Hai sentito parlare di eccezioni procedurali nel processo tributario, ma non sai bene cosa siano?
Se stai affrontando un ricorso contro un avviso di accertamento, una cartella esattoriale o un atto della Riscossione, è importante capire cosa sono le eccezioni procedurali, quando si sollevano e perché possono essere decisive per annullare l’atto senza neppure entrare nel merito.
Cosa si intende per eccezioni procedurali nel processo tributario
Le eccezioni procedurali sono argomentazioni difensive che riguardano vizi formali e irregolarità nella procedura con cui è stato formato, notificato o gestito l’atto impugnato. Non entrano nel merito del debito (cioè non contestano se l’imposta è dovuta), ma attaccano la regolarità del procedimento seguito dall’Amministrazione finanziaria.
Se accolte, possono portare all’annullamento dell’atto, anche se il tributo sarebbe teoricamente dovuto.
Esempi tipici di eccezioni procedurali nel processo tributario
– Notifica irregolare o inesistente dell’atto (es. cartella inviata a un indirizzo sbagliato o senza prova di consegna)
– Violazione del contraddittorio, quando l’Amministrazione non ha dato la possibilità di replica prima dell’accertamento
– Mancanza di motivazione, cioè quando l’atto non spiega sufficientemente le ragioni della pretesa
– Decadenza o prescrizione dei termini, se l’atto è stato emesso o notificato troppo tardi
– Incompetenza dell’ufficio emittente, se l’atto è stato firmato da un funzionario non abilitato
– Errata sottoscrizione dell’atto, o mancanza della firma digitale ove richiesta
– Assenza di delega alla firma, nel caso di atti firmati da soggetti non legittimati
– Irregolarità nella fase di riscossione, come l’omessa notifica dell’atto presupposto (es. iscrizione a ruolo senza avviso di accertamento)
Perché le eccezioni procedurali sono così importanti
– Perché possono portare all’annullamento dell’atto fiscale senza dover discutere il merito del debito
– Perché spesso l’Agenzia delle Entrate o l’Agente della Riscossione commettono errori tecnici nei tempi, nelle firme o nelle notifiche
– Perché ti permettono di bloccare subito l’azione esecutiva, se sollevate in tempo
– Perché sono spesso più facili da provare rispetto a una difesa nel merito
Come e quando si sollevano le eccezioni procedurali
– All’interno del ricorso introduttivo presentato alla Corte di Giustizia Tributaria
– In modo preciso e dettagliato, indicando l’eccezione e allegando eventuali prove documentali (es. atti non ricevuti, indirizzi sbagliati, firme mancanti)
– Prima che il giudice entri nel merito, poiché le eccezioni procedurali sono preliminari
– Con l’aiuto di un avvocato esperto, che sa riconoscere i vizi tecnici e farli valere nei modi e nei tempi previsti
Cosa puoi ottenere con una corretta eccezione procedurale
– L’annullamento totale dell’atto impugnato (accertamento, cartella, intimazione, pignoramento)
– La sospensione delle azioni esecutive, come fermi, ipoteche o pignoramenti
– La chiusura della controversia senza dover discutere l’imposta
– Il riconoscimento delle spese legali a tuo favore, se il ricorso viene accolto
– Una difesa rapida, efficace e meno costosa rispetto a un giudizio sul merito
Attenzione: le eccezioni procedurali non si improvvisano. Vanno sollevate nei termini previsti e con argomentazioni tecniche solide. Ma se identifichi un vizio procedurale ben fondato, puoi ribaltare l’intera pretesa fiscale e annullare l’atto senza dover dimostrare altro.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario, ricorsi fiscali e difesa tecnica del contribuente ti spiega cosa sono le eccezioni procedurali, come riconoscerle e come usarle per bloccare accertamenti, cartelle e riscossioni illegittime.
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Introduzione
Nel processo tributario – che regola le controversie tra contribuenti (debitore d’imposta) e l’Amministrazione finanziaria – le eccezioni procedurali svolgono un ruolo cruciale. Si tratta delle difese di natura processuale che le parti possono opporre per far valere vizi o questioni preliminari, capaci di influire sull’ammissibilità o sullo svolgimento del giudizio, talora fino a definirlo senza entrare nel merito della pretesa tributaria. Per un contribuente, conoscere e sollevare tempestivamente tali eccezioni può significare ottenere l’annullamento di un atto impositivo per motivi formali, evitando così il pagamento di un tributo non dovuto indipendentemente dalla fondatezza sostanziale della pretesa fiscale.
Questa guida – aggiornata a luglio 2025 – offre un quadro avanzato delle eccezioni procedurali nel processo tributario italiano dal punto di vista del debitore (ossia del contribuente che impugna un atto fiscale). Verranno esaminate le diverse tipologie di eccezioni, distinguendo tra quelle rilevabili d’ufficio dal giudice e quelle che devono invece essere sollevate dalla parte interessata (le cosiddette eccezioni “in senso stretto”), evidenziando gli effetti della loro mancata proposizione. Si approfondiranno inoltre le novità normative introdotte dalla recente riforma Cartabia in ambito processuale civile e dalla riforma del processo tributario attuata col D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220, incluse le modifiche sul divieto di ius novorum in appello e le altre innovazioni procedurali. Non mancheranno richiami a giurisprudenza aggiornata – dalle pronunce della Corte di Cassazione alle decisioni della Corte Costituzionale – soprattutto riguardo alle questioni di legittimità costituzionale emerse in materia (anche quelle sollevate d’ufficio dai giudici tributari).
Nozione e funzione delle eccezioni procedurali
In termini generali, un’eccezione è lo strumento processuale con cui una parte oppone un fatto o una regola giuridica idonei a paralizzare, estinguere o comunque ostacolare la pretesa avversaria. Nel processo tributario, che ha natura di giudizio di impugnazione dell’atto fiscale, le eccezioni assumono spesso la forma di contestazioni sulla regolarità del procedimento e degli atti (dall’emissione alla notifica), nonché sull’ammissibilità del ricorso o di singole domande. Si parla di eccezioni procedurali (o eccezioni di rito) per distinguerle dalle eccezioni di merito: le prime attengono al rispetto delle regole del processo e dei requisiti formali degli atti, le seconde riguardano la fondatezza sostanziale della pretesa tributaria (es. l’inesistenza del presupposto d’imposta, la duplicazione d’imposta, ecc.).
È fondamentale comprendere che il processo tributario è impugnatorio: il contribuente (pur debitore in senso sostanziale) ricopre il ruolo di attore formale, impugnando l’atto impositivo, mentre l’Amministrazione finanziaria è convenuta formale ma attore sostanziale, in quanto titolare della pretesa impositiva contenuta nell’atto impugnato. Ne consegue che l’oggetto del giudizio tributario è rigidamente delimitato dai motivi specifici dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo. In altre parole, il giudice tributario può scrutinare la legittimità dell’atto impugnato solo in relazione ai vizi e alle questioni sollevate dal ricorrente; non può spingersi oltre le contestazioni formulate (pena una “extra o ultra petizione” ex art. 112 c.p.c.). Questo principio incide direttamente sulle eccezioni: molte di esse devono essere espressamente sollevate dal contribuente sin dal ricorso iniziale, altrimenti non entreranno nel thema decidendum del processo.
Vi sono tuttavia eccezioni rilevabili d’ufficio dal giudice anche se non dedotte dalla parte, in virtù di un principio generale del processo italiano secondo cui il giudice ha il potere-dovere di rilevare autonomamente taluni vizi o questioni “di ordine pubblico processuale” (ad esempio, la giurisdizione, la litispendenza, il giudicato esterno, l’incompetenza assoluta ecc.). Tale principio è sancito, in negativo, dall’art. 112 c.p.c., secondo cui “il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti”. Corollario: se una data eccezione può essere sollevata soltanto dalla parte interessata, il giudice non può rilevarla di propria iniziativa; viceversa, in assenza di una riserva specifica a favore della parte, l’eccezione si considera di regola liberamente rilevabile d’ufficio. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato chiaramente che nell’ordinamento vige la generale rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, salvo i casi in cui una norma stabilisca che sia necessaria l’istanza di parte. In particolare, sono riservate alla parte solo quelle eccezioni in cui “la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva” ovvero per cui “singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte”.
Questa distinzione è recepita anche nel Codice del processo tributario (D.lgs. 546/1992). L’art. 57, comma 2, D.lgs. 546/92 stabilisce infatti che “nel giudizio di appello non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”. Ciò significa, a contrario, che sono ammesse in appello solo le eccezioni rilevabili d’ufficio dal giudice (oltre naturalmente a quelle già sollevate in primo grado). Le eccezioni in senso stretto (cioè non rilevabili d’ufficio) devono essere già state formulate dal contribuente nel ricorso introduttivo, pena la loro decadenza e inammissibilità se proposte tardivamente. Approfondiremo a breve la differenza tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato (o improprio), cruciale per orientarsi tra ciò che va dedotto subito dalla parte e ciò che invece il giudice può considerare anche d’ufficio.
In sintesi, le eccezioni procedurali nel processo tributario assolvono a due funzioni essenziali: (1) garantire il rispetto delle regole del “giusto processo” (art. 111 Cost.), assicurando che il giudizio si svolga davanti al giudice dotato di giurisdizione e competenza, in contraddittorio tra le parti e nel rispetto delle forme e dei termini di legge; (2) tutelare il diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.), permettendogli di far valere eventuali irregolarità o illegittimità formali che possano invalidare l’atto impositivo o il procedimento di accertamento, spesso senza bisogno di addentrarsi nel merito fiscale. Nella pratica, l’accoglimento di un’eccezione processuale può condurre all’annullamento dell’atto impugnato (o all’estinzione del giudizio) per motivi formali, costituendo una vittoria “procedurale” del contribuente. Di contro, la mancata sollevazione di un’eccezione di rito da parte del contribuente nei casi richiesti può comportare la irreversibile sanatoria di quel vizio e la conseguente perdita di una potenziale difesa.
Nei paragrafi che seguono verranno esaminate le principali eccezioni procedurali tipiche del processo tributario, con indicazione della loro natura (rilevabile d’ufficio oppure solo a istanza di parte), dei termini e modi di proposizione e degli effetti che producono. Saranno evidenziati gli orientamenti giurisprudenziali più recenti e le novità normative che hanno inciso sulla disciplina (come le riforme introdotte nel 2022-2024). Una volta chiarito il quadro generale, una tabella riepilogativa elencherà schematicamente le eccezioni più rilevanti. Seguiranno, come anticipato, alcune simulazioni pratiche e una sessione di Domande & Risposte per consolidare la comprensione.
Eccezioni “in senso stretto” ed eccezioni rilevabili d’ufficio (in senso lato)
Prima di elencare le eccezioni procedurali specifiche, è necessario comprendere la distinzione concettuale tra eccezioni in senso stretto (proprio) ed eccezioni in senso lato (improprio), spesso richiamata dalla giurisprudenza tributaria. Questa distinzione attiene al modo in cui l’eccezione opera nel processo e da chi deve essere attivata.
- Eccezioni in senso stretto: sono quelle difese con cui il contribuente (in qualità di convenuto sostanziale) fa valere un fatto giuridico estintivo, impeditivo o modificativo della pretesa fiscale, introducendo nel giudizio elementi nuovi rispetto alla “causa petendi” originaria dell’atto impugnato. Si tratta, in sostanza, di eccezioni che ampliano il tema della decisione, perché richiedono una specifica indagine su fatti ulteriori non esaminati in primo grado. Proprio per questa loro natura, devono essere sollevate dalla parte interessata – tipicamente il contribuente – nel primo grado di giudizio, pena l’esclusione dal processo (divieto di ius novorum). In appello, infatti, è fatto divieto di introdurre eccezioni nuove in senso stretto (non rilevabili d’ufficio) ai sensi dell’art. 57 citato. Esempi tipici di eccezioni in senso stretto: la prescrizione del credito tributario; la decadenza dell’Amministrazione dal potere accertativo; la compensazione con crediti del contribuente; l’avvenuto condono o definizione agevolata; l’avvenuto pagamento del tributo; la mancanza di notifica di atti presupposti eccepita come fatto estintivo; ecc. In tutti questi casi, siamo di fronte a fatti o circostanze esterni rispetto all’atto impugnato (ad esempio, il decorso del tempo, un pagamento effettuato, un condono legislativo) che il giudice non può conoscere né rilevare autonomamente senza che siano dedotti e provati dalla parte. Conseguentemente, spetta al contribuente allegarli e provarli tempestivamente. Se tali eccezioni non vengono sollevate nel ricorso introduttivo (o al più tardi nella prima difesa utile), esse non potranno essere esaminate successivamente: il giudice non potrebbe prenderle in considerazione d’ufficio e il contribuente, in appello, ne sarebbe precluso. La Corte di Cassazione ha ribadito di recente questo principio, affermando che “l’eccezione di prescrizione è eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, da proporsi nella prima difesa”. In particolare, la Suprema Corte (ord. n. 8034/2024) ha dichiarato inammissibile il motivo d’appello con cui il contribuente, in quella causa, aveva eccepito la prescrizione dei crediti tributari solo in secondo grado, confermando che il divieto di nova in appello (art. 57 D.lgs. 546/92) si applica sia alle domande nuove sia alle eccezioni in senso proprio quando implicano fatti nuovi che alterano gli elementi di base della pretesa fiscale. Analogamente, si considera eccezione in senso stretto l’eccezione di decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento o di riscossione (es. decadenza dalla notifica dell’accertamento entro i termini di legge, decadenza dalla notifica della cartella entro i termini previsti): anch’essa, se non dedotta dal contribuente, non può essere rilevata dal giudice e l’atto impositivo rimarrà valido. (Si segnala tuttavia che decadenze e prescrizioni spesso emergono da date e atti presenti nel processo, per cui in dottrina si è discusso se il giudice possa considerarle ex officio come invalidità dell’atto; la Cassazione finora le assimila alle eccezioni non rilevabili d’ufficio, salvo il caso – raro – in cui una norma speciale stabilisca diversamente).
