Quali Sono Le Questioni Pregiudiziali Nel Processo Tributario

Hai sentito parlare di questioni pregiudiziali nel processo tributario, ma non sai cosa significano?
Se stai affrontando un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate o stai per presentare un ricorso, è importante sapere cosa sono le questioni pregiudiziali, quando si sollevano e perché possono bloccare o determinare l’esito del giudizio fiscale.

Cosa si intende per “questioni pregiudiziali” nel processo tributario
Le questioni pregiudiziali sono quelle che devono essere risolte prima di poter decidere sul merito della controversia tributaria. Si tratta di questioni che incidono sulla possibilità stessa del giudice di pronunciarsi, perché riguardano la validità o l’esistenza di un presupposto essenziale.

In altre parole, il giudice tributario non può decidere sul merito (cioè sulla fondatezza della pretesa fiscale) se prima non viene risolta la questione pregiudiziale.

Esempi tipici di questioni pregiudiziali nel processo tributario
– La validità o l’esistenza di un atto presupposto, come ad esempio una sentenza civile su un contratto da cui deriva l’imponibile contestato
– L’accertamento della legittimità di una delibera comunale che fissa aliquote tributarie (es. IMU o TARI)
– La verifica della qualità di soggetto passivo del tributo, se contestata in altro procedimento
– La pendenza di un giudizio pregiudiziale in altra sede, da cui dipende la determinazione del tributo (es. sentenza civile, penale o amministrativa)
– Il riconoscimento o meno della natura agricola o commerciale di un terreno, se oggetto di altra causa

A cosa servono le questioni pregiudiziali
– A sospendere o rinviare il giudizio tributario in attesa della definizione del procedimento da cui dipende
– A evitare che il giudice entri nel merito senza prima aver accertato un presupposto essenziale
– A permettere al contribuente di far valere una difesa completa, anche richiamando decisioni di altri giudici competenti

Come si sollevano le questioni pregiudiziali
– All’interno del ricorso introduttivo o con apposita istanza prima dell’udienza
– Con l’assistenza di un legale, indicando in modo chiaro quale altra causa è pregiudiziale e perché il processo tributario deve attendere
– Il giudice può valutare d’ufficio la sussistenza di una questione pregiudiziale e sospendere il processo fino alla sua definizione

Cosa può decidere il giudice tributario in presenza di una questione pregiudiziale
Sospendere il giudizio, in attesa della definizione del procedimento pregiudiziale
Rigettare il ricorso senza esaminare il merito, se manca un presupposto essenziale
Accogliere la pregiudiziale proposta dal contribuente, e rinviare la trattazione del merito
– In alcuni casi, può sollevare la questione pregiudiziale davanti ad altra giurisdizione, se non di sua competenza (es. giudice civile, amministrativo o penale)

Cosa puoi ottenere sollevando correttamente una questione pregiudiziale
– Il rinvio della causa tributaria e il blocco temporaneo della riscossione
– Il riconoscimento che il tributo non è dovuto, se il fatto pregiudiziale ti è favorevole
– La possibilità di difenderti con più strumenti, soprattutto se il contenzioso riguarda aspetti complessi
– La strategia difensiva più ampia e completa, che ti permette di far valere ogni elemento utile anche in sede extratributaria

Attenzione: le questioni pregiudiziali non devono essere confuse con le questioni di merito o di rito. Sono strumenti difensivi potenti, ma vanno usati nel modo giusto e nei tempi corretti, altrimenti il giudice può andare avanti comunque e decidere sfavorevolmente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, strategie difensive complesse e coordinamento tra giurisdizioni ti spiega cosa sono le questioni pregiudiziali, come usarle e perché possono cambiare l’esito di una causa fiscale.

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Introduzione

Nel processo tributario, le questioni pregiudiziali sono quei problemi giuridici che devono essere risolti prima di decidere sul merito della controversia fiscale. In altre parole, si tratta di questioni la cui definizione influisce in modo determinante sull’esito del processo tributario stesso, al punto da dover essere affrontate in via prioritaria (ossia in via pregiudiziale). Tali questioni possono riguardare la validità di una norma (ad esempio, dubbi di costituzionalità), l’interpretazione di norme dell’Unione Europea rilevanti in materia tributaria, la competenza del giudice (giurisdizione) e persino la relazione con altri procedimenti (civili, penali o amministrativi) collegati alla materia del contendere.

Dal punto di vista del contribuente (debitore), comprendere le questioni pregiudiziali è fondamentale: esse possono costituire strumenti di difesa molto incisivi. Ad esempio, sollevare una questione di legittimità costituzionale o un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE può sospendere il giudizio tributario, dando al contribuente tempo e la possibilità di far valere i propri diritti su un piano più alto (davanti alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia). Altre volte, invece, questioni pregiudiziali di tipo procedurale (come la giurisdizione o la pendenza di altre cause) possono incidere sull’ammissibilità o sull’opportunità del contenzioso tributario stesso.

In questa guida approfondiremo tutte le principali tipologie di questioni pregiudiziali nel processo tributario italiano (aggiornate a luglio 2025 secondo la normativa vigente e la giurisprudenza più recente), con un taglio operativo e avanzato. Illustreremo le basi normative italiane, le sentenze più autorevoli in materia (in particolare quelle più recenti di Corte di Cassazione, Corte Costituzionale e Corte di Giustizia UE), e forniremo esempi pratici per avvocati, imprenditori e contribuenti.

Che cosa si intende per “questione pregiudiziale”? In generale, è un problema giuridico la cui soluzione è un presupposto necessario per decidere la causa principale. Nel processo tributario, ciò può significare ad esempio che il giudice tributario deve fermarsi e attendere la decisione di un’altra autorità (ad es. Corte Costituzionale, Corte UE, o persino un altro giudice in altro processo) su una data questione, oppure che deve risolvere lui stesso una questione preliminare (magari appartenente ad altra giurisdizione) incidenter tantum (cioè ai soli fini della causa tributaria, senza efficacia di giudicato esterna). Come vedremo, la legge processuale tributaria individua espressamente alcuni casi in cui il processo deve essere sospeso per questioni pregiudiziali specifiche, mentre per altre situazioni si applicano in via generale le norme del processo civile (art. 295 c.p.c. sulla sospensione necessaria per pregiudizialità, in particolare). Inoltre, riforme recenti hanno introdotto nuovi strumenti “pregiudiziali” nel processo, come il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ex art. 363-bis c.p.c., pensato per risolvere in via anticipata questioni di diritto particolarmente nuove e controverse.

Nei paragrafi successivi esamineremo nel dettaglio le varie categorie di questioni pregiudiziali che possono sorgere nel processo tributario italiano, suddividendole per tipologia: questioni di costituzionalità, questioni di diritto UE, rinvio pregiudiziale in Cassazione, questioni di giurisdizione, collegamenti con processi penali, civili o amministrativi, e questioni pregiudiziali “interne” fra diversi giudizi tributari. Successivamente, affronteremo specificamente come queste questioni si manifestano in relazione alle principali imposte (IVA, imposte sui redditi come IRPEF/IRES, tributi locali come IMU, TARI, etc.), evidenziando i casi pratici e le sentenze più significative. Infine, proporremo una sezione di FAQ (domande e risposte) e alcune simulazioni pratiche che illustrano possibili scenari e strategie dal punto di vista del contribuente.

Tipologie di questioni pregiudiziali nel processo tributario

In questo capitolo distingueremo le diverse tipologie di questioni pregiudiziali che possono emergere in un contenzioso tributario. Ognuna di esse ha caratteristiche, procedure e conseguenze proprie. Le principali categorie che affronteremo sono:

  • Questioni di legittimità costituzionale delle norme tributarie (pregiudiziali costituzionali).
  • Questioni pregiudiziali comunitarie, ossia rinvii alla Corte di Giustizia dell’UE su questioni interpretative o di validità del diritto UE in materia tributaria.
  • Rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione (introdotto di recente), per questioni di diritto nuove e controverse nel processo tributario.
  • Questioni di giurisdizione (riparto tra giudice tributario e altri giudici) e relativi strumenti (es. regolamento preventivo di giurisdizione).
  • Pregiudizialità tra processo tributario e processo penale, ovvero l’eventuale influenza di un procedimento penale sull’esito del processo tributario (e viceversa).
  • Pregiudizialità tra processo tributario e altri procedimenti civili/amministrativi, inclusi i casi di querela di falso e di questioni su stato o capacità delle persone.
  • Pregiudizialità interna tra procedimenti tributari, ossia casi in cui un processo tributario dipende dall’esito di un altro processo tributario (es. medesimo contribuente, annate diverse, o decisioni collegate).

Esaminiamo ciascuna tipologia separatamente, evidenziando cosa prevede la normativa, come si solleva la questione, chi è competente a risolverla e quali effetti ha sul processo (sospensione, definizione parziale, ecc.), il tutto accompagnato dalle ultime novità normative e giurisprudenziali al riguardo.

Questioni pregiudiziali di legittimità costituzionale

Una delle più importanti questioni pregiudiziali è quella relativa alla legittimità costituzionale di una norma tributaria. Se una legge fiscale (o una sua singola disposizione) applicabile al caso concreto viene ritenuta dal contribuente (o dal suo difensore) in contrasto con la Costituzione italiana, è possibile sollevare davanti al giudice tributario la cosiddetta questione di legittimità costituzionale.

Come si solleva e chi decide: Il contribuente (o l’ente impositore) non può rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale, ma può eccepire l’incostituzionalità di una norma nel corso del giudizio tributario. Sarà poi la Corte di Giustizia Tributaria (il nuovo nome delle Commissioni Tributarie dal 2023) a valutare se la questione sia rilevante per la decisione della controversia e non manifestamente infondata. In caso positivo, il giudice tributario emette un’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, formulando il dubbio di costituzionalità. La Corte Costituzionale, unico organo competente a giudicare la legittimità delle leggi, esaminerà la questione in via incidentale (art. 134 Cost.; legge costituzionale n.1/1948 e legge n.87/1953 sulle guarentigie della Corte Cost.). Durante questo periodo, il processo tributario è sospeso obbligatoriamente fino alla decisione della Consulta. In pratica, dunque, la risoluzione della questione costituzionale pregiudica (cioè viene prima di) la definizione del merito della lite fiscale.

Effetti sul processo: Se la Corte Costituzionale accoglie la questione, dichiarando l’illegittimità costituzionale (totale o parziale) della norma, quella disposizione cessa di avere effetto dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Il giudice tributario a questo punto eliminerà la norma “caducata” dall’ordinamento e deciderà la controversia come se la norma incostituzionale non fosse mai esistita. Ciò spesso comporta la soccombenza dell’amministrazione finanziaria, se la disposizione incostituzionale era il fondamento dell’atto impositivo impugnato. Se invece la Corte Costituzionale dichiara infondata o inammissibile la questione, il processo tributario riprende e il giudice deciderà applicando la norma così come valida. Da notare che la declaratoria di incostituzionalità ha efficacia erga omnes e retroattiva (salvi i limiti eventualmente stabiliti dalla Corte stessa nella sentenza, ad es. decidendo di mantenere fermi gli effetti passati per ragioni di sicurezza giuridica).

Esempi recenti: Le questioni di costituzionalità in materia tributaria non sono infrequenti. Negli ultimi anni, la Corte Costituzionale è intervenuta su varie imposte, a tutela dei principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e capacità contributiva (art. 53 Cost.). Eccone alcuni esempi significativi, aggiornati al 2024-2025:

  • IMU su immobili occupati abusivamente: con la sentenza n. 60/2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 9 comma 1 D.Lgs. 23/2011 (istitutivo dell’IMU) nella parte in cui non esenta dall’IMU gli immobili non utilizzabili né disponibili perché occupati illegalmente, a condizione che il proprietario abbia presentato denuncia all’autorità giudiziaria. La questione era stata sollevata dalla Corte di Cassazione su ricorso di una casa di cura costretta a pagare IMU su un immobile occupato da abusivi, nonostante avesse denunciato l’occupazione e fosse impossibilitata a rientrarne in possesso. La Consulta ha ritenuto la norma in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., perché tassava un bene che non genera ricchezza per il proprietario, violando sia il principio di uguaglianza (situazione diversa non trattata diversamente) sia quello della capacità contributiva. Questa pronuncia ha quindi integrato la norma, stabilendo che in tali casi l’IMU non è dovuta, e ciò vale per tutti i contribuenti in analoghe condizioni.
  • Contributo straordinario “anti caro-bollette”: il D.L. 21/2022 aveva previsto un prelievo sugli extraprofitti delle imprese energetiche, calcolato in base all’incremento di saldo IVA (una misura emergenziale durante la crisi dei prezzi energetici). Diverse Corti di Giustizia Tributaria hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, dubitando che tale contributo rispettasse il principio di capacità contributiva. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 111/2024, ha emesso una pronuncia di parziale accoglimento: ha ritenuto in generale legittimo il contributo straordinario contro il caro-bollette, ma ha dichiarato illegittimo includere nelle base imponibile del contributo le accise addebitate ai clienti finali. In pratica, la Consulta ha sancito che tassare anche gli importi dovuti a titolo di accisa (già un’imposta) era eccessivo e non correlato a reale capacità contributiva, mentre ha confermato la legittimità del prelievo sul margine differenziale IVA al netto di tali componenti. Anche questa decisione ha effetti erga omnes: la norma istitutiva del contributo è rimasta in vigore, ma depurata della parte relativa alle accise, con ovvie conseguenze sui rimborsi o sugli accertamenti in corso per le aziende colpite (riduzione della base imponibile imponibile e quindi del dovuto).
  • Deducibilità parziale dell’IMU dalle imposte sui redditi (IRES/IRAP): in anni recenti vi sono stati diversi giudizi di legittimità costituzionale riguardanti la limitata deducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali dal reddito d’impresa. In particolare, la legge n. 147/2013 aveva inizialmente concesso una deducibilità solo del 20% dell’IMU dall’IRES/IRAP, percentuale poi aumentata gradualmente fino al 100% (in vigore dal 2022). La Corte Costituzionale, nella storica sentenza n. 262/2020, aveva già dichiarato incostituzionale la totale indeducibilità dell’IMU (regime pre-2013) per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. (irragionevolezza e lesione della capacità contributiva). Successivamente, è stata sollevata la questione sulla indeducibilità parziale (20%/40% per gli anni dal 2014 al 2018): tale questione è giunta a sentenza nel 2024. Ebbene, con la sentenza n. 21/2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili o non fondate le questioni sollevate dai giudici tributari di Genova, Torino e Como sulla parziale deducibilità IMU, sostanzialmente confermando la legittimità del regime che prevedeva deduzioni limitate e progressive. In particolare, la Corte ha ritenuto che la parziale deduzione rientrasse nella discrezionalità legislativa e che, anche alla luce delle modifiche migliorative introdotte dal legislatore (fino ad arrivare alla piena deducibilità dal 2022), non vi fosse un’irragionevolezza manifesta tale da integrare un contrasto con i principi costituzionali. Questa pronuncia, dunque, ha respinto le pretese dei contribuenti di ottenere il riconoscimento costituzionale di una deducibilità integrale anticipata per quegli anni, cristallizzando la situazione normativa vigente per il passato (deducibilità parziale) e recependo implicitamente il percorso graduale scelto dal Parlamento.

Oltre a questi, si potrebbero citare molte altre questioni costituzionali in ambito tributario affrontate negli ultimi anni (ad esempio: regime delle cosiddette plusvalenze da criptovalute, tassazione IRPEF di specifiche categorie di reddito, agevolazioni fiscali ritenute discriminatorie, ecc.). Tuttavia, i casi sopra menzionati evidenziano bene l’importanza delle questioni pregiudiziali di costituzionalità: possono cambiare le regole del gioco in corso d’opera, offrendo al contribuente un risultato che, diversamente, sarebbe stato irraggiungibile applicando la legge così com’è. Di contro, va segnalato che non sempre la Corte Costituzionale accoglie tali questioni; anzi, spesso le dichiara inammissibili (ad esempio per difetti nella motivazione dell’ordinanza di rimessione) o infondate. Sollevare una questione di legittimità costituzionale richiede dunque un’attenta valutazione e una motivazione rigorosa da parte del giudice a quo (in questo caso, la Corte di Giustizia Tributaria). In ogni caso, dal punto di vista del difensore del contribuente, evidenziare un possibile vizio di costituzionalità in una norma fiscale può essere una mossa strategica fondamentale quando la legge appare manifestamente ingiusta o penalizzante, costringendo il giudice tributario a prendere posizione e, se ne ricorrono i presupposti, ad attivare il sindacato della Consulta.

Questioni pregiudiziali comunitarie (rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE)

Un’altra categoria cruciale di questioni pregiudiziali nel processo tributario concerne il diritto dell’Unione Europea. In particolare, quando la soluzione della controversia dipende dall’interpretazione o dalla validità di norme UE (trattati, regolamenti, direttive) in materia tributaria, il giudice nazionale può (e in alcuni casi deve) sospendere il giudizio e rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ponendo una questione pregiudiziale. Questo meccanismo, previsto dall’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), mira ad assicurare un’interpretazione uniforme del diritto comunitario in tutti gli Stati membri.

Ambito tributario e diritto UE: Molti tributi rientrano, in tutto o in parte, nel campo di applicazione del diritto UE. Si pensi in primis all’IVA, che è un’imposta armonizzata a livello europeo (direttiva 2006/112/CE e successive modifiche), ma anche ai dazi doganali, alle accise, ad alcuni profili delle imposte sul reddito legati a normative UE (es. regime degli aiuti di Stato in materia fiscale, direttive contro le doppie imposizioni, scambi di informazioni, ecc.). Quando c’è un dubbio su come interpretare una disposizione UE rilevante per il caso di cui il giudice tributario si sta occupando, oppure quando si sospetta che una norma interna sia in contrasto col diritto UE (e non sia possibile risolvere il contrasto con la semplice interpretazione conforme o disapplicazione), può sorgere la questione pregiudiziale comunitaria.

