Sei socio di una società con tuo fratello o tua sorella e ora vi trovate con debiti fiscali, bancari o contributivi?
Avete ricevuto cartelle esattoriali, accertamenti, pignoramenti o richieste personali di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS o da fornitori? In questi casi è fondamentale capire quando i soci rispondono dei debiti della società, cosa si può contestare e come difendere il patrimonio personale, anche tra familiari.
Quando due fratelli soci possono ritrovarsi con debiti personali legati alla società
– Quando la società è una società di persone (SNC o SAS), e i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per i debiti sociali
– Quando uno dei due ha firmato fideiussioni personali o coobbligazioni per mutui, forniture o finanziamenti
– Quando la società è stata cancellata o messa in liquidazione, ma i debiti non sono stati saldati
– Quando, anche in caso di SRL, viene contestata una gestione illecita o distrattiva, e l’amministratore viene chiamato a rispondere in proprio
– Quando uno dei fratelli ha agito in modo autonomo, ma l’altro viene coinvolto perché formalmente socio o rappresentante
Cosa può arrivare anche dopo la chiusura o il fallimento della società
– Cartelle esattoriali per IVA, IRPEF, IRAP, contributi INPS e sanzioni
– Avvisi di accertamento per ricavi non dichiarati o fatture false
– Notifiche di responsabilità solidale tra soci, con richiesta dell’intero importo a entrambi
– Atti di pignoramento personale su stipendio, conto corrente, casa o auto
– Intimazioni di pagamento basate su automatismi, anche se la responsabilità è in realtà solo di uno dei soci
Come puoi difenderti se sei socio con un fratello e ci sono debiti
– Verifica la forma giuridica della società: se è una SNC, la responsabilità è automatica; se è una SRL, va dimostrata
– Se non sei amministratore o non hai gestito direttamente, contesta l’estensione della responsabilità personale
– Se i debiti derivano da errori o iniziative dell’altro socio, documenta la tua estraneità gestionale o tecnica
– Se hai firmato garanzie, verifica se sono scadute, eccessive o revocabili
– Se sei stato coinvolto solo formalmente (es. per motivi familiari), puoi dimostrare la mancanza di potere decisionale
– Se l’importo è troppo elevato, puoi accedere a strumenti come rateizzazione, saldo e stralcio, rottamazione
– Se sei in difficoltà economica, valuta la procedura di sovraindebitamento, anche se il debito è collegato alla società
Cosa puoi ottenere con una difesa tecnica ben costruita
– L’annullamento dell’atto se non esiste responsabilità personale provata
– La sospensione dei pignoramenti o delle misure cautelari
– La riduzione delle somme richieste, se ottieni un riconoscimento di responsabilità parziale
– La protezione dei beni familiari, soprattutto se i debiti derivano da gestioni passate
– La chiusura definitiva della posizione debitoria, anche tra fratelli, senza conflitti distruttivi
Attenzione: essere soci tra fratelli non significa essere sempre responsabili allo stesso modo. Il Fisco e i creditori spesso chiedono tutto a entrambi, anche quando la gestione è stata in mano a uno solo. Ma la responsabilità personale va dimostrata: se ti difendi bene, puoi evitare di pagare per colpe non tue.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in responsabilità tra soci, contenzioso tributario e protezione del patrimonio familiare ti spiega cosa fare se sei coinvolto in debiti della società con tuo fratello o sorella, come difenderti e come tutelare i tuoi beni.
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Introduzione
Scenario: due o più fratelli gestiscono insieme un’attività o condividono beni in comune e si trovano ad affrontare debiti. Come possono tutelare il proprio patrimonio e difendersi dalle pretese dei creditori? In Italia vale il principio fondamentale che ognuno risponde esclusivamente dei propri debiti con i propri beni (art. 2740 c.c.). Ciò significa che, di regola, i debiti contratti da un fratello non ricadono automaticamente sugli altri familiari. Tuttavia, quando i fratelli sono “soci” – ossia condividono interessi economici in società, imprese familiari, comunioni ereditarie o hanno co-obbligazioni – il confine tra i patrimoni può diventare sottile. In certe circostanze specifiche, un fratello potrebbe ritrovarsi coinvolto nei debiti dell’altro.
Obiettivo della guida: offrire un quadro avanzato e divulgativo degli strumenti di difesa a disposizione dei debitori (e dei loro familiari) in situazioni di fratelli soci indebitati. Analizzeremo le varie forme giuridiche di impresa fra fratelli – dalle società di persone (S.n.c., S.a.s.) alle società di capitali (S.r.l.), fino alla comunione ereditaria di una ditta individuale – evidenziando chi risponde dei debiti in ciascun caso e come proteggersi. Saranno citate norme italiane aggiornate (incluso il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, CCII) e sentenze recenti (Corte di Cassazione fino al 2025) per supportare ogni affermazione.
Troverete inoltre tabelle riepilogative per confrontare le diverse situazioni, una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) e alcune esemplificazioni pratiche basate su casi tipici (es. due fratelli in S.n.c. con debiti bancari, fratelli soci in S.r.l. con debiti fiscali, comproprietà ereditaria con debiti di uno dei coeredi, procedure di sovraindebitamento applicate a debitori fratelli).
Nota bene: questa guida riflette il diritto italiano vigente a luglio 2025 e gli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Visto il livello avanzato, si presume che il lettore abbia già nozioni di base sul diritto societario e sulle obbligazioni; tuttavia, ogni concetto chiave sarà spiegato e accompagnato da riferimenti a leggi (norme) o sentenze rilevanti. In situazioni reali, è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista qualificato, poiché ogni caso concreto può presentare peculiarità che richiedono valutazioni specifiche.
Autonomia patrimoniale tra fratelli: principi generali ed eccezioni
In linea generale, essere fratelli non comporta alcuna responsabilità patrimoniale reciproca. Il debito contratto da Tizio non può essere richiesto a Caio solo perché è suo fratello: nessuno può essere obbligato a pagare i debiti altrui per il solo legame di parentela. Ogni persona ha un patrimonio separato e risponde solo con quello delle proprie obbligazioni (principio dell’autonomia patrimoniale e della responsabilità patrimoniale universale ex art. 2740 c.c.). Questo è un baluardo a tutela dei familiari: ad esempio, se tuo fratello accumula debiti personali, i suoi creditori non possono aggredire i tuoi beni né il tuo stipendio, a meno che tu non abbia assunto volontariamente un’obbligazione verso di loro.
Eccezioni volontarie: Ci sono casi in cui un fratello si lega volontariamente al debito dell’altro, diventandone co-obbligato o garante. Ad esempio, se due fratelli firmano insieme un mutuo oppure se uno fa da fideiussore (garante) per un prestito dell’altro, allora entrambi rispondono in solido: il creditore potrà pretendere l’intero importo da ciascuno di essi, indifferentemente (artt. 1292, 1294 c.c.). Allo stesso modo, se un fratello cede in garanzia un proprio bene (es. mettendo un’ipoteca sulla propria casa a garanzia di un debito altrui), quel bene potrà essere espropriato in caso di inadempimento. Dunque, fideiussioni, co-intestazioni di finanziamenti, garanzie reali sono impegni volontari che derogano al principio di separazione dei patrimoni: occorre prestare massima attenzione prima di sottoscriverli, perché il garante/coobbligato subisce le stesse conseguenze del debitore principale (pignoramenti, segnalazioni come cattivo pagatore, ecc.).
Eccezioni legali: Al di fuori di impegni volontari, esistono situazioni legali in cui i debiti di una persona possono “coinvolgere” un fratello. I casi principali sono:
- Successione ereditaria: se un fratello muore lasciando debiti e l’altro accetta l’eredità, quest’ultimo (in quanto erede) risponde dei debiti del defunto illimitatamente con il proprio patrimonio (art. 752 c.c., salvo beneficio d’inventario) – vedi oltre sezione Comunione ereditaria e debiti.
- Impresa familiare o gestione promiscua di beni: se i fratelli collaborano stabilmente nell’attività di famiglia senza chiari confini giuridici, si rischia che vengano considerati una società di fatto o che vi sia confusione patrimoniale. In tal caso un giudice potrebbe ritenere entrambi responsabili verso terzi. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che la semplice collaborazione informale basata su affectio familiaris non basta a creare una società fra consanguinei; tuttavia, se i fratelli operano esternamente come soci, assumendo congiuntamente obbligazioni e presentandosi come un’unica impresa, i terzi possono fare affidamento sull’esistenza di una società e chiedere a tutti i fratelli il pagamento solidale dei debiti. La prova di una società di fatto tra consanguinei deve essere rigorosa, ma se viene accertata comporta responsabilità solidale illimitata per tutti i partecipanti.
- Comunione di beni (es. comproprietà ereditaria): se i fratelli detengono beni in comune (ad es. hanno ereditato insieme una casa o un’azienda), il creditore di uno può aggredire la quota di proprietà di quel fratello. Questo può avere ripercussioni sugli altri, perché il creditore può chiedere la divisione giudiziale del bene comune per soddisfarsi. Nel caso di un immobile indiviso, ad esempio, un creditore (specie se è l’Agenzia Entrate Riscossione – AdER) può iscrivere ipoteca sulla quota del debitore e, superati certi importi, ottenere dal giudice la vendita dell’intero immobile, distribuendo poi ai comproprietari non debitori la loro parte del ricavato. Ciò significa che, in uno scenario estremo, un fratello rischia di perdere la casa comune a causa dei debiti dell’altro, pur venendo indennizzato pro-quota del valore. Approfondiremo oltre questo rischio e le possibili contromosse (come sciogliere anticipatamente la comunione, accordi con il creditore, esercizio di prelazione, ecc.).
Conclusione sui principi generali: in assenza di vincoli giuridici specifici, ciascun fratello rimane protetto dalle pretese per i debiti altrui. Ma quando i fratelli diventano “soci” – cioè condividono affari, beni o obbligazioni – emergono potenziali responsabilità incrociate. Diviene cruciale allora capire come la legge disciplina i diversi tipi di società o comunioni tra fratelli e quali strumenti esistono per limitare i rischi. Nelle sezioni seguenti esamineremo distintamente le varie forme societarie o associative in cui fratelli possono trovarsi coinvolti, analizzando per ciascuna:
- la responsabilità verso i debiti comuni (chi è obbligato a pagare cosa);
- l’impatto di eventuali debiti personali di un fratello sugli altri e sul patrimonio condiviso;
- le tutele legali previste e le strategie per difendersi.
Procederemo dalle società di persone (caratterizzate da responsabilità illimitata dei soci) alle società di capitali (a responsabilità limitata), per poi trattare il caso delle imprese familiari e delle comunioni ereditarie. Infine, affronteremo gli strumenti di esdebitazione (liberazione dai debiti) e le procedure da sovraindebitamento, soluzioni offerte dall’ordinamento ai debitori onesti in difficoltà.
Società in Nome Collettivo (S.n.c.) tra fratelli
Una società in nome collettivo (S.n.c.) è una società di persone in cui tutti i soci hanno responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c.). Questo significa che i fratelli soci di una S.n.c. rispondono con tutti i loro beni personali dei debiti contratti dalla società, in modo solidale: il creditore sociale può esigere l’intero importo da uno qualsiasi dei soci, indipendentemente dalle quote di partecipazione. La responsabilità è sussidiaria nel senso che i creditori devono prima aggredire il patrimonio della società e solo in caso di incapienza possono rivolgersi ai patrimoni personali dei soci (art. 2304 c.c.). Tuttavia, nella prassi, quando la società non paga, i soci diventano il bersaglio naturale: ad esempio, se la S.n.c. di due fratelli non riesce a onorare un debito bancario, la banca, ottenuto un titolo esecutivo, potrà iscrivere ipoteca sugli immobili personali dei fratelli o pignorare i loro conti, una volta appurata l’insufficienza dell’attivo sociale.
Debiti sociali: è importante sottolineare che per i debiti della S.n.c. tutti i soci sono obbligati in solido verso i creditori, a prescindere da chi abbia materialmente contratto l’obbligazione in nome della società. Se ad esempio uno dei fratelli firma da solo una fornitura a nome della S.n.c., entrambi ne rispondono verso il fornitore. Il socio che eventualmente paga per intero un debito sociale potrà poi rivalersi internamente sugli altri soci per la parte di loro competenza (diritto di regresso), ma intanto verso i terzi egli resta pienamente obbligato. Non esiste “beneficio di divisione” tra co-soci: la solidarietà implica che il creditore può colpire uno solo e questi non può opporre di pagare solo la sua quota. L’unico “beneficio” ammesso è, come detto, l’escussione preventiva del patrimonio sociale (beneficio di escussione ex art. 2304 c.c.): in causa il socio può chiedere che prima siano espropriati i beni della società, ma se questi sono insufficienti o già escussi, la pretesa sul socio è pienamente legittima.
Debiti personali di un socio (creditori particolari del socio): cosa accade se uno dei fratelli ha debiti estranei alla società (es. debito personale con banca, con il Fisco, alimenti, ecc.)? Il creditore particolare del socio non può aggredire direttamente i beni sociali, poiché questi appartengono alla società e non al singolo. La legge tutela la continuità aziendale della S.n.c.: i creditori personali dei soci possono colpire solo ciò che spetta economicamente al socio in quanto socio, non il patrimonio comune. In concreto, un creditore particolare potrà:
- Pignorare gli utili spettanti al socio debitore: se la S.n.c. genera utili e decide di distribuirli, la quota di utili di competenza del fratello indebitato può essere pignorata tramite atto di pignoramento presso terzi notificato alla società. Da quel momento, la società dovrà versare al creditore (entro i limiti pignorabili) gli utili spettanti al socio invece di corrisponderli a quest’ultimo.
- Pignorare la quota di liquidazione spettante al socio: se la società si scioglie o se il socio recede/esce dalla società, il creditore particolare può pretendere che la somma risultante a favore del socio (dopo liquidati i rapporti sociali) sia destinata a lui.
- Chiedere la separazione della quota del socio debitore (ossia lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a quel socio): ciò è possibile solo nei casi previsti dalla legge. In generale, l’art. 2305 c.c. stabilisce che il creditore particolare, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione anticipata della quota del socio debitore. Tuttavia, se la società è contratta a tempo indeterminato, il creditore potrebbe provare a ottenere in tribunale la separazione della partecipazione del socio debitore (sostanzialmente facendo uscire forzosamente il fratello indebitato dalla società, con liquidazione della sua quota) qualora ciò sia necessario a soddisfarsi e gli altri mezzi (pignoramento di utili) risultino insufficienti. Questa è una tutela eccezionale e richiede un procedimento giudiziario in cui il creditore deve dimostrare la fondatezza e gravità del proprio credito. In ogni caso, il creditore particolare non può mai provocare lo scioglimento dell’intera S.n.c. né sequestrare beni sociali.
Esempio: se uno dei due fratelli soci ha debiti personali verso l’Agenzia delle Entrate, quest’ultima potrebbe pignorare eventuali utili spettanti a quel fratello dalla S.n.c., ma non potrebbe pignorare il magazzino o i macchinari appartenenti alla società. Se però la S.n.c. si scioglie, la quota di liquidazione spettante al fratello debitore potrà essere attaccata dal Fisco. Inoltre, AdER (il concessionario della riscossione) potrebbe iscrivere ipoteca sulla quota di partecipazione del socio debitore come valore patrimoniale (pur non essendo un bene materiale), e in casi estremi chiedere giudizialmente la liquidazione di quella quota.
Tutele per gli altri soci e per la società: se sei il fratello “virtuoso” in S.n.c. e l’altro fratello ha problemi di debiti personali, alcune precauzioni possono mitigare i rischi:
- Evitare di distribuire utili finché pende la minaccia del creditore particolare: se gli utili restano accantonati in azienda o distribuiti solo al socio non debitore (con accordi interni), il creditore del socio debitore non troverà nulla da pignorare. Ovviamente ciò va ponderato con le esigenze fiscali e di correttezza verso tutti i soci.
- Accordi transattivi col creditore: valutare insieme al fratello debitore la possibilità di pagare o transare il debito personale, soprattutto se la pretesa minaccia la stabilità della società. A volte può convenire che la società o l’altro fratello aiutino a chiudere quel debito (con garanzie di rimborso interno), per evitare azioni disgregative.
- Intervento in giudizio: se il creditore particolare avvia un procedimento per liquidare la quota del socio debitore, la società o l’altro socio possono intervenire per opporsi o proporre soluzioni (es. acquistare loro stessi la quota del socio debitore a un prezzo equo, pagando il creditore). La legge consente ai soci rimanenti di evitare lo scioglimento della S.n.c. pagando i creditori particolari del socio uscente e liquidando a quest’ultimo la quota dovuta.
- Patti parasociali o clausole statutarie: benché non possano derogare alla legge in termini di diritti del creditore, i soci possono prevedere clausole di gradimento o prelazione sulle partecipazioni, in modo da controllare chi entra in società in caso di esecuzione sulla quota. Inoltre, accordi interni possono obbligare il socio che contrae debiti personali a informare e a permettere agli altri di intervenire prima che la situazione precipiti.
