale (come visto, mantenendo il mutuo) o l’auto necessaria (se c’è un leasing che viene mantenuto nel piano), mentre in un pignoramento indiscriminato potresti perderli e poi doverne ricomprare un’altra peggiore se si tratta dell’auto per lavorare.
- Tempi più rapidi per “uscire dal tunnel”: un pignoramento dello stipendio al 20% su un debito grosso può durare 20-30 anni; con un piano del consumatore magari in 4-5 anni chiudi tutto e ottieni l’esdebitazione. La legge di solito pone durate massime (3 anni per liquidazione; un piano raramente supera i 5 anni). Quindi vedi la fine, diversamente dall’incertezza di farti rosicchiare lo stipendio per decenni.
- Interessi e spese bloccati: dal momento dell’ammissione alla procedura, gli interessi sui crediti chirografari sono congelati (non maturano oltre). In un’esecuzione invece gli interessi legali/moratori continuano a correre, e spesso le trattenute coprono a malapena gli interessi lasciando intatto il capitale. Quindi la procedura ferma l’orologio del debito.
- Parità di trattamento e pace familiare: con una procedura concorsuale, tutti i creditori sono trattati equamente per legge. Nessuno può fare il furbo prendendo più degli altri (tipo il primo che arriva che pignora tutto lasciando gli altri a zero). Questo dà un senso di giustizia e ordine anche psicologicamente. Inoltre, toglie le tensioni familiari di dover decidere chi pagare prima: si fa un piano complessivo e fine.
- Consulenza di esperti: avrai l’ausilio di un OCC e di professionisti (avvocati) che ti aiutano a gestire la crisi. Invece subendo i pignoramenti sei passivo e spesso disorientato, magari fai scelte sbagliate per panico. Qui hai chi ti guida.
- Effetto liberatorio psicologico e sociale: completare la procedura con esdebitazione ti ridà la dignità economica e la possibilità di ripartire senza stigma permanente. Invece restare “cattivo pagatore” cronico ti esclude dal credito per sempre e ti lascia l’ansia dei debiti pendenti. Molti clienti riferiscono che dormono di nuovo la notte dopo aver avviato la procedura, perché vedono la luce in fondo al tunnel.
- Tutele per la famiglia: i giudici spesso modulano il piano in modo da lasciare al debitore risorse per i bisogni familiari. Ad esempio, se proponi rate troppo elevate che ti lasciano senza soldi per mantenere i figli, il giudice potrebbe non omologare o chiedere correzioni. Invece un pignoramento rigido non “ragiona” su quanti figli hai (a parte l’astratto limite del minimo vitale). Dunque la procedura concorsuale è più organica e attenta al mantenimento di una vita dignitosa anche durante il rimborso.
- (Aggiungo) Nessuna sorpresa finale: se lasci correre i pignoramenti, potresti scoprire nuovi creditori che saltano fuori, more non calcolate, etc. Nella procedura si mettono sul tavolo tutti i debiti e li si affronta insieme, una volta per tutte, evitando che domani, quando pensi di aver sistemato il grosso, salti fuori un creditore dimenticato (per questo è importante elencare tutti i debiti noti in piano; se ne scordi uno in buona fede, ci sono rimedi per includerlo poi, ma è meglio evitarlo).
Ovviamente c’è il costo di queste procedure: bisogna pagare i professionisti e OCC (anche se come detto molti costi sono proporzionati e in parte dilazionabili nel piano stesso, e a volte l’OCC può essere pagato coi fondi che si recuperano). Tuttavia, ne vale la pena se il debito è importante, perché i benefici superano i costi. Se i debiti invece sono modesti e gestibili magari conviene non attivarle. Ma nel caso di un commercialista fortemente indebitato conviene decisamente ricorrere alle procedure: come abbiamo detto, si dorme meglio e si vede una fine.
In sintesi: il vantaggio è che passi da una condizione di indebitamento perpetuo e senza via d’uscita a una di sovraindebitamento risolta con una strategia, un termine e una riabilitazione. E i tuoi beni essenziali e redditi minimi sono preservati meglio. È un nuovo inizio, mentre subire passivamente significa restare in un incubo finanziario a tempo indeterminato.