Come funziona il rinvio pregiudiziale UE: Il giudice tributario, se di ultimo grado (cioè la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, qualora la sua sentenza non sia ulteriormente impugnabile su quella questione) ha l’obbligo di rinviare la questione alla CGUE salvo che la stessa sia acte clair o acte éclairé (cioè di interpretazione evidente o già chiarita da precedenti). I giudici di merito non di ultima istanza, invece, possono discrezionalmente operare il rinvio pregiudiziale se lo ritengono necessario alla definizione della controversia. La prassi vuole che la parte interessata (spesso il contribuente) suggerisca o richieda il rinvio nella propria memoria, ma la decisione finale spetta al giudice. Se il rinvio è disposto, il giudice formula uno (o più) quesiti interpretativi o di validità e sospende il processo, in attesa che la Corte di Lussemburgo si pronunci. La CGUE esaminerà la domanda (nei tempi che, pur avendo procedura d’urgenza in certi casi, possono arrivare a circa 1-2 anni), e quindi emanerà una sentenza pregiudiziale contenente le risposte. Tali risposte sono vincolanti nell’interpretazione del diritto UE per il giudice nazionale che le ha richieste e, in generale, costituiscono precedente autorevole per tutte le analoghe questioni nei Paesi UE.

Effetti ed obblighi per il giudice tributario: Una volta ricevuta la pronuncia della Corte di Giustizia, il giudice tributario riapre il procedimento e applica al caso concreto i principi enunciati dalla Corte UE. In alcuni casi, ciò può significare disapplicare la norma nazionale contrastante con il diritto UE (se la Corte UE ha, in pratica, evidenziato l’incompatibilità e la non necessità di ulteriori interventi). In altri, la Corte UE fornisce solo criteri interpretativi e spetta al giudice nazionale calarli nella fattispecie. Va sottolineato che, grazie al principio di supremazia del diritto UE, il giudice tributario avrebbe comunque il potere-dovere di disapplicare direttamente una norma interna contrastante con il diritto comunitario chiaro e self-executing (senza dover attendere pronunce della Corte Costituzionale, poiché in tal caso non si tratta di invalidare la norma ma solo di non usarla in quel caso concreto perché subordinata al diritto UE). Tuttavia, il rinvio pregiudiziale è lo strumento d’elezione quando l’interpretazione del diritto UE non è pacifica o quando si dubita della validità di un atto UE (es. un regolamento o una decisione, il cui sindacato spetta solo alla Corte di Giustizia).

Esempi pratici e casi recenti: Numerose sono le sentenze della Corte di Giustizia UE originate da rinvii pregiudiziali di giudici tributari italiani. Eccone alcuni esempi notevoli:

  • IVA – Neutralità fiscale e rimborso dell’IVA non dovuta: Un caso recente è la sentenza della Corte di Giustizia (Sez. VI) del 13 marzo 2025 (causa C-640/23, Greentech). In questo procedimento (nato da un rinvio pregiudiziale della Alta Corte di Cassazione e Giustizia rumena, ma su temi di interesse generale IVA), la Corte UE ha affrontato la questione di una cessione di beni che l’amministrazione fiscale aveva riqualificato come cessione d’azienda (operazione fuori campo IVA), a fronte della quale la società cedente aveva però addebitato IVA in fattura e versato l’imposta. La problematica riguardava se fosse conforme ai principi UE negare il rimborso dell’IVA erroneamente applicata qualora la fattura non fosse stata tempestivamente rettificata entro certi termini. La Corte, nel rispondere, ha richiamato i principi di neutralità dell’IVA e di effettività, evidenziando che il sistema comune dell’IVA non può trattenere un’imposta non dovuta quando vi sia il rischio di una doppia imposizione o un indebito arricchimento dell’Erario. Questo principio vincola anche i giudici italiani: in situazioni simili, essi dovranno interpretare le norme nazionali (es. sulle note di variazione IVA e sul rimborso) alla luce di tali indicazioni, privilegiando soluzioni che permettano al contribuente di recuperare l’IVA indebitamente versata, nel rispetto però delle cautele contro evasioni e abusi.
  • Definizione agevolata liti fiscali comprendenti IVA: Un tema di stringente attualità (2023-2025) è la compatibilità delle “pacificazioni fiscali” italiane con il diritto UE. In particolare, la legge di bilancio 2023 (l. 197/2022) ha previsto la definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, applicabile anche a liti riguardanti l’IVA (imposta che, ricordiamo, alimenta parzialmente il bilancio UE come “risorsa propria”). Ebbene, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, con ordinanza n. 122/25 del 15 luglio 2024 (dep. 7 febbraio 2025), ha sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE proprio su questo aspetto. Ha chiesto, in sostanza, se le disposizioni italiane che consentono di chiudere le liti pendenti anche sull’IVA (con sconti o importi ridotti da pagare) siano compatibili con gli obblighi UE, in particolare con il principio di leale cooperazione (art. 4 par.3 TUE), con la normativa sulle risorse proprie UE e con la neutralità fiscale in materia IVA. La vicenda è interessante anche perché interviene in un momento di riforma del meccanismo di rinvio pregiudiziale nell’UE: dal 1º ottobre 2024, infatti, è divenuto operativo il nuovo art. 50-ter del Protocollo sullo Statuto della Corte di Giustizia, che attribuisce al Tribunale dell’UE competenza su alcune materie (tra cui il sistema comune IVA, i dazi e accise) per i rinvii pregiudiziali, salvo che le questioni sollevino anche aspetti di diritto primario o principi generali. Nel caso di specie, la Corte di Giustizia ha deciso di trattenere presso di sé la causa (anziché attribuirla al Tribunale) perché la domanda sollevava anche profili generali (principi di diritto UE, obblighi ex Trattati) oltre alla materia IVA strettamente detta. Questo rinvio pregiudiziale è il primo in ambito IVA “post-riforma” proveniente dall’Italia ed è osservato con attenzione: da esso dipenderà la conferma o l’eventuale rimodulazione delle procedure di definizione agevolata delle liti IVA. Per i contribuenti coinvolti, la pendenza di tale questione pregiudiziale UE comporta un periodo di incertezza: in attesa della risposta della Corte di Giustizia, la chiusura delle liti IVA in via agevolata rimane sub iudice riguardo alla sua validità comunitaria.
  • Altri esempi: La Corte di Giustizia è intervenuta spesso su questioni IVA sollevate da giudici italiani: ad esempio sulla detraibilità dell’IVA in presenza di frodi (cause Mahagében e Evita-K, oppure la nostra Cassazione ha recepito i principi di buona fede e proporzionalità), sul regime delle agevolazioni IVA (come aliquote ridotte o esenzioni, alcune volte contestate da Bruxelles), sul rimborso IVA con limiti annuali (caso C-107/14, Solgar in tema di massimale ai rimborsi infrannuali, poi rimosso), sulle sanzioni tributarie in materia IVA in rapporto al principio di proporzionalità UE (caso C-210/10, Urbán e successivi), nonché su temi extra-IVA come il principio ne bis in idem tra sanzione amministrativa tributaria e procedimento penale (questione dalle implicazioni penal-tributarie su cui la CGUE è intervenuta in casi come C-524/15, Menci, in collegamento anche con la Corte EDU). Un altro settore caldo è quello delle accise e imposte ambientali, dove rinvii pregiudiziali italiani hanno chiesto lumi alla CGUE, ad esempio, sulla legittimità dell’esenzione accise per carburanti in certe attività o sulle addizionali provinciali sull’energia elettrica poi giudicate contrarie al diritto UE (con obbligo di rimborso ai contribuenti).

In tutti questi frangenti, il ruolo del rinvio pregiudiziale è stato determinante per chiarire il quadro normativo e spesso per far valere diritti dei contribuenti derivanti dall’ordinamento UE. Dal punto di vista del debitore, invocare il diritto comunitario è una strategia essenziale quando la normativa interna appare in conflitto con esso o di dubbia interpretazione. Occorre però una conoscenza specialistica del diritto UE e della giurisprudenza della CGUE. Vale la pena ricordare che, se la violazione del diritto UE da parte dello Stato è conclamata (ad esempio, imposte indebitamente riscosse in contrasto col diritto UE), il contribuente può avere diritto non solo alla disapplicazione della norma interna, ma anche al risarcimento dei danni in base ai principi Francovich (responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto UE).

Rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione (art. 363-bis c.p.c.)

Tra le novità più rilevanti degli ultimi anni in materia di giustizia tributaria vi è l’introduzione del rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Cassazione, disciplinato dall’art. 363-bis del codice di procedura civile. Questo strumento, sebbene inserito nel contesto della riforma del processo civile (c.d. Riforma Cartabia, D.Lgs. 149/2022), è applicabile anche al processo tributario in virtù del richiamo generale alle norme del c.p.c. contenuto nell’art. 1, comma 2, D.Lgs. 546/1992. La finalità del rinvio pregiudiziale in Cassazione è di ottenere dalla Suprema Corte, in tempi brevi e senza attendere i normali gradi di giudizio, la risoluzione di una questione di diritto nuova e di particolare importanza, così da garantire un’interpretazione uniforme ed evitare un proliferare di contenziosi su quel punto.

Condizioni per il rinvio pregiudiziale (363-bis c.p.c.): Il giudice di merito (quindi nel nostro caso il giudice tributario di primo grado o di appello) può, con ordinanza motivata, rimettere alla Corte di Cassazione una questione di diritto quando sussistono tutte le seguenti condizioni:

  • La questione è necessaria per definire (anche parzialmente) la causa tributaria pendente, e non è stata ancora risolta in precedenza dalla Corte di Cassazione (requisito di novità del tema).
  • La questione presenta gravi difficoltà interpretative (non è di agevole soluzione, magari perché mancano precedenti o le norme sono particolarmente oscure).
  • La questione è tale da essere suscettibile di porsi in numerosi giudizi (cioè non riguarda un caso isolato, ma ha potenzialmente rilevanza generale o seriale).

In presenza di questi requisiti, il giudice tributario, d’ufficio o su sollecitazione delle parti, può predisporre un’ordinanza di rinvio pregiudiziale. L’ordinanza deve contenere la descrizione della questione di diritto e le ragioni che rendono opportuno il rinvio (novità, difficoltà, diffusività). Una volta emessa, il processo principale viene sospeso. L’ordinanza viene trasmessa alla Corte di Cassazione, dove il Primo Presidente valuta preliminarmente l’ammissibilità del rinvio (verificando che i requisiti di legge siano rispettati). Se la ritiene ammissibile, il Primo Presidente assegna la trattazione alle Sezioni Unite (di regola, trattandosi spesso di questioni nomofilattiche) o a una sezione semplice a seconda dei casi. Se la richiesta appare carente, la Cassazione può rinviarla indietro al giudice a quo per una migliore motivazione (evitando di pronunciarsi su questioni mal poste).

Decisione della Cassazione e sua efficacia: La Corte di Cassazione, investita del rinvio pregiudiziale, esamina esclusivamente la questione di diritto proposta senza entrare nei fatti (non ci sarà istruttoria fattuale, la Cassazione prende per buono il fatto come prospettato dal giudice remittente, limitandosi a valutare se la questione giuridica è rilevante). La pronuncia che viene emessa conterrà uno specifico principio di diritto vincolante per il giudice che ha richiesto il rinvio. In pratica, la Cassazione “consiglia” in modo vincolante come risolvere la questione giuridica dubbia. Una volta ottenuta la risposta, il processo tributario sospeso riprende e il giudice applicherà il principio di diritto al caso concreto, decidendo la causa (salvo eventualmente altre questioni residue). È importante notare che la pronuncia pregiudiziale della Cassazione ha efficacia limitata al processo in cui è emessa (non crea un giudicato erga omnes), ma nei fatti ha un peso nomofilattico notevole: provenendo dalla Suprema Corte a Sezioni Unite o comunque dalla Cassazione, quel principio orienterà verosimilmente le future decisioni di merito analoghe e il comportamento stesso delle parti in casi simili. Proprio l’effetto deflattivo è uno degli obiettivi dichiarati: ottenere subito un chiarimento autorevole per “spegnere sul nascere” decine o centinaia di liti basate sul medesimo dubbio interpretativo. Questo strumento, dunque, non serve solo a risolvere meglio un singolo processo, ma a prevenire contenziosi seriali e garantire uniformità applicativa del diritto tributario.

Applicabilità al processo tributario confermata dalle Sezioni Unite: All’indomani dell’entrata in vigore della norma (fine 2022), ci si è chiesti se il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. fosse effettivamente utilizzabile anche nei giudizi tributari, dato che il D.Lgs. 546/92 non lo menzionava espressamente. La risposta è stata presto affermativa. Nel 2023 si sono verificati i primi casi di utilizzo: in particolare, la Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Agrigento, con ordinanza n. 428 del 31 marzo 2023, ha sollevato una questione pregiudiziale alla Cassazione riguardante una questione di giurisdizione (sembra un conflitto sulla qualificazione di un tributo locale), e il Primo Presidente della Cassazione (ordine del 18 aprile 2023) ha ammesso il rinvio. La Prima Presidente ha ritenuto che la questione fosse nuova, rilevante e potenzialmente frequente, e l’ha dunque rimessa alle Sezioni Unite, affermando chiaramente la compatibilità dell’istituto con il processo tributario in forza del rinvio alle norme del c.p.c. “in quanto compatibili” operato dal D.Lgs. 546/1992. Successivamente, le Sezioni Unite civili della Cassazione, con sentenza n. 34851 del 13 dicembre 2023, hanno sciolto ogni dubbio sancendo espressamente che l’art. 363-bis c.p.c. è applicabile al giudizio tributario. Nella motivazione, le SS.UU. hanno richiamato: (a) il generale rinvio alle norme del c.p.c. operato dall’art. 1, co.2, D.Lgs. 546/92, (b) l’unicità del giudizio di legittimità per civili e tributari (art. 62, co.2, D.Lgs. 546/92), e (c) il dato letterale dell’art. 363-bis c.p.c. che parla di “giudice di merito” senza escludere quello tributario. Inoltre, le SU hanno sottolineato come la funzione nomofilattica e deflattiva del rinvio pregiudiziale risulti particolarmente utile proprio in materia tributaria, caratterizzata da un contenzioso enorme e spesso seriale, dove un chiarimento preventivo della Cassazione può evitare centinaia di ricorsi futuri. Questa pronuncia delle SU ha valore storico, inquadrando il nuovo istituto nell’ambito della giustizia tributaria e legittimandone pienamente l’uso da parte dei giudici di merito tributari.

Primi casi concreti e questioni affrontate: Oltre al caso agrigentino sulla giurisdizione (che probabilmente è stato definito con il principio di diritto delle SU di dicembre 2023), un altro esempio degno di nota è un’ordinanza della Corte di Giustizia Tributaria di Napoli (primo grado) del 23 maggio 2024, n. 3737/2024. In tale vicenda, il giudice partenopeo ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Cassazione per una questione inerente la legittimità della costituzione di una “società di progetto” per l’accertamento e la riscossione di tributi locali, società non iscritta nell’albo ministeriale previsto dall’art. 53 D.Lgs. 446/1997. In pratica, si discuteva se un Comune potesse affidare tramite finanza di progetto la riscossione delle imposte locali a un soggetto privato non iscritto nell’albo dei concessionari; il giudice tributario ha ritenuto la questione controversa e di vasta portata (potenzialmente coinvolge molti enti locali) e ha chiesto alla Cassazione un principio di diritto, anche valutando un’interpretazione costituzionalmente orientata del quadro normativo (art. 184 D.Lgs. 50/2016, codice appalti, in relazione alla disciplina tributaria). Questo mostra come il rinvio pregiudiziale possa riguardare anche intersezioni tra diritto tributario e altre branche (qui diritto amministrativo degli appalti e organizzazione della riscossione), dove un chiarimento della Cassazione può prevenire prassi difformi nei tribunali.

Dal punto di vista pratico, per il contribuente l’istituto del rinvio pregiudiziale in Cassazione può essere vantaggioso in varie situazioni, ad esempio quando:

  • Si trova davanti a una norma fiscale nuova, di dubbia interpretazione, che viene applicata in modo discordante dalle commissioni tributarie: suggerire al giudice di utilizzare l’art. 363-bis c.p.c. può portare in tempi relativamente brevi a un principio di diritto unificante, evitando magari un lungo iter fino in Cassazione (che potrebbe durare molti anni).
  • La questione controversa riguarda una serie di casi analoghi (ad es. una nuova imposta o un nuovo regime): un contribuente “pilota” potrebbe favorire il rinvio pregiudiziale, il cui esito poi farà giurisprudenza per gli altri (pensiamo, per analogia, a come un ruling della Corte UE su un caso pilota orienta tutti gli altri). Questo è particolarmente interessante per associazioni di categoria o per contenziosi collettivi.
  • Va però anche considerato che durante il rinvio pregiudiziale in Cassazione il processo è sospeso; ciò comporta un allungamento dei tempi di definizione del caso concreto, e potrebbe avere effetti sulla riscossione provvisoria. Ad esempio, se il rinvio avviene in primo grado e dura diciamo 1-2 anni, il contribuente in quel frattempo potrebbe comunque subire (salvo sospensioni ad hoc) le azioni di riscossione per la parte di tributo non coperta da effetti sospensivi automatici. Quindi, l’aspetto strategico va valutato: il beneficio di una pronuncia nomofilattica immediata va bilanciato con il possibile stand-by del proprio caso. In generale, se la questione è davvero grave e trasversale, il beneficio supera i costi in termini di tempo.

In conclusione, il rinvio pregiudiziale alla Cassazione è oggi una realtà operativa del processo tributario. Le sue potenzialità si vedranno appieno man mano che la Cassazione emetterà i primi principi di diritto in risposta ai giudici tributari: ciò contribuirà (si spera) a ridurre l’incertezza interpretativa e a far sì che molti contenziosi non arrivino nemmeno in Cassazione mediante ricorso tradizionale, perché già risolti in sede pregiudiziale. Il professionista tributarista deve inserire anche questo strumento nel proprio arsenale difensivo, valutando attentamente quando proporlo al giudice e come argomentarne l’opportunità.