Fallimento della S.n.c. e dei soci: se la società in nome collettivo non paga i propri debiti ed è insolvente, i creditori possono chiederne il fallimento (oggi tecnicamente liquidazione giudiziale ai sensi del D.Lgs. 14/2019, Codice della Crisi). In tal caso, la legge prevede l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili (art. 256 CCII, già art. 147 l.fall.) entro un anno dallo scioglimento della società. Ciò significa che se la S.n.c. dei fratelli viene dichiarata fallita, anche i fratelli soci possono essere dichiarati falliti in proprio (con le ovvie conseguenze: nomina di un curatore che gestisce e liquida i loro beni personali, procedura concorsuale unica). Il fallimento personale dei soci è una conseguenza diretta della natura illimitata della responsabilità: il patrimonio personale dei soci diviene parte della massa attiva su cui i creditori sociali possono soddisfarsi. Questo “contagio” non avviene, invece, per i familiari non soci: se un fratello fallisce come socio illimitatamente responsabile, suo fratello non socio non viene coinvolto (il fallimento non si estende per semplice parentela). Va però evidenziato che, in caso di fallimento, il Curatore può esercitare azioni revocatorie anche verso i familiari: ad esempio, se prima del fallimento il fratello socio ha trasferito beni all’altro fratello, tali atti potrebbero essere revocati come atti a titolo gratuito o pagamenti preferenziali, entro i termini di legge (artt. 163 e 164 CCII, già art. 64 e 65 l.f.).
Conclusioni per la S.n.c.: la società in nome collettivo è una struttura imprenditoriale “forte” per un nucleo familiare, in quanto tutti i soci partecipano attivamente e condividono utili e perdite. Però dal punto di vista dei rischi patrimoniali è la forma meno protettiva: ogni socio mette in gioco l’intero suo patrimonio per i debiti dell’attività. Se i fratelli intendono adottare questa forma, devono avere massima fiducia reciproca e consapevolezza finanziaria. Strategie per difendersi da esiti nefasti includono: mantenere riserve in azienda per fronteggiare i debiti, stipulare tra loro patti di compensazione (es. se uno copre un debito sociale maggiore della sua quota, l’altro lo rifonderà), valutare per tempo la trasformazione in società di capitali (vedi oltre) se i debiti e i rischi crescono, e soprattutto evitare che problemi personali di uno si riflettano sulla società. La S.n.c. garantisce ai creditori grande forza: i fratelli soci devono quindi adottare un’altrettanta rigorosa disciplina finanziaria interna.
Di seguito, una tabella riepilogativa sugli aspetti chiave della S.n.c. in relazione ai debiti:
Aspetti | Regime nella S.n.c. (fratelli soci) |
---|---|
Responsabilità per i debiti sociali | Illimitata e solidale: ogni socio risponde con tutti i propri beni delle obbligazioni della società. Il creditore escute prima il patrimonio sociale (art. 2304 c.c.), poi può agire sui soci. |
Debiti personali di un socio | I creditori particolari del socio non possono aggredire i beni sociali, ma possono pignorare utili spettanti, quote di liquidazione e in casi estremi far sciogliere il rapporto sociale col socio debitore. Non possono sciogliere l’intera società né interferire nella gestione. |
Uscita di un socio / recesso | Il socio receduto o escluso rimane responsabile per i debiti sociali sorti fino alla data di uscita (art. 2290 c.c.). Occorre pubblicità dell’uscita nel Registro Imprese per opporla ai terzi. |
Fallimento | Il fallimento (liquidazione giudiziale) della S.n.c. comporta il fallimento di diritto di tutti i soci illimitatamente responsabili (art. 256 CCII) se dichiarato entro 1 anno dallo scioglimento. Soci e società sono co-obbligati nella procedura concorsuale. |
Tutele e consigli | – Valutare la trasformazione in S.r.l. se i rischi aumentano– Evitare garanzie personali aggiuntive (peggiorano l’esposizione)– Tenere separati i patrimoni personali e quello sociale (evitare confusione di conti)– Pianificare l’uscita di un socio problematico prima che i creditori attacchino (es. accordo tra fratelli per liquidare la quota del fratello indebitato prima dei pignoramenti)– Utilizzare strumenti di allerta interna: es. pattuire che se un socio ha gravi difficoltà finanziarie personali, informerà subito gli altri (in modo da prendere contromisure). |
Società in Accomandita Semplice (S.a.s.) tra fratelli
La società in accomandita semplice (S.a.s.) è un’altra forma di società di persone, caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci:
- gli accomandatari, che hanno poteri di gestione e responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (come i soci di S.n.c.);
- gli accomandanti, che sono meri investitori (esclusi dall’amministrazione) e godono di responsabilità limitata alla quota conferita (non rispondono con il patrimonio personale dei debiti sociali, salvo eccezioni) – art. 2313 c.c.
Tra fratelli, una S.a.s. potrebbe vedere, ad esempio, il fratello maggiore come accomandatario (gestore) e il fratello minore come accomandante finanziatore, o viceversa. Le implicazioni debitorie variano a seconda del ruolo:
- Il fratello accomandatario è, agli occhi dei creditori sociali, assimilabile a un socio di S.n.c.: risponde illimitatamente e solidalmente dei debiti della società con tutti i suoi beni presenti e futuri. Se la S.a.s. non paga, i creditori potranno escutere il patrimonio sociale e, in difetto, aggredire il patrimonio personale dell’accomandatario (anche qui con beneficio di escussione del patrimonio sociale ex art. 2304 c.c., applicabile alle società di persone in generale per rinvio dell’art. 2315 c.c.). Dunque, il fratello accomandatario si assume un rischio patrimoniale totale, a differenza dell’altro.
- Il fratello accomandante, invece, ha per legge responsabilità limitata: non risponde dei debiti sociali oltre la quota conferita. Il suo rischio economico è confinato al capitale che ha investito nella società. Se la S.a.s. è inadempiente, i creditori non possono rivalersi sui beni personali dell’accomandante, a meno che quest’ultimo abbia violato il divieto di ingerenza nella gestione. Infatti, se l’accomandante partecipa alle amministrazioni o appare come tale verso i terzi, perde la limitazione di responsabilità e diventa di fatto illimitatamente responsabile (art. 2320 c.c.). Ma finché rispetta il suo ruolo “passivo”, i suoi beni personali sono al sicuro dai debiti sociali.
In pratica, nella S.a.s. tra fratelli c’è una asimmetria: uno dei fratelli (accomandatario) rischia tutto il patrimonio, l’altro (accomandante) rischia solo il capitale conferito. Questa formula a volte è usata nelle imprese familiari per coinvolgere un familiare con apporti di capitale ma che non partecipa attivamente alla gestione e non vuole esporsi troppo. Occorre però fare attenzione: i confini dei ruoli devono essere rispettati rigidamente. Se in realtà entrambi i fratelli gestiscono attivamente l’azienda, di fatto potrebbero essere considerati entrambi accomandatari (o la società potrebbe essere considerata irregolare), con perdita della tutela per l’accomandante.
Debiti sociali nella S.a.s.: i creditori della società possono pretendere il pagamento integrale dagli accomandatari (anche qui in via sussidiaria dopo la società) ma non dagli accomandanti (se non nei limiti delle somme ancora dovute come conferimenti eventualmente non versati). Quindi, se due fratelli hanno una S.a.s. e contraggono un debito:
- il fratello accomandatario può essere costretto a pagare personalmente l’intero debito sociale insoluto,
- il fratello accomandante no, oltre la sua partecipazione (ad esempio, se aveva sottoscritto €50.000 di capitale, e li ha già versati alla società, non gli si può chiedere altro; se non li ha versati interamente, il creditore sociale potrebbe esigerne il versamento fino a €50.000).
Debiti personali di un fratello in S.a.s.: anche qui distinguiamo:
- Se il fratello indebitato è accomandatario, i suoi creditori particolari non possono attaccare i beni della società (valgono analogamente le regole viste per la S.n.c. e art. 2305 c.c.). Potranno pignorare la quota di utili dell’accomandatario e la sua eventuale quota di liquidazione, e nei limiti di legge chiedere l’estromissione del socio debitore dalla società (scioglimento del rapporto limitatamente a lui). Non possono invece sciogliere la società intera né aggredire i beni comuni senza passare per la liquidazione della quota. Ad esempio, se un fratello accomandatario ha un grosso debito con un fornitore personale, questo potrà bloccare gli utili spettanti a quel fratello dalla S.a.s., ma non potrà pignorare i conti societari; al limite, potrà ottenere che il fratello ceda/ liquidi la sua posizione nella società per soddisfare il credito.
- Se il fratello indebitato è accomandante, i suoi creditori si trovano davanti a una partecipazione che è formalmente limitata e priva di poteri gestori. Tuttavia, anch’essi possono agire sugli utili spettanti all’accomandante e sulla sua quota di partecipazione: una quota di accomandante è generalmente più liberamente trasferibile (previo rispetto di eventuali prelazioni statutarie) rispetto a una quota di accomandatario. Quindi il creditore personale potrebbe pignorarla e, tramite un procedimento di vendita, trovare un acquirente (con il rischio per l’altro fratello di ritrovarsi un socio estraneo). Anche gli utili, se distribuiti, sono pignorabili presso la società. Invece non è prevista per i creditori dell’accomandante la possibilità di provocarne l’uscita forzata dalla società (poiché l’accomandante non incide sulla gestione, la legge non prevede una norma come l’art. 2305 c.c. per lui – quest’ultimo infatti si riferisce al socio illimitatamente responsabile).
Gestione delle tutele nella S.a.s.: dal punto di vista dei fratelli coinvolti:
- Il fratello accomandatario deve essere consapevole di avere, di fatto, lo stesso rischio di un socio di S.n.c.: per difendersi dai propri creditori personali, valgono le indicazioni già date (non mischiare conti personali e della società, eventualmente costituire un fondo patrimoniale o trust per i beni personali prima di indebitarsi – tenendo conto delle azioni revocatorie – ecc.). Per proteggersi dai debiti sociali, l’unica via è la prudenza nella gestione e la riservatezza patrimoniale (evitare, se possibile, di mettere a garanzia anche beni personali oltre alla responsabilità illimitata che già grava).
- Il fratello accomandante ha il vantaggio della limitazione di responsabilità, ma deve fare attenzione a non prestare fideiussioni personali in favore della società (errore comune: la banca spesso chiede anche all’accomandante garanzie personali per concedere credito; se l’accomandante acconsente, vanifica la sua protezione, perché diventa garante illimitato di fatto). Inoltre, dovrebbe vigilare affinché la sua figura resti “di puro capitale”: evitare di firmare contratti per la società, evitare di presentarsi come titolare dell’impresa, non far comparire il proprio nome nella ragione sociale (solo il nome degli accomandatari può comparire, pena divenire illimitatamente responsabile: art. 2314 c.c.). In caso di suoi debiti personali, può contare che la sua quota societaria è difficilmente liquidabile coattivamente se c’è opposizione del socio accomandatario o clausole statutarie (c’è una certa tutela anche per lui, perché pochi vorranno subentrare come socio accomandante senza accordo col socio accomandatario). Comunque, in caso di minaccia, l’accomandatario potrebbe valutare di acquistare la quota dell’accomandante debitore o di farla acquisire dalla società (se lo statuto lo consente) per evitare ingressi indesiderati.
Fallimento nella S.a.s.: se la società va in insolvenza e viene assoggettata a liquidazione giudiziale (fallimento), la sorte è simile alla S.n.c.: falliscono la società e tutti i soci accomandatari (illimitatamente responsabili), ma non i soci accomandanti (che essendo limitatamente responsabili non sono dichiarati falliti personalmente). Pertanto, se due fratelli hanno una S.a.s. e la società fallisce, il fratello accomandatario verrà coinvolto nel fallimento personale, mentre l’accomandante no (perderà verosimilmente il suo apporto di capitale nella liquidazione della società, ma il suo patrimonio personale ulteriore resterà al riparo, salvo abbia garanzie personali in essere). Da notare però: se l’accomandante ha di fatto agito come socio palese gestore, rischia di essere considerato un socio occulto illimitatamente responsabile e quindi di fallire anch’egli in estensione (casi di “supersocietà di fatto” o soci occulti: la giurisprudenza prevede che chi si comporta da socio illimitato possa essere dichiarato fallito in estensione, anche se formalmente accomandante).
S.r.l. unipersonale camuffata da S.a.s.: un’osservazione pratica: spesso in realtà le S.a.s. familiari hanno un accomandatario (che gestisce) e l’altro fratello accomandante al 1% solo per il requisito formale (non si può costituire una S.a.s. con un solo socio; serve almeno un accomandatario e un accomandante). In tali casi, se l’accomandante è praticamente figura di comodo o non coinvolta realmente, la S.a.s. funziona come una ditta individuale mascherata con l’aggravante dell’apparente “società”. Il fratello accomandatario accentra rischi e controllo, l’altro è poco più di un prestanome. È bene in queste situazioni valutare alternative più adeguate (ad es. S.r.l. unipersonale intestata al fratello gestore, invece di coinvolgere un congiunto solo per formalità): la S.r.l. unipersonale offrirebbe responsabilità limitata al socio unico, purché ben patrimonializzata e nel rispetto delle norme, ed eviterebbe di impegnare un familiare. Si approfondisce nel prossimo paragrafo il regime di S.r.l.
Tabella riepilogativa S.a.s. (fratelli soci):
Ruolo | Responsabilità verso debiti sociali | Creditori particolari (debiti personali) | Note |
---|---|---|---|
Accomandatario (fratello gestore) | Illimitata e solidale, come socio di S.n.c.: risponde con tutti i propri beni dei debiti sociali. Creditori escutono prima la società, poi possono agire su di lui. | Possono pignorare utili e quota di liquidazione; possono chiedere uscita del socio debitore (art. 2305 c.c. applicabile). Non possono toccare beni sociali direttamente. | Rischio patrimoniale massimo. Evitare confusione tra patrimonio sociale e personale. Può fallire in estensione con la società. |
Accomandante (fratello finanziatore) | Limitata al conferimento (non risponde oltre la quota sottoscritta). Non illimitatamente responsabile (art. 2313 c.c.). | Possono pignorare utili e quota societaria (partecipazione) del socio debitore. Non possono chiedere scioglimento della società né obbligare la liquidazione anticipata quota (salvo concordato con accomandatario). | Protezione elevata, ma attenzione: se ingerisce nella gestione perde la limitazione (art. 2320 c.c.). Non fallisce personalmente se fallisce la società. Evitare di prestare fideiussioni personali. |
Società a Responsabilità Limitata (S.r.l.) tra fratelli
La società a responsabilità limitata (S.r.l.) è spesso la forma prescelta dalle famiglie che vogliono fare impresa riducendo il rischio patrimoniale personale. In una S.r.l., infatti, i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali, ma solo con quanto conferito nel capitale sociale (art. 2462 c.c.). La società di capitali ha piena autonomia patrimoniale perfetta: è un soggetto giuridico distinto dai soci, con proprio patrimonio. Questo implica che se due (o più) fratelli sono soci di una S.r.l., i creditori della società possono rivalersi solo sul patrimonio della società, non sulle case, i conti o gli stipendi personali dei fratelli. Il capitale investito (quote societarie) è a rischio – in caso di insuccesso i soci possono perdere quanto versato e gli utili sperati – ma il resto del patrimonio personale è protetto, salvo eccezioni particolari.
Debiti della S.r.l.: per i debiti contratti dalla S.r.l. risponde dunque solo la società con i suoi beni. Se la S.r.l. non paga ed è insolvente, i creditori non possono citare in giudizio i soci per ottenere il pagamento, né avviare pignoramenti a loro carico (differentemente da quanto accade in S.n.c. o S.a.s.). Questo è il vantaggio principale della forma societaria di capitali: la responsabilità è limitata al capitale sociale. Ad esempio, se due fratelli hanno una S.r.l. che accumula €500.000 di debiti bancari e fallisce, i fratelli non saranno tenuti a coprire di tasca propria quel passivo – a meno che non abbiano prestato garanzie personali –; saranno i creditori a doversi accontentare di ciò che recuperano liquidando i beni della società.
Tuttavia, attenzione alle eccezioni e circostanze correlate:
- Garanzie personali: In pratica molte banche o fornitori, conoscendo che la S.r.l. limita la responsabilità, chiedono ai soci (specie se sono in pochi e legati da vincoli familiari) di firmare fideiussioni personali o di avallare i debiti sociali. Se i fratelli accettano, si reintroduce una responsabilità personale: ad es. una fideiussione bancaria firmata da entrambi i fratelli per un mutuo societario rende i loro beni personali escutibili dalla banca in caso di insolvenza della S.r.l., esattamente come se fossero debitori diretti. Dunque, la protezione offerta dalla S.r.l. può essere vanificata da impegni contrattuali dei soci. È bene valutare criticamente tali richieste di garanzia e, se possibile, negoziare limiti (es. garanzie parziali, o revocabili a certe condizioni) o evitarle. In alcuni casi, alternative come finanziamenti garantiti da pegno su macchinari aziendali o ipoteche su immobili sociali sono preferibili rispetto a coinvolgere gli asset personali dei fratelli.