Le risposte fornite sopra coprono le domande più frequenti che un commercialista (o un debitore in generale) potrebbe porsi. Per specifiche situazioni personali, è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista esperto in crisi da sovraindebitamento, poiché ogni caso concreto può presentare peculiarità che richiedono adattamenti delle soluzioni generali.
Esempi pratici (casi simulati)
Di seguito presentiamo alcuni casi pratici simulati, basati su situazioni reali, per illustrare come un commercialista indebitato possa utilizzare gli strumenti legali visti finora. Ogni esempio evidenzia un diverso scenario tipico e le relative strategie di difesa dal punto di vista del debitore.
Esempio 1: Commercialista individuale con debiti fiscali e bancari
Scenario: Il dott. Alessandro C. è un commercialista 45enne che esercita come libero professionista individuale (studio proprio, senza soci). Negli ultimi anni, complice la crisi economica e alcune scelte sbagliate, Alessandro ha accumulato diversi debiti:
- Debiti con il Fisco: €80.000 tra IRPEF non versata, IVA di un paio d’anni e addizionali regionali. Ci sono già alcune cartelle esattoriali notificate (per €50.000) e altre in arrivo.
- Debiti previdenziali: €15.000 verso la Cassa di Previdenza dei Dottori Commercialisti (contributi annuali non pagati).
- Debito bancario: €60.000 con la Banca XYZ, derivante da un mutuo ipotecario residuo su casa (sua abitazione principale) – rata €700/mese – e un fido di conto corrente utilizzato di €10.000 (ora revocato, la banca chiede il rientro).
- Debiti vari: €5.000 di bollette arretrate (telefono, energia, ecc.), €3.000 con il proprietario dell’ufficio (un paio di mensilità di affitto non pagate). Inoltre, Alessandro ha due figli minorenni e da un anno non versa con regolarità l’assegno di mantenimento di €400/mese stabilito dal giudice all’ex moglie (è separato).
Situazione patrimoniale: Alessandro possiede:
- la casa di abitazione dove vive con i figli quando sono con lui (valore ~€150.000, su cui grava mutuo residuo €60k con ipoteca della Banca XYZ);
- un’auto utilitaria (valore €5.000, senza leasing né vincoli);
- l’ufficio è in affitto, non di proprietà;
- mobili, PC e attrezzatura varia per lo studio (valore modesto, essenziali per l’attività);
- nessun altro immobile o investimento significativo;
- reddito corrente: negli ultimi anni il suo reddito netto da professione è calato a ~€1.800/mese.
Problemi: Alessandro si rende conto che non riesce più a stare dietro a tutti i pagamenti. Ha prioritarizzato finora il mutuo di casa (per non rischiare l’esecuzione) e le spese correnti per vivere, ma ha trascurato tasse e cassa previdenza. Ora l’Agenzia Entrate-Riscossione ha iniziato a mandare intimazioni di pagamento; rischia il pignoramento del conto (dove peraltro la banca ha già revocato il fido lasciando uno scoperto) e possibilmente un’ipoteca sulla casa dal Fisco. Inoltre, la Cassa minaccia sanzioni disciplinari se non rientra nei contributi. L’ex moglie ha fatto partire una procedura esecutiva per gli alimenti arretrati (che in teoria possono portare a pignoramento stipendio o addirittura istanze penali). Alessandro è soverchiato: anche vendendo l’auto e tagliando spese, i debiti sono troppi rispetto al reddito. Teme di perdere la casa e la clientela (se venisse pignorato il conto o l’auto, avrebbe difficoltà operative). Che fare?
Soluzione: Alessandro decide di rivolgersi a un avvocato esperto in sovraindebitamento e attiva un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) presso l’Ordine dei Commercialisti locale. Dopo analisi, si opta per un concordato minore (perché Alessandro ha prevalentemente debiti da attività professionale e fiscale, quindi non è un “consumatore puro”). Il piano che si predispone è il seguente:
- Conservare la casa: Alessandro continua a pagare regolarmente le rate del mutuo alla Banca XYZ, escludendo di fatto la banca ipotecaria dal concorso (usufruendo della norma che consente di mantenerlo in piano). La banca dunque non voterà sul concordato per la parte garantita e non procederà col pignoramento immobiliare. Si impegna anche a pagare l’affitto dell’ufficio d’ora in poi regolarmente (inserendo nel piano l’arretrato €3k all’affittuario come debito chirografo).