Questione di giurisdizione (riparto di competenza tra giudice tributario e giudici ordinari/amministrativi)

Tra le questioni preliminari più importanti che possono sorgere all’inizio di un giudizio tributario vi è quella relativa alla giurisdizione: ovvero, stabilire se una certa controversia spetti alle Corti di Giustizia Tributaria oppure ad un diverso giudice (civile ordinario o amministrativo). La questione pregiudiziale di giurisdizione consiste quindi nel dubbio se il giudice adito sia quello corretto per decidere quella materia, e deve essere sciolta prima di entrare nel merito della lite.

In diritto processuale, la giurisdizione attiene al potere di decidere di un determinato ordine giudiziario. In materia tributaria, il D.Lgs. 546/1992 (riformato dal D.Lgs. 156/2015) e, più di recente, il nuovo Codice della giustizia tributaria (D.Lgs. 119/2022, attuativo della riforma 2022) delineano l’ambito di competenza delle Corti tributarie: in generale, tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie (salvo alcune eccezioni) rientrano nella giurisdizione tributaria, incluse quelle su sanzioni tributarie e su accessori. Non mancano però zone grigie e casi limite: ad esempio, controversie su somme richieste dall’Agente della riscossione ma non riconducibili propriamente a tributi (si pensi a partite iscritte a ruolo per sanzioni amministrative diverse dalle tributarie – es. multe stradali – o contributi previdenziali; oppure atti come il fermo amministrativo, l’ipoteca esattoriale e il pignoramento presso terzi per crediti fiscali) possono porre problemi di riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario. Altri esempi: canoni, contributi o tariffe che assomigliano a tributi ma non lo sono formalmente (contributi consortili, tariffe di igiene ambientale in passato, ecc.), oppure liti attinenti a benefici fiscali collegati a provvedimenti amministrativi (dove può insinuarsi la giurisdizione amministrativa).

Rilevazione e strumenti per le questioni di giurisdizione: Il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti oppure rilevato d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo. In altre parole, non vi è decadenza: anche in appello o in Cassazione, se ci si accorge che la controversia apparteneva ad altro giudice, la questione va affrontata. Anzi, l’art. 3 del nuovo Codice di giustizia tributaria (e analogamente l’art. 1 comma 2 D.Lgs. 546/92 previgente) lo prevedono espressamente. Se il giudice tributario ritiene di non avere giurisdizione, deve dichiararlo con sentenza (che chiude il processo dinanzi a lui); a quel punto spetterà alla parte interessata riassumere la causa davanti al giudice ritenuto competente (salvo che la pronuncia venga impugnata se si dissente).

Tuttavia, per evitare tempi lunghi e conflitti, l’ordinamento prevede uno strumento ad hoc: il regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 c.p.c.). Questo strumento consente, entro una certa fase iniziale del giudizio, di adire direttamente la Cassazione a Sezioni Unite per far stabilire chi ha giurisdizione. Ad esempio, se il contribuente e l’ente impositore litigano sull’attribuzione al giudice tributario vs giudice ordinario, possono sollecitare un regolamento di giurisdizione: le Sezioni Unite della Cassazione decideranno in via definitiva a quale giudice spetta la controversia, e quella decisione vincolerà tutti (giudice e parti). Il regolamento di giurisdizione è pregiudiziale nel senso che, se proposto, sospende il processo in corso fino alla definizione in Cassazione. Anche il giudice stesso, se ha seri dubbi, può sollecitare d’ufficio il regolamento di giurisdizione.

Orientamenti giurisprudenziali in materia di giurisdizione tributaria: La Cassazione a Sezioni Unite ha nel tempo delineato i confini. Ad esempio, con l’ordinanza n. 21642/2021 le SU hanno chiarito che gli atti della riscossione coattiva di entrate tributarie (come fermi, ipoteche, pignoramenti) rientrano nella giurisdizione tributaria solo se attengono a crediti di natura tributaria, mentre se riguardano crediti non tributari (come sanzioni amministrative, contributi previdenziali) la cognizione spetta al giudice competente per tali materie (giudice ordinario per multe e contributi, giudice del lavoro per contributi previdenziali). In pratica, in caso di cartelle miste (contenenti tributi e altre entrate) si può avere un frazionamento: il giudice tributario conosce delle parti tributarie, quello ordinario di quelle non tributarie. Le SU hanno anche più volte affermato che l’oggetto della giurisdizione tributaria non è solo l’“an” del tributo, ma anche il “quantum” e gli accessori (sanzioni, interessi) purché collegati a un tributo. Invece, non rientrano in detta giurisdizione le controversie su indennità o rapporti privatistici anche se fiscalmente rilevanti (es. liti contrattuali sul pagamento di imposte tra privati) e in generale tutto ciò che non trova titolo in una legge fiscale o in un atto autoritativo impositivo. Ad esempio, le liti su rimborsi da convenzioni o accordi transattivi col Fisco, oppure sulle modalità di esecuzione forzata sui beni (es. opposizioni all’esecuzione dopo la notifica di atti esecutivi fiscali) attengono al giudice ordinario.

Un caso particolare è quello dei contributi di bonifica: per anni si è discusso se fossero tributi (quindi giurisdizione tributaria) o meno; la giurisprudenza più recente li considera oneri reali assimilati a tributi, quindi attraendoli sotto il giudice tributario, ma permangono questioni su aspetti regolamentari (talora devoluti al giudice amministrativo se si contesta la legittimità di un piano di classifica).

Effetti sul processo: Se viene dichiarato il difetto di giurisdizione tributaria, il processo si chiude in quella sede. La pronuncia può essere impugnata per cassazione (davanti alle SU) dal soccombente che invece ritiene che la giurisdizione tributaria sussistesse, oppure può essere riassunta innanzi al giudice ritenuto competente. Da notare: il processo può anche concludersi con una pronuncia che nega la giurisdizione del giudice adito, ma in tal modo non c’è un giudicato sul merito. Onde evitare che la vicenda resti priva di sbocco, se la pronuncia passa in giudicato ed era errata (giurisdizione negata da giudice A senza che giudice B venga adito), potrebbe sorgere un conflitto negativo, risolvibile dalla Cassazione. In ogni caso, la questione di giurisdizione è uno step fondamentale: nessun giudice può decidere nel merito se prima non è certo di avere la giurisdizione.

Dal punto di vista pratico difensivo, l’eccezione di difetto di giurisdizione può talvolta essere usata dal contribuente come leva strategica. Ad esempio, in alcuni casi il contribuente potrebbe preferire il giudice ordinario a quello tributario (o viceversa) per vari motivi (diverso regime probatorio, diversa durata del processo, ecc.) e quindi tenta di argomentare che il caso non è di giurisdizione tributaria. Bisogna però agire in buona fede e con solido fondamento giuridico, perché far sbattere la causa fuori da un giudice per poi magari perderla su incompetenza del successivo rischia solo di allungare i tempi e aumentare i costi.

Collegamento con rinvio pregiudiziale Cassazione: È interessante notare che la prima applicazione del rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. in ambito tributario (Agrigento 2023) riguardava proprio una questione di giurisdizione. In quell’occasione, il giudice tributario siciliano, pur consapevole della possibilità del regolamento di giurisdizione, ha optato per il rinvio pregiudiziale in Cassazione, volendo forse ottenere non solo la risoluzione del caso specifico ma anche un principio di diritto più generale. Le Sezioni Unite, accogliendo il rinvio, hanno poi chiarito che per questioni di giurisdizione persistono gli strumenti tradizionali (come il regolamento di giurisdizione), ma ciò non esclude che, in presenza dei requisiti di novità e importanza, anche una questione di giurisdizione possa essere affrontata tramite il nuovo meccanismo. Ovviamente, il ricorso a 363-bis in tali casi sarà raro, poiché la giurisprudenza su cosa è o non è tributario è abbastanza consolidata, ma l’episodio evidenzia come l’ordinamento veda tutti questi strumenti in un sistema integrato e complementare. Le SU hanno sottolineato che l’art. 363-bis c.p.c. è complementare agli strumenti ordinari, con funzione non tanto sulla singola lite quanto di sistema.

Pregiudizialità tra processo tributario e processo penale

Un tema classico del diritto tributario italiano è il rapporto tra procedimento tributario e procedimento penale in materia fiscale. In passato, vigeva la c.d. pregiudiziale tributaria nel processo penale: ovvero, il penale per reati tributari era sospeso finché l’accertamento fiscale non divenisse definitivo. Questo comportava lungaggini e fu abolito a partire dagli anni ’80 (decreto legge 429/1982, la c.d. “manette agli evasori”), sancendo una separazione dei due ambiti. Oggi la regola è inversa: il processo tributario è autonomo da quello penale e non deve attendere l’esito di eventuali procedimenti penali sugli stessi fatti.

Vediamo in dettaglio:

Situazione normativa: L’art. 20 del D.Lgs. 74/2000 (Testo sui reati tributari) stabilisce espressamente che il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti (o fatti dal cui accertamento dipende la definizione). Inoltre, l’art. 39, comma 1, D.Lgs. 546/92 (ora confluito nel nuovo Codice) non include il processo penale tra i motivi di sospensione del processo tributario. Al contrario, prevede solo la querela di falso e lo stato/capacità delle persone (come visto più sopra). Ciò significa che non è ammessa la sospensione del giudizio tributario per attendere l’esito di un giudizio penale correlato.

Giurisprudenza e principi: La Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno più volte confermato questa impostazione. Le Sezioni Unite della Cassazione già nel 2012 avevano affermato che l’eventuale rapporto di pregiudizialità penale-tributaria cessa con la decisione di primo grado nel processo pregiudicante (penale), non occorrendo attendere il giudicato, e che comunque se il penale fa un primo grado, l’ulteriore sospensione del tributario andrebbe semmai chiesta ai sensi dell’art. 337 c.p.c. (sospensione facoltativa in appello). In concreto, però, la Cassazione esclude quasi sempre la “necessaria dipendenza” tra reato tributario e accertamento fiscale, perché, pur vertendo sui medesimi fatti materiali (es. omessa fatturazione), i fini dei due giudizi sono diversi. L’imposta evadeva può essere accertata e riscossa anche se il giudice penale non ha ancora condannato per il reato, e viceversa il giudice penale può condannare per frode fiscale anche se nel frattempo il contribuente ha vinto o transato la causa tributaria (la prova penale è autonoma). Si parla infatti di autonomia dei giudizi. La Cassazione ha sottolineato che non sussiste un vincolo di “necessarietà” tale da imporre la sospensione del tributario in attesa del penale, perché la definizione del giudizio penale non è indispensabile alla decisione della causa tributaria.

Questo principio di autonomia è stato convalidato dalla Corte Costituzionale in più pronunce. Ad esempio, con l’ordinanza n. 335/2010 la Consulta dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale che un giudice tributario aveva sollevato proprio per lamentare l’assenza di sospensione in caso di penale pendente. Il giudice a quo sosteneva che così si violavano i diritti del contribuente/imputato (costretto magari a scoprire le proprie carte difensive tributarie mentre in penale ha diritto al silenzio, o impossibilitato a produrre documenti sequestrati dalla Procura). Ma la Corte Costituzionale respinse la questione evidenziando che, anche se avesse eliminato l’art. 39 D.Lgs. 546/92 per incostituzionalità, comunque restava l’art. 20 D.Lgs. 74/2000 a vietare la sospensione, quindi la censura sarebbe stata inutile (pronuncia “inutiliter data”). In pratica, la Consulta avallò il disegno legislativo: il penale e il tributario corrono su binari separati. Più di recente, con sentenza n. 222/2014 la Corte Costituzionale ha anche eliminato la norma (art. 12 c.2 D.Lgs. 74/2000) che dava rilevanza automatica nel penale al cosiddetto giudicato tributario su fatti in senso favorevole all’imputato (es. se la commissione tributaria annullava l’accertamento, ciò vincolava il giudice penale). Togliendo quella norma, si è ribadito che nessun giudicato tributario vincola il penale, e analogamente nessun giudicato penale vincola automaticamente il tributario (salvo il caso particolare della querela di falso su documenti, che però è altra questione). Questo per evitare sia ritardi sia contrasti: il legislatore del 1988-1992 ha preferito rischiare difformità di esiti piuttosto che bloccare la riscossione in attesa dei tempi lunghi del penale. Come osservato in dottrina, si accetta “l’eventualità di un contrasto di epiloghi” pur di evitare ritardi nella repressione penale.

Conseguenze pratiche: In concreto, ciò significa che un contribuente imputato per reati fiscali dovrà difendersi parallelamente su due fronti: davanti al giudice penale e davanti a quello tributario. Non può chiedere al giudice tributario di attendere la sentenza penale (richieste del genere vengono dichiarate inammissibili). Allo stesso modo, l’Agenzia delle Entrate non può pretendere di congelare il processo tributario perché c’è un’indagine penale in corso: dovrà svolgere l’accertamento e l’eventuale processo tributario a prescindere.

Ci sono tuttavia intersezioni: ad esempio, le risultanze probatorie del processo penale (si pensi a una perizia o a documenti sequestrati) possono essere utilizzate nel processo tributario (di solito le relazioni Guardia di Finanza confluiscono negli atti dell’accertamento); e viceversa, documenti prodotti nel tributario potrebbero essere acquisiti dal PM in sede penale. Su questo punto, una delle preoccupazioni è la seguente: se un imputato ha documenti a sua discolpa, ma essi sono sotto sequestro penale, come può difendersi nel processo tributario? La giurisprudenza di merito ha talvolta cercato soluzioni pragmatiche (ad esempio rinvii tecnici in attesa che l’autorità penale dia copia degli atti sequestrati), ma sul piano formale la regola resta la non sospensione. La questione fu quella portata davanti alla Consulta nel 2010, come visto: la risposta fu che eventuali problemi specifici vanno risolti dal legislatore, non potendo il giudice comune sovvertire la scelta di campo operata dal combinato art. 20 D.Lgs. 74/2000 e art. 39 D.Lgs. 546/92.

Pregiudizialità penale inversa: E il viceversa? Cioè, il processo penale può essere sospeso in attesa del tributario? Storicamente era così (pregiudiziale tributaria al penale), ma ora no: l’art. 20 citato ha svincolato anche il penale, che va avanti per conto suo senza aspettare l’esito dell’accertamento amministrativo o del contenzioso. Quindi entrambe le giurisdizioni procedono indipendentemente. Esiste però un’eccezione limitata: se nel penale occorre risolvere una questione fiscale puramente tecnica (es. determinare precisamente l’imposta evasa), il giudice penale la risolve incidenter tantum con i suoi mezzi, oppure – in rarissimi casi – potrebbe sospendere il penale se pende davanti al giudice tributario una *questione pregiudiziale sulla * legittimità costituzionale di una norma da cui dipende l’accertamento del reato (per esempio, se la definizione di un elemento del reato dipende da una norma fiscale dubbia a livello costituzionale). Ma sono situazioni di scuola.

In generale, quindi, dal punto di vista del contribuente imputato, non può contare su una sospensione automatica del processo tributario. Dovrà attivarsi su entrambe le fronti: magari chiedendo la sospensione della riscossione (misura cautelare prevista dall’art. 47 D.Lgs. 546/92) se ha timori che l’Erario proceda all’incasso mentre lui è impegnato a difendersi in penale – la sospensione processuale no, ma quella della riscossione può essere concessa se sussistono gravi e fondati motivi (e un buon motivo potrebbe essere che un giudice penale ha ad esempio riconosciuto l’assenza del fatto). In caso di esiti contrastanti (es. assolto in penale, ma sentenza tributaria definitiva che conferma l’evasione, o viceversa), non c’è un automatismo di allineamento. La Corte Costituzionale già nel 1993 (sent. n. 5/1993) escluse che il giudicato tributario vincolasse il penale, e analogamente la Cassazione tributaria tende oggi a dire che il giudicato penale di assoluzione non vincola il tributario, tranne forse nel caso in cui quell’assoluzione certifichi proprio l’inesistenza del fatto imponibile. Ad esempio, se Tizio è assolto perché “il fatto non sussiste” (non ha omesso vendite, era tutto regolare), è chiaro che quell’accertamento di fatto sgretola anche la pretesa fiscale. In questi casi, in sede di impugnazione, la difesa del contribuente potrà far valere l’esito penale come prova nuova (soprattutto se interviene prima che il contenzioso tributario sia definito). In caso di concomitanza, però, ciascun giudice potrebbe arrivare a conclusioni diverse sulla base delle prove presentate nei rispettivi procedimenti. Questa situazione di potenziale conflitto è il prezzo dell’autonomia dei giudizi.

Riassumendo: nel processo tributario non esiste una questione pregiudiziale penale ammessa dalla legge. Il giudice tributario non può sospendere per aspettare il penale. Se il contribuente eccepisce la pendenza del penale, l’eccezione sarà rigettata in rito. Il giudice tributario deciderà secondo le prove e le norme tributarie. Il coordinamento tra i due procedimenti avviene solo tramite lo scambio eventuale di elementi probatori (documenti, perizie) e per il fatto che, spesso, l’esito dell’uno può influenzare – in termini di opportunità – l’altro (es: se c’è condanna penale definitiva per dichiarazione fraudolenta, è molto probabile che il contenzioso tributario parallelo finisca male per il contribuente, e viceversa un’assoluzione piena è di fatto una vittoria morale anche verso il fisco, pur non vincolante).

Pregiudizialità tra processo tributario e giudizi civili o amministrativi (querela di falso, status di persone, atti amministrativi presupposti)

Oltre ai rapporti col penale, vi sono altre situazioni in cui un processo tributario può incrociarsi con altri procedimenti giurisdizionali. La normativa prevede espressamente alcuni casi nei quali il processo tributario deve essere sospeso in attesa della definizione di una questione pregiudiziale di competenza di altro giudice. Tali casi, come già citato, erano disciplinati dall’art. 39, c.1, D.Lgs. 546/92 (ora trasfuso nell’art. 62 del nuovo D.Lgs. 119/2022) e riguardano in particolare:

  • La presentazione di una querela di falso relativamente a un documento prodotto nel processo tributario.
  • La necessità di decidere in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone (che esuli dalla capacità di stare in giudizio).