- Eccezioni in senso lato (o mere difese): sono, per converso, quelle contestazioni o argomentazioni difensive che *non introducono nuovi fatti estranei alla causa petendi originaria, ma si limitano a negare la fondatezza della pretesa tributaria nell’ambito dei presupposti già dedotti. In pratica, sono difese “improprie” che non ampliano il thema decidendum, ma restano interne al medesimo contesto fattuale e normativo dell’atto impugnato. Tali eccezioni in senso lato non sono soggette a preclusioni e possono essere rilevate anche d’ufficio dal giudice, ove pertinenti, poiché rientrano nell’ambito della valutazione della legittimità dell’atto alla luce dei motivi dedotti. Un esempio classico: nell’impugnare un avviso di accertamento basato sugli studi di settore, il contribuente deduce l’infondatezza della ricostruzione dei ricavi; se in appello aggiunge la doglianza che lo scostamento fra ricavi dichiarati e ricavi accertati non integra una “grave incongruenza” (presupposto legale per l’accertamento da studi di settore), tale contestazione non introduce un fatto nuovo, ma è una mera difesa aggiuntiva sul medesimo tema. La Cassazione ha giudicato una simile doglianza un’eccezione in senso lato, dunque non vietata in appello. In generale, non costituiscono nuove eccezioni vietate tutte le argomentazioni giuridiche aggiuntive che non alterano i fatti oggetto di causa ma offrono una diversa qualificazione giuridica o evidenziano profili ulteriori di illegittimità dell’atto impugnato già rientranti nella contestazione originaria. Ad esempio, se il contribuente nel ricorso principale ha eccepito l’illegittimità di un avviso per difetto di motivazione, potrà anche in appello sviluppare nuovi argomenti a sostegno di quel vizio motivazionale (purché basati su elementi già noti); oppure, se impugna una cartella esattoriale per vizi di notifica, potrà richiamare ulteriori irregolarità notificate emerse dagli atti senza incorrere in preclusioni, in quanto il tema – la validità della notifica – era già in discussione. In sostanza, rientrano nelle eccezioni in senso lato tutte le difese che non richiedono la deduzione di nuovi fatti costitutivi o estintivi, ma sfruttano il materiale probatorio già acquisito e le stesse circostanze di causa. Secondo le Sezioni Unite, il giudice può (anzi, deve) attribuire rilevanza ai fini della decisione anche a fatti modificativi/estintivi risultanti dagli atti di causa se la loro eccezione non richiede necessariamente un’iniziativa della parte. Ciò non viola il divieto di “extra petizione”, poiché il giudice sta semplicemente valutando diversamente elementi già emersi nel processo. Un caso particolare è la eccezione di giudicato esterno: la formazione di un giudicato su una medesima questione tra le stesse parti in altra causa è considerata eccezione rilevabile d’ufficio (trattandosi di materia di ordine pubblico), a condizione che il giudicato risulti dagli atti del processo. Ad esempio, se il contribuente ha ottenuto in un precedente giudizio una sentenza definitiva a sé favorevole sul medesimo tributo e periodo, il giudice tributario deve tenerne conto d’ufficio, anche se la parte non glielo segnala, purché il relativo documento sia prodotto in giudizio.
Sintesi pratica: Per il contribuente è prudente dedurre già nel ricorso introduttivo tutte le possibili eccezioni sostanziali e procedurali a sua disposizione. In particolare, le difese che comportano l’allegazione di fatti “nuovi” (termine scaduto, pagamento avvenuto, ecc.) vanno tempestivamente sollevate, perché il giudice non potrà introdurle di sua iniziativa successivamente. Viceversa, su aspetti come la fondatezza giuridica della pretesa o la validità formale dell’atto già contestati, il contribuente può sviluppare anche in corso di causa nuove argomentazioni, e il giudice stesso può rilevare profili ulteriori (ad esempio un vizio di nullità assoluta) nell’ambito della domanda già proposta.
Nel prossimo paragrafo passeremo in rassegna le principali eccezioni procedurali del processo tributario, catalogandole in base all’oggetto (giurisdizione, competenza, legittimazione, notifiche, atti, ecc.) e indicando per ciascuna se è rilevabile d’ufficio oppure no, con riferimenti a norme e sentenze aggiornate.
Principali eccezioni procedurali nel processo tributario
Di seguito elenchiamo le eccezioni di rito più frequenti che possono emergere in un giudizio tributario, suddivise per materia. Per ciascuna, si indica in che cosa consiste, chi può (o deve) sollevarla e quando, e quali effetti produce sul processo. Verranno segnalate le novità normative intervenute e i più recenti orientamenti giurisprudenziali.
1. Eccezione di difetto di giurisdizione
In cosa consiste: è la contestazione relativa alla giurisdizione del giudice tributario sulla controversia. Il processo tributario rientra nella giurisdizione speciale tributaria per le materie elencate nell’art. 2 D.lgs. 546/1992 (imposte di ogni tipo, tributi locali, sanzioni amministrative tributarie, contributi previdenziali se affidati ad agenti della riscossione, ecc.), mentre restano fuori ad esempio le cause sul tributo doganale (accise, dazi, competenza delle Commissioni UE e giudice ordinario per alcuni profili), alcune controversie catastali e in generale tutto ciò che attiene a diritti soggettivi non fiscali. Il difetto di giurisdizione può manifestarsi in due forme: (a) difetto assoluto di giurisdizione (es. materia riservata al potere legislativo o amministrativo, o già decisa con giudicato internazionale); (b) sconfinamento in altra giurisdizione (es. controversia rientrante nella giurisdizione civile ordinaria o amministrativa anziché tributaria).
Chi e quando la solleva: Il difetto di giurisdizione non è nella disponibilità delle parti, attiene all’ordine pubblico processuale. Può (e deve) essere rilevato d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, anche in Cassazione. La parte resistente (ente impositore) può eccepirlo nelle prime difese qualora ritenga che la controversia non appartenga al giudice adito (esempio: il contribuente impugna un atto che andava invece contestato davanti al giudice amministrativo, come un diniego di autotutela discrezionale). Se la Commissione tributaria rileva il difetto di giurisdizione, deve pronunciare sentenza dichiarativa (impugnabile con regolamento preventivo di giurisdizione innanzi alle Sezioni Unite della Cassazione, ai sensi dell’art. 41 c.p.c., su iniziativa della parte soccombente entro 6 mesi).
Effetti: La declaratoria di difetto di giurisdizione comporta la nullità del giudizio dinanzi al giudice incompetente e l’estinzione del processo tributario. Se possibile, il giudice indica anche il giudice nazionale o straniero ritenuto munito di giurisdizione. Ad esempio, se il contribuente ha erroneamente adito la Corte di Giustizia Tributaria per una questione che rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario (come un’azione di ripetizione d’indebito su somme versate spontaneamente, considerata materia civile), la Commissione dichiarerà il difetto di giurisdizione del giudice tributario. Questa eccezione, essendo rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, può essere sollevata anche per la prima volta in appello o persino in Cassazione (qui tramite specifico motivo di ricorso oppure d’ufficio dalla stessa Corte). Non opera dunque la preclusione dell’art. 57 in quanto la giurisdizione è sempre scrutinabile d’ufficio.
Profili giurisprudenziali: La Corte di Cassazione ha stabilito, ad esempio, che appartengono alla giurisdizione tributaria anche controversie formalmente riguardanti atti della riscossione ma sostanzialmente relative alla debenza del tributo (es. impugnazione di estratti di ruolo al fine di contestare il mancato invio di atti presupposti: su tale questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 190/2023, come si dirà oltre). La Cassazione a Sezioni Unite è giudice ultimo del riparto di giurisdizione: recenti decisioni hanno chiarito confini prima incerti (ad esempio, SU n. 8770/2020 ha attribuito ai giudici tributari le cause su contributi unificati e spese di giustizia iscritti a ruolo, prima dibattute). In ogni caso, l’eccezione di giurisdizione può essere sollevata anche d’ufficio in ogni fase: il giudice tributario è tenuto a declinare la giurisdizione se rileva di non averla, a pena di nullità insanabile della decisione.
Esempio pratico: Tizio impugna innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione) un provvedimento di revoca di un beneficio edilizio locale, chiedendone l’annullamento. L’ente locale eccepisce difetto di giurisdizione: trattandosi di provvedimento non strettamente impositivo (non riguarda un tributo ma la revoca di una concessione), la controversia sarebbe di competenza del TAR (giudice amministrativo). La Commissione, condividendo l’eccezione, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice tributario in favore del TAR competente. Se la questione non fosse stata eccepita, la Commissione avrebbe dovuto rilevarla anche d’ufficio, essendo materia sottratta al proprio ambito.
2. Eccezione di incompetenza territoriale o per materia
In cosa consiste: riguarda la competenza del singolo ufficio giudiziario tributario adito. Nel processo tributario, la competenza è perlopiù determinata su base territoriale (corrispondente alla circoscrizione dell’ente impositore o al domicilio fiscale del contribuente, secondo le regole dell’art. 4 D.lgs. 546/92). Esistono anche criteri di competenza per materia/valore nelle giurisdizioni di merito: ad esempio, dal 2023 le controversie fino a €5.000 in primo grado sono decise in composizione monocratica (giudice singolo), mentre quelle di valore superiore o di particolare materia restano in collegiale. L’eccezione di incompetenza verte dunque sull’errata individuazione del giudice tributario competente (es.: ricorso proposto presso la Corte di Giustizia Tributaria provinciale sbagliata).
Chi e quando la solleva: La competenza territoriale nel processo tributario non è espressamente disciplinata come nel c.p.c., ma per analogia valgono i principi generali. La competenza territoriale non inderogabile va eccepita dalla parte convenuta (tipicamente l’ente impositore) nella prima risposta (controdeduzioni in primo grado) oppure, se non ha potuto eccepirla perché contumace, può farlo all’udienza di prima comparizione. Se nessuna parte eccepisce l’incompetenza territoriale relativa, la competenza si radica in quel giudice (proroga tacita). Diverso il caso della competenza per materia o valore (es. se fosse adito un giudice monocratico invece del collegio, o viceversa): questa attiene all’ordine pubblico e può essere rilevata anche d’ufficio. In pratica, se un ricorso di valore alto venisse deciso da un giudice monocratico che non ne aveva la competenza per valore, la decisione sarebbe nulla rilevabile d’ufficio. Viceversa, la competenza territoriale dei giudici tributari, essendo stabilita per legge, viene considerata tendenzialmente inderogabile (ma su ciò la giurisprudenza tributaria è scarsa, rifacendosi per analogia all’art. 38 c.p.c.).
Effetti: Se l’eccezione è accolta (ovvero se il giudice stesso si dichiara incompetente), viene pronunciata ordinanza o sentenza declinatoria della competenza, indicando il giudice competente e fissando un termine per la riassunzione davanti a questo (tipicamente 60 giorni dalla comunicazione). Nel processo tributario, però, l’ipotesi è rara, poiché la normativa ha semplificato molto: ad esempio, in passato vi erano dubbi su contenziosi coinvolgenti più enti impositori (Agenzia Entrate e Agente della riscossione); oggi l’art. 14, D.lgs. 546/92, come modificato dal D.lgs. 156/2015, prevede il litisconsorzio necessario tra ente impositore e concessionario quando si impugnano sia la pretesa tributaria sia la cartella esattoriale, evitando conflitti di competenza. Inoltre, la riforma 2023 ha introdotto l’art. 14 comma 6-bis D.lgs. 546/92 che obbliga il contribuente, se eccepisce vizi di notifica di un atto presupposto emesso da diverso ente, a proporre ricorso contro entrambi i soggetti (ad es., se impugna una cartella eccependo la mancata notifica dell’atto di accertamento sottostante emesso dall’Agenzia Entrate, deve chiamare in causa sia l’Agente della riscossione sia l’Agenzia). Questa norma mira a evitare che si discuta separatamente davanti a giudici diversi, prevenendo così pronunce contrastanti e questioni di competenza.
Profili giurisprudenziali: Un’importante pronuncia delle Sezioni Unite civili (Cass. SS.UU. n. 11676/2024) ha chiarito la questione della necessità di integrare il contraddittorio in appello nei confronti di parti presenti in primo grado ma non appellate. Ha stabilito che la regola tributaria (art. 53, co.2 D.lgs. 546/92) che impone l’appello contro tutte le parti di primo grado non elimina la distinzione tra cause inscindibili e scindibili propria del processo civile. Pertanto, se in appello una parte originaria non è chiamata ma la causa nei suoi confronti era scindibile (ad esempio l’Agente della riscossione in una lite che verteva solo sul merito della pretesa verso l’Agenzia), non è necessario integrare il contraddittorio e l’omessa citazione non comporta nullità dell’appello. Al contrario, se la causa era inscindibile, il giudice d’appello deve ordinare l’integrazione ex art. 331 c.p.c. Pena, altrimenti, l’invalidità del procedimento. Questa pronuncia, pur riguardando il litisconsorzio necessario in appello, riflette sulla competenza/giurisdizione in senso lato: evita che appellare “nel foro sbagliato” (non includendo un soggetto necessario) pregiudichi il giudizio, salvo casi d’inscindibilità.
Esempio pratico: Caio riceve un avviso di accertamento dall’Ufficio di Milano dell’Agenzia Entrate, ma per errore presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di Roma. L’Agenzia, costituendosi, eccepisce l’incompetenza territoriale, sostenendo che il giudice competente era quello di Milano (luogo dell’ufficio impositore). Se l’eccezione è fondata, il giudice romano dichiarerà la propria incompetenza e indicherà la Corte di Milano come competente, dinanzi alla quale Caio dovrà riassumere la causa. Se Caio non lo farà nei termini, il ricorso si estinguerà. – In mancanza di eccezione, però, la trattazione a Roma comporterà una tacita proroga della competenza (a meno che l’incompetenza non sia assoluta): la sentenza poi rimarrà valida, salva impugnazione. Va notato che casi del genere sono divenuti rari grazie all’informatizzazione: il ricorso telematico viene indirizzato all’ufficio giudiziario competente di regola.