- Malagestio e responsabilità degli amministratori: se uno o più fratelli, oltre a essere soci, ricoprono cariche amministrative nella S.r.l. (amministratore unico, consiglio di amministrazione), potrebbero incorrere in responsabilità personali indirette per i debiti sociali in caso di mala gestione o violazione di obblighi di legge. Ad esempio, l’amministratore che con il suo comportamento doloso o gravemente negligente causa danni ai creditori sociali può essere chiamato a risponderne con il proprio patrimonio (azione di responsabilità promossa dai creditori ex art. 2476 c.c.). Oppure, omessi versamenti di ritenute o IVA possono comportare sanzioni anche penali e obblighi risarcitori personali. Queste responsabilità non discendono dallo status di socio in sé, ma dal ruolo gestorio: conviene separare i due piani. Sul piano strettamente societario, il socio (non amministratore) è al riparo; sul piano amministrativo, colui che dirige deve rispettare le norme per non esporsi.
- Sottocapitalizzazione abusiva: se i fratelli utilizzano la S.r.l. in modo scorretto, ad esempio caricando la società di debiti sproporzionati con l’intento di non pagarli e farla fallire dolosamente (asset stripping), potrebbero verificarsi ipotesi di responsabilità oltre il capitale. In passato, la giurisprudenza ha elaborato la teoria del “velo societario” sollevato: in situazioni di abuso della personalità giuridica (fraudolenta sottocapitalizzazione, confusione patrimoniale tra società e soci, etc.), i creditori potrebbero tentare di aggredire i soci per dolo (azione revocatoria o istanza di estensione del fallimento per società occulta, se i soci in realtà usano la società come schermo). Sono situazioni estreme, ma da conoscere: mantenere una netta separazione tra conti societari e personali e una capitalizzazione congrua riduce il rischio di contestazioni.
- Obblighi di versamento e patrimoni destinati: i soci rispondono comunque dell’eventuale mancato versamento delle quote di capitale sottoscritte. Se i fratelli hanno costituito una S.r.l. con capitale non interamente versato, i creditori sociali possono esigere che i soci versino il residuo (tramite azione di richiamo dei decimi non versati). Inoltre, se la S.r.l. ha emesso particolari strumenti finanziari o patrimoni destinati, potrebbero esserci obblighi specifici dei soci, ma si tratta di ipotesi particolari.
Creditori particolari dei soci di S.r.l.: ora consideriamo il caso inverso, ossia debiti personali di uno dei fratelli soci. Se un fratello socio di S.r.l. ha debiti propri (con banca, Fisco, ecc.), i suoi creditori non possono aggredire i beni della S.r.l., perché – ribadiamo – appartengono a un soggetto giuridico distinto. Questo vale anche se il fratello è socio unico al 100%: i creditori personali non possono pignorare direttamente (ad es.) i macchinari o gli immobili della S.r.l. in cui il debitore detiene quote. Possono però:
- Pignorare le quote societarie del fratello debitore. La quota di S.r.l. è un bene mobile (sebbene non materializzato in certificati come un’azione); il creditore può notificare un atto di pignoramento al socio debitore e alla società, bloccando di fatto la quota. Segue una procedura di vendita della quota pignorata: di regola sarà il giudice dell’esecuzione a stabilirne le modalità, eventualmente nominando un esperto per stimare il valore e un notaio o un commissionario per trovare acquirenti. Gli altri soci potrebbero aver diritto di prelazione se previsto dallo statuto o dal codice (spesso l’art. 2471 c.c. consente al socio pignorato di vendere la quota ai soci o a terzi graditi, ma in esecuzione forzata le cose si complicano: normalmente si procede alla vendita all’asta). In pratica, i fratelli non debitori rischiano che la quota del fratello indebitato finisca in mano estranea. Per scongiurarlo, talora il socio non debitore può partecipare all’asta e aggiudicarsi la quota, oppure concordare col creditore un rilevamento del credito (pagando il creditore per evitare la vendita a terzi).
- Pignorare gli utili spettanti al socio debitore: analogamente al caso di S.n.c., se la S.r.l. delibera distribuzione di utili, la parte spettante al socio debitore può essere oggetto di pignoramento presso terzi (la società funge da terzo pignorato tenuto a girare i dividendi al creditore procedente). Finché gli utili restano accantonati in società o distribuiti sotto forma non monetaria, il creditore non potrà soddisfarsi su di essi. Dunque, una gestione accorta in caso di socio con problemi potrebbe essere quella di non deliberare distribuzioni di utili e magari remunerare i soci via altre strade (es. stipendi se sono anche dipendenti o amministratori, benché anche questi possano essere pignorati ma con limiti di capienza).
- Reclamo di liquidazione in caso di scioglimento: se la società si scioglie e liquida, il creditore personale potrà farsi assegnare la quota di liquidazione spettante al socio debitore, analogamente a quanto visto nelle società di persone (qui senza bisogno di un’articolazione speciale: basterà mantenere il pignoramento finché si forma il bilancio finale di liquidazione, e il liquidatore dovrà soddisfare il creditore fino a concorrenza del credito sulle somme spettanti al socio).
Un vantaggio ulteriore della S.r.l. è che la quota sociale può avere un valore mutevole e non immediatamente liquido, specie se la società è piccola e “chiusa”: ciò a volte consente margini di manovra. Ad esempio, se nessun terzo è interessato a comprare la quota del fratello debitore all’asta, il creditore potrebbe trovarsi insoddisfatto e la quota restare invenduta (il che blocca esercizio dei diritti patrimoniali ma lascia inalterato l’assetto proprietario). Inoltre, se lo statuto prevede cause di esclusione per il socio in caso di pignoramento quota (clausola ammessa dalla riforma del 2003), la società potrebbe decidere di rimborsare la quota al socio debitore estromettendolo e pagandone i creditori fino a capienza del valore della quota.
Debiti tributari e S.r.l. a base familiare: un capitolo cruciale riguarda i debiti fiscali. Il Fisco (Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione) suole prestare particolare attenzione alle S.r.l. a “ristretta base proprietaria” (tipicamente società familiari): la Cassazione ritiene legittima la presunzione che eventuali utili non contabilizzati in una S.r.l. con pochi soci siano stati distribuiti pro quota a questi ultimi. In pratica, se l’azienda di famiglia occulta ricavi al fisco, non solo la società subirà un accertamento per maggiori imposte, ma i soci (fratelli) potranno vedersi imputare un reddito da capitale pari agli utili extracontabili occultati e tassati personalmente. Ad esempio, se una S.r.l. familiare evade 100 di utili, il Fisco può accertare tale 100 come reddito extra distribuito ai soci (salva la prova contraria, ossia che quegli utili non sono stati distribuiti ma reinvestiti o accantonati). Questa presunzione è iuris tantum: i soci possono vincerla dimostrando che essi non hanno percepito nulla (onere non facile, ma ad esempio producendo bilanci che mostrano utili trattenuti). La giurisprudenza recente ha confermato questa regola (Cass. ord. 30598/2024).
Inoltre, quando la S.r.l. viene cancellata dal Registro Imprese e cessata, i debiti tributari non si “cancellano”: l’Agenzia delle Entrate può agire contro gli ex soci, ma solo entro i limiti di quanto questi hanno ricevuto in sede di liquidazione e seguendo specifiche procedure. Su questo punto si è espressa di recente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 3625/2025): niente responsabilità automatica degli ex soci per i debiti fiscali della S.r.l. estinta. In particolare, è stato affermato che l’AdE/AdER non può limitarsi a notificare cartelle o avvisi intestati alla società ai soci dopo la cancellazione, cambiando solo il nome sul destinatario. Deve invece emettere un nuovo atto impositivo, individuale e motivato, nei confronti del singolo ex socio, in cui provi che quel socio ha ricevuto beni o somme dalla liquidazione. L’essere stati soci non è di per sé sufficiente a giustificare la pretesa tributaria. Il socio risponde solo fino a concorrenza di quanto riscosso in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.), e spetta al Fisco dimostrare tale percezione. Senza un atto nuovo e senza prova concreta di beni incamerati, ogni notifica al socio è illegittima e va annullata. Questa pronuncia (che riflette l’evoluzione normativa dell’art. 2495 c.c. e dell’art. 36 DPR 602/1973) tutela fortemente i soci-familiari: in passato l’AdER spesso notificava cartelle ai soci a distanza di anni dalla cessazione, in modo quasi automatico, ma ora ciò non è più consentito. In sintesi: i fratelli ex soci di una S.r.l. cancellata rispondono dei debiti tributari della società solo se e nei limiti in cui abbiano beneficiato di distribuzioni dell’attivo sociale, e ogni azione esattiva richiede un’accertamento mirato e motivato.
Caso particolare – S.r.l. unipersonale e socio unico: se uno dei fratelli detiene l’intero capitale come socio unico, la legge richiede la pubblicità di tale unicità e del versamento integrale del capitale (art. 2462 c.c.). In passato, la mancata pubblicità comportava la perdita del beneficio della responsabilità limitata (il socio unico occulto diventava illimitatamente responsabile delle obbligazioni sociali). Oggi questo aspetto è meno problematico, ma resta l’obbligo di indicare negli atti la condizione di socio unico. Nel contesto dei fratelli, può succedere che uno sia formalmente socio unico ma amministri l’azienda nell’interesse di entrambi: attenzione, perché se l’altro fratello in realtà agisce anch’egli come socio di fatto, potrebbe profilarsi un caso di società di fatto tra il socio unico formale e l’altro (con possibili responsabilità di quest’ultimo). È una situazione limite, che si evita formalizzando la partecipazione di entrambi i fratelli come soci, oppure stipulando contratti di lavoro/amministrazione chiari col fratello non proprietario.
Tabelle e strategie di difesa per i soci di S.r.l.:
Aspetti | Regime nella S.r.l. familiare |
---|---|
Responsabilità debiti sociali | Limitata al patrimonio sociale: i soci non rispondono con beni propri dei debiti della società (art. 2462 c.c.). Nessuna responsabilità solidale dei soci per obbligazioni sociali. |
Eccezioni | – Garanzie personali: se i fratelli prestano fideiussioni o garanzie, assumono responsabilità diretta verso quei creditori.– Atti illeciti/gestione fraudolenta: in caso di abuso della forma societaria, i soci potrebbero essere ritenuti responsabili (es. azione revocatoria su distribuzioni indebite, estensione del fallimento per società occulta in casi estremi). |
Debiti personali del socio | Creditori personali del socio possono pignorare quota e utili del socio debitore, ma non beni sociali. Nessun diritto di far sciogliere la società. Quota pignorata può essere venduta; gli altri soci possono esercitare prelazione se prevista o acquisire la quota per evitare estranei. |
Debiti fiscali della società | Soci non obbligati in via solidale. In caso di chiusura società con debiti fiscali, ex soci responsabili solo nei limiti di somme percepite (art. 2495 c.c.) e solo con atto motivato individuale. Presunzione di distribuzione utili occulti in società a base ristretta: soci tassati pro-quota salvo prova contraria. |
Fallimento (Liquidazione giudiziale) | La S.r.l. può essere dichiarata insolvente, ma i soci non falliscono (salvo abbiano garanzie o siano soci occulti illimitatamente responsabili in situazioni anomale). Il fallimento colpisce solo la società. Soci perdono il capitale investito e crediti verso la società eventualmente postergati, ma il patrimonio personale resta separato. |
Tutele consigliate | – Mantenere netta separazione tra finanze societarie e personali (evita revocatorie e confusioni).– Capitale adeguato: evitare sottocapitalizzazione che potrebbe portare a indebiti e problemi con creditori; meglio finanziare in equity che accumulare debiti.– Non prestare fideiussioni se non necessario; negoziare clausole limitative se dovute.– Prevedere in statuto clausole di gradimento/prelazione su cessione quote, applicabili anche a vendite forzate, per controllare l’ingresso di terzi non graditi (anche se in esecuzione forzata l’efficacia è relativa, una clausola ben congegnata può consentire ai soci superstiti di rilevare la quota pignorata).– Patti di famiglia o trust: se i fratelli vogliono proteggere la continuità aziendale da eventi personali (es. morte o debiti di uno), possono valutare un patto di famiglia o inserire le quote in un trust, in modo da isolare la proprietà individuale (soluzione sofisticata da valutare con esperti, considerando però che per creditori attuali un trust può essere revocato come atto in frode). |
Impresa familiare e comunione ereditaria: fratelli e debiti in contesti non societari
Non sempre i fratelli formalizzano la loro collaborazione in una società con personalità giuridica. In molti casi, l’attività economica svolta insieme assume forme meno definite giuridicamente, come l’impresa familiare ex art. 230-bis c.c. o la mera comunione ereditaria di beni o aziende ricevute dai genitori. Queste situazioni presentano profili di responsabilità peculiari:
Impresa familiare (art. 230-bis c.c.)
L’impresa familiare è un istituto previsto dal codice civile per regolare il lavoro continuativo prestato dai familiari nell’impresa di uno di essi. Tipicamente, uno dei fratelli è il titolare (imprenditore individuale) e l’altro collabora stabilmente nell’attività, pur senza essere formalmente socio. In un’impresa familiare:
- Il titolare (fratello proprietario dell’azienda individuale) è l’unico titolare dei rapporti giuridici esterni: contratti, debiti, crediti fanno capo a lui. Egli solo risponde verso i terzi di tutti i debiti dell’impresa, illimitatamente con il proprio patrimonio, esattamente come ogni imprenditore individuale.
- I familiari collaboratori (fratelli, ma anche coniuge, parenti entro il terzo grado, affini entro il secondo) non diventano soci per il solo fatto di aiutare; hanno però diritti di partecipazione agli utili e alcuni poteri gestionali interni, proporzionati al lavoro prestato. Ma verso l’esterno non acquistano automaticamente lo status di imprenditore o coobbligato. In linea di principio, quindi, un fratello collaboratore nell’impresa familiare non risponde dei debiti dell’impresa: questi restano in capo al fratello titolare.
- Tuttavia, la realtà può essere più sfumata: se i fratelli di fatto si comportano come soci sotto ogni aspetto (investono capitali insieme, prendono decisioni congiunte, si presentano entrambi come titolari verso i terzi), i creditori potrebbero sostenere che esiste in realtà una società di fatto tra i fratelli, e chiedere di conseguenza il pagamento ad entrambi (vedi sopra la società di fatto fra consanguinei). La giurisprudenza riconosce che non è richiesto un contratto scritto per costituire una società di fatto: basta un accordo anche implicito e la condotta concludente delle parti. Ad esempio, Cassazione ha affermato che se tutti i membri della famiglia partecipano attivamente e stabilmente alla gestione con comunione di mezzi e scopo di lucro, si può configurare una società di fatto a tutti gli effetti. In tal caso, come già detto, tutti i “soci di fatto” rispondono illimitatamente dei debiti comuni. La linea di confine tra impresa familiare e società di fatto è sottile: di regola, l’impresa familiare si presume quando uno è chiaramente il capo e gli altri lo aiutano, senza accordi su perdite e senza autonomia decisionale completa dei collaboratori; diventa invece società di fatto se c’è affectio societatis, partecipazione anche alle perdite e comportamenti che fanno credere ai terzi di avere a che fare con una società. La Cassazione 2023 (sent. 4385/2023) ha ribadito che per dichiarare il fallimento in estensione di una società di fatto familiare occorre prova rigorosa del patto sociale, e che fideiussioni e finanziamenti sistematici di un familiare all’impresa possono essere indici di partecipazione come socio. E specialmente tra consanguinei occorre escludere che l’aiuto sia motivato da semplice affectio familiaris e non da un vero vincolo societario.
- Un altro rischio nell’impresa familiare riguarda la promiscuità dei patrimoni: spesso l’impresa familiare opera con beni che sono della famiglia (es. casa coniugale usata come sede, conto corrente cointestato, ecc.). Ciò può portare i creditori del titolare a confondere e aggredire beni che in parte sono del fratello collaboratore. Ad esempio, se i fratelli convivono nella stessa casa intestata magari al genitore o in comunione, un pignoramento mobiliare potrebbe colpire beni di proprietà anche del collaboratore, costringendolo a dimostrare la proprietà estranea (si pensi a un ufficiale giudiziario che pignora i mobili in casa: li presume del debitore, a meno di prova contraria). Oppure, se il fratello collaboratore ha finanziato acquisti aziendali ma risultano fatturati all’impresa, quei beni sono aggredibili dai creditori del titolare.