In entrambi i casi, il legislatore ha previsto la sospensione obbligatoria del processo tributario, poiché si tratta di questioni la cui decisione spetta ad altre giurisdizioni e che possono incidere in modo determinante sull’esito della controversia fiscale.

Vediamoli in dettaglio:

1. Querela di falso: La querela di falso è lo strumento giuridico per contestare la autenticità o veridicità di un documento pubblico (o scrittura privata riconosciuta) quando lo si ritiene materialmente o ideologicamente falso. Nel contenzioso tributario, può capitare ad esempio che il contribuente contesti la genuinità di un verbale, di un atto notarile, di una notificazione o di altro documento su cui l’ente impositore fonda la propria pretesa. Poiché la legge riserva la cognizione delle querele di falso al giudice civile ordinario (o al giudice penale in sede di procedimento incidentale se la falsità integra reato), il giudice tributario non può egli stesso dichiarare un documento falso con efficacia erga omnes. Dunque, se una parte (in genere il contribuente) propone querela di falso riguardo ad un atto prodotto in giudizio, il processo tributario si sospende e il documento in questione esce dal materiale probatorio in attesa del giudizio sulla falsità. Sarà competente la Corte d’Appello civile (in funzione di giudice della querela di falso) oppure il tribunale, secondo i casi, a decidere sulla falsità. Solo dopo la definizione (passata in giudicato) di quella causa di falso, riprenderà il processo tributario, tenendo conto dell’esito: se il documento fu dichiarato falso, non avrà valore probatorio; se fu dichiarato autentico, tornerà a essere valutabile. Questa sospensione è essenziale per garantire che il giudice tributario non decida basandosi su un documento potenzialmente artefatto, né decida egli stesso sulla veridicità di esso senza averne i poteri. Esempio pratico: un contribuente riceve una cartella esattoriale e sostiene che la firma sull’avviso di ricevimento postale non è la sua né di persona autorizzata, ritenendo quindi falso l’atto di notifica; può proporre querela di falso sull’avviso di ricevimento. La Commissione sospenderà finché la querela sarà decisa dal giudice civile. Se effettivamente la firma risulterà apocrifa, la notifica sarà annullata e con essa la cartella; se invece la firma era genuina (magari fatta da un familiare autorizzato), la causa tributaria riprenderà e il ricorso, a quel punto, verrà probabilmente respinto per tardività (perché la notifica era valida).

2. Stato o capacità delle persone: Questo si riferisce a questioni come la cittadinanza, l’esistenza in vita, la composizione del nucleo familiare, la capacità di agire, la potestà, etc. Ad esempio, potrebbe essere rilevante in ambito tributario stabilire se Tizio è figlio legittimo di Caio (si pensi a una controversia su imposta di successione, dove è in dubbio lo status di erede), oppure se un soggetto ha la capacità di stare in giudizio (ma quest’ultima di solito è gestita nello stesso processo). L’art. 39 prevedeva la sospensione per questioni di stato o capacità “diversa dalla capacità di stare in giudizio” – quest’ultima infatti il giudice la valuta e basta (es: se manca rappresentanza legale si integra, non si sospende). Ma se, poniamo, in un ricorso per imposte di successione, il ricorrente sostiene di essere l’unico erede mentre c’è un giudizio civile pendente in cui un altro soggetto contesta la validità del testamento dichiarando di essere lui l’erede, il giudice tributario può sospendere finché la causa civile di divisione ereditaria o di stato di figlio naturale venga definita, perché ovviamente l’esito (chi è erede) incide su chi deve pagare le relative imposte. Altro esempio: in una lita su esenzione IMU per abitazione principale, spesso rileva la residenza anagrafica o lo stato di famiglia; se questi sono contestati in sede amministrativa o civile (ad esempio c’è un ricorso al giudice amministrativo su un atto anagrafico), potrebbe profilarsi una questione pregiudiziale amministrativa. Tuttavia, la norma parla di stato e capacità delle persone, quindi principalmente riferito a situazioni personali (matrimonio, filiazione, interdizione/inabilitazione). Tali questioni tipicamente si decidono davanti al tribunale civile o alla Corte d’Appello a seconda della materia, e il loro esito ha valore generale.

3. Altre possibili pregiudizialità esterne: Fuori dai due casi tassativi di cui sopra, il processo tributario non prevede altre sospensioni obbligatorie per pregiudizialità esterna. Ciò significa che, ad esempio, se è pendente un ricorso al TAR (giudice amministrativo) contro un provvedimento presupposto (diverso dall’atto fiscale impugnato), il giudice tributario non è tenuto a sospendere in attesa del TAR. Un caso classico era: ricorso tributario contro un avviso di accertamento basato su un classamento catastale, mentre il contribuente ha separatamente impugnato la rendita catastale avanti la Commissione provinciale (oggi CGT) competente per la rendita (o in passato al TAR, se era un atto amministrativo). Oppure: accertamento fiscale fondato su un provvedimento amministrativo (es. decadenza da un beneficio, o in ambito doganale un atto amministrativo di classificazione di merce, o in ambito di imposte di registro la riqualificazione di un atto soggetto a registrazione decisa in altra sede). In tali situazioni, se non c’è una norma espressa, il giudice tributario può procedere a decidere incidenter tantum sulla validità dell’atto amministrativo, oppure, se lo ritiene opportuno, usare lo strumento del rinvio pregiudiziale facoltativo ex art. 295 c.p.c., ossia la sospensione necessaria per pregiudizialità. Infatti, anche se l’art. 39 (vecchio testo) copriva solo falso e status, restava applicabile in via generale l’art. 295 c.p.c. per i casi di pregiudizialità esterna non codificati, in virtù del richiamo di cui all’art. 1 co.2 D.Lgs. 546/92. Tuttavia, su questo punto la giurisprudenza era oscillante: si discuteva se l’elenco di art. 39 fosse tassativo (e quindi esclude implicitamente altre sospensioni) oppure no. La Cassazione ha chiarito che l’art. 39 attiene ai rapporti esterni tra processo tributario e processi non tributari, lasciando per i rapporti interni (tra processi tributari) l’uso del 295 c.p.c. e per alcuni rapporti esterni non contemplati (ad esempio con processi amministrativi) si può comunque applicare il 295 se ricorrono i presupposti. Ma un orientamento più rigido nega la sospensione se non espressamente prevista, per favorire la speditezza del processo tributario. Per risolvere dubbi: il legislatore nel 2015 con la riforma (D.Lgs. 156/2015) ha introdotto un comma 1-bis all’art. 39 che disciplina proprio la sospensione per pregiudizialità interna (tra processi tributari, di cui parleremo a breve). Non ha invece toccato espressamente altre ipotesi di pregiudizialità esterna. La prassi odierna pare essere: sospensione obbligata solo in casi tassativi (falso, status), sospensione facoltativa (art. 295 c.p.c.) in altri casi solo se strettamente necessario. Ad esempio, la Cassazione ha detto che il giudice tributario non è tenuto a sospendere il giudizio se pende un giudizio davanti al Consiglio di Stato su una questione pregiudiziale (nel caso specifico era la legittimità di una delibera comunale, ma il principio è generale). Può semmai sospendere facoltativamente, ma con prudenza.

Decidere “incidenter tantum” questioni di altra giurisdizione: Va ricordato che esiste un principio generale secondo cui il giudice munito di giurisdizione sulla domanda principale può risolvere incidenter tantum le questioni pregiudiziali appartenenti ad altra giurisdizione, senza efficacia di giudicato esterna. Questo principio è stato affermato anche per il giudice tributario: egli può quindi valutare incidentalmente la validità o l’efficacia di un atto amministrativo, o l’esistenza di un rapporto civilistico, se ciò è rilevante per decidere il caso fiscale. Ad esempio, se per decidere sull’applicazione di un’imposta di registro devo valutare se un contratto è nullo o simulato, il giudice tributario può farlo incidentalmente (ai fini fiscali) senza aspettare che la questione sia definita in sede civile, a meno che una delle parti abbia già attivato un giudizio civile in proposito e chieda la sospensione in base all’art. 295 c.p.c. Allora il giudice valuterà se vi è reale pregiudizialità e sospenderà solo se dall’esito di quella causa civile dipende necessariamente il fiscale. Ma spesso la Cassazione ha detto che, ad esempio, la validità di un contratto può ben essere scrutinata dal giudice tributario incidentalmente (non creando effetti per i privati al di fuori del caso in esame). Questo evita paralisi. Lo stesso dicasi per la legittimità di un atto amministrativo presupposto: se, poniamo, un contribuente per non pagare una tassa sostiene che la delibera comunale che l’ha istituita è illegittima e l’ha impugnata al TAR, il giudice tributario potrebbe anche, in teoria, disapplicare l’atto amministrativo se lo reputa invalido per palese violazione di legge (cosa che il giudice ordinario può fare per atti amministrativi generali, benché nel caso di tributi locali il confine con la giurisdizione amministrativa sia delicato). In passato, le Commissioni Tributarie avevano disapplicato regolamenti o delibere comunali contrastanti con legge statale (esempio: aliquote IMU fissate oltre i limiti di legge). In altri casi, però, se la questione richiede una pronuncia costitutiva (annullamento dell’atto amministrativo), il giudice tributario non può farlo, e l’unica via è attendere il giudice amministrativo. Qui la giurisprudenza ha oscillato: talora si è permesso al giudice tributario di sindacare atti amministrativi presupposti in via incidentale senza annullarli (ad esempio, verificare se una concessione edilizia era valida ai fini di un’agevolazione fiscale, senza ovviamente annullarla, ma ai fini tributari disconoscendone gli effetti se palesemente illegittima); in altri contesti, quando l’atto amministrativo è l’oggetto stesso della contestazione (es. classamento catastale), la legge stessa oggi attribuisce la cognizione al giudice tributario (dal 2011 le controversie sulle rendite catastali, che prima erano del TAR, sono transitate alle Commissioni Tributarie).

Conclusione su questo punto: Nel processo tributario possono emergere questioni pregiudiziali relative a diritti soggettivi o status che esulano dalla giurisdizione tributaria: la legge ne contempla alcune (falso, status persona) prevedendo la sospensione necessaria; per altre, spetta al prudente apprezzamento del giudice valutare se sospendere (ex art. 295 c.p.c.) o decidere incidentalmente. Il difensore dovrà quindi saper individuare tali questioni e decidere se è utile portarle all’attenzione del giudice tributario. Ad esempio, se la controversia fiscale dipende chiaramente da un rapporto privatistico in lite altrove (mettiamo: imposta di registro su un atto la cui validità contrattuale è sub iudice in causa civile tra le parti), potrebbe essere saggio chiedere la sospensione del giudizio tributario ex art. 295 c.p.c. per evitare decisioni contrastanti e perché la definizione civile fornirà la base certa. In assenza di ciò, il giudice tributario potrebbe interpretare a suo modo, costringendo poi eventualmente a ricorrere in appello o in Cassazione se la soluzione incidentalmente data diverge dal futuro giudicato civile. D’altro canto, se il giudice tributario ha abbastanza elementi per decidere e la questione esterna appare pretestuosa o di lunga durata, egli potrebbe rigettare la richiesta di sospensione e proseguire, risolvendo incidentalmente. In linea generale, la tendenza attuale è di limitare le sospensioni e privilegiare la definizione rapida del contenzioso tributario, salvi i casi tassativi. Ciò nell’ottica di garantire certezza delle entrate e ragionevole durata del processo. Naturalmente, ove questo approccio rischi di ledere diritti fondamentali (come nel caso del documento falso), la sospensione è doverosa.

Pregiudizialità interna tra procedimenti tributari (connessione tra cause tributarie)

Un’ultima tipologia di questione pregiudiziale da considerare è quella interna al contenzioso tributario, ovvero la situazione in cui due o più cause tributarie presentano tra loro un rapporto tale per cui la definizione di una risulta pregiudiziale (in senso logico o giuridico) per l’altra.

Questo scenario può verificarsi, ad esempio:

  • quando un contribuente ha più ricorsi pendenti relativi a diverse annualità d’imposta ma basati sul medesimo presupposto (ad es. contestazione sul diritto a una detrazione o su una qualifica soggettiva valida per più anni);
  • oppure quando vi sono cause distinte ma connesse, come ad esempio il ricorso del sostituto d’imposta e quello del sostituito sulla medesima ritenuta, oppure ricorsi di coobbligati solidali per la stessa imposta;
  • o ancora, quando un esito di un ricorso (magari deciso in appello) potrebbe influire su un altro ricorso ancora pendente in primo grado (pensiamo a due livelli di giudizio su materie simili).

In generale, il codice di rito civile (art. 295 c.p.c.) prevede la sospensione necessaria di un processo quando la decisione dipende dall’esito di un’altra causa già pendente. Nel processo tributario, fino al 2015, non vi era una norma specifica per questo caso, e dunque si applicava l’art. 295 c.p.c. per effetto del rinvio generale. Nel 2015 è stato inserito (dal D.Lgs. 156/2015) nell’art. 39 un comma 1-bis che disciplina proprio la pregiudizialità interna. Esso stabilisce, semplificando, che il processo può essere sospeso se la decisione dipende da un’altra controversia tributaria in corso. Non potendo citare testualmente per intero, diciamo che la ratio è di evitare contrasti tra giudicati in materia tributaria connessa.

Esempio tipico: un ricorso concerne la qualifica di residente fiscale di un soggetto per l’anno X, e un altro ricorso concerne l’anno Y, ma la questione di residenza è la medesima e la causa dell’anno X è più avanti (magari in appello). In tal caso, il giudice dell’anno Y potrebbe sospendere in attesa che la causa su X (pregiudicante) definisca lo status di residenza con efficacia di giudicato, in modo da applicarlo poi all’anno Y. Similmente, controversie su imposte diverse ma correlate (es. una impugnazione dell’avviso di accertamento IRPEF e, collegata, l’impugnazione della cartella di IRAP, dove l’esito del primo potrebbe condizionare il secondo se ad esempio la debenza di IRAP dipende dall’essere o meno imprenditore, questione accertata nel primo giudizio).

La Cassazione ha affermato che, in presenza di due giudizi tributari paralleli con rapporto di dipendenza, deve disporsi la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., se il processo pregiudicante è ancora pendente almeno in primo grado. Ma attenzione: come già visto parlando del penale, le SU nel 2012 (sent. 10027/2012) hanno specificato che la sospensione ex 295 è giustificata finché entrambi i giudizi sono pendenti in primo grado; quando il processo pregiudicante ha già una sentenza di primo grado, non serve attendere il passaggio in giudicato: la parte interessata può semmai invocare l’art. 337 c.2 c.p.c. (sospensione facoltativa in appello) se vuole aspettare l’esito finale. In ambito tributario, ciò significa che se il giudizio pregiudicante è arrivato a sentenza di primo grado, il giudice del secondo giudizio potrebbe ritenere che non vi sia più necessità di sospensione necessaria, potendo lui stesso decidere tenendo conto (solo persuasivo, non vincolante) di quella sentenza. Tuttavia, per evitare decisioni contrastanti, è ragionevole che se la sentenza di primo grado sul caso pregiudicante è stata appellata, il giudice del caso pregiudicato attenda almeno l’esito dell’appello.

La riforma 2022 non ha modificato sostanzialmente la disciplina, mantenendo il concetto di sospensione in caso di pregiudizialità interna.

Pregiudizialità interna vs esterna: Notiamo che la pregiudizialità interna riguarda due cause tributarie (stessa giurisdizione), e qui sicuramente art. 295 c.p.c. (o 39 comma 1-bis) è applicabile. La pregiudizialità esterna (verso altre giurisdizioni) è stata già discussa e ha regole diverse.

Effetti sul processo: Durante la sospensione per pregiudizialità interna, il processo è congelato fino al venir meno della causa di sospensione (tipicamente, fino alla definizione almeno con sentenza passata in giudicato del processo pregiudicante). La sospensione va disposta con ordinanza non impugnabile, contro la quale non c’è rimedio immediato (ma uno può chiedere al giudice di fissare udienza dopo che ritiene cessata la causa di sospensione).

Esempio concreto recente: Cassazione ord. n. 7952 del 25/03/2024 (Sez. Trib.) – se ne trova menzione online – ha ribadito che nel processo tributario, qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, va disposta la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa pregiudicata. Dunque, se il giudice tributario di merito si rifiutasse di sospendere in una situazione del genere, potrebbe incorrere in censura in Cassazione per violazione di art. 295 c.p.c. (errata pronuncia su questione pregiudiziale interna).

Coordinamento con riunione delle cause: A volte, invece di sospendere, si potrebbe pensare di riunire i processi se pendono davanti allo stesso giudice (ad esempio, due ricorsi dello stesso contribuente per anni diversi pendenti innanzi alla medesima Commissione). La riunione, se possibile, è spesso preferibile perché consente una decisione contestuale ed evita problemi. Tuttavia, se i processi sono in fasi diverse o davanti a giudici diversi, la riunione non è attuabile. In tal caso, la sospensione rimane l’unico mezzo per evitare giudicati contraddittori.

Dal punto di vista del contribuente: la pregiudizialità interna può giocare a suo favore o sfavore. Poniamo che il contribuente abbia vinto in primo grado una causa su un certo principio e abbia un’altra causa identica pendente in primo grado: potrebbe voler sospendere la seconda in attesa di conferma in appello della prima, così da consolidare un precedente a sé favorevole. Viceversa, se ha perso la prima causa, potrebbe voler tenere ferma la seconda sperando in un ribaltamento in appello o Cassazione della prima. È un po’ un gioco strategico. Da notare: se una causa è definita con sentenza passata in giudicato, non si parla più di pregiudizialità ma di giudicato esterno. Il giudicato esterno (formatosi ad esempio su un’altra annualità) ha efficacia vincolante nei rapporti tra le stesse parti per le stesse questioni di fatto e di diritto, salvo mutamento di normativa. La Cassazione ha altalenato sul valore del giudicato esterno nel tributario, ma di recente tende a riconoscerne l’efficacia preclusiva (principio di coerenza dei giudicati). Quindi se c’è già un giudicato su un’annualità, il giudice dell’altra annualità deve adeguarsi (se il fatto imponibile e la norma sono le stesse) per evitare violazione del ne bis in idem sostanziale. Questa è però questione di cosa fare col giudicato, non di sospensione.