3. Eccezione di difetto di legittimazione attiva/passiva e di interesse ad agire
In cosa consiste: riguarda i requisiti soggettivi delle parti in giudizio. Si ha difetto di legittimazione attiva quando il ricorso è proposto da un soggetto che non è titolare del rapporto controverso o non è ammesso a ricorrere. Per esempio, un ricorso presentato da un soggetto privo di rappresentanza legale del contribuente, oppure da un contribuente contro un atto che riguarda un altro soggetto, o ancora un ricorso cumulativo da parte di un’associazione non legittimata a rappresentare i singoli contribuenti. Il difetto di legittimazione passiva concerne invece l’individuazione dell’ente resistente: ad esempio, citare il Ministero dell’Economia e Finanze invece dell’Agenzia delle Entrate, quando invece quest’ultima è l’ente impositore autonomo (dal 2001 il MEF non è più legittimato passivamente nelle liti d’imposta). Oppure convenire in giudizio solo l’Agente della riscossione per contestare anche il merito della pretesa fiscale, omettendo l’Agenzia: in tal caso vi è difetto di legittimazione passiva parziale (ora risolvibile col litisconsorzio di cui sopra). Infine, l’assenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) può essere eccepita quando il ricorrente non ha un interesse concreto e attuale alla decisione: ad esempio, impugnare un atto ormai annullato in autotutela o un provvedimento che non arreca alcun pregiudizio.
Chi e quando la solleva: Il difetto di legittimazione e di interesse costituisce in sostanza una causa di inammissibilità del ricorso, e come tale può essere rilevata d’ufficio dal giudice (oltre che eccepita dalla parte resistente). Non essendo una “eccezione in senso stretto” riservata alle parti, il giudice vi deve badare fin dal primo esame del ricorso (art. 27 D.lgs. 546/92 prevede che le questioni pregiudiziali, tra cui l’eventuale inammissibilità, siano decise prima del merito). Dunque, l’eccezione può emergere in qualsiasi momento appena il vizio si palesa: tipicamente all’udienza o in camera di consiglio di prima trattazione, o in appello se non rilevata prima. La parte resistente comunque ha interesse a sollevarla subito, chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Effetti: Se accertato il difetto di legittimazione o l’assenza di interesse, il ricorso viene dichiarato inammissibile o improcedibile, con chiusura immediata del processo senza esame del merito. Nel caso di errata individuazione della parte resistente, c’è un particolare rimedio: la giurisprudenza ha chiarito che la notifica del ricorso all’ente non legittimato (es. al MEF invece che all’Agenzia) non impedisce l’instaurazione del contraddittorio con l’ente giusto se quest’ultimo si costituisce spontaneamente. Spesso, infatti, le Avvocature distrettuali dello Stato, se ricevono un ricorso intestato al Ministero ma inerente ad atti dell’Agenzia, si costituiscono per conto dell’Agenzia, sanando così la controversia (principio di sostituzione processuale). Se però nessuno si costituisce, il giudice può rilevare il difetto di parte resistente legittimata e dichiarare l’inammissibilità. Quanto al difetto di rappresentanza (ricorso firmato da difensore senza procura valida, o da soggetto non legittimato come l’ex socio di società estinta), esso è sanabile se la parte provvede a rilasciare valida procura entro termine (cd. “vocatio in ius” valida tardiva, ora facilitata anche via PEC) oppure a regolarizzare la propria posizione (es. nominando un curatore per la società estinta). In mancanza di sanatoria, il ricorso è inammissibile.
Profili giurisprudenziali: La Cassazione ha affermato chiaramente che un ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia è inammissibile se l’Agenzia delle Entrate era l’unica legittimata, poiché tutti i rapporti giuridici e le competenze in materia fiscale sono stati trasferiti alle Agenzie dal 2001. La pronuncia Cass. n. 1550/2015, ad esempio, ha confermato che il MEF non ha legittimazione passiva nelle cause d’impugnazione di atti dell’Agenzia Entrate. In tema di interesse ad agire, la giurisprudenza tributaria ne richiede la presenza concreta: se, ad esempio, l’atto impugnato è privo di effetti lesivi (come un semplice avviso bonario non impugnabile), il ricorso verrà dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Anche l’impugnazione di un estratto di ruolo è stata a lungo ritenuta inammissibile per difetto di oggetto ed interesse; su questo è intervenuta la Corte Costituzionale: la sentenza n. 36/2021 ha censurato la prassi che negava tutela al contribuente ignaro di una cartella mai notificata, portando il legislatore (DL 146/2021) a prevedere che è possibile impugnare la cartella di cui si sia venuti a conoscenza tramite estratto di ruolo. La recente Corte Cost. n. 190/2023 ha dichiarato infondata la questione di legittimità sulla norma risultante, confermando la legittimità dell’impugnabilità del ruolo nei termini ora previsti. Questo ha rafforzato la tutela del contribuente e ridotto i casi di difetto di interesse in situazioni simili (prima un contribuente senza atto da impugnare non aveva interesse ad agire, oggi può agire appena scopre l’esistenza del debito da un estratto).
Esempio pratico: Sempronio impugna una cartella esattoriale per IVA notificata dall’Agente della riscossione, lamentando anche che l’accertamento sottostante dell’Agenzia sarebbe decaduto. Sempronio però notifica il ricorso solo all’Agente della riscossione, non coinvolgendo l’Agenzia. In giudizio, l’Agente eccepisce il difetto di legittimazione passiva sulla parte di causa relativa alla validità dell’accertamento (in cui controparte sostanziale sarebbe l’Agenzia) e chiede di estromettersi per quella parte. Oggi il giudice, in virtù dell’art. 14 co.6-bis D.lgs. 546/92, dovrebbe semmai ordinare l’integrazione del contraddittorio chiamando in causa l’Agenzia delle Entrate, anziché dichiarare inammissibile. Ma se ciò non fosse possibile (perché i termini di decadenza dall’impugnazione sono trascorsi), allora dichiarerà improcedibile l’impugnazione dei vizi dell’accertamento per difetto di legittimazione passiva, limitando il giudizio ai motivi inerenti alla cartella (vizi di notifica ecc., per i quali è legittimato l’Agente). – Un altro caso: il ricorso è firmato da Caio in persona senza l’assistenza di un difensore, ma il valore della causa supera €3.000 (quindi la difesa tecnica era obbligatoria ex art. 12 D.lgs. 546/92). L’ente resistente eccepisce il difetto di assistenza tecnica; il giudice concede termine a Caio per munirsi di difensore e depositare la relativa procura. Se Caio non adempie, il ricorso sarà dichiarato inammissibile per difetto di legitimatio ad causam attiva (mancata abilitazione a stare in giudizio).
4. Eccezioni attinenti agli atti introduttivi: inammissibilità o nullità del ricorso
In cosa consiste: investono la regolarità formale del ricorso introduttivo e della costituzione in giudizio. Possono riguardare: tardività del ricorso (proposto oltre i termini di decadenza – 60 giorni generalmente – dalla notifica dell’atto impugnato); omessa notifica o notifica nulla del ricorso all’ente resistente; vizi della procura alle liti (mancanza o irregolarità della firma, data, ecc.); mancata indicazione degli elementi essenziali nel ricorso (art. 18 D.lgs. 546/92 richiede l’indicazione dell’atto impugnato, dei motivi, del valore, della firma, etc.); difetto dei documenti allegati obbligatoriamente (es. l’atto impugnato, la prova della notifica dello stesso, etc.). Questi vizi attengono al momento genetico del processo e la loro corretta eccezione può impedire la stessa instaurazione valida del giudizio.
Chi e quando la solleva: Molte di tali questioni sono rilevabili d’ufficio dal giudice nel compimento del suo dovere di esame preliminare (art. 27, co.2 D.lgs. 546/92 impone di dichiarare con sentenza l’inammissibilità del ricorso se mancano i requisiti formali ex art. 18, se è tardivo, ecc.). Ad esempio, se il ricorso è stato notificato dopo il 60° giorno, il giudice d’ufficio ne dichiara l’irricevibilità per tardività (salvo che rilevi cause di sospensione del termine). La parte resistente comunque in genere eccepisce esplicitamente tali vizi nelle controdeduzioni, per cautela. La nullità della notifica del ricorso, invece, se non sanata dalla costituzione della controparte, dev’essere eccepita dal resistente alla prima udienza utile, oppure rilevata dal giudice. In ogni caso, molti di questi vizi sono anche sanabili: per es., se manca la firma in calce al ricorso, il giudice assegn(a un termine per la sottoscrizione ex art. 18, co.4 D.lgs. 546/92; se la notifica è nulla ma l’ente ha ricevuto l’atto (es. consegna a soggetto sbagliato in ufficio) e si costituisce senza eccepirla, la nullità è sanata ex art. 156 c.p.c.. Se la parte non si costituisce, il giudice può ordinare la rinnovazione della notifica al ricorrente. Dunque, la timeline è: prima udienza –> eventuale eccezione dell’ente –> eventuale ordine di rinnovazione o di regolarizzazione –> se non eseguito, inammissibilità.
Effetti: L’accoglimento di tali eccezioni porta in generale all’inammissibilità del ricorso (che chiude la causa senza esame di merito). Laddove il vizio sia sanabile, gli effetti decorrono se la sanatoria manca. Ad esempio, la tardività non è sanabile e comporta direttamente l’estinzione del diritto di impugnazione: il giudice pronuncia sentenza che dichiara il ricorso irricevibile perché fuori termine. Invece la notifica nulla del ricorso è sanabile: se il convenuto si è costituito, la notifica si considera sanata (purché in termini); se non costituito, il giudice ordina la rinnovazione. Se nemmeno dopo la rinnovazione l’ente compare, il giudice valuta la notifica comunque (in caso di irreperibilità assoluta del destinatario, oggi si può optare per il deposito telematico in segreteria ex art. 16 DL 119/2018). La mancanza di procura è sanabile col deposito della stessa (oggi è facilitato dall’art. 12 D.lgs. 546 come modificato: la procura può essere su foglio separato firmato digitalmente e allegato). La carenza di motivi specifici nel ricorso è una delle poche cause di inammissibilità insanabili (se il ricorso non contiene motivi comprensibili di doglianza, viola l’art. 18 c.2 lett. e D.lgs. 546/92 e dev’essere dichiarato inammissibile d’ufficio).
Profili giurisprudenziali: La Cassazione ha spesso ribadito la necessità della specificità dei motivi: un ricorso tributario che si limiti a richiami generici senza spiegare perché l’atto è illegittimo è inammissibile. Quanto alla notifica, molte pronunce hanno riguardato la sanatoria delle nullità di notifica degli atti processuali: la regola generale, mutuata dal c.p.c., è che la costituzione spontanea del convenuto sana ogni vizio di notifica del ricorso (tranne i casi di inesistenza totale della notifica). Ad esempio, Cass. 9240/2019 ha ritenuto valida la notifica diretta via posta della cartella quando il contribuente si è costituito contestandone il merito, senza eccepire formalmente la nullità della notifica: in quel caso, la notifica viene considerata sanata per raggiungimento dello scopo. Nel processo tributario attuale, la notifica degli atti introduttivi avviene perlopiù via PEC, e la normativa tecnica ha previsto che eventuali irregolarità nel deposito telematico non comportano invalidità se la parte provvede a regolarizzare su ordine del giudice. Quindi c’è tendenza a favorire la sanatoria e il raggiungimento dello scopo, in linea col principio di economia processuale (art. 156 c.p.c.). Una pronuncia recente (Cass. ord. n. 2941/2024) ha ribadito che la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata è sufficiente a provare la notifica di una cartella senza necessità di esibire la copia integrale della cartella stessa, considerandosi consegnata salvo prova contraria del destinatario. Ciò mostra come la giurisprudenza valuti pragmaticamente gli effetti delle notifiche, bilanciando l’onere della prova.
Esempio pratico: Pinco riceve un avviso di accertamento il 1° febbraio, ma propone ricorso solo il 5 aprile, quindi oltre i 60 giorni (scaduti il 2 aprile). L’ente resistente eccepisce la tardività. Il giudice verifica le date in atti (1 febbraio notifica, 5 aprile spedizione del ricorso) e dichiara il ricorso irricevibile per tardività, estinguendo il giudizio. – Altro caso: Pallino notifica il ricorso via PEC ma all’indirizzo sbagliato dell’ufficio (o con file illeggibile). L’ente non si costituisce. Il giudice rileva che manca prova di notifica valida e ordina a Pallino di rinnovare la notifica entro 30 giorni. Pallino non adempie: il giudice allora dichiara il ricorso improcedibile per mancata costituzione del contraddittorio. – Ancora: la società XYZ presenta ricorso firmato digitalmente dal legale rappresentante ma senza ministero di difensore (supponendo valore <5.000, può). Tuttavia, omette di allegare la copia dell’atto impugnato. L’ente resistente lamenta la mancata produzione dell’atto. Il giudice può ritenere il ricorso incompleto e, se l’atto non viene prodotto neanche entro la discussione, dichiarare il ricorso inammissibile (oppure decidere nel merito assumendo che l’onere di esibizione dell’atto in alcuni casi possa essere assolto anche dall’ente). Meglio quindi allegare sempre l’atto impugnato, specie ora che è richiesto telematicamente.
5. Eccezioni relative alla validità degli atti impositivi (vizi formali “di procedimento”)
In cosa consiste: Sono eccezioni con cui il contribuente denuncia la presenza di vizi procedimentali o formali dell’atto fiscale impugnato, tali da inficiarne la legittimità. Pur riguardando il merito della legittimità dell’atto, si qualificano spesso come eccezioni “di rito” perché prescindono dalla fondatezza sostanziale della pretesa e attengono a regole formali: ad esempio, la mancata sottoscrizione dell’avviso da parte del capo ufficio competente, la mancata indicazione del responsabile del procedimento (come previsto dallo Statuto del contribuente), la carenza di motivazione o di allegazione di documenti richiamati nell’atto, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale (ove previsto), l’inosservanza di termini procedimentali (es. emissione dell’accertamento prima dello scadere dei 60 giorni dal processo verbale, dove richiesto dall’art. 12 L. 212/2000), etc. Rientra qui anche l’eccezione di nullità della notifica dell’atto impositivo (che il contribuente deve sollevare nel ricorso se vuole far valere il vizio, altrimenti l’aver ricevuto l’atto gli consente di impugnarlo e la notifica nulla è sanata ai fini di quel giudizio).