- Debiti personali del fratello collaboratore: se il fratello non titolare ha propri debiti, formalmente questi non riguardano l’impresa familiare. Però se ad esempio viene pignorata la sua metà dei beni comuni (vedi comunione dopo), ciò può disturbare l’attività (es. pignoramento di una macchina utilizzata in azienda ma intestata al collaboratore). O se il collaboratore è pagato con una quota di utili o stipendio dall’impresa, i suoi creditori potranno pignorare quella retribuzione.
In sintesi, nell’impresa familiare vale in teoria l’autonomia patrimoniale del titolare: solo il fratello titolare è obbligato verso i terzi. Ma la mancanza di una struttura societaria nitida può esporre di fatto anche l’altro fratello a rischi patrimoniali. Come difendersi?:
- Formalizzare i ruoli: se si opta per mantenere l’impresa familiare, è opportuno redigere una dichiarazione di impresa familiare (registro imprese, INPS etc.) che certifichi chi è titolare e chi collaboratore. Ciò aiuta, in caso di controversie, a provare che l’intenzione non era di costituire una società. Anche il trattamento fiscale differisce (il titolare dichiara tutto il reddito e assegna quote ai collaboratori familiari).
- Separare i beni personali: evitare confusione tra beni aziendali e familiari. Ad esempio, i macchinari dovrebbero essere intestati al titolare e usati solo per l’impresa; la casa di abitazione se promiscua dovrebbe avere magari un fondo patrimoniale se trattasi di coniugi (non possibile tra fratelli, ma almeno un regime di separazione dei beni per i coniugi del titolare aiuta). Insomma, tenere traccia chiara di proprietà e utilizzi.
- Valutare forme alternative: l’impresa familiare è concettualmente una ditta individuale con collaboratori. Se i fratelli operano quasi da soci, forse conviene costituire formalmente una società (S.n.c. o S.r.l.) per chiarire posizioni e responsabilità. Paradossalmente, trasformare un’impresa familiare in S.n.c. potrebbe sembrare aumentare la responsabilità del collaboratore (che da non responsabile diverrebbe illimitatamente responsabile), ma almeno gli darebbe controllo formale e consapevolezza, mentre se di fatto già si comportava da socio stava correndo rischi impliciti senza tutela. Meglio ancora, valutare di passare a S.r.l. in modo da limitare per entrambi i rischi, se il giro d’affari lo consente.
- Attenzione alle firme: il collaboratore non deve firmare contratti con i fornitori o banche. Se lo fa, potrebbe essere ritenuto coobbligato (firma come co-dichiarante del debito). Solo il titolare dovrebbe firmare gli impegni. Se è necessario delegare, meglio farlo tramite procura come institoria, specificando che agisce in nome del titolare e non in proprio.
Comunione ereditaria di azienda o beni (fratelli coeredi)
Quando fratelli ereditano insieme un patrimonio (ad es. l’azienda di famiglia dal padre, o immobili, denaro, ecc.), si crea una comunione ereditaria. La comunione è una situazione in cui più persone (coeredi) sono contitolari pro quota di tutti i beni ereditari, fino a che non si fa la divisione. In tale fase:
- Se l’eredità comprendeva debiti (ad esempio debiti del defunto genitore verso banche o Fisco), tutti gli eredi che accettano l’eredità ne rispondono illimitatamente e solidalmente con il proprio patrimonio (art. 754 c.c.: gli eredi sono solidalmente tenuti alle obbligazioni del defunto, salvo il beneficium divisionis per i debiti divisibili). Significa che, se i fratelli accettano l’eredità, un creditore del defunto può chiedere a uno qualsiasi di loro il pagamento integrale del debito ereditario. L’erede che paga più della propria quota potrà rivalersi sugli altri, ma intanto verso il creditore aveva un’obbligazione solidale. Prima difesa: valutare la rinuncia all’eredità o l’accettazione con beneficio d’inventario. Infatti, se i debiti del defunto superano i beni, è opportuno rinunciare per non doverli pagare col proprio patrimonio. Se invece ci sono beni ma anche debiti, il beneficio d’inventario consente di limitare la responsabilità patrimoniale per i debiti ereditari ai beni ereditati, separando i patrimoni (artt. 490 ss. c.c.). Molti scelgono di accettare puramente l’eredità senza rendersi conto di questo aspetto: i fratelli dovrebbero sempre farsi un’idea della situazione debitoria del defunto e optare per soluzioni conservative se c’è incertezza. Nota: la rinuncia all’eredità fatta da un debitore in danno dei propri creditori può essere impugnata dai creditori stessi entro 5 anni (azione in surrogatoria ex art. 524 c.c.), quindi se un fratello molto indebitato rinuncia a un’eredità positiva, i suoi creditori potrebbero farsi autorizzare dal tribunale ad accettarla al suo posto per recuperare quanto spettantegli.
- Se l’eredità comprende un’azienda (impresa individuale del defunto) e i fratelli coeredi decidono di proseguirne l’esercizio in comunione (senza costituire subito una società), la situazione è delicata. Fino alla divisione, quell’azienda appartiene indivisa a tutti: di fatto è come una società di fatto tra coeredi. La legge (art. 2284 c.c.) stabilisce che se viene a mancare uno dei soci di società di persone e gli eredi subentrano, questi formano solo una comunione ereditaria sulla quota, non diventano automaticamente soci collettivi; ma questo riguarda società costituite. Per un’azienda ereditata senza società, invece, spesso gli eredi stipulano un accordo per la gestione provvisoria comune, o la lasciano continuare così com’è. Giuridicamente, se gli eredi continuano insieme l’attività d’impresa del de cuius, si può configurare o una comunione tacita d’azienda, o addirittura una società di fatto. La responsabilità per i nuovi debiti contratti nella gestione post-mortem sarà di chi li contrae in nome dell’impresa (se agiscono congiuntamente, tutti potrebbero esserne responsabili). La Cassazione ha in passato inquadrato queste situazioni come “società di fatto tra coeredi” quando c’è esercizio in comune e divisione utili. Anche qui, meglio formalizzare presto la situazione: o costituendo una società regolare tra fratelli coeredi, oppure procedendo alla divisione ereditaria assegnando l’azienda a uno solo di essi (con conguagli agli altri).
- Creditori particolari di un coerede su beni in comunione: durante la comunione ereditaria, la quota astratta di ciascun coerede è teorica (es. 50% dell’intero patrimonio ereditario). Un creditore di un coerede può pignorarne la quota indivisa. Il pignoramento però colpisce la quota globale, non uno specifico bene (perché il coerede non è proprietario di uno specifico bene ma di una frazione di tutto). Cosa succede allora? Il creditore può intervenire nella divisione. Secondo gli artt. 599 e 600 c.p.c., il creditore particolare del comproprietario può chiedere la separazione della quota del suo debitore o partecipare al giudizio di divisione per tutelare i suoi diritti. In pratica, il creditore può chiedere al tribunale di sciogliere la comunione: i beni in comunione verranno divisi (se possibile in natura) oppure venduti e ripartito il ricavato, cosicché la parte spettante al coerede debitore vada a soddisfare il creditore. Se ad esempio due fratelli hanno ereditato una casa al 50% ciascuno e uno ha un grosso debito, il creditore può ottenere dal tribunale la vendita all’asta dell’intero immobile comune, non essendo comodamente divisibile; poi metà del ricavato (al netto spese) spetta al creditore del fratello debitore e l’altra metà all’altro fratello (che subisce la perdita dell’immobile, sostituito dal denaro ricavato). Per gli immobili, la legge salva dalla vendita forzata la prima casa solo se di proprietà esclusiva del debitore e in cui egli risiede anagraficamente (DL 6/2013 conv. L. 98/2013); in caso di proprietà per quota, tale tutela non si applica in modo netto, come confermato dall’esperienza: AdER può procedere anche su immobili in comproprietà (poiché non è un “unico immobile di proprietà del debitore”, essendo cointestato). Pertanto, avere beni in comunione con un fratello indebitato è pericoloso: il consiglio è risolvere prima possibile la comunione. Ad esempio, un fratello potrebbe acquistare la quota dell’altro prima che intervengano i creditori (pagando direttamente i creditori per liberare eventuali ipoteche). Oppure, vendere volontariamente l’immobile e dividersi il ricavato, così che il fratello debitore possa pagare i suoi debiti e l’altro mettere al sicuro la propria parte in denaro o altro (prima però occorre valutare eventuali ipoteche e se la vendita potrebbe essere revocata come atto in frode, se il debitore già è inseguito dai creditori). Nel caso di azienda comune, analogamente: l’auspicio è trovare un accordo tra fratelli per cui uno rileva le quote degli altri, evitando ingerenze di creditori nella gestione.
Riassumendo le difese in contesti non societari:
- Quando i fratelli condividono beni o imprese ereditate, prevenire è meglio che subire: è spesso saggio procedere a una divisione concordata. Ad esempio, se hanno ereditato più beni, suddividerli in natura (uno prende l’immobile, l’altro i titoli, ecc.) o vendere e spartire, così ciascuno diventa proprietario esclusivo di qualcosa. Così, se uno ha debiti, il creditore potrà aggredire solo i beni finiti a lui, senza coinvolgere l’altro fratello.
- Se decidono di continuare insieme un’attività ereditata, conviene formalizzarla in una società (S.n.c. o S.r.l.). Questo chiarisce regole e responsabilità. Restare in una comunione/informalità li espone a confusione di ruoli e possibili dispute sui contributi di ciascuno.
- Utilizzare strumenti di pianificazione successoria: i genitori (se ancora in vita) possono prevenire problemi disponendo lasciti in modo da non creare comunioni forzose tra figli litigiosi o con disparità di pendenze. Esempio: se uno dei figli è molto indebitato, i genitori potrebbero nel testamento destinare la sua quota in modo protetto (es. in trust a beneficio dei nipoti, o nominare un altro figlio come usufruttuario, ecc., compatibilmente con la quota di legittima). Certi strumenti possono rendere più difficile per i creditori del figlio indebitato aggredire l’eredità (anche se non si può privarli totalmente della legittima spettante al debitore: se la lesione è troppo forte possono agire in riduzione surrogatoria). Ad ogni modo, c’è margine per soluzioni creative (patto di famiglia, donazioni compensate, vincoli di destinazione) tali da evitare comunioni patrimoniali rischiose.
Strumenti di tutela del patrimonio dal rischio debiti
Dopo aver analizzato le diverse situazioni societarie e familiari in cui fratelli possono incappare in responsabilità debitorie, passiamo in rassegna gli strumenti giuridici di difesa preventiva del patrimonio personale. Si tratta di misure che un fratello (debitore o potenzialmente tale) può adottare per proteggere i propri beni da future aggressioni dei creditori, oppure che la famiglia può approntare per salvaguardare il patrimonio comune da eventuali dissesti di uno dei membri. È fondamentale sottolineare che molti di questi strumenti devono essere attivati “in tempi non sospetti”, prima che i debiti diventino ingestibili o prima che i creditori abbiano già mosso azioni, altrimenti rischiano di essere annullati o inefficaci (si pensi all’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., che può colpire atti dispositivi compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori). Ecco i principali:
- Fondo Patrimoniale: istituto riservato ai coniugi o uniti civilmente (non può essere creato tra fratelli non sposati). I coniugi possono destinare determinati beni (immobili, titoli di investimento, ecc.) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, rendendoli inalienabili salvo consenso e soprattutto non aggredibili dai creditori per debiti estranei ai bisogni familiari (artt. 167 ss. c.c.). Ad esempio, un fratello sposato può conferire la casa coniugale in un fondo patrimoniale: se poi contrae debiti per la sua attività imprenditoriale, i creditori non potranno pignorare l’immobile, a meno che provino che il debito fu contratto per scopi familiari (o che il creditore fosse ignaro della destinazione familiare) ex art. 170 c.c. In ottica della famiglia di origine: i genitori potrebbero conferire beni in un fondo a favore dei figli e dei nascituri, ma sempre collegato ad un matrimonio/unione. Quindi, tra fratelli celibi/nubili non è utilizzabile direttamente. Tuttavia, se uno dei fratelli è sposato, costituire un fondo patrimoniale con la moglie può indirettamente proteggere alcuni beni anche dal rischio di debiti verso un fratello socio. Limite: il fondo patrimoniale è vulnerabile all’azione revocatoria se i debiti erano preesistenti o se l’atto è compiuto in frode ai creditori (entro 5 anni). Inoltre, non protegge dai debiti contratti per necessità familiari (ad es. debiti fiscali se considerati utili alla famiglia, possibile interpretazione estensiva).
- Trust: un trust è un istituto di derivazione anglosassone, ma riconosciuto in Italia via Convenzione dell’Aja 1985, con cui un disponente trasferisce beni ad un trustee perché li amministri a vantaggio di beneficiari secondo regole stabilite. Trust di protezione patrimoniale: un fratello indebitato o i suoi familiari potrebbero istituire un trust destinato ad esempio al sostentamento dei figli del debitore, mettendo nel trust alcuni beni (es. immobili) che così escono dal patrimonio del debitore. Il creditore del fratello non può pignorare beni che il fratello non possiede più, ma solo se il trust è fatto per tempo. Se il trust viene istituito quando i debiti sono già insorti e scaduti, è praticamente certo che sarà oggetto di azione revocatoria (i tribunali considerano il trust suspect se riduce la garanzia patrimoniale del debitore senza soddisfarlo). Viceversa, un trust istituito anni prima, ad esempio dai genitori a favore dei figli, può proteggere questi beni da eventuali futuri creditori dei figli (purché non sia un espediente fraudolento). Un esempio di uso del trust in ambito familiare: i genitori vedono che uno dei figli è incline a indebitarsi; trasferiscono la casa di famiglia in un trust a beneficio di quel figlio e dei suoi bambini, con un trustee terzo, in modo che i creditori del figlio non possano colpire direttamente la casa (perché è intestata al trustee per finalità protette). Tuttavia, se i creditori riescono a dimostrare che il trust è simulato o creato con intenti di frode, possono attaccarlo (ci sono anche sentenze che talora dichiarano nullo un trust “sham”). Quindi il trust funziona come scudo solo se creato con congruo anticipo, per ragioni lecite e con patrimonio proporzionato. Trust vs fondo patrimoniale: il trust è più flessibile (può includere fratelli come beneficiari, o scopi variegati), ma in Italia è meno “simpatizzato” dal fisco e dai creditori (viene subito guardato con sospetto se fatto da un debitore). Il fondo patrimoniale è più standard ma limitato a contesto coniugale.
- Vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.: simile al trust, la norma consente di destinare beni immobili o mobili registrati a uno scopo meritevole di tutela, per max 90 anni o vita del beneficiario. Ad esempio, un fratello potrebbe destinare un immobile “al soddisfacimento dei bisogni di X” (dove X potrebbe essere un disabile, o la sua famiglia). Questo vincolo, opponibile ai creditori solo se pubblicato, fa sì che i beni vincolati possano essere aggrediti solo per debiti contratti per raggiungere quello scopo. È poco usato perché manca la figura del trustee: il bene resta intestato al disponente, con un vincolo a favore del beneficiario. Sul piano pratico offre protezione simile al fondo patrimoniale ma più ampia perché non limitata ai bisogni familiari classici e non richiede matrimonio (un fratello può destinare un bene a favore di un altro fratello, se lo scopo è riconosciuto meritevole, ad es. mantenimento di un fratello disabile). Ovviamente, come tutti gli atti a titolo gratuito o senza corrispettivo, è soggetto a revocatoria se ci sono già creditori pregressi.
- Polizze vita e previdenza: importi versati in assicurazioni sulla vita, fondi pensione integrativi, e strumenti assimilati godono di una certa impignorabilità e insequestrabilità (art. 1923 c.c. per assicurazioni: le somme dovute dall’assicuratore al beneficiario non possono essere aggredite dai creditori del contraente o dell’assicurato, salvo premi pagati in frode ai creditori). Ciò significa che un fratello che tema future aggressioni potrebbe “convertire” parte del patrimonio liquido in polizze vita a beneficio dei propri cari. I creditori del fratello debitore non possono toccare la polizza finché è in essere; se però egli versa premi sproporzionati quando è già indebitato, i creditori possono agire sostenendo che sono atti in frode (c’è giurisprudenza a riguardo). Inoltre, piani di previdenza complementare (FIP, fondi pensione) una volta attivati sono protetti: non sono cedibili né pignorabili (D.Lgs. 252/2005, art. 11). Quindi investire lì può mettere al riparo somme (che però saranno disponibili solo a scadenze legate alla pensione, salvo anticipi per certi bisogni). Chiaramente, queste non sono soluzioni per grandi patrimoni, ma per somme moderate sì.
- Divisioni e donazioni mirate: come accennato, prevenire conflitti in comunione è fondamentale. Se i fratelli ereditano con disparità di situazione debitoria, conviene concordare divisioni dove il fratello indebitato riceve beni più liquidi (denaro, titoli) con cui possa sistemare i creditori, mentre l’altro riceve beni stabili. Oppure, a volte, il fratello non indebitato può donare del denaro all’altro perché saldi i debiti, in cambio quest’ultimo esca dalla comunione di un bene comune cedendogli la propria quota. Le donazioni tra fratelli, però, se il donatario ha debiti, possono essere revocate dai suoi creditori se pregiudicano il loro soddisfacimento (azione revocatoria entro 2 anni per atti a titolo gratuito). Anche i creditori del donante potrebbero talora lamentarsi se la donazione impoverisce quest’ultimo. Va quindi ponderato con legali.