Tabelle riassuntive delle questioni pregiudiziali: Per ricapitolare in modo sistematico tutte le tipologie di questioni pregiudiziali esaminate, si propone la seguente tabella riepilogativa:

Come si evince dalla tabella, ogni questione pregiudiziale ha caratteristiche proprie in termini di organi coinvolti, base normativa ed effetti sul processo. Un avvocato tributarista deve saper individuare queste situazioni e agire di conseguenza: ad esempio, sollevare una questione di costituzionalità quando opportuno, oppure richiedere un rinvio pregiudiziale alla CGUE se necessario, o ancora eccepire il difetto di giurisdizione per proteggere il cliente da un giudice non competente.

Nei capitoli successivi focalizzeremo l’attenzione su come queste questioni pregiudiziali si manifestano concretamente in relazione alle principali imposte (IVA, imposte dirette, tributi locali), considerando che alcune materie fiscali sono più soggette a certe questioni che ad altre.

Questioni pregiudiziali nelle principali imposte: IVA, imposte sui redditi, tributi locali

In questo capitolo ci proponiamo di analizzare, con un taglio più operativo, come le questioni pregiudiziali descritte finora emergono e vengono affrontate nelle controversie riguardanti le principali tipologie di imposte. Ogni area tributaria, infatti, ha delle peculiarità in termini di possibili questioni preliminari:

  • Le controversie in materia di IVA sono spesso connesse con il diritto dell’Unione Europea e possono dar luogo a numerosi rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia, oltre a problematiche di coordinamento col penale (in caso di frodi IVA) o con altre giurisdizioni (si pensi all’IVA nelle procedure concorsuali, che interseca il diritto fallimentare).
  • Le liti relative alle imposte sui redditi (IRPEF per le persone fisiche, IRES per le società) sollevano perlopiù questioni di legittimità costituzionale (ad esempio su trattamenti differenziati di categorie di contribuenti, su retroattività delle norme fiscali, ecc.) e questioni interpretative interne (spesso risolte dalla Cassazione con principi di diritto). Meno frequenti sono i rinvii pregiudiziali UE, perché la fiscalità diretta è meno armonizzata (salvo aspetti come aiuti di Stato, trattati contro doppie imposizioni, non discriminazione nell’UE, etc.).
  • I tributi locali (come IMU, TARI, Tosap/Canone Unico, ecc.) presentano spesso questioni pregiudiziali di legittimità costituzionale (date da possibili iniquità o errori legislativi) e questioni di delimitazione di giurisdizione (ad esempio, alcune liti su tariffe erano un tempo divise tra giudice amm. e trib.). Inoltre, essendo i tributi locali deliberati in parte da enti locali, emergono possibili questioni di legittimità degli atti amministrativi presupposti (delibere comunali, regolamenti) da risolvere incidentalmente o tramite eventuali ricorsi paralleli al TAR.

Vediamo dunque, per ciascuna di queste macro-aree, i principali profili di questioni pregiudiziali evidenziati dalla prassi e dalla giurisprudenza recente.

IVA: questioni pregiudiziali di matrice comunitaria e oltre

L’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) è forse l’imposta che più di tutte vive in simbiosi con il diritto sovranazionale. Essendo regolata da una direttiva UE comune, le questioni interpretative di IVA spesso trascendono i confini nazionali. Ciò ha portato a un consistente numero di rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia su questioni IVA, come già discusso in parte nella sezione comunitaria.

Tipologie di questioni pregiudiziali in ambito IVA:

  • Interpretazione di norme IVA comunitarie: quasi ogni aspetto dell’IVA italiana deve essere conforme alla direttiva 2006/112/CE. Quando vi è dubbio su come interpretare una disposizione (es. cosa costituisce cessione di beni vs cessione d’azienda, qual è l’ambito di un’esenzione, come si applicano i pro-rata, ecc.), i giudici italiani possono e devono rivolgersi alla CGUE. Un caso recente è quello menzionato del 2025 (causa C-640/23 Greentech) sul tema del recupero dell’IVA fatturata per errore. In passato, altri esempi includono: il caso Mateusiak (C-229/15) sull’IVA indebita, il caso Tempelman (C-144/14) sul rimborso IVA e decadenze, varie cause su detrazione e frodi (es. Kittel, Fini H, Mahagében), etc. Il contribuente che intravede un contrasto tra prassi italiana e principi UE in materia IVA ha uno strumento potente: sollecitare il giudice a un rinvio pregiudiziale. Ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate nega la detrazione IVA a un soggetto ritenendo che abbia acquistato da un fornitore inesistente, ma il contribuente può dimostrare la sua buona fede, può richiamarsi ai principi derivanti dal caso Kittel (C-439/04) e successive pronunce, e se il quadro non è chiaro, chiedere un aggiornamento dalla CGUE.
  • Validità di normative UE o di decisioni UE in materia IVA: raramente, il giudice potrebbe dubitare della validità di una norma UE rilevante (es. se un regolamento UE violasse principi superiori). In tal caso deve rinviare la questione di validità alla CGUE, perché solo quest’ultima può dichiarare invalido un atto UE. In materia IVA, ad esempio, dubbi di validità potrebbero riguardare regolamenti di esecuzione o decisioni della Commissione su esenzioni/deroghe concesse agli Stati. Finora non vi sono stati casi eclatanti di giudici tributari italiani che abbiano contestato la validità di norme IVA UE (solitamente le questioni sono di interpretazione, non di validità, perché il sistema IVA UE è consolidato e semmai è la legge nazionale a deviare).
  • Pregiudizialità penale-fiscale in IVA: la frode IVA è spesso un reato (dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture false, ecc.). Abbiamo già visto che il processo penale e tributario corrono separati. Tuttavia, l’interazione è comunque forte: se c’è un procedimento penale per frode IVA, l’Agenzia quasi certamente procede con accertamento e sanzioni amministrative parallele. Il contribuente/imputato si difenderà in entrambi. In passato, a livello europeo, è sorta una questione di bis in idem: subire una pesante sanzione amministrativa (200% dell’imposta) e poi anche una condanna penale per gli stessi fatti poteva sembrare una doppia punizione. La Corte EDU (caso Grande Stevens 2014) e la CGUE (caso Menci C-524/15 del 2018) hanno delineato i limiti: oggi l’ordinamento cerca di coordinare le sanzioni per evitare duplicazioni eccessive. Questa è più materia penal-tributaria, ma ha riflessi pratici. Ad esempio, questione pregiudiziale alla CGUE sul ne bis in idem: la Corte di Cassazione italiana nel 2017 rinviò in casi come Menci e analoghi, chiedendo se la doppia via sanzionatoria fosse compatibile con la Carta UE. La risposta della CGUE fu che può esserlo, se c’è proporzionalità e coordinamento, con cautele (principio poi recepito dalla Corte Cost. italiana con sent. 222/2019). Questo scenario ha coinvolto il re di questioni pregiudiziali “ibride” (penale-fiscali) a livello europeo.
  • Questione di giurisdizione in IVA vs altre materie: spesso l’IVA va di pari passo con il tributo, ma a volte si pone il tema se un’entrata sia IVA o altro. Ad esempio, i contributi consortili di bonifica: per anni si discusse se dovessero scontare IVA. La giurisprudenza disse di no (non sono corrispettivi di servizi commerciali, ma oneri imposti). Oppure il confine tra IVA e imposta di registro su atti: la famosa querelle se le cessioni d’azienda debbano pagare registro proporzionale o se includano anche beni soggetti a IVA (vd. art. 19 Direttiva IVA – trasferimento di universalità). Questo fu oggetto di un rinvio pregiudiziale italiano, ma la CGUE rispose con un’ordinanza di irricevibilità (caso C-79/10 Cancello 2011) perché la domanda fu mal posta e il contesto normativo cambiato. In quell’ambito, comunque, c’è talvolta pregiudizialità tra processi: es. atto viene riqualificato dal fisco come cessione d’azienda (niente IVA ma registro), contribuente impugna sia l’avviso IVA annullando il credito d’imposta, sia l’avviso di registro. Due cause tributarie parallele: una su IVA, una su registro – potenziale pregiudizialità interna perché se c’è IVA non c’è registro e viceversa. In situazioni così, i giudici di solito riuniscono (se pendono nello stesso grado) o uno dei due attende l’altro, perché la doppia imposizione è esclusa e bisogna coordinare.
  • Giudicato esterno in IVA: Iva essendo periodica, se un contribuente definisce con sentenza passata in giudicato la sua posizione su un certo schema operativo (es. la natura di una operazione ai fini IVA in un anno), quel giudicato per anni successivi può essere richiamato. Cassazione tende a rispettare il giudicato esterno in materia tributaria salvo diversità di presupposti. Quindi in un certo senso, se anno X è definito e anno Y uguale è pendente, l’esistenza di giudicato su X è pregiudiziale rispetto a Y (non in senso di sospensione, perché il giudizio Y non si sospende ma si chiude magari con pronuncia aderente a giudicato X).

In sintesi per l’IVA: la dimensione comunitaria è preponderante. Un avvocato che tratta casi IVA deve sempre considerare la possibilità del rinvio pregiudiziale UE come uno strumento per far valere principi sovraordinati (ad es. principio di neutralità IVA – il fisco non deve incassare più imposta di quanta graverebbe in fine sui consumi – e principio di proporzionalità). Le questioni di costituzionalità sono rare (essendo la struttura IVA imposta da UE, eventuali ingiustizie sono più che altro questioni di diritto UE). Può capitare qualcosa sul piano costituzionale solo se la legge nazionale IVA differisce da quella comunitaria creando disparità (ma allora è più violazione del diritto UE in primis).

Un esempio isolato: la Corte Costituzionale italiana ha affrontato questioni su disposizioni penali-tributarie IVA (in passato, questioni sulla confisca per equivalente in reati IVA, etc.), ma in ambito strettamente “imposta” non molto. Semmai, questioni di legalità contributiva costituzionale sorgono in IVA in contesti peculiari, tipo normative transitorie. P.es. nel 2023 c’è stata la questione sull’IVA sui compensi ai commissari liquidatori, che è un dettaglio – fu sollevata questione di costituzionalità su una norma che ne negava la rivalsa, ma non ricordo esito.

Imposte sui redditi (IRPEF, IRES) e IRAP: questioni pregiudiziali di legittimità e interpretative interne

Le imposte sui redditi (IRPEF per le persone fisiche e IRES per le società) rappresentano un campo vastissimo di potenziali contenziosi. Qui le questioni pregiudiziali assumono sfumature diverse rispetto all’IVA, in quanto la normativa è prettamente nazionale (salvo interferenze con trattati internazionali o norme UE sugli aiuti di Stato) e pertanto le pregiudiziali comunitarie sono meno frequenti. In compenso, emergono spesso temi di legittimità costituzionale e di interpretazione univoca da parte della Corte di Cassazione.

Principali questioni pregiudiziali in ambito imposte dirette:

  • Legittimità costituzionale di norme IRPEF/IRES: come evidenziato nella sezione sulla Consulta, varie disposizioni di queste imposte sono finite sotto scrutinio. Esempi: la progressività IRPEF (storicamente sempre ritenuta legittima in linea di principio dallal Consulta), il trattamento diversificato di categorie di reddito (capita di vedere eccezioni su differenze di regime tra lavoro dipendente e autonomo, etc.), l’irretroattività delle norme tributarie (talora sono state emanate norme interpretative retroattive o sanatorie, contestate ex art. 3 e 53 Cost.), la tassazione di plusvalenze “figurative” (si pensi alla vicenda del bollo auto storiche, poi risolta dal legislatore, o potenziali questioni su redditi “non percepiti” ma tassati per competenza), la doppia tassazione economica (es. caso dei dividendi tassati due volte prima di riforme: fu portato davanti alla Consulta ma risolto altrove). Un caso recente notevole è stato citato: l’indeducibilità parziale dell’IMU dal reddito d’impresa, deciso con sentenza 21/2024 che ha respinto i dubbi di incostituzionalità confermando la scelta legislativa graduale. Altro esempio: Robin Hood Tax (addizionale IRES sett. energetico introdotta nel 2008): la Corte Costituzionale con sentenza 10/2015 la dichiarò incostituzionale, ma con decorrenza solo da dopo la sentenza, lasciando salvi i versamenti pregressi (caso particolare in cui la Consulta modulò gli effetti, per ragioni di finanza pubblica). Ciò creò discussioni anche sull’ammissibilità di cause di rimborso per i periodi passati (in linea di massima no, perché la pronuncia fu ex nunc). Questo evidenzia come in ambito IRES possano emergere questioni di eguaglianza e capacità contributiva (la Robin Hood Tax fu colpita per l’irrazionalità di colpire anche piccole imprese e di riversare costi sui consumatori, violando art. 3 e 53).
  • Aiuti di Stato e diritto UE: sebbene la fiscalità diretta non sia armonizzata, esiste il vincolo di non concedere aiuti di Stato fiscali contrari al TFUE. Questo può dare luogo a questioni pregiudiziali con la Commissione Europea e la Corte di Giustizia. Ad esempio, se una legge fiscale italiana prevede un’esenzione selettiva per talune imprese, può essere ritenuta aiuto di Stato illegittimo: qui però il meccanismo non è il rinvio pregiudiziale, ma l’intervento della Commissione con decisione, poi eventualmente impugnata al Tribunale UE. Nei processi tributari nazionali, però, la tematica può emergere come difesa dell’Agenzia: ad es., in passato, la detassazione IRAP degli incrementi occupazionali fu considerata aiuto di Stato non autorizzato, e l’Agenzia rigettava le richieste di rimborso come indebite. Un contribuente potrebbe in teoria eccepire l’invalidità di una decisione Commissione o chiedere interpretazione di concetti di aiuto: in rarissimi casi un giudice nazionale potrebbe rinviare alla CGUE per interpretare la nozione di aiuto. Tuttavia, la prassi solitamente vede i giudici nazionali applicare la decisione Commissione e semmai i ricorsi contro quella vanno in sede UE. Quindi meno frequente.
  • Trattati internazionali contro doppie imposizioni: qui c’è una dimensione internazionale, ma non UE. I trattati bilaterali (ad es. Italia-Svizzera, Italia-USA) sono legge interna, e l’interpretazione dei trattati di solito spetta al giudice nazionale coordinarsi con prassi internazionali. Non c’è un meccanismo pregiudiziale sovranazionale per interpretare i trattati (non c’è un tribunale internazionale a ciò deputato, salvo arbitrati in casi specifici). Quindi, eventuali questioni di interpretazione di trattati vengono risolte dai giudici italiani anche rifacendosi ai commentari OCSE, ecc. Non c’è il rinvio pregiudiziale, ma c’è il rischio di difformità tra paesi. Per mitigare, esistono procedure amichevoli e l’arbitrato fiscale UE per casi tra Stati UE (direttiva 2017/1852). Ma questo esula dal tema processuale classico.
  • Questioni nomofilattiche interne: Le imposte sui redditi generano innumerevoli questioni interpretative (dall’abuso del diritto in operazioni societarie fino al calcolo di ammortamenti, transfer pricing, ecc.). Spesso si tratta di questioni di diritto nuove, su cui magari non c’è giurisprudenza consolidata. In questi casi, entra in gioco potenzialmente il rinvio pregiudiziale in Cassazione (363-bis) oppure semplicemente la normale via del ricorso per Cassazione. Un esempio recente su IRPEF: la tassazione separata di indennità percepite in ritardo, o l’imponibilità di borse di studio – dubbi interpretativi che la Cassazione ha risolto con pronunce a Sezioni Unite (es. SS.UU. 8053/2014 sull’imposta sulle indennità di esproprio). O ancora, questione se certe provvidenze siano esenti o no (a volte rinvii alle sez. unite per conflitti tra sezioni). Queste sono questioni pregiudiziali in senso lato: prima di decidere in via definitiva, la Cassazione uniforma. Con l’art. 363-bis c.p.c., qualora emergesse una questione sistemica, un giudice di merito potrebbe attivarlo: ad esempio, immaginiamo l’introduzione di una nuova imposta patrimoniale o di un regime forfettario molto innovativo – se genera interpretazioni discordanti, il rinvio pregiudiziale in Cassazione può dare rapidamente linea guida.
  • Rapporti con procedure concorsuali (giurisdizione): sebbene imposte sui redditi e concorsuale vadano in parallelo (giudice tributario vs fallimentare), di solito non c’è pregiudiziale – i crediti tributari vengono accertati dal giudice tributario e poi insinuati nel passivo. A volte i fallimenti contestano l’esistenza del debito tributario dentro la procedura, ma i giudici fallimentari devono rinviare al giudicato tributario. Diciamo, qui la questione pregiudiziale è invertita: è il giudice fallimentare che attende l’esito del tributario (questo sì accade: l’accertamento del credito tributario è riservato al giudice tributario, quindi il giudice fallimentare sospende l’esame fino a definizione del processo tributario – art. 96 L.Fall. e Cass. SU 9441/2011). Ma dal lato del processo tributario, niente di speciale se non possibili coordinamenti sui termini (ad es., se un contribuente fallisce, il curatore può riassumere i giudizi ecc.).