Chi e quando la solleva: Questi vizi dell’atto impositivo devono essere eccepiti dal contribuente nell’atto introduttivo (ricorso) come motivi di impugnazione. Essi infatti determinano l’oggetto del giudizio: se non sono contestati, l’atto è presumto legittimo sotto quei profili. Il giudice tributario non può d’ufficio annullare un atto per un vizio formale non dedotto, poiché violerebbe il limite dei motivi specifici posti dal ricorrente. Ad esempio, se il contribuente non lamenta la mancata sottoscrizione dell’accertamento, il giudice non ne terrà conto (a meno che l’atto sia totalmente privo di firma, vizio radicale che però la parte di solito eccepisce). Fanno eccezione eventuali nullità assolute insanabili (in dottrina si discute se esistano in materia tributaria; alcuni esempi: atto emesso da ufficio totalmente privo di potere; duplicazione evidente di imposta già giudicata; ma in pratica se il contribuente non le deduce, difficilmente il giudice interviene). Dunque, la regola è: i vizi formali dell’atto impositivo sono eccezioni in senso lato (perché attinenti alla legittimità dell’atto in sé), ma richiedono deduzione di parte nei motivi di ricorso in primo grado.
Effetti: Se l’eccezione è accolta, il giudice pronuncia la nullità dell’atto impugnato per il vizio riscontrato, con conseguente annullamento integrale della pretesa in esso contenuta (salvo, in alcuni casi, la possibilità per l’ufficio di rinnovare l’atto in sanatoria, se i termini lo consentono e se si tratta di vizio non irreversibilmente caducante – ad esempio, la motivazione insufficiente può essere colmata solo rifacendo l’atto, ma se i termini di decadenza sono scaduti, l’ufficio perde la possibilità). In genere, vizi come la mancanza di firma, di motivazione o di contraddittorio obbligatorio comportano la nullità insanabile dell’accertamento, precludendo una riedizione tardiva. La nullità della notifica dell’atto impositivo, se eccepita, porta all’annullamento dell’atto per mancata notifica valida entro i termini di decadenza: la Corte Costituzionale n. 17/2007 ha stabilito che un accertamento non notificato tempestivamente non può essere “salvato” da notifiche tardive (a tutela del contraddittorio). Peraltro, se il contribuente ha comunque ricevuto l’atto (anche se con notifica irregolare) e lo impugna, il processo stesso presuppone la conoscenza dell’atto, dunque spesso il giudice valuta la possibilità di assorbire il vizio di notifica (ma qualora la notifica sia inesistente ab origine, la giurisprudenza tende ad annullare l’atto). Da ultimo, se un atto è affetto da un vizio costituzionale (ad es. applica una norma poi dichiarata incostituzionale), il giudice – su eccezione di parte o d’ufficio – disapplica la norma o solleva la questione davanti alla Consulta, potendo annullare l’atto per illegittimità derivata.
Profili giurisprudenziali: Numerose pronunce di merito e di legittimità riguardano questi vizi. Ad esempio, Cass. SS.UU. n. 22810/2015 ha sancito la nullità dell’accertamento fiscale non firmato da dirigente legittimato (questione delle “firme dei dirigenti decaduti”), spingendo anche a un intervento normativo. La mancata indicazione del responsabile del procedimento nell’atto era stata dichiarata causa di nullità dagli orientamenti iniziali, ma la L. 311/2004 è intervenuta a escludere la nullità in quei casi (oggi è un’irregolarità). La violazione del contraddittorio endoprocedimentale (mancato invito al contraddittorio prima di un accertamento, nei casi in cui è obbligatorio ad es. per tributi armonizzati) è stata ritenuta causa di annullamento: Cass. SS.UU. 24823/2015 ha statuito che l’omissione del contraddittorio obbligatorio in materia di tributi armonizzati comporta nullità dell’atto, mentre per gli altri tributi no se non previsto dalla legge. Sul punto, la riforma 2022 (L. 130/2022) ha delegato il Governo a estendere l’obbligo di contraddittorio, ma al luglio 2025 non risulta ancora compiutamente attuato per ogni accertamento. La Corte Costituzionale ha recentemente scrutinato alcuni di questi aspetti: ad esempio, con sentenza n. 47/2019 ha dichiarato illegittima la norma che impediva al giudice di sindacare la motivazione dell’atto impositivo basato su indagini bancarie (affermando, di fatto, che il giudice può valutare la carenza motivazionale). Ancora, sul difetto di notifica dell’atto presupposto (es: cartella impugnata perché l’accertamento non fu mai notificato), la Consulta è intervenuta con la sentenza n. 258/2012 a favore dell’impugnabilità della cartella per vizi propri e del presupposto insieme, aprendo la strada alla riforma del 2015 e 2023 che hanno disciplinato il litisconsorzio necessario in tali casi.
Esempio pratico: La ditta Alfa impugna un avviso di accertamento eccependo che manca la firma del capo ufficio: l’atto porta solo una sigla illeggibile di funzionario non dirigente. In giudizio l’ufficio non riesce a dimostrare che vi fosse delega valida. Il giudice accoglie l’eccezione e annulla l’atto per difetto di sottoscrizione valida, vizio che rende l’atto nullo. – Oppure, il contribuente Beta impugna la cartella eccependo che non ha mai ricevuto l’avviso di accertamento relativo (atto presupposto). In giudizio, Beta prova di non aver avuto notifica dell’accertamento; l’Agenzia non esibisce relate valide. Il giudice annulla la cartella poiché l’accertamento presupposto non risulta notificato (violazione art. 7 Statuto contribuente e art. 19 D.lgs. 546). Attenzione: dal 2022 è anche possibile che il giudice converta la domanda in impugnazione differita dell’accertamento stesso, secondo l’orientamento oggi legittimato. In ogni caso, l’eccezione centrata sul vizio di notifica ha successo e l’iscrizione a ruolo è invalidata. – Ancora: la società Gamma eccepisce che l’accertamento è stato emesso prima dei 60 giorni dal PVC consegnato dalla Guardia di Finanza, violando l’art. 12, c.7 L. 212/2000. Se il giudice riscontra che in effetti l’avviso è stato emesso prematuramente senza urgenza, lo annullerà per violazione del contraddittorio procedimentale obbligatorio, in linea con Cass. SS.UU. 18184/2013 che aveva sanzionato la condotta.
6. Eccezioni di litispendenza, connessione e giudicato
In cosa consiste: Sono eccezioni che riguardano la duplicazione o sovrapposizione di cause. Litispendenza: quando tra le stesse parti e per il medesimo oggetto (medesimo atto impositivo) pende già un’altra causa, la seconda è improcedibile. Connessione: se vi sono cause tra loro connesse (es. stessi soggetti e materia collegata) pendenti in giudici diversi, si può chiedere la riunione o la trattazione congiunta; in tributario la riunione è prevista dall’art. 29 D.lgs. 546/92 per cause riguardanti lo stesso contribuente o con oggetto simile. Giudicato esterno: se la medesima pretesa tributaria è stata già decisa con sentenza passata in giudicato in un altro processo, il nuovo processo non può contraddire quel giudicato (ne bis in idem sostanziale). Ad esempio, se su un avviso per IRPEF 2018 c’è già sentenza definitiva in altro giudizio, non se ne può discutere di nuovo.
Chi e quando la solleva: La litispendenza e il giudicato sono rilevabili d’ufficio in ogni stato (il giudice deve evitare contrasto di giudicati e duplicazioni). Anche le parti possono eccepirle: tipicamente l’ente può eccepire la litispendenza se lo stesso contribuente ha già presentato un ricorso identico altrove. La riunione per connessione di solito è disposta d’ufficio dal presidente o su istanza di parte, preferibilmente nella stessa sede (es. la CGT regionale può riunire appelli connessi). Il giudicato esterno, come già detto, va considerato dal giudice appena risulti dagli atti (la parte interessata lo segnalerà producendo la sentenza). Se il giudice di merito non lo considera, la Cassazione potrà sempre rilevarlo e cassare la sentenza che sia in contrasto col giudicato, anche d’ufficio.
Effetti: In caso di litispendenza perfetta, il secondo giudice deve dichiarare l’improcedibilità o riunire i procedimenti se possibile. Nel caso di doppio ricorso contro lo stesso atto (può capitare per errore), uno dei due sarà dichiarato inammissibile. La connessione comporta, se opportuna, la riunione dei procedimenti pendenti nello stesso grado, per economia processuale. Se però pendono in gradi diversi (es. un ricorso in primo grado e uno in appello su materia simile), non c’è riunione ma semmai il giudice può sospendere uno dei due in attesa dell’altro se vi è pregiudizialità. Il giudicato esterno comporta il proscioglimento da domande incompatibili: ad esempio, se un giudice accerta che su quella cartella esiste già un giudicato di annullamento della stessa in altro giudizio, dovrà dichiarare cessata la materia del contendere (o nullità del nuovo atto se emanato in violazione di giudicato). In mancanza, la sentenza sarebbe nulla per conflitto col giudicato.
Profili giurisprudenziali: La Cassazione ha sostenuto fortemente la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, definendolo “eccezione in senso lato” sempre valutabile. Ad es., Cass. SS.UU. n. 13916/2006 e n. 13617/2011 hanno consolidato che il giudicato formato in altra causa fa stato anche nel processo tributario e va considerato d’ufficio. Anche in mancanza di eccezione di parte, il giudice deve tenerne conto. Sul punto tributario specifico, esiste la dottrina del giudicato “esterno” (fra le stesse parti ma in diverso periodo d’imposta): la Cassazione, a SS.UU. n. 8500/2001 e poi Cass. n. 303/2018, ha detto che la decisione su un’annualità può fare stato su un’altra se il presupposto è identico e non mutato (es. giudicato sul valore di un immobile ai fini ICI vincola per anni successivi, salvo fatti nuovi). La litispendenza, invece, è meno frequente: Cass. n. 9340/2014 ne ha parlato in contesto di doppia impugnazione di un ruolo e della cartella su stesso tributo – la Corte ha ritenuto ammissibile impugnare l’estratto di ruolo anche se pende giudizio sulla cartella, non configurando litispendenza ma semmai un cumulo di azioni a tutela. Oggi, dopo le novità normative, quel problema è superato perché la cartella non notificata è impugnabile direttamente.
Esempio pratico: Il contribuente Delta, per scrupolo, impugna un avviso di accertamento due volte: prima da solo e poi, con assistenza di un difensore, con un secondo ricorso più completo. I due ricorsi pendono contemporaneamente dinanzi alla medesima CGT provinciale. L’ufficio eccepisce litispendenza. La Commissione, constatato che si tratta dello stesso atto e anno, dispone la riunione dei due procedimenti. Nel merito deciderà una volta sola. – Un altro caso: Epsilon impugna una cartella per IRPEF 2017; nel frattempo, scopre che su quella stessa imposta esiste già una sentenza definitiva che ha annullato l’avviso di accertamento 2017 (quindi la pretesa non esiste più). Epsilon produce in giudizio la sentenza passata in giudicato. Il giudice tributario, rilevato il giudicato favorevole, annullerà la cartella senza neanche esaminare altri motivi, perché quella imposta non era più dovuta in base al giudicato precedente (principio del ne bis in idem e del giudicato che vincola le parti). – Ancora: Zeta ha due processi in corso su IVA 2018: uno riguarda un primo avviso parziale, l’altro un successivo avviso integrativo. I due giudizi sono connessi (stesso anno, stesso tributo, atti diversi). La CGT, se li ha entrambi, può disporne la riunione per trattarli insieme dato il legame oggettivo. Se invece uno è in appello e l’altro in primo grado, la connessione non permette riunione ma uno dei due giudici potrebbe attendere l’esito dell’altro se ne vede la necessità (sospensione per pregiudizialità).
7. Eccezioni in appello: divieto di nova e riforme recenti
Il giudizio di appello tributario presenta alcune peculiarità circa le eccezioni, su cui è intervenuta di recente la riforma operata col D.lgs. 149/2022 (riforma Cartabia) e soprattutto col D.lgs. 220/2023. Come già evidenziato, l’art. 57 D.lgs. 546/92 stabilisce il divieto di domande ed eccezioni nuove in appello, eccetto quelle rilevabili d’ufficio. Tale norma rispecchia l’art. 345 c.p.c. e mira a impedire che il giudizio di secondo grado si trasformi in un “nuovo primo grado” con nuove questioni. In concreto: il contribuente in appello non può introdurre nuovi motivi di ricorso (domande nuove) né nuove eccezioni in senso stretto (cioè nuovi fatti estintivi o difese non dedotte prima). Se lo fa, il giudice deve dichiararli inammissibili d’ufficio o su eccezione di controparte. L’unica eccezione tradizionale consentita era la richiesta di interessi maturati dopo la sentenza impugnata (eccezione per così dire di completamento della domanda). Anche l’Amministrazione non può in appello addurre nuove ragioni a sostegno della pretesa impositiva che modifichino l’atto impugnato (le è precluso formulare domande riconvenzionali o emendare l’atto oltre i limiti dei motivi originari, salvo difendersi con argomenti giuridici ulteriori come visto).
Fin qui la disciplina classica. La riforma 2023 ha introdotto due novità importanti: i motivi aggiunti in appello e la nuova stretta sulle prove nuove. In dettaglio:
- Il D.lgs. 220/2023 ha modificato l’art. 58 D.lgs. 546/92 inserendo, al comma 2, la possibilità per le parti di proporre motivi aggiunti in appello se vengono a conoscenza solo in appello di nuovi documenti (non prodotti in primo grado dalle altre parti) da cui emergono vizi nuovi degli atti impugnati. Questa è una significativa eccezione al divieto di ius novorum: consente al contribuente, ad esempio, di sollevare in appello un nuovo motivo di illegittimità dell’atto se scopre documenti (magari ottenuti via accesso agli atti dopo la sentenza di primo grado) che rivelano un vizio prima ignoto. Tali motivi aggiunti vanno proposti con l’atto di appello o memoria di costituzione dell’appellato. Ciò recepisce un’evoluzione garantista verso il contribuente, mitigando il rigore del divieto di nuove eccezioni in appello quando c’è incolpevolezza nella tardiva conoscenza.