- Patto di famiglia: è un contratto con cui un imprenditore trasferisce la propria azienda o partecipazioni societarie a uno o più discendenti, con il consenso degli altri (che di solito ottengono una liquidazione). Se i genitori vogliono evitare di far finire l’azienda comune in mano a un figlio indebitato, potrebbero usare il patto di famiglia per assegnare l’azienda a un figlio “virtuoso”, liquidando l’altro in denaro o beni equivalenti che purtroppo però i suoi creditori potrebbero aggredire. Il vantaggio è che l’azienda resta nelle mani solide e non viene smembrata o attaccata dai creditori del figlio indebitato (che avranno al più il diritto su ciò che gli viene assegnato come compensazione). È uno strumento più che altro di tutela dell’impresa di famiglia, per non farla divorare dai debiti personali di uno degli eredi.
Attenzione: qualsiasi strumento di segregazione o trasferimento di beni può essere vanificato se fatto quando i debiti sono già conclamati. I creditori dispongono:
- dell’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), esercitabile entro 5 anni dall’atto, per far dichiarare inefficaci verso di loro atti con cui il debitore ha diminuito la garanzia patrimoniale (donazioni, vendita a prezzo irrisorio, costituzione di fondi patrimoniali, trust, pagamenti affrettati a taluni creditori, ecc.) compiuti con scientia damni (conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori). Non serve la prova di frode penalistica, basta l’eventuale consapevolezza di creare pregiudizio. Ciò ingloba la gran parte delle mosse “fai da te” che i debitori disperati compiono all’ultimo (intestare casa al fratello, svuotare conto e mettere soldi altrove, ecc.): quasi sempre revocabili.
- in casi estremi, se c’è un fallimento, c’è la revocatoria fallimentare (artt. 163 CCII, ex art. 64 e 65 l.f.) che in modo anche più severo colpisce atti gratuiti o anomali compiuti prima del fallimento (fino a 2 anni prima per atti gratuiti).
- persino la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è reato (D.Lgs. 74/2000 art. 11) se un debitore tributario disperde il patrimonio per non pagare il Fisco.
Il messaggio, dunque, è: pianificare per tempo con strumenti leciti e calibrati, piuttosto che fare mosse tardive facilmente impugnabili. Un fratello preoccupato di possibili insuccessi imprenditoriali futuri potrebbe, quando ancora è solvibile, predisporre un assetto protettivo (es. conferire alcuni beni in un trust familiare irrevocabile quando nessuno può dire che è già insolvente). Oppure scegliere fin dall’inizio forme societarie responsabilità limitata per l’impresa, invece di impegnare anche la casa. In sede di matrimonio, optare per separazione dei beni tra coniugi: così se uno dei fratelli (sposato) fallisce, i beni intestati alla moglie restano fuori (tranne le solite eccezioni di intestazioni fittizie revocabili se provate). Sono tutte valutazioni da fare ex ante con un consulente legale/tributario di fiducia.
Riassumiamo in tabella alcuni strumenti di tutela patrimoniale:
Strumento | Chi può adottarlo | Effetto sui beni | Limiti e note |
---|---|---|---|
Fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) | Coniugi o uniti civili (anche genitore vedovo a favore figli minori) | Beni destinati ai bisogni della famiglia; impignorabili per debiti non familiari | Solo tra coniugi. Revocabile se debito pregresso o se il creditore prova finalità fraudolenta. Non tutela da debiti contratti per esigenze familiari (art. 170 c.c.). Durata limitata al matrimonio. |
Trust autodichiarato o con terzo trustee | Chiunque (meglio se con fine meritevole es. tutela disabili, minori) | Bene segregato, fuori dal patrimonio del disponente; creditori successivi alla costituzione non possono aggredirlo | Costi di gestione elevati (notai, trustee). Soggetto a revocatoria se istituito in frode. Riconosciuto se rispetta forma e scopo lecito. Può proteggere anche fratello indebitato se fatto dal disponente per suo beneficio (es. genitore crea trust per figlio spendaccione). |
Vincolo di destinazione (2645-ter c.c.) | Proprietario di immobile o bene registrato | Bene vincolato a uno scopo (es. assistenza di un familiare); patrimonio separato entro limiti di durata | Atto pubblico da trascrivere. Protetto da aggressioni estranee allo scopo. Revocabile se pregiudica creditori presenti. Meno flessibile del trust (niente cambio intestazione). |
Polizza vita / Fondo pensione | Chi ha disponibilità liquide | Somme impignorabili finché investite (beneficiario riceve capitale alla morte, non aggredibile dai creditori del contraente) | Se i premi versati sono sproporzionati e fatti con intenti elusivi, creditori possono chiedere revoca. Riscatto anticipato può esporre le somme incassate. Strumento valido per mettere al riparo gradualmente risparmi (e assicurare i familiari in caso di decesso). |
Separazione beni coniugale | Coniugi (atto in atto di matrimonio o successiva modifica regime) | Mantiene separati patrimoni dei coniugi; i creditori di uno non possono toccare i beni intestati all’altro (salvo fideiussioni, co-intestazioni, o debiti per spese familiari) | Soluzione raccomandata quando uno dei due coniugi (fratello, nel ns caso) è imprenditore rischioso; ma ha effetto pro futuro, non su debiti già esistenti. Non protegge se c’è simulazione (intestazioni fittizie all’altro coniuge smascherabili). |
Accettazione beneficiata / Rinuncia eredità | Erede di persona deceduta (fratello di debitore o debitore stesso vs eredità genitori) | Beneficio d’inventario: patrimonio ereditario separato, erede paga debiti ereditari solo col patrimonio ereditato, non con il proprio. Rinuncia: erede non entra nei beni né nei debiti del defunto. | Beneficio: va fatto con dichiarazione formale e inventario; l’erede deve gestire distintamente i beni ereditari.Rinuncia: creditori personali del rinunciante possono impugnarla se lede le loro ragioni (art. 524 c.c.). Inoltre, la rinuncia se altri coeredi accettano aumenta le loro quote: scenario da valutare (potrebbe favorire creditori di altri coeredi se indebitati). |
Patto di famiglia (art. 768-bis c.c.) | Imprenditore (genitore) con figli | Trasferisce azienda/quote a un figlio, con liquidazione agli altri eredi concordata; esclude future liti di riduzione | Protegge l’azienda da divisioni o da intervento di creditori di eredi? In sé no, ma evita comunioni ereditarie pericolose, assegnando l’azienda direttamente al figlio più idoneo. I creditori del figlio che riceve l’azienda potranno aggredirla come suo patrimonio (dunque non shield di per sé), ma almeno l’azienda non viene venduta coattivamente per pagare debiti di altro figlio. |
In conclusione su questo punto, la migliore difesa è una buona pianificazione. Fratelli che intraprendono insieme dovrebbero:
- scegliere la struttura giuridica idonea a limitare i rischi (meglio società di capitali se l’attività è significativa in termini di debiti potenziali);
- stipulare accordi chiari (patti parasociali, assicurazioni incrociate, ecc.) per gestire eventi come morte, recesso, insolvenza di uno dei soci;
- mantenere trasparenza e documentazione su apporti e ruoli (ciò evita contestazioni di società di fatto o confusione patrimoniale);
- considerare per tempo strumenti protettivi per i beni di famiglia, coinvolgendo professionisti esperti (notaio, avvocato, commercialista), onde evitare mosse fai-da-te che potrebbero peggiorare la situazione (es. cessioni simulate a parenti scoperte e annullate, con perdita anche di fiducia reciproca in famiglia).
Procedure di esdebitazione e sovraindebitamento: come liberarsi dai debiti (fresh start)
Nonostante tutte le cautele, può accadere che uno o più fratelli si trovino in una situazione di sovraindebitamento o addirittura di insolvenza conclamata, ovvero l’impossibilità di far fronte regolarmente alle obbligazioni. In questi casi estremi, il nostro ordinamento – specialmente dopo la riforma introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, CCII, in vigore dal 15 luglio 2022) – prevede delle procedure concorsuali minori volte a regolare la crisi e, ove possibile, liberare il debitore dai debiti residui (esdebitazione). Si tratta di strumenti che incarnano il principio del “fresh start” (seconda possibilità) per il debitore meritevole, ispirati a favor debitoris compatibilmente con la tutela dei creditori. Analizzeremo di seguito tali procedure, poiché potrebbero riguardare un fratello indebitato (come persona fisica consumatore o piccolo imprenditore) o anche essere utilizzate in modo coordinato da più fratelli se, ad esempio, hanno garantito insieme debiti insostenibili.
Quadro normativo aggiornato (luglio 2025): la disciplina del sovraindebitamento è ora organicamente contenuta nel CCII, artt. 65-83, che hanno abrogato la vecchia Legge 3/2012 (cosiddetta “legge anti-suicidi”) mantenendone però la struttura di base. Successive modifiche (D.Lgs. 83/2022 di attuazione direttiva UE 2019/1023, e D.Lgs. 136/2024 cd. Correttivo Ter) hanno introdotto migliorìe. In sintesi, oggi esistono tre procedure principali più una speciale:
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII): è la nuova versione del vecchio “piano del consumatore”. Chi può accedervi: solo la persona fisica consumatore, cioè che ha contratto debiti estranei ad attività d’impresa o professionale. Esempio: un fratello che ha debiti per credito al consumo, mutui personali, bollette, fideiussioni personali, etc., ma non è imprenditore (o lo era ma ha cessato da tempo). Caratteristiche: il debitore propone un piano di ristrutturazione dei propri debiti ai creditori, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Non serve il voto favorevole dei creditori; è il Tribunale che omologa il piano se ritiene sussistenti i requisiti (in particolare la meritevolezza del consumatore) e che il piano offra ai creditori un pagamento non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione. Una volta omologato, il piano diventa vincolante per tutti i creditori compresi (anche se dissenzienti). Può prevedere dilazioni, stralci, vendite di beni, ecc., secondo la capacità del debitore. Se il debitore esegue regolarmente il piano, ottiene l’esdebitazione di eventuali importi residui non pagati. Questo strumento è ideale per il consumatore onesto in difficoltà, perché consente di evitare la liquidazione dei suoi beni e di tenersi ad esempio la casa (spesso i piani del consumatore prevedono di pagare il possibile mantenendo la prima casa). Requisito chiave è la meritevolezza: il debitore non deve aver colposamente aggravato la sua posizione (criterio ora semplificato: non deve aver causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode). La Cassazione ha chiarito che vanno applicati i parametri nuovi introdotti nel 2020, più favorevoli al debitore, basati solo sull’assenza di dolo o colpa grave, abolendo il vecchio “triplice test” e la valutazione delle scelte finanziarie azzardate se non frutto di malafede. Ad esempio Cass. 22890/2023 ha cassato una decisione che negava la meritevolezza per troppa leggerezza nel far debiti, affermando che ora rileva solo malafede/frode o violazione di specifici doveri di correttezza. Ciò facilita l’accesso del consumatore alla procedura.
- Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è l’erede dell’“accordo di composizione della crisi” della L.3/2012, destinato ai debitori non consumatori non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglie di fallibilità, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti, enti non commerciali, etc.). Quindi, se i fratelli hanno un’impresa ma di dimensioni che non li rendono soggetti a liquidazione giudiziale, oppure hanno chiuso la partita IVA ma restano con debiti, possono avvalersene. Caratteristiche: il debitore propone un accordo ai creditori che va approvato da una maggioranza (maggioranza per teste e per crediti ammessi al voto). È quindi un concordato consensuale: serve il voto favorevole (diversamente dal piano del consumatore). Se i creditori approvano e il tribunale omologa, l’accordo diviene vincolante. Può prevedere ristrutturazione, continuità aziendale, moratorie, stralci, ecc. Anche qui, se eseguito, porta all’esdebitazione residua. Il merito del debitore è valutato in modo simile (assenza di frode o mala fede grave). Nel concordato minore, essendo spesso soggetti “imprenditori” seppur piccoli, c’è più attenzione al business plan se l’attività prosegue. Ad esempio, due fratelli soci di una SNC non fallibile per piccole dimensioni potrebbero presentare un concordato minore con cessione di un bene di famiglia e pagamento parziale dei debiti, ottenendo la liberazione dalle obbligazioni eccedenti.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII, ma collocata altrove nel codice): è la procedura liquidatoria, equivalente al vecchio istituto della “liquidazione del patrimonio” del debitore. La possono utilizzare sia consumatori sia piccoli imprenditori, quando non vogliono o non possono proporre un piano/concordato (es. perché non hanno entrate per sostenere un piano e l’unica soluzione è liquidare tutto il possibile). Si apre avanti al tribunale, si nominano un gestore-liquidatore, si vendono i beni del debitore (salvaguardando quelli impignorabili, ecc.), si distribuisce il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione. Il vantaggio rispetto all’esecuzione individuale disordinata è che la liquidazione controllata è unitaria e a fine procedura (durata qualche anno) il debitore ottiene l’esdebitazione dei debiti residui non soddisfatti, salvo eccezioni (debiti alimentari, risarcimenti da illecito extra contrattuale e poche altre categorie rimangono comunque dovuti). Questa procedura somiglia molto a un fallimento personale ma con esito liberatorio: il debitore collabora e alla fine riparte pulito. Ad esempio, un fratello che abbia molti debiti e qualche bene ipotecato, che non riesce a trovare accordo coi creditori, può spontaneamente chiedere la propria liquidazione controllata: il liquidatore venderà i beni (o li assegnerà ai creditori garantiti) e chiuderà la procedura; dopodiché il giudice dichiarerà inesigibili i debiti residui. Importante: l’esdebitazione non è automatica, va richiesta e il debitore deve essere meritevole (non aver frodato i creditori, non aver violato i doveri di cooperazione). Ma è di solito concessa.
- Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): novità introdotta col CCII, è una procedura speciale e gratuita pensata per il debitore persona fisica che non abbia alcun patrimonio liquidabile (il cosiddetto “nullatenente”). Prevede che, una volta ogni vita, il debitore meritevole che versa in condizioni di particolare difficoltà economica e non ha beni né redditi aggredibili, possa chiedere al tribunale di essere esdebitato dai suoi debiti chirografari senza alcun pagamento ai creditori. Questa è una sorta di “fresh start a zero” riservata a casi umani gravi (ad esempio un fratello che abbia sempre lavorato come dipendente ma ha garantito i debiti di un’attività andata male, e ora si trova disoccupato e privo di beni; oppure un ex piccolo imprenditore fallito che dopo la chiusura non possiede più nulla – attenzione però, per falliti c’è la specifica esdebitazione post-fallimentare). L’idea è di evitare che persone incapienti restino schiacciate a vita da debiti che mai potranno pagare, spingendole magari al lavoro nero o all’usura. I requisiti sono stringenti: nessun bene cedibile (eccetto eventualmente crediti verso terzi di importo modesto), almeno il 10% di reddito impignorabile messo a disposizione per 4 anni (se ha qualche entrata), nessuna colpa grave o frode. I creditori possono opporsi, ma se tutto è regolare, il giudice cancella i debiti chirografari. Debiti alimentari, risarcimenti per danni e multe restano comunque. E se entro 4 anni dalla concessione l’incapiente acquisisce un patrimonio significativo (ad es. una vincita, un’eredità importante), deve pagare i creditori soddisfacendoli fino a concorrenza di quanto condonato, altrimenti l’esdebitazione viene revocata.
Procedura familiare unica: una novità del 2021/2022 (prevista dall’art. 66 CCII) è la possibilità di presentare un’unica procedura di composizione della crisi per membri della stessa famiglia. Se più componenti di una famiglia (coniuge, parenti entro il quarto grado, affini entro il secondo, o conviventi di fatto) sono sovraindebitati, e ricorrono alcune condizioni (stessa origine dell’indebitamento, oppure coobbligati in debiti, o vivono insieme e lo ritengono opportuno), possono proporre un piano comune o concordato minore comune. Ad esempio, due fratelli conviventi, entrambi con debiti, potrebbero presentare un unico piano di ristrutturazione del consumatore se i debiti hanno origine comune (magari hanno fatto insieme da garanti a un mutuo). Questo evita duplicazione di procedure e permette una soluzione unitaria (utile quando c’è magari un immobile comune da gestire). Il “Correttivo Ter” ha meglio specificato questa opzione, favorendo approcci familiari coordinati. Ovviamente, occorre che il tipo di procedura sia lo stesso per tutti (non si può mischiare concordato minore di uno con piano consumatore di altro; se uno è consumatore e l’altro no, devono aderire entrambi a concordato minore o entrambi a ristrutturazione, trovando un compromesso).