In sintesi per IRPEF/IRES (e IRAP): le questioni pregiudiziali riguardano prevalentemente:

  • Costituzionalità (vedi deducibilità costi, trattamenti differenziati, retroattività, etc.).
  • Nomofilachia interna (questioni di diritto da chiarire a SU o con art. 363-bis).
  • Giurisdizione in casi limite (ma in imposte reddituali è raro confondersi di giurisdizione perché è tributario quasi sempre; un caso è quando si discute di sanzioni amministrative collegate? Di solito anch’esse tributarie).
  • Interazione con penale (es. dichiarazione infedele IRPEF è reato se l’imposta evasa > soglie; ma vale lo stesso discorso di autonomia visto per IVA).
  • Pregiudizialità interna tra anni: frequente, come detto, in liti seriali su più annualità. Ad esempio, contestazione della residenza fiscale estera di una persona per 5 anni consecutivi: se un anno arriva in Cassazione e definisce che effettivamente era residente all’estero (o viceversa in Italia), ciò chiude di fatto anche le altre annualità (tramite giudicato esterno o comunque indirizzo vincolante).

Tributi locali (IMU, TARI, ecc.): questioni pregiudiziali di costituzionalità e atti amministrativi

I tributi locali presentano caratteristiche peculiari: le norme base sono nazionali, ma ampia parte della concreta disciplina (aliquote, esenzioni locali, classificazioni) deriva da atti delle amministrazioni locali (delibere di consigli comunali/provinciali, regolamenti comunali). Inoltre, i tributi locali toccano direttamente diritti su beni primari (la casa, i rifiuti, i servizi pubblici locali), generando spesso contenziosi politicamente e socialmente sensibili.

Pregiudiziali tipiche nei tributi locali:

  • Legittimità costituzionale di norme statali sui tributi locali: numerosi esempi recenti sono stati già riportati: l’IMU è stata oggetto di varie censure costituzionali (esenzione mancata per immobili occupati, deducibilità IMU da IRAP, differenze di trattamento per categorie catastali, ecc.). La TARI (tassa rifiuti) ha avuto questioni di costituzionalità (ad esempio, in passato, sulla parte variabile per numero di occupanti, su eventuali duplicazioni TARES, ecc., sebbene molte respinte). Anche il canone per l’occupazione del suolo pubblico (COSAP) fu oggetto di questione costituzionale sulla esenzione per passi carrai di enti pubblici (Consulta 46/2015). L’IRAP (che pur non è locale ma regionale) fu bersaglio di questioni di incostituzionalità sin dalla sua introduzione: la Corte nel 2005 (sent. 156/2001 e 18/2000) la dichiarò legittima salvo poi spingere il legislatore a esentare le piccolissime imprese senza autonoma organizzazione (questo fu fatto con legge, non da pronuncia diretta). Ad oggi, comunque IRAP è destinata ad essere abolita per le persone fisiche, ma quell’evoluzione è politica.
  • Legittimità di regolamenti e delibere comunali (questioni amministrative incidentali): un gran numero di contenziosi su IMU, TASI, TARSU/TARI scaturiva da delibere comunali sbagliate (aliquote oltre il consentito, delibere non pubblicate nei termini, regolamenti con previsioni illegittime). Il giudice tributario, come accennato, può disapplicare la delibera se contraria a legge, o se pende ricorso al TAR il contribuente potrebbe chiederne la sospensione in attesa del TAR. C’è un singolare incrocio di giurisdizioni: formalmente le delibere tributarie comunali non sono atti impugnabili davanti al giudice tributario (si impugna la cartella o l’atto impositivo, non la delibera in sé), quindi se uno vuole contestare erga omnes la delibera deve andare al TAR entro 60 gg. Ma può anche far valere l’illegittimità della delibera come motivo nel ricorso tributario contro il proprio avviso di accertamento. In quest’ultimo caso, la Commissione tributaria può valutare incidentalmente la delibera: se la ritiene illegittima (es. aliquota deliberata fuori tempo massimo), disapplica l’atto generale per quel caso e annulla o riduce l’imposta. Non ha bisogno di aspettare la sentenza del TAR (che magari è stata chiamata a giudicare da qualche associazione di consumatori). Questo è prassi, è ammesso in virtù del potere diffuso di non applicare atti amministrativi contrastanti con la legge (principio di disapplicazione di atti amministrativi illegittimi di natura generale, risalente al R.D. 1924 n. 1054 art. 5, ora a regime nel rapporto tra giudice ordinario e atto amministrativo generale). Quindi, a rigore, qui non si sospende per pregiudiziale, ma si decide incidentalmente. Potrebbe però capitare che la delibera sia impugnata al TAR e il giudice tributario preferisca attendere l’esito per uniformarsi (ciò può succedere se il TAR ha già sospeso cautelarmente la delibera per esempio – in tal caso, il giudice tributario prudentemente sospende i giudizi correlati, oppure decide subito annullando gli atti fiscali in base al fatto che la delibera non è efficace, dipende). Diciamo che la questione pregiudiziale “atto amministrativo” appare spesso ma è gestita con flessibilità.
  • Giurisdizione su certe entrate locali: c’erano dispute su quali controversie fossero tributarie e quali no. Ad esempio, le controversie su tariffe per servizi pubblici (acqua, asili, mense) vanno al giudice ordinario (rapporto contrattuale), mentre su TARI (tassa rifiuti) vanno al tributario, però c’era la vicenda TEFA (tributo provinciale ambientale) su cui c’erano dubbi. Oppure sanzioni amministrative comunali come multe stradali: capitava che la cartella esattoriale cumulasse tutto e qualcuno ricorresse in commissione anche per la multa – lì difetto di giurisdizione. Anche contributi di costruzione (oneri urbanizzazione) vanno al giudice amministrativo se l’impugnazione è sull’an debenatur, al civile per la fase coattiva se già determinati, ma non al tributario. Quindi in tributi locali, come in altri ambiti, le questioni di giurisdizione potevano sorgere:
    • es. COSAP: era dibattuto se tributo (TOSAP) vs canone patrimoniale; alla fine Cass. SU 2017 n. 20930 ha detto che il COSAP (canone suolo pubblico) ha natura non tributaria ma patrimoniale, quindi giudice ordinario, mentre la TOSAP (tassa occupazione suolo pubblico, regime alternativo) era tributaria, giudice tributario. Se un Comune sbagliava a denominare o applicare l’uno per l’altro, confusione e liti. Quindi anche qui SU Cass. intervenute per definire confini.
    • Tariffe rifiuti: la TIA (tariffa integrata ambiente, 1999) fu ritenuta non tributaria (almeno TIA1) da Cass. SU 2009 – giudice ord.; TIA2 (2006) fu considerata tributaria da Consulta 238/2009 – giudice trib.; TARI oggi è tributo – giudice trib. In anni di transizione, cause su TIA generavano conflitti di giurisdizione: su questo SU e Corte Cost. hanno funto da pregiudiziali normative. Adesso questione è chiusa.
  • Questioni costituzionali specifiche tributi locali: Oltre a IMU, citiamo uno: la Corte Cost. sent. n. 60/2024 (IMU abusivi), grande rilievo. Un altro: Corte Cost. n. 209/2010 che dichiarò incostituzionale un aspetto dell’ICI (nel 2010 dopo che era già IMU? Riguardava immobili posseduti da enti ecclesiastici, credo, ma fu risolta diversamente). Oppure ord. n. 32/2021 di rimessione in Consulta su esenzione IMU per coniugi con residenze separate in comuni diversi (questione di attualità, possibile discriminazione). Proprio questa questione (esenzione prima casa limitata a un solo immobile per nucleo familiare anche se i coniugi vivono in case diverse per lavoro) ha generato molti contenziosi e alcune Corti hanno fatto questioni di legittimità. Mi pare la Consulta nel 2022 (sent. n. 209/2022) ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui non prevedeva esenzione doppia se i coniugi risiedono in comuni diversi per comprovati motivi. Questo è esempio di come la Consulta corregge iniquità di norme locali.

Riassunto per tributi locali: qui il difensore deve tenere conto:

  • Possibili motivi di ricorso basati su illegittimità costituzionale della legge (vedi IMU casi).
  • Illegittimità della delibera/regolamento comunale: più facile vincere su un vizio formale spesso (mancata pubblicazione, ecc.) che su merito.
  • Attenzione alla giurisdizione: accertarsi che la domanda sia tributaria (se il comune chiede canoni patrimoniali o sanzioni non tributarie, la CGT declinerà).
  • Attenzione a pregiudizialità interne: p.es. IMU e tributi locali spesso la base è il catasto – se c’è un ricorso sul classamento catastale pendente, e l’IMU su quell’immobile stesso anno in discussione, la legge (art. 39 c.1 lett. c D.L. 98/2011) diceva: la decisione sul classamento fa titolo per l’IMU. Un tempo la rendita andava impugnata avanti al TAR separato dal tributo – ora tutto unificato. Comunque ancora possibile che una rendita catastale venga impugnata e definita con sentenza mentre cause ICI/IMU correlate ancora pendenti – quell’esito è un giudicato da recepire (giudicato esterno).
  • Nei tributi locali, spessissimo appare l’esigenza di uniformità interpretativa: i Comuni approvano centinaia di regolamenti diversi, e le Commissioni potevano decidere diversamente su casistiche analoghe in comuni diversi. La Cassazione quindi è spesso intervenuta a Sezioni Unite su questioni come: cos’è area pertinenziale fabbricato ai fini ICI, cos’è fabbricato collabente, ecc. L’introduzione del rinvio pregiudiziale Cassazione potrebbe essere utile se emergessero questioni nuove in massa (es. la nuova Tariffa rifiuti a quota variabile, oppure il nuovo Canone Unico dal 2021 – potrebbe generare contenzioso su interpretazione, quindi magari un giudice pilota manda su in Cassazione).

Chiuso questo capitolo su imposte specifiche, proseguiamo ora con un formato diverso: una serie di domande frequenti (FAQ) che recapitoli e chiarisca i dubbi più comuni, e infine proporremo alcune simulazioni pratiche che mettano insieme i concetti esposti in scenari realistici dal punto di vista di un contribuente.