- Offerta ai creditori chirografari (Fisco compreso): Alessandro può destinare circa €600 al mese per 5 anni ai creditori (ha calcolato che con €1.800 di entrate, pagando €700 mutuo e €500 spese familiari, ne restano ~€600). In 5 anni accumulerà €36.000. Aggiunge inoltre che confida di recuperare circa €10.000 vendendo l’auto attuale e magari ricevendo un piccolo aiuto dal padre pensionato. Quindi mette sul piatto un totale di €46.000 da distribuire.
- Debiti privilegiati: tra i debiti ha quelli per alimenti ai figli (considerati crediti privilegiati di natura alimentare) e i contributi alla Cassa (privilegiati). Nel piano, Alessandro prevede di pagare integralmente l’arretrato degli alimenti (diciamo €4.800, 12 mesi x €400) e integralmente i €15.000 di contributi cassa, utilizzando prioritariamente l’importo ricavato dall’auto e parte delle rate.
- Debiti fiscali (IVA, IRPEF): questi sono debiti privilegiati (IVA e ritenute) o chirografi (sanzioni). Alessandro nel piano propone di pagare in parte l’IVA (che è €20.000 del totale). Poiché per legge l’IVA non può essere falcidiata senza apporto esterno, Alessandro dichiara che del totale €46.000 da distribuire, €20.000 saranno destinati a IVA e imposte in misura tale da soddisfarle almeno al valore di realizzo in una liquidazione. In pratica prevede di pagare circa il 50% del debito fiscale complessivo (ipotesi: €40k su €80k) nell’arco dei 5 anni. Ciò includerebbe l’IVA al 100%, l’IRPEF al 40% e stralcerebbe sanzioni. Questa ripartizione dovrà essere approvata dal tribunale col meccanismo del cram-down fiscale (poiché è improbabile che l’ADER voti sì spontaneamente a un 50%, ma otterrà comunque più di quanto forse otterrebbe vendendo forzatamente beni).
- Debiti bancari chirografari: la parte chirografa del debito verso Banca (il fido €10k) e altre banche (non ce ne sono altre qui) riceverà lo stesso trattamento percentuale degli altri chirografari.
- Altri debiti chirografari: le bollette €5k, eventuali interessi e sanzioni fiscali, e ogni altro debito senza prelazione saranno soddisfatti in proporzione con ciò che resta (dopo aver destinato ai privilegiati quanto dovuto). Stimando: €46.000 totali – €4.800 alimenti – €15.000 Cassa – €20.000 quota Fisco = rimangono ~€6.200. Questi €6.200 saranno distribuiti pro-rata a bollette (€5k), sanzioni, fido bancario (€10k) ecc., presumibilmente dando un dividendo di circa il 30% a tali crediti.
Con l’aiuto dell’OCC, Alessandro presenta questa proposta di concordato minore. I creditori votanti principali sono la Banca (per il fido €10k) e i fornitori/bollette, e l’ex moglie per la parte alimenti residui (ma quella viene pagata full, quindi lei probabilmente è favorevole). L’ADER e la Cassa hanno crediti privilegiati – nel concordato minore, i privilegiati non votano se vengono soddisfatti per intero o nei limiti legali. Qui IVA e Cassa sono soddisfatti integralmente o entro il 100% per IVA con cram-down. Quindi il voto dei chirografari totali (circa €15k di crediti) dovrà raggiungere 50%. L’OCC relazione che in una liquidazione la casa non si sarebbe potuta toccare (unica abitazione), e al netto di mutuo i creditori avrebbero preso forse €0; quindi il concordato offre molto di più (46k contro zero). Il tribunale concede le misure protettive: sospende il pignoramento avviato dall’ex moglie per alimenti (tanto nel piano paga subito l’arretrato), sospende ogni azione dell’ADER (niente ipoteche né fermi, iscrive solo la procedura in registro).