Esdebitazione dell’ex fallito: accenniamo anche che, al di fuori del sovraindebitamento, anche il debitore che è stato soggetto a liquidazione giudiziale (fallimento) ha diritto a chiedere l’esdebitazione (art. 282 CCII, ex art. 142 l.f.). Quindi se un fratello era socio di S.n.c. e fu dichiarato fallito, a chiusura del fallimento (o anche prima in casi particolari) può ottenere la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti verso i creditori concorsuali. Ciò gli dà una seconda chance. La meritevolezza è anche qui richiesta (non deve aver ritardato o ostacolato la procedura, o tenuto comportamenti fraudolenti). Debiti per sanzioni, multe e alimenti restano esclusi anche dall’esdebitazione del fallito.
Effetti dell’esdebitazione sui condebitori: è importante chiarire che la liberazione dai debiti è personale. Se due fratelli erano coobbligati verso un medesimo creditore e solo uno ottiene l’esdebitazione, l’altro condebitore rimane obbligato per intero (il creditore non soddisfatto potrà rivalersi su di lui). Ad esempio, fratello A e fratello B garanti solidali di un mutuo: A ottiene esdebitazione nella sua procedura, il creditore potrà ancora pretendere tutto da B (che poi non avrebbe più azione di regresso verso A, essendo il debito di A estinto). Quindi, in situazioni di coobbligazione familiare, sarebbe opportuno che entrambi accedano a procedure coordinate di sovraindebitamento, altrimenti l’effetto per uno rischia di tradursi in un aggravio per l’altro.
Durata e impatto sulle persone: le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento offrono la prospettiva di tornare economicamente “puliti”. In cambio, il debitore deve affrontare un percorso sotto controllo dell’autorità giudiziaria:
- Deve dichiarare e mettere a disposizione tutto il suo patrimonio disponibile (salvo le cose indispensabili come definite dalla legge).
- È soggetto a vincoli: durante il piano o liquidazione non può assumere nuove obbligazioni significative senza autorizzazione, deve mantenere un comportamento trasparente e collaborativo.
- Verrà iscritto nei registri dei procedimenti di crisi (non pubblici come un bollettino per tutti, ma visibili ad esempio ai futuri finanziatori se fanno ricerche).
- Tuttavia, a differenza del fallimento tradizionale, non c’è più lo stigma sociale e le limitazioni personali (il fallito un tempo subiva interdizioni, ora abolite per le procedure minori; ad es. si può conservare la patente, partecipare a concorsi pubblici, etc.).
Meritevolezza e abusi: come fil rouge, c’è la questione etica della meritevolezza che è stata modulata nel CCII con più equilibrio. Il legislatore ha voluto evitare che errori di valutazione o la cosiddetta “colpa del consumatore” impedissero tout court l’accesso all’esdebitazione. Ora conta principalmente che il debitore non abbia frodato i creditori (ad es. occultato beni, speso somma rilevante in giochi d’azzardo senza informare – su quest’ultimo punto: la giurisprudenza considera la ludopatia una condizione che può attenuare la colpa, Cass. 22699/2023 ha ritenuto ammissibile il piano per debiti da gioco se la condotta è effetto di patologia). Insomma, l’orientamento è di dare una via d’uscita, pur unica, anche a chi ha fatto scelte finanziarie sbagliate ma non in mala fede.
Consiglio pratico: se un fratello si trova sommerso dai debiti, non bisogna aspettare che la situazione degeneri ulteriormente (pignoramenti multipli, svendite all’asta, accumulo di interessi e sanzioni). Meglio consultare subito un esperto in procedure di crisi (spesso ci si può rivolgere all’Organismo di Composizione della Crisi locale o a professionisti specializzati) per valutare la fattibilità di un piano di rientro o di una liquidazione volontaria. Questo vale anche se l’indebitato è socio di società fallita: può chiedere l’esdebitazione personale. Queste procedure danno sollievo anche psicologico: sospendono le azioni esecutive durante la loro pendenza (sono previste misure protettive: appena si deposita la domanda e il giudice la ammette, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti, similmente al automatic stay americano). Danno regole certe e un termine finale al calvario dei debiti. E permettono di ripartire da capo, riabilitati.
Ecco uno schema riepilogativo semplificato delle procedure da sovraindebitamento:
Procedura | Destinatari | Approvazione | Esdebitazione finale | Riferimenti |
---|---|---|---|---|
Ristrutturazione debiti consumatore (ex piano consumatore) | Persona fisica consumatore (no debiti di impresa) | Non richiede voto creditori; omologa giudice se fattibile e debitore meritevole | Sì, per debiti residui chirografari una volta eseguiti i pagamenti previsti | Art. 67-73 CCII. Requisito: assenza colpa grave/mala fede nel sovraindebitamento. |
Concordato minore (ex accordo) | Debitori non fallibili (es. piccoli imprenditori, professionisti, start-up) e consumatori che optano per proposta con voto creditori | Richiede voto favorevole creditori (maggioranza >60% crediti chirografari, salvo classi) e omologa giudice | Sì, su residuo dopo esecuzione accordo, se debitore adempie | Art. 74-83 CCII. Può coinvolgere garanzie di terzi, continuità aziendale, ecc. |
Liquidazione controllata (ex liquidazione patrimonio) | Qualsiasi debitore non fallibile insolvente (consumatore o imprenditore minore) | Non c’è voto: il tribunale apre la procedura se ci sono insolvenza e meritevolezza minima | Sì, a fine liquidazione il debitore persona fisica è liberato dai debiti insoddisfatti (salvi eccezioni di legge) | Art. 268-277, 282 CCII. Simile a fallimento ma senza stigma, con possibilità di conservare alcuni beni impignorabili. |
Esdebitazione “incapiente” | Persona fisica sovraindebitata priva di beni e redditi aggredibili, meritevole | N/A (istanza individuale al giudice, sentiti i creditori eventualmente) | Sì, immediata – debiti chirografari cancellati senza pagamenti (salvo revoca se sopravvivenze attive entro 4 anni) | Art. 283 CCII. Utilizzabile una sola volta. Debiti fiscali includibili (tranne eventuali sanzioni?). |
Nota: queste procedure non coprono debiti derivanti da obblighi alimentari, da risarcimento per il dolo del debitore, e multe penali/amministrative: tali debiti restano comunque esigibili (art. 282(3) CCII richiama art. 275 CCII). Ad esempio, una sanzione tributaria o una multa stradale non viene spazzata via dall’esdebitazione (mentre l’imposta o il bollo non pagato sì).
In definitiva, il messaggio positivo per i fratelli debitori è: una via d’uscita legale esiste, anche nelle situazioni più compromesse. L’importante è affrontarla con trasparenza e per tempo, sfruttando le opportunità offerte dalla legge per negoziare coi creditori o, se necessario, passare attraverso una procedura guidata dal tribunale che ponga fine all’indebitamento con un saldo e stralcio globale. Bisogna essere disposti a sacrificare qualcosa (in primis, spesso, il proprio orgoglio e parte dei propri beni), ma ne vale la pena per tornare ad una vita normale senza debiti. Per una famiglia, aiutare un fratello ad intraprendere per tempo un percorso di sovraindebitamento assistito può significare anche proteggere l’intero nucleo: si evitano escalation aggressive dei creditori, che come visto possono a volte lambire i beni comuni, e si preservano le relazioni familiari che lo stress finanziario potrebbe altrimenti logorare.
Domande frequenti (FAQ)
D: I debiti contratti da mio fratello possono ricadere automaticamente su di me?
R: No, in generale ognuno risponde solo dei propri debiti (art. 2740 c.c.). Non esiste responsabilità solidale tra fratelli solo per il vincolo di sangue. Fanno eccezione solo i casi in cui volontariamente o per legge si crei un vincolo: ad es. se firmi come garante o coobbligato di tuo fratello, allora diventi obbligato in solido (artt. 1936, 1292 c.c.). Oppure se accetti l’eredità di un fratello defunto con debiti, allora sì che ne rispondi (illimitatamente, salvo beneficio d’inventario). Ma al di fuori di queste situazioni, i creditori di tuo fratello non possono chiedere a te il pagamento. Se lo facessero (magari operatori di recupero crediti senza scrupoli), sappi che è una pretesa illegittima e puoi diffidarli.
D: Siamo soci in una S.n.c. familiare. La società ha contratto debiti importanti che non riusciamo a pagare. Cosa rischiamo a livello personale?
R: Nella S.n.c. i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti sociali. Ciò significa che se la società non paga, i creditori possono rivalersi sui tuoi beni personali e su quelli degli altri soci, per l’intero importo del debito. In pratica rischiate case, conti correnti, stipendi, ecc. Il creditore deve prima escutere il patrimonio della società (art. 2304 c.c.), ma se – come spesso accade – questo è insufficiente, può procedere contro i soci. Inoltre, se il debito è grave e la società insolvente, potrebbe essere dichiarato il fallimento della società e dei soci (liquidazione giudiziale in estensione), con un curatore che gestirà anche i vostri beni personali per pagare i creditori. In questa situazione, dovreste valutare urgentemente delle contromisure: ad esempio, cercare un accordo stragiudiziale con i creditori, oppure avviare voi stessi una procedura di sovraindebitamento o liquidazione controllata per affrontare la crisi in modo ordinato. Tenete presente che, una volta esaurito tutto, potete chiedere l’esdebitazione e ripartire senza debiti, ma perderete verosimilmente i beni impegnati. È cruciale muoversi con l’assistenza di un professionista esperto in crisi d’impresa.
D: Mio fratello è socio accomandante al 30% nella nostra S.a.s., io sono accomandatario al 70%. Se la società non paga un fornitore, il creditore può aggredire i beni personali di mio fratello accomandante?
R: No, il socio accomandante per definizione non risponde con i suoi beni dei debiti sociali, salvo abbia immesso la propria quota (che nel tuo caso avrà già versato). Quindi il creditore potrà rivolgersi a te, come accomandatario, e al patrimonio sociale, ma non al patrimonio personale del fratello accomandante. Attenzione però: se tuo fratello accomandante avesse in qualche modo partecipato alla gestione violando il divieto (art. 2320 c.c.), potrebbe aver perso la limitazione di responsabilità. Ma in condizioni normali, l’accomandante è al riparo. Il creditore al massimo potrà pignorare la quota di partecipazione del socio accomandante (cioè tentare di venderla per incassare qualcosa) e gli eventuali utili spettanti, ma non può chiedergli direttamente soldi di tasca sua.
D: Sono socio al 50% con mio fratello in una S.r.l. La società ha un grosso debito verso il fisco. Io e mio fratello dovremo pagarlo personalmente?
R: In linea di principio no, se si tratta di una S.r.l.: i soci non sono responsabili personalmente dei debiti sociali, neppure verso il Fisco. Sarà la società a dover pagare con le sue risorse. Se queste non bastano, l’Agenzia Entrate Riscossione potrà pignorare beni e crediti della società, ma non i vostri beni personali. Ci sono però alcune insidie da considerare:
- Se avete fornito garanzie personali (fideiussioni) per debiti fiscali rateizzati o per altri debiti, quelle restano valide.
- In caso di chiusura della società, i debiti tributari insoddisfatti “seguono” i soci solo nei limiti di quanto hanno riscosso in liquidazione, e previa specifica procedura. La Cassazione (SU 3625/2025) ha stabilito che il Fisco deve emanare nuovi atti verso i soci e provare che hanno ricevuto attivo. Se, ad esempio, la S.r.l. viene cancellata portando via casse piene ai soci, il Fisco vi potrà chiedere quelle somme per pagare le imposte dovute; ma se voi non avete preso nulla, non avrete obblighi aggiuntivi.
- Se la società ha evaso imposte generando utili “in nero”, il Fisco potrebbe tassare voi soci per quei utili come redditi da partecipazione (presunzione di distribuzione utili nelle società a base ristretta). Dovreste allora contestare dimostrando che non li avete percepiti.
- Infine, se uno di voi era amministratore e ha omesso versamenti dovuti (es. IVA, contributi) potrebbe incorrere in responsabilità personali o sanzioni.
Ma come semplici soci, senza colpa, per il debito fiscale della S.r.l. in sé non dovete pagare nulla di persona, ripeto, salvo il caso di distribuzioni finali di patrimonio. Valutate magari col commercialista un piano di rientro in capo alla società (rateizzazione fiscale, ecc.) per evitare misure esecutive sulla società.
D: Io e mio fratello abbiamo ereditato la casa dei nostri genitori (50% ciascuno). Ora mio fratello ha molti debiti con le banche. Possono prendersi la mia metà di casa?
R: Possono certamente colpire la quota di proprietà di tuo fratello nella casa comune. Tipicamente verrà iscritta una ipoteca sul suo 50% e, se il debito è rilevante, il creditore (banca) può chiedere la vendita all’asta dell’intero immobile in comunione. Tu verrai coinvolto come terzo comproprietario: avrai diritto a metà del ricavato al netto dei debiti, ma perderesti la proprietà della casa in caso di aggiudicazione a terzi. Purtroppo la legge lo consente, perché la casa indivisa non è protetta come “prima casa” (anche ammesso che tu vi abiti). Come difenderti? Alcune opzioni:
- Estinguere il debito di tuo fratello prima che si arrivi alla vendita, se ti è possibile economicamente, magari subentrando tu come creditore (o rifacendoti su di lui). Capisco che può essere oneroso, ma a volte l’unico modo per salvare l’immobile è pagare.
- Se la procedura è già in corso, potresti esercitare il diritto di prelazione in sede di divisione giudiziale: in pratica, hai diritto a che la casa sia preferibilmente assegnata a te, pagando tu la quota di tuo fratello ai creditori, anziché venduta a estranei (questo diritto esiste in favore del comproprietario ex art. 720 c.c. nelle divisioni, e l’art. 599-600 c.p.c. ne tengono conto nella vendita: puoi fare un’offerta per primo).
- Trattare col creditore per un accordo: ad esempio, potresti proporre di comprare tu la metà di tuo fratello a un prezzo concordato, saldando così i suoi debiti (spesso le banche sono disponibili a transare, risparmiano tempo d’asta).
- Divisione consensuale preventiva: se non è ancora pignorato nulla, tu e tuo fratello potreste sciogliere la comunione: ad esempio tu prendi la casa intera intestata a te, e contestualmente ti accolli (o paghi) parte dei suoi debiti verso le banche per pari valore. Così tuo fratello risolve i debiti e tu salvi la casa. Attenzione: questa operazione dev’essere fatta con fair play e possibilmente coinvolgendo i creditori, altrimenti se appare come atto in frode (tu prendi la casa sottraendola ai creditori) potrebbe essere impugnata.
In sintesi, mantenere una comunione con un fratello fortemente indebitato è rischioso. Ti conviene risolverla quanto prima con mezzi pacifici. Se non fai nulla, è concreto il pericolo che la casa venga messa all’asta e tu, pur non debitore, debba lasciarla, ricevendo solo la quota del ricavato.
D: Un creditore di mio fratello (socio al 50% della nostra piccola S.r.l.) ha pignorato la sua quota di partecipazione. Che cosa significa per me e per la società?
R: Il pignoramento della quota di tuo fratello significa che la sua partecipazione (50%) nella S.r.l. è bloccata e verrà probabilmente messa in vendita forzata. Implica alcune cose:
- Tuo fratello per ora non può vendere o disporre liberamente della quota (è sotto vincolo).
- Gli utili eventualmente spettanti a tuo fratello sono vincolati: se la società dovesse distribuire dividendi, dovrà accantonare la parte di tuo fratello a favore della procedura esecutiva.
- Verrà nominato probabilmente un esperto stimatore o un notaio commissario per procedere alla vendita del 50%. Questa potrà avvenire tramite un’asta pubblica o una vendita privata autorizzata.
- Tu, come altro socio, dovresti verificare lo statuto: spesso c’è diritto di prelazione a favore del socio superstite in caso di vendita della quota altrui. In pignoramento, la prelazione legale non opera automaticamente, ma a volte il giudice d’esecuzione può tenerne conto. Puoi manifestare l’interesse a comprare tu la quota.
- Se la quota viene venduta a un terzo estraneo, ti ritroverai un nuovo socio. Non puoi impedirlo se qualcuno fa l’offerta migliore. Avrai però voce in capitolo su approvazione del nuovo socio se lo statuto lo prevede (clausole di gradimento): comunque, in esecuzione forzata, di solito il giudice può bypassare alcune restrizioni statutarie per realizzare il valore.
In pratica, per la società nulla cambia nell’immediato operare quotidiano (tu continui a gestire se sei amministratore, etc.), ma la compagine sociale potrebbe modificarsi. Come difenderti? Se ci tieni a mantenere il controllo familiare, la strada è cercare di rilevare tu stesso la quota pignorata. Magari puoi accordarti col creditore: offrigli un prezzo equo per la quota di tuo fratello (che andrà a diminuire il debito di tuo fratello). Se il creditore accetta, il giudice può assegnarti la quota. In mancanza, preparati a partecipare all’eventuale asta per essere tu l’aggiudicatario. Valuta con attenzione il valore reale della società: spesso le quote di maggioranza relative in società chiuse non attirano molti acquirenti esterni (soprattutto se l’altro 50% resta a te, che magari sei ostile; un estraneo socio al 50% con te potrebbe trovarsi a mal partito a gestire, e questo potrebbe abbassare l’interesse e quindi il prezzo d’asta). Ciò può giocare a tuo favore per riacquisire la quota a prezzo conveniente.