Domande frequenti (FAQ) sulle questioni pregiudiziali nel processo tributario

  • D: Cosa significa concretamente “questione pregiudiziale” nel processo tributario?
    R: Significa una questione giuridica che deve essere risolta prima di poter decidere sul merito della controversia fiscale. È “pregiudiziale” perché il suo esito può pregiudicare (determinare) l’esito del processo tributario. Ad esempio, se ritengo che la legge fiscale su cui si fonda l’accertamento violi la Costituzione, questa è una questione pregiudiziale: il giudice tributario dovrà prima far decidere la Corte Costituzionale su quel dubbio, e solo dopo potrà procedere a giudicare il mio caso, applicando (o non applicando) la norma impugnata a seconda della risposta. Allo stesso modo, se nel mio ricorso sostengo che un atto fondamentale (come un documento o una delibera comunale) è invalido, il giudice potrebbe dover sospendere il processo e attendere la decisione del giudice competente su quell’atto (es. giudice civile per un documento falso, giudice amministrativo per una delibera). In sintesi, le questioni pregiudiziali sono snodi procedurali in cui il processo si ferma o devia per ottenere una soluzione da un’altra autorità, o comunque per risolvere un problema preliminare di competenza o validità normativa.
  • D: Un contribuente può chiedere di sospendere il processo tributario in attesa dell’esito di un processo penale correlato (per esempio un procedimento penale per reati fiscali)?
    R: No, nel modo più assoluto. L’ordinamento italiano attuale non consente di sospendere il processo tributario per la pendenza di un processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti. Ciò è stabilito sia dalla legge ordinaria (art. 20 D.Lgs. 74/2000) sia confermato dalla giurisprudenza, anche costituzionale. Dunque, se il contribuente è imputato per omessa dichiarazione, dichiarazione fraudolenta o altro reato tributario, non potrà ottenere che la causa davanti al giudice tributario venga messa in stand-by fino alla definizione del penale. I due procedimenti procedono in parallelo e in modo autonomo. Il contribuente dovrà difendersi su entrambi i fronti, con l’assistenza eventualmente di avvocati (penalista e tributarista, che possono coordinarsi). L’unica cosa che il contribuente può eventualmente chiedere è la sospensione della riscossione (non del processo) nel giudizio tributario, se ci sono gravi motivi: ad esempio, se ritiene che la pretesa fiscale sia infondata e pagare subito gli creerebbe un danno grave, può chiedere alla Corte di Giustizia Tributaria la sospensione dell’atto impugnato (ex art. 47 D.Lgs. 546/92). Ma ciò prescinde dal penale; è una tutela cautelare del tutto interna al processo tributario. Anche l’ente impositore, dal canto suo, non può chiedere di aspettare l’esito penale: deve far valere le sue ragioni subito nel giudizio tributario. Insomma, la separazione è netta: “il processo tributario inizia, prosegue e si conclude anche in pendenza del procedimento penale”, come ribadito dalla giurisprudenza. Questa autonomia può generare esiti difformi (es. condanna penale ma vittoria parziale in tributario o viceversa), ma è frutto di una scelta legislativa precisa, volta a evitare ritardi nel recupero delle imposte e nella repressione dei reati.
  • D: Come si fa a sollevare una questione di legittimità costituzionale durante un processo tributario? Può farlo direttamente il contribuente?
    R: Il contribuente (o chiunque sia parte nel processo) può eccepire nel ricorso o nel corso della causa che una certa norma è a suo avviso incostituzionale, spiegandone i motivi. Questa è la cosiddetta eccezione di incostituzionalità. Tuttavia, il contribuente non può rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale. Spetta al giudice tributario valutare se la questione è rilevante per la decisione e se non è manifestamente infondata. In caso positivo, è il giudice che solleva ufficialmente la questione con un’ordinanza motivata di rinvio alla Consulta. Quindi, il ruolo del contribuente è di portare all’attenzione del giudice il dubbio di costituzionalità e di argomentarlo bene. Se il giudice condivide (anche d’ufficio potrebbe farlo, ma in pratica parte dal’istanza di parte), emetterà l’ordinanza di rimessione. Da quel momento, il processo tributario è sospeso e gli atti vanno alla Corte Costituzionale. Va sottolineato che l’ordinanza del giudice deve contenere una motivazione approfondita sulla rilevanza (cioè spiegare perché per decidere quella causa serve sapere se la norma è legittima o no) e sulla non manifesta infondatezza (cioè indicare le ragioni del possibile contrasto con la Costituzione, senza dare per scontato l’esito). Se queste motivazioni sono carenti, la Corte Costituzionale dichiarerà la questione inammissibile. Ad esempio, nella sentenza 21/2024 la Consulta ha dichiarato inammissibili alcune questioni su deducibilità IMU perché i giudici rimettenti non avevano motivato adeguatamente la rilevanza e la non infondatezza. Quindi è cruciale che l’eccezione sollevata dal contribuente sia giuridicamente solida e ben sviluppata, affinché il giudice la accolga e la trasmetta alla Consulta.
  • D: Se una legge tributaria italiana appare in contrasto con una norma dell’Unione Europea (ad esempio una direttiva), cosa può fare il contribuente nel processo?
    R: Il contribuente ha due possibili strade (che non si escludono a vicenda):
    1. Chiedere l’applicazione diretta del diritto UE o la disapplicazione della norma interna contrastante: in base al principio del primato del diritto comunitario, se la norma italiana è in conflitto con una norma UE self-executing (sufficientemente precisa e incondizionata) o con un principio generale UE, il giudice nazionale deve disapplicare la norma italiana e applicare quella UE. Ad esempio, poniamo che una direttiva preveda un’esenzione IVA che la legge italiana non ha recepito: il contribuente può invocarla e il giudice tributario può decidere di non applicare la norma interna difforme, concedendo l’esenzione in base al diritto UE (è successo storicamente in casi di esenzioni IVA su certi servizi bancari in passato).
    2. Chiedere un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE: se l’interpretazione della norma UE non è chiara, oppure se c’è da valutare la validità di un atto UE, il contribuente può sollecitare il giudice a rivolgersi alla Corte di Giustizia. In particolare, davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (giudice di ultima istanza) è più facile ottenere il rinvio, perché quel giudice avrebbe l’obbligo di farlo salvo che la questione sia già risolta o priva di dubbi seri. Davanti al giudice di primo grado, il rinvio è discrezionale: il contribuente deve convincerlo che l’interpretazione non è attinente e che dalla Corte di Lussemburgo può arrivare un chiarimento utile e non già esistente. Se il giudice accetta, dispone la sospensione e invia i quesiti alla CGUE. Dopo circa 1-2 anni, la CGUE risponderà e il processo riprenderà con quella risposta vincolante. Un esempio concreto: un contribuente sostiene che una definizione agevolata concessa dall’Italia su liti IVA contrasti con gli obblighi UE (perché riduce i fondi all’UE, o vìola la parità concorrenziale). Il giudice potrebbe non essere sicuro e deciderà di interpellare la CGUE su questo.
      È importante evidenziare che il contribuente può e deve sollevare la questione comunitaria nel ricorso o nelle memorie, citando le norme UE e magari la giurisprudenza della CGUE pertinente. Non c’è una “forma” obbligata come per la questione costituzionale, ma nella pratica è simile: far notare la rilevanza del diritto UE e il conflitto. Se il giudice ritenesse il diritto UE chiaro e favorevole al contribuente, potrebbe anche decidere direttamente in suo favore disapplicando la norma nazionale senza rinviare (è successo varie volte, specie dopo pronunce CGUE risolutive). Se ritenesse chiaro in senso opposto (norma italiana ok) deciderà contro. Se invece ha dubbi interpretativi seri, il rinvio pregiudiziale è la via da seguire per evitare di decidere erroneamente. Il contribuente deve avere pazienza in tal caso, perché allungherà il processo, ma ne vale la pena se la posta in gioco è alta e l’esito incerto. Durante il rinvio, può valutare se chiedere la sospensione della riscossione (per non pagare nel frattempo importi potenzialmente non dovuti se la CGUE gli darà ragione).
  • D: Che cos’è il rinvio pregiudiziale alla Cassazione ex art. 363-bis c.p.c. e quando è conveniente utilizzarlo in un processo tributario?
    R: È uno strumento introdotto nel 2022 che consente al giudice di merito (quindi la Corte di Giustizia Tributaria provinciale o regionale) di “saltare” il normale iter degli appelli e rivolgersi subito alla Corte di Cassazione per avere un principio di diritto su una questione di diritto nuova, complessa e frequente. In pratica, funge da “consulto vincolante” con la Suprema Corte. Una volta attivato, il processo si sospende e la Cassazione (tipicamente a Sezioni Unite) esprime il suo dictum, che il giudice dovrà applicare nel caso di specie. Conviene usarlo (e quindi chiederlo come difensore al giudice) quando:
    • La questione controversa non è mai stata decisa prima dalla Cassazione (novità). Se ci sono già sentenze di Cassazione sul punto, non si può usare (la Cassazione respingerebbe l’istanza).
    • L’interpretazione della norma presenta gravi incertezze e margini per soluzioni diverse. Ad esempio, una legge fiscale appena emanata e di formulazione dubbia, su cui dottrina o prassi sono in disaccordo.
    • La questione può riguardare molti altri casi analoghi (serialità). Cioè non è un cavillo specifico del caso tuo, ma un problema di interesse generale (ad esempio, una nuova tassa su un certo settore che colpisce migliaia di contribuenti).
      Se questi criteri ci sono, per il contribuente potrebbe essere vantaggioso: anziché aspettare anni di giudizio e arrivare forse in Cassazione con esiti diversi nei vari gradi, si punta subito al chiarimento autorevole. Ciò può far risparmiare tempo (nel medio periodo) e uniformare l’orientamento in tutte le Commissioni d’Italia (molte delle quali, sapendo che la Cassazione ha deciso quel principio, lo seguiranno in cause simili, riducendo il contenzioso). Naturalmente, c’è da considerare che la procedura in sé richiede alcuni mesi/anni (ma l’idea è che sia più rapida di un intero ciclo di appello + ricorso per Cassazione). Ad oggi è stata già usata in qualche caso (ad esempio ad Agrigento e Napoli nel 2023-24, come detto) con esito positivo. Dal punto di vista strategico: se sei sicuro che la Cassazione ti darebbe ragione su una questione di principio e sei di fronte magari a un giudice di primo grado meno esperto o restio, potresti preferire chiedere il rinvio pregiudiziale – confidando in una pronuncia che praticamente ti fa vincere. Di contro, se il caso tuo ha una peculiarità fattuale molto forte, forse non è adatto, perché la Cassazione può decidere solo su questioni di puro diritto e su fattispecie generali, non sul dettaglio del fatto. Inoltre, il rinvio pregiudiziale può essere chiesto anche in appello, non solo in primo grado. Quindi, se in appello emerge un nuovo problema giuridico (magari dovuto a una legge entrata in vigore durante il giudizio), si può ancora ricorrervi. In sintesi: conviene usarlo in cause pilota, su questioni di interpretazione assai controverse e con implicazioni sistemiche. Non conviene (anzi, non è ammissibile) in questioni già risolte dalla giurisprudenza o di interesse circoscritto.
  • D: Ho vinto un ricorso tributario per una certa imposta in un anno precedente; posso far valere quella vittoria (giudicato) come motivo pregiudiziale per far annullare anche l’accertamento di un anno successivo simile?
    R: Se la situazione di fatto e la norma sono identiche a quelle già decise con sentenza passata in giudicato tra le stesse parti, sì: il cosiddetto giudicato esterno ha efficacia anche sui periodi d’imposta successivi, a condizione che concerna elementi che non mutano di anno in anno. Ad esempio, supponiamo che tu abbia ottenuto in giudizio una pronuncia definitiva che riconosce la non imponibilità di un certo reddito perché hai dimostrato che quell’attività non costituiva reddito tassabile (magari per mancanza del requisito soggettivo). Se il Fisco ti avesse fatto accertamenti per più anni sullo stesso presupposto e tu nel frattempo ne hai chiuso uno a tuo favore, per gli anni ancora pendenti puoi invocare quel giudicato. Formalmente non si chiama questione pregiudiziale (non si sospende in attesa, perché l’attesa è finita: c’è già un giudicato). Piuttosto, è una eccezione di giudicato esterno che tu sollevi, dicendo: “la pretesa per l’anno Y è nulla in quanto su analogo accertamento anno X la Commissione ha deciso che non devo le imposte, e quella sentenza è passata in giudicato vincolando le parti” (parti = tu e Agenzia Entrate). La Cassazione ha più volte affermato che il giudicato esterno sulle questioni di fatto e diritto identiche fa stato per gli altri periodi; questo al fine di rispettare il principio di coerenza e certezza del diritto. Quindi, in teoria, il giudice del nuovo ricorso dovrebbe recepirlo e conformarsi, senza nemmeno entrare nel merito di ciò che è già deciso. Se, però, l’Agenzia contesta l’identità delle situazioni (es. dice: “sì, ma quell’anno era diverso perché…”), allora il giudice dovrà valutare se davvero c’è corrispondenza. In alcuni casi, il giudicato di un anno non è automaticamente estensibile ad altri per via di differenze normative (es. legge modificata nel frattempo) o fattuali (es. quell’agevolazione spettava prima perché avevi requisiti che poi sono mutati). Dunque è una difesa fortissima ma richiede identità di petitum e causa petendi. Non viene trattata come “pregiudiziale” in senso tecnico (non si aspetta più nulla), ma come elemento vincolante. In pratica, se c’è giudicato pro contribuente su anno X, l’ideale è presentare ricorso per anno Y allegando copia della sentenza passata in giudicato e chiedendo al giudice di dichiarare cessata materia del contendere o comunque di accogliere per effetto del giudicato. Una cautela: accertarsi che l’ufficio dell’Agenzia sia lo stesso, perché se per ipotesi cambia il soggetto convenuto (es. per i tributi locali, comune diverso non è vincolato da giudicato con altro comune; o se per caso per IRPEF un anno era Agenzia Direzione delle Entrate Y e altro anno direzione Z, comunque è stesso ente Agenzia Entrate come persona giuridica unica, quindi vincolato). Nel dubbio, se il giudice non volesse applicare il giudicato esterno, la soluzione è appellare e in ultima istanza la Cassazione di solito corregge richiamando il precedente.
  • D: Cosa succede se un documento fondamentale su cui si basa l’accertamento fiscale è falso? Come posso farlo valere?
    R: Se ritieni che un documento (ad esempio un verbale, un processo verbale di constatazione, un avviso di ricevimento di raccomandata, un atto notarile, ecc.) sia falso, devi proporre la querela di falso. Nel processo tributario, il giudice non può autonomamente dichiarare che un documento pubblico è falso con efficacia generale; devi attivare tu la procedura specifica prevista dal codice di procedura civile (artt. 221 e segg. c.p.c.). In pratica, puoi presentare un atto di querela di falso, anche direttamente davanti alla Corte di Giustizia Tributaria dove pende il ricorso: solitamente la prassi è depositarlo nel processo e il giudice tributario poi, con ordinanza, sospende il giudizio e ti dà un termine per presentare la querela innanzi al giudice competente (il Tribunale civile). Oppure puoi presentarla direttamente in Tribunale e poi informare la Commissione. Una volta avviata la querela di falso, il processo tributario resta sospeso fino a che non viene decisa con sentenza passata in giudicato la falsità o meno del documento. Se il documento viene dichiarato falso, esso verrà eliminato dal novero delle prove e, se era essenziale, l’atto fiscale fondato su di esso decadrà (esempio: se viene dichiarato falso l’atto di notifica, l’accertamento è inesistente come notifica, e quindi il ricorso verosimilmente verrà accolto per vizio di notifica). Se invece il documento risulta autentico, il processo riprende come prima e quel documento mantiene il suo valore probatorio. Attenzione: la querela di falso è uno strumento serio e relativamente complesso; comporta il pagamento di un contributo unificato per il giudizio civile, l’assistenza di un avvocato in quel separato giudizio e possibili conseguenze penali se uno accusa falsamente un pubblico ufficiale di aver falsificato atti. Va usata solo con fondati motivi. Esempi in cui è appropriata: firme apocrife su verbali di constatazione, notifiche attestanti consegne mai avvenute, alterazioni evidenti di documenti contabili usati a supporto. In assenza di querela, il giudice tributario di norma deve ritenere validi i documenti pubblici (fino a querela di falso, infatti, fanno fede come prova). Quindi se il punto è cruciale (es: la notifica è l’unico appiglio e tu dici “non l’ho mai ricevuta”), spesso la querela di falso è l’unica via, come confermato da giurisprudenza. Da un punto di vista pratico, conviene prima procurarsi ogni elemento (es. perizia grafologica di parte) per essere convinti della falsità. Una volta ottenuta la sospensione per querela di falso, i tempi possono essere anche lunghi, perché il Tribunale civile deve celebrare un giudizio ad hoc (talvolta, se c’è urgenza, si può incardinare anche in sede penale con denuncia, ma generalmente la via civile è più immediata perché puoi attivarla tu senza passare da PM). In conclusione, se c’è un documento falso di mezzo, ricorda: la Commissione Tributaria non può decidere nel merito finché non risolvi quel nodo attraverso la procedura di falso, e sei tu parte interessata che devi avviarla.
  • D: Se il mio caso tributario dipende in parte da un rapporto civilistico (ad esempio la validità di un contratto, l’esistenza di un’eredità, ecc.), il giudice tributario aspetterà l’esito della causa civile in corso su quel rapporto?
    R: Dipende. Il giudice tributario può decidere di sospendere il processo ex art. 295 c.p.c. se c’è un’altra causa civile pendente sulla questione che effettivamente condiziona la decisione fiscale. Ma non è obbligatorio salvo i casi espressi (stato persone). In molti casi il giudice tributario risolve lui stesso la questione incidenter tantum senza attendere il giudice civile. Esempio: l’Agenzia disconosce una deduzione perché ritiene nullo il contratto sottostante; tu contribuente dici “no, il contratto è valido” e magari hai promosso una causa civile contro l’altra parte. Il giudice tributario potrebbe valutare egli stesso gli elementi di validità e prendere una decisione provvisoria (valevole solo in sede fiscale). Se però la causa civile è in stadio avanzato e la definizione civile darebbe certezza, potresti chiedere sospensione per pregiudizialità. Spesso, in pratica, i giudici tributari non sospendono e decidono autonomamente. Questo può portare a risultati contrastanti con la sede civile, ma in teoria la decisione tributaria su un contratto nullo non fa stato per i terzi, quindi il rischio di contrasto di giudicati è relativo (un eventuale contrasto sarebbe fastidioso ma formalmente possibile, es: contratto valido per giudice civile, ma intanto in sede tributaria era stato trattato come simulato; in casi del genere, se c’è ancora rimedio, si potrebbe invocare revocazione della sentenza tributaria per sopravvenuto giudicato civile, ma non è pacifico). Insomma, c’è margine di incertezza. Per il contribuente, la strategia varia: se la causa civile è promettente e in fase conclusiva, può convenire ottenere sospensione nel tributario per poi, forte di vittoria civile, tornare e vincere facile. Se la causa civile è lontana o incerta, può essere meglio far decidere subito il tributario (anche perché magari il giudice tributario, dovendo risolvere dubbi di validità contrattuale, potrebbe interpretare a tuo favore se hai buone prove). Non hai un diritto assoluto alla sospensione tranne i casi tassativi (status, falso). Quindi, dovrai convincere il giudice che c’è un rapporto di dipendenza necessaria ai sensi di art. 295 c.p.c.: ossia che senza la definizione della causa civile non si può giudicare fiscalmente. Questo succede, ad esempio, quando il soggetto passivo d’imposta dipende da una qualità personale incerta (sei erede o no? Sei residente o no? – quest’ultima di solito decide il trib, ma supponi ci sia un giudizio civile sulla residenza anagrafica, raro). Se il giudice tributario nega la sospensione e decide incidentalmente, potrai sempre poi, se il civile finisce diversamente, evidenziare la difformità in appello o in revocazione chiedendo di adeguarsi. In conclusione: il giudice tributario attenderà l’esito civile solo se reputa quell’esito strettamente determinante e non abbia egli stesso elementi per valutare; altrimenti no, deciderà contestualmente (a volte secondo equità sostanziale). Come contribuente, formula l’istanza di sospensione ex art. 295 allegando l’atto di pendenza della causa civile e spiegando perché dalla definizione di quella dipende il calcolo dell’imposta o la legittimità dell’atto.
  • D: Cosa sono le “cause seriali” e perché il rinvio pregiudiziale in Cassazione è considerato utile proprio nel tributario per cause seriali?
    R: Le “cause seriali” sono contenziosi numerosissimi che vertono tutti sulla stessa questione di diritto. In ambito tributario ce ne sono stati tanti esempi: pensiamo ai ricorsi contro le cartelle pazze (migliaia di contribuenti con lo stesso vizio di notifica), oppure contenziosi per il bollo auto di certe annualità condonabili, o cause su agevolazioni prima casa, o i ricorsi contro l’IMU su particolari fattispecie (come i coniugi con due case in comuni diversi, citato prima). In queste situazioni, i vari giudici di merito possono decidere in modo difforme: alcuni favorevoli al contribuente, altri no, generando incertezza e incentivando ogni contribuente a fare ricorso per tentare la sorte. Il rinvio pregiudiziale alla Cassazione è utile perché permette di ottenere in tempi brevi un principio di diritto uniforme che dovrebbe spegnere la litigiosità seriale. Ad esempio, se diverse Commissioni stanno decidendo in ordine sparso su un’agevolazione, una di esse può sollevare il rinvio pregiudiziale: la Cassazione (idealmente a SU) fisserà la regola e una volta resa pubblica, in teoria, gli uffici aderiranno a quella interpretazione e gli stessi contribuenti avranno meno motivo di litigare, sapendo già “che aria tira”. Le Linee guida della Cassazione per il processo tributario del 2023 enfatizzano proprio l’uso di strumenti nomofilattici come il rinvio pregiudiziale e l’intervento del Procuratore Generale per cause di particolare importanza. Quindi la Cassazione stessa incoraggia il loro utilizzo per affrontare situazioni seriali e dubbi interpretativi non risolti. Per il contribuente seriale (ad es. appartenente a una categoria, come tutti i proprietari di immobili occupati abusivamente prima esentati dopo la sentenza 60/2024), sapere subito da Cassazione come impostare la questione è fondamentale. In sintesi, cause seriali = molti casi uguali, e rinvio pregiudiziale = unica risposta per tutti (o così si spera). Questo strumento in mano al giudice di merito e innescato spesso su istanza di avvocati avveduti può effettivamente far fare un salto di qualità alla giustizia tributaria, riducendo tempi e difformità di giudicato.

Esempi pratici e simulazioni

Per comprendere meglio come le questioni pregiudiziali operano concretamente dal punto di vista del contribuente (debitor-oriented), presentiamo qui alcune simulazioni pratiche, ossia scenari ipotetici ispirati a casi reali, con la descrizione di come un contribuente (e il suo difensore) possono o devono muoversi.

Esempio 1: Questioni costituzionali su un’imposta locale (IMU)
Scenario: La società Alfa S.r.l. possiede un immobile industriale in un’area periferica, occupato abusivamente da terzi dal 2019. Nonostante le denunce fatte, l’immobile è inutilizzabile e Alfa non ne ha la disponibilità. Il Comune però, ignaro o incurante dell’occupazione, notifica ad Alfa avvisi di accertamento IMU per gli anni 2020 e 2021, richiedendo l’imposta come se nulla fosse. Alfa presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, sostenendo che non deve IMU perché quell’immobile, essendo occupato illegalmente, non le produce alcuna utilità e lei non può esercitarvi i propri diritti. La difesa di Alfa, oltre a contestare in via interpretativa l’applicazione della norma, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 D.Lgs. 23/2011 (norma IMU) per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui non esenta gli immobili occupati abusivamente. Il difensore cita il principio di capacità contributiva: tassare chi non può godere del bene è irragionevole e viola l’uguaglianza (confrontando con chi ha immobili sfitti ma disponibili). Il giudice tributario ritiene fondato il dubbio e rilevante (perché se avesse ragione Alfa, l’IMU non sarebbe dovuta). Emana così un’ordinanza con cui sospende il processo e rimette la questione alla Corte Costituzionale. Dopo qualche mese, interviene la pronuncia della Consulta (poniamo sia proprio la sentenza n. 60/2024): la Corte accoglie la questione, dichiarando incostituzionale la norma nella parte in cui non prevede l’esenzione IMU per immobili occupati abusivamente con denuncia presentata. Cosa accade ora? Il processo tributario riprende: la norma IMU va letta come “corretta” dalla sentenza della Corte, quindi si considera esistente un’esenzione per il periodo di occupazione abusiva denunciata. Alfa S.r.l., grazie a questa pronuncia, vincerà la causa: la CGT infatti annullerà gli avvisi impugnati applicando la nuova interpretazione conforme a Costituzione. Non solo: Alfa potrà chiedere il rimborso dell’IMU eventualmente pagata per quegli anni durante la pendenza (o evitare di pagarla se sospesa). E tutti gli altri contribuenti in Italia nella medesima situazione potranno non pagare l’IMU (o farsela restituire) per i periodi di occupazione abusiva, invocando direttamente la sentenza della Consulta. In questo esempio, vediamo come un contribuente ha portato con successo una questione pregiudiziale costituzionale, ottenendo una modifica erga omnes della norma ingiusta a vantaggio suo e della collettività dei consimili. È un caso ispirato alla realtà: la vicenda delle occupazioni abusive infatti è stata risolta proprio così. Dal punto di vista del debitore, inizialmente la legge non gli dava scampo, ma la via della questione di legittimità costituzionale ha aperto un varco per la giustizia sostanziale.