Esito: I creditori approvano (anche se la banca inizialmente storce il naso per il fido non pagato intero, comprende però che è già ipotecaria sulla casa e non rischia su quella). Il tribunale omologa. Alessandro esegue il piano: vende l’auto e con 5k paga subito gli alimenti arretrati ed evita guai penali; usa 10k prestati dal padre per coprire i contributi cassa (paga subito 10k e 5k in un anno con risparmi futuri). Continua a pagare mutuo casa + €600/mese per 5 anni all’OCC che li smista ai creditori (incluso Fisco e residui chirografi). Dopo 5 anni, Alessandro ha onorato tutto il piano (casa salvata, creditori soddisfatti in parte ma più che in uno scenario liquidatorio). Il tribunale emette il decreto di esdebitazione per i circa €35.000 di debiti chirografari non pagati. Alessandro è ora libero dai debiti, con la sua casa, e con la sua professione salva (anzi, in quei 5 anni è riuscito a lavorare serenamente senza azioni esecutive, ricostruendo la clientela). Ha perso l’auto originaria ma ne ha comprata una usata più economica per muoversi. La sua reputazione presso l’Ordine è rimasta intatta poiché ha regolarizzato i contributi. Ha imparato la lezione e d’ora in poi terrà meglio sotto controllo le finanze, evitando di accumulare nuove morosità.
Esempio 2: Studio associato con debiti e responsabilità solidale dei soci
Scenario: Lo Studio Gamma è un’associazione professionale tra 3 commercialisti (forme associativa semplice, non società). Lo studio ha contratto diversi debiti:
- Debito bancario: €30.000 per un finanziamento ottenuto per ristrutturare l’ufficio, firmato da tutti e 3 i soci come coobbligati solidali.
- Debiti fornitori: €10.000 per software e banche dati professionali in abbonamento non pagati.
- Debiti tributari dello studio: l’associazione ha una partita IVA propria (per le spese comuni) e deve €5.000 di IVA su fatture emesse dallo studio ai clienti.
- Debiti verso dipendenti: lo studio ha 2 impiegate che avanzano complessivamente €8.000 di stipendi arretrati e TFR (questi sono debiti privilegiati per lavoro dipendente).
I 3 soci, invece, hanno situazioni personali differenti:
- Il socio A ha anche debiti personali (mutuo casa proprio, ecc., ma regolari).
- Il socio B è pulito personalmente.
- Il socio C ha altri debiti personali ingenti per un investimento fallito esterno (ma ipotizziamo irrilevante qui).
Problema: L’associazione come tale non è persona giuridica distinta e non può fallire, e i creditori possono rivalersi su tutti i soci in solido (ex art. 2291 c.c. analogia come società semplice). Infatti la banca ha già chiesto decreto ingiuntivo contro tutti e 3 per i €30k. I fornitori pure minacciano causa congiunta. Le dipendenti stanno per fare decreto ingiuntivo e pignorare conti (lo studio ha un conto cointestato o fondo comune). I soci sono preoccupati: ciascuno di loro rischia col proprio patrimonio. Inoltre, uno di loro (C) è già indebitato anche altrove e teme di dover andare in sovraindebitamento personale comunque.
Soluzione: Poiché lo studio associato non può accedere direttamente alle procedure (non è un ente distinto), la soluzione migliore è che i 3 soci coordinino le loro procedure personali. In questo caso, potrebbero fare ciascuno un concordato minore o liquidazione riferito ai debiti comuni, ma è più efficiente usare la nuova procedura familiare congiunta se qualificabile: i 3 soci non sono familiari tra loro, quindi non possono fare un’unica procedura (vale solo per membri di famiglia). Si opta quindi per la seguente strategia:
- I soci A, B e C stipulano con i creditori dello studio un accordo stragiudiziale preliminare: propongono di pagare, solidalmente, il 50% di tutti i debiti dello studio entro 1 anno, rateizzato, garantendo il pagamento con impegno personale. Lo fanno per tentare di evitare le cause. I creditori, vista la situazione, respingono l’offerta (troppo bassa, i creditori del lavoro vogliono 100%).
- A questo punto, i soci decidono di mettere lo studio in “liquidazione”: chiudono l’attività associativa per evitare ulteriori debiti e dividono quel poco attivo (arredi venduti per €5k).