- D’altra parte, la riforma ha ristretto l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova e documenti in appello. La nuova formulazione dell’art. 58, comma 1, D.lgs. 546/92 (come sostituito dalla riforma) prevede che “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero che la parte dimostri di non aver potuto produrli in primo grado per causa a essa non imputabile”. Si è dunque passati dal vecchio regime (che permetteva sempre nuovi documenti in appello, caratteristica peculiare del processo tributario) a un modello più rigido di “istruttoria chiusa” in appello, simile al processo civile. Inoltre, è stato inserito un comma 3 all’art. 58 che preclude in modo assoluto il deposito in appello di alcune tipologie di documenti: in particolare deleghe, procure e atti di conferimento di poteri relativi alla sottoscrizione degli atti, nonché le copie di notifiche degli atti impugnati o dei loro presupposti di legittimità. In pratica, la riforma ha voluto evitare che in appello l’Ufficio sanasse carenze di primo grado (come produrre in ritardo la copia di deleghe o degli avvisi di ricevimento delle notifiche).
Questa stretta sulle prove in appello, però, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale. Infatti, la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 36 depositata il 27 marzo 2025 è intervenuta proprio su tale disciplina dichiarando parzialmente illegittimo il nuovo art. 58. In particolare, la Consulta ha statuito: (a) l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 3 nella parte in cui vieta il deposito in appello “delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti”, ritenendo irragionevole escludere tali documenti dalla regola generale dell’indispensabilità. Secondo la Corte, se tali atti (deleghe, procure) sono decisivi e la parte non ha potuto produrli prima senza colpa, il giudice deve poterli valutare; vietarli sempre altera la parità delle armi e comprime il diritto di difesa. (b) la Corte ha invece ritenuto legittimo il divieto riferito agli altri documenti menzionati dal comma 3 (le notifiche degli atti impugnati o presupposti), reputandolo non irragionevole. (c) Inoltre, la Consulta ha dichiarato illegittimo l’art. 4, comma 2, D.lgs. 220/2023 nella parte in cui applicava immediatamente le nuove regole del comma 3 dell’art. 58 anche agli appelli già pendenti alla data di entrata in vigore (gennaio 2024). In sostanza, la Corte ha escluso la retroattività di quel divieto, stabilendo che doveva applicarsi solo ai giudizi d’appello relativi a procedimenti instaurati in primo grado dopo la riforma. L’effetto combinato è che ora in appello restano vietati i nuovi documenti salvo indispensabilità, tranne che per deleghe/procure: questi ultimi possono nuovamente essere prodotti se indispensabili, grazie alla pronuncia costituzionale. Resta vietato invece portare per la prima volta avvisi di ricevimento o copie di atti presupposti se non prodotti in primo grado (presumendo che andavano prodotti prima, a tutela della completezza del giudizio originario).
Per il contribuente appellante ciò significa che deve porre molta attenzione: non potrà più contare sulla possibilità di produrre liberamente nuovi documenti in secondo grado come avveniva prima. Dovrà inserire tutte le prove sin dal primo grado, salvo casi eccezionali. Al contempo, in appello l’ufficio non potrà correre ai ripari producendo deleghe mancanti o pezze giustificative tardive (come spesso accadeva, es. delega di firma esibita solo in appello): questo oggi (dopo la Consulta) rimane tendenzialmente vietato, tranne se l’Ufficio dimostra di non aver potuto prima e se il giudice le considera indispensabili – e comunque per le deleghe la Consulta ha aperto uno spiraglio di ammissibilità se indispensabili.
Infine, un istituto introdotto dalla riforma Cartabia nel c.p.c., il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione (art. 363-bis c.p.c.), ha riflessi anche nel processo tributario: esso consente ai giudici di merito di seconda istanza di sottoporre alla Cassazione una questione di puro diritto particolarmente rilevante e nuova, prima di decidere. Ebbene, la Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 34851 del 13 dicembre 2023 ha chiarito che anche le Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado) sono tra i giudici legittimati a utilizzare questo rinvio pregiudiziale. Ciò amplia gli strumenti difensivi: un giudice tributario dinanzi a questioni controverse di diritto può sospendere la causa e chiedere alle SS.UU. di pronunciarsi. Questo non è un’eccezione procedurale delle parti, ma un potere d’ufficio del giudice che le parti possono sollecitare. Tuttavia, ha effetti sul processo tributario: ad esempio, se c’è una questione interpretativa che potrebbe chiudere molte liti (es. la portata retroattiva di una norma fiscale), il giudice tributario potrebbe ricorrere al rinvio pregiudiziale per far chiarire la questione dalla Cassazione. Le SS.UU. hanno già ricevuto ordinanze di rinvio da giudici tributari (es. CGT Agrigento 2023) e hanno confermato l’ammissibilità di tali rinvii, ampliando i confini procedurali del processo tributario in senso nomofilattico. Questo istituto non è un’eccezione di parte, ma per completezza si segnala come recente strumento procedurale, attivabile anche su istanza delle parti che invitino il giudice a sollevare il quesito.
Esempio pratico: Il contribuente Tizio in appello scopre, da documenti ottenuti dopo la sentenza di primo grado, che l’atto impugnato presenta un ulteriore vizio (es: da una lettera interna acquisita emerge che la sanzione era stata irrogata fuori termine). Grazie alla nuova disciplina, Tizio può proporre un motivo aggiunto in appello fondato su quel documento (che allega), dimostrando che non poteva averlo prima. La Corte tributaria d’appello valuterà quel motivo se il documento è effettivamente nuovo e decisivo. – Viceversa, l’Agenzia in appello vorrebbe produrre per la prima volta la delega di firma del funzionario che ha sottoscritto l’accertamento, delega che non aveva allegato in primo grado. Secondo la norma riformata, tale produzione sarebbe vietata dal comma 3 art. 58; ma dopo la sent. 36/2025 della Consulta, il divieto assoluto sulle deleghe è caduto. Dunque l’Agenzia può chiedere di produrla, però dovrà superare il filtro: provare che non poté produrla prima non per sua colpa e convincere la Corte d’appello che è indispensabile per la decisione (lo sarà, poiché da essa dipende la validità dell’atto). In tal caso, la Corte potrebbe ammetterla in deroga al principio del nova. – Un esempio di applicazione del rinvio pregiudiziale: la CGT di secondo grado Lombardia nel 2024, avendo dubbi interpretativi sulla portata di una nuova norma anti-elusiva, dispone il rinvio pregiudiziale alle Sezioni Unite della Cassazione. Il processo tributario viene sospeso; le SS.UU. rispondono con sentenza (es. Cass. SS.UU. 15130/2024 su rito, Cass. SS.UU. 12974/2024 su altra questione) dopo qualche mese, fornendo il principio di diritto. A quel punto, la CGT lombarda riprende il giudizio attenendosi all’interpretazione data. Le parti, in questo frangente, hanno potuto presentare memorie alla Cassazione ed essere parte del procedimento nomofilattico. Ciò favorisce uniformità e (auspicabilmente) riduzione del contenzioso futuro su quel punto.
Di seguito, presentiamo una Tabella riepilogativa delle principali eccezioni procedurali trattate, indicandone la natura (se rilevabile d’ufficio o solo su eccezione di parte), la fase e i riferimenti normativi/giurisprudenziali più salienti:
Tabella 1: Riepilogo delle eccezioni procedurali nel processo tributario
Eccezione procedurale | Rilevabile d’ufficio? | Chi/Quando sollevarla | Effetto se accolta | Riferimenti |
---|---|---|---|---|
Difetto di giurisdizione | Sì (sempre) | Giudice (sempre); parte può proporre reg. giurisd. | Nullità processo / rinvio ad altro giudice | Art. 2 D.lgs. 546/92; art. 11 c.p.a.; art. 41 c.p.c. |
Incompetenza territoriale | No (eccez. di parte)¹ | Ente resistente, nella 1ª difesa in primo grado | Nullità atti e rinvio a giudice competente | Art. 4 D.lgs. 546/92; analogia art. 38 c.p.c. |
Incompetenza per materia/valore | Sì (ordine pubblico) | Giudice (appena rilevata) | Nullità atti e regressione del giudizio | Art. 4 D.lgs. 546/92; art. 35 D.lgs. 546 (giud. monocr.) |
Difetto di legittimazione attiva/passiva | Sì (inammissibilità) | Giudice d’ufficio; parte resistente può eccepirlo | Inammissibilità del ricorso | Art. 19 e 10 D.lgs. 546/92 (soggetti legittimati) |
Difetto di interesse ad agire | Sì | Giudice (fase iniziale) | Inammissibilità del ricorso | Art. 100 c.p.c.; Cass. n. 1518/2016 (condono=cessata mat.) |
Tardività del ricorso (decadenza impugn.) | Sì | Giudice (esame termini); parte può dedurla | Irricevibilità/estinzione ricorso | Art. 21 D.lgs. 546/92 (60 gg); Cass. n. 639/2015 |
Vizi formali del ricorso (contenuto, firma) | Sì (salvo regolariz.) | Giudice li nota; parte può segnalarli | Inammissibilità se non sanati | Art. 18 D.lgs. 546/92 (contenuto ricorso) |
Nullità notifica del ricorso | Sì (ma sanabile) | Giudice ordina rinnovo; parte resistente può eccepirlo | Improcedibilità se contraddittorio nullo | Art. 16 D.lgs. 546/92; art. 156 c.p.c. (sanatoria) |
Litispendenza (doppio giudizio pend.) | Sì | Giudice (anche su istanza parte) | Improcedibilità di uno dei giudizi | Art. 39 c.p.c. (analogia) |
Connessione cause (riunione) | Sì | Giudice (d’ufficio o su richiesta parte) | Riunione procedimenti (se stesso ufficio) | Art. 29 D.lgs. 546/92 (riunione); art. 274 c.p.c. |
Giudicato esterno | Sì | Giudice (obbligo appena risulta); parti segnalano | Estinzione/adeguamento decisione | Cass. SS.UU. n. 1099/1998; art. 324 c.p.c. |
Eccezioni “di merito” in senso stretto (es. prescrizione, decadenza sostanziale, pagamento) | No (solo parte) | Contribuente nel ricorso introduttivo (prima difesa utile) | Estinzione pretesa tributaria (annullamento atto) | Cass. ord. n. 8034/2024; Cass. n. 29371/2020 |
Vizi formali dell’atto impugnato (motivi ricorso) | No (solo parte) | Contribuente nel ricorso introduttivo (motivi specifici) | Nullità/annullamento atto impugnato | Cass. SS.UU. n. 22810/2015 (firma nulla); Cass. n. 701/2020 (motiv.) |
Nova in appello – Domande nuove | Sì (divieto ex lege) | Giudice dichiara inammissibile d’ufficio | Inammissibilità nuove domande | Art. 57 co.1 D.lgs. 546/92 |
Nova in appello – Eccezioni nuove | Sì (divieto ex lege) | Giudice d’ufficio; parte può eccepire controparte | Inammissibilità eccezioni in senso stretto | Art. 57 co.2 D.lgs. 546/92; Cass. 27562/2018 |
Motivi aggiunti in appello (post-2023) | – (ammessi ex lege) | Parte che scopre nuovi doc. non prima producibili, nell’atto d’appello | Valutati se collegati e tempestivi | Art. 58 co.2 D.lgs. 546/92 (modif. D.lgs. 220/23) |
Nuovi documenti in appello | No salvo eccezione | Parte che prova indispensabilità e non imputabilità ritardo | Ammissibili se giudice li ritiene indispensabili | Art. 58 co.1 D.lgs. 546 (mod. 2023); Corte Cost. 36/2025 |
Deposito deleghe/procure in appello (post-2023) | Vietato (ora caducato in parte) | – Giudice li avrebbe dovuti espungere ex lege, ma Consulta 36/25 li riammette se indispensabili | Ora ammessi se indispensabili (es. delega firma) | Art. 58 co.3 D.lgs. 546; Corte Cost. 36/2025 |
Deposito notifiche atti in appello | Sì (divieto rimane) | Giudice non ammette ex lege (eccez. uff.) | Inutilizzabilità nuovi avvisi/relate tardive | Art. 58 co.3 D.lgs. 546; Corte Cost. 36/2025 |
Questioni cost. (legittimità legge) | Sì (giudice può sollevarla) | Giudice d’ufficio (anche su sollecitazione parte) | Sospensione processo e invio a Consulta | Art. 23 L. 87/1953; es. Corte Cost. 36/2025 (sollevata da CGT) |
¹ Nota: la competenza territoriale nel processo tributario è generalmente inderogabile (materia pubblicistica), ma si ritiene applicabile l’art. 38 c.p.c. per analogia, quindi eccezione di parte tempestiva.
Profili di legittimità costituzionale nelle eccezioni tributarie
Le eccezioni procedurali, come si è visto, servono anche a far valere eventuali contrasti delle norme applicate con la Costituzione. In ambito tributario, diverse questioni di legittimità costituzionale sono emerse proprio in relazione a norme processuali. È dunque utile menzionare alcuni profili costituzionali collegati alle eccezioni nel processo tributario.
- Accesso alla giustizia e diritto di difesa (art. 24 Cost.): La possibilità di impugnare atti e far valere eccezioni è espressione del diritto di difesa. In passato, alcune limitazioni eccessive a questo diritto sono state censurate. Un esempio è il caso già citato dell’impugnabilità delle cartelle note tramite estratto di ruolo: prima del 2022, il contribuente che scopriva un debito da un estratto non poteva far nulla se non attendere un atto esecutivo. La Corte Cost. con sentenza n. 63/2018 e n. 128/2019 ha segnalato il problema, portando il legislatore (DL 146/2021) a introdurre il nuovo art. 12, c.4-bis DL 73/2022 convertito, che ha reso impugnabile la cartella “comunicata” via estratto. La Corte Cost. 190/2023 ha giudicato infondate ulteriori questioni su quella norma, consolidando il diritto del contribuente di agire anche senza notifica formale. Ciò evidenzia come la Consulta vigili affinché non vi siano “zone franche” prive di tutela giurisdizionale.