Esempio 2: Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE in materia IVA
Scenario: La ditta individuale Beta ha aderito alla definizione agevolata delle liti pendenti prevista dalla legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022), per una causa tributaria in corso relativa ad IVA 2018. In base a tale definizione, Beta dovrebbe pagare il 90% dell’imposta contestata senza sanzioni e interessi, chiudendo la lite. Beta presenta istanza di adesione e il giudizio viene sospeso ex lege. Tuttavia, la Commissione europea avvia un’indagine sostenendo che questa “sanatoria” sull’IVA potrebbe violare gli obblighi UE, in particolare incidendo sulle risorse proprie UE e configurando un aiuto di Stato. Nel frattempo, un’altra azienda (Gamma S.p.A.), in posizione analoga ma che non ha aderito alla definizione, porta il caso in Commissione Tributaria Regionale, sostenendo che la legge italiana sulla definizione liti IVA è inapplicabile perché in contrasto col diritto UE. Chiede pertanto di proseguire la sua causa fino in fondo senza applicare lo sconto oppure – soluzione più favorevole – di ottenere l’annullamento integrale dell’atto perché la norma di definizione non è conforme al principio di leale cooperazione e neutralità IVA. Il giudice tributario si trova di fronte a un dubbio complesso di diritto UE mai affrontato: lo Stato può rinunciare a parte dell’IVA in contenzioso? Vista la rilevanza sistemica, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dispone un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Formula quesiti sulla compatibilità della definizione agevolata con vari parametri UE (art. 4.3 TUE, disciplina delle risorse proprie, principi di uguaglianza e neutralità fiscale). In attesa della risposta da Lussemburgo, tutti i processi analoghi (compreso quello di Beta, attualmente sospeso per definizione) rimangono in una sorta di limbo. Beta, che aveva aderito, non riceve ancora perfezionamento della definizione perché la legislazione potrebbe cambiare esito. Dopo un anno, poniamo che la CGUE emetta sentenza dichiarando che una definizione che include l’IVA può sussistere solo se non intacca il bilancio UE e non costituisce aiuto selettivo; spetta al giudice nazionale verificare tali aspetti. Interpretazione salomonica. La CTR, a questo punto, dovrà valutare se la norma italiana rispetta quei criteri. Poniamo che decida che sì, la norma può essere applicata (perché lo sconto è generale e lo Stato compensa il bilancio UE per la parte di risorse proprie). Quindi, Gamma perderà la sua causa (dovrà pagare il 90% per chiudere), e Beta potrà perfezionare la sua definizione come previsto inizialmente. Questo esempio mostra Beta che, pur avendo aderito, è rimasta coinvolta di riflesso in una questione pregiudiziale UE avviata da un terzo. Se la CGUE invece avesse detto “no, lo Stato non può transigere sull’IVA in questo modo”, allora Beta si sarebbe trovata la definizione invalidata e la sua causa sarebbe dovuta riprendere per intero. Quindi a volte le questioni pregiudiziali UE possono creare un periodo di incertezza, ma servono a chiarire definitivamente la regola del gioco. Dal punto di vista di Gamma (che ha provocato il rinvio), questa tattica ha portato la questione su un piano più alto, mentre Beta ha agito prudentemente aderendo ma ha dovuto attendere il via libera europeo.

Esempio 3: Rinvio pregiudiziale interpretativo in Cassazione su questione di giurisdizione
Scenario: La società Delta S.p.A. riceve da un Comune una cartella di pagamento per “canone concessorio non ricognitorio” dovuto in seguito all’installazione di cavi sotto suolo pubblico. Delta impugna la cartella davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, sostenendo fra l’altro che quel canone non ha natura tributaria ma patrimoniale, e quindi la controversia apparterrebbe semmai al giudice ordinario (difetto di giurisdizione). La Commissione Tributaria di primo grado è incerta: in giurisprudenza, casi simili (canoni vs tributi locali) hanno avuto esiti ondivaghi; la Cassazione non ha mai affrontato esattamente il “canone concessorio non ricognitorio”. Invece di decidere subito o di sollevare regolamento di giurisdizione (che risolverebbe solo questo caso), il giudice tributario decide di sperimentare il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.. Considera che la questione è nuova, di diffusa applicazione (tutti i comuni applicano questi canoni) e di difficile inquadramento. Emette quindi ordinanza motivata e sospende il processo, rimettendo la questione “se la controversia su canone concessorio non ricognitorio spetti alla giurisdizione tributaria oppure ordinaria” alla Corte di Cassazione. La Cassazione, ritenuta ammissibile la richiesta, attribuisce la causa alle Sezioni Unite, le quali esaminano la materia e dopo qualche mese enunciano il principio di diritto: «In tema di riparto di giurisdizione, il canone concessorio non ricognitorio istituito dai Comuni… (segue qualificazione) … rientra (o non rientra) nella giurisdizione delle Corti di giustizia tributaria». Poniamo che stabiliscano che non rientra, in quanto canone patrimoniale non assimilabile a tributo. A questo punto, la Corte di Giustizia Tributaria che aveva rinviato, riprende il processo e, vincolata dal principio delle SU, dichiara il difetto di giurisdizione sul ricorso di Delta. Delta dovrà allora rivolgersi al giudice ordinario per impugnare la pretesa, ma almeno ora c’è chiarezza: tutte le cause su quel canone pendenti in Italia verranno indirizzate correttamente al giudice ordinario, evitando conflitti e duplicazioni. In questa simulazione, Delta (contribuente) ha dovuto attendere, ma ha ottenuto che la questione di giurisdizione fosse risolta in via generale. Se avesse fatto regolamento di giurisdizione, probabilmente avrebbe ottenuto lo stesso esito dalle SU, ma in questo modo il principio potrebbe avere portata più ampia. Dal suo punto di vista, comunque, la vicenda non è finita: deve ancora discutere il merito eventualmente davanti al giudice civile, ma almeno non ha perso tempo in un giudizio tributario per poi sentirsi dire in Cassazione a fine percorso che era il giudice sbagliato. L’uso del rinvio pregiudiziale ha anticipato la definizione della questione evitando anni di processo inutile.

Esempio 4: Pregiudizialità interna tra due cause tributarie (anni diversi)
Scenario: Il signor Epsilon è un libero professionista che per gli anni 2018, 2019 e 2020 non ha presentato dichiarazione dei redditi in Italia, ritenendo di essere residente fiscale nel Regno Unito (dove risiede la sua famiglia). L’Agenzia delle Entrate, invece, lo considera residente in Italia e gli notifica atti di accertamento per redditi esteri non dichiarati, più sanzioni per omessa dichiarazione, per tutti e tre gli anni. Epsilon impugna gli avvisi, sostenendo di aver spostato la residenza all’estero regolarmente. La causa sull’anno 2018 arriva per prima in udienza e viene decisa in Commissione Tributaria Provinciale nel 2021, dando torto al contribuente: la CTP ritiene Epsilon ancora residente in Italia nel 2018 (magari perché non ha cancellato l’iscrizione AIRE correttamente, ecc.) e conferma l’accertamento. Epsilon appella. Nel frattempo, i ricorsi 2019 e 2020 sono pendenti (2019 forse in primo grado, 2020 neanche trattato ancora). Nel 2023, la Commissione Regionale decide sull’anno 2018 (in appello) e ribalta la decisione: accoglie l’appello di Epsilon, riconoscendo che aveva la residenza nel Regno Unito – annulla quindi l’accertamento 2018. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione su 2018 (ancora pendente). Arriviamo al 2025: la causa sull’anno 2019 è fissata in appello (Epsilon aveva perso in primo grado per coerenza col 2018 primo grado, ma ora insiste). Davanti alla CTR, Epsilon presenta la sentenza d’appello favorevole su 2018 e chiede la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa 2019, in attesa della definizione in Cassazione della questione di residenza per il 2018, oppure quantomeno di tenerne conto come giudicato esterno se nel frattempo passasse in giudicato (l’Agenzia però ha ricorso, quindi giudicato non ancora formatosi). La CTR valuta: effettivamente la questione principale è identica (residenza fiscale). Decide di sospendere il processo 2019 fino alla pronuncia della Cassazione sull’anno 2018, ritenendo che dall’esito di quest’ultima dipenderà la soluzione (pregiudizialità interna). Questo per evitare il rischio di contrasto: se la Cassazione dovesse dire che Epsilon era residente, la CTR, riaprendo, applicherà quella regola a 2019. Viceversa, se la Cassazione rigetta il ricorso dell’Agenzia confermando che Epsilon era non residente, allora la CTR per il 2019 applicherà coerentemente lo stesso esito (in quel caso formandosi pure giudicato). In questo esempio, Epsilon beneficia della sospensione perché evita di avere magari un esito sfavorevole nel 2019 prima che la Cassazione si esprima su 2018. Una volta ottenuta la decisione di legittimità sul primo anno (che fungerà da apripista), la linea sarà chiara e i restanti anni si chiuderanno allo stesso modo. Se l’Agenzia dovesse cercare di distinguere le annualità, Epsilon potrà invocare il giudicato esterno a suo favore (in caso di vittoria) oppure, se perdesse in Cassazione 2018, probabilmente mollerà le altre cause perché verrebbero perse coerentemente. Questo esempio mostra come la pregiudizialità interna viene gestita: quando le cause sono strettamente connesse da un’identica questione, la sospensione ex art. 295 c.p.c. è uno strumento per garantire uniformità. Dal punto di vista del contribuente, può significare un allungamento (aspettare Cassazione può durare anni), ma è preferibile a rischiare decisioni divergenti. Nel frattempo Epsilon potrebbe pianificare il pagamento di quanto dovuto con minor ansia (sapendo che se vince il primo anno, vincerà tutti, e viceversa potrebbe cercare accordo transattivo per tutti se percepisce di perdere).


Queste simulazioni coprono alcune situazioni tipiche. Ovviamente, ogni caso concreto ha le sue particolarità e non sempre gli esiti saranno così lineari, ma servono a illustrare come ragiona un avvocato tributarista quando si imbatte in possibili questioni pregiudiziali: valuta i pro e contro di sollevare eccezioni di costituzionalità, di invocare il diritto UE, di proporre sospensioni per pregiudizialità, o di accelerare un principio di diritto rivolgendosi alla Cassazione; tutto questo con l’obiettivo di tutelare al meglio il contribuente e possibilmente creare un precedente positivo utilizzabile anche da altri.

Conclusione

In questa guida abbiamo esplorato in profondità il tema delle questioni pregiudiziali nel processo tributario italiano, aggiornato a luglio 2025. Si tratta di un argomento tecnico ma fondamentale, perché spesso la differenza tra vincere o perdere un contenzioso fiscale risiede proprio nella capacità di individuare e gestire correttamente una questione preliminare. Dal punto di vista del debitore (contribuente), padroneggiare questi strumenti significa poter mettere in discussione la pretesa impositiva non solo sul piano dei fatti e della norma applicata, ma anche su quello metagiuridico: la validità ed equità delle norme stesse, la loro coerenza con principi superiori, la competenza di chi giudica.

Abbiamo visto come la normativa italiana consenta – anzi, richieda – la sospensione del processo tributario in alcuni casi circoscritti (querela di falso, status persone) e, per il resto, affidi al giudice (e alla diligenza delle parti) il compito di valutare quando ricorrere a rinvii pregiudiziali alla Corte Costituzionale, alla Corte di Giustizia UE o alla stessa Corte di Cassazione. Il panorama è completato dall’attenzione alle riforme recenti: la spinta alla nomofilachia e alla riduzione dei tempi del contenzioso ha generato quegli strumenti innovativi (come l’art. 363-bis c.p.c. e l’intervento del Procuratore Generale) che già iniziano a dare frutti nella giustizia tributaria.

Per gli avvocati tributaristi, quanto esposto evidenzia l’importanza di un approccio avanzato e interdisciplinare: non basta conoscere le norme fiscali, serve saper argomentare su piani costituzionali e comunitari, saper quando chiamare in causa un altro giudice (nazionale o europeo) e quando invece conviene far decidere al proprio giudice anche questioni atipiche. La difesa del contribuente si giova di tutti questi livelli di tutela: nazionale ordinaria, costituzionale e sovranazionale. Come dimostrato, in più di un caso la vittoria del contribuente è arrivata proprio tramite una Corte esterna (si pensi alle tante norme fiscali aggiustate dalla Corte Costituzionale negli ultimi anni, o alle interpretazioni pro-contribuente provenienti dalla CGUE, ad esempio sul diritto alla detrazione IVA nonostante formalità non rispettate, in nome della sostanza).

Per i privati e imprenditori che leggono questa guida, il messaggio è duplice: da un lato, sapere che esistono questi meccanismi dovrebbe dare fiducia sul fatto che il sistema ha dei correttivi intrinseci contro le ingiustizie più macroscopiche; dall’altro, è bene comprendere che queste sono partite complesse, da affrontare con il giusto supporto tecnico e con pazienza, poiché le questioni pregiudiziali spesso allungano la durata della causa (anche se poi la risolvono in modo risolutivo). Un imprenditore che si trovi dinanzi a un accertamento magari basato su una norma ambigua dovrebbe essere pronto, insieme al suo legale, a valutare non solo la difesa sul merito ma anche se ci sono estremi per innestare una questione di legittimità o un rinvio alla Cassazione per fare chiarezza subito.

In conclusione, le questioni pregiudiziali nel processo tributario sono un terreno dove si gioca una parte importante delle garanzie del contribuente. Esse costituiscono un ponte tra il caso specifico e l’ordinamento nel suo insieme: attraverso la singola controversia, si possono infatti provocare pronunce che incidono sulle leggi o sull’interpretazione delle stesse, beneficiando una platea ben più ampia del singolo ricorrente. Per questo, vanno maneggiate con competenza e senso di responsabilità. Speriamo che questa guida – con fonti e riferimenti aggiornati – sia servita a illuminare questo percorso, fornendo sia un quadro teorico sia indicazioni pratiche per navigare al meglio nelle acque spesso agitate del contenzioso tributario avanzato.

Fonti

  1. Corte Costituzionale – Sentenza n. 60/2024 (depositata il 22/04/2024) – Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, c.1, D.Lgs. 23/2011 (IMU) nella parte in cui non esenta gli immobili occupati abusivamente, perché in contrasto con i principi di capacità contributiva ed eguaglianza (artt. 53 e 3 Cost.).
  2. Corte Costituzionale – Sentenza n. 111/2024 (27/06/2024) – Ha esaminato la legittimità del contributo straordinario 2022 sugli extraprofitti energetici: dichiarato conforme in generale, ma illegittimo nel computo delle accise nella base imponibile, per violazione dei principi di capacità contributiva.
  3. Corte Costituzionale – Sentenza n. 21/2024 (20/02/2024) – Riguardante la deducibilità parziale dell’IMU sugli immobili strumentali dal reddito d’impresa: la Corte ha dichiarato inammissibili o non fondate le questioni sollevate, confermando la legittimità del regime di deducibilità limitata vigente negli anni 2014-2018.
  4. Corte di Cassazione, Sezioni Unite – Sentenza n. 34851/2023 (13/12/2023) – Ha risolto positivamente la questione dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. nel processo tributario, sancendo l’applicabilità dell’istituto ai giudizi tributari di merito in virtù del rinvio generale alle norme del c.p.c..
  5. Diritto comunitario (UE) – Sentenza Corte di Giustizia UE (Sesta Sezione) 13/03/2025, causa C-640/23 “Greentech” – Principi affermati sul recupero dell’IVA indebitamente fatturata e versata, in relazione a riqualificazione come cessione d’azienda fuori campo IVA, evidenziando i principi di neutralità fiscale e tutela del legittimo affidamento.
  6. Osservatorio Giustizia Tributaria – Articolo su Corte Cass. SU ord. n. 21642/2021 (riparto di giurisdizione tra giudice tributario e ordinario) – Riassume il principio enunciato dalle Sezioni Unite secondo cui gli atti della riscossione coattiva di entrate non tributarie (es. crediti previdenziali, multe) non rientrano nella giurisdizione tributaria.
  7. Agenzia delle Entrate – Circolare n. 38/E del 29/12/2015 – Riforma del processo tributario (D.Lgs. 156/2015) – Chiarisce, tra l’altro, la nuova disciplina della sospensione del processo per pregiudizialità interna (inserimento del comma 1-bis art. 39 D.Lgs. 546/92), distinguendo i casi di pregiudizialità esterna (limitate ai casi di legge) e interna (ora normata).
  8. Cassazione civile, Sez. Trib. – ordinanza n. 7952/2024 (25/03/2024) – Riafferma l’applicabilità dell’art. 295 c.p.c. nel processo tributario per sospendere un giudizio in pendenza di altro giudizio tributario pregiudicante: “Qualora tra due giudizi tributari esista rapporto di pregiudizialità, va disposta la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c.”.

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Hai avviato un ricorso contro l’Agenzia delle Entrate o un altro ente fiscale e ti è stato detto che ci sono questioni pregiudiziali da risolvere prima di discutere il merito? Ma cosa sono esattamente le questioni pregiudiziali nel processo tributario?

Le questioni pregiudiziali sono quelle che devono essere risolte prima di poter decidere sul contenuto della controversia. In pratica, si tratta di condizioni necessarie affinché il processo tributario possa proseguire regolarmente.

🧾 Esempi di questioni pregiudiziali

  • Accertamento della legittimità dell’atto presupposto (es. un atto che fonda l’accertamento oggetto del ricorso)
  • Verifica della giurisdizione o competenza del giudice tributario
  • Esistenza di una questione penale connessa, la cui definizione può incidere sul giudizio fiscale
  • Necessità di chiarire prima un rapporto civile, amministrativo o societario da cui dipende il contenuto dell’atto fiscale
  • Validità di una sentenza precedente che ha effetti vincolanti sul giudizio in corso

🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza in dettaglio il tuo caso e gli atti impugnati
  • 📌 Individua eventuali questioni pregiudiziali e le solleva tempestivamente nel processo
  • ✍️ Redige memorie e istanze tecniche per ottenere la sospensione o la definizione preliminare di tali questioni
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, anche in presenza di procedimenti connessi
  • 🔁 Ti assiste nella gestione di processi paralleli (civili, penali o amministrativi) che incidono sul giudizio fiscale

🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale complesso
  • ✔️ Specializzato nella gestione di questioni pregiudiziali, sospensive e connesse nel processo tributario
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia

Conclusione

Le questioni pregiudiziali possono determinare l’ammissibilità e l’esito del processo tributario. Riconoscerle e gestirle correttamente significa costruire una difesa solida fin dall’inizio.

📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa comincia dalle basi.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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