- Procedura per i singoli soci: Il socio B, che non ha altri debiti, attiva un concordato minore individuale includendo la sua parte di debiti dello studio. Il socio A, che ha anche la casa col mutuo e altri debiti personali moderati, presenta un piano del consumatore (perché i suoi debiti associativi forse li considera estranei alla famiglia? in realtà no perché erano per lavoro – quindi probabilmente concordato minore anche per lui). Il socio C, che è sovraindebitato pesantemente, opta per una liquidazione controllata personale (non avendo modo di pagare nulla).
- In pratica, ciascun socio include nella propria procedura la totalità dei debiti dello studio (in virtù della solidarietà, ognuno ne risponde per intero). Questo sembra duplicare i debiti, ma in realtà quando uno paga in procedura, l’obbligazione degli altri verso quel creditore si riduce per legge di conseguenza. Occorre quindi coordinare.
- Viene nominato un OCC unico (possibile se il tribunale lo accetta, magari lo stesso professionista segue i 3 casi per coerenza).
- Alla fine, probabilmente il socio C (insolvente totale) farà liquidazione e otterrà esdebitazione a zero (non ha nulla). I soci A e B, avendo qualche risorsa, pagheranno qualcosina nei loro concordati: ad esempio vendono il magazzino e qualche bene personale e offrono il 50%. O magari il socio B (più abbiente) paga di più e il socio A di meno.
- I creditori voteranno nei concordati di A e B. Dato che vederebbero qualcosa (meglio di nulla, visto che C non paga e A e B offrono qualcosa), si raggiungono le maggioranze.
- Risultato: Lo studio gamma cessa, i debiti comuni sono in parte pagati da A e B e poi esdebitati, e per la parte non soddisfatta neppure i creditori possono più agire contro C (che è esdebitato) né contro A e B (esdebitati), quindi di fatto vengono cancellati.
Questo esempio illustra che, in mancanza di una procedura unitaria per lo studio associato, si devono orchestrare le procedure dei singoli. Avrebbe senso se i soci fossero coniugi o familiari usare la procedura familiare unificata: ad es. coniugi commercialisti associati possono presentare un unico concordato familiare, sommare attivo e passivo e trattare i creditori unitariamente. I soci qui non lo erano, quindi hanno dovuto fare separato.
La lezione qui è: nelle associazioni professionali, i soci hanno responsabilità illimitata pro quota sui debiti comuni, quindi devono agire individualmente. È molto importante fare accordi interni tra soci su come ripartire l’onere: nel nostro caso, A e B potrebbero rivalersi su C per la parte pagata in più, ma se C è insolvente, è inutile. Quindi la solidarietà li costringe a subire la mala gestio altrui.
Esempio 3: Società tra professionisti (STP Srl) insolvente e tutela dei soci
Scenario: La Alpha STP Srl è una società tra professionisti (forma: SRL) di consulenza fiscale, con 4 soci commercialisti. Negli ultimi tempi, a causa di una pesante causa di risarcimento persa contro un cliente (mala praxis), la società è stata condannata a pagare €100.000 di danni. Inoltre, la società ha debiti bancari per €50.000 (prestito), debiti con fornitori €20.000, e fiscali €30.000. In totale €200.000 di passivo. Il patrimonio sociale però è modesto: cassa zero, qualche arredo. Non c’è modo di pagare.
Problema: Essendo la STP una società di capitali, i creditori vorrebbero farla fallire per liquidarla. Ma: essendo STP che esercita esclusivamente attività professionale, la giurisprudenza dice che non può essere dichiarata fallita (non è imprenditore commerciale). Quindi i creditori non possono accedere alle procedure ordinarie (fallimento). Possono però:
- aggredire i beni sociali con cause esecutive (ma non ce ne sono, giusto pc e scrivanie inutili),
- e soprattutto far valere le eventuali responsabilità personali dei soci. In una SRL classica i soci non rispondono dei debiti sociali; qui però è STP – i soci non rispondono delle obbligazioni contrattuali con il loro patrimonio (vige la responsabilità limitata, a meno di malafede), però rispondono personalmente per i danni derivanti da loro errori professionali (il risarcimento da 100k se era dovuto a un errore di un socio, quel socio ne risponde illimitatamente in solido? La legge STP non è chiarissima, ma in genere la società stipula assicurazione e risponde lei). Diciamo che i creditori generici non possono aggredire i soci perché la personalità della SRL li protegge.