- Principio del giusto processo (art. 111 Cost.): comprende la parità delle armi, il contraddittorio e la ragionevole durata. Molte questioni di eccezioni incidono qui: ad esempio, il divieto assoluto di nuove prove in appello è stato ritenuto potenzialmente lesivo del contraddittorio e della parità, specie quando asimmetrico tra le parti (nella versione originaria del 2023, il comma 3 art. 58 impediva all’ente di depositare certe prove, mentre il contribuente poteva depositare documenti “indispensabili” – creando disparità secondo il giudice a quo). La Corte Costituzionale nella sentenza 36/2025 ha in effetti valutato sotto il profilo degli artt. 3 e 111 Cost. tale disciplina: ha colto una irragionevolezza intrinseca (vietare al giudice di valutare alcune prove anche se indispensabili) e una violazione dell’uguaglianza processuale (trattamento differenziato di parti), dichiarando l’illegittimità parziale come visto. Anche la scelta iniziale del legislatore di applicare retroattivamente il divieto di prove nuove a giudizi in corso è stata censurata in base al principio del giusto processo: perché si incideva su processi pendenti stravolgendo le regole del gioco a metà percorso, con potenziale danno per chi aveva confidato sulle regole previgenti. La Consulta ha ricordato che il principio di ragionevole durata (art. 111 co.2 Cost.) non può giustificare norme che comprimano sproporzionatamente altri diritti (difesa) senza vero beneficio in termini di tempi.
- Autonomia e indipendenza del giudice tributario (artt. 108 e 111 Cost.): un tema recente è la posizione istituzionale delle Corti di giustizia tributaria, finora incardinate nel MEF. La riforma del 2022 (L. 130/2022) sta professionalizzando i giudici tributari e prevedendo un Consiglio di Presidenza autonomo, ma la struttura amministrativa rimane nel MEF per transizione. Su questo è pendente o è stata decisa (dicembre 2024) una questione di legittimità costituzionale: la Corte Cost. n. 204/2024 ha esaminato se l’inquadramento dei giudici tributari come “magistrati onorari” interni al MEF violi l’indipendenza. Dalla sintesi disponibile sembra che la Consulta abbia respinto (non fondata) la questione ritenendo forse che la riforma in atto soddisfi i requisiti di autonomia. Comunque, questa tematica sfocia raramente in eccezioni nel merito del singolo processo (il contribuente non può far molto valere “il giudice non è indipendente” se non in astratto). Tuttavia, è un profilo costituzionale di contesto: un giudice dipendente dall’esecutivo finanziario potrebbe in teoria incidere sul fair trial; la riforma e la giurisprudenza costituzionale vigilano su ciò affinché il diritto di difesa sia garantito da organi terzi.
- Questioni sollevate d’ufficio dal giudice tributario: come ultima notazione, va ricordato che il giudice tributario può sollevare questioni di legittimità costituzionale d’ufficio (anche senza eccezione di parte) quando dalla risoluzione di una eccezione dipende l’applicazione di una norma sospettata di incostituzionalità. Nel 2024, alcune Corti di Giustizia Tributaria lo hanno fatto: ad esempio la CGT Lombardia e Campania, ordinanze n. 199 e 170/2024, hanno rimesso alla Consulta la questione sulle prove nuove in appello, dando luogo poi alla sentenza n. 36/2025. Ciò dimostra che i giudici tributari – in passato ritenuti forse meno attivi su questo fronte – oggi, con il rafforzamento del loro status, partecipano al dialogo costituzionale. Il contribuente può sollecitare tale intervento tramite le proprie difese, ma la decisione ultima spetta al collegio giudicante.
In conclusione, la dimensione costituzionale permea il tema delle eccezioni: garantire che non siano precluse difese essenziali (art. 24 Cost.), che il processo tributario rispetti il contraddittorio e l’equità (art. 111 Cost.), e che le eventuali restrizioni processuali siano proporzionate e ragionevoli (art. 3 Cost.). Le riforme più recenti hanno cercato di bilanciare l’efficienza del giudizio con le garanzie difensive, e l’intervento della Corte Costituzionale ha corretto alcuni eccessi in tal senso, restituendo ai contribuenti qualche margine di difesa in più (si pensi proprio alla facoltà di depositare tardivamente deleghe se indispensabili, recuperata grazie alla Consulta).
Domande Frequenti (FAQ) sulle eccezioni procedurali
D1: Cosa si intende per “eccezione procedurale” nel processo tributario?
R: È qualsiasi contestazione sollevata nel corso del giudizio che riguardi aspetti formali o processuali (giurisdizione, competenza, regolarità degli atti, ammissibilità del ricorso, vizi formali dell’accertamento, ecc.), con cui una parte mira a ottenere una decisione favorevole indipendentemente dal merito fiscale. In pratica, l’eccezione procedurale mette in discussione la validità del “contenitore” (atto o processo) piuttosto che la fondatezza del “contenuto” (la pretesa tributaria). Ad esempio, eccepire la tardività della notifica di un avviso è un’eccezione procedurale: se accolta, l’avviso è nullo senza bisogno di valutare se le imposte richieste fossero dovute o meno.
D2: Quali sono le eccezioni che il giudice tributario può rilevare d’ufficio?
R: In generale, tutte le eccezioni che attengono all’ordine pubblico processuale possono essere rilevate d’ufficio. Nel dettaglio, i giudici tributari possono (anzi, devono) rilevare autonomamente: il difetto di giurisdizione, l’incompetenza per materia/valore (e in alcuni casi anche quella territoriale, se inderogabile), il difetto di legittimazione o di interesse ad agire (dunque l’inammissibilità del ricorso), la litispendenza di un altro giudizio identico, l’esistenza di un giudicato esterno pertinente, le cause di improcedibilità o cessata materia del contendere (ad es., intervenuto condono: Cass. SS.UU. 1518/2016 ha confermato il rilievo d’ufficio del condono che estingue la lite). Anche i vizi formali del ricorso (come la tardività, la carenza dei requisiti dell’atto introduttivo) sono dichiarati d’ufficio, dopo eventuale ordine di regolarizzazione. Viceversa, non può il giudice introdurre ex novo eccezioni che spettano solo alla parte, come la prescrizione o altre eccezioni in senso stretto non fatte valere dal contribuente.
D3: Quali eccezioni deve sollevare il contribuente e in quale momento?
R: Il contribuente (debitore d’imposta) dovrebbe inserire sin dal ricorso introduttivo di primo grado tutte le eccezioni di cui è a conoscenza in relazione all’atto impugnato. In particolare, deve sollevare nei motivi di ricorso iniziali tutte le contestazioni relative a vizi dell’atto (es. notifica nulla dell’accertamento, difetto di motivazione, firma illeggittima, errori di procedimento) e tutti i fatti estintivi o impeditivi del debito (prescrizione, decadenza, pagamento, compensazione, ecc.) di cui intende avvalersi. Questo perché tali eccezioni, se non sollevate subito, non potranno più essere introdotte in appello a causa del divieto di nuove eccezioni ex art. 57. Inoltre, eccependo subito certi vizi formali, il contribuente evita che si considerino sanati: ad esempio, la nullità di notifica di un atto impositivo va eccepita nel ricorso contro l’atto stesso; se il contribuente invece impugna quell’atto senza lamentare il vizio di notifica, di fatto lo sta accettando ai fini processuali (ha esercitato il diritto di difesa, dunque la notifica nulla ha comunque raggiunto lo scopo). In sintesi: entro la prima difesa utile (il ricorso introduttivo, o al massimo la prima memoria) vanno proposte tutte le eccezioni in senso stretto e i motivi di nullità noti. Fa eccezione il caso in cui il contribuente scopra nuovi motivi solo in appello grazie a documenti prima non disponibili: in tal caso, oggi è ammesso proporre motivi aggiunti in appello (art. 58 co.2) per quei nuovi vizi, ma bisogna dimostrare di non aver potuto sollevarli prima. Questa è una novità del 2023 che attenua il rigore preclusivo, ma rimane circoscritta a situazioni di scoperta sopravvenuta.
D4: Posso presentare nuove prove o documenti in appello se mi sono dimenticato di produrli in primo grado?
R: Dopo la riforma del 2023, la regola generale è NO, non è possibile presentare liberamente nuove prove in appello. Mentre prima il contribuente poteva depositare in secondo grado anche documenti mai esibiti prima (il vecchio art. 58, co.2 lo consentiva espressamente), ora il nuovo art. 58, co.1 permette nuovi documenti solo in due casi: se il giudice d’appello li ritiene indispensabili per decidere, oppure se la parte prova che non ha potuto produrli prima per causa non imputabile. Quindi, se “ci si è dimenticati” per negligenza di depositare un documento importante in CTP, in appello non si può rimediare, a meno di convincere la CTR che quel documento è proprio indispensabile alla verità e che magari se ne ignorava l’esistenza prima. Inoltre, il nuovo (ora parzialmente cassato) comma 3 art. 58 vietava categoricamente di aggiungere in appello deleghe di firma, procure, avvisi di ricevimento di notifiche, ecc., proprio per evitare “rattoppi” tardivi. Dopo la sentenza della Consulta 36/2025, il divieto assoluto sulle deleghe/procure è caduto, quindi una delega mancante può in teoria essere ammessa se indispensabile; rimane invece escluso depositare tardivamente le relate/avvisi di ricevimento di notifica degli atti, che dovevano stare in primo grado. In sintesi: dimenticare una prova in primo grado può essere fatale. La raccomandazione è di produrre tutto subito. In appello, la porta è stretta: solo prove davvero decisive e che per ragioni oggettive non erano producibili prima (es. un documento rilasciato da terzi dopo la sentenza di primo grado, oppure un certificato ottenuto in ritardo per cause burocratiche) potranno essere ammesse. Ad esempio, se un contribuente ottiene dopo il primo grado un documento dall’estero che prova un pagamento, potrà esibirlo in appello spiegando che prima non poteva averlo. Diversamente, se semplicemente non aveva allegato le fatture di acquisto rilevanti, non potrà farlo in appello.
D5: L’eccezione di prescrizione del debito tributario devo sollevarla io contribuente o la considera il giudice automaticamente?
R: La prescrizione del credito tributario è considerata un’eccezione in senso stretto, dunque deve essere eccepita dal contribuente. Il giudice non può dichiarare d’ufficio prescritta una pretesa fiscale se la parte debitrice non l’ha invocata. Ciò deriva dall’art. 2938 c.c. (nel diritto civile, la prescrizione non è rilevabile d’ufficio tranne eccezioni) e si applica anche in ambito tributario secondo la Cassazione. Conferma recente: Cass. ord. n. 8034/2024 ha affermato che l’eccezione di prescrizione va proposta nel primo grado di giudizio, nella prima difesa utile, altrimenti in appello è tardiva e inammissibile. Dunque, se un contribuente ritiene che la cartella di pagamento sia prescritta (ad es. sono trascorsi oltre 5 anni dall’ultima notifica valida di atto interruttivo per una sanzione), lo deve scrivere chiaramente nel ricorso alla Commissione Tributaria. Se non lo fa, il giudice non solleverà la questione per suo conto e quel potenziale motivo di annullamento andrà perso. Attenzione: una particolarità, ricordata anche dalla Cassazione (es. Cass. 8288/2024 sezione lavoro) è che l’eccezione di interruzione della prescrizione (cioè il fatto che la prescrizione sarebbe stata interrotta da un atto) è invece un’eccezione in senso lato – questo interessa più l’ente creditore: significa che se il contribuente eccepisce prescrizione, l’Agente della riscossione può far valere atti interruttivi anche se non li aveva dedotti prima, e il giudice può considerarli d’ufficio se emergono dagli atti. Ma in assenza della scintilla iniziale (eccezione di prescrizione del contribuente), la questione non viene esaminata affatto. Quindi, in pratica: sta al contribuente attivare la discussione sulla prescrizione del tributo o della sanzione. Lo stesso vale per la decadenza del potere di accertamento: la Cassazione l’ha equiparata alla prescrizione per certi versi (es. Cass. 29371/2020 sostiene che l’eccezione di decadenza triennale ex art. 76 DPR 602/73 dev’essere eccepita come quella di prescrizione). Ergo, mai dare per scontato che il giudice consideri da sé il decorso del tempo: va eccepito formalmente.
D6: Se il contribuente non eccepisce un vizio dell’atto, il giudice può annullare l’atto per quel motivo? (es. vizio di motivazione non dedotto)
R: In linea di massima no. Nel processo tributario di impugnazione, l’oggetto del giudizio è delimitato dai motivi di ricorso. Il giudice non può pronunciarsi su vizi non contestati. Ad esempio, se l’avviso di accertamento era motivato in modo insufficiente ma il contribuente non solleva affatto la questione della motivazione, il giudice non annullerà d’ufficio l’atto per difetto di motivazione. Ciò sarebbe ultra petita. Questo a differenza di quanto avviene nel processo amministrativo per atti d’ufficio, dove certi vizi macroscopici potrebbero emergere d’ufficio; nel tributario, data la natura impugnatoria chiusa, vige il principio dispositivo rigoroso: tantum devolutum quantum appellatum già dal primo grado. Dunque, è onere del contribuente segnalare ogni vizio che intende far valere. Uniche eccezioni: (i) se si tratta di un vizio che rende l’atto nullo in senso tecnico e la legge ne impone la rilevazione d’ufficio (ipotesi rara e controversa: alcuni ritengono che la mancanza totale di un elemento essenziale dell’atto – come la firma – possa essere rilevata d’ufficio in quanto l’atto inesistente non sarebbe neppure impugnabile; tuttavia la Cassazione spinge comunque perché sia eccepito dalla parte). (ii) Se nel corso del giudizio emerge un motivo di illegittimità non dedotto ma connesso a quelli dedotti, c’è qualche margine: ad es., se il contribuente contesta la pretesa e produce un documento da cui risulta che l’atto è stato emesso fuori termine, il giudice potrebbe – nell’ambito del motivo di illegittimità dedotto – rilevare anche la decadenza. Ma formalmente, avrebbe dovuto dedurla la parte. Quindi, per sicurezza, il contribuente deve dedurre tutti i vizi dell’atto. Questo include vizi “formali” come la mancata indicazione del responsabile, la violazione del contraddittorio, ecc. Il giudice non supplisce alle carenze dei motivi del ricorso: Cass. SS.UU. 1058/2007 e 1518/2016 hanno delineato chiaramente che il giudice tributario non può estendere d’ufficio il thema decidendum oltre i motivi specifici del ricorso. Pertanto, silenzio assenso: se nulla viene eccepito su un certo profilo, si assume che per il ricorrente andasse bene e non si pronuncia.