Ricorda che finché la quota è pignorata, tuo fratello perde il diritto di voto nell’assemblea salvo atti di straordinaria amministrazione (in cui potrebbe intervenire il giudice). Questo per evitare che diminuisca il valore della società. Quindi di fatto tu potrai decidere da solo in assemblea ordinaria (avendo il 50% tuo + l’altro 50% congelato).
Riassumendo: la società rimane intatta nei suoi beni; è la proprietà della quota che è in gioco. Il tuo obiettivo, se vuoi tenerla in famiglia, è negoziare col creditore o partecipare alla vendita per prenderla tu.
D: Cosa succede se mio fratello viene dichiarato fallito? Il fallimento si estende a me o ai nostri genitori?
R: Il fallimento (ora liquidazione giudiziale) è personale: coinvolge il soggetto imprenditore dichiarato insolvente. Non si estende ai familiari in quanto tali. Quindi, se tuo fratello è un piccolo imprenditore e viene dichiarato fallito, tu come fratello non fallirai e i tuoi beni non saranno toccati dal curatore, a meno che naturalmente tu fossi coobbligato per quei debiti (in tal caso i creditori continueranno a chiedere a te, ma al di fuori del fallimento del fratello). Lo stesso vale per i genitori: non c’è trasmissione del fallimento per via familiare. L’idea arcaica del “disonore” che colpiva l’intera famiglia non ha riscontro giuridico.
Detto ciò, attenzione a eventuali intrecci patrimoniali: il Curatore fallimentare avrà poteri di indagine sui movimenti di beni. Se tuo fratello nei due anni prima del fallimento ti ha fatto, ad esempio, una donazione o ti ha pagato un grosso prestito che gli avevi fatto, il Curatore può agire in revocatoria fallimentare e chiederti la restituzione di quanto ricevuto. Non perché tu sia colpevole, ma per ripristinare la par condicio creditorum (le donazioni fatte 24 mesi pre-fallimento sono revocabili ex lege). Anche pagamenti preferenziali a te (se eri suo creditore) entro l’anno pre-fallimento sopra certa soglia possono essere revocati.
Inoltre, se tu avevi beni in comune con tuo fratello, come detto prima, il fallimento di lui comporta che il Curatore agirà per dividerli: es. se avete il 50% ciascuno di un immobile, il Curatore venderà la quota di tuo fratello, oppure l’intero immobile con accordo di divisione del ricavato con te. Questo non perché tu sia fallito, ma perché metà di quell’immobile rientra nel fallimento di tuo fratello.
In sintesi: il tuo status giuridico non cambia (non perdi i tuoi diritti civili, non sei dichiarato fallito), ma indirettamente potresti subire conseguenze se c’erano commistioni patrimoniali con lui. Perciò, in previsione di rischi, è sempre meglio mantenere le transazioni tra fratelli documentate e a valori di mercato; se, ad esempio, tuo fratello ti ha venduto un bene prima del fallimento, assicurati che fosse a prezzo equo e tracciato, altrimenti il Curatore potrebbe contestarlo.
D: Mio fratello ha troppi debiti personali e non ce la fa più. Esiste un modo legale per “cancellare” questi debiti e fargli avere un nuovo inizio?
R: Sì. L’ordinamento prevede proprio ciò che in inglese si chiama fresh start. Per le persone non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori) c’è la procedura di sovraindebitamento. In base alla situazione specifica di tuo fratello, può:
- Proporre un piano di ristrutturazione se è un consumatore, ottenendo la riduzione dei debiti e dilazioni, con omologa del tribunale anche senza consenso dei creditori (basta che sia conveniente e lui meritevole).
- Concordare un accordo con i creditori (concordato minore) se è imprenditore o professionista: serve una maggioranza di creditori consenzienti, ma spesso si può trovare un’intesa su stralcio e pagamenti parziali.
- Mettere in liquidazione il suo patrimonio (liquidazione controllata) se non ha modo di pagare diversamente: un liquidatore venderà ciò che può e poi il giudice cancellerà tutti i debiti residui non pagati.
- Se davvero non ha nulla da liquidare, può persino chiedere l’esdebitazione senza beni: in pratica la cancellazione dei debiti a zero, se il caso è disperato e lui incolpevole.
In tutti i casi, alla fine c’è l’esdebitazione: i debiti vengono cancellati (eccetto poche categorie come alimenti, sanzioni penali/amministrative, debiti da illecito). Questo succede con un decreto del giudice a fine procedura, se tuo fratello ha rispettato le condizioni. È come un perdono civile dei debiti.
Naturalmente, non è un regalo automatico: tuo fratello dovrà impegnarsi e rispettare regole. Ad esempio, dovrà dichiarare tutti i suoi beni, magari rinunciare a beni di lusso non indispensabili, accettare di destinare una parte del suo reddito ai creditori per qualche anno, etc. E deve essere onesto: se ha truffato i creditori o nascosto patrimoni, il tribunale negherà l’esdebitazione.
Ma se è solo sfortunato o imprudente ma in buona fede, allora queste procedure gli daranno respiro. I creditori non potranno aggredirlo durante la procedura (c’è una moratoria legale), e al termine, pagato il possibile (anche solo il 10-20% a volte), il resto è condonato. Insomma, esiste la legge “salva suicidi” (così fu chiamata la L.3/2012) proprio per dare una seconda chance. Ti consiglio di rivolgerti a un OCC (Organismo Composizione Crisi) sul territorio o a un avvocato specializzato in crisi da sovraindebitamento: sapranno valutare la situazione di tuo fratello e guidarlo. L’aggiornamento normativo è recente e favorevole al debitore meritevole, per cui vale davvero la pena tentare questa strada piuttosto che vederlo rovinarsi la vita in eterno dietro ai debiti.
D: È vero che se uno fa tanti debiti “basta fallire” e non paga più niente?
R: Attenzione, il fallimento (liquidazione giudiziale) riguarda imprenditori di certe dimensioni. Se uno è un normale consumatore o piccolo imprenditore, non “fallisce” in senso tecnico: al limite può aprire una liquidazione controllata come sopra. In ogni caso, non è un gioco: nei fallimenti veri i creditori possono eccepire condotte scorrette e negare l’esdebitazione. Inoltre il fallito subisce per anni la revoca di disponibilità dei beni, limitazioni nei movimenti finanziari, e potenziali conseguenze penali se ha compiuto reati fallimentari. Quindi non è affatto una passeggiata. L’esdebitazione (anche post-fallimento) va meritata. Non c’è un condono generalizzato; c’è una procedura seria in cui il debitore deve collaborare e spesso cedere tutto ciò che ha al fine di soddisfare per quanto possibile i creditori, prima di essere liberato. Dunque “fare debiti e poi fallire” non è una strategia priva di costi e sacrifici. Peraltro, la legge punisce severamente chi fa apposta debiti per non pagarli (bancarotta fraudolenta, ad esempio, se si parla di fallimento). Quindi, confidare di accumulare debiti e poi farla franca è eticamente e legalmente molto rischioso.
D: Dal punto di vista legale, è meglio mettersi in società con un fratello (per fiducia) oppure conviene ugualmente formalizzare tutto?
R: La fiducia familiare è un grande valore, ma non sostituisce le regole giuridiche – anzi, paradossalmente è proprio tra familiari che a volte la mancanza di formalità genera problemi maggiori, specie se sorgono debiti. Il consiglio è: se decidete di fare affari insieme, formalizzate il rapporto con un contratto di società adeguato e mettete nero su bianco i patti (anche quelli su cosa succede se uno vuole uscire o ha problemi economici). Questo non diminuisce la fiducia, anzi la preserva, perché ognuno sa cosa aspettarsi. Inoltre scegliete un tipo di società che protegga entrambi: spesso la S.r.l. è preferibile, perché limita i rischi ai soldi investiti. Se invece, per vari motivi, operate in modo informale (es. uno fa da titolare e l’altro aiuta), state attenti: in caso di litigi o di debiti, il confine è incerto e potreste finire per litigare in tribunale su chi deve pagare cosa, o subire entrambi azioni dei creditori. Dunque, sì alla società con il fratello se c’è affiatamento, ma fatela bene, con statuto e magari patti interni di gestione del rischio. E ognuno curi un minimo la propria autotutela patrimoniale (ad esempio, se siete due fratelli sposati, fate tutti e due la separazione dei beni in famiglia, così se l’azienda di famiglia va male, almeno le mogli/figli conservano qualcosa di personale). Non è mancanza di fiducia: è buon senso e pianificazione.
D: Dopo aver letto tutto ciò, mi chiedo: quale forma giuridica conviene per due fratelli che vogliono avviare un’attività insieme minimizzando i rischi sui loro patrimoni personali?
R: In generale, la S.r.l. (o eventualmente S.p.A. se parliamo di affari grandissimi) è la forma che offre la massima protezione del patrimonio personale, grazie alla responsabilità limitata. Quindi, se l’obiettivo primario è la salvaguardia dei beni familiari e l’attività lo consente (nel senso che ha una dimensione sufficiente o comunque giustifica i costi e gli adempimenti di una società di capitali), la S.r.l. è indicata. Bisogna però:
- Capitalizzarla adeguatamente: mettere un capitale iniziale proporzionato e non drenare tutti gli utili, altrimenti rischiate di dover mettere poi toppe personali o di perdere credibilità con i creditori.
- Disciplina finanziaria: non usate la S.r.l. come bancomat personale, mantenete netti i confini (così nessuno potrà accusarvi di abuso della personalità giuridica).
- Attenti alle fideiussioni: cercate di contrattare con le banche condizioni che non richiedano troppe garanzie personali. A volte, offrire un pegno su un bene sociale è meglio che firmare con tutto il patrimonio.
Se invece l’attività è piccolina e i costi di una S.r.l. risultano eccessivi, potreste iniziare come S.n.c. però consapevoli dei rischi: magari predisponete un patto scritto che se la situazione debitoria degenera, vi impegnerete a trasformare in S.r.l. o a non mettere a rischio i beni dell’altro. Si può anche valutare una S.a.s. se uno dei due vuole fare solo da finanziatore limitato, ma nella pratica tra fratelli di solito lavorano entrambi, quindi la distinzione accomandante/accomandatario può essere artificiosa (e se l’accomandante si immischia, perde la protezione).
Un altro aspetto: la compagnia assicurativa. Esistono polizze specifiche (es. Key-Man Insurance) che assicurano l’azienda contro la morte o invalidità di uno dei soci chiave, fornendo liquidità per indennizzare l’uscita ai familiari. Non c’entra coi debiti, ma è parte di un sano risk management se l’attività cresce.
In conclusione, per minimizzare i rischi personali: società di capitali, e per i crediti che comunque richiedono garanzie (tipo fidi bancari), considerare alternative come minibond, confidi, o ipoteche su beni sociali. E tenere sempre un dialogo aperto in famiglia, in modo da affrontare i problemi finanziari sul nascere e non dover ricorrere poi ai giudici tra fratelli.
Esempi pratici
Vediamo ora qualche simulazione pratica ispirata a situazioni reali, per chiarire l’applicazione concreta dei principi esposti.
Esempio 1: Fratelli in S.n.c. e debito bancario
Scenario: Mario e Luigi sono fratelli e soci al 50% di una S.n.c. che gestisce un negozio. La S.n.c. contrae un prestito bancario di €100.000. A causa di una crisi economica, l’attività va male e la società non riesce più a pagare le rate. La banca ottiene un decreto ingiuntivo e lo notifica alla società e ai soci.
Cosa succede: La banca, come da prassi, prima cercherà beni intestati alla S.n.c. (ad esempio merci in magazzino, incassi sul c/c sociale). Ma tali beni coprono solo parte del debito. Dunque la banca procederà anche contro Mario e Luigi personalmente, essendo la loro responsabilità sussidiaria ma solidale. Poniamo che Mario abbia una casa di proprietà e Luigi no. La banca potrà ipotecare la casa di Mario e successivamente pignorarla, pur essendo un bene del tutto estraneo alla società (è di Mario come persona fisica). Questo perché nella S.n.c. Mario risponde dei debiti sociali con tutti i suoi beni. La banca potrebbe pignorare anche lo stipendio di Luigi (Luigi ha un secondo lavoro da dipendente altrove) fino a un quinto, e i conti bancari personali di entrambi. Se ciò non basta, la banca può iscrivere Mario e Luigi come cattivi pagatori e eventualmente chiedere il fallimento della S.n.c. e contestualmente di Mario e Luigi (se sussistono i requisiti di fallibilità). Mario e Luigi quindi rischiano di perdere la casa (Mario) e di subire azioni esecutive prolungate sui redditi (Luigi). Tra di loro, se ad esempio la banca riuscirà a prendere €60.000 dalla casa di Mario e €10.000 dallo stipendio di Luigi (totale €70.000 recuperati), e poi si fermerà perché si accontenta, Mario potrà chiedere a Luigi la metà di quei €60.000 pagati da lui oltre la sua quota, in base al regresso tra coobbligati. Ma se Luigi è nullatenente, Mario rimane con il cerino in mano.
Soluzioni possibili: In una situazione così grave, Mario e Luigi avrebbero potuto considerare di:
- Trasformare in S.r.l. quando hanno visto le difficoltà, per circoscrivere i nuovi debiti (anche se la banca per quelli vecchi li avrebbe comunque perseguiti in qualità di ex soci illimitatamente responsabili).
- Concordare con la banca una ristrutturazione del debito prima del default, magari con garanzie alternative (ad esempio far subentrare un garante terzo, o offrire il magazzino in pegno) per evitare l’azione immediata sui beni personali.
- In extremis, attivare una procedura di sovraindebitamento: Mario e Luigi, essendo coobbligati, potevano valutare un accordo con i creditori con l’assistenza di OCC. Tuttavia, essendo la banca l’unico grosso creditore, forse la via migliore era negoziare direttamente.
- Se la banca avesse comunque eseguito, Mario e Luigi potrebbero dopo il pignoramento chiedere l’esdebitazione di quanto eventualmente rimanesse scoperto. Ad esempio, se dopo aver venduto la casa di Mario restassero €20.000 di debito non pagato, potrebbero, chiusa la S.n.c. magari in fallimento, ottenere la liberazione da quel residuo.
Morale: la S.n.c. dà potere di reazione totale ai creditori. Mario pensava forse che la casa fosse al sicuro perché intestata a lui, ma non è così. Per i creditori non fa differenza: patrimonio sociale e personale dei soci sono in linea di mira (salvo escussione preventiva del sociale). Questo esempio mostra l’importanza, in settori rischiosi, di riflettere bene prima di usare forme a responsabilità illimitata.
Esempio 2: S.r.l. familiare e debito fiscale con soci fratelli
Scenario: Antonio e Giulia, fratello e sorella, hanno una S.r.l. al 50% ciascuno, che commercializza prodotti online. Per far fronte a problemi di liquidità, la S.r.l. non versa l’IVA per un paio d’anni, accumulando un debito con l’erario di €80.000. Inoltre la società ha fornitori non pagati per €50.000. La S.r.l. purtroppo fallisce (liquidazione giudiziale) perché insolvente.
Cosa succede: Nella procedura fallimentare, si liquidano i beni della società (che però ha poco: qualche computer e magazzino modesto). Rimangono largamente insoddisfatti sia il Fisco che i fornitori. Antonio e Giulia come soci non vengono dichiarati falliti (la S.r.l. è persona giuridica distinta) e i creditori sociali non possono chieder loro il pagamento del dovuto. Tuttavia:
- L’Agenzia Entrate Riscossione, dopo la chiusura del fallimento, vorrebbe recuperare l’IVA non pagata. In passato avrebbe magari notificato cartelle a Antonio e Giulia per l’intero 80.000 in base all’art. 2495 c.c., ipotizzando che essi fossero responsabili come ex soci. Ma oggi, dopo Cass. SU 3625/2025, non può farlo senza prova di distribuzioni. Se nel bilancio finale di liquidazione della S.r.l. i soci non hanno ricevuto nulla (cosa probabile, data l’insolvenza), allora AdER non potrà legalmente pretendere nulla da loro. L’IVA non pagata resterà un credito non esigibile (lo Stato incassa meno, ma i soci sono salvi nella persona).
- I fornitori rimasti non pagati sono creditori chirografari e anch’essi non possono rivolgersi ai soci. Dovranno accontentarsi di quel poco ricavato nella procedura.