Soluzione: La STP, non potendo fallire, decide di attivare le procedure da sovraindebitamento. Il CCII consente a una società sotto-soglia non fallibile di accedere al concordato minore o liquidazione controllata. Anche se è SRL, la qualifica di STP la rende non fallibile. Dunque:
- La STP chiede un concordato minore: propone di pagare ai creditori il realizzo di (quel poco che ha + eventuali versamenti dei soci). I soci decidono di far affluire €50.000 in totale (magari dalle loro tasche, o vendendo l’auto intestata alla società).
- I creditori votano; la maggioranza accetta perché pur scontenti, sanno che se no non c’è fallimento e non vedrebbero niente.
- Il tribunale omologa. La STP esegue: vende i beni, incassa i €50k dai soci (un socio con risorse inietta denaro per chiudere la questione), e paga i creditori in percentuale (ad esempio 25% a tutti).
- Dopo l’esecuzione, la STP ottiene l’esdebitazione residua (in quanto ente non consumatore però, la società se vuole può anche scegliere la liquidazione e poi viene cancellata; tecnicamente l’esdebitazione per persona giuridica non serve, basta la cancellazione. Il CCII in verità non concede esdebitazione a società, ma in sovraindebitamento trattandosi di non fallibile credo che la società semplicemente si estingue).
Risultato per i soci: I soci hanno perso i €50k che hanno dovuto versare per convincere i creditori (ma meglio che 200k). Nessun creditore può chiedere altro a loro personalmente, perché la SRL ha definito tutto nel concordato. I soci mantengono la loro casa e patrimoni intatti (salvo il contributo volontario che hanno dato). L’errore professionale è stato in parte pagato e in parte scaricato sui creditori via esdebitazione – questo potrebbe avere un impatto reputazionale ma legale no, la sentenza di risarcimento è stata novata dal concordato.
Questo esempio mostra come una STP, pur essendo SRL, può “sfuggire” al fallimento e gestire i debiti come un soggetto non fallibile, proteggendo i soci. Se fosse stata società non STP (es. una srl di consulenza non ordinistica), sarebbe fallita e i soci perdevano il capitale, ma qui l’hanno evitato grazie alla natura professionale.
Nota: se la STP avesse ignorato la procedura, i creditori avrebbero comunque potuto aggredire i (pochi) beni sociali e poi sarebbero rimasti insoddisfatti per il resto, e forse provato a far dichiarare fallita la STP comunque. Il Tribunale l’avrebbe negato citando la non fallibilità. I creditori sarebbero rimasti a mani vuote o avrebbero tentato cause personali contro i soci (difficili se non c’è dolo diretto). Quindi paradossalmente anche i creditori avevano interesse ad accettare il concordato con il contributo offerto dai soci, perché era l’unico modo per incassare qualcosa.
Questi esempi evidenziano:
- Come un professionista individuale può salvare la casa e ristrutturare i debiti attraverso un piano/concordato (Esempio 1).
- Come in un studio associato i soci devono coordinarsi e ognuno risponde coi propri mezzi (Esempio 2).
- Come una società professionale utilizza il sovraindebitamento per gestire l’insolvenza evitando il fallimento e tutelando i soci (Esempio 3).
Ogni situazione ha particolarità, ma in tutti emerge l’importanza di agire per tempo, con l’assistenza di esperti, e sfruttando gli strumenti legali disponibili per difendersi dai debiti e ripartire. Il punto di vista del debitore – lungi dall’essere passivo – deve essere proattivo: la legge offre vie di uscita, sta a noi intraprenderle.
Fonti e riferimenti
- Codice Civile, in particolare artt. 2740 (responsabilità patrimoniale), 170 (fondo patrimoniale), 230-bis, 2645-ter, ecc., e Codice di Procedura Civile (artt. 514-515, 543, 545 c.p.c. sulle impignorabilità e limiti).
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche): Particolarmente rilevanti gli artt. 65-83 (piano del consumatore e concordato minore), 268-277 (liquidazione controllata), 282-283 (esdebitazione del debitore incapiente), art. 49 (no fallibilità sotto soglie), art. 390 (abrogazione L.3/2012), art. 66 (procedure familiari), art. 269 (impignorabilità stipendi ecc. durante procedura), art. 63 (trattamento IVA nei piani).