D7: Cosa succede se non vengono chiamate in giudizio tutte le parti coinvolte (es. concessionario della riscossione non citato insieme all’Agenzia)?
R: Questo concerne il litisconsorzio necessario. In materia tributaria, l’art. 14 D.lgs. 546/92 prevede il litisconsorzio necessario sostanziale quando l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti (es: coobbligati solidali). Inoltre, per legge è necessario citare sia l’ente creditore sia l’Agente della riscossione se si contestano vizi riferibili a entrambi (dopo le riforme 2011-2015). Se il contribuente omette di citare un litisconsorte necessario in primo grado, il giudizio è viziato. Di norma il giudice dovrebbe disporre l’integrazione del contraddittorio ordinando al ricorrente di notificare il ricorso anche al soggetto mancante (art. 14, ult. periodo). Se ciò non avviene, il processo può essere dichiarato nullo limitatamente a quella parte. In appello, come visto con Cass. SS.UU. 11676/2024, occorre distinguere: se la causa è inscindibile (le sorti devono essere le stesse per più parti), la mancata chiamata di una parte in appello comporta l’ordine di integrazione (art. 331 c.p.c.); se è scindibile, l’appello può procedere anche senza quella parte e varrà solo tra chi è stato citato. Ad esempio, se in primo grado c’erano Agenzia e Equitalia e il contribuente in appello cita solo l’Agenzia, ma le questioni riguardano anche Equitalia (notifica della cartella viziata), allora Equitalia andrebbe chiamata; se però la contestazione riguardava solo il merito del tributo, la causa con Equitalia è scindibile e l’appello prosegue solo con Agenzia senza invalidità. In pratica: se il giudice si accorge di un litisconsorte necessario pretermesso, dispone la chiamata; se non lo fa e decide lo stesso, la sentenza può essere impugnata per nullità (e Cassazione poi potrebbe annullarla). Con la norma nuova (14 co.6-bis) c’è l’obbligo per il contribuente di citare entrambi (Agenzia e concessionario) quando eccepisce vizi di notifica di atti presupposti. Quindi, oggi, il ricorrente deve fin da subito citare tutti i soggetti coinvolti nella vicenda impositiva, altrimenti rischia rinvii e nullità. Esempio: se impugna una cartella contestando sia la fondatezza del tributo (Agenzia) sia vizi di notifica (riscossore), deve citare entrambi. Se non cita l’Agenzia, il giudice ordinerà di integrarla. Se il ricorrente ignora l’ordine, il ricorso potrebbe essere dichiarato inammissibile pro quota.
D8: Che cos’è e come funziona il rinvio pregiudiziale in Cassazione introdotto dalla riforma?
R: È un nuovo strumento di derivazione “Cartabia” (art. 363-bis c.p.c.), entrato in vigore a fine 2022, che consente ai giudici di merito di interpellare direttamente la Corte di Cassazione (Sezioni Unite) su questioni di diritto nuove, di particolare importanza o su cui vi sono orientamenti contrastanti, la cui risoluzione preventiva può evitare molte liti. Nel processo tributario, se ad esempio una Corte di Giustizia Tributaria si trova di fronte a un nodo interpretativo rilevante (mettiamo: la portata di una esenzione fiscale con dubbi applicativi), invece di decidere e alimentare incertezza, può sospendere il giudizio e trasmettere il quesito alla Cassazione. Le parti nel frattempo possono depositare memorie in Cassazione per influenzare la decisione. Le Sezioni Unite decidono la questione giuridica con sentenza entro pochi mesi. Dopodiché, il processo sospeso riprende e il giudice di merito applica la soluzione data dalle SS.UU. Questo strumento non è un’eccezione delle parti, in quanto solo il giudice può attivarlo, però le parti possono chiedere al giudice di valutare tale rinvio (soprattutto l’avvocato del contribuente se ritiene che la questione sia matura per un intervento nomofilattico). Nel 2023-2024, come detto, i giudici tributari hanno iniziato a usarlo: Cass. SS.UU. 34851/2023ha sancito la piena applicabilità dell’istituto anche su istanza di commissioni tributarie, e ha anzi ampliato il novero dei giudici merito che possono richiederlo, includendo pure quelli di primo grado tributari. Questo strumento non incide direttamente sulle eccezioni ma è rilevante: può capitare che un giudizio sia sospeso perché il giudice ha fatto un rinvio pregiudiziale su una certa eccezione di diritto (ad esempio, c’è stato un rinvio su una questione di competenza giurisdizionale mista tra tributario e lavoro, deciso da SS.UU. 15130/2024). In tali casi, il contribuente deve solo attendere che le SS.UU. si pronuncino. In prospettiva, il rinvio pregiudiziale dovrebbe assicurare uniformità interpretativa, riducendo la necessità per i singoli di arrivare fino in Cassazione con costi e tempi maggiori.
D9: Il giudice tributario può sollevare d’ufficio una questione di legittimità costituzionale? E il contribuente può chiederlo?
R: Sì, il giudice tributario, al pari di qualsiasi altro giudice, se ritiene una legge (o atto con forza di legge) rilevante nel giudizio in corso in contrasto con la Costituzione, deve sospendere la causa e inviare la questione alla Corte Costituzionale (ordinanza di rimessione ex art. 23 L. 87/1953). Questo può avvenire d’ufficio (quindi anche senza sollecitazione di parte) oppure su istanza di parte: il contribuente o l’ente possono, nelle loro difese, sollecitare il giudice a valutare la legittimità costituzionale di una data norma applicabile. In pratica, la parte può prospettare la questione e il giudice deciderà se è rilevante e non manifestamente infondata; in caso positivo, la solleva, altrimenti la respinge motivando in sentenza. Nel processo tributario, in passato, non erano frequenti le ordinanze di rimessione d’ufficio; tuttavia, di recente, come visto, alcune Corti hanno sollevato questioni – ad esempio sull’art. 58 riformato (ord. CGT Campania 2024, ord. CGT Lombardia 2024 citate nella sentenza 36/2025). Un’altra ordinanza degna di nota: CGT Toscana nel 2023 ha sollevato questione sulla soggezione gerarchica dei giudici tributari al MEF, portando forse alla sentenza 204/2024. Quindi, il contribuente può chiedere al giudice di rimettere la questione alla Consulta se reputa la norma ingiusta costituzionalmente (es: la norma che escludeva la prova nuova in appello poteva essere contestata dal contribuente come violazione del diritto di difesa, cosa poi accolta). Se la questione è sollevata, il processo tributario viene sospeso per tutta la durata del giudizio costituzionale (tipicamente alcuni mesi o un anno), poi si riapre con la pronuncia della Consulta. Se la Corte dichiara la norma incostituzionale, questa viene espunta dall’ordinamento erga omnes e il giudice definisce la lite senza applicarla (il contribuente vince se quella norma era sfavorevole a lui). Se la Corte la dichiara infondata, il processo riprende applicando la norma. Esempio concreto: se il giudice tributario avesse sollevato una questione sul dimezzamento dei termini di impugnazione per il contribuente rispetto all’ente (ipotesi), e la Consulta avesse dato ragione al contribuente, quella norma sarebbe caduta e il contribuente avrebbe fruito di termini pieni. Dunque, sì: è uno strumento estremo ma fondamentale a tutela dei diritti. Non va confuso con le eccezioni di costituzionalità che a volte i difensori inseriscono nei ricorsi: quelle non hanno efficacia se il giudice non le fa proprie. Occorre convincere il giudice della rilevanza e non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità.
D10: Cosa comporta la sentenza della Corte Costituzionale n. 36/2025 per i processi in appello?
R: La sentenza 36/2025 ha dichiarato incostituzionali due cose: (i) il divieto assoluto di produrre deleghe, procure e atti di rappresentanza in appello; (ii) la retroattività di tale divieto ai giudizi di appello pendenti. In concreto, per i processi: – Adesso è di nuovo possibile, in appello, depositare deleghe di firma, procure e atti di conferimento poteri non prodotti prima, se si dimostrano indispensabili o se la mancata produzione non era colpa della parte (in base al comma 1 art. 58). Prima della sentenza, questi documenti erano completamente banditi in appello (il giudice doveva ignorarli anche se indispensabili). Ad esempio, ora l’ufficio può produrre la delega mancante (se il giudice la ritiene ammissibile secondo i criteri ordinari) e il contribuente pure può sanare in appello una procura difettosa se c’è un motivo non imputabile. – Inoltre, la pronuncia elimina l’effetto retroattivo che la riforma aveva: il legislatore aveva voluto che il divieto di nova prova (comma 3 art. 58) valesse subito dal 5 gennaio 2024 anche sugli appelli già in corso. La Corte ha detto no, deve valere solo per cause nuove. Quindi, per i giudizi di appello pendenti alla data di entrata in vigore (inizio 2024), quella stretta non si applica. In pratica, se un contribuente aveva appello pendente dal 2023, il suo diritto a produrre documenti rimane regolato dalla vecchia norma (più favorevole). Nella prassi, però, molti giudici d’appello già prima di quella sentenza sospendevano i giudizi in attesa di chiarezza o applicavano la legge con prudenza. Dopo la sentenza, dovranno conformarsi: ergo, negli appelli pendenti si potranno accettare documenti secondo le vecchie regole, e in quelli nuovi si applicherà la nuova regola ma senza il divieto sulle deleghe. – Per i contribuenti, il messaggio è: c’è stata una correzione in senso più garantista. Tuttavia, resta in vigore il principio generale di maggiore chiusura dell’istruttoria in appello (indispensabilità), quindi conviene comunque non fare affidamento e portare tutto prima. Semplicemente, la Consulta ha tolto le situazioni paradossali (non poter produrre in appello la delega di firma, magari perché la scopri tardi, era eccessivo). Quindi da ora: deleghe/procure ammisse se indispensabili, notifiche di atti no, e nessun effetto per cause già avviate prima del 2024.
D11: Se un atto è stato definito con condono o conciliazione, il giudice può dichiarare cessata la materia del contendere anche senza eccezione di parte?
R: Sì. La cessazione della materia del contendere (o estinzione del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse) è rilevabile d’ufficio. Ad esempio, se nel corso del processo tributario il contribuente aderisce a una definizione agevolata (pace fiscale, condono) e l’ente lo comunica al giudice, oppure il giudice lo apprende dagli atti, allora deve dichiarare la causa estinta perché non c’è più contesa. Le SS.UU. n. 1518/2016 citate sopra riguardavano proprio un caso del genere: il giudice aveva il dovere di rilevare d’ufficio che una legge di condono aveva definito la lite, anche se le parti non l’avevano eccepito. Dunque, il condono è un fatto estintivo di ordine pubblico, la cui efficacia il giudice considera anche d’ufficio. Lo stesso per una conciliazione giudiziale: se le parti trovano un accordo, il processo termina, e se anche non lo dichiarano formalmente, il giudice può rilevarlo. In sintesi, quando un atto non ha più ragione d’essere (perché annullato dall’ente, definito, sostituito), il giudice può chiudere la causa senza che una parte lo chieda espressamente. Naturalmente, è bene che le parti informino il giudice, però se non lo fanno e il giudice ne ha conoscenza (es: la norma di condono è pubblica e la fattispecie chiaramente rientra), può attivarsi. Questo tutela il contribuente perché magari l’avvocato potrebbe dimenticare di dichiarare la cessazione della lite, ma il giudice dovrebbe comunque far applicazione della legge sopravvenuta. Un esempio di questi giorni: la “definizione liti pendenti 2023” (Legge 197/2022) prevedeva che con domanda e pagamento il contribuente potesse definire la lite; se il giudice lo sa, dichiara estinto il giudizio. Molti uffici depositano istanza congiunta. Se anche non arrivasse, la Commissione su riscontro dei pagamenti e norme lo può fare d’ufficio.
D12: Se il contribuente ha già vinto su un certo tributo per un anno precedente, può usare quel giudicato a suo favore per l’anno successivo?
R: Sì, tramite l’eccezione di giudicato esterno. Poniamo che il contribuente Alfa abbia ottenuto nel giudizio per l’IVA 2017 una sentenza passata in giudicato che riconosce, ad esempio, la natura esente di una certa operazione. Se per l’IVA 2018 l’Agenzia ripropone la stessa contestazione, Alfa nel nuovo giudizio eccepirà che esiste giudicato su quella questione tra le stesse parti, e lo proverà producendo la sentenza 2017 definitiva. Il giudice tributario 2018 dovrà conformarsi al giudicato 2017 se la questione è identica (stessi presupposti di fatto e di diritto). Questo perché il giudicato ha autorità non solo su ciò che era strettamente oggetto di quel giudizio, ma anche sugli elementi di fatto e di diritto comuni ad altra annualità, purché invariati (principio del cosiddetto giudicato esterno vincolante). La Cassazione ha ribadito che il giudicato esterno va rilevato anche d’ufficio e impedisce decisioni contrastanti. Quindi il contribuente può certamente far valere la cosa giudicata a suo favore: depositando copia autentica della sentenza passata in giudicato (fa fede il “passaggio in giudicato” certificato in calce). Il giudice, riscontrata l’identità delle questioni, accoglierà il ricorso richiamando il precedente giudicato (o dichiarerà cessata la materia del contendere se di fatto l’atto impugnato contrasta col giudicato e va disapplicato). Ad esempio, giudicato su classamento catastale vale per anni successivi; giudicato su esistenza di un’esenzione IRAP per un certo ente può valere per anni analoghi; giudicato su un’interpretazione di legge (a meno che il quadro normativo non muti). Attenzione che il giudicato fa stato fra le stesse parti: se nel 2017 litigavano con la Regione e nel 2018 litigano con lo Stato su tributo analogo, non è lo stesso soggetto quindi non vincola formalmente, anche se moralmente il precedente può orientare. In ogni caso, questa eccezione è potente e il contribuente dovrebbe sempre segnalarla quando c’è un precedente favorevole definitivo.