- Attenzione: Antonio era amministratore della S.r.l. Se emergessero condotte distrattive o irregolarità (ad esempio ha usato i soldi dell’IVA per spese personali), potrebbe avere azione di responsabilità o addirittura conseguenze penali per omesso versamento IVA oltre soglia (€250k, qui sotto soglia) o bancarotta. Ma se semplicemente non c’erano soldi, e hanno portato i libri in tribunale appena capito, allora nessuna colpa.
- Quindi, i beni personali di Antonio e Giulia (la loro casa, ecc.) restano intatti. Non verranno pignorati per quei debiti aziendali. Antonio troverà magari iscritta in Centrale Rischi la sua posizione come amministratore di società fallita, ma potrà continuare la sua vita.
Dopo la procedura: supponiamo però che Antonio e Giulia avessero dato fideiussione bancaria per un fido di €20.000 che la S.r.l. aveva: quella banca, esclusa parzialmente dal fallimento, potrà farsi pagare da loro personalmente (le garanzie dei soci rimangono valide). Dovranno quindi onorare o negoziare quell’aspetto.
Morale: la S.r.l. ha protetto efficacemente i fratelli dai debiti verso terzi. Il Fisco non può “saltare al collo” dei soci senza nuovo accertamento e comunque non oltre eventuali attivi percepiti, e i fornitori sono rimasti in ambito societario. Questo esempio evidenzia il valore dello schermo societario. Va però ricordato che se invece di fallire formalmente, Antonio e Giulia avessero provato a sciogliere la S.r.l. “sparendo” con debiti, AdER li avrebbe ugualmente inseguiti: la differenza la fa il fatto che non hanno preso attivo.
Esempio 3: Comunione ereditaria e debito del coerede
Scenario: Francesca e Roberto sono fratelli che hanno ereditato una casa di campagna e alcuni terreni dal padre. Entrambi hanno accettato l’eredità (attivo prevalente, pochi debiti che hanno pagato). Francesca tuttavia ha accumulato successivamente debiti personali (con Agenzia Entrate per mancato versamento di contributi e con una finanziaria). Le arrivano cartelle esattoriali per €40.000. Francesca non ha beni propri: vive nella casa ereditata (in cui anche Roberto ha una stanza per le vacanze).
Cosa succede: AdER (riscossione) vede che Francesca è proprietaria al 50% di casa e terreni. Può iscrivere una ipoteca legale sugli immobili in comunione per il suo credito. Dopodiché, se Francesca non paga, può avviare l’espropriazione. Con ogni probabilità:
- Notificherà un atto di pignoramento della quota indivisa di Francesca su casa e terreni a lei e a Roberto.
- Chiederà al tribunale la divisione giudiziale della comunione (art. 601 c.p.c. e seguenti). Essendo casa e alcuni terreni, il giudice nominerà un perito. Se i beni non sono comodamente divisibili in natura in parti equivalenti, ordinerà la vendita dell’intero e la divisione del ricavato.
- Roberto, essendo comproprietario non debitore, verrà coinvolto. Potrà esercitare la prelazione se fa un’offerta pari al valore della quota di Francesca. Ma se non ha liquidità, la casa andrà all’asta intera.
- Alle aste, magari qualcuno acquista. Roberto riceverà metà del prezzo (meno spese), Francesca l’altra metà andrà ai creditori. Roberto perde la casa di famiglia, benché innocente. Francesca perde la sua quota ma estingue i debiti (se il ricavato copre il dovuto; se no, residuo debito).
- Roberto potrebbe cercare in extremis di bloccare la vendita offrendo un concordato ai creditori: ad esempio, prendere un mutuo e pagare quei €40.000 a AdER e finanziaria, così da evitare l’asta. Se riesce, salverà i beni, ma si sarà indebitato per la sorella.
Soluzione che andava presa: Francesca e Roberto dovevano capire che una comunione così era rischiosa se uno aveva problemi. Avrebbero potuto fare una divisione volontaria: magari Roberto prendeva casa e liquidava Francesca sulla base del valore (anche con un pagamento rateale o accollandosi i debiti di lei). Oppure vendere insieme i terreni per pagare i creditori e salvare casa. Anche il trust ereditario avrebbe potuto proteggere i beni: ad esempio, se il padre avesse lasciato casa e terreni in un trust per i figli, i creditori personali di Francesca non avrebbero potuto aggredirli, perché sarebbero stati formalmente del trust (ma questo i padri di solito non lo fanno, è fuori dalla mentalità comune).
Nota: se quell’immobile fosse prima casa di Francesca e unica proprietà, la legge le darebbe scudo? Nel caso di AdER, la norma blocca esecuzione sulla prima casa di proprietà esclusiva del debitore. Ma qui la proprietà è in comunione, quindi non esclusiva: casi interpretati hanno portato a ritenere procedibile la vendita. Difatti, la situazione appare in contenzioso, ma nel dubbio l’Agente Riscossione spesso procede comunque.
Morale: se erediti con fratelli, valuta pro e contro di restare in comunione. Se sai che tuo fratello/sorella è finanziariamente instabile, forse è meglio spartire i beni subito (anche rinunciando a qualcosa) per non restare legati. Un motto: comunione oggi, asta domani (è pessimista, ma le statistiche delle procedure mostrano molte esecuzioni su quote indivise).
Esempio 4: Fratelli co-fideiussori e sovraindebitamento
Scenario: Tre fratelli – Alessio, Bruno e Carlo – hanno insieme garantito con fideiussione un prestito di €120.000 acceso dalla società di uno di loro (Alessio). La società fallisce e la banca escute i garanti. Ciascun fratello quindi si trova esposto per €120.000 (obbligazione solidale). Bruno e Carlo, che avevano conti e stipendio, iniziano a pagare, ma Alessio, che già aveva perso la società, è nullatenente. Dopo un po’, Bruno e Carlo hanno pagato €60.000 a testa (per evitare pignoramenti), mentre Alessio nulla. Bruno e Carlo vorrebbero rivalersi su Alessio per la sua parte, ma Alessio proprio non ha come pagare. Tutti e tre alla fine rimangono con debiti personali: Bruno e Carlo hanno chiesto prestiti per pagare la banca, indebitandosi con finanziarie; Alessio ha ancora debiti residui verso fornitori post-fallimento e ora deve anche moralmente restituire qualcosa ai fratelli (che però non lo fanno causa).
Cosa succede: Questi tre fratelli decidono di affrontare il problema ricorrendo alla procedura familiare di sovraindebitamento. Essendo la loro situazione originata dallo stesso evento (fideiussione escussa) e vivendo insieme (sono tutti residenti nella casa paterna), possono presentare un piano unico. Si rivolgono all’OCC, che elabora una proposta in cui:
- Mettono in vendita la casa al mare che i genitori avevano lasciato in comunione tra di loro (valore €90.000).
- Propongono ai creditori (banche, finanziarie, fornitori) di pagare in totale €100.000 ricavabili da quella vendita e da piccoli risparmi di Bruno e Carlo, suddivisi in proporzione tra tutti (si arriva magari a offrire un 40% su ogni credito).
- Dimostrano che nessuno di loro ha tenuto condotta scorretta: era una sfortunata concatenazione.
- Il giudice ammette la procedura e sospende le azioni esecutive in corso (Bruno era sotto pignoramento stipendio, che si interrompe).
- I creditori vengono convocati: molti finanziarie votano sì perché preferiscono prendere il 40% subito che inseguirli individualmente. La banca accetta perché già incassato parte e il resto sarebbe difficile da spremere.
- Il tribunale omologa il concordato minore familiare. La casa al mare viene venduta, versano i contributi promessi. I creditori ricevono il parziale rimborso.
- Alla fine, il giudice esdebita i tre fratelli dai €180.000 circa di debiti residui che rimarrebbero (60% non pagato). Ora nessuno deve più nulla.
Bruno e Carlo “perdonano” formalmente anche Alessio per le somme extra che avevano pagato (in realtà già incluso nel piano; se non l’avessero fatto, sarebbero comunque stati creditori di Alessio e coinvolti anch’essi nel piano come creditori – particolare interessante: in un piano familiare così può capitare che un fratello sia creditore di un altro; occorre gestione accorta dei conflitti di interesse, spesso si rinuncia a rivalse interne per semplicità).
Morale: le procedure di sovraindebitamento in ambito familiare permettono di risolvere grovigli dove più parenti sono debitori e creditori fra loro. Senza una soluzione unitaria, Bruno e Carlo avrebbero potuto litigare con Alessio per decenni, e intanto rovinarsi tutti. Così hanno sacrificato un bene secondario (la casa al mare) ma hanno salvato la casa principale e la serenità. E i creditori hanno ottenuto qualcosa in tempi rapidi invece di nulla forse.
Ogni caso è unico, ma queste simulazioni mostrano quanto sia importante conoscere gli strumenti legali a disposizione per gestire il rischio debiti in ambito familiare, e quanto la forma giuridica scelta per fare impresa o gestire i patrimoni incida sulle conseguenze in caso di difficoltà economica.
Fonti normative e giurisprudenziali
(Si riportano di seguito le principali fonti legislative e sentenze citate o utilizzate nella presente guida, per approfondimento e verifica.)
Normativa (Codice Civile e leggi speciali):
- Art. 2740 c.c. – Responsabilità patrimoniale: principio per cui il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
- Artt. 2291–2298 c.c. – Norme sulle società in nome collettivo: in particolare art. 2291 (responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali) e art. 2304 (beneficio di escussione del patrimonio sociale).
- Art. 2305 c.c. – Creditore particolare del socio: limita i diritti dei creditori personali dei soci di società di persone (divieto di chiedere liquidazione anticipata quota finché dura la società).
- Art. 2313 c.c. – Distinzione tra accomandatari (illimitatamente responsabili) e accomandanti (responsabilità limitata alla quota) nelle S.a.s.
- Art. 2320 c.c. – Divieto per accomandanti di immischiarsi nell’amministrazione, pena perdita limitazione di responsabilità.
- Art. 2495 c.c. – Effetti della cancellazione di società di capitali: i creditori insoddisfatti possono far valere i crediti nei confronti dei soci, ma nei limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione.
- Art. 230-bis c.c. – Impresa familiare: partecipazione dei familiari e loro diritti patrimoniali, senza acquisto della qualità di imprenditore.
- Artt. 2462 c.c. – Nelle S.r.l., i soci non rispondono per le obbligazioni sociali oltre il conferimento (principio di autonomia patrimoniale perfetta).
- D.P.R. 602/1973, art. 36 – Responsabilità nei confronti dell’erario dei soci ed amministratori per società cessate: stabilisce, tra l’altro, che per i debiti fiscali di società estinte l’azione verso soci è limitata alla quota di patrimonio devoluto (norma raccordata con art. 2495 c.c., interpretata dalle Sez. Unite 2025).
- D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi) – Titolo II Capo X: disciplina della liquidazione giudiziale delle società e soci illimitatamente responsabili (artt. 255-256 CCII); Titolo IV (artt. 65-83 CCII) – composizione delle crisi da sovraindebitamento (ristrutturazione debiti consumatore, concordato minore, ecc.). Art. 283 CCII – Esdebitazione del debitore incapiente.
- Legge 3/2012 (abrogata dal CCII) – legge sul sovraindebitamento, citata per continuità di principi.
- D.Lgs. 136/2024 (Correttivo Ter) – modifiche al CCII, introdotto miglioramenti su procedure familiari e meritevolezza.
- Codice di procedura civile, artt. 599–601 – Pignoramento di beni indivisi e intervento dei creditori particolari dei compartecipi nelle divisioni.
- Codice civile, art. 524 – Azione dei creditori contro la rinuncia all’eredità del debitore (impugnazione della rinuncia entro 5 anni).
- Codice civile, art. 167 ss. – Fondo patrimoniale (costituzione, oggetto, esecuzione ex art. 170 c.c.).
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942), artt. 64, 65, 67 (ora art. 163 CCII) – Azioni revocatorie fallimentari per atti a titolo gratuito, pagamenti preferenziali, atti in frode.
- D.Lgs. 74/2000, art. 11 – Reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (rilevante se trasferimento beni a famigliari per evadere il fisco).
- Codice civile, art. 768-bis ss. – Patto di famiglia (trasferimento azienda a discendenti).
- D.Lgs. 252/2005, art. 11 – Impignorabilità e insequestrabilità delle posizioni individuali nei fondi pensione.
- Codice civile, art. 1923 – Insequestrabilità assicurazione sulla vita (beneficiari).
- Codice civile, art. 2901 – Azione revocatoria ordinaria (atti in frode ai creditori).
Giurisprudenza (Corte di Cassazione, Sez. Unite e sezioni semplici):
- Cass., Sez. Unite, 24 novembre 2023 n. 32729 – Responsabilità ex socio unico di S.r.l. estinta per debiti sociali: conferma limite di art. 2495 c.c. e onere della prova a carico del creditore.
- Cass., Sez. Unite, 7 febbraio 2025 n. 3625 – Agenzia Entrate vs ex soci S.r.l.: esclude l’automatismo della responsabilità fiscale dei soci di S.r.l. cancellata; richiede nuovo atto impositivo e prova di somme percepite dal socio.
- Cass., Sez. Trib., 27 novembre 2024 n. 30598 – Presunzione distribuzione utili extracontabili in società a ristretta base sociale: legittima presunzione salvo prova contraria dei soci (conferma orientamento).
- Cass., Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890 – Meritevolezza nel piano del consumatore: va valutata secondo i criteri nuovi del CCII (assenza colpa grave, malafede o frode), abbandonando i precedenti parametri più restrittivi.
- Cass., Sez. I, 13 febbraio 2023 n. 4385 – Prova della società di fatto familiare ai fini del fallimento in estensione: necessaria dimostrazione rigorosa di fondo comune, gestione congiunta, esteriorizzazione del vincolo.
- Cass., Sez. I, 16 dicembre 2019 n. 33230 – Società di fatto tra consanguinei: la prova dell’affectio societatis tra familiari deve basarsi su elementi univoci che escludano la mera affectio familiaris (collaborazione familiare).
- Cass., Sez. I, 2020 n. 19234 – Accertamento società di fatto: possibile con presunzioni semplici valutate rigorosamente nel complesso delle circostanze (richiamata in Cass. 2023).
- Cass., Sez. I, 2023 n. 22699 – Sovraindebitamento e debiti da gioco (ludopatia): riconduce il giudizio di meritevolezza alla condotta complessiva valutando l’eventuale patologia come fattore attenuante (principio di favor debitoris, cit. da fonti dottrinali e di merito su ilCaso.it).
- Cass., Sez. Un., 2013 n. 1521 (precedente storico) – Affermò principio poi recepito: soci di s.r.l. cancellata responsabili pro quota attivo percepito, con onere del creditore di provare la percezione (base dell’art. 2495 c.c. come interpretato).
- Cass., Sez. III, 20 aprile 2016 n. 7766 – Fondo patrimoniale: conferma impignorabilità beni per debiti estranei ai bisogni familiari e criteri di valutazione di tale estraneità (non in guida, ma rilevante a tema).
- Corte Costituzionale 21 luglio 2021 n. 128 – Ha dichiarato illegittimo l’art. 32-ter DPR 602/73 che impediva espropriazione prima casa da parte Fisco solo se unica proprietà: condiz. normative cambiate poi (norma fiscale sulle prime case, non c. in guida ma contesto esecuzioni Fisco).
- Tribunale di Napoli, decreto 14.7.2023 (citato su dottrina: Correttivo Ter e piano familiare misto) – Caso di omologazione piano con debiti misti familiari (riferimento: Notizia su StudioBorselli, 2023).
Fratelli Soci con Debiti: Cosa Fare per Difendersi Con Studio Monardo
Hai avviato un’attività con i tuoi fratelli e ora, a causa di difficoltà economiche, vi trovate sommersi da debiti fiscali, bancari o contributivi? L’Agenzia delle Entrate o altri creditori vi hanno inviato cartelle esattoriali, accertamenti o richieste di pagamento personali?
Essere soci e fratelli in un’impresa può rendere ancora più delicata la gestione del debito, soprattutto quando ci sono responsabilità personali o garanzie incrociate. Ma non tutto è perduto: esistono strumenti legali per difendersi, salvare il patrimonio familiare e trovare una via d’uscita sostenibile.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la posizione fiscale e debitoria dei singoli soci, anche in caso di società chiusa
- 📌 Verifica le responsabilità personali, le fideiussioni firmate e la legittimità delle richieste
- ✍️ Redige ricorsi contro cartelle, accertamenti e atti di pignoramento
- ⚖️ Ti difende in caso di azioni esecutive individuali o solidali tra soci
- 🔁 Ti assiste anche in procedure di sovraindebitamento, divisione del debito e trattative con i creditori
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario, societario e contenzioso fiscale tra soci
- ✔️ Specializzato nella tutela di famiglie e soci coobbligati in contesti imprenditoriali
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Se tu e i tuoi fratelli siete coinvolti in debiti derivanti da un’attività in comune, potete ancora difendervi legalmente, chiarire le rispettive responsabilità e proteggere la stabilità economica della famiglia.
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