- Legge 3/2012 (antecedente, citata per contesto storico) – “legge salva suicidi”.
- Relazione Illustrativa al D.Lgs. 14/2019 (principio del favor debitoris).
- Decreti correttivi: D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024, che hanno introdotto la procedura familiare, l’esdebitazione a zero, ridotto il quorum al 50%, automatizzato l’esdebitazione post-liquidazione, chiarito definizioni.
- Cassazione Civile:
- Sez. I, 8 febbraio 2021, n. 2904 – Fondo patrimoniale e debiti d’impresa: stabilisce che non c’è automatismo nel considerare d’impresa = per la famiglia.
- Sez. I, 27 aprile 2020, n. 8201 – Fondo patrimoniale: ribadisce valutazione caso per caso, no presunzione generalizzata di debiti d’impresa come familiari.
- Sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29983 – Fondo patrimoniale: (fa un obiter più pro-creditore, poi superato dalle successive pronunce).
- Sez. III, 28 settembre 2023, n. 27562 – Fondo patrimoniale e debiti professionali: afferma che normalmente i debiti d’impresa o professionali non sono contratti per bisogni familiari; onere contrario sul creditore. Sentenza definita “recentissima e molto significativa”, rovescia la precedente impostazione.
- Sez. III, 13 novembre 2023, n. 31575 – Fondo patrimoniale: conferma orientamento n.27562/2023, in massima ufficiale ribadisce che esecuzione su fondo ammessa solo se debito fu per bisogni familiari e creditore ignorava estraneità.
- Sez. VI-3 (ord.), 1° luglio 2020, n. 18619 – Fondo patrimoniale in fallimento: beni in fondo non entrano in massa fallimentare se debiti non familiari.
- Sez. Un. 17 dicembre 2019, n. 34447 – Sovraindebitamento e trattamento IVA: (non citata sopra ma di contesto, SU sancirono necessità pagamento integrale IVA nei piani, poi recepito in normativa).
- Sez. I, 11 agosto 2023, n. 22699 – Debiti promiscui e accesso al piano consumatore: ha ammesso piano consumatore se i debiti personali prevalgono anche in presenza di alcuni debiti professionali.
- Sez. I, 30 giugno 2022, n. 20934 – Meritevolezza sovraindebitamento: (di principio, ora semplificata dalla legge).
- Tribunale di Forlì, sez. Fall., decreto 25 maggio 2017 – Società tra professionisti non fallibile: afferma che la STP (costituita ex L.183/2011) non è assoggettabile a fallimento poiché non esercita attività commerciale e non ha qualifica di imprenditore. Conseguenza: in caso di insolvenza può ricorrere a L.3/2012 (ora CCII sovraindebitamento). Pronuncia pionieristica in materia.
- CNF/CNDCEC: Linee guida e riviste:
- Rivista dei Dottori Commercialisti 2025 – segnalazioni su aggiornamenti di legge (es. impignorabilità dispositivi informatici).
- Documenti CNDCEC-FNC su STP (2017) – confermano esclusione fallimento per STP.
- Normativa speciale: DL 69/2013 (impignorabilità prima casa per Fisco, soglia 120k); DL 83/2015 conv. L.132/2015 (modifiche pignoramento pensioni, ecc.); D.L. 137/2020 conv. L.176/2020 (anticipazione esdebitazione incapiente, procedure familiari – poi recepite); Legge 197/2022 (Bilancio 2023, rottamazione-quater).
- Circolari Agenzia Entrate-Riscossione su definizioni agevolate 2023-25 (scadenze pagamenti dilazioni).
- Giurisprudenza di merito: Tribunale di Venezia, di Bergamo – pubblicano elenchi procedure sovraindebitamento (non dettagli, ma a conferma prassi).
- Materiali formativi CNDCEC/FNC – es. slide su soglie (imprenditore minore), su trattamento IVA concordati (rif. Direttiva UE 1023/2019 recepita).
- Bollettino Tributario 2024 – nota su onere prova fondo patrimoniale (riprende Cass. 31575/2023).
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