Con queste domande e risposte, speriamo di aver chiarito i dubbi più comuni e pratici riguardo alle eccezioni procedurali nel processo tributario. Come si è potuto constatare, la materia è tecnica ma di grande importanza pratica: saper individuare e far valere la giusta eccezione al momento opportuno può spesso determinare l’esito dell’intera controversia in favore del contribuente, talvolta a prescindere dal merito fiscale. Nella sezione seguente sono elencate tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo per consentire al lettore di approfondire ulteriormente i singoli aspetti.
Fonti
- Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Codice del processo tributario) – artt. 2, 10, 14, 18, 19, 21, 23, 24, 27, 29, 52, 53, 57, 58 e succ. mod. rilevanti (in particolare modif. introdotte da D.lgs. 149/2022 e D.lgs. 220/2023).
- Legge 31 agosto 2022, n. 130 (riforma giustizia tributaria 2022) e D.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 (riforma del contenzioso tributario 2023) – disposizioni attuative in materia di giudici tributari e modifiche al D.lgs. 546/92 (es. art. 14 co.6-bis), art. 15 co.2, art. 16-bis co.4-bis, art. 33 e 34-bis (udienze da remoto), art. 47 (misure cautelari monocratiche), art. 48 c.4-bis (sospensione anche in Cassazione), art. 58 commi 1-3 nuovo testo.
- Codice di procedura civile, artt. 37 (giurisdizione), 38 (competenza territorio), 112 (corrispondenza tra chiesto e pronunciato, divieto pronunce d’ufficio oltre eccezioni di parte), 324 (cosa giudicata), 329 (effetto devolutivo appello), 337 e 338 (sospensione e nullità sentenze, rapporti con giudicato), 345 (divieto nuove domande e, ante 2023, restrizioni nuove prove in appello analoghe all’art. 58 mod.), 363-bis (rinvio pregiudiziale in Cassazione, introdotto da D.lgs. 149/2022).
- Statuto del Contribuente (L. 212/2000), in particolare art. 6 (tutela affidamento e conoscenza atti), art. 7 (motivazione degli atti, indicazione responsabile), art. 10-bis (interpello, non direttamente processuale), art. 12 (diritti del contribuente verifiche fiscali, co.7 sul contraddittorio prima di accertamento).
- Corte di Cassazione – Sezioni Unite:
- Sent. n. 1099/1998 – principio generale su rilevabilità d’ufficio di eccezioni e distinzione tra potere di allegazione della parte e potere di rilevazione del giudice, con riferimento al giudicato esterno.
- Sent. n. 10531/2013 – ulteriori chiarimenti sulla rilevabilità d’ufficio di fatti estintivi/modificativi salvo eccezioni (citata in Studio Cerbone).
- Sent. n. 14828/2012 – afferma principio generale che “le eccezioni possono essere sempre rilevate d’ufficio dal giudice, salvo che riservate espressamente alla parte”, con riferimento a nullità contrattuali (richiamata per analogia).
- Sent. n. 1518/2016 – in tema di condono tributario, sancisce che il giudice può rilevare d’ufficio l’estinzione della materia del contendere per intervenuto condono (eccezione di cessazione della pretesa).
- Sent. n. 18184/2013 – su obbligo contraddittorio endoprocedimentale (cassazione di avvisi emessi senza attendere 60 giorni da PVC).
- Sent. n. 24823/2015 – contraddittorio tributario: distingue tributi armonizzati (nullità se assente) vs non armonizzati.
- Sent. n. 34447/2019 – sul giudicato esterno in ambito tributario e sua efficacia tra annualità diverse (conferma orientamento precedenti).
- Sent. n. 11676/2024 (SS.UU., 30/04/2024) – su litisconsorzio necessario in appello: conferma applicabilità artt. 331-332 c.p.c. in processo tributario, distinguendo cause inscindibili vs scindibili, con principio di diritto su art. 53 co.2 D.lgs. 546.
- Sent. n. 34851/2023 (SS.UU., 13/12/2023) – estende l’istituto del rinvio pregiudiziale (art. 363-bis c.p.c.) ai giudici tributari di merito; ampliamento soggettivo e chiarimenti (v. Judicium art. cit.).
- Sent. n. 15130/2024 (SS.UU., 29/05/2024) – sul rinvio pregiudiziale: chiarisce che il giudice può sollevarlo senza sentire preventivamente le parti sulla ricorrenza dei presupposti.
- Sent. n. 12974/2024 (SS.UU., 13/05/2024) – dichiara inammissibile un rinvio pregiudiziale divenuto superfluo per sopravvenuta decisione SU su questione analoga.
- Corte di Cassazione – Sezioni semplici (trib., lav., etc.):
- Cass. n. 9754/2003 – definisce l’oggetto del giudizio tributario come limitato dai motivi del ricorso (cfr. estratto in Cass. 8854/2019).
- Cass. n. 1052/2007 (SS.UU. 18/01/2007) – ribadisce che il giudizio è circoscritto a petitum e causa petendi del ricorso, con implicazioni su eccezioni.
- Cass. n. 13742/2015 – afferma che una nuova difesa del contribuente in appello che amplia la materia è da considerarsi domanda nuova vietata.
- Cass. n. 30039/2018 – sulla motivazione dell’avviso di accertamento e portata del giudizio tributario.
- Cass. n. 22810/2015 – su nullità avvisi firmati da funzionari senza qualifica (dirigenti decaduti).
- Cass. n. 9240/2019 – su notifica via posta diretta e presunzioni; conferma che consegna a persona “autorizzata al ritiro” vale se non provato contrario.
- Cass. n. 33563/2018, Cass. n. 2489/2020 – relative a notifiche cartelle via posta e prova con avviso ricevimento (cit. in ord. 8034/2024).
- Cass. n. 478/2022 – su disconoscimento di copie e necessità di specificità (cit. in ord. 8034/2024).
- Cass. ord. n. 8854/2019 (Sez. Trib.) – caso Nike Trading: distingue eccezione in senso lato vs stretto su “grave incongruenza” in studi settore; considera la doglianza come eccezione impropria rilevabile; afferma che nuove difese fondate su fatti nuovi sono domande nuove vietate.
- Cass. ord. n. 8034/2024 (Sez. Trib.) – ribadisce che l’eccezione di prescrizione è eccezione in senso stretto e non rilevabile d’ufficio, va proposta nella prima difesa; applica art. 57 su eccezioni nuove in appello includendo prescrizione. Inoltre, fornisce dictum su termine prescrizione decennale per tributi erariali (respinge tesi 5 anni).
- Cass. ord. n. 25629/2022 – chiarisce portata art. 57: divieto nuove eccezioni riguarda eccezioni in senso proprio (strumento con cui contribuente convenuto fa valere fatto estintivo etc.).
- Cass. ord. n. 19054/2022 – afferma che un motivo nuovo in appello (es. arbitrarietà ricostruzione reddito) non è eccezione in senso stretto ma mera difesa (citata in Studio Cerbone).
- Cass. ord. n. 29371/2020 – (indicata in Studio Cerbone) afferma analogia tra eccez. prescrizione obbligazione tributaria e eccez. decadenza dell’Amministrazione, entrambe da eccepire dal contribuente.
- Cass. ord. n. 16557/2019 – su disconoscimento di copie (cit. in ord. 8034).
- Cass. ord. n. 23902/2017 – presumibile su notifica postale (citata).
- Cass. n. 639/2015 – tardività ricorso come causa d’inammissibilità rilevabile d’ufficio.
- Cass. n. 9340/2014 – su litispendenza tra giudizio su estratto e giudizio su cartella (forse).
- Cass. n. 1550/2015 – legittimazione passiva MEF vs Agenzia (riconfermato: ricorso contro MEF inammissibile).
- Cass. n. 12083/2016 – notifica diretta, presunzioni (tra quelle citate per notifica).
- Cass. n. 15629/2014 (SS.UU.) – il giudicato esterno tra annualità diverse fa stato in presenza identità elementi (importante su capacità espansiva giudicato).
- Corte Costituzionale:
- Sent. n. 36/2025 (dep. 27 marzo 2025) – dichiara illegittimità parziale art. 58 co.3 D.lgs. 546/92 (divieto nova in appello) limitatamente a parole “deleghe, procure…” e dell’art. 4 co.2 D.lgs. 220/2023 (applicazione retroattiva), in riferimento ad artt. 3, 24, 111 Cost. (ordinanze rimessione CGT Campania e Lombardia). V. motivazione riguardo contraddizione e irragionevolezza del divieto assoluto di prova, violazione parità armi tra parte privata e pubblica in appello.
- Sent. n. 190/2023 (dep. 17 ottobre 2023) – questione sull’impugnabilità della cartella conosciuta da estratto di ruolo; richiama che il legislatore ha introdotto possibilità di impugnare il ruolo (art. 12 c.4-bis DL 73/2022), la Corte ritiene non fondata la questione, confermando la legittimità della tutela offerta.
- Sent. n. 128/2019 e n. 63/2018 – precedenti sulle cartelle da estratto, avevano sollecitato intervento legislativo (no pronuncia di incost., ma moniti).
- Sent. n. 47/2019 – dichiarata incostituzionale una norma che impediva al giudice tributario di esaminare la motivazione di atti derivanti da indagini bancarie (violazione art. 24 e 111 Cost.).
- Sent. n. 75/2018 – in materia di sequestro e prova, non attinente qui (forse).
- Sent. n. 181/2017 – su obbligatorietà del contraddittorio in accertamenti doganali (riconosciuta come principio unionale, incostituzionalità parziale norma doganale priva contraddittorio).
- Sent. n. 258/2012 – ha dichiarato illegittimo l’art. 19 D.lgs. 546/92 nella parte in cui non includeva l’omessa notifica di atti presupposti tra le cause di impugnazione della cartella. Ha aperto quindi all’impugnabilità per vizi propri e di notificazione atti a monte, spingendo a modifica normativa (D.lgs. 156/2015 ha inserito co.3 art. 19 con interpretazione).
- Sent. nn. 64 e 66/2008 – su notifiche (casi IRAP Basilicata), eventuali.
- Sent. n. 321/2009 – su termini di prescrizione e decadenza contributi (non esatta), citata solo se.
- Sent. n. 204/2024 (dep. 17 dicembre 2024) – questione su indipendenza giudici tributari (ordinamento MEF vs autonomia). Da sintesi: appare respinta (non fondata), afferma che collocazione nel MEF transitoria non viola Cost. 108 e 111.
- Sent. n. 164/2023 (dep. 7 luglio 2023) – su sospensione necessaria in caso di questione pregiudiziale (forse penale), non direttamente pertinente (archiviopenale: caso diverso).
- Sent. n. 192/2022 – non pertinente (menzionata in cortecostituzionale.it snippet, appare su privilegio nel contenzioso civile).
- Sent. n. 63/2021 – dichiarò incostituzionale norma che negava al contribuente rimedio contro il diniego di definizione agevolata liti pendenti, violando art. 24 Cost. (tutela giurisdizionale).
- Sent. n. 68/2017 – aveva censurato disciplina su sospensione processo tributario in attesa esito penale, credo.
- Sent. n. 10/2015 – su giudici tributari onorari e indipendenza (all’epoca reputò l’assetto incostituzionale? Non ricordo esito).
- Riferimenti normativi in Gazzetta Ufficiale / Normattiva:
- G.U. Serie Speciale Corte Cost. n. 38/2001 – Ordinanza CTR Veneto 1997 su art. 57 comma 2 transitorio, caso storico.
- Normattiva, D.lgs. 220/2023 completo (G.U. 3/1/2024) – in particolare: art. 1 comma 1 lett. d) (nuovo art. 14 co.6-bis), lett. h) (nuovo Capo III atti, firma digitale atti, rilevanza inosservanza norme tecniche), lett. q) (art. 36 co.2 n.4 – dispositivo sentenze anche su vizi annullabilità/nullità), lett. bb) (sostituzione art. 58), art. 4 co.2 (non riportato in nostro estratto, ma menzionato in CC 36/25).
- D.lgs. 546/92 vigente (DEF Finanze) – art. 57 commi 1-2 citati; art. 58 commi 1-3 nuovo.
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Hai avviato un ricorso contro un atto dell’Agenzia delle Entrate, ma il tuo avvocato parla di eccezioni procedurali? Ti stai chiedendo cosa siano e che impatto abbiano sul giudizio?
Nel processo tributario, le eccezioni procedurali sono contestazioni che riguardano il modo in cui si è svolto il procedimento, a prescindere dal contenuto fiscale. Se accolte, possono portare all’annullamento dell’atto anche senza discutere il merito del debito contestato.
🧾 Esempi di eccezioni procedurali
- Notifica irregolare o inesistente dell’atto impugnato
- Mancata motivazione dell’avviso di accertamento o della cartella
- Violazione del contraddittorio obbligatorio
- Utilizzo di atti inesistenti o firmati da soggetti non competenti
- Omessa allegazione degli atti richiamati nel provvedimento
- Vizi nel procedimento di mediazione tributaria (obbligatoria per importi entro 50.000 €)
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Conclusione
Le eccezioni procedurali sono spesso la chiave per bloccare un accertamento fiscale ingiusto, prima ancora di discuterne il contenuto. La forma è sostanza: se la procedura è sbagliata, l’atto è nullo.
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